La corazzata Potëmkin, la rivolta e i «necrotweet» su Fantozzi

A cura di Wu Ming 1 *

«Братья!»

«FRATELLI!»

Sera del 26/06/17, Piazza Maggiore, Bologna. Migliaia di persone – non meno di quattromila – applaudono in piedi La corazzata Potëmkin di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, film breve e dritto al punto, avvincente, popolare, bellissimo. Film girato novantadue anni fa.
La moltitudine ha appena seguito col cuore in gola la storia di un celebre ammutinamento avvenuto durante la rivoluzione russa del 1905, della solidarietà di un’intera città (Odessa) agli ammutinati, e della violentissima repressione che la popolazione subisce per mano dell’esercito zarista.
L’orchestra filarmonica del Teatro comunale di Bologna ha appena eseguito la partitura composta per il film da Edmund Meisel nel 1927 – una forza che staccava da terra sedie e culi – e ora si gode la lunga ovazione.

È stata la serata più intensa di quest’edizione, la trentunesima, del festival Il cinema ritrovato.
Io ho portato qui mia figlia preadolescente, che si è emozionata, si è commossa, si è stretta a me durante le scene più violente, si è entusiasmata nel finale.

«FRATELLI!»

«Fratelli» è la parola chiave del film, appare all’inizio, scatena l’ammutinamento e annuncia il grande atto di solidarietà di classe nel finale.

La corazzata Potëmkin fu censurato in molti paesi per timore che scatenasse rivolte popolari e spingesse i soldati all’insubordinazione. Anche in URSS, al principio, non fu proiettato nei cinematografi ma soltanto nei circoli operai. Il poeta Majakóvskij minacciò fisicamente alcuni burocrati perché avesse una regolare distribuzione.
E il film si rivelò presto un grande successo.

Oggi è considerato una delle più grandi opere cinematografiche del Novecento, viene riproiettato di continuo in tutto il mondo, nel 2004-2005 lo hanno sonorizzato i Pet Shop Boys.


E in Italia?

Qui da noi, come ha scritto qualcuno, il film è stato «segnato da un destino davvero imprevedibile, che lo ha trasformato in qualcosa di diverso da quel che è.» Ma procediamo con ordine.

La corazzata Potëmkin è stato una grande sorpresa per la maggior parte dei presenti in piazza. Sui lati c’era chi all’inizio ridacchiava, qualcuno che mormorava la frase «cagata pazzesca» (sentito con le mie orecchie e più volte) e pensava di fermarsi pochi minuti, farsi un sogghigno e andare via, e invece è rimasto lì in piedi per oltre un’ora, magnetizzato, e magari ha pianto, di certo era tra chi ha partecipato alla lunghissima standing ovation, e magari era tra i volti fotografati da Lorenzo Burlando durante la proiezione.

Molti altri erano aficionados del festival o comunque si sono fidati della Cineteca, unica istituzione pubblica di Bologna non disprezzata dai più, anzi, oltremodo rispettata.

La Cineteca, appunto. Nei giorni precedenti, ha voluto fare una piccola e divertente campagna di “debunking”, con video e altri mezzi. Una troupe ha intervistato gente per le vie del centro, e molti erano convinti che il film durasse tre o quattro ore, se non di più. In realtà dura 70 minuti.


Bisogna sfondare il muro del pregiudizio. Non è vero che questo e altri film d’antan sono film per pochi, non è vero che «la gente non capisce». Se gli dài l’occasione di vederli, capisce eccome.

La differenza rispetto ad altri film d’antan è che La corazzata Potëmkin molti credono di sapere com’è anche senza averlo visto. Lo associano a qualcosa che credono di conoscere – cioè l’intento di Luciano Salce e Paolo Villaggio nella celeberrima scena de Il secondo tragico Fantozzi (1976) – e quell’associazione ha tenuto a distanza il film. La corazzata Potëmkin è divenuta, a torto marcio, emblema di lunghezza e pesantezza.

[Intermezzo. Alcuni «necrotweet» seguiti alla morte di Villaggio:
«Ci lascia l’unico che ha detto la verità sulla Corazzata Potemkin»;
«La corazzata Potëmkin è veramente una cagata pazzesca. Aveva ragione anche in quel caso»;
e fallo sapere anche lassù che la corazzata potemkin è una cagata pazzesca»;
«Oggi più che mai la corazzata potemkin è una cagata pazzesca!!!»
E altre centinaia di commenti così.]

Dice: – Villaggio è riuscito in quello che Dalí e Warhol avevano fallito con la Gioconda: non riuscire più a guardarla senza pensare al loro sberleffo.
Rispondo: – Non proprio. Qui è come se si sbeffeggiasse preventivamente la Gioconda senza averla mai vista.

Mi piace pensare che almeno quattromila persone, la sera del 26 giugno, vedendo il film, abbiano capito il vero significato della scena della rivolta al cineforum.

Sì, perché solo vedendo La corazzata Potëmkin si capisce che il bersaglio di Salce e Villaggio non erano banalmente le cose «pesanti» e «difficili», non erano gli «intellettuali», ma il potere – rappresentato dalla Megaditta che tutto controlla – che ingloba e svuota la cultura, anche la cultura della rivolta.

Qui è necessaria un’avvertenza: qualunque cosa abbia dichiarato nei decenni successivi (e ha detto ogni cosa e il suo contrario, anche su La corazzata Potemkin), ricordiamo sempre che all’epoca dei primi due Fantozzi Villaggio era all’estrema sinistra. Ancora undici anni dopo si candidò alle elezioni politiche con Democrazia Proletaria.

A forza di dire che la famosa scena prende in giro la cultura dei cineforum di sinistra, i tic degli «intellettuali di sinistra» eccetera, ci si è dimenticati che quello rappresentato nel film non è un cineforum di sinistra: è il cineforum della Megaditta, rivolto non a compagni ma a colletti bianchi “apolitici”. Guidobaldo Maria Riccardelli non è un compagno né un intellettuale di sinistra: è un uomo dell’azienda, del capitale.

L’unico marxista che appare nel mondo di Fantozzi è Folagra, che guardacaso non partecipa al cineforum aziendale ed è relegato in un sottoscala.

Folagra.

[Chissà quanti, oggi, capiscono che Folagra è l’unico personaggio positivo della saga. Proprio nelle intenzioni, non «ex post». È l’unico che dice a Fantozzi qualcosa di vero sulla sua condizione.

Tuco: – Oggi (quasi) tutti considerano un personaggio positivo Calboni, e vorrebbero essere come lui.

WM: – In fondo berlusconismo e renzismo sono minime varianti ideologiche di questo «voler essere Calboni».

IAmOst: – È il collega d’ufficio che nessuno vorrebbe avere, ma che tutti vorrebbero essere. Forse il più “italiano” di tutti.]

La corazzata Potëmkin – nel film di Salce parodiato in «Kotjomkin» – narra una rivolta, ma la rivolta è addomesticata, disinnescata, la cornice del cineforum aziendale e la modalità di fruizione la sviliscono, e la visione stessa è sminuzzata, non c’è più l’insieme, solo dettagli: «L’occhio della madre… La carrozzella…»
E così sono gli impiegati a rivoltarsi, e poiché Salce e Villaggio sanno il fatto loro, la rivolta contro il film ripete quella nel film.

L’episodio del cineforum è un sottile remake del film di Ėjzenštejn, un’allegoria “a chiave” che ne ripercorre tutti e cinque gli atti:
– il cineforum è la corazzata;
– Fantozzi è il marinario Vakulenčuk che per primo grida la verità su quel che sta accadendo;
– gli spettatori sono i marinai insorti;
– l’odioso Riccardelli è gli ufficiali spodestati;
– la sala occupata è Odessa;
– la polizia che «s’incazza davvero» ha il ruolo dei cosacchi che reprimono.
Il finale, però, è molto diverso: gli insorti non hanno scampo e sono condannati a mettere in scena e subire ad nauseam la repressione zarista/aziendale.

Il fatto che in quest’allegoria il ruolo della carne marcia imposta ai marinai ce l’abbia – in una vertiginosa mise en abyme! il film dove si narra la rivolta che gli impiegati ripetono rende l’intero episodio complessissimo.
Siamo di fronte a una parodia colta e, al fondo, per nulla anti-intellettuale.
Chi non ha mai visto il film di Ėjzenštejn non può rendersene conto.
Molti spettatori del 1976 lo avevano visto.

L’episodio, per il pubblico di allora, aveva una carica critica ad alto voltaggio, che però col tempo si è esaurita. Non poteva che esaurirsi: il contesto che rendeva l’episodio comprensibile in tutti i suoi aspetti e livelli – l’Italia degli anni Settanta, dei movimenti radicali, delle grandi lotte operaie -, quel contesto non c’è più.

E cosa rimane di quella critica, oggi, nell’interpretazione corrente di quella scena?

Pressoché nulla.

La scena, tolta dal suo contesto, rivista e ri-rivista da sola come frammento, citata e stracitata come semplice gag, col tempo ha cambiato significato: oggi è evocata per rigettare la cultura stessa e tutto ciò che è «difficile», in nome del parla-come-magni (detto quasi sempre da gente che mangia malissimo) e del solito «E fattela ‘na risata!»
Come abbiamo scritto in tempi non sospetti:

«una parodia colta, una volta estinto il contesto in cui era stata pensata e realizzata, diventa il proprio opposto, generando un interdetto qualunquista e anti-culturale.»

L’eterna ripetizione della gag ha diffuso l’idea che La corazzata Potëmkin duri molte ore e altri miti che il film manda in frantumi, se solo si supera il pregiudizio e lo si guarda. Ma il pregiudizio c’è, inutile negarlo. Un danno culturale c’è stato. Sì, danno culturale. L’arma della critica è stata girata e puntata contro la critica stessa, allo stesso modo in cui Riccardelli, gerarchetto della Megaditta, aveva girato e puntato il cinema di Ėjzenštejn contro i suoi sottoposti.

Qualcuno ci ha attaccati per aver fatto queste riflessioni sul film, la sua parodia e le diverse ricezioni di quest’ultima il giorno stesso della morte di Villaggio – VERGOGNA!!1!! – come se si trattasse tout court di un attacco al caro estinto.
Quel caro estinto, da molto tempo non lo stimavamo più. Eppure questa riflessione è l’omaggio più serio che potessimo dedicargli. Nondimeno…

«…VERGOGNA!!1!!»

Non è solo pavlovismo da «necrotweet day». C’è qualcosa di più profondo, che verrà capito meglio in futuro, da antropologi e storici delle mentalità che con ogni probabilità non sono ancora nati.

Oggi l’obbligo contro cui ribellarsi non è quello di guardare La corazzata Kotjomkin. Semmai, al contrario, è quello di non prendere mai nulla sul serio. Il «farsi una risata» come risposta a tutto, l’essere sempre ironici per non mostrarsi mai troppo coinvolti in nulla, perché coinvolti equivale a vulnerabili, e dunque ironia sempre, cinismo e disincanto, non devi dare mai l’impressione di credere fino in fondo a quel che dici. Soprattutto, fai vedere che ti stanno sul cazzo gli «intellettuali». Risulta molto più facile se adotti l’espediente di chiamare «intellettuali» tutti quelli che ti fanno sentire vulnerabile. Chiama «pippone» qualunque cosa scrivano o dicano.

In un simile clima culturale – che ci auguriamo venga spazzato via al più presto da un’immane tormenta – un film come quello di Ėjzenštejn, che mostra la fratellanza nella rivolta e a volte fa sarcasmo sul potere ma mai ironia sulla rivolta stessa, deve per forza essere considerato una «cagata pazzesca». Vige l’obbligo di conformarsi alla lettura più decontestualizzata e banale dell’episodio fantozziano.

È contro quest’obbligo che dobbiamo ribellarci, proprio come Fantozzi si ribellò al cineforum aziendale.

E gli applausi di Piazza Maggiore non saranno durati 92 minuti, ma bastano a convincerci che siamo nel giusto.

«Братья!»

_

* Questo post è la sintesi di una lunga discussione avvenuta su Twitter il 4 luglio 2017, e incorpora riflessioni di diverse persone. Grazie a tutte e tutti, anche a chi, senza pensarci un momento, è partito subito con gli insulti. La stolidità altrui ci spinge a fare meglio, a sforzarci di essere più chiari.

Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)

158 commenti su “La corazzata Potëmkin, la rivolta e i «necrotweet» su Fantozzi

  1. Trovo un po’ ingeneroso addossare alla parodia di Fantozzi l’intera colpa di un atteggiamento diffidente verso il cinema di un certo periodo.
    Non so se sia ancora attuale, o applicabile a persone che hanno età diverse dalla mia, ma tra scuole medie e superiori era abbastanza normale subire ore di cineforum organizzato in pieno stile Megaditta: frequenza obbligatoria, tema spesso di scarso interesse, nessuna attualizzazione dei contenuti.
    Ancora ricordo la noia atroce nella visione di Alexander Nevsky, giustificata dall’importanza della colonna sonora di Prokofiev. Film che magari, se rivedessi oggi contestualizzandone trama e modalità espressive, mi piacerebbe. Ecco che estendere la valutazione anche a un secondo film dello stesso autore, una volta esposti alla parodia, diventa naturale. Sbagliato, perché gli autori realizzano opere diverse e perché valutare a distanza di anni un’opera sulla base dei propri ricordi adolescenziali è assolutamente insulso, ma naturale.
    Purtroppo, nel momento in cui l’esperienza scolastica ti ha messo a confronto costante con una realtà fantozziana, assorbire e decontestualizzare la parodia senza capirne l’intento forse diventa inevitabile. Ma non è tutta colpa di Fantozzi.

    • In realtà il pregiudizio verso il film non è “addossato” direttamente alla parodia di Fantozzi (non siamo così idealisti, non abbiamo il culto dell’Autore che con un gesto prometeico cambia il mondo) bensì al mutare del contesto sociale, che di quella parodia ha cambiato la fruizione e alterato la ricezione.

      Il pregiudizio preso in esame non è generico, nei confronti del «cinema di un certo periodo». Raramente si sente qualcuno trinciare (pre-)giudizi sui film di Murnau, o Dreyer, o Lang… No, è un pregiudizio specifico nei confronti di questo film, che molti, senza averlo visto, credono di poter definire «una cagata pazzesca» (vedi i necrotweet citati), perché non hanno capito nulla della parodia fantozziana.

      Sulla scuola: dubito fortemente che negli ultimi trent’anni (almeno) nelle scuole italiane si sia proiettato molto Ėjzenštejn. Magari qualche prof lo fa, ma da genitore di studentessa di scuola media, e amico di molti genitori di ragazze/i alle medie e alle superiori, ti posso dire che non è questa la voga. Non lo era già più quando ho terminato il Liceo io, alla fine degli anni Ottanta.

      • A me pare che effettivamente l’inserimento in Fantozzi abbia certamente contribuito alla cattiva fama di *questo* film, ma soprattutto perché l’inserimento in una pellicola popolarissima lo ha reso archetipico del cinema russo degli anni ’30, che in maniera stereotipata si dipinge come lento, noioso e di propaganda.
        Se vengo a tempi recenti mi ricordo che a Zelig proponevano una “parodia del cinema polacco” che giocava un po’ sugli stessi stereotipi – scene ferme, dialoghi lenti e sempre uguali, e si parla di meno di una decina d’anni fa.

        Detto diversamente, se parliamo nello specifico de La corazzata Potëmkin non faccio fatica a riconoscere come vero tutto quanto avete detto, compresa la perdita del senso della parodia (e devo pure ringraziarvi perché la riflessione è illuminante, e mi avete messo voglia di vederlo), sul fatto generale dell’identificazione stereotipata del cinema degli anni ’30 mi sa che i meccanismi di origine siano altri. Fantozzi ha dato un archetipo sbagliato nell’identificare La corazzata Potëmkin con un cinema lento e noioso, ma in generale mi sembra che la stereotipazione del cinema dell’epoca vada oltre.
        Nessuno identificherà Metropolis di Fritz Lang immediatamente come “una cagata pazzesca”, ma probabilmente se proponi a qualcuno la visione di “un film di fantascienza espressionista tedesco di fine anni ’20” la reazione non sarà molto diversa, pure se è riconosciuto come un capostipite del genere.

      • Premesso che, secondo il mio modesto parere, “La corazzata Potëmkin” è un capolavoro della storia del cinema, e che il film risulta bellissimo anche a rivederlo molte volte – premesso inoltre che l’articolo di Giap è molto acuto in diversi punti – vorrei però sottolineare un fatto che mi pare trascurato e che a mio parere dà una luce diversa alla parodia di Villaggio e Salce. Certamente la parodia ha come bersaglio il potere (in questo caso quello della Megaditta), ma non dimenticherei che certi atteggiamenti intellettuali degli anni ’60 e ’70 sono spesso degenerati, appunto, in esercizi di potere contro “il popolo bue”. E ciò indipendentemente dal fatto che gli intellettuali in questione fossero di sinistra o di destra (allora era di moda essere di sinistra, ma quell’atteggiamento sprezzante e supponente era tout court una proprietà specifica fascista – indipendentemente da come fosse coniugata). In sostanza: la parodia fantozziana coglie nel segno, prendendo di mira un tipico atteggiamento intellettuale che nei fatti era servo del potere. Quanti intellettuali hanno fatto più o meno fortuna cercando di cavalcare l’onda, sorretti esclusivamente dalla propria supponenza?

  2. È interessante il confronto con l’episodio come è raccontato nel secondo libro.
    Lì Fantozzi, siccome abita in una cittadina dove “non si scopa mai” è da vent’anni iscritto a un cineclub di “paraintellettuali”, che – la cosa non viene detta esplicitamente ma è abbastanza chiara dal preambolo – hanno un rapporto masturbatorio con il simulacro di cultura che si sono costruiti su un repertorio abbastanza limitato di film visti e rivisti, con gli stessi commenti (quelli del film) ripetuti come formule religiose.
    Anche lì la Corazzata è l’innesco dello sfogo di Fantozzi, ma mancando tutta la coercizione esterna non c’è il parallelo con la rivolta. Più semplicemente, si capisce che sia uno dei film più proiettati (e sicuramente quello il cui titolo ha il maggiore potenziale comico, evocando qualcosa di enorme, pesante, cacofonico, quasi impronunciabile).
    Più semplicemente, Fantozzi osa dire quello che tutti ormai pensano da anni e “libera” tutti dalla prigione che si sono costruiti.
    Vista la cornice di sessualità repressa in cui è collocata la storiella, è molto coerente il fatto che usciti dal cineclub vadano a vedere i film scollacciati che tutti (viene detto prima) segretamente speravano venissero proiettati, unendosi alla “maggioranza silenziosa”.
    La versione cinematografica è un po’ più stratificata, quella scritta si limita alla parodia dell’ambiente di chi cerca di darsi un tono intellettuale senza averne gli strumenti (come quando per sbaglio si proiettano invertite le due bobine di un film e qualcuno loda la scelta geniale del regista che fa prima morire il protagonista per poi farlo rivivere), ma lì aleggia comunque un certo anti-intellettualismo, che però è quello del personaggio attraverso cui viviamo la storia.

    • In questa intervista del 1990, Villaggio racconta una genesi alternativa dell’episodio sul Potemkin (https://youtu.be/HY5DJAa6JHc?t=226) derivata dalla frequentazione di certe rassegne di provincia organizzate da Claudio Fava, che Villaggio amava frequentare e in cui capitava di imbattersi in strane situazioni e personaggi. Anche in questo caso, il desiderio proibito di annunciare “la corazzata Potemkin è una cagata pazzesca” sembrerebbe più rivolto a sovvertire una certa religiosità imposta, piuttosto che screditare un certa idea di cinema e di esperienza cinematografica che – come ricorda all’interno della stessa intervista – è stata forse la forma di aggregazione più innovativa del Novecento.

      Segnalo poi che nel film, il meta-discorso sul Potemkin è di terzo livello. Le immagini che scorrono durante la prima visione del Kotjomkin, erano a loro volta delle ricostruzioni girate dalla troupe di Salce, poiché la produzione di Fantozzi non aveva ottenuto l’autorizzazione per montare alcune inquadrature dell’originale di Ejzenstejn. Gli impiegati del film sono dunque condannati a mettere in scena la copia della copia del Potemkin…roba da fare impallidire Baudrillard! ;-D

  3. Direi in pratica, perfetto o quasi.

    L’unica cosa è che io non darei a Villaggio e Salce neanche quell’accenno di colpa che gli date voi. E’ fin troppo evidente che non è la Corazzata Potemkin ad essere il bersaglio del sarcasmo tagliente, ma lo pseudo intellettuale (e grazie per aver sottolineato lo pseudo) che si perde nelle fesserie dei dettagli “il montaggio analogico” o “l’occhio della madre” a comando della Mega Ditta nella quale la parola “comunista” fa tremare i vetri ma ti costringe a partecipare al cineforum impegnato per far vedere che LORO sono per la cultura.
    Chi non capisce questo o ha visto il film già da telerincoglionito, o era rincoglionito già nei seventies e quindi non c’è speranza.

    Ad ogni modo io il caro compagno Paolo Villaggio l’ho ricordato così: http://www.civiltalaica.it/cms/index.php/umana-signora-morte.html

  4. Non uso twitter, ma ho seguito la discussione ieri. Volevo per prima cosa ringraziarvi. Ho visto ieri sera per la prima volta La corazzata Potemkin, dopo aver letto i vostri tweet. L’ho trovato emozionante, commovente. Non me l’aspettavo. Beh, un po’ sì, che di voi mi fido, ma diciamo che l’altro ieri non me lo sarei aspettato. E appunto volevo ringraziarvi per avermi dato l’occasione di scoprirlo. E anche di scoprire la parodia di Fantozzi. Proprio scoprire, Il secondo tragico Fantozzi l’ho visto una decina di volte e ho capito la parodia solo ieri.

    Solo un dubbio: a me pare che la vostra lettura del lascito della parodia di Villaggio (“è evocata per rigettare la cultura stessa e tutto ciò che è «difficile»”) sia troppo pessimistica. Condivido la conclusione che uno dei lasciti (non voluti) sia la “cattiva pubblicità” a La corazzata Potemkin. E condivido che la complessità della parodia sia andata pressochè perduta (ad esempio: io l’ho scoperta ieri, appunto). Però, almeno per quella che è la mia esperienza, non sono convinto che la percezione dominante della parodia sia lo sberleffo agli intellettuali. La percezione della frase “La corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca!” mi pare simile a quella della frase “Il re è nudo” della favola di Andersen. E non mi sembra che in maggioranza “il re” venga associato agli “intellettuali” o alle “cose pesanti”. Ma proprio al re, al capo, al potere. Magari mi sbaglio, ho un’esperienza parziale, ma secondo me no, la frase del film di Villaggio mi pare venga generalmente evocata come gesto di ribellione al potere più che come rigetto della cultura. Non voglio fare psicologia d’accatto, ma mi sembra naturale che la percezione a livello emotivo di un messaggio dipenda da come quel messaggio ci permette di leggere la nostra esperienza quotidiana. E nell’esperienza personale della maggioranza delle persone gli intellettuali sono molto più rari dei capi.

    • Grazie a te!

      Secondo me sottovaluti la gigantesca ondata di anti-intellettualismo e anti-cultura che ha investito la società italiana negli ultimi trent’anni. «Con la cultura non si mangia», dichiarò non a caso un noto politico, pencolante tra Forza Italia e il mondo leghista. Guarda i commenti ai post di Salvini su Facebook, ma anche quelli sul blog di Grillo. Guarda le discussioni su qualunque problema o “emergenza” proposta dai media. C’è un odio diffuso per chi «complica le cose», e si usa a sproposito la parola «spocchia» nei confronti di chiunque proponga un ragionamento. Chiunque è accusato, quando non si arriva all’insulto, come minimo di essere «serioso». Si viene accusati di parlare «difficile», come fa Cruciani con certi che ingenuamente telefonano senza adeguarsi al tono generale de “La Zanzara”. È un anti-intellettualismo che rivela altro quando viene incanalato e pilotato contro la sinistra, i presunti “buonisti”, le “zecche”, i centri sociali…

      Invece di ribellione ai capi, ai padroni, ai ricchi, ne vedo davvero troppo poca, in Italia.

      • Mi sa che mi sono espresso male: condivido la tua lettura dell’anti-intellettualismo (e quello che scrivi/scrivete su ironia-cinismo-disincanto come atteggiamento conformistico dominante) parola per parola e penso che abbia esattamente la portata che le attribuisci tu. Enorme. E forse è vero che pure così la sottovaluto, ma spero anch’io nella tormenta. Il mio commento era più circoscritto: volevo solo dire che la parodia di Villaggio forse è sopravvissuta a questa ondata in condizioni un po’ migliori di quelle che le attribuisci. Cioè non mi sembra, generalmente, utilizzata prevalentemente come espressione di anti-intellettualismo, ma anche di un generico senso di ribellione. Che è vero, se ne vede poca, ma in fondo cova: anche di questi tempi sono pochi quelli che amano il padrone (almeno spero). Quindi, in altre parole, ciò che volevo dire è che la tua lettura del lascito della parodia di Villaggio mi sembra parziale, pur condividendola interamente.

  5. https://www.internazionale.it/opinione/claudio-giunta/2015/03/27/fantozzi-40-anni ……………………………………………………………………………………………………………………………….

    ………………..

    • Su Giap sono gradite anche alcune parole di accompagnamento e introduzione a quel che si troverà cliccando il link. Se lasciare un link ti basta, usa Facebook. Farlo qui è considerato dai più pigrizia mentale.
      Pessima la sfilza di puntini per aggirare il plugin sui commenti troppo brevi.

      • Lo so come funziona Giap. Non so se mi basta lasciare questo link, per il momento sì. Preferisco parlarne se eventualmente qualcuno legge il link e lo commenta, dal momento che ci sto riflettendo (nel frattempo, se qualcuno legge e commenta, forse mi stimola anche, o comunque posso aggiungere lo stesso qualcosa dopo). Ci sono, come al solito, cose che mi trovano molto d’accordo e cose che non lo so (ad esempio trovo intelligente la scelta di favorire commenti argomentati, ma a volte va bene pure un link e basta, non succede nulla). Leggendo i commenti, quello di buonipresagi in particolare, mi è venuto in mente l’articolo linkato, che avevo già letto tempo fa. Avevo dimenticato il particolare della differenza fra libro e film, e quindi del fatto che la battuta può avere la stessa funzione applicabile e bersagli diversi. Sono effettivamente pigro, su questo niente da dire.

        • Lo vedi? Mica ci voleva tanto, a buttar giù due righe anziché quell’inutile rigaccia di puntini. Cerchiamo di stare attenti, basta davvero poco per “abbruttire” una discussione.

  6. Avevo scritto un lungo commento ma è morto nella rete perché Giap! non mi si è aperto per una mezzora buona.
    Comunque riassumendo: io credo che la vostra presa di posizione sia più “originale” che corretta. Nel senso che Ejzenstejn e il suo capolavoro (davvero possiamo usare questa parola senza paura di inflazionarla) non ha ricevuto il benché minimo danno culturale dal film “Fantozzi”. Ovviamente nella riflessione su Giap! il vostro pensiero è molto più strutturato e condivisibile, almeno per me.
    Infatti, se c’è un motivo per cui questo film riecheggia nel titolo a molti Italiani è perché è stato sentito, storpiato – per motivi di copyright (tant’è che le immagini presenti furono girate da Salce) – ne “Il secondo tragico Fantozzi”. Murnau, Dreyer e Griffith e i loro capolavori sono totalmente sconosciuti al pubblico.
    Non è un caso che la morte di Villaggio abbia spinto qualche spettatore a guardarsi il film sovietico del ’25. “La passione di Giovanna d’Arco” non ha potuto usufruire della stessa pubblicità.
    Secondo punto: io ritengo la scena che voi sottolineate, quella del cineforum coatto, di duplice satira. Da una parte la cultura “padronale” che costringe gli impiegati a riti assurdi, ma il bersaglio era senz’altro anche la critica cinematografica di “Sinistra” che in quegli anni (soprattutto nei due decenni precedenti) si eresse a bollino di autori e opere di qualità spesso prendendo cantonate risibili.

    • Secondo me il *terzo* livello è quello più importante, per questo lo sottolineiamo nel post, dando per più o meno impliciti gli altri due, già più volte segnalati da altri.

      Il “terzo” è anche il livello dove si può trovare l’anticipazione di cosa sarebbe successo alla parodia stessa.
      Villaggio mostra la parabola di un film rivoluzionario divenuto innocuo e addirittura tedioso per mano della cultura borghese.
      Questa scena fa il paio con quella in cui il megapresidente si dichiara «non proprio comunista, diciamo medio-progressista».

      Tutta la teoria critica radicale del dopoguerra, dalla Scuola di Francoforte ai situazionisti a Pasolini ecc. aveva come premessa il fatto che il capitalismo mercificasse la rivolta e la rivoluzione stessa, e che la borghesia recuperasse per proprio tornaconto le istanze rivoluzionarie. Decine di saggi dell’epoca, e performances, e film sono dedicati *esattamente* a contestare questo, da “La società dello spettacolo” ai testi di Marcuse, degli Yippies…

      Emblematico di questo processo, e pienamente nella temperie dell’epoca, il destino di Ejzenstein (un comunista) nel cineforum *aziendale*. Come si diceva in un commento sopra, nella Megaditta la parola «comunista» normalmente fa tremare i vetri, ma un film sulla rivoluzione girato da uno dei più noti cineasti comunisti è proiettato più e più volte, senza che i vetri tremino, perché l’opera è stata recuperata e “depoliticizzata”.

      Il colpo di genio sta nel remake della rivolta da parte degli impiegati. Il film è stato asservito, svilito, reso tedioso, eppure riesce comunque, in modo paradossale, a ispirare la stessa rivolta di cui narra.

      Solo che oggi, espirato quel contesto, il “terzo” livello (che probabilmente all’epoca era, se non il “primo”, almeno il “secondo”) è divenuto molto meno accessibile. Sono venuti a mancare troppi riferimenti, in primis la conoscenza del film parodiato. E così la rivolta stessa di Fantozzi e compagni non viene capita, se non parzialmente. È stata recuperata, “depoliticizzata”, riconnotata in senso “anti-intellettuale” e dunque smussata di molti suoi spigoli, quando non del tutto girata a difesa dell’ordine delle cose.

    • ma perché “di sinistra”, questo non capisco… che cazzo c’entra la sinistra? Secondo me qua c’è un corto-circuito di stereotipi: la cultura cinefila – che può essere terribilmente astratta, “masturbatoria” nel linguaggio fantozziano, e sovente indugia in un linguaggio criptico/tecnicistico (il precipitato delle velleità cognitiviste della filmologia, par mio) ma che di per sé non è di sinistra o di destra, e dall’altro lato il cliché dell’intellettuale gruppettaro di estrazione borghese, che si vuole altrettanto astratto nelle teorizzazioni della lotta di classe…
      non dico che non ci possano essere state sovrapposizioni – anche frequenti – tra i due clichés, ma rimangono due cose comunque ben distinte… e la cornice di Villaggio/Salce nel ’76 mi sembra chiarissima: Riccardelli è un dirigente d’azienda – con velleità da professore forse, come scrive Giunta – ma non c’entra una mazza con intellettuali operaisti o simili, continuare a reiterare questo equivoco è una forzatura ex-post che dice molto di più dei nostri bias odierni che non di quelli dell’epoca…

      • Se il bersaglio fosse tout court una critica “di sinistra” che in quegli anni prese anche «cantonate risibili», non si capirebbe perché come oggetto della parodia venga scelto proprio quel film di Ėjzenštejn, riguardo al quale l’unica «cantonata risibile» l’ha presa e continua a prenderla chi davvero lo crede una cagata pazzesca.

        Riformulerei: a uno dei livelli della critica, viene presa per i fondelli la pretesa – tipica di certa critica non solo cinematografica di allora – di dividere rigidamente l’«alto» dal «basso», il cinema d’arte dal cinema commerciale. La raffinatezza della parodia e la ricchezza di citazioni sono anche a dimostrazione che i diversi piani dialogano e hanno sempre dialogato.

        (Ma già l’opera cinematografica dello stesso Ėjzenštejn dimostra che il cinema «alto» può essere visto e apprezzato da vaste moltitudini di persone, com’è accaduto appunto alla Corazzata Potemkin.)

        • Infatti sicuramente il bersaglio della scena non è solo comprensibile nella “critica di sinistra”. Ma è un elemento presente. Se vedete anche Riccardelli, con il suo maglione a collo alto, rimanda ad un cliché estetico da intellettuale. Racconta ad esempio Kezich che nei cineforum erano “costretti” a vedere i film neorealisti, mentre loro agognavano l’ultima pellicola di Bogart.

          • L’ultimo Bogart non potevano andarlo a vedere in una sala di prima visione?

            Non so, non ho letto quella testimonianza di Kezich, ma in generale trovo sospetta questa vulgata secondo cui erano sempre *altri* a costringere a fare, a costringere a vedere… E mi sembrano esagerate (e troppo ammiccanti a sensibilità successive) le descrizioni dei supposti “patimenti”.

            • Ti riporto il suo ricordo: “Per molti di noi, Bogart era un idolo. Insomma ci riservavamo un angolo privato per gustare il cinema così come va gustato, senza cerimoniali, senza avere per ogni film la risposta pronta in tasca, senza dover dare obbligatoriamente la pagella politica a tutto. Poi l’indomani al circolo del cinema presentavamo magari ‘Non c’è pace tra gli ulivi’ alla presenza dell’autore. Avremmo sognato di fare un dibattito su Humphrey Bogart. Ma i dibattiti si facevano sulle mondine”. Kezich non usa un tono di sofferenza, credo che sia più ironico. Ci mancherebbe: alla fine si tratta di film.
              Però quello che dicevi tu della cultura alta e bassa, è stato un handicap che la critica cinematografica si è portata appresso per decenni. E non so se sia sparita.
              Da una parte avevamo la DC che accusava il Neorealismo di mostrare al mondo un’immagine dell’Italia deprimente (la scena del cineforum di “C’eravamo tanto amati” uscito l’anno prima di “Fantozzi” la ricorda); dall’altra avevi ‘Cinema Nuovo’ che, pur avendo contribuito a costruire una critica cinematografica che uscisse dalla banale recensione a stelline, sicuramente aveva il pallino del realismo a tutto spiano.
              Per concludere, penso che Villaggio e Salce avessero in mente anche questo clima culturale troppo in bianco e nero mentre giravano la scena della finta Corazzata Kotemkin.

      • Se posso permettermi, per criticare il linguaggio criptico/tecnicistico, c’è da dire che il tuo discorso non brilla per semplicità!
        Quando parlo di “critica cinematografica di sinistra” non intendo nulla di astratto o di relativo agli intellettuali operaisti come dici tu. Faccio riferimento a firme e riviste precise. E che secondo me Salce aveva bene in mente. Se non sei d’accordo puoi dirmelo chiaramente senza dover tirare in ballo i bias odierni che starei forzando ex-post.

        • Mi sembrava di averlo detto chiaramente, se vuoi te lo metto in forma più chiara: “L’IDEA SECONDO LA QUALE LA GAG DELLA CORAZZATA POTEMKIN SIA UN ATTACCO A UN CINFEORUM DI SINISTRA È UNA CAGATA PAZZESCA”, e dei cineforum di sinistra degli anni ’70 in questo contesto non me ne frega niente, ma proprio meno di niente
          Poco importa qui l’aneddotica da cui la gag è scaturita (peraltro facilmente immaginabile) e anche se è interessante il confronto con la versione originaria letteraria (che ammetto di non aver letto) sta di fatto che nella messa in scena del ’76 qualunque riferimento a una connotazione *di sinistra* era sparita, l’unico appiglio che ho letto in giro per sostenere questa tesi è il fatto che Riccardelli indossasse un dolcevita e una giacca con le toppe sui gomiti… che era praticamente la moda dell’epoca, vestita da rossi, neri, bianchi e trasparenti
          Per il resto: siamo ancora a discutere di “linguaggio difficile” o meno? Qua il punto non è la complessità ma l’astrazione, la cultura ridotta a giocattolo intellettuale, a posa o a status usato per marcare la differenza classista anche a livello culturale, tra il professorino (membro pur sempre della classe dirigente) e le “merdacce” del ceto medio (la cui ignavia e codardia è il bersaglio primo dell’epopea di Fantozzi). La scena della corazzata fa secondo me il paio – pur essendo il livello completamente differente, è chiaro – con la celebre scena della coda al cinema in “Io e Annie” del ’77
          https://www.youtube.com/watch?v=bjlddjfw27g
          Ovviamente il contesto è completamente differente, eppure in entrambi i casi c’è un affondo a un professorino, che non è un attacco alla cultura di per sé ma alla sua casta sacerdotale che la confina nell’ordine gerarchico dello status quo, alienandola a tal punto da invertirne grottescamente i messaggi.
          Perché mi accaloro tanto su sto dettaglio del presunto cliché di sinistra? Perché per come è orientato il discorso pubblico oggi qualunque critica all’esistente che scarti dalle logiche di mercato, sia esso culturale, di genere, ambientalista, antifascista, viene associato a una supercazzola, a un sepolcro imbiancato, a un poseur, a un Guidobaldo Maria Riccardelli che diventa un “intellettuale di sinistra” sempre e comunque, anche se è palese che un dirigente stronzo nè più nè meno degli altri duca-conti, che tratta indifferentemente un Griffith o un Ejzenstein come feticci della propria stessa autorità. Siamo messi molto, ma molto peggio, degli impiegati lecchini degli anni ’70

          • Intanto la questione del linguaggio “difficile”. Se ti leggo e non capisco cosa dici, può essere un problema mio ma di fatto lo diventa anche tuo. Sempre che il tuo discorso fosse diretto a me, e non ad un tu “eventuale” della rete.
            Seconda cosa, accetto che a te non te ne frega nulla dell’aneddotica dietro la scena, ma è proprio quanto ho cercato di mettere sul piatto con il mio intervento. Che possiamo riassumere in questo: secondo me, perché sempre di mia questione soggettiva, uno dei bersagli satirici di quella scena è ANCHE una certa critica cinematografica di “Sinistra”.
            Non ho mai detto che Riccardelli sia un intellettuale di sinistra. Quindi è inutile che me lo rinfacci.
            Quarto punto mi pare tu stia riferendo al mio discorso delle coordinate che non ho minimamente espresso, per cui non mi sto a soffermare.
            Prendo atto che secondo te la mia idea sia una cagata pazzesca, anche se morettianamente dovrei scrivere cacata. Se non te ne frega nulla del mio intervento, perché replicare?

            • Forse per appianare il malinteso basta aggiungere una parolina (la metto in grassetto):

              «uno dei bersagli satirici indiretti di quella scena è anche una certa critica cinematografica di “Sinistra”»

              Indiretti, e obliqui, perché appunto siamo d’accordo tutti e tre che quello non è un cineforum di sinistra ma un momento della pervasiva vita dell’azienda, e Riccardelli non è un intellettuale di sinistra ma un dirigente della Megaditta.

              • Assolutamente d’accordo!
                Poi c’è anche da sottolineare, come detto sotto, il contesto della partita Italia-Inghilterra da cui vengono sottratti gli impiegati che amplifica ulteriormente l’eco satirico della sequenza.

              • Condivido molte delle opinioni qui esplicitate.

                Vorrei tener presente una cosa (e spero di non ripetere discorsi già fatti, visto che non ho letto tutto il post): dimentichiamo la natura della protesta degli impiegati: a differenza dei marinai nel film di Eisenstein, che protestano per la carne avariata, la protesta di Fantozzi e dei suoi sodali è di una banalità avvilente: l’italianissimo desiderio di vedere una partita di calcio. Il film si prende gioco anche di loro: dei sempliciotti anti-intellettuali che vogliono godersi film tipo “Giovannona Coscialunga,” “L’Esorciccio” e “La Polizia S’Incazza”, che non oserebbero mai protestare contro le loro effettive condizioni lavorative e che si accontentano del proverbiale “panem et circenses.”

                In questo, Calboni è l’esempio classico dell’opportunista italiano: non appena la rivolta viene sedata, lui si piazza in prima fila a ripristinare il suo servilismo verso la classe opprimente. Questa scena fa il paio con la scena del comunista incallito (Folagra) che convince Fantozzi a protestare per motivi legittimi (condizioni lavorative, diseguaglianza economica, sfruttamento della classe operaia, ecc.). Questo porta Fantozzi ad un “epiphany”: “Ci avevano detto che ci davano lavoro perché sono buoni”.

                Pensiamo anche al Riccardelli: come gerarca è piuttosto anomalo, nel senso che coltiva una cinefilia strisciante. Sembra un intellettualoide fallito che trascorre il proprio tempo libero adorando opere cinematografiche senza propriamente capirle (almeno, così pare). Infatti, non capisce che il film di Eistein/Eisenstein può portare i suoi sottoposti alla ribellione, come appunto accade (non dimentichiamoci che La Corazzata Pötemkin fu bandita in vari paesi proprio per la sua natura provocatoria). Da ateo, posso dire che il comportamento del Riccardelli riflette il mondo cattolico: non contento di professare la propria religione in privato, impone agli altri le sue credenze, in tutti i luoghi pubblici, le scuole, ecc. Ma forse sto leggendo troppo in questa scena.

                Mi sto rendendo conto che il vortice interpretativo si sta allargando a dismisura e forse rischiamo di cadere in un “mise en abyme” infinito.

          • E aggiungo che il motivo principale che mi porta a sottolineare quanto detto nel primo intervento sta proprio nella scelta del film. Perché proprio la “Corazzata Potemkin”?
            Se davvero l’unico motivo era bersagliare le imposizioni culturali da parte del padrone-megaditta avrebbero potuto scegliere un film molto più realistico in quel contesto. Ad esempio, “I Nibelunghi” di Lang, che dura 6 ore davvero.
            Dato che a solo nominare la parola comunista i vetri del grattacielo tremano, è assolutamente poco credibile pensare che venga proiettato il film di un bolscevico. La scelta è stata pensata volutamente. Per i vari livelli che sono stati proposti nella riflessione di WM1 – e sui quali concordo – più, secondo me, ANCHE per altri motivi.
            That’s all.

  7. Di risonanza in risonanza. Siamo nei primi anni settanta. Nelle sale cinematografiche si proietta “Indagine su un cittadino…”. Questa scena la conoscono tutt*, o perlomeno tutt* quell* che commentano su Giap.

    “… E che cos’è questa democrazia! E diciamocelo! E’ l’anticamera del socialismo! Io per esempio… voto socialista…”

    https://youtu.be/Dbh2p60rs-o?t=2m49s

    La scena si svolge in questura, ed è una scena violentissima. Fantozzi convocato dal mega-direttore rappresenta nella forma del grottesco *la stessa violenza*. Per chi vedeva il film nel 1975 questo era ovvio – forse non per tutti, ma per moltissimi sì. A quarant’anni di distanza capita che persino chi ha una militanza possa non cogliere il nesso, perché non coglie a monte il nesso tra la violenza poliziesca nelle strade e quella padronale nei luoghi di lavoro.

    • Aggiungo invece una “dissonanza”. A margine dell’analisi sul ruolo della repressione padronale che emerge nella scena da te citata nel film del 75 della coppia Salce/Villaggio mi viene in mente come solo due anni dopo la stessa coppia dà vita a un film, “Il Belpaese”, nel quale emerge una critica al Movimento abbastanza reazionaria e piccolo borghese e dove la violenza politica e non di quegli anni è vista come la causa dei mali del Belpaese appunto e dove il povero e onesto commerciante è la vittima di questa violenza.

      • Non vedo Il Belpaese da quasi trent’anni, dovrei rinfrescare i ricordi. Ad ogni modo, credo che andrebbe fatta una riflessione approfondita, con molti esempi tratti dalla cultura dell’epoca, sul ’77 come spartiacque… e spartitutto. Quell’anno «viene a noi con la spada», ogni contraddizione viene acuita, le diverse posizioni si allontanano ulteriormente tra loro e si polarizzano, e da quell’anno in poi si polarizzeranno sempre. Il best-seller di saggistica in ambiente PCI non a caso si intitola Le due società. A tutti è richiesta una scelta di campo netta, che per dirla molto grezza è: pro o contro «gli autonomi»? Pro o contro questi giovani estremisti che già sono diversi dai «gruppettari» di qualche anno fa? E dietro questi giovani estremisti lo sappiamo che si muove qualcosa di oscuro, di nero, da chi saranno manovrati questi che usano la pistola…? Dal 1975 sono passati appena due anni, ma in quei due anni ogni tendenza ha subito un’accelerazione, e lo scenario è radicalmente mutato.

  8. […] E con pazienza scopriremo anche che La corazzata Potëmkin è un film bellissimo, eccezionalmente fulminante nella sua brevità. Ma per questo ci vorrà un po’ più di tempo, credo […]

  9. Fa molto piacere che abbiate aggiustato il tiro rispetto al tweet di ieri, che recitava testualmente:

    “#PaoloVillaggio almeno un danno culturale lo ha fatto. Solo in Italia si reagisce sbuffando quando si nomina quel film. P.S. Dura solo 70′.”

    Fortunatamente con questo bel post avete smentito il pessimo tweet (ancora peggiore perché a cadavere ancora caldo) e avete spiegato che il “danno culturale” NON lo ha fatto Villaggio ma la colpa è del clima culturale che è cambiato. Villaggio non ha fatto nessun danno culturale, anzi.

    In uno dei suoi ultimi libri, “Storia della libertà di espressione”, una serie di racconti semipornografici di ambientazione storica, Paolo Villaggio racconta che Leonardo da Vinci camminava per la Toscana con un ‘pacco’ di dimensioni notevoli, che lasciava affascinati tutti coloro, uomini e donne, che lo incontravano. Ma Villaggio svela che non si trattava di un membro eccezionale, bensì di una deformità allo scroto che lo rendeva gigantesco.

    Perché ho raccontato questo episodio?

    Per dire che Villaggio era un dissacratore, per lui non c’era niente di sacro ed era genuinamente anarchico, come il suo carissimo amico De Andrè che andava in Calabria e diceva che la ‘ndrangheta ha un ruolo sociale meritorio nel dare lavoro a tanti giovani.
    Villaggio voleva dissacrare sempre, tutto. Ejzenstein per lui non è abbastanza sacro da dover essere risparmiato. Nulla è abbastanza sacro, in fondo.

    Poi sono d’accordo con la vostra analisi sul “triplo livello” della satira di Salce e Villaggio. E sono contento che abbiate approfondito perché il tweet di ieri si prestava a troppe interpretazioni fallaci.

    • Carlo, scusa, ma non ha alcun senso citare solo la frase introduttiva del tweet omettendo totalmente che a quella seguiva subito, in forma di screenshot, un testo più lungo imperniato sulla frase (riportata anche nel post qui sopra):

      «Una parodia colta, una volta estinto il contesto in cui era stata pensata e realizzata, diventa il proprio opposto, generando un interdetto qualunquista e anti-culturale.»

      Non ha senso nemmeno estrapolare *un* tweet dalla lunga sequenza di cui è parte, dove c’erano già quasi tutte le frasi poi riutilizzate in questo post. Sequenza che nel post qui sopra è linkata integrale.

      Che ci sia, sui social, chi legge solo la prima frase di qualcosa è notorio. Proporre questa prassi su Giap mi sembra fuori luogo. Anzi, questo sì, pessimo.

  10. Fantozzi e Salce interpretano la rivolta al cineforum come allegoria del film ma, mi chiedo e vi chiedo, non riesce “collettivamente” perché è in corso la partita dell’Italia?

    • Anche quello è parte del remake. Intorno alla corazzata Potemkin è in corso la rivoluzione russa del 1905, a cui i marinai vogliono prendere parte. Intorno al cineforum aziendale è in corso la visione collettiva della partita, a cui gli impiegati vogliono prendere parte. In entrambe le storie vengono introdotti a bordo materiali clandestini che permettano di collegarsi a quel che avviene fuori: testi di proclami rivoluzionari nel film parodiato, radioline e televisorini nel film parodiante.

  11. Non credo che abbia vinto la lettura attuale per caso, né che sia avvenuta una ricollocazione. Forse la decontestualizzazione era necessaria, ma non so se sufficiente. Ed è un caso che il film in questione non fosse una cagata pazzesca (oppure serviva proprio un grande film per una buona parodia). Penso che la lettura politica sia la più debole, o troppo raffinata, se la si accetta, e in ogni caso quella che per essere condivisa ha bisogno di una discussione, di un ragionamento. Mentre è abbastanza immediato cogliere la ribellione di Fantozzi e dei colleghi all’esaltazione di Ricciardelli. Qui non è il punto la critica di sinistra o il cineforum di sinistra, ma è che tanto la critica quanto il cineforum (e ci metto pure le avanguardie artistiche, piene di fanatismo ed esaltazione, a fronte poi di tante opere tremende) si prestano a essere presi per il culo, e la battuta di Fantozzi è un’arma perfetta. Peccato per le conseguenze (e peccato per il film, che comunque sarebbe rimasto ignorato, almeno così c’è modo di parlarne). Queste sono amplificate dal clima culturale, per cui non si riesce a distinguere fra una critica necessaria alla critica, e l’insofferenza totale (falsamente bilanciata dai sospiri per gli intellettuali che non ci sono più, Pasolini in testa)

    “Se non si possiede una sensibilità sufficiente per questo genere di umiliazione, si arriva spesso a mettere il proprio spirito al servizio di uno pseudoanticonformismo di riporto, destinato a pestare le bandiere già sbrindellate da molte suole, e magari non ci si accorge nemmeno del proprio implicito nihil de principe (esempio tipico: ottima la satira sull’uso cretino dell’espressione “neoliberismo”; ma poi, dato quel che va dato agli sfottò arbasiniani sul nostro andazzo assistenzialista, come la mettiamo con l’antica, elementare domanda sulla povertà e le ingiustizie? Se ce la porranno, arrossiremo come le vecchie zie davanti a una parola sconveniente? Replicheremo, ricalcando un argomento dei comunisti già giustamente criticati, che ingiustizie e povertà verranno riassorbite col tempo dalla mano razionale della società aperta, e ci scorderemo che col tempo i beneficiari saranno morti? O fingeremo che la domanda possa essere seppellita dalla stessa risata che travolge i Vendola, i Fassina e i Bertinotti, solo perché ci imbarazza non avere risposte smart?). ”

    Scrive Marchesini in Zalone come pretesto e come machete.

    Quello che si vede nella scena è la ribellione di Fantozzi non tanto al potere o all’azienda, quanto ai deliri di un imbecille, che vuole emancipare gli altri con la cultura. E ognuno lo adatta alla sua situazione. Anche l’espressione “radical chic” ha subìto una modulazione, per cui viene rivolto contro tante persone che per estrazione ne dovrebbero essere estranei, ma perché nel suo cuore c’è il disprezzo per la presunta messa in scena altrui, che diventa dito puntato contro ciò che uno pensa e fa (da qui la reazione; d’altronde se uno si è scelto di essere ospite ingrato…). Non ho esperienze aziendali, ma oggi non mi pare che sia in voga una pratica del genere, semmai c’è la ancor peggiore prassi motivazionale. A me vengono in mente le campagne in favore della lettura, che mi irritano parecchio, da lettore.

    Quello che si vede nella scena è la ribellione di Fantozzi non tanto al potere o all’azienda, quanto ai deliri di un imbecille, che vuole emancipare gli altri con la cultura. E ognuno lo adatta alla sua situazione. Anche l’espressione “radical chic” ha subìto una modulazione, per cui viene rivolto contro tante persone che per estrazione ne dovrebbero essere estranei, ma perché nel suo cuore c’è il disprezzo per la presunta messa in scena altrui (io per esempio trovo molto divertenti le storie all’interno del mondo dei centri sociali, di autocritica, quando vengono messe in luce le dinamiche dei capetti e di come vengono trattate le donne: forse sono fatto male. Vorrei che dissonanze si spegasse meglio e vedere il film), che diventa dito puntato contro ciò che uno pensa e fa (da qui la reazione; d’altronde se uno si è scelto di essere ospite ingrato…). Non ho esperienze aziendali, ma oggi non mi pare che sia in voga una pratica del genere, semmai c’è la ancor peggiore prassi motivazionale. Ma la ribellione potrebbe essere ugualmente sintetizzabile in: va bene che lavoro per voi, ma non c’è bisogno che mi rompete pure i coglioni. A me vengono in mente le campagne in favore della lettura, che mi irritano parecchio, da lettore.

    • Jackie, grazie di questo commento, però non è che hai fatto casino col copia e incolla? Gli ultimi due capoversi sono quasi identici…

      • Sì, ho fatto casino, pensavo di aver cancellato tutto, invece no, questo non sarebbe successo con i miei amati puntini. Quali che siano state le intenzioni, poi, oltre al contesto che all’epoca favoriva di più l’immedesimazione con la rivolta, c’è che il protagonista principale della rivolta remake è un autosabotatore perfetto. Villaggio in una recente intervista disse più o meno: se non siete competitivi inventatevi la vostra biografia, non importa. Fantozzi è anzitutto repellente, in primis per le donne, altro cruccio di Villaggio, e trasmette tutto tranne che senso di fratellanza, al massimo di pietà. Ho letto sul profilo di Mozzi molti commenti di donne che ne erano respinte, e non credo c’entri molto il modo in cui sono rappresentate le donne nei suoi film; è il personaggio che è un concentrato di disagio e angoscia. Ma quello doveva essere. Tra l’altro, sempre su ricordi di Villaggio, in un’epoca speranzosa per il socialismo, e con le persone che si potevano consolare con una figura come Fantozzi, perfetta sia per farti sentire migliore che per sfogare un po’ di sadismo.

  12. Non ho mai amato Villaggio, nemmeno quand’era di DP. Non ho amato per niente Fantozzi, pur avendone visti vari spezzoni (forse anche uno dei film per intero…) mi ha sempre lasciato indifferente. Persino la critica al capitale della Megaditta. Lo trovo abbastanza un sottoprodotto, malgrado Salce e Loy. Un’Italia che ride troppo, che ride sempre, che ride comunque. Un’Italia oggi.
    Qualche anno fa, in tutt’altro contesto, mi è capitato di fare proprio la stessa considerazione (e non sono nemmeno sicuro che il contesto, in quel caso, fosse “altro” ma forse la faccia nascosta della medesima medaglia). Scusate il link, per chi fosse interessato:

    http://www.anobii.com/books/review/556dcae2495a069c2b8b4579

  13. La biblioteca “Di Vittorio” della Cgil di Bergamo, con altri enti ed associazioni del territorio, ha promosso la proiezione de “La corazzata Potemkin” il 12 giugno presso il cinema “Conca verde”, proprio nel capoluogo orobico: 250 persone presenti, tutte attente, entusiaste, coinvolte. Un risultato inatteso solo da chi non conosceva il valore di un film straordinario.

    Analisi puntuale e condivisibile in tutto e per tutto. Grazie per questo intervento che ritengo necessario.

  14. “…. il bersaglio di Salce e Villaggio non erano banalmente le cose «pesanti» e «difficili», non erano gli «intellettuali», ma il potere – rappresentato dalla Megaditta che tutto controlla..”
    No, decisamente NO. Villaggio lo spiega benissimo, il bersaglio erano proprio gli intellettuali. Forza, autocritica.
    http://www.corriere.it/Primo_Piano/Spettacoli/2003/11_Novembre/03/corazzata.shtml
    ” non smentiscce il suo personaggio: «Il film resta “una cag… pazzesca”, il frutto del tabù intoccabile della sinistra, tipico degli anni ’70, della supremazia del cinema sovietico». Lo sfogo di Villaggio e’ contenuto in un’intervista esclusiva alla testata online dvdweb.it
    «La Corazzata Potemkin è un film di una noia mortale – racconta Villaggio -. Mi ricordo che quando ero giovane, era quasi obbligatorio vederlo. Soprattutto per noi di sinistra. Subivamo l’influenza culturale dell’Unione Sovietica, e c’erano due tabùintoccabili: la Resistenza e, ancora di più, la superiorità culturale del cinema e della letteratura sovietica.”
    ” Poi l’autore di Fantozzi racconta la sua prima volta con la «Corazzata»: «Fu durante un cineforum a Genova. C’eravamo io, De André, e tanti altri. Ricordo che la scena della fucilazione sulla scalinata di Odessa venne proiettata dopo appena dieci minuti dall’inizio del film. E il responsabile del cineforum si alzo’ e dichiarò “Questo è il piu’ bel film di tutti i tempi!”. Noi del pubblico eravamo senza parole – prosegue Villaggio -, assolutamente attoniti. A quel punto, l’addetto alla proiezione si alzò e confessò di aver proiettato il film al contrario. Prima il secondo tempo, poi il primo. Il responsabile, imbarazzatissimo, non si lascio’ prendere dal panico: “Bene, allora lo riguardiamo dall’inizio”. Fu un momento terribile». ”

    “«Il film in sé non è terribile, quanto il fatto che allora non si potesse dire niente contro il diktat culturale del partito. Quando in Fantozzi dissi che la Corazzata era una boiata pazzesca, attaccai proprio quel mondo. Per la prima volta da sinistra si levava una voce contro la santificazione di certi miti. Uno dei momenti più emozionanti della mia vita, racconta ancora l’attore, fu quando andai a presentare Fantozzi in Unione Sovietica. Allora si era in pieno regime Brezneviano. E quindi Staliniano. C’erano seimila persone ad ascoltarmi. E quando dissi che la corazzata era una boiata, si scatenò davvero l’entusiasmo. La gente applaudiva davvero per decine di minuti. Travolsero le sedie, gridarono il loro entusiasmo. Fu davvero commovente».

    Brutta operazione, far dire a Villaggio l’opposto di quello che pensava. Male, molto male.
    http://www.dvdweb.it/View_News/20031103124913/Villaggio_La_Corazzata_Potemkin_Una_boiata_pazzesca_Anche_in_DVD.html

    • Nel post qui sopra c’è scritto:

      «Qui è necessaria un’avvertenza: qualunque cosa abbia dichiarato nei decenni successivi (e ha detto ogni cosa e il suo contrario, anche su La corazzata Potemkin), ricordiamo sempre che all’epoca dei primi due Fantozzi Villaggio era all’estrema sinistra. Ancora undici anni dopo si candidò alle elezioni politiche con Democrazia Proletaria.»

      Porta poco lontano mettere in testa al Villaggio degli anni ’70 le idee del Villaggio reazionario, nichilista, infinito revisionatore di se stesso, banalmente provocatorio (in realtà conformistissimo) e – diciamolo pure – alquanto rimbambito di quarant’anni dopo.

      Già, sotto l’aspetto metodologico, è da sprovveduti interpretare un’opera affidandosi totalmente a quel che ne dice l’autore. Roba che ti ridono dietro nei corridoi di qualunque dipartimento di letteratura o studi cinematografici. E te lo sta dicendo un autore.

      Se poi l’autore si esprime sull’opera quarant’anni dopo, in una società completamente cambiata, e nel frattempo ha cambiato idee politiche, e per giunta in molte occasioni precedenti ha detto cose volta per volta diverse… Beh, magari sarà interessante studiare le modifiche, le giravolte, i voltafaccia, il come l’opera cambia retrospettivamente anche nel giudizio del suo autore, ma è deleterio far retroagire queste giravolte sul contesto originale in cui l’opera si inserì e su come fu recepita all’epoca.

      Anche i virgolettati che riporti qui sopra sono contraddittori, Villaggio oscilla incoerentemente tra l’attacco – del tutto infondato – al film stesso («di una noia mortale», e di nuovo «cagata pazzesca») e la critica (giusta e più vicina allo spirito originario della parodia) del feticcio che il film era diventato, cioè di certi *discorsi* sul film.

      Anche in questa sua intervista la ricchezza della parodia del 1976 viene appiattita nella facile (oggi davvero troppo facile, e stucchevole) polemica contro i cineforum di sinistra. Ribadiamolo, tra l’altro: quello che si vede nel film non è un cineforum di sinistra.

      • Pertanto l’interpretazione di Wuming1 dell’ur-pensiero di Villaggio é più vera di quella di Villaggio stesso.
        Antitetico pure sostenere il”banalmente provocatorio (in realtà conformistissimo)”: se cosí fosse sarebbe sempre stato conformistissimo, tanto negli anni 70 da estremista di sinistra quanto in seguito da “provocatore rimbambito” ma adeguato al pensiero mainstream vigente.
        Ovviamente se fosse vero che ” è da sprovveduti interpretare un’opera affidandosi totalmente a quel che ne dice l’autore” potrei a mia volta interpretare il pensiero di Wuming1 e sostenere l’opposto di quello che Wuming1 stesso sostiene e fargli dire quello che voglio.
        Meglio sprovveduti che burattinai del pensiero altrui….

        • La differenza tra la tua boutade della serie “allora vale tutto” e la discussione che stiamo portando avanti qui è che noi leggiamo “Fantozzi” – e quella scena del secondo film – reinserendolo nel dibattito culturale e nel contesto sociale in cui fu scritto, girato e recepito dal suo primo pubblico. Facciamo notare che la decontestualizzazione della gag (e la non conoscenza del film parodiato) ha fatto perdere per strada molti, troppi elementi, dunque esplicitiamo le citazioni e allusioni che oggi sfuggono ai più. Il tutto tenendo conto delle posizioni politiche più volte esplicitate da Villaggio all’epoca, e delle spiegazioni date *allora*. Ben lungi dall’essere un lavoro di interpretazione arbitrario, tiene conto di molti più fattori rispetto a “Villaggio in un’intervista del 2015 ha detto”. Tanto più che in quell’intervista dice due cose diverse.

    • Come puoi capire ascoltare nel link che avevo già postato sopra (https://youtu.be/HY5DJAa6JHc?t=226), Villaggio ha raccontato diverse versioni sulla genesi dell’episodio. In quel caso non parla né di De André, né di cineforum di partito, né di Potemkin rimandato “sadicamente” da capo:

      «Paolo Villaggio ha amato come tutti terribilmente il cinema, quando era provinciale. Io ho passato delle mitiche serate in cineteca. Ho visto rassegne di film in cecoslovacco con sottotitoli in tedesco. Ho visto un film di Griffith che si chiamava L’Uomo di Aran. Era un film che durava cinque ore: CINQUE ORE. Il sabato sera c’era un gruppo di gente un po’ diversa, fatti in maniera un po’ curiosa. Il capo carismatico era uno che conoscete, era Claudio Fava, quello che dirige “Cinema di notte”. E lui si alzava e diceva:”Questa sera abbiamo il piacere enorme” – e lo diceva con una punta di sadismo perché capiva che tutti erano disperati, ché purtroppo non c’era altra soluzione che rimanere lì per questi disgraziati – “il piacere enorme di vedere ‘La madre di Pudovkin’. È arrivato uno gli ha detto: “Guardi non sono arrivate le pizze..”. Tra l’altro avevo una fame terribile e in quel momento la parola “pizza”…”Della madre faremo vedere ‘Il segno di Zorro'”. Hi! (c’è stato un momento!). L’hanno visto almeno due volte gli intellettuali. E una sera ho detto: “sarebbe bello dire la corazzata,” – era un capolavoro, il più grande film di tutti i tempi, si favoleggiava – “la corazzata Potemkin è una cagata pazzesca”.»

      Questa, come l’intervista che tu citi, sono interviste già ‘fantozziane’, dove il racconto del reale non è che un altro modo per estendere l’universo comico di Fantozzi. Come nei suoi film, anche nelle interviste e negli scritti di Villaggio ritornano gli stessi stilemi, le stesse situazioni, lo stesso ritmo comico, ma applicati a contenuti e contesti diversi. In questa intervista ad esempio Villaggio riformula l’immagine comica della “doppia visione del film” su “La madre di Pudovkin”, mentre usa l’iperbole del film che dura cinque ore (accentando e alzando la voce sul “cinque”) su un’opera di Griffith, padre del lungometraggio narrativo americano e non sovietico. Non c’è il cineclub di sinistra, ma la rassegna con i cinefili un po’ sfigati (riprendendo l’immaginario del romanzo evocato da @buonipresagi), pervasi da questo rapporto sado-masochistico con vecchie le pellicole.

      In generale, affidare l’interpretazione di un testo alle interviste a posteriori del suo autore non è mai saggio, tenendo presente l’autocoscienza che Villaggio stesso aveva dell’impatto mediatico del suo personaggio (un “media franchise” come lo si definirebbe oggi, spalmato fra libro, cinema, tv, musica e fandom) e della natura meta-comica di ogni sua uscita pubblica (assistetti ad una conferenza su e con Villaggio proprio sul personaggio di Fantozzi, e le sue risposte erano divertenti quanto elusive: raccontava gli aneddoti di lavorazione del film come la continuazione del film stesso).

      Insomma tutto questo fervore per aver scoperto l’intervista “alternativa” su dvdweb.it lo ridimensionerei un pochino ;-)

      • “ci si è dimenticati che quello rappresentato nel film non è un cineforum di sinistra: è il cineforum della Megaditta, rivolto non a compagni ma a colletti bianchi “apolitici”. Guidobaldo Maria Riccardelli non è un compagno né un intellettuale di sinistra: è un uomo dell’azienda, del capitale…”
        Se ci si fosse limitati alla rivalutazione del solo film per il suo valore cinematografico non avrei avuto nulla da ridire.
        Ma qui si discute del valore politico del film e di come veniva ideologicamente utilizzato dagli intellettuali di sinistra.
        Altro che spostare la critica sulla “megaditta” e i colletti bianchi “apolitici”: qui Riccardelli non rappresenta la megaditta ma la megaintellettualità di sinistra.
        L’operazione di Wuming pretenderebbe di non voler buttare il bambino Kotiomkiano con l’acqua sporca di sinistra. Questa é “l’interpretazione” pazzesca.

        • Riccardelli non è un quadro e un rappresentante della Megaditta?! Alla faccia delle interpretazioni “libere”! Scusa, ma da quanto tempo non vedi quel film?

          • Penso sia opportuno linkare questa parte del film dove viene introdotto Riccardelli:
            https://www.youtube.com/watch?v=RZZP75DNajc

            Egli è presidente della commissione assunzioni della Megaditta, ed il motivo per cui Fantozzi viene promosso dalla posizione di Spugnetta per Francobolli è stata una leccata di culo verso la sua passione per il cinema espressionista tedesco.

            Da notare anche in Riccardelli l’abissale differenza tra pettinatura/abbigliamento dentro l’azienda e nel cineforum, in ‘borghese’ diciamo. Insomma, più Quadro di così… :-)

            • Dice veramente moltissimo sul nostro presente, su com’è stata distorta se non capovolta la ricezione del film e della famosa scena, il fatto che molta gente oggi creda quel cineforum un cineforum di sinistra anziché uno spazio aziendale, e Riccardelli un “intellettuale di sinistra” anziché un autoritario dirigente aziendale. Dice molto sull’egemonia ideologica dell’aziendalismo il fatto che le colpe dell’azienda, in una torsione allucinata ma non casuale, vengano date alla “sinistra”.

              • (visto che ho rotto l’astensione, ne approfitto) tra l’altro, se un bersaglio (secondario) di Fantozzi erano (anche) i cineforum – ma in primis l’utilizzo elitario e classista della cultura – non è detto che necessariamente fossero i cineforum di sinistra: per esempio nell’intervista linkata da nexus Villaggio si riferisce a Claudio G. Fava (genovese), che è il prototipo dell’intellettuale borghese liberale.

                • non so se vi arriverà la notifica. non so neanche se ve ne freghi più qualcosa. ma poiché i miei unici due commenti su Giap sono legati a questo vostro articolo, che come scrissi in un altro commento di questo thread all’epoca mi colpì molto, tanto da farmi fare outing, ci provo, perché in effetti la coincidenza che mi accingo a raccontarvi è abbastanza sorprendente. di recente ho trovato nell’archivio di mio nonno, un architetto piuttosto noto a Genova, che ebbe molta fortuna soprattutto tra gli anni 50 e 80 del ‘900, alcuni disegni e fotografie di un “cinema-teatro” a Cornigliano, datati 1957. Con un po’ di fatica (l’unica foto dall’esterno era una foto di cantiere, molto ravvicinata) ho individuato la localizzazione dell’edificio (demolito, ho scoperto in seguito, nel 1995) e, sulla base di questa, l’ho identificato con precisione: si trattava del “Teatro di fabbrica”, realizzato dalle Acciaierie di Cornigliano nelle pertinenze di Villa Bombrini. Ho scoperto che Claudio G. Fava era una delle persone che si occupavano della programmazione. Questo, insieme al fatto che Villaggio nei primi anni ’60 lavorava come impiegato alla Cosider, gruppo Italsider (che assorbì l’acciaieria nel 1960) permette di chiudere il cerchio, e identificare con quasi certezza il contesto sociale, culturale, oltre che lo spazio fisico a cui Villaggio si ispirò.
                  Un ultimo dettaglio: oltre a Fava, anzi ancor di più, si occupava del cinema-teatro anche un altro critico noto a livello locale (peraltro amico di mio nonno), Claudio Bertieri, molto attivo nel campo della comunicazione d’impresa, di area diciamo socialdemocratica-riformista. Quindi la reazione di Fava ai ricordi di Villaggio “si sbaglia, era un altro Claudio”, potrebbe corrispondere a verità, ed è plausibile che Villaggio abbia citato Fava perché più noto a livello nazionale. E’ una piccola storia collaterale; ve l’ho raccontata perché aggiunge un tassello, seppur secondario, al vostro mosaico, e insieme, aggiunge a posteriori una giustificazione magico/psicanalitica al mio quasi innato interesse al tema del vostro post.

              • Una cosa che ho notato, come anche @buonipresagi sotto racconta, è che nemmeno io mi sono mai posto il problema dell’appartenenza politica di Riccardelli. Ma credo che su questo sia molto importante il background personale:
                Nato negli anni ’80, ho stra-rivisto a manetta i primi Fantozzi perché li avevo su VHS in tenera età. La ‘cagata pazzesca’ sognavo di dirla a scuola quando interrogato su un qualcosa che non sapevo o noiosa, con 92 minuti di applausi dei miei compagni delle elementari.
                L’introduzione di Riccardelli mi rimaneva sopratutto per il ‘Caligarissssss’ che mi faceva ridere, quindi è subito per me diventato un (pre)potente che obbligava a fare quello che uno non voleva fare. A 8-10 anni quasi tutti gli adulti per me erano così.
                Quindi la scena vista (e amata) da bimbo, con il muro caduto da qualche anno e zero coscienza sociale, non mi ha trasmesso un particolare fastidio o spocchia verso quello che costringevano a far vedere, ma verso la costrizione in sè. E da adulto, appunto dopo anni e un minimo di criticità acquistita, non sono mai arrivato ad identificare Riccardelli come un noioso intellettuale di sinistra, nemmeno d’istinto.
                Di contro, il finale del primo film con l’avventurismo piccolo-borghese di Fantozzi, la successiva resa incondizionata all’azienda e il ritorno nei ranghi come parafulmine, all’epoca mi trasmettevano un’immagine da Don Chisciotte. Anche se studi, capisci e ti ribelli, sarai solo. Lancerai il sasso, ma i colleghi d’ufficio sfruttati come te scapperanno, e passerai i guai. Alla faccia della lotta di classe.
                Insomma, per me l’opera di Villaggio e Salce sembra mutare di continuo a seconda dell’ambiente e dei tempi in cui viene fruita per la prima volta. Ma forse si può dire di ogni parodia colta.

          • no, innanzitutto é il “professor Guidobaldo”. Pertanto anche se al servizio della megaditta, é (o pretende di essere/si reputa) un intellettuale. É colui che assume fantozzi facendogli esclusivamente domande sul cinema.
            Gli intellettuali da cineforum che hanno ispirato il personaggio (per ammissione dello stesso fantozzi nell’intervista) sono quelli di sinistra ed il cinema sovietico (e/o dell’est europa) era quello che veniva propinato non tanto (e solo) per il contenuto cinematografico ma per quello politico.
            La punizione (contrappasso anti-intellettuale) a cui il professore viene condannato é la visione di giovannona coscialunga, non é una rivolta contro la Megaditta. É la pellicola ad essere bruciata. La rivolta é antiintellettuale di sinistra (di sinistra erano i critici che condannavano i film comici, i cantanti non impegnati politicamente che non si adeguavano). QUesti sono i fatti ispiratori trasposti nella Megaditta.

            • Certo che si reputa un intellettuale, grazie al cazzo, questo lo abbiamo dato per scontato tutti dall’inizio della discussione. Ma è l’intellettuale di regime, l’intellettuale integrato al sistema capitalistico rappresentato dalla Megaditta. Talmente integrato che è al tempo stesso un dirigente della Megaditta. E no, per quanto tu insista su quel punto, NON è un “intellettuale di sinistra”, non è caratterizzato così. E anche quando scrivi “Gli intellettuali da cineforum che hanno ispirato il personaggio (per ammissione dello stesso fantozzi [in realtà Villaggio, N.d.R.] nell’intervista) sono quelli di sinistra” scrivi una fesseria, perché in quell’intervista Villaggio parla di Claudio G. Fava, che non era un intellettuale di sinistra.
              Dopodiché, sei libero di vedere il babau della “sinistra” dappertutto, ci mancherebbe.

              • davvero pensi che un professore intellettuale negli anni ’70 (pur avendo incarichi aziendali) avrebbe potuto non essere schierato a sinistra? Davvero lo pensi? Figurati che erano (o si dichiaravano di sinistra) fior di industriali (anzi, di “padroni).
                Non é questione di babau (sai cosa importa) o non babau. Se non eri apertamente schierato eri automaticamente un fascista.
                “Mi ricordo che quando ero giovane, era quasi obbligatorio vederlo. Soprattutto per noi di sinistra. Subivamo l’influenza culturale dell’Unione Sovietica, e c’erano due tabùintoccabili: la Resistenza e, ancora di più, la superiorità culturale del cinema e della letteratura sovietica.” Sorry, queste sono le parole di Villaggio. La scelta del film non é casuale.

                • A parte che tra compagni non ci si chiamava certo «professori» e semmai tra gli intellettuali di sinistra la tendenza era a un egualitarismo esibito e ad aborrire titoli come quello, io ti faccio notare che nella Megaditta son tutti «dottori», «professori» ecc. A un certo punto viene dato del Lei a un cane.

                  In Italia, soprattutto nell’Italia piccolo-borghese, e ancor più nell’Italietta di allora, «professore» è uno dei tipici titoli che vengono assegnati anche molto liberalmente a interlocutori che hanno potere. La commedia all’italiana ci ha costruito sopra gag già ben prima del ’68, gag che non riguardavano assolutamente gli “intellettuali di sinistra”.

                  Confermo quello che scrivevo in un altro commento, dialogando con Lo.Fi. Il problema è guardare e riguardare quella sequenza su YouTube senza ricordarsi granché del resto del film…

                  …e una conoscenza molto sommaria, rimasticata, stereotipata del contesto degli anni ’70 fa il resto.

                  Quando scrivi: «davvero pensi che un professore intellettuale negli anni ’70 (pur avendo incarichi aziendali) avrebbe potuto non essere schierato a sinistra?»,

                  io ti rispondo che la scuola, l’università, la Rai, i ministeri, le redazioni dei quotidiani e dei periodici, tutti questi posti erano STRACOLMI di professori (e “professori”) non di sinistra. Stracolmi.

                  Questa visione retrospettiva di una sinistra che negli anni ’70 aveva il controllo della cultura è nata con il revanscismo di destra dell’epoca berlusconiana, le prime campagne “retroattive” sui “cinquant’anni di egemonia culturale della sinistra” le ha fatte nel 1993 “L’Italia settimanale”, periodico diretto da Marcello Veneziani.

                  Ebbene, questa ricostruzione di comodo dimentica alcuni “piccoli” dettagli, e cioè che il ministero della pubblica istruzione è stato per cinquant’anni ininterrottamente in mano alla Democrazia Cristiana; che la Rai degli anni ’70 era ancora quella democristiana su cui Bernabei e i suoi esercitavano un controllo soffocante (la Rai che aveva cacciato Dario Fo e Franca Rame e aveva una lunga lista di artisti che non potevano comparire nei programmi); che i periodici più venduti non erano certo i “Quaderni piacentini” ma “Oggi” e “Gente”; che i libri di saggistica più venduti erano i volumi della “Storia d’Italia” di Montanelli e Cervi. Nell’Italia che da trent’anni mandava al governo la DC i “dottori” e “professori” NON di sinistra erano la maggioranza.

                  Dopodiché, tu ovviamente puoi continuare ad aggrapparti al mix di paraculate, distorsioni e ricordi incoerenti che caratterizza le esternazioni dell’ultimo Villaggio. Ma se pensi che tale mix possa sostituire la ricostruzione rigorosa del periodo e una visione d’insieme dei primi due film di “Fantozzi”, abbiamo poco da dirci.

                  • Ma veramente sei convinto che siccome ..”Io ti rispondo che la scuola, l’università, la Rai, i ministeri, le redazioni dei quotidiani e dei periodici, tutti questi posti erano STRACOLMI di professori (e “professori”) non di sinistra. Stracolmi.” questi erano quelli che organizzavano & frequentavano i cineforum dove si proiettava la corazzata?? Perché di quello stiamo parlando, non di un cineforum dove si proiettava “luciano serra pilota” o “don camillo”.
                    Si proiettava la corazzata e Paolo Villaggio stesso parla del tipo di Cineforum da lui frequentati e dei relativi personaggi.
                    Il tuo problema é proprio questo “le prime campagne “retroattive” sui “cinquant’anni di egemonia culturale della sinistra” le ha fatte nel 1993”
                    Vuoi a tutti i costi negare dei fatti chiarissimi come l’intervista di villaggio del 2003 quanto il tipo di cineforum e gli intellettuali che villaggio frequentava al tempo e pure il film in oggetto. Fantozzi subisce tanto la megaditta quanto la cultura di sinistra dominante (e lo dice VILLAGGIO, non io: e lo ha sperimentato villaggio, non io ne’ tu.Non credo che nessuno di noi 2 fosse presente al cineforum che frequentava villaggio, non pretendere di interpretare diversamente quello che lui ha detto nel 2003 ).

                  • Perché continuare a suonare come un disco rotto e pretendere che gli altri facciano lo stesso, ripetendo mille volte quanto già argomentato? I plausibili motivi per cui in quel cineforum aziendale – che NON è né sarà mai, pur con tutti gli sforzi e le insistenze di chi ce lo vuole vedere, un “cineforum di sinistra” – si proietta proprio “La corazzata Potemkin”, quei motivi io e altri li abbiamo già esposti e addirittura sviscerati. La scelta appare perfettamente inserita nelle controversie dell’epoca sul recupero della cultura rivoluzionaria da parte della borghesia e del capitale.

                    Quel che penso delle esternazioni e ricostruzioni di comodo del tardo Villaggio (che nel corso degli anni ha dichiarato tutto e il suo contrario, a volte dicendo senza problemi di essere un mentitore) l’ho già detto, non mi dilungo oltre. Mi limito a ribadire che Villaggio fa un solo nome: Claudio G. Fava. Su questo hanno scritto anche Anto e Robydoc. Claudio G. Fava non è mai stato un intellettuale di sinistra, era un liberale.

                  • E Paolo Villaggio all’epoca era un intellettuale di sinistra, un attore che andava con Gian Maria Volontè nelle fabbriche occupate, come documenta questa foto che prendo in prestito da Marta Fana. https://twitter.com/monster_chonja/status/882651795226537985

                  • E niente, come scrivevo ieri su twitter, almeno Pat Garrett aveva ammesso che “times have changed”, e dopo aver ucciso Billy aveva sparato alla propria immagine riflessa nello specchio. Invece nello svacco dell’Italia post 1980 non c’è traccia di epos, solo uno squallore e una pena infinite.

                  • Sì, Villaggio *era* un intellettuale di sinistra. Cosa che dagli anni ’90 in poi ha in parte rimosso e in parte rinnegato. Le sue ricostruzioni successive di quell’epoca sono segnate da continui “aggiustamenti” e sono condizionate da tale rimozione e rinnegamento. Sono interessanti per questo, perchè la storia usa come fonte non solo la testimonianza ma anche la progressiva *alterazione* della testimonianza. Ma prenderle alla lettera, prendere per buono quel che dicono, pensare che siccome è lui a parlare la sua testimonianza sia automaticamente veridica, è un errore di metodo marchiano.

              • Pare che Claudio G. Fava non fosse tanto contento dell’identificazione con il prof. Guidobaldo. Sosteneva che era una storia che Villaggio raccontava a Genova ma che in realtà confondeva lui con un altro misterioso “Claudio”. Non credo che il suo problema fosse quello di non essere confuso con un intellettuale di sinistra, quanto quello di personificare una figura repressiva, pienamente repressiva. Tutti i dirigenti della megaditta, nessuno escluso e di qualsiasi cosa si occupino, sono *prima* sfruttatori e poi appassionati di ciclismo, gioco d’azzardo, caccia eccetera. E cinema. Mi pare che in generale uno dei temi ricorrenti del ciclo sia quello di mostrare come il tentativo da parte dei padroni di impossessarsi anche del tempo libero, inteso come tempo fuori dal lavoro, finisca con l’essere svilito. A nessuno verrebbe in mente che in Fantozzi ci sia un attacco al tennis per dire. È anche, credo soprattutto, l’inadeguatezza politico-culturale delle classi dirigenti a essere attaccata. Tutto diventa repressione, nel momento in cui se ne impossessa un padrone: lo sport, il gioco, la cultura, il passare il tempo. Del resto tutto è una “cagata pazzesca” in Fantozzi. Tutte le cose belle appunto. Perché una delle caratteristiche dei padroni è proprio quella di rendere una cagata qualsiasi cosa, pure le più belle. È comprensibile che Claudio G. Fava non fosse tanto contento…

                • OT: i film non li ho visti, o meglio ho visto un pezzo del primo ma ero cosi’ piccola che ho protestato acerbamente perché non capivo nulla e volevo solo essere portata via da quel posto, quindi preferisco non parlarne. Oggi ho rivisto la sequenza delle navi e l’ho trovata cinematograficamente meravigliosa. Ma è un po’ poco.

                  Pero’ questa discussione surreale mostra in fondo quanto sia urgente e necessaria una decostruzione meticolosa (materiale e immaginario, per parafrasare non a caso un manuale scolastico) della mistificazione sugli anni ’70 in atto e in cui “il terrorismo” cui un tempo tutto veniva ridotto è l’ultimo dei problemi (per una volta!). L’idea che fossero tutti “intellettuali professori di sinistra” che opprimevano il “sano” popolo dai gusti semplici ma divertenti e dalla vita piena di valori sicuri perché volevano sfruttarlo dall’alto del loro latinorum, sta diventando la principale chiave di lettura di quegli anni a livello diffuso.

                  Certo facilitata, anzi spianata dalla posizione attuale di partiti di “sinistra” (cioè le organizzazioni di maggiore impatto su persone non politicizzate) di fatto pienamente schierati e non da oggi con le posizioni del grande capitale. (Intendo tutti ma proprio tutti i partiti dal PD fino al fondo dello schieramento parlamentare e cespuglioso al servizio della restaurazione UE). Ma appunto organizzazioni del genere non possono essere chiamate “sinistra” se non in maniera strumentale da un lato e totalmente sbagliata dall’altro.

                  Ci mancherebbe solo che la destra riuscisse a colonizzare completamente anche quella fase storica senza che nessuno più sapesse smontare il puzzle diabolico che stanno costruendoci su.

                  Da un lato l’antiintellettualismo del vulnerabile, dall’altro il risentimento dello sfruttato non cosciente, sommati alla mancanza di rigore metodologico di chi recepisce messaggi solo apparentemente lampanti e all’abilità retorica spesso consumata di chi propone oggi letture sempliciste, chiare ma mai precise, che fanno leva anche sul senso di colpa nei confronti di un periodo pretesamente edonista e libertino.

                  Un periodo storico finito in una gigantesca sconfitta viene letto come una sorta di minacciosa incubatrice degli odierni mali, in realtà dovuti alla riscossa del capitale, identificando le carriere personali di alcuni personaggi con lo scopo ultimo dei movimenti di allora. Ne sono ossessionati i moderni cantori del perbenismo di destra… evidentemente hanno avuto davvero paura.

                  Ma si stanno costruendo un’egemonia culturale completa su quel periodo e a mio parere cio’ è assai pericoloso, perché rischia di radere al suolo qualsiasi consapevolezza di quel momento storico, il più lungo e il più intenso in cui gli sfruttati hanno provato a non stare zitti nell’ultimo mezzo secolo, riducendolo a una sorta di capriccio dannoso di ragazzini viziati che hanno distrutto la virtù del popolo.

                  Prima l’attacco avveniva sul tema del “terrorismo” ora è assolutamente pervadente e riprende il peggiore armamentario della destraccia di allora (cosa erano i periodici di Rusconi!).
                  La cosa gli riesce perché hanno imparato a scavare molto bene nelle contraddizioni della sinistra, con virgolette o senza, come la linea culturale del PCI di allora, certamente un cattoidealstalinismo soffocante e alla fin fine anche molto borghese, o lo sputtanamento politico totale e senza remissione della autoproclamata “”””sinistra”””” di oggi.

                  Quindi benvenuto questo post come quello su Pasolini (ommiodio che repugnanza invincibile quando continuano a citare a vanvera quel testo che manco hanno letto, come se la creazione letteraria di un tizio “libero” di scrivere le scemenze che vuole, fosse un’analisi storica, sociologica, economica e culturale inattaccabile, oltrettutto!!!! e altri ignoranti gli vanno pure dietro).

                  E’ un commento un po’ troppo personale, e tutto sommato banale, quindi mi fermo. Semplicemente la questione mi tocca molto, forse per la sua enorme carica mistificatoria e per l’artificiosa confusione di piani difficili da districare che comporta. E il lavoro da fare pare immane.

      • Premesso che anche Villaggio stesso ha ammesso di mentire spudoratamente nelle sue narrazioni, “L’uomo di Aran” è di Flaherty, e dura se non ricordo male poco più di un’ora.

    • Forse basterebbe leggere quello che dice proprio Villaggio nell’intervista al corriere, testualmente: “Il film in sé non è terribile, quanto il fatto che allora non si potesse dire niente contro il diktat culturale del partito. Quando in Fantozzi dissi che la Corazzata era una boiata pazzesca, attaccai proprio quel mondo.”
      I diktat dle partito.
      Quindi l’attacco era rivolto: a chi reprime il dissenso, ai falsi intellettuali che parlano “dell’occhio della madre” e non della rivolta, alla megaditta magari in combutta con i quadri del partito che mette dentro i raccomandati di questo in posizioni comode (Riccardelli).
      Più chiaro di così…

  15. volevo fare notare la differenza fra un buon articolo come quello che stiamo commentando e un tweet secondo me sbagliato non solo nei modi e nei tempi, ma anche e soprattutto nel merito.
    Cioè Paolo Villaggio ha reso un ottimo servizio alla Corazzata Potemkin!
    Nessuno, a parte quattro obesi del Dams Cinema, conosce Oktjabr di Ejzenstein, mentre moltissimi conoscono (o quantomeno hanno sentito parlare di) Potemkin proprio grazie a Fantozzi.

    Forse nel messaggio precedente non si è capito che io condivido al 100% questo vostro pensiero:
    “La corazzata Potëmkin – nel film di Salce parodiato in «Kotjomkin» – narra una rivolta, ma la rivolta è addomesticata, disinnescata, la cornice del cineforum aziendale e la modalità di fruizione la sviliscono, e la visione stessa è sminuzzata, non c’è più l’insieme, solo dettagli: «L’occhio della madre… La carrozzella…»

    e sono molto contento che abbiate deciso di parlare di questo argomento offrendo il vostro punto di vista in maniera completa e ariosa, non in 140 angusti caratteri.
    Semplicemente contesto che Paolo Villaggio abbia arrecato al film alcun “danno culturale”. Semmai, lo ha reso famoso, “memeizzabile” o “memabile” che dir si voglia. Se la Cineteca di Bologna ha potuto produrre quelle divertenti clip sulla Corazzata Potemkin è proprio *grazie a* Fantozzi, non *nonostante* Fantozzi. Immagino le giovani coppie bolognesi dirsi “ANDIAMO A VEDERE LA CORAZZATA POTEMKIN? COSì VEDIAMO SE è DAVVERO UNA CAGATA PAZZESCA LOL”. La Corazzata Potemkin grazie a Villaggio è diventato un meme, e i meme non sono nè buoni nè cattivi: dipende da come vengono usati, e la Cineteca di Bologna che è una grandissima istituzione culturale, ha avuto l’intuizione feconda di usare il ‘traino’ di Fantozzi per portare la gente ad ammirare il capolavoro immortale di Ejzenstein.
    E una volta in piazza Maggiore, le persone andate col mezzo sorriso per la cagata pazzesca, scoprono che in realtà è un grandissimo film.

    Voi mi bacchettate per aver omesso la sfilza di tweet e aver citato solo il primo tweet da voi twittato (con tanto di hashtag #PaoloVillaggio) poche ore dopo la notizia della morte. Attenzione, il cadavere di Paolo Villaggio non è sacro, non è questo ciò che vi contesto. Lui stesso ha reso il suo corpo e la sua morte (più volte annunciata) un qualcosa di grottesco, dalla pancia immane fino agli improbabili caftani e gonnelloni con cui si acconciava negli ultimi anni.

    Per sottolineare la sua linea dissacratrice, un dettaglio non da poco è che un trentennio dopo la candidatura con Democrazia Proletaria, Paolo Villaggio cominciò a esprimersi con toni quantomeno ambigui sull’immigrazione, dicendo alla Zanzara che “..agli immigrati poteva pensarci Hitler.” Non si tratta di un cambiamento reale di idea politica, ma del suo atteggiamento tipicamente provocatorio e dissacrante. L’aneddoto raccontato da Berlusconi su Paolo Villaggio che entra nel suo studio strisciando e dicendo “Sire! mi perdoni!”è assolutamente verosimile, per quanto urticante.
    Villaggio secondo me è in quella schiera di irregolari anarcoidi della cultura italiana che da sinistra se ne fottevano di ciò che era conveniente e saggio dire, puntando invece sulla provocazione. Penso a Tognazzi capo delle Br, a Marco Ferreri e al suo Non toccate la Donna Bianca (che per eterogenesi dei fini ora è amatissimo dai razzisti); penso a Luciano Bianciardi e alla sua feroce ironia su icone della sinistra dei tempi come Muhammad Ali e Giangiacomo Feltrinelli.

    Voi stessi vi siete occupati dell’argomento con un bell’articolo sui rapporti sotterranei fra Salò di Pasolini e Amici Miei di Monicelli, ed è quello secondo me il mondo cui bisogna guardare per capire Villaggio. In Amici Miei si ride di uno stupro e della disabilità, in Fantozzi ridiamo delle torture inflitte ai dipendenti. La cifra è sempre il grottesco, e il grottesco non risparmia proprio nessuno.

    • Accetto le tue precisazioni e della “memeizzazione” e dei suoi effetti si può discutere proficuamente, ma questa storia del «comportamento provocatorio e dissacrante» di Villaggio, mi dispiace, non me la bevo.

      Oggi è facilissimo essere «provocatori», in un circuito di media e social media affamati di titoli a effetto. È facilissimo essere «dissacranti», in un clima culturale dove di “sacro” non c’è più nulla perché su tutto è obbligatorio rovesciare cinismo e sarcasmo.

      Dichiarare qualunque cosa passi per la testa per vedere l’effetto che fa; suonare sempre la nota del “niente ha senso, niente ha importanza”; fare l’apologia della ‘ndrangheta per vivacchiare in un titolo di giornale; dire porcherie contro i migranti; assecondare l’andazzo de “La Zanzara”, e quant’altro, tutto questo nell’Italia di oggi è conformistissimo, tant’è che potrei nominarti *decine* di personaggi il cui tristissimo lavoro è fare i “provocatori” a tempo pieno in Tv e in rete.

      La spia da tenere sotto’occhio è la frase “politicamente corretto”. Il “politicamente corretto” è un nemico semi-immaginario, continuamente additato dalle destre per poter inveire contro i poveri, i deboli, gli esclusi, al tempo stesso spacciandosi per disorganici al potere, ribelli, anticonformisti. In un paese saturo di razzismo e sessismo, chi dice che il nemico è il “politicamente corretto” fa un discorso del tutto organico al sistema.

      Il Villaggio degli ultimi venti’anni (almeno), tragicamente a corto di idee e ridotto a comparsate ed esternazioni penose, era perfettamente, confortevolmente inserito in questo triste contesto.

      Quanto al mio vecchio post su Salò e Amici miei, le omologie riscontrate tra i due film coevi non erano certo finalizzate a dire che è fico ridere dello stupro e della disabilità. La retorica sulla presunta onnipotenza e onnidirezionalità della satira e dell’ironia mi ha stufato già un bel po’ di anni fa. Il mio era un invito a guardare il film di Monicelli alla luce di quello di Pasolini, per capire quale dei due film è il “doppio osceno” dell’altro, e trovare in Amici miei – in forma poco tematizzata e comunque sfuggita ai molti che lo guardano acriticamente – aspetti tematizzati in Salò.

      • però io non parlavo di Vittorio Sgarbi o di Fulvio Abbate, dello Sgargabonzi o di Nonciclopedia, di Spinoza.it o di Cruciani, cioè di coloro che per affiorare dal marasma digitale tentano di farsi notare con frasi provocatorie per abbattere il feticcio del politically correct e guadagnare le prime pagine.

        Io parlavo di Mario Monicelli, Fabrizio De Andrè, Luciano Bianciardi, Marco Ferreri, gente che usava il grottesco e la provocazione per fini artistici e in maniera ragionata, poi certo, uno può condividerla o meno, può apprezzarla o meno, non è che deve piacere a priori qualsiasi cosa sia esagerata e provocatoria. Penso anche a Franco Maresco, non a caso ristampato proprio dalla Cineteca di Bologna. Ciprì e Maresco hanno realizzato anche loro capolavori immortali ma anche qualche cagata.

        In ogni caso io non stavo giustificando Villaggio (né tutti gli altri artisti citati), né lo stavo difendendo, volevo solo fornire una chiave interpretativa. Ho visto decine di volte i vari Fantozzi ma Villaggio ha fatto moltissime cose indegne, sia uscite pubbliche come quelle sui migranti alla Zanzara, sia film come Io no spik inglisc. Lo stesso Villaggio parlava di sé stesso come di un opportunista, e non vedo perché io dovrei difenderlo.

        Ma Villaggio ha fatto anche film come Il Belpaese, una satira feroce dell’Italia del boom, un film che ha avuto una vera e propria damnatio memoriae e che risultava urticante, con quei primi piani sulle buste di plastica dei biscotti e del latte, mostrando come perfino la prima colazione nell’Italia del boom era diventata qualcosa di industriale e alienante. Una figura complessa Villaggio, che nel commento sopra avevo inserito appunto in un preciso contesto socioculturale di quel periodo storico italiano.

        Però sulla provocazione insisto: si può fare ridere su qualsiasi argomento, l’importante è saperlo fare con intelligenza: con Monicelli si ride di uno stupro, Radu Mihailenau, Mel Brooks, Benigni, Tova Reich hanno fatto ridere parlando della Shoah; Mordecai Richler ha fatto ridere parlando di Alzheimer, Pahlaniuk ha scritto pagine esilaranti sul cannibalismo, e si potrebbe continuare a lungo.

        Fino a qualche giorno fa, Blob su Rai3 proponeva un monologo di una ragazza disabile che leggeva tutti gli insulti che le erano stati rivolti dai compagni di università, e vedere una ragazza in sedia a rotelle che rideva leggendo frasi del tipo “sei un mostro, nessuno ti vuole, sei un fenomeno da baraccone con quelle braccia enormi e le gambe minuscole, dovevano ucciderti nella culla”, era davvero un esempio di grottesco che colpiva nel segno.

        Poi è ovvio, è una tecnica molto complicata da usare: il Tognazzi di Monicelli disgustato dall’amore lesbico in Amici Miei non è un bel vedere, le provocazioni di Villaggio/Fantozzi spesso erano disgustose e deprecabili, lo stesso Benigni è stato accusato di sfruttare una tragedia a fini umoristici col suo La vita è bella. E mi sto limitando agli esempi più riusciti: c’è tanta di quella merda in giro, di provocazioni fatte solo per il gusto di essere anti politically correct, che non mi va di perdere tempo a parlarne e su questo avete perfettamente ragione.

        • Però quasi tutti gli artisti che citi usavano l’ironia in una società e una fase storica molto diversa da quella attuale, in cui “ironia”, “trasgressività” e quant’altro sono le passioni tristi obbligatorie, e la “provocazione” è conformismo. Il Villaggio spento e banale degli ultimi 20 anni e passa c’entrava ormai molto più con questo scenario che con l’uso del grottesco da parte di Ferreri.

          Scusa, non ho capito un riferimento: “Il Belpaese” è il titolo di un film del 1977 in cui si faceva satira su autonomi, femministe, indiani metropolitani, movimenti… Non è una satira dell’Italia del boom…

          • P.S. “Trasgressività” tra virgolette perchè è un termine logoro da tempo (forse ormai usato prevalentemente sui giornali locali), al quale si ricorre per definire atteggiamenti portati avanti col pilota automatico che in realtà non trasgrediscono un bel nulla.

            • hai fatto bene a notare la mia errata citazione del Belpaese: nel film non è assolutamente presente la scena che ho citato! chissà con quale altro film del periodo l’ho confuso!

              comunque questo mio strafalcione, questo lapsus, può essere utile per ricordare un film reazionario come il Belpaese, che mostrava in maniera esplicita le ansie di ordine della borghesia italiana degli anni ’70. Perché Villaggio (come il suo amico De Andrè) era un borghese, e la provocazione di cui si rendeva protagonista era una provocazione borghese, da Carlo Martello puttaniere fino alle sparate leghiste, da Folagra fino all’esasperazione controrivoluzionaria del Belpaese, c’è una continuità.

              • Ho appena visto Il belpaese, e non mi è parso un film reazionario, anzi. Certo è un film un po’ debole, e credo proprio perché a tesi, a differenza di Fantozzi, che e forte e vivo proprio per le molteplici interpretazioni che offre, in una lotta fra il personaggio e gli autori. Per riassumere, descrive l’Italia sempre con la cifra dell’esagerazione (cascando un po’ quando oltre al surrealismo entrano in scena gag fantozziane superflue), tra malavita e lotta armata, ma con l’accento molto più rivolto sulla prima. E infatti il negozio di Villaggio è messo in pericolo dai malavitosi, chiamati a un certo punto fascisti di merda. Mentre contro i movimenti c’è più che altro presa in giro, bonaria e sacrosanta, visto che tra l’altro alla fine c’è anche la strizzatina d’occhio al fatto che se tirano le molotov bisogna capire quali motivi ci sono dietro. E il finale può persino essere attuale, pur nella sua debolezza, con l’invito a uscire di casa, a non aver paura, al non abbandonare il paese, il belpaese, che può essere salvato da uno, dagli stronzi come Villaggio. Non dagli eroi, quindi. C’è pure la parentesi dell’incontro-scontro con il femminismo, con una femminista, presa in giro anch’essa, e un po’ di autoironia: lui che usato da lei per avere un figlio le dice “ma allora mi hai usato come un uomo oggetto!”

  16. “Guidobaldo Maria Riccardelli non è un compagno né un intellettuale di sinistra: è un uomo dell’azienda, del capitale.”

    Mah, insomma..a me qui sembra proprio lo stereotipo dell’intellettuale di sinistra. http://www.romatoday.it/cronaca/morto-attore-mauro-vestri.html

    • Che Riccardelli sia un uomo dell’azienda non è un’impressione nostra, è un dato di fatto, un elemento costitutivo del film.

      Nella Megaditta la parola «comunista» fa tremare i vetri. L’unico comunista identificato come tale nel film è Folagra, che infatti è un elemento discriminato.

      Riccardelli non è un intellettuale di sinistra, è un intellettuale in servizio permanente attivo per la Megaditta, che della vita dei suoi dipendenti vuole controllare ogni aspetto. Come già detto nel post e in altri commenti, in Riccardelli e nella Megaditta possiamo leggere il capitalismo che ingloba e rende innocue (e financo tediose) anche le istanze rivoluzionarie, come appunto quelle del film di Ėjzenštejn. Ai tempi, questa era una polemica all’ordine del giorno, presente in molte altre opere, agitata da artisti, filosofi e militanti politici, argomentata in saggi, romanzi, performances ecc.

      • Nell’universo fantozziano (molto esplicitamente nei libri, meno nei film) però c’è una certa tradizione di potenti che ostentano un’adesione alla sinistra, che si danno arie progressiste. La “divisa” di Riccardelli evoca in effetti lo stereotipo dell’intellettuale di sinistra, però nel film non c’è nulla che giustifichi questa identificazione (di nuovo, diverso il discorso nel libro dove il cineclub è frequentato da “barbe” che alla fine si uniranno al “blocco d’ordine” e alla “maggioranza silenziosa” a vedere i film con la Sandrelli).
        Facendo un’operazione di completamento del materiale, si potrebbe ipotizzare che il cineforum sia un’attività di cui la Megaditta si vanta perché provvede al miglioramento dei propri dipendenti attraverso attività culturali che prevedono anche la visione di film “progressisti”, una cosa vagamente socialista. Ma appunto, farebbe comunque parte del processo di “assorbimento” di cui sopra.

        • Esatto. Come si ricordava sopra, la Megaditta – per bocca del suo presidente megagalattico – si dichiara “medio-progressista”.

          • Aggiungo che, per quanto oggi possa sembrare strano, i maglioni a collo alto a metà anni Settanta erano diffusissimi e li portava gente di destra, di sinistra, di centro, in alto, in basso, adulti e bambini. Li facevano portare anche a me, che nel 1976 avevo sei anni e leggevo “Soldino” e “Cucciolo e Beppe”.

            • Sì, forse sarebbe stato meglio dire che evoca *oggi* quello stereotipo.
              Però effettivamente devo anche dire che non mi ero mai posto il problema dell’appartenenza politica di Guidobaldo Maria (sempre nell’eventualità di tracciare un quadro completo della Megaditta completando il non detto, è talmente aderente ai valori di quella da essere addetto ai colloqui di assunzione)

              • Esattamente. Più “uomo dell’azienda” di così…

                Secondo me un problema è che troppa gente (soprattutto in questi giorni) si riguarda quella scena – o, peggio, la sola gag della “cagata pazzesca” – su YouTube senza ricordare granché del resto del film.

  17. Ciao a tutti, faccio un brevissimo preambolo di presentazione, non tanto per questioni formali, ma perché penso che possa essere utile ai WM, ma anche a tutti i Giapster, avere un’idea della varietà di *profili* frequentano Giap, in qualche caso anche abbandonando, come nel mio caso, comfort zone piuttosto distanti. E’ la prima volta che commento su Giap, per quanto sia un lettore piuttosto costante del blog (oltre che un discreto lettore dei vostri libri). Non ho mai commentato perché, se Giap è una *comunità*, non mi sono mai sentito completamente parte di questa comunità, soprattutto per quanto riguarda la prospettiva politica che qui, pur nelle differenze di approccio, viene condivisa (non sto qui ad ammorbarvi sulle mie contraddittorie posizioni politiche, diciamo, tanto per non capirci, liberal-social-democratico); oltre ad una certa resistenza personale a entrare attivamente in una comunità di cui non condivido alcuni principi fondanti, non mi pareva neppure corretto nei confronti della comunità stessa. Mi sono dunque limitato a godere del fatto che quella di Giap sia una comunità che offre le proprie riflessioni al dibattito pubblico; qualche volta ho anche contribuito in vario modo a fare da cassa di risonanza ad alcuni articoli che consideravo particolarmente importanti. Ci tengo a sottolineare che stimo e ritengo utile alla collettività (oltre che a me come individuo) larghissima parte del vostro lavoro e di ciò che viene scritto qui, comprese molte cose che sento distanti da me, scomode, e che talvolta davvero non condivido. Perché è soprattutto (non solo) il come fate le cose che mi pare importante e ammirevole.

    Vengo alla Potemkin. In questo caso infrango la regola dell’astensione per raccontare la mia personale relazione con il film. Sono nato nel 1981. Per molti anni per me la Corazzata è stata uno sketch dentro il libro e il film di Fantozzi (stranamente mi è capitato, ancora in età infantile, prima di leggere, e solo dopo di vedere, Fantozzi) e non mi ponevo neppure il problema se fosse davvero una cagata o meno. Era un riferimento che, come fate notare voi, non apparteneva più al mio contesto. Mi sono sempre piaciuti molto i primi due Fantozzi, e man mano che crescevo ne apprezzavo la lucidità nel leggere la società, il sottofondo critico. Un giorno ho scoperto la questione del copyright nella scena del cineforum, e il fatto che gli autori avessero ri-girato le scene di Ejzenstein: mi è capitato allora di cominciare a pensare che dietro a quella parodia, dietro a quella dissacrazione, ci fosse in realtà un amore per quel film (per il cinema in generale, e anche, forse per i cineforum, e ancor più in generale la cultura), e che il tentativo fosse quello di liberarlo (il film, ma anche il cinema, i cineforum, la cultura) dalle incrostazioni si erano accumulate (in primis l’uso elitario) su di esso. Non ero però mai stato sfiorato dalla lettura di terzo livello che proponete voi, con la rivolta dei dipendenti della megaditta che riproduce (come in una versione restaurata, non della pellicola, ma dei contenuti) la storia dei marinai della corazzata e degli abitanti di Odessa. Poi, ancora qualche anno dopo, ero in Erasmus a Granada, ho visto La corazzata Potemkin; in piazza, all’aperto, un sacco di gente tra cui tantissimi giovani, purtroppo senza la musica dal vivo (comunque era una rassegna su cinema e musica, c’erano stati anche il flauto magico di bergman e grazie signora thatcher di loach). Un’esperienza estetica straordinariamente coinvolgente, un film bellissimo, potente, commovente, musica pazzesca. Qualche anno dopo ancora mi è capitato di studiare un po’ l’arte di avanguardia in CCCP, e ho contestualizzato ancora meglio. Ieri ho letto il vostro articolo, e tutte le caselle che avevo in testa vanno al loro posto in un discorso coerente, il terzo livello completa e spiega, la stigmatizzazione dell’anti-intellettualismo e la dichiarazione di quanto l’arte e la cultura possano essere genuinamente (e non commercialmente) popolari mi trovano del tutto d’accordo, insomma grazie!

    • Grazie, davvero grazie per questo commento, per quel che dici in apertura, per la testimonianza personale.

  18. Caro Wu Ming 1,
    ti stimo molto, ho apprezzato il tuo pezzo, ma devo ammettere, purtroppo, che lo trovo disonesto.
    1) Se la proiezione della Corazzata a Bologna è stata un successo, lo si deve (in parte) anche a Salce/Villaggio. Sicuro che a Madrid sarebbe avvenuto lo stesso? Ammetterlo e non limitarsi solo a segnalare l’elemento fuorviante della durata della pellicola sarebbe stato più corretto;
    2) Se quella sequenza (perfetta) del Secondo tragico Fantozzi ha segnato ‘l’immaginario collettivo degli italiani è anche merito delle capacità artistiche di chi l’ha realizzata. Perché non ne riconosci mai il valore intrinseco?
    3) Offrire al pubblico molteplici livelli di lettura – dalla semplice “cagata pazzesca” alla riproduzione “in scala” della rivoluzione – è molto più democratico (e di sinistra) che offrirne uno solo;
    4) Mescolare ragionamenti dotti e documentati a una manciata di tweet scelti ad hoc per sostenere la propria tesi, a mio parere, non è intellettualmente onesto;
    5) L’autore non è in alcun modo responsabile della decontestualizzazione e/o strumentalizzazione dell’opera d’arte che ha realizzato. Semmai lo sono chi la decontestualizza e/o strumentalizza e chi – purtroppo – non ha le capacità critiche per analizzarla correttamente.
    Detto questo: viva la Corazzata Potemkin! E viva Fantozzi!

    • Rispondo nell’ordine di apparizione.

      1. «Se la proiezione della Corazzata a Bologna è stata un successo, lo si deve (in parte) anche a Salce/Villaggio. Sicuro che a Madrid sarebbe avvenuto lo stesso?»

      Avviene dappertutto, in ogni rassegna in cui viene riproposto in giro per il mondo. Curioso che tu faccia proprio un esempio spagnolo, perché in un commento qui sopra (che avresti fatto bene a leggere) Anto scrive:
      «Ero in Erasmus a Granada, ho visto La corazzata Potemkin; in piazza, all’aperto, un sacco di gente tra cui tantissimi giovani… Un’esperienza estetica straordinariamente coinvolgente, un film bellissimo, potente, commovente, musica pazzesca. »

      2. «Se quella sequenza (perfetta) del Secondo tragico Fantozzi ha segnato ‘l’immaginario collettivo degli italiani è anche merito delle capacità artistiche di chi l’ha realizzata. Perché non ne riconosci mai il valore intrinseco?»

      Forse prima di fare domande fuori luogo (e quindi figuracce agli occhi di chiunque stia seguendo davvero post e discussione), avresti potuto leggere e constatare che *l’intero ragionamento* è basato sul riconoscimento delle capacità artistiche di Salce e Villaggio e sul valore di quella parodia, che appunto è molto più raffinata, colta e complessa di quanto pensino i suoi difensori pavloviani a gettone. Tale raffinatezza e complessità la stiamo sviscerando da due giorni, esattamente qui, su questo blog dove tu arrivi ignaro e fai domande a cazzo.

      3. «Offrire al pubblico molteplici livelli di lettura – dalla semplice “cagata pazzesca” alla riproduzione “in scala” della rivoluzione – è molto più democratico (e di sinistra) che offrirne uno solo»

      Idem come sopra. Quelli che stanno analizzando i molteplici livelli di lettura siamo noi, mentre chi attacca questo post e questa discussione ne offre invariabilmente uno solo: la rivolta contro gli intellettuali ecc.

      4. «Mescolare ragionamenti dotti e documentati a una manciata di tweet scelti ad hoc per sostenere la propria tesi, a mio parere, non è intellettualmente onesto»

      Nel post c’è il link all’hashtag #ciaopaolo, perché tutti possano verificare per conto proprio. Feel free to explore.

      5. «L’autore non è in alcun modo responsabile della decontestualizzazione e/o strumentalizzazione dell’opera d’arte che ha realizzato. Semmai lo sono chi la decontestualizza e/o strumentalizza e chi – purtroppo – non ha le capacità critiche per analizzarla correttamente.»

      Altre ovvietà? O con questa hai sparato tutte le cartucce?

      P.S. «Ti stimo molto, ho apprezzato il tuo pezzo, ma»?! Davvero c’è ancora chi esordisce con frasi così platealmente auto-sabotanti? :-D

      • Incasso le tue critiche – anche se, a volte, decisamente poco eleganti -, e apprezzo la tua abilità nel rispondere alle domande eludendo il punto fondamentale. Mi permetto di replicare.
        1) Il mio commento si riferiva al tuo pezzo. Non pensavo che per commentare si dovessero obbligatoriamente leggere TUTTI gli altri commenti. Se è così, me ne scuso. Sei così pignolo anche con chi ti dà ragione? Fatto sta che la folla di Granada non cancella il grande merito del film di Salce: aver reso popolare quel film. Questo aspetto non lo riconosci – mentre riconosci il danno sull’effettiva durata del film – e io continuo a non essere d’accordo.
        2) L’analisi della sequenza – interessantissima – fa riferimento solo al livello di lettura più elevato. Mai alla costruzione dell’effetto comico che l’ha resa popolare. Mi riferivo a questo.
        3) Idem come sopra: al primo livello di lettura – quello che fa presa sulle masse, quello che prende la pancia dello spettatore – non c’è nessun riferimento. Quindi non si rende giustizia alla varietà dei livelli di lettura del testo.
        4) Non volevo porre l’accento sullo “scelti ad hoc”, ma sulla pratica di mescolare ragionamenti dotti con i #necrotweet di chi posta mentre fa la spesa. Secondo me, non è una pratica onesta.
        5) Su Internet c’è un tuo (?) tweet che è diventato virale. Si parlava del danno culturale provocato da Fantozzi. L’ho interpretato come un’accusa nei confronti dell’autore. Se ho frainteso, me ne scuso. Ma non sono l’unico.
        Quanto alle brutte figure, pazienza, capitano a tutti. C’è di peggio nella vita, giusto?
        Un caro saluto auto-sabotante,
        F.

        • Rispondo sempre nell’ordine:

          1. «apprezzo la tua abilità nel rispondere alle domande eludendo il punto fondamentale.»

          Il punto fondamentale è che non avevi letto bene (o non avevi letto per niente) il post. Non ci voleva una grande abilità né per capirlo né per farlo notare.

          2. «Il mio commento si riferiva al tuo pezzo.»

          Appunto.

          3. «il grande merito del film di Salce: aver reso popolare quel film. Questo aspetto non lo riconosci»

          Veramente è la premessa di tutto il discorso. Partendo da quella, si riflette su modi e tempi di questa popolarità, cioè sulle diverse ricezioni nel corso del tempo, e sui fattori che le influenzano.

          4. «L’analisi della sequenza – interessantissima – fa riferimento solo al livello di lettura più elevato. Mai alla costruzione dell’effetto comico che l’ha resa popolare. Mi riferivo a questo.»

          Cioè hai bisogno di me per sentirti dire che Fantozzi fa ridere? Le premesse ovvie a tutti si danno per acquisite.

          5. «mescolare ragionamenti dotti con i #necrotweet di chi posta mentre fa la spesa. Secondo me, non è una pratica onesta.»

          Sorvolo sul tuo concetto di onestà, si è già visto che è alquanto stiracchiato, e in ogni caso tirare in ballo l’onestà al posto degli argomenti è disonesto. Ragion per cui resto al punto: nel fare ricognizione e analisi critica dell’immaginario collettivo si usano tutti i materiali: trasmissioni tv, videogame, tweet, ricettari, whatever. E a maggior ragione se uno twitta mentre fa la spesa: vuol dire che sta facendo altro ma si sente in dovere di scrivere subito, in quel preciso momento, qualcosa su Villaggio, e il fatto che la prima cosa che gli viene in mente di scrivere è che la Corazzata Potemkin è una cagata pazzesca è emblematico e perciò rientra nell’analisi.

          6. «Su Internet c’è un tuo (?) tweet che è diventato virale.»

          in questo momento quel tweet ha 44 retweet. Una “viralità” ben modesta… Questo post invece ha 12.000 condivisioni su Facebook e si avvicina ai 40.000 visitatori (IP unici).

          • D’accordo con te sul punto 4, in effetti è una premessa ovvia (anche se su Internet si è discusso molto del fatto che Fantozzi non faccia ridere). E anche sul punto 5 (a parte il tuo giudizio personale sul mio concetto di onestà, ovviamente, ch rimando al mittente). Per il resto: ho letto benissimo il tuo pezzo e l’ho anche apprezzato (ho scoperto molte cose interessanti) e sull’ultimo punto – ancora una volta – la questione non era la viralità del tuo tweet, ma il contenuto. Eccola, l’abilità di cui parlavo. In ogni caso, grazie per aver dialogato con me. A presto! F.

            • Ma forse non sono io “abile” a “eludere” “il punto”, forse nei tuoi commenti non è chiaro quale sia. Ho risposto nel merito di ogni argomento che hai messo in fila. Prima hai scritto che di Salce e Villaggio “non riconosco mai le capacità artistiche”, né riconosco “il valore intrinseco” e “i molteplici livelli di lettura” della scena. Quando ti ho fatto notare che sono accuse squinternate smentite dal post qui sopra, hai detto che non ho parlato del fatto che la scena fa ridere. Ti ho chiesto: devo dirtelo io che la scena fa ridere? Al che mi hai risposto: hai ragione, è una premessa ovvia. Allora, a conti fatti, qual era “il punto” del tuo primo commento, quello che avrei eluso? Io mi sono fatto l’idea che non ci fosse proprio.

              Quanto al contenuto del tweet che prima hai detto che era virale poi “il punto” non era la sua viralità, quel tweet lo hai citato monco, dato che era lungo 20 righe.

              • Non sono d’accordo. Ti parlo di un tweet e tu mi rispondi sulla viralità. Mi dispiace, ma hai eluso la questione centrale, secondo me. Magari mi sbaglio, per carità. Ma per ritornare al tweet: c’è uno dei commentatori qui presenti, Carlo Trombino – scusa eh, ma mi hai fatto venire voglia di studiare -, che ne parla definendolo “sbagliato non solo nei modi e nei tempi, ma anche e soprattutto nel merito”. Ecco, sono d’accordo con lui. Virale o non virale, lungo o corto che sia. Un tweet si compone di 140 caratteri e mi riferisco a quelli. I post di 20 righe, secondo me, vanno postati altrove. E tu, tra l’altro, lo sai bene. La mia polemica nasce tutta da lì. La riflessione sull’allegoria è interessantissima, lo è molto meno, secondo me, quella sul “danno culturale” e l’insopportabile intenzione di denigrare la cultura popolare che ne consegue. Tutto qui. E’ il semplice parere personale di un non addetto ai lavori.

                • Ma anche sticazzi, eh. Parliamo del danno culturale enorme che hanno fatto svariati *intellettuali* (scrittori, registi, attori, cantanti…) che nei settanta militavano nella – o flirtavano con la – sinistra extraparlamentare, e poi, non essendo stati capaci di fare i conti coi propri fallimenti, hanno svaccato in modo inverecondo. Quegli *intellettuali* hanno passato i venti anni successivi a spiegarci che che quel che facevano e dicevano nel decennio precedente lo facevano e dicevano perché “obbligati dalla dittatura culturale della sinistra”. E soprattutto, a spiegarci che il vero popolo™ vuole la merda, e che chi non lo capisce è uno snob. E questo, porco dio, è snobismo al quadrato. Paolo Villaggio questa parabola l’ha percorsa tutta. Che la terra gli sia lieve. Ma anche: a ciascuno il suo.

                  E soprattutto: vogliamo il pane, ma vogliamo anche le rose.

                • Ancora non è chiaro in nessun modo – non è chiaro a me e, credo, nemmeno agli altri che stanno leggendo – quale fosse il “punto centrale” del tuo primo commento.

                  Dopodiché scrivi:

                  «Un tweet si compone di 140 caratteri e mi riferisco a quelli.»

                  Ecco, questa roba superficiale può dirla solo chi non conosce Twitter, ne ha un’idea vaga, non ne conosce strumenti e linguaggi.

                  Un tweet può incorporare link, immagini fisse, gif animate, video, dirette Periscope e tag.

                  Il tweet a cui ti riferisci incorporava un’immagine, nello specifico lo screenshot di un testo. È una prassi comunissima. Solo chi non conosce Twitter può trovarla strana, e solo chi non sa usare Twitter pensa che se c’è una frase che introduce uno screenshot, sia più importante quella frase dello screenshot medesimo.

                  Quando scrivi “I post di 20 righe, secondo me, vanno postati altrove. E tu, tra l’altro, lo sai bene.», sei tu a non sapere bene di cosa stai parlando.

                  • Conosco benissimo Twitter e – magari ti sorprenderà –
                    so addirittura che si possono postare delle GIF. Probabilmente sono stato poco chiaro nell’esprimere i “punti centrali” nei miei commenti. Ci riprovo: il tweet in cui parli del danno culturale che Fantozzi avrebbe arrecato alla società italiana non lo condivido. E lo trovo pure fuori luogo, visto il momento in cui è stato postato. Il timing – noi esperti di Twitter lo sappiamo – sui social è fondamentale. Non solo – secondo me – dovresti riconoscere il merito a Fantozzi di aver reso popolare la Corazzata Potemkin in Italia – oltre ad elogiare, giustamente, il fatto che abbia giocato con eleganza con quell’allegoria per denunciare l’azienda capitalistica -, ma dovresti anche ringraziarlo, Fantozzi, per aver dato al tuo articolo quella visibilità che – se avessi parlato solo del cinema russo degli anni ’30 – non avresti mai avuto. Ancora una banalità? No – se non sei d’accordo sul fatto che quel tweet è stato uno scivolone, così come alcuni passaggi dell’articolo. Ripeto: si tratta del parere personale di un non addetto ai lavori.

                  • Io invece penso che tutta questa discussione iniziata su Twitter e proseguita su Giap sia bella, utile, calzante e *alla buon’ora*, nel duplice senso di “finalmente se ne discute in questi termini” e “era proprio il momento giusto per farlo”. Non solo non vedo “scivoloni di sorta, ma nemmeno lese maestà, e in ogni caso anche se avessi leso una maestà, bene così. Citando ancora una volta Shakespeare, noi “viviamo per calpestare i re”.

  19. nei commenti qualcuno dubitava che ci fosse un attacco anti-intellettualistico nella scena, beh, vorrei ricordare che dopo essersi rivoltati gli impiegati obbligano Riccardelli a vedere per 2 giorni e 2 notti “Giovannona Coscialunga”, “L’esorciccio” e “La polizia s’incazza”, cioè non tornano a casa a vedere la partita ma costringono il cinefilo a visionare il cinema popolare (una commedia pecoreccia, una parodia, un poliziottesco sia pure immaginario)
    e il fatto che Riccardelli è visto oggi come simbolo della sinistra piuttosto che del potere dice molto su cosa siamo diventati
    e anche per questo dico che la scena ha fatto tanti danni perché la gente non sa, non capisce o non ricorda che Fantozzi/Villaggio usava solo una figura retorica (sia pure in modo efficacissimo): l’iperbole
    i film che sono obbligati a vedere durano 6 ore, 9 tempi o 18 bobine, mentre loro sono lì l’Italia sta battendo l’Inghilterra 20-0 con gol di Zoff di testa su calcio d’angolo, gli esempi sono innumerevoli nella saga (Fantozzi che beve 25 bottiglie dell’acqua minerale più gasata al mondo e inizia a galleggiare…)
    se un’iperbole viene intesa letteralmente mi pare che abbiamo un leggerissimo problema di comprensione da parte del pubblico

    • Ah, ma questo é il “professor” riccardelli. E negli anni ’70 se volevi considerarti intellettuale dovevi essere schierato (ovviamente) a sinistra, altrimenti non eri un intellettuale ma un fascista.
      Se eri un cantautore e non cantavi canzoni “impegnate” automaticamente eri un fascista.
      Se facevi parte della casta degli intellettuali dovevi essere “de sinistra” e guardare film sovietici non solo per il loro contenuto estetico/tecnico ma per quello politico. E questo lo dice villaggio nelle interviste. Pensare che esistessero cineforum aziendali con pellicole che non fossero “intellettuali” e pertanto de sinistra sarebbe stato impensabile (sarebbe stato fascista e non culturale).

      • Avevi già scritto sopra un commento praticamente identico a questo, ti ho risposto là.

        http://www.wumingfoundation.com/giap/2017/07/potemkin/#comment-30841

        • posto qui perché sopra siamo alla fine dei rami dei commenti. Questa é del ’70. Non é il paolo villaggio che tu giudichi “revisionista” degli anni ’90 (“che dagli anni ’90 in poi ha in parte rimosso e in parte rinnegato. “)
          https://www.youtube.com/watch?v=Hxb9lPEd26Q
          Parole di Villaggio del ’70:
          “..ricordo che gli INTELLETTUALI andavano a vedere, ME COMPRESO..”
          Parole tue”
          – ” ricordiamo sempre che all’epoca dei primi due Fantozzi Villaggio era all’estrema sinistra.”
          – “Sì, Villaggio *era* un intellettuale di sinistra”

          • Era già stato linkato e discusso sopra, si è già rilevato che lì Villaggio raccontava in forma di monologo comico – e quindi già non andrebbe preso alla lettera, ma vedo che tu tendi a prendere *alla lettera* tutto ciò che è uscito dalla bocca di Villaggio, saresti un pessimo storico – la genesi del racconto che poi si ritrova in “Fantozzi” il libro. Racconto che è molto diverso dalla versione filmata di sei anni dopo. Diversa l’ambientazione, diversa la caratterizzazione, diverso il finale, assente il remake della “Corazzata”. E, mi spiace per la tua testardaggine, ma in questo filmato non trovo elementi per dire che il cineforum aziendale sarebbe un “cineforum di sinistra” e Guidobaldo Maria Riccardelli sarebbe un “intellettuale di sinistra”.

            • Basta decidersi: il villaggio anni ’70 dice le stesse cose degli anni 2000: ma in entrambi casi non va’ preso alla lettera. Chiaramente la tua interpretazione é quella che conta.
              Pure sul pensiero “vero” di Pasolini sulla corazzata trovi da precisare quello che non poteva realmente pensare. Alla faccia.
              Restiamo ai fatti: secondo te villaggio dove ha tratto l’ispirazione di riccardelli? Lo ha inventato di sana pianta? Lo aveva intravisto quando lavorarava per la “megaditta” nella sua realtà professionale prima della carriera di attore o in quella di intellettuale di sinistra che girava per cineforum?

              • È qui che sbagli, il Villaggio del 1970 non dice affatto “le stesse cose” di quello degli anni 2000, perché si esprime in tutt’altro contesto e con altri fini, perché un monologo comico non è un’intervista, e perché nell’intervista parla di una scena di film che nel 1970 non era ancora stata girata (e nemmeno scritta) e quindi – dovrebbe risultare ovvio, ma evidentemente non a te – non poteva essere l’argomento del suo monologo.

                Alla radice del tuo problema metodologico c’è il fatto che per te Villaggio è sempre piattamente uguale, non ha alcun divenire, è sempre lo stesso soggetto a prescindere dall’età, dalle convinzioni, dal contesto che ha intorno, dagli interlocutori. Per me (per noi) no. Il Villaggio degli anni 2000 è una persona diversa da quello di quarant’anni prima, e del resto *chiunque* è una persona diversa da quella che era quarant’anni prima.

                Quanto a Pasolini, il succo della mia risposta a Filippo La Porta è che in quell’intervista Pasolini sparò cazzate (capitò spesso anche a lui, sai?), e ho spiegato la mia mezza idea sul perché le sparò. Poi ho spiegato, alla luce della mia visione del film, perché le ritengo cazzate.

  20. Che l’ironia, il disincanto, il cinismo nel senso deteriore di ritenersi a priori superiori a ciò che si giudica, fossero risorse a cui si ricorre quando non si vuole pensare criticamente, formule di un disimpegno autoassolutorio e funzionale al mantenimento dell’ordine esistente, del resto, lo diceva già Hegel quando polemizzava con certi suoi contemporanei, fratelli Schlegel in primis: cfr., per esempio, le ultime pagine dell’Introduzione all’Estetica (Einaudi, 1967-1997, pp. 75-81). In questo senso, l’aver colto le valenze conservatrici, quando non propriamente reazionarie, di certo romanticismo e avergli opposto un uso non dogmatico ma quasi miltante del pensiero critico è un’altra delle grandi preveggenze di Hegel.

    • Condivido totalmente l’assunto dell’articolo di Wu-Ming: l’aria che tira è indubitabilmente di diffidenza/ostilità verso gli intellettuali, la cultura, il difficile, la complessità, la serietà, etc. Una cosa che c’è sempre stata ma soltanto oggi chi disprezza apertamente la cultura o chi dichiara di non aver mai letto un libro (vedi Briatore, forse all’epoca Schumacher) NON se ne vergogna, e anzi lo rivendica con iattanza. Ma sulla “Corazzata Potemkin” la discussione, come si dice, è aperta. Ricordo che Pasolini in risposta a un’inchiesta del quotidiano “Paese sera” sul film di di Eisenstein così scrisse “Io sono probabilmente uno dei pochi intellettuali che non amano Eisenstein. So bene che egli ha un grande talento e che la sua figura è, forse, culturalmente, il vertice giganteggiante del Formalismo russo. Ma considero le sue opere tutte mancate, eccettuato Lampi sul Messico, perché non è stato lui a montarlo(…)La Corazzata Potemkin è proprio un brutto film, dove il conformismo con cui sono visti i personaggi rivoluzionari è quello della più faziosa propaganda(…) persone senz’anima, senza corpo, senza sesso, che si muovono come burattini’positivi’”.

      • Grazie del contributo. Può darsi che queste dichiarazioni “iconoclaste” di Pasolini abbiano a che fare prima col rapporto contraddittorio e a tratti burrascoso tra lui e l’intellighenzia del PCI, e solo in seconda istanza con Eisenstein. Pasolini disprezzava – e ne aveva ben donde! – la cultura sovietica e filosovietica a lui coeva, dove tra le altre cose vigeva l’ossequio di facciata e puramente formale al cinema di Eisenstein. Può darsi che la voglia di colpire il “mostro sacro”, insieme ad altre note idiosincrasie pasoliniane, qui prevalga sul giudizio meditato.

        Che dica «senza sesso» si può capire, i marinai della Potemkin non sono i marinai di Genet. Questi ultimi sono certo più vicini all’idea della vita a bordo e della vita in porto che poteva immaginare Pasolini. Però c’è un cameratismo maschile fatto anche di tenerezza. È molto tenero e a suo modo erotico l’omaggio alla salma di Vakulinčuk, è un momento di comunione fortissimo.

        E qui arrivo al «senza corpo». «Senza corpo» direi proprio di no, credo che Pasolini confonda l’estetica di Eisenstein con quella successiva dello stalinismo, dove i corpi sembrano sculture, la pelle sembra non avere pori. Tra le impressioni che ho avuto rivedendo il film su grande schermo e nella cornice di Piazza Maggiore, una delle più forti riguarda proprio il senso di fragilità e quindi di realtà dei corpi. Pensiamo all’espressione struggente e ai movimenti maldestri di Vakulinčuk ferito mentre viene braccato (e infine ucciso) da uno degli ufficiali, ad ammutinamento già in corso.

        E qui arrivo al «senz’anima». No, proprio no. È un film corale, ma a ciascuno dei marinai che isola dall’insieme e riprende da vicino Eisenstein dà un carattere, mostrandone i crucci, le paure, le speranze e rassegnazioni. La scena della fucilazione imminente, coi fucilandi “pietosamente” coperti da un telone, e Vakulinčuk che combatte con sé stesso, perché siamo sul bordo dell’irreparabile… E quel grido nel finale, «Fratelli!», un grido di sollievo, perché si è appena sfiorata insieme la morte, è un grido pieno di anima.

  21. Il minaccioso e inquietante augurio con cui si chiude l’articolo: che il clima culturale contemporaneo “venga spazzato via al più presto da un’immane tormenta”, ha un tocco violento e apocalittico degno del più tragico Fantozzi, perfetto.

  22. A proposito delle letture politiche di Fantozzi: nella scena della partita di tennis c’è la gag di Fantozzi che si veste male e scombinatamante. La maglietta è quella della GIL, la Gioventù italiana del Littorio. Il primo livello della battuta è: «È talmente tanto che Fantozzi non fa sport, che l’ultima maglietta sportiva che ha avuto risale a quando aveva quindici anni circa», considerato che il testo è stato scritto nel ’68. Forse però c’è un secondo livello, non so se involontario o meno: Fantozzi ha in casa oggetti col simbolo del fascio littorio e non si cura di buttarli via né si fa problemi a indossarli; siamo molte tacche sotto al non avere coscienza di classe. La rivolta individuale alla fine del film diventa ancora più intensa se il personaggio di partenza è così.

    Forse è un livello di lettura che non esiste; in ogni caso, è più divertente vedere uno col simbolo del fascio sul petto prendersi a racchettate in testa. :-D

    • O forse quella maglietta sta a significare che la megaditta è un microcosmo fascista. Io l’ho sempre vista così.

      • C’è sicuramente un’eco fascista negli eventi sportivi aziendali (la Coppa Cobram e le meno riuscite olimpiadi di un film successivo), che richiamano un po’ le manifestazioni ginniche ideate da Starace per i gerarchi del partito.
        Però la partita di tennis è un’iniziativa spontanea di Fantozzi e Filini, quindi la maglietta probabilmente sta lì solamente per l’effetto comico di “primo livello”

  23. «…un attore raffinato ma vincolato alle sorti del paese che lo ha incoronato. Con Fantozzi aveva concepito un personaggio geniale, comico e dolente, la cui malinconia col passare degli anni (e col mutare del contesto, come ha scritto in questi giorni Wu Ming 1 ragionando attorno al celeberrimo apologo fantozziano della Corazzata Potemkin) è scivolata di significato, ha mutato di segno. Con gli anni ottanta Fantozzi si è trasformato in una specie di slapstick per bambini. E poi, ancora peggio, in una maschera buona per l’infanzia eterna e massificata di tutte le età che segue le commedie di Neri Parenti.»

    Giuliano Santoro racconta Villaggio su «Il manifesto».

  24. 92 commenti (parallelismo coi 92 minuti di applausi…) e sono intervenuti solo ed esclusivamente uomini. Nemmeno una donna.
    Non sarà che “Fantozzi” è prevalentemente roba da maschi?

    • finora mi sono limitato a seguire la discussione, però a questo commento mi sento di intervenire.
      Aggiungo che i film di Fantozzi (tranne il primo che ho rivisto recentemente) non li vedo dagli anni ’80, quando ero bambino, quindi sicuramente molte cose non le ricordo più.

      Fantozzi, per me, è solo roba da maschi, specialmente considerando le 3 figure femminili principali: la moglie Pina, la figlia Mariangela e la signorina Silvani.
      Il personaggio di Pina è costruito sull’idea della moglie sottomessa al marito, nonostante l’infatuazione di Fantozzi per la Silvani e tutte le scemenze/bastardate che lui fa (un esempio su tutti quando scappa per passare una vacanza con la Silvani al mare), rimane sempre al suo fianco. Anche quelle (poche) volte che prova a chiudere la relazione, il film finisce con loro che tornano insieme.
      La figlia Mariangela (che poi è interpretata da un uomo…) è solo una spalla per battute comiche, senza una minima profondità: è brutta e stupida. Serve solo ad esasperare le condizioni di vita sfigate di Fantozzi.
      La Silvani invece rappresenta una sorta di femme-fatale dell’Italia borghese del tempo, una persona che con la sua bellezza cerca di ottenere tutti i vantaggi possibili all’interno e all’esterno della ditta. Io non ricordo un esempio in cui la Silvani abbia fatto un gesto disinteressato.
      Mentre per gli uomini si possono trovare figure positive (tipo Folagra) anche se comiche, io non ricordo nei film di Fantozzi personaggi femminili positivi, quindi non mi stupisce che finora non ci siano stati interventi da parte di donne.

      ps: anche io sono un uomo

      • mentre mi documentavo su YouTube per scrivere il mio commento sono capitato su un video dove c’è la Pina e uno dei commenti più votati era uno che esaltava la sua figura di donna sottomessa al marito, non come le *** di oggi che inseguono soldi e carriera
        io sapevo che eravamo messi male ma al punto di rimpiangere la Pina…
        sulla Silvani la mia lettura è completamente diversa, è l’ennesimo simbolo della vita mediocre di Fantozzi il fatto che persino il suo sogno erotico è una donna spigliata sì ma tutto sommato nemmeno troppo carina

    • Leggo spesso Giap e vi apprezzo e stimo. Per questo un commento che sprezzante parlava di “quattro obesi del Dams”, mi ha sorpreso e infastidito quanto i commenti razzisti che ho lo stomaco di leggere quotidianamente su twitter. E visto che, come notava Wu Ming 1, per ora la discussione su Fantozzi è smaccatamente maschile, vorrei condividere con voi due o tre considerazioni.
      Siate pazienti e generosi con me, è la prima volta che partecipo.
      Da studentessa sono entrata al Dams di Roma Tre nel primo anno della sua esistenza, eravamo 250 studenti.
      Tra i miei amici aleggiava un entusiasmo diffuso per tutto quello che vedevamo e scoprivamo, felici di avere compagni con cui condividere gli stessi amori.
      Per me era una liberazione, dopo esperienze mortificanti al liceo. Il mio professore di filosofia per tre anni mi aveva affidato un cineforum speciale per l’otto marzo che aveva fomentato livore contro di me nei miei compagni di classe.
      Fantozzi invece non l’avevo mai visto e quando un amico me lo propose lo odiai come mai avevo odiato un altro film.
      Innanzitutto mi sembrava che la messa in scena dell’impiegato vittima della Megaditta non fosse scritto per essere compreso nella sua condizione di sfruttato, ma per essere deriso. E qualche anno più in là, quando ebbi modo di studiare la commedia all’italiana, capii che il problema era proprio quello: personaggi che avrebbero dovuto far riflettere sui costumi italiani divennero il bersaglio di derisione (per fare un esempio banale: “mica sono così fesso da svenire per timbrare il cartellino in tempo, io me lo faccio timbrare”). Col tempo le commedie avevano subìto uno slittamento di senso e si erano fatte più becere, ma la lettura dello spettatore, secondo me, era rimasta costante sin dall’inizio.
      Ma ad urtarmi più di ogni altra cosa erano le rappresentazioni dei vari tipi femminili. Le solite categorie italianissime di “cozza”, “stronza”, “moglie frigida”, “bonazza inarrivabile”… la misoginia strisciante e pervasiva che riduce le donne a oggetto vilipeso, mortificato, ad uso e consumo della risata maschile.
      E che in 90 e passa commenti nessun uomo abbia anche solo di passaggio, notato questo grosso problema in Fantozzi, è sintomatico di quanto le esperienze, anche cinematografiche, maschili e femminili siano differenti.
      La misoginia e il ruolo del femminile nel film non è forse un tema centrale per capire il rapporto tra la commedia e i russi, ma è un elemento imprescindibile per capire le commedie italiane.
      Infine il colpo di coda della Corazzata Potemkin.
      Io avevo avuto la fortuna di vedere Ejzenstejn in pellicola, al Palazzo delle Esposizioni, quando di mattina presto mi chiudevo nelle proiezioni dedicate ai ragazzi del Dams.
      Apprezzo molto la vostra lettura di un altro senso della scena in Fantozzi, la voglia di chiarire la posizione degli autori nei confronti di quello che è un capolavoro della storia del cinema, ma, forse proprio per una questione generazionale che notavate anche voi, io all’epoca non ho colto amore, ma solo aggressività.
      E anche se è apprezzabile la mise en abyme tra le due rivolte, la comicità sguaiata, il famoso urlo mi fece rivivere i giorni del cineforum, in cui tutti si scagliavano contro di me, colpevole di scegliere film “lenti, in cui non si capisce una mazza”. Attacchi che venivano da compagni di classe maschi, conditi di epiteti misogini.
      Naturalmente ci sono delle eccezioni, ci mancherebbe. Sia tra i compagni maschi, di ieri e di oggi, sia tra le commedie italiane. Ma per Fantozzi, continuo a non avere simpatia.
      Anche per cosa ha fatto ad Ejzenstejn, pensando a tutte le ragazze (o i ragazzi) che provano a proporlo a un cineforum e si beccano una pioggia di sberleffi.

      • Grazie mille del commento. Volevo solo precisare che «quattro obesi del Dams» non lo abbiamo scritto noi, era anzi una frase (brutta) detta en passant in un commento che rispondeva a una nostra precedente “tirata d’orecchi”. Hai ragione a infastidirtene, noi non ci avevamo fatto caso.

        • Invito altre lettrici, spettatrici, compagne, amiche, sorelle, cinefile o meno, a cogliere l’occasione di questo splendido commento di Ofelia, e a dire la loro.

          • Lettrice di Giap da tempo, commento anch’io per la prima volta.

            Vidi la prima volta Fantozzi molti anni fa, da bambina, e non mi piacque: qualche battuta e situazione ridicola in mezzo a tanto nulla. Lo rividi da “grande” in uno dei tanti passaggi televisivi, e mi resi conto che non lo avevo capito, e che tantissimi riferimenti li avevo persi perché non conoscevo il contesto (gli anni ’70) e i vari riferimenti (la Megaditta, Folagra, etc). Mi saltò subito all’occhio, come Ofelia ha saputo ben raccontare, la misoginia e il maschilismo di cui è intriso il film.

            In un certo senso ho sempre trovato “Fantozzi” un film triste, non perché triste in sé, ma per la risposta che evoca nelle persone: una risata sguaiata, a crepapelle, quando invece dovrebbe far riflettere nella sua anche critica feroce della società.

            • Sono contento che il mio commento sugli “obesi del Dams” abbia spinto due donne a commentare su Giap per la prima volta, non tutto il male viene per nuocere! :)

              I due commenti di Tyche e di Ofelia sono fondamentali per comprendere alcuni aspetti di Fantozzi. Entrambe ammettono di avere odiato Fantozzi fin dal primo momento, e sinceramente tutte le donne con cui ho parlato di Fantozzi mi hanno sempre detto la stessa cosa: è un film che “mette tristezza”, che non diverte e soprattutto ha un punto di vista totalmente maschile, assolutamente maschile, di una mascolinità anni ’70 dove l’affermazione della propria virilità era l’unico valore, in un periodo in cui, come disse Virzì, bastava un congiuntivo di troppo a farti etichettare per sempre come finocchio.

              Per questo motivo in un commento precedente avevo paragonato Fantozzi ad Amici Miei, in entrambi i film le donne sono viste come un peso o, alternativamente, come un giocattolo con cui baloccarsi per vincere la noia e per dimostrare a sè e agli altri di ‘saperci fare’. Ed è interessante che entrambi i film siano stati realizzati da intellettuali ascrivibili alla sinistra italiana, almeno in quel periodo.

              L’amante chiusa in valigia da Tognazzi e la Pina spedita in montagna da Fantozzi per farsi l’amante, Loris Batacchi etc.. non stupisce che le donne non amino questo film! In una delle scene più famose Fantozzi picchia sua moglie e lo spettatore è portato a identificarsi con lui!

              Poi volevo rassicurare Ofelia, dicendole che condividiamo alcune delle esperienze da lei narrate: io stesso ero un “obeso del Dams Cinema”, ho studiato all’università le tecniche di overlapping editing di Ejzenstein in Oktjabr e quindi mi sento parte di questo mondo. Avrei potuto usare ‘nerd’ o ‘sfigati’ o ‘topi di biblioteca’. Invece ho usato ‘obesi’, voleva essere uno sfottò anche autoironico (visto che io stesso avevo citato un film ‘scognito’) ma evidentemente non è riuscito, se alla fine ti sei sentita offesa, e ti chiedo scusa. Avvicinare la mia battuta ai tweet razzisti mi sembra un po’ esagerato, però poi fai tu.

              Mi diverte un sacco invece la tua storia di improperi subiti per la scelta di film intellettuali al liceo, perché a me capitò la stessa cosa: io e un mio amico scegliemmo ‘Ladri di biciclette’ e la classe ebbe un moto di rivolta simile a quello anti Riccardelli. La settimana successiva imposero la visione di un film romantico con Silvio Muccino :)

  25. Splendido articolo, complimenti. Ce n’era bisogno. Secondo me manca solo una riflessione sull’imposizione dall’alto della fruizione delle opere d’arte, che non è detto sia sempre sbagliata ma ha le sue controindicazioni.

  26. È un ricordo personale e quindi vale quel che vale.
    Io ho visto prima il film di Eisenstein di quello di Salce.
    Sono nato all’incirca a metà degli anni ’70, la televisione è entrata in casa nel 1977 contemporaneamente all’esplosione della “libertà d’antenna”, così ricordo benissimo di aver potuto vedere migliaia di ore di film “di catalogo” che le tv private utilizzavano per riempire la programmazione, tra questi film c’erano anche Eisensten, Chaplin, Stan Laurel e Oliver Hardy, Buster Keaton e tutto quello che era trasmissibile e a basso costo, la tv è stata la mia sala parrocchiale.
    Quando poi ho visto il film di Salce ovviamnte in TV e negli anni ’80, malgrado fossi un ragazzino, ho capito benissimo che il bersaglio della parodia non fosse il film in sé ma la costrizione degli spettatori, e non credo di essere stato un ragazzino particolarmente sveglio, anzi.

    • Ho inavvertitamente eliminato la coda:
      Purtroppo poi la battuta del film ha avuto una vita propria decontestualizzata che è diventata talmente forte da “convertire” l’autore che negli anni si è convinto che la frase fosse rivolta al film

      • L’hai messa giù in modo molto intrigante, secondo me. Il successo “deviato” di quella gag ha contribuito ad alterare anche la percezione del suo autore.

        • Potrebbe essere così, del resto a Villaggio hanno fatto credere di essere un attore per quasi 40 anni e non aveva né la curiosità, né la cultura, né la volontà di un De André per andare oltre le provocazioni e le smorfie.
          Mi ricordo un racconto di De André sula sua infanzia, solo che non ricordo di preciso dove lo lessi (forse nel libro intervista di Fagioli?), il cantautore genovese parlava di quando, con un suo amico di etrazione proletaria, si divertiva a buttare dal suo terrazzo escrementi di piccione nelle brocche del latte della massaie in strada; una volta scoperti, il suo amico proletario veniva ovviamente picchiato dai genitori, nel suo caso invece, la mamma altoborghese invitava le massaie “bombardate” in casa, le faceva accomodare, le offriva il the e alla fine erano le massaie che quasi si scusavano.
          Il ricordo finiva con il suo amico proletario, rincontrato a 40 anni, che gli diceva in dialetto genovese “tu nella vita hai fatto tanta strada, io un mucchio di sentieri”.
          Ecco, in una gabattella del genere per me è espresso tutto il genio e la sensibilità di De André: con tutti i suoi limiti aveva chiarissimi i rapporti di classe e il senso di certe “provocazioni”; ho paura che Villaggio tutto questo se lo fosse dimenticato da molto tempo.

          • Non posso fare a meno di notare a margine di questo commento su De Andrè/Villaggio come i testi di un paio di canzoni del giovane De Andrè (“Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poiters” e “Il fannullone”) siano firmati da Villaggio stesso. Spesso si tende a ricordare il Villaggio delle “cagate pazzesche” (le becere commedie anni 80 90) ma ci si dimentica il suo Moliere a teatro o la voce della luna con Fellini. Insomma sostenere che “hanno fatto credere di essere un attore per quasi 40 anni” mi sembra un po’ eccessiva come affermazione.

            • non è necessario essere didascalici: nel confronto con De André erano comprese l’amicizia e la collaborazione tra i due.
              sulle qualità di Villaggio attore credo di possa discutere, al di là dei suoi “caratteri” che ha sviluppato in oltre 40 anni di carriera.

  27. Buongiorno a tutti

    Seguo Giap! da molto tempo ma finora non avevo mai partecipato a una discussione.
    Essendo un fan della saga di Fantozzi colgo quest’occasione per intervenire.

    Innanzitutto complimenti a Wu Ming 1 per il pezzo e grazie per avermi apero gli occhi sulla complessità della scena del cineforum che, sinceramente, non avevo mai colto.

    L’unica cosa che non mi convince è la vostra valutazione della figura di Folagra, che mi sembra tutto sommato tutt’altro che positiva agli occhi degli autori del film.

    E’ vero che, a differnza degli altri impiegati, che si comportano in modo servile, Folagra è coerente con i propri principi e per questo è emarginato e disprezzato, però rimane una figura caricaturale, che parla un linguaggio stereotipato da “sinistroide”, retorico e vuoto.
    Mi sembra più che altro la parodia di un comunista fatta da un punto di vista di destra.

    • A me Folagra è sempre stato simpatico :-) È vero che è una caricatura, ma a quella caricatura è affidata una verità. L’altro giorno su Twitter qualcuno faceva notare il plausibile significato del cognome: «Fòla agra», favola agra. Mentre tutti i suoi colleghi ripetono con toni leziosi una narrazione melensa e stucchevole calata dall’alto, la favola ingannevolmente dolce della Megaditta e delle loro vite al suo interno, Folagra racconta con voce ruvida una storia sgradevole e vera: siamo sfruttati, facciamo vite di merda.

      È grazie a Folagra se Fantozzi si mette a studiare e ha, nel corso della sua vita servile e rassegnata, un unico, breve momento di consapevolezza: gliel’hanno sempre messo nel.

      Non credo sia colpa di Folagra se Fantozzi spreca quell’occasione e, anziché organizzarsi insieme ad altri, si butta in un’azione solipsistica, velleitaria, risibile. Un’azione che, prevedibilmente, ne riconferma l’asservimento.

      • Ti sta simpatico Folagra perchè ha l’accento bolognese/romagnolo! Chissà se viene tollerato quel minimo, anche se nel sottoscala, perchè i megacapi sono medio progressisti?

        • Folagra non possono licenziarlo perché nel 1975 c’è l’articolo 18. Hanno potuto solo metterlo nel sottoscala.

          • Scusate,volevo replicare ma per sbaglio ho aperto una nuova diramazione.
            La prossima volta starò più attento :-)

          • Folagra viene tollerato perchè non è una minaccia ma soltanto un’anomalia, un alieno da un pianeta ignoto e sconosciuto sia ai capi che al resto dei dipendenti (collaboratori? Sottoposti? Ecco, si… “inferiori”), il pianeta di coloro che hanno una coscienza di classe.
            Nel mondo di Fantozzi, Folagra può vivere solo ai margini, equidistante sia dai padroni che dai suoi stessi colleghi.

            [Bella ‘sta discussione, comunque]

      • Ciao a tutti ;)

        Grande Folagra, anche a me è sempre stato simpatico, se non altro perché sembra Garibaldi con la voce di Guccini. Ho qualche riserva sul fatto che sia un personaggio “positivo”, almeno nelle intenzioni degli autori.

        Una piccola precisazione inutile (se è stata già fatta nei commenti chiedo scusa, mi è sfuggita): Folagra non partecipa ai cineforum aziendali perché non fa parte dell’ufficio “Furti e Ricatti” di cui il Ricciardelli è direttore; inoltre Folagra è presente solo nel primo film e il suo personaggio non sarà più riproposto nei successivi (la scena del cineforum è nel secondo).

        Altro trivia inutile: in realtà il caratterista che incarna Folagra, Giuseppe Terranova, compare anche ne Il secondo tragico Fantozzi nel ruolo di un non meglio identificato “Impiegato della Megaditta con baffi”. Sabato rivedrò in piazza il film e ci farò caso, ma sospetto sia il tizio coi baffi al 5:12 di questo video https://www.youtube.com/watch?v=87IE3liVlws. Se così fosse, allora vuol dire che Folagra era effettivamente presente al cineforum ;)

        Saluti

        • Quelli a cui è antipatico Folagra hanno chiare motivazioni ideologiche :-)

          Chiarisco quel che intendevo dire: se nell’episodio del cineforum Villaggio avesse davvero voluto prendere di mira gli “intellettuali di sinistra”, e avesse voluto caratterizzare il cineforum stesso come “di sinistra”, sarebbe stato naturale riproporre il personaggio di Folagra e dargli un ruolo in quel contesto. Il secondo film è pieno zeppo di personaggi ripescati dal primo, tanto che oggi consideriamo i due film come un continuum, è lo stesso flusso di storie con Filini, Calboni, la signorina Silvani (i film successivi non li prendo in considerazione). Invece no. Al presunto “cineforum di sinistra”, manca proprio l’unico dipendente caratterizzato come di sinistra. Perché non è un cineforum di sinistra :-)

          • Sì sì, il mio non era un appunto serioso ;)

            Ovviamente non è Folagra che “non va al cineforum”, ma gli autori che non lo hanno inserito nella scena, pur disponendo dello stesso caratterista. Se pure ci fosse stato, non sarebbe cambiato nulla: anche ignorando gli ulteriori livelli di lettura da voi descritti, l’episodio è palesemente uno dei tanti esempi di oppressione esercitata dalla Megaditta, non certo una critica alla “cultura di sinistra”, qualunque cosa voglio dire. Più che causato dall’antintellettualismo ora in voga, direi che è la fruizione “a sketch” tramite Youtube ad aver decontestualizzato la scena e alimentato il malinteso. Probabilmente moltissime persone conoscono solo la battuta finale e non hanno mai visto alcun film su Fantozzi. Per la cronaca, io non ho (ancora) visto La corazzata Potemkin, ma non ho mai avuto dubbi sul significato di quel frammento.

  28. Se la metti in questo modo sono d’accordo, ma forse il problema di fondo di Fantozzi è che il messaggio, la verità come hai detto tu, è soffocata dalla tendenza caricaturale e alla fine il risultato è ambiguo.

    Io personalmente non sono portato a deridere e disprezzare Folagra o gli altri impiegati, ma credo che sia una questione caratteriale.

    Forse non ha tutti i torti Ofelia quando scrive « mi sembrava che la messa in scena dell’impiegato vittima della Megaditta non fosse scritto per essere compreso nella sua condizione di sfruttato, ma per essere deriso ».

  29. Wu Ming 1 06/07/2017 at 11:14 pm:
    “Io invece penso che tutta questa discussione iniziata su Twitter e proseguita su Giap sia bella, utile, calzante e *alla buon’ora*, nel duplice senso di “finalmente se ne discute in questi termini” e “era proprio il momento giusto per farlo”. Non solo non vedo “scivoloni di sorta, ma nemmeno lese maestà, e in ogni caso anche se avessi leso una maestà, bene così. Citando ancora una volta Shakespeare, noi “viviamo per calpestare i re”.

    D’accordissimo con te.

    Grazie.

  30. Mi tocca essere ripetitivo rispetto ad altri commenti, ma devo dichiararmi anche io totalmente (e favorevolmente) spiazzato per la proposta di lettura della celebre scena. E soprattutto, che boccata d’aria fresca seguire discussioni come questa! E mi riferisco a tutte le posizioni, anche quelle che non condivido (e sono parecchie). Mi trovo molto vicino ad alcune cose che sono scritte nell’articolo e ad altre proposte soprattutto da La Dea del sicomoro, da Tuco, da Ekerot e da Ofelia. Ma mi rendo conto del fatto che, dopo questa discussione, dovrei forse rivedermi i primi due Fantozzi per capire come e quanto la mia stessa posizione in merito sia cambiata leggendovi. E non parlo solo della scena “incriminata”, ma proprio dell’intera “operazione Fantozzi”. Ragion per cui, il mio contributo non consiste in una proposta di lettura, che a questo punto non ho più, ma in un dubbio su un punto dell’articolo che mi ha lasciato perplesso. Mi riferisco al Paolo Villaggio “di estrema sinistra”. Devo ammettere di non essere un esperto della biografia dell’attore, quindi la mia è una semplice sensazione, che commenti più documentati di chi partecipa alla discussione potrebbero clamorosamente smentire.
    Siamo sicuri che, seguendo la logica della contestualizzazione proposta nell’articolo, nell’Italia dei primi anni ’70 l’identità politica di Villaggio fosse definibile di estrema sinistra? La foto con Volonté, di per sé, vuol dire tutto e niente, non ci si può costruire sopra una militanza di Villaggio. Del resto, lo stesso Volonté, quanto a militanza, non fu immobile… quella foto a quale anno risale, a quando era in Servire il Popolo? A quando era passato al PCI?
    Io ricordo benissimo il giorno in cui Villaggio si candidò con DP, e nessuno lo percepì come un atto coerente con una pregressa militanza particolarmente radicale (diciamo pure che, da chi proveniva dagli ambienti extraparlamentari e non lo aveva rinnegato, nemmeno la DP dell’87 era ritenuta un qualcosa di radicale, anzi…). Del resto, lui stesso in quel messaggio elettorale dichiara di non avere mai militato, ma di avere semplicemente sempre votato PCI. Ora, è possibile che fosse già cominciata da parte sua una riscrittura delle propria storia personale. Ma, se così non fosse, direi che difficilmente un attore che nell’Italia del 1975-76 non milita da nessuna parte, vota PCI e gira Fantozzi sia il ritratto di un artista particolarmente di sinistra. Certo lo sarebbe visto con gli occhi di oggi, ma, appunto, così si ricadrebbe nella decontestualizzazione che l’articolo sottopone giustamente a critica.

    • Provo a risponderti con un ripescaggio. Ecco come Villaggio si descrive ne Il secondo tragico libro di Fantozzi (1974). L’io narrante è Fantozzi stesso che, seccato dalle attenzioni di Villaggio nei suoi confronti, scrive una «Lettera al direttore amministrativo»:

      «[…] Paolo Villaggio lo conosco bene e non mi piace.
      Non mi piace quel suo impegno politico del quale io diffido, cioè non credo alla sua buona fede: so che è nato a Genova da famiglia borghese benestante […] come si concilia questa sua origine con i suoi atteggiamenti da “sovversivo”? So che a Roma frequenta circoli di sinistra. La notte di Natale [del 1973?] è stato a fare uno spettacolo alla Coca-Cola con Gian Maria Volontè e altri bei tipi di questo stampo e ha partecipato a varie manifestazioni per il Vietnam prima e ultimamente per il Cile. Ha dato dei soldi varie volte a gruppuscoli di sinistra e vota sempre comunista.»

      Sono tutte cose vere e verificabili. Villaggio votava PCI (o almeno così diceva), ma faceva scorribande alla sinistra del partito, anche finanziando organizzazioni rivali, con le quali “flirtava”.
      Nella nota biografica della prima edizione di Fantozzi (1971), si era definito «a sinistra del Partito Comunista Cinese».

      Riletta oggi, questa lettera in cui Fantozzi sospetta della buona fede di Villaggio per via delle sue origini alto-borghesi, beh… Ha risonanze diverse da quelle di allora.

      • Molto interessante, non sapevo queste cose, che modificano ulteriormente la mia idea del personaggio. Ribadisco che devo assolutamente rivedermi i due primi Fantozzi. E a questo punto sarei anche molto curioso di rintracciare qualche documento sull’accoglienza che ebbero quei film allora, sia in generale che negli ambienti di quella sinistra. Ai miei occhi Fantozzi era sempre stato una sorta di primo passo dalla commedia di taglio sociale di quegli anni alla comicità decisamente disimpegnata e qualunquista dell’epoca successiva. Tant’è vero che l’avevo sempre percepito come una creazione degli anni ’70 ma che inizia davvero a spopolare nel decennio successivo, proprio quando il personaggio e la sua saga hanno preso una piega banalizzante. Ho bisogno di rivederlo per rimettere a posto i pezzi.

      • Nel libro, subito dopo quella lettera (nella quale Fantozzi si auspica un ritorno all’ordine tipo Cile o Grecia e si rammarica perché i giovani non crescono più con gli ideali di Dio, patria e famiglia) c’è l’episodio di Folagra, tra l’altro.
        Che è identico parola per parola alla versione poi filmata, salvo un episodio assente nel film (immagino per ragioni produttive): dopo averlo “convertito” Folagra porta Fantozzi a una grande manifestazione.
        Lì Fantozzi prima sente questa grande fratellanza, poi si trova a salire su un palchetto a fare un discorso e, anche se capisce il pericolo dei “balconi”, guida un gruppetto di gente galvanizzato dalle sue parole verso la Megaditta. Viene però abbandonato un attimo prima del lancio del mattone.
        Quindi in teoria Folagra non è un residuato isolato (come può apparirci oggi e come appare nel contesto della Megaditta), ma è inserito in un’organizzazione più ampia. È Fantozzi, come detto sopra, che non capisce e interpreta tutto solo nell’ottica di una rivalsa individuale.

  31. Ovviamente sapevo che la Corazzata non dura sei ore e mezzo, ma un’oretta abbondante ed è pure costruita con un buon ritmo :-) Ammetto tuttavia di non essere arrivato fino al piano di lettura da te proposto, benché intuissi già da adolescente che il cineforum aziendale avesse funzione più repressiva che non culturale.

    Concordo con Alex più sopra: Fantozzi è da molti detestato perché, pur surrealmente estremizzato, anticipa di quarant’anni il lavoratore post-ideologico in cui molti di noi si possono riconoscere perché almeno una volta nella vita l’ottanta-novanta per cento di noi è stata Fantozzi, e molti non amano riconoscercisi.

    Detto questo, nessuno ha fatto rilevare la contraddizione più grossa della rivolta: Fantozzi «sbrocca» esasperato, e ha un rigurgito di fierezza, così come tutti i suoi colleghi che si accodano, non quando tagliano loro lo stipendio o quando vengono obbligati a umilianti presenzialismi a vari di barche sulle quali non verranno mai ammessi, ma allorquando viene loro tolta la visione della partita della nazionale di calcio (Inghilterra – Italia da Wembley), con annesso rituale di «…calze, mutande, vestaglione di flanella, tavolinetto di fronte al televisore, frittatona di cipolle (per la quale andava pazzo), familiare di Peroni gelata, tifo indiavolato e rutto libero». Un padronato idiota che quindi vessa i propri dipendenti pure quando convenienza suggerirebbe di non toglier loro il «circenses».

  32. […] Per questo risultano osceni i tentativi di appropriazione post-mortem della maschera Fantozzi in chiave conservatrice. Come ha fatto magistralmente notare il collettivo Wu Ming, l’episodio del cineforum è un sottile remake del film di Ėjzenštejn […]

  33. […] episodio come la ribellione di un mediocre all’intellettualismo difficile. Perchè, citando Wu Ming: “una parodia colta, una volta esaurito il contesto in cui era stata pensata e realizzata, […]

  34. La discussione è ormai chiusa, ma vorrei comunque aggiungere una riflessione che ho fatto in questi giorni dopo aver riguardato “Il secondo tragico Fantozzi”, anche a rischio di andare un po OT.
    Tra le letture fuorvianti del mondo fantozziano secondo me c’è n’è anche una liberale (e un po leghista),basata sull’idea che la Megaditta rappresenti un capitalismo malato, corrotto e nepotista, da contrapporre a un presunto capitalismo sano, autonomo rispetto alla politica e fondato sulla mitologica meritocrazia.
    Anche le figure degli impiegati si prestano ad essere accostate allo stereotipo del “fannullone”, magari impiegato nell’amministrazione pubblica, che non può essere licenziato perchè è un “privilegiato” protetto dai sindacati.

    • Chiusa? Su Giap alcune discussioni sono durate mesi :-)

      • Si,in effetti ho decretato troppo in fretta la morte della discussione!

        Comunque, tornando al discorso sui personaggi marxisti nel mondo fantozziano, oltre a Folagra, ne Il secondo tragico Fantozzi, compaiono per qualche istante anche due membri barbuti della “commissione interna”, con tanto di divise paramilitari e stelle rosse.
        Io li interpreto come personificazioni (anche queste caricaturali) di organizzazioni sindacali ormai organiche alle logiche di potere della Megaditta, che sono diventate, paradossalmente, una spece di braccio armato o di servizio d’ordine agli ordini dei padroni.O sbaglio?

  35. Qualcuno ha trovato e postato su questo spezzone in cui Villaggio spiega l’episodio nel 1970, quando il film non esisteva ancora. Effettivamente, da questo discorso non sembra che gli intellettuali di cui si parla siano connotati politicamente. Sembra piuttosto uno sketch, iperbolico e paradossale, sulla “barbosità” dei cineforum in cui le considerazioni analitiche (“l’occhio della madre”) diventano una cosa fine a sé stessa, snaturando fruizione e coprensione del film. Anche la celebre battuta, qui, non ha sapore di ribellione a una “megaditta” né di opposizione agli “intellettuali di sinistra”. Forse è uno stadio primordiale del percorso che ha portato all’esito di quella scena. Sarebbe interessante se si riuscisse a ricostruire il percorso intero.

    https://www.youtube.com/watch?v=Hxb9lPEd26Q

  36. Stasera in Piazza Maggiore a Bologna “Il secondo tragico Fantozzi”.

    […] In Piazza, però, accade qualcosa di incredibile: la partitura è così potente, l’esecuzione così sentita, la proiezione così coinvolgente — in barba a qualsiasi accusa di tedio cinematografico — che il pubblico esulta e si lascia andare a una standing ovation di minuti e minuti. Una standing ovation che somiglia tantissimo a quella — eguale e contraria — che accoglieva Fantozzi quando urlava «La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca». Salvo che stavolta la gente, quasi stupita, sta urlando «La corazzata Potemkin è un capolavoro pazzesco». Dopo la proiezione, la parodia e il successo della serata, divampa il dibattito, rinfocolato anche da un articolo di Wu Ming comparso sul web, che fa i conti «politici» sulla questione. Del resto già alcuni anni fa, in un importante volume sulla cultura popolare dal significativo titolo Da Ercole a Fantozzi, il docente Dams Giacomo Manzoli invitava a notare come la rivolta di Fantozzi, che pure si dirigeva contro l’imposizione della cultura di élite imposta dal capo ufficio, in fondo ricalcava quella dello schermo. Forse i germi della rivolta erano passati dal film ai dipendenti senza che se ne accorgessero. Pochi giorni dopo, Paolo Villaggio purtroppo ci lascia. E tutta Italia comincia a parlare, se non a battagliare, intorno all’eredità culturale del comico ligure […]

    Roy Menarini qui

    https://www.pressreader.com/italy/corriere-di-bologna/20170715/281496456330521

  37. Perché noi millennials non ci rendiamo conto di essere i nuovi #Fantozzi – di Nicola Cucchi

    […] Ma tutto questo i nati dagli anni Ottanta in poi non lo possono sapere. Per gli “spettatori postumi”, a mio avviso, la chiave comica perde tutta la carica distruttiva anti-sistema, per lasciarci ridere pacificamente di fronte alla serie di sfighe che Fantozzi subisce. A un occhio disattento le sue umiliazioni sembrano estreme e incomprensibili, una realtà distante dallo spettatore. Purtroppo, invece, stiamo assomigliando sempre di più, senza rendercene conto, a quella figura estrema. E questo colpisce se pensiamo al livello di consapevolezza diffusa che solo pochi decenni fa avevamo. Il nostro senso comune postdemocratico, guidato dalla paura di perdere i vantaggi ottenuti e dal perseguimento di piccoli obiettivi individuali, ci porta a naturalizzare la sproporzione nelle relazioni di potere, per cui si fa fatica ad ammettere che la comune condizione lavorativa sia di lampante sfruttamento, e quando lo si ammette si finisce per considerarla una fatalità ineludibile.

    L’incapacità di “soffrire con Fantozzi”, di capire che è uno di noi, non fa altro che rivelare la condizione diffusa di una generazione che accetta (quasi) tutto pur di sopravvivere in un universo che svaluta completamente la sua dignità […]

    http://www.sinistraineuropa.it/storie/je-suis-fantozzi-perche-oggi-siamo-tutti-fantozzi-senza-saperlo/

  38. Segnalo la proiezione de “la corazzata”, Giovedì 5 ottobre, ore 21.00, alla Biblioteca Comunale “A. Saffi” di Forlì
    https://900fest.com/2017/09/04/le-proiezioni-di-900fest-2017/

  39. Per chi fosse in zona Torino, lunedì prossimo la Corazzata verrà proiettata al museo del Cinema, all’interno della cupola della Mole, con successive repliche al cinema Massimo.

    http://www.museocinema.it/it/news/6189

    Sempre il Museo organizza per tutto novembre una rassegna del cinema legato alla rivoluzione sovietica

    http://www.museocinema.it/it/news/6192

  40. Anche a Palermo verrà proiettata La corazzata Potemkin: il prossimo 10 novembre, al Cinema De Seta. L’evento, tra l’altro, è organizzato in collaborazione con la Cineteca di Bologna. https://www.facebook.com/events/155110085228875/?acontext=%7B%22ref%22%3A%223%22%2C%22ref_newsfeed_story_type%22%3A%22regular%22%2C%22action_history%22%3A%22null%22%7D

  41. A #Bologna dal 6 al 30 novembre «Avanguardia e rivoluzione. Il cinema di Sergej Ejzenštej». Rassegna + convegno, con
    presentazione del cofanetto DVD. Nel libro che accompagna il DVD c’è anche uno scritto di Wu Ming 1.

  42. […] Confronto e critica rispetto ad un bello (quanto incompleto) spunto di Wu-Ming sul tema fantozziano della rivolta alla Corazzata Potemkin (leggilo qui). […]

  43. […] e restaurata), gli appunti di visione di Wu Ming 1 e la morte di Paolo Villaggio appiccò una querelle sulla memoria del film del 1925 e su quella che è probabilmente la sequenza cinematografica più […]

  44. rientro nel thread già commentato a suo tempo, uno delle pochissime incursioni di un lurker liberaldemocratico in un covo di pericolosi sovversivi ;-) in “Cromorama” del bravissimo Falcinelli la bandiera rossa (specialmente rossa, perché circondata dal bianco e nero) issata sulla corazzata si è meritata una bella citazione in chiusura del capitolo sui “contrasti cromatici”.