[Prosegue la miniserie di due post – il primo è qui – dedicati alla memoria del colonialismo italiano, per non dimenticare il Vespasiano di Affile, dedicato il 12 agosto 2012 alla memoria del criminale di guerra fascista Rodolfo Graziani. Mesi fa, in un’intervista a Giuliano Santoro, WM2 ha collegato Affile, la “maledizione abissina”, il colonialismo e i film di zombie, menzionando anche un “bellissimo articolo” di Simone Brioni, in uscita per una rivista accademica inglese. Nel frattempo, l’autore ha realizzato apposta per Giap un film saggio su quegli stessi temi. Buona visione]
Trailer
Un film saggio che parla dell’eredità del colonialismo, di resistenza, di Lega Nord, di zombi, e della coincidenza per cui Zombi 2 (1979) di Lucio Fulci è uscito proprio quando sono iniziati i primi studi critici sul colonialismo e l’Italia è diventata una delle destinazioni dell’immigrazione africana.
Regia, sceneggiatura e montaggio: Simone Brioni. Soggetto: Fabio Camilletti. Correzione colore: Jennifer Burns, Fabio Camilletti e Giulio Giusti. Assistente al montaggio: James Graham Ballard. Fotografia: Ermanno Guida. Suono: Katherine Louise Clyne. Assistenti di post-produzione: Lidia Mangiavini e Cecilia Brioni. Produzione: Wu Ming 2 e Institute of Advanced Studies, University of Warwick.
Scena 1
Una fotografia, scattata in Etiopia negli anni Trenta, tenuta in una mano. Ritrae alcune donne che salutano romanamente la camera. I loro volti non si distinguono con precisione, ma è certo che hanno la pelle nera. Nell’altra mano il telecomando. Premo il tasto ‘play’ del lettore DVD. Apocalypse Now. Menù. Seleziona scena. Play. Marlon Brando, in chiaroscuro. Parla sottovoce, con la voce spezzata. “L’orrore. L’orrore”.
Come il saggio The Gothic, Postcolonialism and Otherness: Ghosts from Elsewhere di Tabish Khair dimostra brillantemente, buona parte dell’immaginario gotico della letteratura occidentale è abbinato, sin dalle origini, alle colonie e ai loro abitanti. I mostri avevano una pelle diversa e provenivano da posti sconosciuti e ostili. Questa rappresentazione serviva a “giustificare” la conquista di mezzo mondo da parte delle potenze occidentali, con la scusa di civilizzare i barbari, di redimerli dalla loro condizione di mostri per restituirli al genere umano. In altri termini, potremmo dire che l’orrore di cui Kurtz parla al termine di Cuore di tenebra di Joseph Conrad, non si riferisce solamente alle atrocità del colonialismo occidentale in Africa, ma evoca un intero immaginario, costruito sulla paura di un’alterità minacciosa, che ha caratterizzato la conquista europea del resto del mondo e la cui eredità è ancora percepibile. Questo aspetto lo esprime bene Frantz Fanon nelle prime pagine de I dannati della terra, quando afferma che non è tanto la dominazione e lo sfruttamento dei colonizzatori, quanto l’interiorizzazione di stereotipi discriminatori a rendere i colonizzati simili a zombi.
Scena 2
Si sente l’Internazionale in sottofondo. Gli zombi sono tanti, hanno fame. Vederli tutti insieme fa pensare a Il quarto stato di Pellizza da Volpedo, se non fosse per la loro pelle scura. Ma non siamo in Italia, siamo ad Haiti. Fa parte delle convenzioni del genere.
Il riferimento di Fanon agli zombi merita di essere approfondito. Nella tradizione cinematografica gli zombi sono, com’è noto, cadaveri che resuscitano, hanno poteri soprannaturali e un’attitudine ostile nei confronti dei vivi. Hanno fame, non parlano, si muovono in massa, e come ne La lunga notte dell’orrore di John Gilling (1966) si rivoltano contro un padrone malvagio. Non è quindi un caso che spesso essi siano stati identificati con la classe operaia.
Ma per capire come mai Fanon si riferisca agli zombi per parlare dei soggetti colonizzati, occorre risalire alle origini haitiane di questo mostro, riferendosi al primo film del genere: Zombi bianco di Victor Halperin (1932). Perchè gli zombi in questo film risorgono proprio su quest’isola caraibica? Una prima risposta a questa domanda è certamente che Haiti fu destinazione della tratta degli schiavi africani verso il nuovo continente. Le carni scure degli zombi e il loro incedere lento, non possono che ricordare la condizione di questi schiavi. Una seconda risposta, è legata alle relazioni coloniali tra Haiti e gli Stati Uniti, protrattesi dal 1915 al 1934. Zombi bianco fa irrompere ad Hollywood mostri che provengono da Haiti, dà voce alla paura che i colonizzati si possano ribellare contro i colonizzatori statunitensi.
Scena 3
Walking Dead. Serie 1. Episodio 1. Siamo negli Stati Uniti. Arriva uno sceriffo a cavallo in città. Potrebbe essere un film western. Ma non lo è. Lo sceriffo viene attaccato dagli zombi. Si rifugia all’interno di un carro armato. Sembra non avere scampo. Poi viene salvato da un ragazzo asiatico, che assomiglia a Data dei Goonies.
La paura che i colonizzati si ribellino contro i colonizzatori è rintracciabile a tutt’oggi nel genere statunitense dello zombi movie. L’esempio più recente è forse il primo episodio della prima serie di Walking Dead di Frank Darabont. Dopo essersi risvegliato dal coma ed aver scoperto che è esplosa una misteriosa epidemia negli Stati Uniti, lo sceriffo Rick Grimes si muove verso Atlanta a cavallo a in cerca della sua famiglia. Una volta raggiunta la città Rick viene attaccato da un nugolo di zombi, che lo costringe a trovare rifugio in un carroarmato. Questa scena unisce a mio parere due immagini strettamente legate all’immaginario “coloniale” statunitense. In primo luogo, la cavalleria utilizzata durante le guerre per la conquista del West contro gli indiani-americani, che in questo caso non esce vittoriosa dal confronto ma sconfitta. In secondo luogo, il carro armato assediato dagli zombi evoca le operazioni militari condotte dagli Stati Uniti in Iraq e in Afghanistan. La rappresentazione degli zombi, del resto, non differisce di molto dall’immagine dei musulmani offerta dai media internazionali dopo l’undici settembre: una torma di soggetti sub-umani, senza volto né voce, animati da istinti violenti e irrazionali.
Questo non è il solo riferimento alla “rivolta dei colonizzati” o alla resurrezione del colonialismo nella serie. Nel quarto e nel quinto episodio della seconda serie, Daryl Dixon evoca il massacro degli indiani-americani prima che gli zombi confinino gli umani all’interno di una vera e propria riserva. Nel quinto episodio della seconda serie Shawn Green dice che i bombardamenti dell’esercito americano su Atlanta per eliminare gli zombi ricordano le esplosioni di napalm in Vietnam.
Scena 4
Riassunto di Zombi 2. Una nave arriva nel porto di New York. A bordo c’è uno zombi, il cui arrivo propagherà l’apocalisse. Ma non lo sappiamo ancora. Un giornalista, Peter West, e la figlia del proprietario della barca, Anne Bowles, decidono – o meglio, lui decide, lei lo segue – di investigare sul caso e ritrovare il padre della ragazza. Vengono aiutati a raggiungere l’isola da due turisti statunitensi, Brian e Susan. A Matul scoprono che i morti si rianimano e attaccano i vivi. Un dottore, David Menard, cerca di fermare l’epidemia. Non ci riesce, sua moglie Paula viene uccisa, e la situazione precipita rapidamente. Non ci sono superstiti. New York è invasa dagli zombi.
Ricapitoliamo. Gli zombi si muovono da una periferia colonizzata verso un centro (spesso gli Stati Uniti), sono neri, hanno fame, si muovono in gruppo, e resuscitano la memoria di eventi violenti accaduti nel passato. Sono esseri liminali, divisi tra la vita e la morte, tra il passato (un passato coloniale, o comunque in cui la discriminazione razziale sembra occupare un ruolo importante) e il presente. Queste sono, a grandi linee e non senza generalizzazioni, alcune delle caratteristiche del genere.
Seguendo queste coordinate, proviamo ora ad analizzare un film italiano del 1979, Zombi 2 di Lucio Fulci. Questo film riporta in luce alcuni stereotipi legati alla rappresentazione dell’altro come mostro che ha caratterizzato il colonialismo occidentale. In primo luogo, gli zombi hanno la pelle scura e provengono da un’isola caraibica chiamata Matul, mentre i vivi sono bianchi, borghesi, statunitensi. Fulci sottolinea le caratteristiche raccapriccianti degli zombi, per esempio facendo soffermare la telecamera sui vermi che escono dai loro corpi. In una scena significativa uno zombi lotta contro uno squalo e lo uccide, mettendo in luce un’altra caratteristica spesso associata ai colonizzati, vale a dire la loro forza bruta, animalesca. In un’altra scena gli zombi sono rappresentati come cannibali che banchettano sul corpo di un personaggio femminile. Il riferimento al colonialismo è inoltre evidente nell’attacco finale degli zombi, quando i vivi si rifugiano in una chiesa missionaria, uno dei simboli della colonizzazione occidentale del resto del mondo.
Sarebbe però ingeneroso ridurre l’intero film alla rappresentazione dicotomica tra zombi/colonizzati/neri e vivi/bianchi. Per esempio, una delle vittime degli zombi, Susan, è meticcia, e risorgono anche i corpi dei conquistadores nel cimitero spagnolo. Il riferimento ad un immaginario coloniale va inteso a mio parere in senso più ampio, come la paura di un passato con cui non si è fatto i conti e che incombe sul presente.
Scena 5
Un soldato italiano che stringe a sé una ragazza etiope, nuda. Voce di sottofondo. Discorso di Benito Mussolini a Trieste il 19 Settembre 1938: “Nei riguardi della politica interna il problema di scottante attualità è quello razziale. È in relazione con la conquista dell’Impero, poiché la storia ci insegna che gli Imperi si conquistano con le armi, ma si tengono col prestigio. E per il prestigio occorre una chiara, severa coscienza razziale, che stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità nettissime.”
Alcuni riferimenti al passato coloniale in Zombi 2 risultano più chiari in relazione alle leggi fasciste contro le unioni interrazziali del 1937 e le leggi razziali del 1938, che portarono, com’è ormai noto, all’apartheid tra bianchi e neri nelle colonie. Per esempio, l’idea che i colonizzati siano contagiosi, la si ritrova già in Tempo di Uccidere di Ennio Flaiano (1948), uno dei pochi testi a denunciare i crimini italiani in Africa, benché sia influenzato da una retorica e da un immaginario appartenenti ad un periodo precedente. In questo romanzo è presente una donna etiope, spesso descritta come più simile ad un animale che ad un essere umano. Come Giovanna Tomasello nota in L’Africa tra mito e realtà. Storia della letteratura coloniale italiana (2004), questa donna porta un turbante bianco, a significare il fatto che fosse affetta da una malattia. La frequente rappresentazione delle donne africane come contagiose è un lascito delle politiche sulla purezza della razza promosse durante il fascismo.
La paura delle unioni interraziali è inoltre evidente in una scena del film, in cui viene descritta l’aggressione di uno zombi ad una donna bianca, Paula. La camera segue lo zombi alle spalle, mentre guarda la donna, nuda sotto la doccia. Lo zombi cerca quindi di entrare nel bagno e uccide Paula perforandole l’occhio con un’enorme scheggia. La scena è una metafora non troppo sottile di uno stupro ed evoca la minaccia sessuale dei soggetti colonizzati e la paura delle unioni interraziali. Questa paura è inoltre evidende nella causa della resurrezione degli zombi, i riti vudù, che il dottor Menard definisce come il risultato di una mescolanza tra animismo e cristianesimo. Questi elementi sembrano sottolineare un preciso sottotesto del film: la combinazione tra culture e razze diverse può essere pericolosa, perchè può distruggere l’ordine costituito.
Scena 6
Nemesi. L’Africa nella letteratura coloniale è spesso identificata con una donna. La penetrazione dell’occhio della donna in Zombi 2 rappresenta la vendetta dei colonizzati verso i loro antichi padroni, che sono penetrati nella selvaggia Africa, possedendola.
Da dove nasce la paura di Zombi 2? Nasce dalla perdita di un privilegio che esiste nella società che gli zombi verrebbero a distruggere, per portare ad uno stato di caos ulteriore. Un privilegio di genere, anzitutto. Le donne sono rappresentate nel film come oggetto di uno sguardo voyeristico, o come vittime di violenza. Anne segue le istruzioni di Peter ed è “naturalmente” attratta da lui. Paula è schiaffeggiata violentemente dal marito, che cerca di trovare una soluzione alla resurrezione dei morti. Il ruolo delle donne nel film è secondario e riflette i valori dei loro compagni maschi.
Il privilegio è inoltre esercitato in termini di razza. A Matul, il dottor Menard ha un servitore, Lucas, che non fa altro che obbedire ai suoi ordini. Lucas è superstizioso ed il suo ruolo non è altro che quello di esistere in opposizione a Menard, paladino sconfitto della ragione occidentale. A New York, la situazione non è affatto diversa. In una delle prime scene del film un medico rimprovera con veemenza il lavoro del proprio aiutante africano-americano. Anche la scelta di uomini bianchi come ultimi superstiti del genere umano è problematica (rimando, per uleriori approfondimenti a riguardo, a un bel saggio di Franco Moretti intitolato “La dialettica della paura”), in quanto esclude le minoranze dalla possibilità di poter rappresentare la specie nella lotta contro il mostro. Infine, il privilegio è esercitato grazie alla scelta di utilizzare la nudità e la violenza – il film di Fulci è uno dei primi film splatter – non per far riflettere il proprio pubblico ma per stimolarne gli istinti più immediati come, per l’appunto, la paura. Questa paura in realtà sembra voler mantenere l’ordine costituito così com’è, benché sia (o forse proprio perché lo è?) sessista e razzista.
Scena 7
Estratto da Cabiria. Maciste, l’imbattibile gigante, è incatenato e costretto a girare una macina come animale da soma. Maciste è africano, ma usa la sua forza a servizio dei romani contro i cartaginesi, come gli ascari nelle campagne di Libia e d’Etiopia.
Per continuare questa analisi è importante specificare una cosa. Zombi 2 è un film di genere, e come tale risponde a precisi stilemi e regole. L’ambientazione americana è senz’altro una di queste. Tuttavia se prendiamo seriamente i punti sollevati nella quinta scena del nostro film saggio, non possiamo che interrogarci sul perché il film di Fulci sia stato prodotto ed abbia avuto insperato successo in Italia, e se esista un legame con le circostanze storiche e sociali in cui è stato realizzato.
Verso la fine degli anni settanta avvengono due fatti in Italia che scuotono l’intorpidita coscienza collettiva, e la sua amnesia sul periodo coloniale. In primo luogo, iniziano a diffondersi i primi studi critici sul colonialismo italiano per opera di Angelo Del Boca e altri storici. Questi studi portano in luce una storia di crimini efferati, di sterminio di civili con gas tossici, di campi di concentramento (rimando a un interessante sito a proposito: http://www.campifascisti.it/mappe.php). Il risultato di questi studi non ha finora permeato la società italiana (e sembra confermarlo il mausoleo di Affile in provincia di Roma a Rodolfo Graziani, uno dei peggiori criminali della seconda guerra mondiale, a cui Wu Ming 1 ha dedicato un prezioso articolo), eppure è innegabile che abbia riportato alla luce la memoria di un periodo cruciale nella costruzione dell’identità nazionale italiana.
Il colonialismo infatti va di pari passo con l’unificazione del paese, dato che la prima acquisizione commerciale da parte della compagnia Rubattino sul porto di Massaua in Eritrea, risale al 1869, solo otto anni dopo l’unificazione. Il colonialismo fu fondamentale per unire una giovane nazione contro un nemico comune, e a trasformare gli italiani in un popolo di “bianchi”, cosa che fino ad allora non era affatto scontata. Sono molti gli esempi che si potrebbero portare per dimostrare l’importanza del colonialismo nella costruzione del carattere nazionale (da dove viene il caffè che beviamo, uno dei simboli dell’“Italianità”?). Mi limito solo a segnalare che il primo lungometraggio italiano, Cabiria (1914) di Giovanni Pastrone, fu realizzato per celebrare la vittoria italiana durante la guerra italo-turca del 1911 che diede inizio all’avventura coloniale italiana in Libia.
Non sorprende quindi che sia proprio un film a riportare in vita questo rimosso storico. E non uso la parola “rimosso” senza una ragione, evocando un’analisi psicoanalitica: il colonialismo è stato rimosso in seguito ad un trauma, vale a dire le sconfitte italiane di Adua (1896) e Dogali (1887). Secondo Fabio Camilletti, è anche alla luce di queste sconfitte, che è possibile spiegare la nevrosi, tipicamente italiana, a voler “far vedere” ciò di cui si è capaci, a voler dimostrare di essere una grande potenza europea, di non essere secondi a nessuno, e al tempo stesso difendersi con il catenaccio quando si gioca a calcio.
In un articolo di tutt’altra natura (intitolato Il passo di Nerina. Memoria, storia e formule di pathos nelle Ricordanze), Camilletti offre invece un’indicazione importante per comprendere il motivo per cui quel trauma e quel rimosso si siano esplicitati proprio in un film dell’orrore. Lo studioso sostiene che il proliferare di storie dell’orrore anticipò e diede una forma fittizia alle ansie che in quel momento serpeggiavano in Europa e sarebbero state portate alla luce qualche anno più tardi dalla psicoanalisi. Similmente, si protrebbe dire che Zombi 2 è uno degli espedienti attraverso il quale si esplicita la relazione perturbante dell’Italia rispetto al suo passato coloniale, un trauma ancora insanato, che gli studi storici coevi riportano in luce proprio negli stessi anni.
Scena 8
Immagini che si susseguono velocemente, una dopo l’altra. La nave all’ inizio di Zombi 2, che porta l’apocalisse a New York. L’arrivo della nave fantasma nel porto di Wisborg, con a bordo topi pestiferi in Nosferatu, eine Symphonie des Grauens (1922) di Wilhelm Murnau. Le immagini di navi e barconi cariche di immigrati, sui manifesti della Lega Nord.
C’è un altro fatto che riporta alla luce la memoria coloniale italiana e un precedente incontro con l’“altro africano”, vale a dire l’inizio dell’immigrazione africana in Italia che raggiunge numeri significativi proprio dalla fine degli anni settanta. Siamo in un periodo che precede l’arrivo dei barconi che verranno utilizzati nei manifesti della Lega Nord per seminare la paura dell’invasione degli immigrati. Eppure è significativo che Zombi 2 si apra proprio con una nave che entra nel porto di New York. Questa scena sembra essere un riferimento al capolavoro di Wilhelm Murnau, Nosferatu, eine Symphonie des Grauens (1922). Siegfried Kracauer, autore di un testo fondamentale sull’espressionismo tedesco Da Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco, parla di questa scena come di una rappresentazione metaforica dei sentimenti anti-semiti della Germania degli anni ’30. In Nosferatu, lo “spirito tedesco” è assediato da “presenze minacciose” che arrivano dall’esterno, su una nave fantasma. Kracauer sostiene che non sia un caso se un anno dopo sarebbe avvenuto il putsch di Monaco. Similmente, la nave che porta l’infezione zombi a New York potrebbe essere vista come il barometro delle inquietudini dell’Italia di quegli anni verso l’immigrazione.
Scena 9
Di nuovo, si sovrappongono due immagini. Da un lato il poster di Zombi 2, con i mostri che invadono New York. Dall’altro gli immigrati invadono l’Italia. Li vediamo procedere lentamente alle loro spalle. Non hanno volto, né identità. L’apocalisse è inevitabile.
Zombi 2 attinge da un immaginario coloniale per rappresentare la paura che i colonizzati si ribellino ai loro padroni di un tempo, invadendoli. La paura di questa invasione è chiaramente rappresentata in uno dei poster del film, che assomiglia in maniera impressionante a uno dei manifesti della Lega Lombarda della fine degli anni ottanta. Non so se chi abbia realizzato questo poster si sia ispirato ai film dell’orrore, come sembrerebbe, né m’interessa saperlo. È importante tuttavia sottolineare che entrambi i manifesti invitano a ricercare le cause dell’inquietudine all’esterno (nell’immigrazione) e non all’interno (nella storia coloniale) dell’Italia.
Scena 10
Una massa di uomini e donne affamati, con i vestiti strappati e le carni scure si avvicina lentamente. La protagonista assomiglia a Renata Polverini, e guarda terrorizzata il sindaco di Affile, che sta al suo fianco. Entrambi se la danno a gambe, ma non hanno scampo. Gli zombi li divorano, lacerandogli le carni.
Varrebbe invece la pena ritrovare le cause di questa inquietudine nell’inconscio nazionale, nel fatto che l’Italia non abbia fatto i conti con il suo passato. L’esempio più recente (e forse il più agghiacciante) di mancata decolonizzazione della memoria è il mausoleo dedicato a Rodolfo Graziani, il macellaio di Fezzan, ad Affile. Penso che in Germania non si potrebbe erigere oggi un monumento a Goebbels, solo perché (e cito dal sito del comune di Affile) “figura tra le più amate e più criticate, a torto o a ragione, fu tra i maggiori protagonisti dei burrascosi eventi che caratterizzarono quasi mezzo secolo della storia [tedesca]”. In Italia invece è stato possibile (lo ammetto, ho scelto il paragone con la Germania per dare ulteriore esempio di quella nevrosi tutta italiana di voler dimostrare di essere come le altre nazioni europee, a cui accennavo prima). Un altro modo per non fare i conti con il passato è invece quello di rimuoverne i simboli, senza alcuna discussione pubblica. Nel 2010 il governo Berlusconi restituì tra le polemiche la stele di Axum all’Etiopia riuscendo a vendere l’operazione come un’opera di valorizzazione dell’identità di quel paese invece di una restituzione dovuta di un bottino di guerra. Come sostiene Antonio Morone, il fatto che l’Italia abbia preso parte attiva alla guerra in Libia nel 2011 bombardando una sua ex-colonia senza che questo intervento militare fosse “oggetto di discussione nelle diverse sedi istituzionale né tanto meno nelle piazze italiane”, mostra ancora una volta come il risultato degli studi storici realizzati finora riguardo alla storia coloniale italiana “non si sia riversato in un comune sentire degli italiani” (http://www.linkiesta.it/bombe-italiane-sulla-libia-ritorno-al-colonialismo).
Un film saggio però deve indicare anche strade per il futuro, possibili modi per fare i conti con la memoria. Crogiolarsi nella denuncia dei modi in cui non si sono fatti i conti con il passato coloniale è un interessante quanto inutile autocompiacimento. Come ricorda Wu Ming 2, negli ultimi vent’anni sono state prodotte una serie di opere scritte sia da italiani sia da immigrati provenienti dalle ex-colonie, che hanno contestato la visione unilaterale della storia che ci è stata presentata finora, mettendo in discussione il mito degli “italiani brava gente” (http://www.dinamopress.it/news/la-guerra-razziale-tra-affile-e-il-colonialismo-rimosso). Queste opere sono cruciali per rendere partecipe la società italiana di una pagina di storia colpevolmente dimenticata.
Per quanto mi riguarda, negli scorsi tre anni ho coordinato un gruppo di lavoro che ha cercato di squarciare un velo di silenzio sul nostro colonialismo realizzando due documentari, intitolati La quarta via. Mogadiscio, Pavia e Aulò. Roma post-coloniale (entrambi distribuiti da un editore indipendente di Roma, la Kimerafilm). Queste due opere, che hanno per protagoniste le scrittrici Kaha Mohamed Aden e Ribka Sibhatu, parlano del colonialismo italiano rispettivamente in Somalia e in Eritrea all’interno dello spazio urbano di Pavia e di Roma, cercando di de-zombificare queste città, di de-colonizzarne finalmente la memoria.
Epilogo
Simone Brioni è Visiting Fellow presso l’institute of Germanic and Romance Studies, Univeristy of London. Si occupa della rappresentazione letteraria e cinematografica del colonialismo e delle migrazioni in Italia.
Molto interessante, come analisi, davvero ricca di spunti, così come il medium proposto per la trattazione.
Essendo nuovo di qui, prima del classico “scivolone” con commenti non adeguatamente ponderati, mi prendo del tempo per riflettere e rivedere alcune letture trascorse.
A tal proposito, una domanda: il citato saggio del Moretti, del quale illo tempore apprezzai alcuni scritti, è ancora reperibile, in un formato qualsiasi? Mi risulta fosse stato pubblicato su “Calibano”, rivista di cui era curatore all’epoca, e (leggo da un sito, non ne ero al corrente, fino ad oggi) anche in una raccolta edita Einaudi (“Segni e stili del moderno”) oramai fuori catalogo…
Ulteriore suggestione, sulla scia delle “rimozioni post-traumatiche”: il terzo volume della colossale opera di Del Boca (“La caduta dell’Impero”) è da tempo introvabile sugli scaffali, reali e virtuali (a differenza degli altri 3)…
Sì, il terzo volume de “Gli italiani in Africa orientale” al momento non è disponibile, e a quanto mi risulta l’ultima pubblicazione di questo saggio di Moretti si trova in “Segni e stili del moderno”. Puoi trovare però una traduzione in inglese del saggio di Moretti qui: http://knarf.english.upenn.edu/Articles/moretti.html
Sull’argomento caraibico, morti che resuscitano, colonialismo e voodoo segnalo la reinterpretazione del play “The Playboy of The Western World” di J.M. Synge da parte di Mustapha Matura “The Playboy of The West Indies”.
The Empire Writes Back! Grazie mille, me lo divorerò – è proprio il caso di dirlo–, pensando ad un possibile adattamento de “Il fu Mattia Pascal” in Africa Orientale.
Ciao, scusate l’imbranataggine, ma non riesco a trovare il limk al video di “zombi 2 revisited”, vedo solo i trailer di aulò e la quarta via…potete aiutarmi?
Non credo che il corto esista, era solo per dare una forma di sceneggiatura all’articolo. Però sarebbe bello poterlo realizzare, ne risulterebbe un mash up con accostamenti grotteschi alla “Blob”. La scena 10 poi non me la perderei per nulla al mondo.
ah, ecco, sono proprio uno sciocco. mi aveva tratto in inganno l’informazione sulla durata nel titolo. grazie!
Il minutaggio credo si riferisca a un ipotetico tempo di lettura del testo…
I credits iniziali vanno letti invece come un ringraziamento ad alcune delle persone con cui ho dialogato durante la stesura di questo articolo. Mi è sembrato un buon modo per rendere conto del fatto che ‘Qualsiasi narrazione è un’opera collettiva, anche quando un solo individuo la traduce in testo e la firma con il suo nome e cognome’, come scrivono Wu Ming 2 e Antar Mohamed in Timira.
Ciao, una reminescenza di esami geografici (non so se può essere utile o interessante) evocata dalla “scena 6” del “corto”. Se non ricordo male, la rappresentazione allegorica di una “parte del mondo” come donna discinta (e quindi da possedere) nasce a corredo delle prime rappresentazioni cartografiche delle Americhe appena “scoperte”. (In quel periodo, invece, per l’Africa, era in uso un’arsenale iconografico molto diverso). Contemporaneamente nella letteratura geografica si diffonde il topos letterario delle “indigene lussuriose”. Una sintesi a uso didattico è in “Verso il nuovo mondo” di F. Surdich (Giunti), che magari è utile come partenza per inoltrarsi in una ricerca bibliografica.
bellissimo questo post.
e in particolare la posizione degli zombi come esseri liminali, rimosso del passato coloniale che ritorna, mi sembra ottima, e chiave di letture inesauribili di testi e immagini.
a me è venuta subito in mente l’obeah di cui si parla spesso nei testi di jean rhys (in wide sargasso sea e altrove) come di questo insieme di pratiche magiche di origine africana percepite come ‘magia nera’ e proibite dai bianchi creoli domenicani, e di conseguenza in pubblico/in presenza di bianchi tenute a distanza e (de-)negate dai lavoratori neri (e in particolare dalle donne) delle piantagioni, ma che questi ultimi poi ‘recuperano’ in momenti speciali in cui manifestano/affermano la loro identità ormai meticcia e – insieme – il loro rifiuto dell’oppressione, come nei minacciosi ‘carnevali’ che da feste ‘etniche’ si trasformano in rivolta.
allora sono andata a leggermi per la prima volta la pagina obeah di wikipedia, e ho trovato questo:
“One aspect of Obeah that is familiar to Trinidad and Tobago, though not all other nations where Obeah is practiced, is the Moko-Jumbie, or stilt dancer. Moko was a common word for Ibibio slaves[citation needed]. In the Trinidad and Tobago Obeah tradition, a jumbie is an evil or lost spirit, related to the Kongo word “nzumbi,” which is the origin of the English word zombie”.
(e poi alla fine ho ripensato anche alle pratiche rituali e magiche di mia nonna, e adesso ho voglia di proseguire, e andarmi a rileggere con altri occhi de martino sul tarantismo, oltre che qualcosa di generale e comparativo sulla ‘magia’ e le pratiche rituali nella diaspora africana, idealmente da un punto di vista postcoloniale.
qualcuno ha suggerimenti per un buon punto di partenza?)
Se sei interessato/a a rileggere le culture del sud Italia in chiave postcoloniale potresti partire da Race and the Nation in Liberal Italy, 1861-1911:
Meridionalism, Empire, and Diaspora di Aliza Wong, Bound by Distance: Rethinking Nationalism Through the Italian Diaspora di Pasquale Verdicchio, e dai saggi di Roberto Derobertis (o dal volume che ha curato con Bruno Brunetti: L’invenzione del Sud. Migrazioni, condizioni postcoloniali, linguaggi letterari).
Ottimi spunti su De Martino vengono dagli studi culturali e dell’etnologia. Di De Martino si parla a più riprese in David Forgacs, Robert Lumley (eds.) Italian Cultural Studies: An Introduction, e in Graziella Parati (ed.), New Perspectives in Italian Cultural Studies. Questo articolo parla invece del contributo di De Martino all’etnologia: http://www.academicroom.com/article/critical-ethnocentrism-and-ethnology-ernesto-de-martino
Sulla scintilla che le s’è riaccesa al termine della lettura, non posso che condividere… De Martino molto più che Eliade, in quei pochi anni di intensissima produzione letteraria e sperimentazione sul campo, aveva centrato il nocciolo di parecchie questioni… una piccola chicca per rintuzzar la fiamma, anche se sicuramente l’avrà già visto: le consiglio il breve documentario del ’62 (testo e voce fuori campo di Salvatore Quasimodo) a cura del cineoperatore che De Martino portò con sè in Salento, assieme alla composita truppa di ricercatori (credo si trovi facilmente su Youtube!).
… e forse posso esserle d’aiuto, se non ho inteso male il suo desiderio di “qualcosa di generale e comparativo sulla ‘magia’ e le pratiche rituali nella diaspora africana”:
-a parte Africae: sto attualmente leggendo “Il vodu in Africa”, di Alessandra Brivio (ed.Viella); uno sguardo antropologico e leggermente focalizzato rispetto alla lettura “generale” che cercava (il gorovodu tra Benin, Togo e Nigeria), forse, ma accuratamente contestualizzato.
-a parte “Americae”: due testi recentemente consigliatimi da una docente universitaria (sono in lingua, spero non sia un problema) che debbo ancora affrontare in maniera sistematica ma le consiglio “sulla fiducia”:
1) Manuel M. Marzal, Tierra encantada. Tratado de antropologia religiosa de América Latina; (facilmente reperibile, credo anche in traduzione inglese)
2) Faces da tradicao afro-brasileira, a cura di Carlos Caroso e Jeferson Bacelar (Universidade Federal de Bahia); non credo sia attualmente reperibile “pret-a-acheter”, ma sicuramente in qualche biblioteca universitaria lo trova… altrimenti, se è interessato, mi faccia sapere!
Spero di esserle stato utile.
Riprendo e integro, pardon… Dimenticavo gli scritti di Roger Bastide (dei classici, ormai… “Le americhe nere”, della Sansoni, e un saggio sui culti afro-americani nell’opera edita Laterza “Le religioni nell’età del colonialismo e del neocolonialismo”) e alcuni di quelli di Edna Bay, più recentemenre (geo-localizzati nel fu regno del Dahomey, Benin)!
grazie mille simone brioni e poimandres1525!
anzi ‘fin troppo’ (quanto ci mettero’ a leggere tutto?) :P
magari ci rivediamo su un prossimo post a tema (se a letture iniziate avro’ qualcosa da dire).
buon lavoro a tutti e due.
Anch’io sono stata ingannata dai 15 minuti del titolo e mi stavo già pregustando la scena 10… vabbè. Comunque molto interessante. Riguardo alla scena dell’occhio in Zombi 2, non lo so se davvero bisogna dargli quell’interpretazione. I film di Fulci pullulano di occhi trafitti, oppure ciechi oppure strappati, o anche divorati dai ragni, e a questo proposito il regista dichiarò che per lui la perdita dell’occhio rappresentava la perdita della ragione.
Gli zombi introducono l’irrazionalità in un mondo altrimenti ordinato, sono d’accordo. Il dottor David Menard, così come il suo collega a New York, non possono fare nulla per fermare l’epidemia. Sono loro i veri sconfitti di Zombi 2. Credo però che il contesto di quella scena dia alcune indicazioni per leggere la perforazione dell’occhio (il bulbo qui non viene strappato o divorato dai ragni) come una violenza sessuale. Qui c’è uno zombi ‘guardone’ che osserva a lungo una donna nuda sotto la doccia prima di aggredirla.
[…] The Battery utilizza la connotazione del genere, il retroterra simbolico e mitico che sta dietro a una tradizione ormai consolidata, per per mettervisi subito ai margini. Gli zombi non sono che un pretesto, non fanno paura, sono […]
Post molto interessante, spero ci saranno altre puntate della miniserie sul colonialismo italiano.
Per ora mi viene una prima riflessione sul fatto che l’immagine dello zombie ci parla del corpo del colonizzato e dell’immigrato. Il corpo lavoratore, forte e sano, si sfalda, si ammala e comincia a farci paura. I corpi giovani e resistenti che abbiamo chiamato, o che siamo andati a prenderci, per faticare nelle nostre industrie, nei nostri campi e nelle nostre case hanno esaurito le forze e cominciano a sfaldarsi. Cessano di esserci utili, di corrispondere alle nostre aspettative e di assolvere le funzioni che abbiamo assegnato loro. Escono dai ranghi e ci fanno paura, temiamo di essere assediati dai loro corpi, malati e contagiosi.
Il tema che esponi è centrale nel secondo e nel terzo film della quadrilogia di Romero. Possono ancora ‘produrre’ i morti viventi? Ma soprattutto, possono ancora consumare? La risposta di Romero a queste domande secondo me suggerisce che la condizione del morto vivente non è quella di chi non è più vivo, ma di chi ha perso i diritti, delle ‘non-persone’ (e qui mi riferisco al saggio di Alesandro Dal Lago sull’esclusione degli immigrati in Italia).
Non dimentichiamoci che anche il corpo del colonizzatore si ammala dello stesso miasma.
Il deterioramento – fisico, morale, psicologico, culturale- è quanto di più generale possa esserci.
Non si è immuni dalle malattie sociali che germinano nel ventre del colonialismo – inteso in senso culturale, oltre che militare.
Ciascuno di noi rischia di ritrovarsi oppressore, così come ciascuno rischia di ritrovarsi oppresso.
Sì, però il rischio di ritrovarsi oppressa per una lesbica nera in una società regolata da logiche razziste e sessiste è molto più grande di quello di un maschio bianco eterosessuale. O anche quello di un povero rispetto a un ricco, in una società classista come quella in cui viviamo. L’origine del male che affligge oppressori e oppressi non è la stessa, e Fulci lo rappresenta chiaramente: gli abitanti di Matul si ammalano di un morbo di cui non si conosce l’origine, mentre i bianchi venuti da New York diventano zombi solo dopo essere stati morsi, in seguito ad un’aggressione.
meeope, condivido la tua opinione.
Nel precedente commento ho ritenuto superfluo specificare che, ovviamente, c’è sempre una disfunzione, una mancanza di equilibrio nel rapporto colonizzatore-colonizzato.
C’è sempre qualcuno che viene indebolito affinché l’oppressione possa essere perpetrata.
Quel che intendevo dire è che nessuno può colonizzare senza aspettarsi di contrarre la stessa malattia.
Chi reifica le persone, si troverà reificato.
Se apri il vaso di Pandora, non puoi sperare di essere immune dalla malattia.
Spero di riuscire a spiegarmi: ovviamente, non posso tenere le parti del colonizzatore, né piangerne il contagio.
Ieri (28/08) abbiamo suonato Razza Partigiana alla Festa di Radio Onda d’Urto (BS). Declamando l’ultima strofa dell’ultimo pezzo, mi sono accorto di una citazione/risonanza zombi che non avevo mai notato e che di sicuro è finita nel testo per suggestione riflessa e non riflessiva (lo spettacolo va in scena dal 2008 e a quel tempo certe riflessioni sugli zombi mi erano del tutto estranee):
“Ti hanno insegnato che un meticcio non è una persona intera
che è un essere ignobile, un fiore appassito, un morto vivente, un’offesa
Forse per questo sei arrivato in fondo
sordo a qualunque liberazione
Giorgio Marincola, nato in Somalia
Pelle nera, cittadinanza italiana
Razza partigiana.”
http://www.youtube.com/watch?v=fyCIwFo_gqU
I segni della relazione che lega zombie ed eredità del colonialismo si trovano disseminati anche dove meno te lo aspetti.
L’ultimo che ho trovato è nella scena iniziale di Django Unchained. Dopo che Christoph Waltz ha ucciso il primo schiavista e menomato il secondo per liberare Django consegna agli altri schiavi le chiavi della catene.
Questi prima di liberarsi dai ceppi circondano il secondo schiavista e lo uccidono. La macchina da presa li inquadra di spalle e la loro andatura, resa barcollante dalle catene e dalla fatica, è la stessa andatura lenta vista in mille film di zombie, un caso? Secondo me no.
A tal proposito, l’accostamento zombie/colonizzazione me ne suggerisce un altro, forse molto simile.
http://www.youtube.com/watch?v=30VSy0orw4k
Anche in Star Trek, di una manciata di anni anteriore al film di Fulci, abbiamo una situazione molto simile: l’eroe coraggioso (non a caso bianco e maschio), il capitano Kirk, si trova ad avere a che fare con altri “mostri” (in questo caso creature aliene), che spesso sconfigge e sottomette.
È assurdo che, e chi ha seguito un minimo la serie classica se ne renderà conto, che da tutti i viaggi compiuti dall’equipaggio dell’Enterprise non ci sia un’episodio in cui lo Straniero sia ritenuto un modello più evoluto o più civile o semplicemente migliore: sono spesso selvaggi e violenti.
E questo si capisce benissimo dal principio della sigla: lo spazio è “l’ultima frontiera” per l’uomo (ricordo, bianco maschio colonizzatore), è sempre lui al centro del viaggio, l’ottica è quella dell’uomo bianco civilizzatore (?), azzarderei.
Ulteriori analisi dei singoli episodi, che ora non sto qua ad enumerare, confermerebbero questa mia idea.
Se t’interessa approfondire il tema, mi sono appena imbattuto in un interessante intervento che analizza Star Trek alla luce degli studi postcoloniali ed è disponibile online: http://books.google.it/books?id=X2afn-OtIfAC&printsec=frontcover&dq=science+fiction+colonialism&hl=en&sa=X&ei=u11_UrzAAsbi4QTLn4HoBg&ved=0CDYQ6AEwAQ#v=onepage&q=science%20fiction%20colonialism&f=false
“Graziani (Maresciallo) – Un uomo che sta al Nord, coi tedeschi, e del quale si racconta che abbia perso i coglioni in Libia. Così impara a molestare gli arabi!”
da “Un uomo ordinato. Il dizionario del partigiano anonimo”, tratto da La scelta, Feltrinelli, 1963 (Neri Pozza, 2006).
lo si trova anche antologizzato in Storie della Resistenza. appena uscito per Sellerio. questo per chi avesse voglia di leggerlo. non per prolissità bibliografica.
si tratta di poche pagine che raccolgono i foglietti tenuti nel taschino in ordine alfabetico da un partigiano anonimo che non sopravvisse ad un inverno.
secondo me un capolavoro di sintesi. e di antiretorica.
Conoscete questo piccolo testo di Antonio Caronia?
http://www.academia.edu/305482/Morti_viventi_e_vivi_moribondi
Ho letto molta dell’opera di Caronia per la stesura del mio libro su J.G. Ballard (e The Atrocity Exhibition ha ispirato il ‘montaggio’ di questo testo), ma non conoscevo questo articolo nello specifico, grazie! Senz’altro Zombi 2. Revisited è sorto anche dalle sue riflessioni sul post-umano. I film di zombie parlano spesso di biopolitica. Oltre che alla luce dell’opera di Esposito, si potrebbe guardare alla condizione degli zombi anche in relazione del concetto di ‘nuda vita’ di Giorgio Agamben. Dopo l’apocalisse zombi il diritto s’interrompe, e subentra uno stato d’eccezione, come la terza stagione di The Walking Dead mostra molto bene riferendosi esplicitamente alla ‘guerra al terrorismo’.