È possibile usare Wikipedia a scuola, in modo critico e utile? Quali sono le trappole da evitare? Può aiutarci a capirlo la voce «Storia del Trentino».
di Tommaso Baldo (*)
con la collaborazione del gruppo Nicoletta Bourbaki (*)
0. Premessa
1. La voce Storia del Trentino su it.wiki sino al 26.9.2015
2. Le modifiche del 26.9.2015 alla voce Storia del Trentino
2b. La citazione di Monzali sulla “snazionalizzazione” degli italiani d’Austria
2c. Prendere per buono un testo irredentista del 1914
2d. La «questione nazionale trentina»
2e. Sempre colpa dell’Austria
3. Alcune “trappole” ricorrenti su Wikipedia
3b. La fonte c’è ma…
3c. Attenzione a certe “dimenticanze”
3d. Una narrazione conservatrice
4. L’«Enciclopedia libera» va presa sul serio
Premessa
«In tutti i casi in cui non si tratti dei liberi giochi della fantasia, un’affermazione non ha il diritto di presentarsi se non a condizione di poter essere verificata; per uno storico, se usa un documento, indicarne il più brevemente possibile la collocazione, cioè il modo di ritrovarlo, non equivale ad altro che a sottomettersi ad una regola universale di probità. Avvelenata dai dogmi e dai miti, la nostra opinione, anche la meno nemica dei “lumi”, ha perduto persino il gusto del controllo. Il giorno in cui noi, avendo prima avuto cura di non disgustarla con una vana pedanteria, saremo riusciti a persuaderla a misurare il valore di una conoscenza dalla sua premura di offrirsi in anticipo alla confutazione, le forze della ragione riporteranno una delle loro più significative vittorie» 1.
Questa citazione di Marc Bloch, tratta dal libro Apologia della storia, o mestiere di storico, il testo che egli scrisse in clandestinità prima di cadere sotto il piombo di un plotone d’esecuzione nazista, contiene un’indicazione «di metodo» oggi quanto mai utile: solo le informazioni verificabili perché accompagnate dalla fonte da cui sono tratte meritano di essere prese in considerazione. La fonte può poi dimostrarsi completamente inattendibile o parziale. Insegnare a valutare l’attendibilità delle fonti, a cominciare da quelle con cui quotidianamente si viene in contatto, dovrebbe essere uno degli obiettivi fondamentali di ogni percorso scolastico superiore, sia esso professionale, tecnico o liceale.
Benché si tratti ancora purtroppo di eccezioni non mancano gli sforzi in questa direzione da parte di insegnanti, bibliotecari, archivisti ed operatori museali che si trovano a progettare lezioni e attività didattiche che hanno come scopo la trasmissione di questa competenza fondamentale. Porsi il problema di insegnare un approccio critico nei confronti delle fonti con cui quotidianamente si viene in contatto porta inevitabilmente a sollevare un argomento spinoso: Wikipedia. Come valutare la fonte più usata dagli studenti e probabilmente dall’intera popolazione?
In un suo articolo di tre anni fa lo storico Giovanni De Luna esprimeva una certa preoccupazione riguardo alla fruizione di Wikipedia da parte del grande pubblico e soprattutto degli studenti:
«L’analisi (elaborata da Barbara Montesi) dei due siti più frequentati dagli studenti (Wikipedia e Cronologia) delinea una situazione preoccupante. In Wikipedia si dissolve uno dei requisiti essenziali della ricerca storica: la verificabilità del dato attraverso la certezza dell’identità del suo autore. Nel web, infatti, tutti possono scrivere di storia, accreditarsi come storici: genealogisti e antiquari, cultori delle memorie familiari e storici locali, professionisti e dilettanti; si dissolvono le tradizionali gerarchie accademiche, nasce una nuova comunità enormemente allargata fuori dall’università, dalle riviste, dalle fondazioni e dalle altre istituzioni che erano stati da sempre i «luoghi» esclusivi della ricerca».
Dunque, secondo De Luna «l’enciclopedia libera» è inaffidabile perché non ha un autore ben definito. Dunque si dovrebbe insegnare a scuola che Wikpedia è inaffidabile? Non è così semplice, lo stesso De Luna ha auspicato in un altro suo scritto la possibilità di un’interazione costruttiva tra le forme «tradizionali» di trasmissione delle conoscenze e la rete.
«Pure, ci sarà sempre bisogno di buoni libri e di ricerche rigorose. Qualsiasi navigazione in rete ha bisogno di questi «timoni» per essere efficace. A quei libri e a quelle ricerche si chiederà di «certificare» i siti frequentati dagli studenti, di smascherare le rappresentazioni del passato più fasulle, di fornire un ancoraggio per chi rischia di smarrirsi nel mondo piatto e uniforme del web».
Ma come fare? Basta dire «prendete per buono solo ciò che su Wikipedia è accompagnato da una fonte»? E quale fonte? Può essere interessante prendere in esame una precisa voce dell’ «Enciclopedia libera» e cercare di seguirne le trasformazioni più recenti. In particolare ho deciso di prendere il capitolo «Storia contemporanea» in «Storia del Trentino». Ho scelto questo argomento per un motivo molto semplice, lavoro come addetto ai servizi didattici in un museo che si occupa proprio della storia trentina nel XIX e XX secolo e mi è pertanto facile avere accesso alle fonti scritte inerenti l’argomento.
1. La voce Storia del Trentino su it.wiki sino al 26.9.2015
Il capitolo «Età contemporanea» della voce «Storia del Trentino» su it.Wiki comincia con la frase:
«Nel corso del XVII e del XVIII secolo il principato vide ridursi ulteriormente la sua autonomia a favore della Contea del Tirolo, mentre emergeva come centro culturale la città di Rovereto».
Il capitolo precedente «Età moderna» termina parlando della decisione della chiesa cattolica di trasferire a Trento il proprio concilio nel 1542.
Sino al 26 settembre 2015 il primo paragrafo, «XVIII secolo e la parentesi napoleonica» conteneva 227 parole e ripercorreva in modo stringato, senza indicare alcuna fonte, gli avvenimenti dal XVII secolo al 1815. Seguiva il paragrafo «XIX secolo, fino alla prima guerra mondiale», formato da ben 1.100 parole.
Se il primo paragrafo era uno scorrevole riassuntino assai conciso, il secondo (in cui si introduceva la tematica dello scontro tra diverse nazionalità) si rivelava una lettura interessante. Le sottolineature sono mie:
«Nella prima metà dell’Ottocento, seguendo le dottrine di Metternich, la vita politica e sociale fu caratterizzata dal conservatorismo, dal controllo rigido ma corretto della polizia sulla stampa e sui movimenti politici. L’assolutismo asburgico avviò una politica snazionalizzatrice a danno della minoranza etnica italiana che il 19-20 marzo 1848 portò alla sommossa di Trento , in chiave autonomistica e antitirolese, collegata alle contemporanee sommosse nei centri di Milano e di Padova , anch’essi sotto occupazione austriaca. Le autorità asburgiche dichiararono lo stato d’assedio».
Dunque si accusavano – senza indicare alcuna fonte – le autorità austriache di aver condotto in Trentino una «politica snazionalizzatrice» nella prima metà del XIX secolo. Chi aveva scritto questo brano evidentemente ignorava che gli archivi di biblioteche, musei e comuni trentini contengono un gran numero di proclami delle autorità imperiali, di libri scolastici e di documenti ufficiali dell’amministrazione austriaca, redatti tutti in italiano. Infatti benché il Trentino facesse parte dal 1815 della provincia del Tirolo con capoluogo Innsbruck e fosse considerato un territorio appartenente alla Confederazione Germanica, la lingua in uso negli uffici pubblici, nei tribunali e nell’insegnamento rimaneva quella della stragrande maggioranza della popolazione locale, cioè l’italiano2.
Quanto poi alla pretesa «sommossa di Trento» (collegata a niente meno che alle cinque giornate di Milano!), è bene ricordare che ciò che accadde nel capoluogo Trentino il 19 marzo 1848 fu sostanzialmente una dimostrazione per festeggiare l’annuncio della concessione della costituzione da parte dell’imperatore Ferdinando I. Nel corso della manifestazione comparve qualche tricolore e venne stesa, firmata dai consiglieri comunali e letta al popolo una «supplica» all’imperatore in cui si chiedeva il distacco del Trentino dal Tirolo di lingua tedesca e la sua unione con il Lombardo-Veneto (che era sempre Austria).
Secondo quanto scritto da Maria Garbari nella Storia del Trentino, edita da Il Mulino tra il 2000 ed il 2006:
«L’iniziativa assunta dal Comune di Trento sotto la spinta dei cittadini, enfatizzata in senso nazionale da una parte della storiografia, va però collocata nel preciso contesto che la vide sorgere e quindi interpretata per quello che realmente voleva significare. All’atto della stesura della supplica non si era avuta notizia nel Trentino dei moti scoppiati il 17 a Venezia ed il 18 a Milano; la richiesta di aggregazione non conteneva pertanto alcuna compiacenza per gli eventi rivoluzionari, né la larvata speranza di entrare a far parte di un territorio che si intendeva staccare dalla sovranità asburgica, ma solo la volontà di unirsi alle provincie connazionali , fermo restando il rapporto con Vienna. Lo stesso commissario governativo Giuseppe de Bertolini, incaricato di indagare sui fatti di Trento, nel suo rapporto alle autorità superiori escludeva la connivenza con gli insorti del Lombardo-Veneto e quindi la finalità implicita di alterare i confini dello stato» 3. .
Dunque si trattava di rivendicare un’italianità linguistica e culturale, non la volontà di entrare a far parte di uno stato italiano o comunque di rendersi indipendenti dal potere imperiale. Essere italiani per lingua e cultura non significava affatto voler diventare cittadini di uno stato italiano, né essere visti come «stranieri» dai propri concittadini di altra lingua e cultura. L’idea che i popoli debbano formare entità statuali culturalmente, linguisticamente ed etnicamente omogenee non è una legge «naturale» ma una costruzione ideologica sorta nel corso del XIX secolo ed affermatasi (nel modo più sanguinoso possibile) nel XX.
Dimostrazioni simili a quelle di Trento si ebbero anche a Rovereto, Riva, Ala, Arco e in altri centri, ma nessuna di esse si può definire «sommossa». L’unico atto «sovversivo» fu quello di alcuni popolani di Trento che distrussero le garitte dei gabellieri poste alle porte della città, un atto diretto contro una forma di oppressione sociale ed economica, non certo nazionale. Così come per nulla «patriottica» fu la rabbia dei contadini che il giorno successivo calarono in città per assaltare il palazzo dell’annona dove erano custodite le scorte alimentari e vennero convinti a desistere soprattutto dalle parole del Vescovo Tschiderer.
Da notare che, mentre tutto questo accadeva, la città non era presidiata dalle truppe imperiali, che ne assunsero il controllo solo nei giorni seguenti. Vi era naturalmente da parte delle autorità austriache il timore di atti ostili nei loro confronti ma non avvennero mai. Nell’aprile 1848 fu imposto a Trento lo stato d’assedio e si procedette per breve tempo all’arresto di quei membri della classe dirigente considerati dei possibili sovversivi. Tanto bastò per spingere il podestà ed il consiglio comunale a ribadire la propria fedeltà all’imperatore mentre la popolazione rimase tranquilla e non rispose agli inviti all’insurrezione che venivano dai patrioti lombardi penetrati nelle valli del Trentino occidentale. Ventuno di questi ultimi vennero fucilati nel castello del Buonconsiglio il 15 aprile 1848 dopo esser stati catturati nel corso di una breve battaglia presso Castel Toblino4.
Naturalmente gli eventi del 1848 segnarono una svolta importantissima anche in Trentino, portando alla nascita di un movimento liberale e filo-italiano. Vi fu la prima richiesta di autonomia dal Tirolo tedesco, una richiesta che i rappresentanti dei trentini presentarono senza successo all’assemblea costituente germanica di Francoforte e all’assemblea costituente austriaca di Vienna.
Ma l’azione dei «patrioti» trentini c’entra poco con termini come «sommossa» e «snazionalizzazione», anzi i liberali trentini appaiono influenzati tanto dai fermenti progressisti e democratici del mondo tedesco e della capitale austriaca quanto da quelli del Lombardo-Veneto5.
Vi fu una minoranza di trentini che combatté contro l’Austria, ma a parte le brevi parentesi di alcuni episodi minori del 1848 e della spedizione garibaldina del 1866, questo avvenne sempre fuori dal Trentino. Furono infatti 3-400 i trentini fuoriusciti nei vicini stati italiani per partecipare alle campagne per l’indipendenza italiana6. Secondo i dati raccolti nel 1910 da Ottone Brentari furono 15 i trentini tra i Mille e 192 quelli arruolati nell’esercito meridionale; 93 quelli che vestirono la divisa dei bersaglieri di Vignola nell’esercito piemontese nel 1859-18607. Altre centinaia di trentini combatterono invece nell’esercito imperiale e non mancò tra loro chi lo fece con profonda convinzione, come ad esempio il kaiserjaeger Antonio Ognibeni di Levico, che ci ha lasciato un interessante libro di memorie (ovviamente scritto in italiano), traboccante di conservatorismo e di devozione a Sua Imperial Regia Maestà Apostolica. Interessante notare come Ognibeni scrivesse di aver combattuto contro «la rivoluzione». Evidentemente la sua lettura dello scontro in atto era in primo luogo ideologica e non nazionale (lo stesso avrebbero potuto dire in molti, anche sull’altro lato della barricata) 8.
Ma andiamo avanti con la lettura. Dopo aver parlato brevemente delle rivendicazioni autonomistiche trentine e dei fatti connessi alle guerre d’indipendenza la voce di it.Wiki passava a trattare degli avvenimenti successivi in modo molto particolareggiato. Le sottolineature sono mie:
«In seguito alla sconfitta austriaca e alla conseguente perdita del Veneto e del Friuli, la repressione austriaca si aggravò. Nel Consiglio della Corona del 12 novembre 1866, l’imperatore Francesco Giuseppe ordinò di cancellare l’italianità della Dalmazia, della Venezia Giulia e del Trentino (chiamato nell’amministrazione asburgica Südtirol ovvero “Tirolo meridionale”), poiché egli era convinto che gli Italiani suoi sudditi fossero solitamente d’idee irredentiste. Scrive in proposito lo storico Luciano Monzali: “I verbali del Consiglio dei ministri asburgico della fine del 1866 mostrano l’intensità dell’ostilità antiitaliana dell’imperatore e la natura delle sue direttive politiche a questo riguardo. Francesco Giuseppe si convertì pienamente all’idea della generale infedeltà dell’elemento italiano e italofono verso la dinastia asburgica: in sede di Consiglio dei ministri, il 12 novembre 1866, egli diede l’ordine tassativo di “opporsi in modo risolutivo all’influsso dell’elemento italiano ancora presente in alcuni Kronlander e di mirare alla germanizzazione o slavizzazione, a seconda delle circostanze, delle zone in questione con tutte le energie e senza alcun riguardo […] in Tirolo meridionale, Dalmazia e Litorale adriatico” . Tutte le autorità centrali ebbero l’ordine di procedere sistematicamente in questo senso”.
In risposta alle restrizioni asburgiche nel 1896 venne inaugurato un monumento a Dante Alighieri a Trento […]»
Qui finalmente compariva una nota, anzi due; nel brano in questione si citavano infatti due testi:
«8. Die Protokolle des Österreichischen Ministerrates 1848/1867. V Abteilung: Die Ministerien Rainer und Mensdorff. VI Abteilung: Das Ministerium Belcredi , Wien, Österreichischer Bundesverlag für Unterricht, Wissenschaft und Kunst 1971; la citazione compare alla Sezione VI, vol. 2, seduta del 12 novembre 1866, p. 297. Il testo originale in lingua tedesca, posto all’interno del paragrafo ” Maßregeln gegen das italienische Element in einigen Kronländern ” (“Misure contro l’elemento italiano in alcuni territori della Corona “), recita: “Se. Majestät sprach den bestimmten Befehl aus, daß auf die entschiedenste Art dem Einflusse des in einigen Kronländern noch vorhandenen italienischen Elementes entgegengetreten und durch geeignete Besetzung der Stellen von politischen, Gerichtsbeamten, Lehrern sowie durch den Einfluß der Presse in Südtirol, Dalmatien und dem Küstenlande auf die Germanisierung oder Slawisierung der betreffenden Landesteile je nach Umständen mit aller Energie und ohne alle Rücksicht hingearbeitet werde. Se. Majestät legt es allen Zentralstellen als strenge Pflicht auf, in diesem Sinne planmäßig vorzugehen”.
9. Luciano Monzali, “Italiani di Dalmazia“, Firenze 2004, p. 69.»
«Si, soprattutto quando ci sono le note!» mi rispondono spesso gli studenti quando domando loro se Wikipedia sia affidabile. Ma basta mettere i riferimenti bibliografici per sancire la serietà di una ricostruzione storica? Non direi, e questo brano ne è un’esempio: si salta dal 1866 al 1896, come se in quei trent’anni in Trentino e nell’Impero non fosse accaduto nulla e soprattutto come se nel 1867 lo stesso imperatore non avesse firmato la costituzione austriaca (cioè della parte Cisletana dell’Impero) in cui all’articolo 19 era scritto:
«Tutte le nazionalità dell’Impero godono di pari diritti, e ogni nazionalità ha il diritto inviolabile a preservare e promuovere la propria nazionalità e la propria la lingua.
La parità di diritti di tutte le lingue attuali nelle scuole, nell’amministrazione e nella vita pubblica è riconosciuta dallo Stato.
Nelle provincie in cui vivono diverse nazionalità, le istituzioni educative pubbliche devono essere impostate in modo tale che, senza che vi sia la costrizione di apprendere una seconda lingua, ogni nazionalità riceva le risorse necessarie per l’istruzione nella propria lingua».
Occorre a questo punto notare come la voce «Storia del Trentino» di it.Wiki dedicava ben 182 parole (gli avvenimenti dall’inizio del XVIII secolo al 1815 erano stati liquidati in 227) per esporre quanto Francesco Giuseppe affermò in una riunione di consiglio dei ministri nel 1866. Mentre non ne usava neppure una per illustrare il nuovo assetto istituzionale dell’Impero (da Impero d’Austria ad Impero Austroungarico) o per dar conto dell’esistenza di un testo costituzionale che dava ai sudditi della parte austriaca dello stesso (di cui il Trentino faceva parte) il diritto di usare la propria lingua a scuola e nella pubblica amministrazione.
Naturalmente questo articolo costituzionale non risolse il problema delle contese nazionali in ambito scolastico e culturale, che anzi si fecero sempre più feroci nei decenni a cavallo tra XIX e XX secolo. Non voglio certo descrivere l’Impero Austroungarico come un esempio di tolleranza e pacifica convivenza tra i popoli, il suo fallimento è sotto gli occhi di tutti e non può certo essere considerato unicamente frutto della sconfitta militare. Ma tacere riguardo alla costituzione del 1867 e dedicare ampio spazio ad una semplice riunione di consiglio dei ministri nel 1866 significa non avere alcun interesse alla ricostruzione storica bensì porsi unicamente l’obiettivo di cercare «prove» atte a sostenere una narrazione vittimista e nazionalista che vuole gli italiani «vittime innocenti» di un’oscura cospirazione snazionalizzatrice.
Senza dubbio non mancarono, a cavallo tra XIX e XX secolo, attacchi verbali e scritti all’italianità culturale dei trentini da parte di esponenti politici, di amministratori e di studiosi afferenti al nazionalismo pangermanista. La voce di it.Wiki dà conto con precisione di questi attacchi citando un libro Italiani maledetti, maledetti austriaci. L’inimicizia ereditaria, di Claus Gatterer, storico e giornalista sudtirolese di salda impostazione democratica e antifascista che certo non può essere tacciato di sciovinismo. Gatterer sarebbe bene citarlo però anche quando parla del nazionalismo italiano che subì sulla sua pelle, non solo di quello pangermanista.
Quelli nei pangermanisti tirolesi contro i trentini erano attacchi e polemiche condotti da avversari politici e culturali, un fenomeno tipico degli ultimi decenni dell’Impero Austroungarico. Non vi era nessuna reale minaccia ai diritti «nazionali» degli italiani d’Austria da parte dello stato, vi erano piuttosto degli scontri sempre più duri tra le diverse «nazionalità» dell’Impero che le autorità statali faticavano sempre più a controllare.
Nel 1896 le autorità imperiali consentirono la costruzione dinnanzi alla stazione ferroviaria di un monumento a Dante Alighieri che voleva rappresentare l’italianità culturale e linguistica dei trentini, in risposta al monumento a Walther von der Vogelweide realizzato dai tirolesi a Bolzano. L’effige del poeta, con il braccio rivolto verso nord nel gesto di sancire una frontiera tra la lingua italiana e quella tedesca costituiva un potente simbolo identario per i trentini, ma anche una prova tangibile del sostanziale rispetto del’articolo 19 della costituzione austriaca da parte delle autorità imperiali. I diritti dei trentini apparivano ben tutelati anche in ambito scolastico dove i libri di testo si rifacevano ai coevi testi in uso nel confinante Regno d’Italia 9.
Inoltre la tutela della propria lingua e cultura era praticata in modo diverso da ciascuna delle diverse forze politiche trentine. Ad esempio i cattolici del Partito popolare, che nelle elezioni a suffragio universale maschile del 1907 e 1911 riuscirono a far eleggere ben 7 dei loro candidati sui 9 spettanti ai trentini, si dichiaravano fautori (al pari degli altri partiti trentini) dell’autonomia dal Tirolo tedesco e dell’ «integrità nazionale del Trentino». Ma affermavano di perseguire una «coscienza nazionale positiva», cioè di voler difendere i diritti dei trentini senza assumere atteggiamenti «sovversivi». Come disse un loro giovane esponente, Alcide De Gasperi, nel 1907:
«Noi non siamo dei ribelli, dei rivoluzionari, non facciamo dell’irredentismo politico, ma vogliamo l’attuazione di quanto sta scritto nella legge. L’imperatore inaugurando col suo discorso del trono la sessione parlamentare, disse di voler morire colla coscienza d’aver lasciato intatto ad ogni popolo il proprio possesso nazionale. Ed anche noi non vogliamo altro!» 10
2. Le modifiche del 26.9.2015 alla voce Storia del Trentino
Nel marzo 2015 registrandomi come utente *7sette11 su Wikipedia sono intervenuto nella sezione «Storia» della voce «Trentino-Alto Adige». Siccome la voce presentava a mio avviso delle criticità – le stesse che poi ho riscontrato in «Storia del Trentino» – sono intervenuto nelle parti che andavano dagli inizi del XIX secolo alla seconda guerra mondiale. Avrei voluto proseguire il lavoro su it.wiki ma purtroppo a causa di impegni lavorativi ed altro non ho più avuto tempo. Ho continuato comunque a cercare materiali per intervenire sulle voci inerenti la storia del Trentino e dell’Alto Adige per un duplice scopo: fare un’analisi critica delle voci stesse utile ad una riflessione sul ruolo dell’«Enciclopedia libera» come fonte ed in seguito intervenire per modificarle.
È stata per me una a sorpresa accorgermi la sera del 26 settembre 2015 che l’utente Patavium era intervenuto su «Storia del Trentino» trasferendovi molti dei contributi che avevo scritto nella sezione storia della voce «Trentino-Alto Adige» (dopo averlo correttamente annunciato con il dovuto anticipo).
Per valutare la portata dei cambiamenti intercorsi si può leggere qui per quanto riguarda il XIX secolo, qui per quanto riguarda gli inizi del XX secolo, qui e qui per quanto riguarda la grande guerra e i danni da essa arrecati, e infine qui per quanto riguarda il fascismo.
Naturalmente ora la voce non è perfetta. Patavium come è corretta prassi su Wikipedia non ha cancellato le parti della precedente versione che presentano le proprie fonti. Il risultato è una voce con una narrazione a tratti contraddittoria e con alcuni punti da chiarire.
2b. La citazione di Monzali sulla «snazionalizzazione» degli italiani d’Austria
L’affermazione di Luciano Monzali – contenuta nel libro Italiani di Dalmazia, dal Risorgimento alla Grande guerra, Firenze, Le Lettere, 2004 – secondo cui «Francesco Giuseppe si convertì pienamente all’idea della generale infedeltà dell’elemento italiano e italofono verso la dinastia asburgica» non è affatto accettata da tutti gli storici. Nessuno dei testi sulla storia locale curati da studiosi ed istituzioni trentine dedica una sola riga alla cosa. Non ne parlano i 6 volumi di Storia del Trentino edita da Il Mulino tra il 2000 ed il 2006, così come non ne parla il volume I, «Politica e istituzioni» della Storia regionale del Trentino-Alto Adige/Südtirol nel XX secolo edito nel 2008 dalla Fondazione Museo storico del Trentino.
Ne parla Angelo Ara nel libro Fra nazione e Impero. Trieste, gli Asburgo e la Mitteleuropa, ma in modo molto diverso da Monzali:
«Non l’irredentismo, ma la difesa nazionale, diversamente intesa nei territori trentini e adriatici e praticata in modo differente dalle varie forze politico-ideologiche, rappresenta il filo conduttore comune nell’atteggiamento degli italiani d’Austria dopo il 1866. Il 12 novembre 1866, sotto l’influsso emotivo della guerra combattuta in quell’anno e della perdita del Veneto, nel corso di una celebre seduta del consiglio dei ministri l’imperatore Francesco Giuseppe sembra deciso ad attuare una politica di germanizzazione e snazionalizzazione delle provincie italiane, ma questo proposito rimane solo allo stadio di minaccia. Gli austro-italiani vedono mantenuto, anzi meglio garantito dalla legge costituzionale sui diritti fondamentali dei cittadini del dicembre 1867, quel pieno riconoscimento dei loro diritti linguistici e scolastici, che già in età precostituzionale derivava loro dallo status culturale e sociale tradizionalmente attribuito ad una nazione che anche gli stessi tedeschi considerano sempre accanto a loro l’unica altra Kulturnationdella monarchia» 11.
Credo che, se si vuole inserire la citazione di Monzali, occorra per correttezza riportare anche quella di Ara, cosa che del resto a mio parere renderebbe quel passaggio della voce meno contraddittorio di quanto lo sia ora.
2c. Prendere per buono un testo irredentista del 1914
Riguardo alla situazione in Trentino agli inizi del XX secolo nella voce possiamo leggere:
«Nel contempo la repressione politica si faceva sempre più forte in Trentino, con la formazione nel 1907 di una polizia militare direttamente dipendente dal Ministero della Guerra di Vienna, che aveva estesi poteri sull’intera società e poteva scavalcare ogni autorità civile, inclusa la magistratura. Essa operò con arresti arbitrari, incarcerazioni prolungate, espulsioni. Inoltre, le autorità asburgiche favorirono la formazioni di associazioni segrete dedite allo spionaggio ed alla delazione contro gli italiani.
[…] L’economia trentina fu fortemente danneggiata dalle misure prese dalle autorità imperiali di spezzare i legami culturali ed economici che legavano il Trentino alle regioni italiane limitrofe. Il risultato fu che i commerci, il movimento fisico delle persone, l’insediamento d’imprese ecc. furono ostacolati o talora impediti. Si misero limiti allo stesso allaccio di linee telefoniche ed alla creazione di canali e condotte d’acqua che unissero il Trentino alle regioni italiane circostanti. Si giunse al punto da frapporre ostacoli al tradizionale ed antichissimo spostamento di pastori ed allevatori fra pianura e montagna, perché attraversava la frontiera militare austriaca. Tutto questo contribuì ad aggravare la crisi economica nel Trentino asburgico».
La fonte citata è il libro di Virginio Gayda L’Italia oltreconfine (le provincie italiane d’Austria), pubblicato a Torino nel 1914. Si tratta di una descrizione a tinte molto forti che del resto contrasta con quanto afferma la voce stessa riguardo la ripresa dell’agricoltura (dopo la grande crisi di fine XIX secolo) e lo sviluppo del turismo in Trentino agli inizi del Novecento.
D’altronde quello di Gayda è un libro scritto nel 1914, in piena agitazione interventista, da un giornalista nazionalista e interventista, che sarà in seguito una delle più importanti penne al servizio del regime fascista. In questa sua veste – si legge sulla voce che gli dedica il Dizionario biografico Treccani – Gayda esalterà anche le leggi razziali, anzi le anticiperà, visto che già nel 1935 definì sul «Giornale d’Italia» l’ebraismo «una di quelle oscure forze che, colla massoneria e col bolscevismo russo, congiurano all’estero ai danni dell’Italia».
Ora, questa sua frase è da considerarsi un esempio di propaganda antisemita o una disamina oggettiva del rapporto tra ebrei ed Italia fascista? La stessa domanda si può porre riguardo a quanto scriveva nel 1914 sul Trentino: descrizione di una situazione o propaganda interventista? Nessuno credo avrà problemi a riconoscere che si tratta della seconda opzione e quindi a considerarla non come una fonte secondaria che riporta uno studio storico, ma come un documento storico che riporta un punto di vista frutto del suo tempo. Andrebbe pertanto indicato che il brano di Gayda è un esempio di come gli interventisti del 1914 vedevano la realtà trentina, non certo una trattazione storica.
2d. La «questione nazionale trentina»
Il paragrafo così intitolato cerca di esplorare la complicata identità «nazionale» dei trentini a cavallo tra la fine del XIX secolo e la grande guerra. Il brano in sé è abbastanza equilibrato anche se si mettono insieme testimonianze provenienti da contesti storici differenti, cioè lontani tra loro alcuni decenni. Ad esempio per descrivere quale fosse la considerazione di cui godevano i trentini presso le autorità austriache si presenta una citazione di Radetzky (generale austriaco) risalente a metà XIX secolo, subito seguita da un’altra citazione di von Spiegelfeld (luogotenente del Tirolo) del 1912. Si tratta di frasi pronunciate in contesti del tutto diversi che trovo discutibile accostare in questo modo perché suggeriscono l’idea di una eterna e immutabile contrapposizione tra trentini (italiani) e autorità imperiali, mentre in realtà la questione è assai più complessa.
Inoltre in un paragrafo tutto dedicato alla «questione nazionale» (tema dominante in buona parte della voce) penso sarebbe bene far notare come all’interno del multietnico Impero degli Asburgo i confini tra i diversi popoli e le diverse «appartenenze» erano assai meno netti di quanto avrebbero voluto i nazionalisti fautori del «germanesimo» o dell’«italianità» e come buona parte dei trentini non ascoltasse molto né gli uni né gli altri, ponendosi invece problemi assai più concreti. Erano infatti centinaia le famiglie di Trento che iscrivevano i figli alla scuola tedesca, non perché si sentissero «tedeschi», ma per dar loro modo di apprendere una lingua ritenuta utile per trovare lavoro in Austria e in Germania, dove le industrie davano la possibilità di impiego stabile e salari più alti12.
Può essere interessante anche riportare una citazione dello storico Diego Leoni che secondo me esprime al meglio la natura del trauma che lo scoppio della grande guerra costituì per la società trentina.
«Prima del 1914 uomini e donne potevano scegliere un tipo di identificazione collettiva non allo stesso modo di un paio di scarpe, cioè con la consapevolezza che se ne può calzare un paio per volta, e dunque era possibile che un trentino fosse figlio di una madre “austriacante” e di un padre “filoitaliano”, che fosse cattolico e membro della Lega dei contadini, oppositore politico e fedele all’imperatore, che avesse studiato a Vienna e insegnasse in Italia, dopo, questo meticciato non fu più possibile e le diverse fedeltà vennero in conflitto» 13.
Nel paragrafo «Dal secondo dopoguerra ad oggi» vi è un’affermazione assai discutibile:
«Fino alla metà degli anni cinquanta la Democrazia Cristiana trentina e la Südtiroler Volkspartei (SVP), il partito di riferimento della popolazione di lingua tedesca in Alto Adige, collaborarono proficuamente nella gestione dell’ente regionale. Tuttavia nel 1955 si ricostituì la Repubblica Austriaca, che, liberatasi del controllo degli Alleati, sostenne una politica rivendicazionista per quanto riguarda la questione altoatesina. La SVP, alla cui guida si erano imposti i fautori di una politica intransigente nei confronti della popolazione e delle istituzioni italiane in Alto Adige, scelse allora una linea di scontro nei riguardi dell’istituto regionale . Le rivendicazioni sudtirolesi culminarono nel terrorismo del Comitato per la liberazione del Sudtirolo , le cui azioni sconfinarono anche in Trentino».
Dunque il motivo del riesplodere del conflitto etnico in Alto Adige nella seconda metà degli anni ’50 sarebbe da imputarsi unicamente alla politica «rivendicazionista» della Repubblica austriaca ed all’intransigenza della nuova dirigenza SVP. Questa interpretazione è largamente dominante su it.wiki, la ritroviamo infatti fortemente presente nella voce «Storia dell’Alto Adige» soprattutto nel paragrafo «L’affermarsi dell’estremismo etnico»; nonché nella sezione «Storia» della voce «Trentino-Alto Adige» e nel paragrafo «Italia repubblicana e autonomia».
Si tratta però di una narrazione assai parziale della storia altoatesina/sudtirolese. Senza dubbio la politica dello stato austriaco e il cambio della dirigenza SVP ebbero un ruolo nell’acuirsi dello scontro etnico e nella crisi dell’Ente regionale. Ma tutto ciò non può far dimenticare le pesantissime e decisive responsabilità dello stato italiano, che di fatto per anni ignorò molti punti dell’accordo di Parigi del 1946 tra il primo ministro italiano Alcide De Gasperi e il ministro degli esteri austriaco Karl Gruber, nonché dello statuto d’Autonomia regionale del 1948.
Lo storico tedesco Rolf Steininger, uno dei massimi esperti della questione sudtirolese a livello europeo, ha così descritto le vessazioni subite dai sudtirolesi nei primi anni ’50.
«Nel marzo 1952 fu emanata una legge che escludeva i reduci sudtirolesi dal collocamento privilegiato applicato dal 1948 rispetto a posti di livello di servizi inferiori, ad esempio portalettere in paesini senza ufficio postale, a favore degli immigrati italiani. Dal luglio 1952, in Sudtirolo tutte le comunicazioni ufficiali interne dovettero essere in lingua italiana, anche tra il personale tedesco (ad esempio tra gli ispettori e i direttori scolastici). Per combattere il gruppo sudtirolese, alle elezioni parlamentari del 7 luglio 1953 i neofascisti (Movimento sociale italiano) con l’approvazione della Democrazia cristiana proposero come candidato al senato di tutti gli italiani in Sudtirolo un comunista. Il progetto fallì per il rifiuto del comunista! Nell’aprile 1954 il governo italiano rinviò una legge della Giunta provinciale sugli asili d’infanzia perché, benché costituzionale, contraddiceva le relative leggi statali (fasciste, non ancora conformate alla Costituzione); contemporaneamente respinse una legge provinciale perché, benché conforme alla relativa legge statale, ritenuta anticostituzionale. Il 20 giugno 1954, 5.000 invalidi di guerra sudtirolesi (tra i quali dodici non vedenti assoluti e 300 mutilati, tra cui anche il futuro presidente della Provincia Silvius Magnago) marciarono in silenzio attraverso Bolzano per protestare contro l’esclusione della legge sulle pensioni promessa da anni. Alcuni dei partecipanti furono arrestati.
Dall’autunno 1953 in 37 Comuni sudtirolesi vennero applicate nuovamente le leggi speciali fasciste relative all’obbligo di autorizzazione militare in caso di passaggio di proprietà, leggi che erano state sospese dal 1947. Il 10 febbraio 1955 le autorità giudiziarie della Provincia di Bolzano trasmisero una circolare del ministro della giustizia italiano secondo la quale, riferendosi all’ordinanza fascista del 9 luglio 1939, era vietato dare nomi stranieri, cioè tedeschi, ai figli di cittadini italiani. Con la legge del 31 marzo 1955 furono riattivate e finanziate con 5 miliardi di lire le facoltà di esproprio dell’”Ente per le Tre Venezie” creato in epoca fascista per la “conquista del territorio” in Sudtirolo. Già nello stesso mese fu sequestrato il grande complesso fondiario di Brennerbad a Bolzano, sulla base di un decreto di esproprio del 9 aprile 1939 che non era mai stato eseguito. Nell’aprile del 1955, il governo italiano stanziò 2 miliardi di lire (dei quali 1,8 per la città di Bolzano) per l’edilizia popolare. Il 23 maggio 1955 vennero condannati rispettivamente a 12 e 16 mesi di detenzione due giovani sudtirolesi perché avevano proclamato in una scritta su un fienile il diritto di autodeterminazione anche per il Sudtirolo!» 14.
Gli stanziamenti per l’edilizia popolare erano considerati pericolosissimi per i sudtirolesi perché utilizzati per costruire case destinati agli immigrati provenienti dal resto d’Italia impiegati presso la zona industriale di Bolzano. Di fatto l’azione messa in atto dallo stato italiano era la stessa già tentata durante il fascismo: trasformare i sudtirolesi in una minoranza sulla propria terra favorendo il trasferimento di popolazione italiana in Alto Adige, in modo da ottenere alla lunga «l’italianizzazione» del territorio.
Mi sembra inoltre assai discutibile la frase che compare sulla voce di it.Wiki: «Le rivendicazioni sudtirolesi culminarono nel terrorismo del Comitato per la liberazione del Sudtirolo». Le rivendicazioni sudtirolesi culminarono in realtà in una massaccia mobilitazione popolare guidata dall’SVP, a cui parteciparono decine di migliaia di persone, coinvolte in una mobilitazione assolutamente pacifica.
Gli attentati furono opera di più o meno ristretti gruppi estremisti in polemica con l’SVP perché intenzionati ad ottenere l’indipendenza e non una semplice autonomia. Inizialmente, dal 1956 sino al 1961, si trattò di azioni volte a colpire i simboli della passata dominazione fascista o i tralicci dell’alta tensione e chi li metteva in atto cercava di evitare che potessero costare la vita a qualcuno. Dal 1961 si aprì la sanguinosa stagione del vero e proprio terrorismo, con alcune decine di morti, soprattutto tra militari, poliziotti e carabinieri. Queste azioni terroristiche furono opera di gruppi sempre più ristretti (tra cui ben presto diventarono decisivi i neonazisti austriaci e tedeschi), rapidamente isolati e sconfitti dalle trattative che portarono al secondo statuto d’Autonomia del 1972. Tra le vittime di quella stagione vi furono anche due indipendentisti morti in carcere e l’attentatore Luis Amplatz, ucciso nel 1964 da un infiltrato dei servizi segreti italiani in un fienile in val Passiria15.
3. Alcune “trappole” ricorrenti su Wikipedia
L’analisi della voce «Storia del Trentino» su it.Wiki offre lo spunto per alcune riflessioni utili ad inquadrare alcuni processi caratteristici dell’«Enciclopedia libera».
Innanzitutto appare evidente come si confermi quanto osservato da Giovanni De Luna: «in Wikipedia si dissolve uno dei requisiti essenziali della ricerca storica: la verificabilità del dato attraverso la certezza dell’identità del suo autore». Per quanto un utente possa intervenire massicciamente su di una voce, per quanto la corredi di fonti inserendo più note possibili, per quanto le sue fonti possano resistere ad ogni contestazione… insomma per quanto si possa fare nessuno sarà mai «l’autore» di una voce nel senso tradizionale del termine perché le voci sono modificabili sempre e da tutti. Contribuendo ad una voce io non potrò rimuovere quanto già presente se dotato di fonti, anche se giudico quelle fonti assai discutibili o usate in modo errato (o meglio non potrò farlo se non dopo aver avuto il consenso degli amministratori).
Dopo che io ho contribuito al testo di una voce altri utenti potranno a loro volta intervenire sino a rendere il mio contributo una parte risibile nel complesso della voce. Il risultato è che le diverse parti di una voce, come accade appunto in «Storia del Trentino», possono presentare dei passaggi contraddittori.
Può accadere naturalmente anche l’opposto, ovvero che una voce non subisca modifiche per diversi mesi. Se presenta informazioni lacunose, prive di fonti, parziali o errate, a disposizione degli utenti resterà a lungo una voce ben al di sotto di un livello minimo di decenza.
Pertanto Wikipedia non potrà mai essere considerata una fonte attendibile quanto lo è una normale enciclopedia, non sarà mai opportuno citarla nella bibliografia di una tesi, di un libro o anche solo di una ricerca scolastica, perché il suo «marchio» di per sé non garantisce alcuna affidabilità. Questo non significa naturalmente che non la si possa consultare per avere una prima infarinatura su di un argomento o per una prima ricerca di fonti sullo stesso. E soprattutto non significa che l’«Enciclopedia libera» non vada presa sul serio. Chi se ne disinteressa limitandosi a dire «tanto non è affidabile» dimentica il piccolo particolare che la stragrande maggioranza delle persone in cerca di informazioni sugli argomenti più svariati si rivolge a Wikipedia e non ai testi o ai siti prodotti dalle istituzioni culturali. Occorre invece, nei limiti delle proprie possibilità, contribuire sia al miglioramento delle voci sia ad una loro fruizione consapevole.
È ovvio infatti che non basta intervenire sui testi di it.wiki per evitare un uso distorto degli stessi, occorre agire su chi di quei testi fruisce cercando di far sì che possa farlo in modo consapevole e non in modo passivo. L’uso passivo di Wikipedia avviene quando prendiamo acriticamente per buono ciò che è scritto nelle sue voci, quando cioè utilizziamo Wikipedia come se fosse un manuale scolastico o una «normale» enciclopedia e non per quello che è: un work in pogress permanente su cui posso trovare notizie e stimoli interessanti, ma anche inesattezze, menzogne o narrazioni tendenziose che non sarebbero mai accettate su nessun sito o testo di valore accademico o educativo.
Il gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki con il suo lavoro ha senza dubbio contribuito a mettere in luce e ad aprire un dibattito pubblico sui processi che sono alla base del funzionamento di Wikipedia. Occorre però iniziare ad affrontare l’argomento anche dal punto di vista didattico. Occorre cioè che chi si occupa di didattica della storia – scuole, università e musei – inizi a porsi il problema di insegnare agli studenti come fruire di Wikipedia in modo attivo e consapevole. A mio parere il modo migliore per farlo è proprio prendere una voce di it.Wiki ed analizzarla, come ho cercato di fare io con «Storia del Trentino».
Potrebbe essere interessante svolgere in classe una vera e propria «caccia all’errore» sul testo di una voce, lasciando prima lavorare autonomamente gli alunni e poi riflettendo con loro su quanto riscontrato. In tal modo si finirebbe per riflettere non solo sull’ «Enciclopedia libera» ma anche sui meccanismi della divulgazione storica in generale. Ovviamente si tratta di un lavoro che dovrà essere prima svolto dal docente e poi riproposto agli alunni. Potrebbe svolgersi chiedendo dapprima ai ragazzi una riflessione critica su di una voce specifica, per poi «guidarli» alla scoperta delle criticità in essa contenute. Il passaggio successivo potrebbe essere lo svolgimento di una ricerca in classe sui cataloghi bibliografici on line in modo da individuare i testi su cui lavorare per verificare le affermazioni di Wikipedia o per avere altri punti di vista ed interpretazioni non presenti nella voce presa in esame.
Si tratterebbe senza dubbio di un’attività lunga e complessa, ma che consentirebbe di trasmettere e sviluppare buona parte delle conoscenze, competenze ed abilità previste dai programmi scolastici. L’analisi dei documenti e delle diverse interpretazioni, nonché in generale l’approccio laboratoriale all’insegnamento della storia sono ormai componenti essenziali delle attività in classe (almeno laddove lo svolgimento dell’«ora di storia» ha raggiunto un livello minimo di decenza), perché non provare ad applicarli su di uno strumento cui i ragazzi si rivolgono quotidianamente come Wikipedia?
Biblioteche e musei potrebbero collaborare a queste attività, soprattutto nello svolgimento di ricerche bibliografiche o documentarie. A chi volesse tentare un simile esercizio consiglio di prestare attenzione ad alcune problematiche che ho riscontrato nelle diverse versioni della voce «Storia del Trentino»:
3b. La fonte c’è ma…
È facile far osservare come le parti di una voce prive di fonte non siano affidabili, ma a volte la presenza di una nota nasconde insidie da non sottovalutare. Ad esempio, come abbiamo visto, su Wikipedia si possono trovare indicati come fonte testi propagandistici frutto del periodo storico di cui si parla, come ad esempio quello di Gayda, che vengono utilizzati come se fossero narrazioni storiche. In altre voci di it.Wiki mi è capitato di veder citati testi indubbiamente assai diffusi ma che nessun ricercatore impiegato in ambito accademico o museale utilizzerebbe mai in un proprio saggio; quali ad esempio libri bassamente divulgativi (ad esempio quelli di Bruno Vespa o di altri giornalisti) oppure articoli di quotidiani e riviste che affrontano in maniera generica temi su cui esistono saggi ben più approfonditi.
Senza contare che la citazione riportata in una voce può anche essere una bufala, come nel caso del libro inesistente Assassini nella storia raccontato qui, oppure che sia modificata o «tagliata-e-cucita» per farle dire ciò che voleva colui che l’ha inserita. Esempi di uso «disinvolto» e parziale delle fonti su Wikipedia sono già stati analizzati da Nicoletta Bourbaki qui (Arrigo Petacco e Indro Montanelli usati come pezze d’appoggio per un doppio falso storico sulle foibe) e qui (uno strafalcione di Bruno Vespa usato per falsificare la biografia di Franco Basaglia). Altre volte ancora si è scelto di dare a ricostruzioni nettamente propagandistiche lo stesso peso che si dà a testi storiografici. È il caso ad esempio delle citazioni del pubblicista neofascista Giorgio Pisanò il cui ruolo nella voce sull’attacco partigiano di Via Rasella è stato analizzato qui.
Insomma l’«Enciclopedia libera» è il luogo ideale per esercitare quello che Bloch chiamava «il gusto del controllo». Le note delle fonti non stanno lì per bellezza, ma per essere controllate, vagliate e se occorre confrontate con altre.
3c. Attenzione a certe “dimenticanze”…
A volte per dare una ricostruzione parziale o falsata del passato non occorre mentire, basta dare risalto ad alcune cose e “dimenticarne” altre. Naturalmente qualunque narrazione storica si basa sul definire «cosa è più importante» e cosa lo è meno, a seconda del punto di vista di chi la compie. È pertanto normalissimo che anche su it.Wiki vi siano voci frutto di determinati punti di vista (quelli prevalenti tra amministratori ed utenti che hanno contribuito a quelle voci). Vi è però un limite di decenza, limite ampiamente superato dal testo della voce «Storia del Trentino» precedente al 26 settembre 2015. Dare risalto a quanto affermato da Francesco Giuseppe in un consiglio dei ministri nel 1866 ed ignorare la costituzione da lui firmata l’anno successivo significa scrivere non una ricostruzione storica ma un pamphlet propagandistico il cui unico scopo è quello di dimostrare quanto gli italiani siano stati «vittime».
Questa propensione al vittimismo nazionalista ritorna anche quando si parla dell’acuirsi del conflitto etnico in Alto Adige/Südtirol facendone ricadere la responsabilità solo su austriaci e sudtirolesi, senza nominare le pesanti responsabilità dello stato italiano.
L’analisi di episodi come questo mostra come occorra sempre, soprattutto in presenza di narrazioni troppo nette e prive di sfumature, cercare altre fonti da confrontare con quanto letto. Altre fonti naturalmente non scelte a caso o in base al principio della par condicio politica, ma sulla base del loro valore culturale e scientifico, come ad esempio il testo di Angelo Ara, ovvero l’opera di un docente e ricercatore di chiara fama autore di studi approfonditi sull’argomento trattato.
3d. Una narrazione conservatrice
La narrazione del passato messa in campo da Wikipedia è una narrazione conservatrice e non può non esserlo. Non si tratta di un conservatorismo politico-ideologico, ma storiografico. Il motivo di questo conservatorismo è semplice. Le voci dell’«Enciclopedia libera» sono il risultato di un dibattito tra gli utenti e gli amministratori che vi contribuiscono. Ora pur con il massimo rispetto per il loro lavoro, occorre notare che non si tratta in molti casi di professionisti impegnati nell’ambito della ricerca e della divulgazione storica, ma di appassionati. Pertanto il dibattito si concentrerà su argomenti che fanno riferimento ad una visione del passato consolidata nell’opinione pubblica, non a ciò di cui si dibatte tra gli storici. Si tratta di un’impressione personale che per essere confermata avrebbe bisogno di un vero e proprio censimento e analisi delle voci ad argomento storico di it.Wiki, ma direi che le voci del’«Enciclopedia libera» si possono considerare spesso frutto di una visione della storia che potremmo definire «pre-annales», ovvero una visione della storia che mette al primo posto gli aspetti politico-militari e diplomatici, anziché quelli legati alla storia economica, sociale, di genere, della mentalità, della cultura e vita materiale.
Se prendiamo il dibattito nella «Discussione» della voce «Storia del Trentino» possiamo facilmente notare come esso sia incentrato quasi unicamente sull’«italianità» o sull’«austriacantismo» dei trentini. Si tratta di un argomento presente anche nel dibattito politico trentino, ma assolutamente lontano da quella che è la riflessione storiografica condotta in Trentino dagli anni ’80 in poi da autori quali Diego Leoni, Fabrizio Rasera e Quinto Antonelli (quest’ultimo riconosciuto anche a livello nazionale e internazionale come uno dei massimi esperti di scritture popolari della grande guerra), tanto per citare solo alcuni nomi. Chi aprirà i loro testi si renderà conto di come un dibattito unicamente incentrato sull’appartenenza nazionale o «etnica» (italiana o tirolese che sia), considerata per di più come qualcosa di netto e monolitico anziché come qualcosa di variabile, meticcio e contraddittorio, sia sostanzialmente superato e prettamente ideologico; lontanissimo da ciò che erano la vita quotidiana, la cultura popolare e la ricchezza delle singole vicende umane nel Trentino a cavallo tra XIX e XX secolo.
Questo emerge anche nel paragrafo intitolato «Dal secondo dopoguerra ad oggi» in cui si parla diffusamente dei conflitti etnici nel confinante Alto Adige/Südtirol ma non si parla, se non di sfuggita, della grande trasformazione economica e sociale prodotta in Trentino dall’industrializzazione e dal boom economico a partire dal’inizio degli anni ’60. Dopo aver dedicato un intero paragrafo alla «questione nazionale» non si accenna neppure ad aspetti della storia più recente che influenzarono in modo determinante lo sviluppo della realtà locale. Ad esempio la stagione del riformismo democristiano di Bruno Kessler 16, l’apertura dell’Università di Trento ed il suo movimento studentesco che fu uno dei più importanti del ’68 17 , le proteste operaie citate come esempio a livello nazionale per la loro combattività (come quando gli operai della IGNIS, il 30 luglio 1970, accompagnarono in questura a calci i caporioni dei fascisti che li avevano aggrediti 18.
Wikipedia ha al proprio interno un «dibattito storiografico», ma non essendo un dibattito tra specialisti fatalmente esso si porrà al livello dei mass media e dell’opinione pubblica. Questo è un aspetto con cui deve fare i conti chiunque voglia dare il proprio contributo alle voci dell’«Enciclopedia libera».
Io stesso in questa analisi e nei miei interventi sulla voce «Trentino-Alto Adige» non ho potuto fare a meno di concentrarmi in primo luogo su ciò che costituisce il principale argomento presente nelle voci riguardanti la storia del Trentino e dell’ Alto Adige/Südtirol, vale a dire la questione dell’«appartenenza nazionale». È inevitabile che si finisca di parlare in primo luogo degli argomenti che già hanno un peso dominante nella narrazione che si intende correggere o integrare.
4. L’«Enciclopedia libera» va presa sul serio
In conclusione si può affermare che l’«Enciclopedia libera» dà modo a chiunque di esporre il proprio punto di vista, la propria narrazione, ma in realtà a prendere la parola è sempre e solo una minoranza (come è sempre accaduto con qualunque mezzo di divulgazione). Si tratta però di una minoranza che non ha meriti culturali o di altro tipo, se non il fatto di aver dedicato tempo e fatica appunto a prendersi la parola. La maggioranza del pubblico fruisce solo passivamente delle voci di it.Wiki ed in tal modo si ritrova a «subire» le narrazioni costruite dalla versione 2.0 dei «45 cavalieri ungari» di gramsciana memoria:
«Ettore Ciccotti, durante il governo Giolitti di prima del 1914, soleva spesso ricordare un episodio della guerra dei Trent’Anni: pare che 45 cavalieri ungari si fossero stabiliti nelle Fiandre e, poiché la popolazione era stata disarmata e demoralizzata dalla lunga guerra, siano riusciti per oltre sei mesi a tiranneggiare il paese. In realtà, in ogni occasione è possibile che sorgano “45 cavalieri ungari”, là dove non esiste un sistema protettivo delle popolazioni inermi, disperse, costrette al lavoro per vivere e quindi non in grado, in ogni momento, di respingere gli assalti, le scorrerie, le depredazioni, i colpi di mano eseguiti con un certo spirito di sistema e con un minimo di previsione “strategica”. Eppure, a quasi tutti pare impossibile che una situazione come questa da “45 cavalieri ungari” possa mai verificarsi: e in questa “miscredenza” è da vedere un documento di innocenza politica. Elementi di tale “miscredenza” sono specialmente una serie di “feticismi”, di idoli, primo fra tutti quello del “popolo” sempre fremente e generoso contro i tiranni e le oppressioni» 19.
Con questa riflessione non ho inteso mettere Wikipedia sul banco degli accusati ma semplicemente far notare come si tratti di uno strumento diverso dalle enciclopedie «tradizionali», alle quali non può essere paragonata. Non basta dire «non è affidabile», occorre piuttosto imparare come fruire con consapevolezza di questo strumento, occorre cogliere tutta la portata del cambiamento che esso introduce. Per farlo bisogna sia analizzare senza anatemi o mitizzazioni il funzionamento dell’«Enciclopedia libera», sia rendersi conto che essa ed il web generale pongono delle sfide cui la scuola e tutti coloro che si occupano di formazione storica devono saper rispondere.
* Tommaso Baldo lavora al Museo storico del Trentino ed è tra gli animatori del blog Avanguardie della Storia, che consigliamo vivamente. È una fonte preziosa per chiunque si occupi di storia e didattica della storia. Sempre sull’argomento Wikipedia, segnaliamo le «Frequently Asked Questions su Wikipedia. Indicazioni utili sulla fonte più usata dagli studenti».
* Nicoletta Bourbaki è il nome usato da un gruppo di inchiesta su Wikipedia e le manipolazioni storiche in rete, formatosi nel 2012 durante una discussione su Giap. Con questa scelta, il gruppo omaggia Nicolas Bourbaki, collettivo di matematici attivo in Francia dal 1935 al 1983. Un saggio di Nicoletta Bourbaki verrà pubblicato sul n.39 della rivista storiografica Zapruder, in uscita a gennaio 2016.
Di questi argomenti e altri collegati discuteranno Wu Ming 1, Tommaso Baldo e Quinto Antonelli alla presentazione di Cent’anni a Nordest, il 4 novembre (!), h.20:30, al c.s.o.a. Bruno di Trento. E il giorno prima a Bolzano, con Flavio Pintarelli, Luca Barbieri e altri. Sono le date conclusive del Ventre della Bestia Tour.
N.d.R. I commenti al post verranno attivati il 20 ottobre, per consentire una lettura ragionata e – nel caso – interventi meditati (ma soprattutto, pertinenti).
Note
[…] Per un analisi della voce “Storia del Trentino” di Wikipedia vedi qui […]
Apprezzo molto questo intervento di Tommaso Baldo, sia per l’impostazione, sia per le questioni che solleva.
È vero, l’enciclopedia libera è un fenomeno che non si deve sottovalutare e occorrerebbero sia più vigilanza, sia più partecipazione diretta. Lo dico da wikipediano non troppo attivo, ultimamente.
Faccio una piccola notazione a margine del discorso specifico del Trentino, giusto per completare il quadro. Non è il tema centrale, ma tanto siamo tra pignoli. :-)
Nel 2008 (novantesimo anniversario della fine della Grande guerra) l’associazione intitolata a Michael Gaismayr insieme ad altri ottenne che fosse esposta sul muro del palazzo municipale di Trento, in via Belenzani, una targa commemorativa dei caduti trentini dalla parte dell’impero, per lo più sul fronte galiziano. Una sorta di riconoscimento istituzionale, sia pure tardivo, di un’appartenenza che il Circolo in questione e un movimento ancor più ampio (non so di che dimensioni, però) rivendica come propria ancora oggi. Fenomeno segnalato puntualmente da WM1 in Cent’anni a Nordest, del resto. Questo, giusto per confermare l’esistenza in Trentino di due forme di nazionalismo, o di rivendicazione identitaria, se si preferisce, ostili tra loro ma allo stesso tempo congiuntamente ostili – più o meno apertamente – alla “sinistra”, o all’internazionalismo o ad altre appartenenze ideali non riconducibili a Tradizione, Terra, Sangue, ecc. Non li metterei sullo stesso piano, né quanto a pericolosità, né quanto a cialtronaggine (il Circolo Gaismayr è tutt’altro che una congrega di cialtroni violenti: si tratta in massima parte di attempati e rispettabili studiosi). Del resto, l’espansione anche a Trento della marmaglia fascista, sotto forma di Casa Pound o di associazioni studentesche, è un fenomeno tristemente attuale e molto preoccupante. Niente di strano che qualcuno si cimenti anche nel lavoro di mistificazione su wikipedia.
Venendo al tema principe, non posso che concordare con Tommaso Baldo quando sostiene che wikipedia offra una versione conservatrice della storia. Mi pare incontestabile, anche se poi dipende da voce a voce, è ovvio. Del resto, trattandosi di un’enciclopedia, cioè (in teoria) di una raccolta di conoscenze stutturate e validate dal consenso della comunità scientifica, non può che essere così. Difficile che, nell’ambito delle scienze umane, possano trovare spazio le ultime frontiere della ricerca o le novità ancora al vaglio degli studiosi.
Più significativo e assolutamente sottoscrivibile, secondo me, l’appello a offrire un’impostazione meno evenemenziale. Il che sarebbe tra le altre cose anche un mezzo per evitare certe trappole dei mistificatori interessati (forse), oltre che un arricchimento pedagogico e metodologico per gli utenti.
Quanto a ritocchi delle voci e uso “disinvolto” delle fonti, purtroppo la casistica è ampia. Nelle voci di it.wiki è un fenomeno direi quasi sistematico. Per quel che ho potuto osservare, non lo è o lo è molto meno nelle versioni in altre lingue (problema da prendere in considerazione). Occupandomi prevalentemente di storia sarda, ho sott’occhio per lo più le voci relative alla Sardegna. Mi è capitato oro ora, per dire, di scovare delle aggiune o modifiche apparentemente di poco conto, neutrali, e che invece rendono le informazioni riportate tendenziose e fuorvianti. Sulla base per altro di fonti quanto meno dubbie. Penso alla voce Storia della Sardegna contemporanea, e specificamente al paragrafo dedicato agli ultimi cinquant’anni di storia. Cito un passaggio incriminato (il grassetto è mio):
Un cambiamento positivo sarà determinato dall’approvazione il 27 gennaio 1971 della cosiddetta Legge “De Marzi-Cipolla” sui fondi rustici, che porrà fine alle lotte per il pascolo ed in buona parte al fenomeno del banditismo. In questo periodo, persistono comunque diversi problemi e ne emergono altri, quali gli incendi, la siccità (ora molto attenuata), i sequestri di persona, scomparsi solo negli anni novanta, e diversi attentati pubblici condotti da movimenti afferenti all’estrema sinistra ed all’indipendentismo radicale[21][22][23].
A parte il minestrone indigesto e senza sufficienti fonti a supporto, qui si attribuisce una matrice esplicitamente politica (“movimenti afferenti all’estrema sinistra e all’indipendentismo radicale”) al problema degli attentati agli amministratori locali che invece – come riportano sia gli atti processuali sia le cronache – hanno una matrice diversa, nient’affatto politica e di sicuro non attinente né all’estrema sinistra né all’indipendentismo (radicale o no che sia). Le fonti citate a sostegno sono risibili, secondo la prassi segnalata da Tommaso. Quale sia l’orientamento politico di questo ritocco apparentemente marginale, lo lascio indovinare a chi legge.
E qui mi fermo.
Preciso e contestualizzo meglio ciò di cui ho parlato sopra, in modo che si apiù chiaro l’intervento di manomissione.
Negli ultimi vent’anni in Sardegna, in modo ciclico, si sono verificati diversi attentati contro amministratori locali, soprattutto sindaci. Le motivazioni sono di vario genere, ma riconducibili o a fenomeni puramente criminali, o a interessi consolidati messi a rischio da decisioni (o non decisioni) delle amministrazioni prese di mira. In questo c’è naturalmente un aspetto anche politico, senz’altro, ma niente a che fare con matrici ideali e/o obiettivi politici dichiarati (tattici o strategici che siano).
Negli anni Ottanta del secolo scorso ci furono processi contro indipendentisti e contro esponenti di sigle riconducibili a organizzazioni politiche eversive (tipo Barbagia Rossa, ecc.). Le leggi speciali volute da Francesco Cossiga furono largamente usate anche in Sardegna per perseguire soprattutto giovani impegnati in politica a scuola e all’università o sul lavoro ed anche alcuni leader del crescente movimento indipendentista. Che non era né è mai stato un movimento armato. Non fu un bel momento, quello. A livello processuale gli esiti furono scarsi, con pochissime condanne definitive, per reati associativi o per azioni armate progettate e mai però realizzate.
Negli anni Duemila, con Beppe Pisanu ministro dell’interno (del resto concittadino e allievo di Cossiga), sulla scorta delle sue tesi sul complotto anarco-insurrezionalista, vennero indagati e poi imputati alcuni esponenti del movimento indipendentista, in specie della sua parte dichiaratamente di sinistra. Di tutti quei procedimenti, a distanza di molti anni, è rimasto ora in piedi un solo processo (frutto della c.d. operazione Arcadia) per alcuni presunti tentativi di attentato e per organizzazione sovversiva (non so come si qualifichi precisamente la fattispecie, i capi di imputazione sono fumosi e in fase di precisazione ancora adesso, a processo iniziato). Processo che pochi giorni fa è stato ulteriormente rinviato di alcuni mesi. Sul merito di questa vicenda non voglio dire nulla, in questa sede. In ogni caso, anche qui, niente a che fare con gli attentati realizzati in Sardegna dagli anni Novanta in su.
Bello, condivisibile, ma per certi versi ovvio a chi ha già avuto a che fare negli anni con Wikipedia… e pare che l’autore non abbia ancora scoperto il problema successivo, cioè l’esistenza di amministratori di it.wiki con tendenze a imporre il proprio punto di vista personale anziché a facilitare la discussione generale, andando addirittura a cancellare i contributi di persone molto competenti in materia ma che sostengono una tesi sgradita. Basta cercare in rete e si trovano racconti a bizzeffe…
Grazie della preziosa informazione ma bastava, ad esempio, cliccare su “Nicoletta Bourbaki” per vedere che del problema siamo, ehm, *leggermente* edotti, da un po’ di anni a ‘sta parte.
Grazie per l’analisi di queste voci.
Sarebbe davvero bello se a scuola si potesse insegnare lo spirito critico! Purtroppo è già raro trovare docenti tanto motivati da far leggere e discutere i giornali in classe, figurarsi un lavoro come questo che richiede anche un minimo di competenze tecniche e notevole dispendio di tempo extracurricolare. Gli esperimenti sono molti ma sempre isolati, idee per la loro massificazione sono molto benvenuti!
Quanto alle voci di storia, il problema non so se sia un conservatismo storiografico intrinseco. Semplicemente, ci sono pochissimi utenti che si occupino di voci ad argomento storico ed è quindi facile che alcune voci siano dominate dalle idiosincrasie di pochi. Di solito questo succede solo con voci di nicchia di cui non importa a nessuno, ma nell’ambito storico può capitare anche con voci molto importanti e visitate. Ciò succede anche, in misura minore, per la letteratura. (Alcuni argomenti vengono intenzionalmente frazionati, ma per lo piú si produce tutto “naturalmente”.)
Non sottovalutiamo poi il problema della disponibilità delle fonti. Mentre i libri piú autorevoli in lingua inglese, francese o tedesca sono spesso facilmente disponibili in rete, è quasi impossibile trovare libri in italiano, sia per via dell’incapacità dell’Italia nel digitalizzare sia per l’arroccamento degli editori monopolisti. Il risultato è che molto spesso finiscono per essere usate molte fonti pubblicate prima del magico 1923, o addirittura ottocentesche, per la semplice ragione che sono nel pubblico dominio ed essendo presenti in qualche biblioteca statunitense sono finite in Google Books. A differenza di un testo tecnico, una monografia storica può facilmente passare per autorevole a distanza di un secolo a dispetto della sua completa obsolescenza o talvolta proprio perché ha un aspetto e un suono polveroso (se le masse si abbeverano alla “storiografia” di instant book come quelli di Vespa… in mezzo ai ciechi il guercio è re).
In conclusione… Concordo fortemente che il primo problema della storiografia sta nella selezione di ciò che è importante. Nelle voci storiche, cosí come nelle biografie, il primo nemico è la fuffa. Personalmente, ritengo quindi che il contributo migliore possibile su molte di queste voci sia tagliare, tagliare, tagliare. Ciò va fatto con drastica accortezza: vale il motto “sii audace”. https://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Sii_audace
Se si mantiene la calma e la cortesia e si spiega quello che si sta facendo, si possono ottenere risultati con uno sforzo relativamente contenuto.
Scusate, si è perso un collegamento che avevo messo sui progetti scolastici: http://wiki.wikimedia.it/wiki/Scuola
Concordo su quanto dici riguardo la scarsa disponibilità delle fonti. A proposito dei pochi utenti che si occupano delle voci storiche credo che sia dovuto al fatto che in Italia la storia “piace” poco. Il numero di laureati in filosofia o lettere supera di gran lunga quello degli storici.
Credo poi che il conservatorismo storiografico abbia anche altre cause:
Tra queste spicca il predominio nella comunicazione storica mainstream dei giornalisti sugli storici veri e propri. Penso che il grosso degli “appassionati” abbia letto più Bruno Vespa, Montanelli, Pansa o (quanda va bene) Enzo Biagi e Lili Gruber purtroppo che dei veri e propri libri di storia. Solo di recente “Il tempo e la storia”(che con tutti i suoi limiti) ha messo in contatto alcuni storici con un pubblico assai più vasto del solito e questa è una cosa assolutamente positiva.
Spesso poi “l’appassionato” tende a concentrarsi su singoli aspetti delle vicende del passato, e sono spesso gli aspetti più tradizionali. Ad esempio vi sono legioni di appassionati della grande guerra che sanno tutto di armi, battaglie e vita in trincea; assai meno credo siano coloro si interessano delle vicende dei profughi dal Trentino o dal Friuli Venezia Giulia, insomma la storia sociale e altri aspetti meno “ottocenteschi” mi pare rimanga più per “addetti al settore” che per “appassionati”.
Se poi ci aggiungiamo la distanza di molti “addetti al settore” nei confronti di wikipedia ecco spiegato il “conservatorismo storiografico” di cui parlavo nel post, che altro non è in fondo che riproposizione sull'”enciclopedia libera” degli aspetti dominanti nella comunicazione storica rivolta al grande pubblico.
Quanto alla trasmissione dello spirito critico non parlerei solo della volontà buona o cattiva degli insegnanti ma farei un discorso più generale. Dare la priorità all’insegnamento dell’approccio critico alle fonti significa compiere un atto politico, un atto rivoluzionario, perché di fatto è una contestazione dell’impostazione gentiliana del nostro sistema di istruzione che si basa su una gerarchia delle conoscenze al cui vertice vi è un sapere assolutamente teorico. Ora affermare che occorre insegnare non una conoscenza astratta, ma un’abilità concreta (saper approcciare criticamente una fonte, sul web o altrove) e che occorre insegnarla a tutti significa fare una rivoluzione. Significa negare uno schema del sapere costruito per far sì che dai licei esca la “classe dirigente” e dai professionali la “manovalanza”. Oltre che naturalmente negare una scuola fatta di test standardizzati e di ossessione del “programma”. Per questo su “Avanguardie della storia” scriviamo sia di sperimentazione didattica che di costruire un contropotere dal basso nel mondo della scuola e nel settore cultura in generale. Non si può fare una didattica nuova senza lavorare per una nuova scuola in una nuova società
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[…] L’articolo del gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki mi ha consentito di rilevare qualche spinosità sul modo in cui funziona Wikipedia. La verificabilità del dato attraverso la certezza dell’identità dell’autore crolla e il dibattito (come anche sui social network) si svolge tra appassionati, che a divergenza di opinioni portano alla stesura di una voce incoerente in se stessa. La presenza di riferimenti bibliografici non sancisce la serietà di una ricostruzione storica. Tacere infatti su certi riferimenti per favorirne altri significa non avere interesse per la ricostruzione ma cercare prove che supportino la propria visione della storia. Il confine tra oblio e memoria è dato dall’arbitrarietà di chi la storia la scrive (come nel caso di Erodoto) e attualmente su Wikipedia è ad appannaggio di una minoranza egemonica di chi ha più tempo da dedicare alla stesura delle voci. […]
[…] parte del gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki e collabora con Global Project. Su Giap ha pubblicato l’analisi della voce di Wikipedia dedicata alla storia del Trentino. Ha preso parte ad una tavola rotonda inerente le voci storiche di Wikipedia sul numero 29 della […]