di Giuliano Santoro (guest blogger)
«A giovano’,
sta mano po esse fero e po esse piuma.
Oggi è stata ‘na piuma…»
Come si smonta uno schema che sembra destinato a lasciarti annaspare nella palude del già visto? Il campo di forze che ha costituito la narrazione del 19 ottobre e la strana coalizione di soggetti che si è ritrovata in piazza e ha stracciato la sceneggiatura dell’annunciato remake del 15 ottobre 2011 fornisce una risposta interessante a questa domanda.
Siamo nell’Europa della fine della socialdemocrazia: trionfano le larghe intese e le grosse koalition. Ci troviamo nel paese sciagurato in cui la principale forza d’opposizione parlamentare lavora quotidianamente per svuotare le piazze e deviare l’attenzione dei cittadini su questioni marginali, quando non velenose. Girovagando in mezzo alle macerie della sinistra qualcuno spera ancora che dalla crisi si esca riaffermando le vecchie regole invece che imponendone di nuove. Dal canto mio, ho vissuto il clima e le riunioni di preparazione, le chiacchiere di attesa per strada e gli articoli allarmistici sui mass media, in una strana condizione di sospensione. Il caso ha voluto che nei giorni che hanno preceduto l’evento mi sia capitato di dover chiudere, assieme agli altri tre autori, le bozze della Guida alla Roma Ribelle cui stiamo lavorando ormai da più di un anno.
Così sono sceso in strada inquietato dai fantasmi dell’allarmismo e sorretto dagli spiriti della rivolta romana, in preda a una specie di capogiro lisergico: Menenio Agrippa e i tribuni della plebe facevano capoccella dietro uno striscione sorretto da migranti, la maschera col pizzetto di Guy Fawkes mi appariva in mezzo ai baffoni dei militanti dei Volsci degli anni Settanta, le tende della acampada montate alla fine dello sciopero generale dei sindacati di base si mescolavano alle baracche dei calabresi venuti a Roma in fuga dalle fatiche contadine, i ritmi dei pink bloc della murga riecheggiavano le gesta del Tamburino che si lanciò contro le truppe di Napoleone III per difendere la Repubblica Romana del 1849.
Al netto di clamorosi casi di malafede, i giornalisti sono stati protagonisti di tragicomici numeri allarmistici prima e di assurde descrizioni guerrigliere e ci hanno messo qualche giorno a capire che il film che erano pronti a descrivere, che da qualcuno gli era stato promesso e che hanno continuato a girare sulle pagine dei loro taccuini, non è stato mai proiettato. Non era aria di rappresentazioni. Doveva essere la giornata dell’ «assedio» e della «sollevazione generale». Da mesi si annunciava il momento della Vendetta-con-la-V. In un certo senso tutto ciò è avvenuto, ma in forme felicemente inconsuete e probabilmente inattese per gli stessi protagonisti. Il 19 ottobre non è stato lo spazio d’inizio autunno dentro cui regolare questioni pendenti tra aree politiche. E non ci si è illusi di «fare giustizia» nello spazio di qualche chilometro di corteo. Al contrario, la saggezza della Roma ribelle sedimentatasi negli anni, quel misto di disincanto e senso di orgogliosa separatezza dalle beghe del potere che a volte viene scambiato per rassegnazione, ha trovato terreno fertile presso quelli che, nonostante il boicottaggio di Trenitalia e la crisi, hanno risposto alla chiamata dei movimenti di lotta per la casa di una città nella quale, come disse qualche anno fa a noi scolari diligenti un cattivo maestro, «si occupano le case fin dal tempo dei Gracchi».
Per costruire il frame si era parlato dell’arrivo dei No Tav a Roma, ma questa volta non c’erano fortini da accerchiare. Il potere, si sa, lavora più a fondo di una trivella dell’Alta Velocità, e i palazzi che ha ereditato come simbolo oggi sono vuoti, buoni giusto per archiviare faldoni e verbali compilati altrove. Così, in un gioco di inseguimenti semantici che ricorda i quadri di Escher più che le rappresentazioni statiche della guerra di trincea, man mano che il corteo avanzava e la città ribelle passava sotto i nostri occhi è diventato difficile capire davvero chi assediava cosa.
Ecco, vedi? Da lì si arriva su via Nazionale. È stato lì che i soldati nazisti nella Roma occupata spararono a Carlo Lizzani e ai suoi due compagni mentre facevano scritte in tedesco inneggianti alla Rivoluzione russa. A proposito, attento che adesso passiamo da CasaPound, pare che siano là davanti con caschi e bastoni a provocare i manifestanti. Lassù invece doveva esserci il parchetto dove il bambino Roberto Perciballi prese una sberla da un uomo in divisa e decise che qualche anno dopo avrebbe fatto il cantante punk nei coattissimi Bloody Riot. E poi, altro che petardi: la vera spina nel fianco del ministero delle finanze di via XX Settembre sono i rifugiati che occupano l’enorme stabile in piazza Indipendenza, alle spalle della sede governativa.
«Questi del Forte Prenestino tirano fuori l’autogestione anche nel giorno dell’assedio», dice il Duka commentando la coreografia con gli ombrelli degli attivisti del più antico centro sociale romano.
#19O video-tacco / #test from fratelli di TAV on Vimeo.
«Se prima eravamo tutti valsusini oggi siamo anche tutti romani», hanno detto gli organizzatori ai giornalisti. In effetti, i romani ribelli venuti da tutt’Italia sono gente abituata al fai-da-te: prima c’erano quelli che arrivavano alle porte della città e costruivano le loro baracche a ridosso delle mura storiche, assediando la città millenaria simbolo del potere eterno e sgretolando la severità di quell’Impero. Oggi ci sono gli occupanti di case, che riciclano il patrimonio edilizio dismesso e pretendono diritti di cittadinanza.
Erano le migliaia di persone che a Roma vivono nelle occupazioni il cuore del corteo del 19 ottobre. Si trattava dei migranti che difendono le case assieme ai loro bambini e i precari che non possono permettersi un mutuo. Guido Lutrario, che per conto del sindacato di base Usb ha vissuto da vicino l’organizzazione del 19 ottobre, per descrivere questa composizione parla della «rabbia della parte più povera della società». Assieme a loro c’erano le facce viste in questi due anni di lavoro sotto traccia nelle nuove occupazioni e nei comitati di quartiere. Hanno disegnato un serpentone lungo e denso di storie, che ha letteralmente ribaltato il percorso tradizionale delle manifestazioni, scampando la coazione a ripetere della ritualità: dalla Porta che affaccia su Piazza San Giovanni si è risaliti oltre piazza della Repubblica per andare fino a Porta Pia, seguendo un tracciato che ha unito due punti delle diverse porte di accesso alla città. Quel percorso ha spalancato l’ingresso del centro di Roma e adesso dovrebbe andare dritta verso una sollevazione che ha bisogno di essere europea per superare i vincoli di bilancio che si sono materializzati nel corso dell’incontro tra i manifestanti e il ministro Lupi del 22 ottobre.
Anche il movimento spagnolo del #15M è arrivato a cogliere il nesso tra speculazione edilizia e bolla finanziaria occupando spazi fisici: almeno su questo siamo qualche passo in avanti. Per questo Roma, ormai da anni intesa quasi inconsapevolmente da molti come «territorio di conquista» dei cortei, «terra di nessuno» da attraversare per poi tornare alla propria città, con il #190 è tornata inattesa protagonista. Più di uno dei palazzi occupati si trova dalle parti della piazza dell’accampamento. Nessuno ha mai creduto davvero che la tendopoli precaria romana di Porta Pia potesse trasformarsi nella acampada madrilena di Puerta del Sol. Perché il tempo delle acampadas è passato da un paio d’anni e perché a Roma e in Italia, a differenza che a Madrid e nello stato spagnolo, i ribelli possono accomodarsi in quelle case vere da cui penzolano striscioni rossi. Dispongono di accampamenti di cemento e mattoni, di quelli che rimangono in piedi. Case sulle quali il lupo dei cattivi presagi ha soffiato invano il vento della diffidenza.
P.S. Restano da liberare gli arrestati durante il corteo. Anche per loro converrà imbracciare la bandiera dell’amnistia, checché ne dicano i tutori della legalità ad ogni
Aggiornamento:
“Corteo Roma, scarcerati i sei arrestati Per Gip non c’erano prove di loro partecipazione agli scontri (ANSA)”
A proposito di quegli accampamenti di cemento e mattoni, tanto per rilanciare:
Dal 1 al 3 Novembre a Roma si incontrano movimenti europei e dell’area mediterranea, per discutere di debito, diritti, democrazia. Un anno dopo Agora 2012 a Madrid.
http://www.dinamopress.it/news/agora-99-incontro-euromediterraneo-a-roma
Volevo approffittare della pubblicazione del post su Roma per riportare qui questa riflessione di Teho Teardo sul rapporto musica & antagonismo, se ritenete che è O.T. e/o preferite spostarla chiedo scusa.
La riflessione è presente sulla pagina FB di Teardo:
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=653019021404652&l=d553d56b94
La ricopio qui:
“Roma Blindata per la manifestazione da due giorni e da due suoni: in cielo quello degli elicotteri il cui rombo non tace un istante, a terra quello di assalti frontali, banda bassotti, 99 posse; la colonna sonora di questa manifestazione è sempre la stessa da più di vent’anni. Non ho nulla contro questi musicisti, li rispetto, ma non capisco perché ci siano sempre gli stessi, con gli stessi slogan spuntati. Possibile che in più di vent’anni non siamo riusciti a trovare un’altra voce, un altro suono che possa raccontare il disagio contro cui si manifesta senza tutta la zavorra di retorica che ci schiaccia a terra molto più degli elicotteri a tutto volume? Dopo vent’anni della stessa solfa si può fare un bilancio ed il risultato è magro: tutta questa roba non ha cambiato niente, non ha scalfito nulla, tutto resta sempre uguale in questo prevedibile gioco delle parti. Mi sembra tanto che si voglia mantenere tutto come è sempre stato, senza cambiamenti. Tutto fermo lì alle stesse canzoni, con gli stessi gesti ormai innocui e patetici. Non abbiamo una voce e non abbiamo un suono, quindi non abbiamo idee valide per superare questo momento. Tutto rimane come prima e quel che resta è il suono degli elicotteri.”
Volevo sapere se e come la pensate perchè mi sembra uno “sfogo” interessante.
Un cinismo del tutto superfluo.
Lui che (forse) ne sa più di noi di musica, perché non pone a sé stesso questa domanda: “Possibile che in più di vent’anni non siamo riusciti a trovare un’altra voce, un altro suono che possa raccontare il disagio contro cui si manifesta senza tutta la zavorra di retorica che ci schiaccia a terra molto più degli elicotteri a tutto volume”?
Perché gli stessi slogan? Perché il problema non è poi così diverso rispetto a 20, 50, 100 anni fa. E si chiama capitalismo – i sintomi sociali di tale malattia sono sempre gli stessi.
Niente è stato come sempre il 19. O almeno niente è stato rappresentato come sempre. Tant’è che siamo tutt* felicemente spiazzati.
Ma sulla musica (avevo fatto un’osservazione simile, ma senza generalizzazioni drammatiche) ti rispondo con quello che mi ha detto uno dei musicisti che ha suonato il 18:
“comunque se suonano sempre gli stessi è anche colpa della poca fantasia di chi organizza, magari se ci chiedessero una mano…”
Anche nella colonna sonora bisogna imparare a fidarsi e osare :-)
Senza volerla fare troppo drammatica, io eliminerei del tutto i sound-system e ritornerei ai vecchi cori più o meno improvvisati. Cantare in coro è bello, lascia spazio alla creatività e aumenta il grado di partecipazione e di empatia.
qualche mese fa avevo partecipato a una manifestazione in val di Susa, nel pulmann dalla mia città non cantava nessuno, anzi a un certo punto l’autista ha acceso la radio. è vero, era un pulmann organizzato da un centro sociale che la notte prima aveva fatto serata, quindi gli animi erano un po’ spentini, ma la sensazione è stata brutta lo stesso.
PS, ad esempio a Taranto, manifestazione dei Cittadini Liberi e Pensanti di dicembra scorso, nessun sound system, solo cori, con gli ultras che ne hanno lanciati una marea, manifestazione splendida.
Il #19O si è cantava di brutto. Fra la top ten:
1. “Mutuo soccorso e autorganizzazione | Omnia Sunt Communia | rivoluzione!”
2. “Era un fascio dichiarato | so contento che è stirato | Eric Priebke | la la la la!”
3. “Digos the night | ce fa le foto | Digos the night | non usa il flash”
;-)
In effetti anche noi volevamo proporre questa sua riflessione, quantomeno perché il Teardo è di queste parti. Sinceramente siamo piuttosto critici con quanto scrive, sebbene, sembra, che queste sue riflessioni abbiano riscosso più di qualche consenso, soprattutto nell’ambiente di musicofili nel quale conta molti estimatori.
Ci domandiamo se a Teardo dia più fastidio il fatto che Roma è blindata per due giorni di seguito oppure che la colonna sonora delle manifestazioni purtroppo è ferma a quei soliti quattro gruppi che cita.
Ci pare che non approfondisca nel merito e che le sue valutazioni nel complesso siano superficiali.
Se il nodo vero della riflessione fosse il rapporto tra le manifestazioni, le sfilate e gli effetti che queste producono in termini di rapporti di forza allora sì che ce ne sarebbe da approfondire.
Qual è il senso delle marce testimoniali a Roma quando poi si torna a casa, sul luogo di lavoro, sul luogo di studio e tutto pare restare immutabile?
Una nota sullo stato della sinistra: il 20 ottobre 2007 PRC e PDCI portarono in piazza a Roma circa 700mila persone, il 19 ottobre 2013 sono scese in piazza qualche decina di migliaia di manifestanti, ed è un successo.
Fare la conta dei numeri è stupido. Come dice WM, magari è il caso di entrare nel merito di ciò di cui parla Santoro. Il commento di Teardo è noia.
Non ci sembra questa la sede per discutere un’opinione musicale espressa da Teardo su Facebook. Quando sentiremo la necessità di parlare di quello, faremo un post su quello. Il pezzo di Giuliano propone una riflessione su altro, saranno graditi commenti in tema. Grazie.
A proposito delle foto che illustrano il pezzo: ecco il blog che raccoglie altre opere degli autori dei cartelli appesi il 19 ottobre a Roma
http://www.00kk.org/
Ottimo. Inserito come link in tutte le immagini.
La tiriamo fuori tutta? Senza ipocrisie e senno di poi: molti (sicuramente il sottoscritto) non pensavano che sarebbe andata bene, perché a sentir parlare di “assedio ai palazzi del potere” e recependo certe altre allusioni nel periodo preparatorio del corteo ci eravamo fatti l’idea che sarebbe stata la solita Frankenhausen. Chi non ha la sindrome di Fonzie può ben dire che ci siamo sbagliati e per quanto mi riguarda ne sono molto felice.
Vogliamo parlarne?
Assolutamente sì, il senso del post di Giuliano – e del link che abbiamo infilato nella prima frase – è quello.
La mattina del 20 abbiamo scritto su Twitter: “Non l’avremmo mai detto. Sollievo. Plauso per l’intelligenza dimostrata”.
Due anni fa azzardammo dicendo che, in futuro, tutte le manifestazioni nazionali “di movimento” erano destinate a finire come il 15 ottobre.
Anche stavolta, la premessa ci sembrava la peggiore possibile, con il reiterato ricorso alla metafora iettatoria dell’Assedio, “assediamo i palazzi del potere” etc.
Chi è sceso per strada l’altro giorno ha smentito quella tetra aspettativa, e per fortuna! Non è stato un assedio, è stata una scorribanda incazzata e gioiosa (la gioia di sollevarsi insieme).
Capire cosa fosse successo, come e perché, è lo scopo che avevamo quando abbiamo chiesto il pezzo a Giuliano.
Concordo in pieno. Anche io mi aspettavo tutt’altro, e mi ritengo contento di essermi sbagliato. Come lascia intendere Giuliano, il vero sconfitto e’ il giornalismo mainstream in toto, che ha fatto una figura che definire di merda sarebbe un eufemismo.
In piu’, la cosa bella e’ che il “percorso trappola”, e la narrazione ad esso collegata, sono state evitate in maniera veramente “gioiosa”, come da post di Wu Ming 1, ma allo stesso tempo molto forte e deciso, cosa che in quel preciso contesto si e’ mostrata essere la migliore soluzione, e non il solito collateral della falsa dicotomia violenza/nonviolenza. Evitare lo scontro per uscire da uno spettacolo che tutti si aspettano, e si apprestano a recuperare nel lor frame narrativo, e’ stata di sicuro la mossa vincente, ecco.
Questa e’ una cosa molto interessante e, da quello che capisco dal post di Giuliano, non “casuale”, ma piuttosto un prodotto del percorso di lotte e organizzazione degli ultimi anni. Se cosi’ fosse, e voglio crederci, saremmo veramente nel bel mezzo di un punto di svolta (per quanto puo’ avere senso il concetto stesso di punto di svolta, eh)…
Per dire quanto fosse imbarazzante la figura fatta dai media mainstream: a Porta Pia, la sera del 19, i cronisti di Sky e RaiNews24 davano per certo lo sgombero della piazza da parte della polizia. Nei caffè attorno all’acampada, non si contava il numero dei reporter che supplicavano le redazioni di potersene andare, ricevendo secchi rifiuti perchè “qualcosa prima o poi succederà”.
In ogni caso, la bellezza di tutto ciò non è stato spiazzare i media – per quanto la cosa abbia un che di liberatorio – quanto vedere in piazza un corteo vivo e *vero*. Dopo tanto tempo, mi sono sentito un pò come… a casa. Che bella cosa!
Mauro (e pure Nexus qui sotto),
vogliamo parlarne? ma anche no :-)
Possiamo continuare a parlarci addosso fino a far spuntare di nuovo tutti i distinguo i però e i ma, oppure ragionare sul mantenere alto il livello che si abbiamo dimostrato in piazza a Roma. Nelle realtà locali, nelle occupazioni, nelle lotte dei migranti e della logistica etc.
Portando insomma il discorso pubblico in casa nostra. E non risemantizzando l’assedio (come ho sentito dire) ma ri-agendo nella realtà, indipendentemente dalle sfumature di come chiami quello che fai.
@daniela
Be’, sai com’è, sono abituato a sviscerare gli errori altrui, e per una volta :-) mi sembrava giusto sviscerare un errore di valutazione che è stato anche mio. Serve a non ripeterlo ed è anche propedeutico a rafforzare i rapporti tra le varie posizioni e strutture, altrimenti ognuno resta chiuso nel racconto confortante delle volte che ci ha visto giusto e nasconde sotto il tappeto il ricordo di quando ha cannato.
Detto questo, sono d’accordissimo che la priorità è cosa fare adesso, e non tanto parlarne quanto farlo. Le “pause di riflessione” funzionano in politica più o meno altrettanto bene che nelle storie sentimentali. :-)
Lunedì mattina alla radio ho sentito un brevissimo intervento di un manifestante che ha accennato al fatto che il 15 ottobre 2011 gli scontri furono finalizzati a far saltare i comizi previsti a fine giornata (personalmente non ricordo assolutamente chi avrebbe dovuto parlare dal palco), mentre per quanto riguarda il #19o nessuno ha tentato di porre il proprio cappello sul corteo, quindi non era necessario dimostrare lo scollamento oramai palese tra movimenti e sindacati o altre organizzazioni.
L’esito della manifestazione ci ha fatto tirare un sospiro di sollievo, non c’è dubbio. Un altro pomeriggio militarizzato di guerriglia sarebbe stato un ostacolo troppo alto da superare per poter procedere con l’allargamento della mobilitazione che tutte e tutti vogliamo. Detto questo, mi rimangono molti più dubbi che certezze sulle prospettive: cosa succederà nei territori? In che modo le energie che si sono coagulate attorno al #19o troveranno il modo di moltiplicarsi e di articolarsi in una battaglia capace di durare?
Ho ascoltato i dibattiti di Porta Pia, ma queste domande non sono state nemmeno poste. Forse non era quello il momento per affrontarle, ma prima o poi da qualche parte dovrà succedere. I cortei nazionali stanno svolgendo un ruolo di supplenza rispetto alle lotte che fanno ancora tanta fatica a prendere forma nei luoghi della quotidianità. Tutti vediamo la rabbia che si accumula, ma capiamo pure che non si sta ancora traducendo in un progetto capace di far indietreggiare i nostri avversari, o quanto meno di farli preoccupare.
In questo senso, la legittima soddisfazione del post #19o non deve diventare retorica auto-celebrativa: scadenze così importanti devono diventare i passaggi di un percorso che si evolve, di una mobilitazione che cresce, non gli appuntamenti rituali di un dissenso che non riesce ad articolarsi diversamente. In caso contrario, nulla di significativo si potrà obiettare alla amarezza delle parole di Teardo: “tutta questa roba non ha cambiato niente, non ha scalfito nulla, tutto resta sempre uguale in questo prevedibile gioco delle parti”.
Nei territori (più che altro nelle metropoli) la sollevazione era già partita, c’erano già stati #12O, #15O, #18O, tutta la battaglia della #logistica, dell’IKEA, di granarolo; le molte occupazioni di edifici, qualche fabbrica occupata.
Sta a tutti e tutte proseguire su questo cammino e inasprire il conflitto nei propri luoghi d’appartenenza.
Domani a Bologna verrà occupata la mensa universitaria, degli obiettivi qui ci sono, non so da voi, val la pena che ognuno si organizzi.
..Molto bello il pezzo di Giuliano…davvero dal punto di vista tattico militare il movimento ha mostrato intelligenza.
Molto felice di essermi sbagliato.
Detto questo invece non trovo del tutto fuori luogo l’osservazione di Teardo (che non conosco).
Se il movimento ha mostrato una bella intelligenza tattica, mi sembra invece vero che non si produca più nessuno scarto dal punto di vista dell’immaginario. Gli slogan , le parole d’ordine che risuonano nei cortei sono davvero logori..e qui forse c’ è un problema non legato ai singoli intellettuali, cantanti..ma proprio di intelligenza collettiva..
“Se il movimento ha mostrato una bella intelligenza tattica, mi sembra invece vero che non si produca più nessuno scarto dal punto di vista dell’immaginario”
sono assolutamente d’accordo con te.
Il discorso di Teardo – che conosco e stimo come musicista dai tempi dei Meathead – è intelligente e sensatissimo .
Liquidarlo come si trattasse di una questione di gusti musicali o di cinismo mi sembra – scusate –
un atteggiamento idiota.
Venti anni fa Banda Bassotti, 99Posse e Assalti Frontali hanno dato un contributo fondamentale nel far avvicinare una moltitudine infinita di gente all’universo dei centri sociali, delle occupazioni e dell’antagonismo di classe in generale, universo da cui – si noti bene – quegli stessi gruppi provenivano.
Sarebbe bello che anche oggi quell’universo riuscisse a produrre una forma di *comunicazione * altrettanto valida, e che fosse in grado di *parlare con la gente* invece di crogiolarsi nella triste sicurezza delle celebrazioni rituali, della conta dei numeri o delle questioni di ordine pubblico.
Quel che Teardo non coglie è che oggi la creazione di immaginario comune, a differenza di quanto accadeva vent’anni fa, non passa più principalmente attraverso la musica. Non perché non ci sia buona musica, ma perché ce n’è tantissima – e “tantissima” non rende nemmeno lontanamente l’idea – a disposizione con pochi click (YouTube, Spotify e quant’altro), quindi sono radicalmente cambiate le abitudini intorno a essa. Le modalità di ascolto e di scambio sono diverse, la fruizione musicale si è sempre più personalizzata e i gusti si sono frammentati in tantissime nicchie. Probabilmente l’unica musica su cui le compagne e i compagni si trovano più o meno d’accordo sono i grandi “classici” del periodo d’oro dei centri sociali, che ormai sono tradizione, vengono tramandati come repertorio folk.
Neanche a me esalta sentire dalle casse dei furgoni sempre le stesse cose, ma lo accetto, perché se si canta “Bella ciao” che è del ’44, è perfettamente sensato che si canti “Comincia adesso” che è del 2001. Musicalmente, un corteo non può offrire altro che il *comune denominatore* delle persone che lo compongono. Se metto la musica sul carro di un corteo, non è come metterla a “Battiti” alle due di notte. In corteo sentirò più facilmente gli Assalti frontali, più difficilmente sentirò G.G. Allin o i gamelan di Bali o i Buchi di Culo a Reazione della Moldova.
Va anche detto che oggi l’immaginario è molto visivo, anzi, icastico. Da casa, dove può udire il corteo ma non vederlo, Teardo non può cogliere i segni dell’immaginario sedimentato nelle lotte di questi anni, dalle maschere (giù un po’ passées) a cartelli come quelli che riportiamo sopra.
Detto questo, la discussione su quel che ha scritto Teardo sposta troppo il focus. Non è questione di “liquidarlo”: il discorso può pure essere sensato – benché molto, molto limitato, ma del resto non pretendeva di essere altro che uno sfogo – però noi ormai un po’ di esperienza di dinamiche da commentarium l’abbiamo, qui se non si sta – letteralmente – “sul pezzo”, rischia di partire un flame sul fatto che il tale gruppo ha rotto il cazzo o una roba autoflagellatoria e inutile su quanto siamo marginali etc.
Lo scopo di questo post era chiedersi insieme in che modo sabato sia stato evitato il trappolone, e cosa questo comporti per il futuro. Una volta tanto che si può ragionare su un esercizio riuscito di intelligenza collettiva, trac!, subito si riparte con la lagna, e perché? Perché, con tutto quello che è successo sabato a Roma, è capitato che a Teardo non piacesse la musica che sentiva da casa! :-P
chissà se teardo scoprisse i videogiochi che potrebbe succedere… il 19 ottobre è stato scongiurato il solito GTA/Lemmings
…A mio avviso non si tratta di lagna…si tratta solo di rilanciare. Nel senso che per me c’è stata una straordinaria forma di intelligenza collettiva, ma ammantata in abiti logori. La sollevazione generale, l’assedio, un certo linguaggio che assume i toni della lingua di legno.
Ecco, mi interessa capire se l’intelligenza del 19 si può sviluppare e diventare di nuovo capace di un immaginario egemone.
Il discorso finale di Giuliano su come declinare in Italia, l’accampada mi sembra per esempio molto interessante.
A me , ad esempio occupy non mi dice assolutamente nulla , mentre trovo il movimento spagnolo davvero intelligente.
Se un movimento del genere si sviluppasse nel nostro paese potrebbe davvero diventare dirompente.
E se proprio vogliamo parlare di musica, allora diciamo anche che Still Smiling, nonostante la voce di Blixa, è una cagata pazzesca.
La buona riuscita della #sollevazione popolare, a mio parere, non risiede nè nel contropiede che centinaia di attivist* hanno saputo lanciare ai media “agitatori” e alle fdo “provacatrici” (di casaclown non parlo neanche perchè è come fargli un favore), nè nella dicotomia violenza/nonviolenza. Il vero successo è da ricercarsi nei *collegamenti* tra le varie realtà che hanno preso parte all’evento. A partire dal venerdì e dalle pesanti tattiche di FUD messe in atto (cariche al Pigneto, clima “da G8”), durante la manifestazione dei sindacati di base si intuiva che nell’aria vi era qualcosa di diverso. Infatti con il “ponte” tra USB e movimenti si andava saldando un blocco sociale compatto, unito sui temi e sulle modalità; nonostante la paura e il ricatto, di media e istituzioni, il giorno dopo mi sembrava proprio palese come il corteo fosse il risultato del knowhow di lotta di ogni singola realtà che vi partecipava. Anche il blitz di Anonymous (dal tempismo impeccabile) mi è sembrato in linea con questo caleidoscopio di lotte territoriali, quasi a significare: il nostro modo di protestare è questo, ci siamo anche noi. Delle conferme le trovo anche nel post-#19O con le manifestazioni di solidarietà ai/alle compagn* fermat* (molto partecipate e non solo a Roma) e con espressioni come “nè buoni nè cattivi” o “si parte e si torna insieme” che negli ultimi tempi si sentivano solo nella Valle che Resiste.
Inoltre penso che unire le competenze (di lotta e di organizzazione) e le rabbie, tessendo molteplici narrazioni di protesta in un’unica storia (cosa che i wuminghi dicono da anni) darà energie nuove anche nelle realtà locali.
Big up a tutt*.
La militarizzazione mediatica (compresi gli hashtag #assedio ecc.) ha prodotto un effetto inverso: i cittadini erano beatamente convinti dell’arrivo dei “No-Tavve” e si sono blindati in casa; i militanti (pur rimanendo determinati) hanno vissuto l’evento in uno stato di angoscia e disillusione psicologica.
Se è vero che la buona organizzazione del corteo ha permesso di arginare i pretesti per lo scontro (personalmente sono stato “incordonato” dall’inizio alla fine), la palla è e rimane sempre nelle mani delle forze dell’ordine. Le scaramucce davanti al ministero dell’economia, che hanno temporaneamente spezzato il corteo, non sono sfociate in “tonnara” per volontà della questura. Infatti mentre i giornalisti portavano a casa quelle quattro immagini dalla trincea, dietro, poco dopo piazza della Repubblica, il corteo era in evidente stato di ansia e indecisione. In particolare, per chi come me ha avuto la s-fortuna di sostare in via Cernaia, il dilemma era ben motivato dalla presenza di un muro di finanzieri a circa 400 metri di distanza. In quel caso, una minima scaramuccia (giustificata dalla guerrilla-lampo che si stava consumando in via XX Settembre) avrebbe decretato a mio avviso la fine del corteo, spezzandolo ulteriormente.
La giornata è stata positiva, i movimenti ne sono usciti rafforzati. E’ altrettanto positivo domandarsi quanto ancora la forma-corteo all’assalto dei palazzi del potere sia valida. Come ha citatato Giuliano: oggi la mano è stata piuma, ma domani…
Per il discorso media, vale la regola che “non informano sui fatti, informano i fatti”. Ciò che dobbiamo scardinare, aldilà degli esiti delle manifestazioni, sono i principi enunciativi su cui si basano le narrazioni delle lotte. In particolare i dualismi (buoni vs cattivi) e le tattica forensi all’autoevidenza (la circolazione di immagini decontestualizzate e foraggiate dal tan-tam in rete).
I cartelli di 00KK che Giuliano ha piazzato nell’articolo sono un bell’esempio nel piano della street-art (keep goin!) su come reagire a questi frame. Per il resto, oltre al reportage, si può ricorrere a racconti “immaginari” ;-)
http://nexusmoves.blogspot.it/2013/10/ermeneutica-della-resistenza-un.html
Alla fine è andata bene, ma le premesse per il degenero c’erano tutte…
Premettendo che io sono un cane sciolto, organizzazione zero e di legnate serie non ne ho mai prese, ma fra i più agguerriti e preparati della mia comitiva il clima non era affatto sereno. A differenza di Nexus mi sono ritrovato nello spezzone di testa e degli scontri davanti al ministero nessuno se n’è accorto, certo è che se decidevano di far intervenire quei finanzieri che blindavano l’area, le cose andavano sicuramente in un altro modo…
Personalmente continuo a domandarmi se valga la pena concentrare periodicamente le forze e le aspettative su Roma come obbiettivo simbolico…
Poi che centra, stavolta è andata bene e possiamo essere soddisfatti… ma la prossima?
Le cronache dalla guerriglia immaginaria non riportano un pezzo particolarmente gustoso…
Verso le 19 a porta pia l’inviato di RaiNews24 (scandalosa) intervista uno sconosciuto “fotografo” che dice di avere le foto della violenza contro i camioncini (il modo in cui il giornalista pronuncia camionscini è già un indizio).
Mostra il suo laptop, dove tiene aperto photoshop, con una foto di blindato e, sopra, appiccicato senz’arte un nerboruto tizio tutto bicipiti e maschera di guy fawkes.
Per circa un minuto blatera nonsense mostrando le “prove”, mentre il suo compare, munito di pipa e sguardo accattivante, ammicca alla telecamera.
EPIC TROLL.
L’impressione è stata che il giornalista fosse… compiacente…
Non ho fatto in tempo a scattare una foto allo schermo, però! e siccome oggi pic or didn’t happen, spero che qualcuno ci sia riuscito…
in risposta a questo dibattito sulle varie dinamiche della manifestazione, vorrei lasciarvi l’indirizzo dell’archivio sonoro delle opinioni sulla manifestazione come mezzo di comunicazione di una massa, http://archivioapertodellopinione.it/
dopo anni e anni di scontento sento finalmente persone soddisfatte di una manifestazione-sollevazione generale-assedio.
Voglio provare a chiarire qualche aspetto.
Quando mescolo le storie e le facce della Roma ribelle all’esito del corteo del 19 ottobre, non mi interessa disegnare una specie di attitudine “naturale” di un territorio. Intendo piuttosto mettere in connessione quelle storie con i fatti di cronaca, per cercare di rappresentare la relazione tra le parole utilizzate per preparare il corteo e il contesto dentro al quale si sono immerse.
Ogni simbolo, ogni parola e ogni frame (in questo caso la #Vendetta, l’#Assedio e la #Sollevazionegenerale) utilizzati non possono prescindere dal contesto in cui vengono a trovarsi. Il significato di una narrazione non è “unico” e non è determinato in maniera meccanica e lineare dalle intenzioni del ‘produttore’ di quel simbolo-nel-contesto. “Non c’è nessuna garanzia all’interno del segno o di una determinata forma culturale – scrive Stuart Hall – Ma non c’è nemmeno nessuna garanzia che un segno o una forma culturale rimasti comunque legati a una lotta particolare, diventino per sempre l’espressione vivente di una classe”.
Inutile negarlo: gli hashtag che rimandavano alla sollevazione del 19 ottobre 2013 riportavano la maggioranza delle persone al 15 ottobre 2011. E questo forse è uno dei motivi per cui in piazza c’era più gente di quanta pensassimo ma non c’erano persone del giro “largo” viste in altre occasioni: c’erano i militanti e la rabbia dei “poveri” di cui parla Guido Lutrario, cogliendo anche la differenza col corteo dei sindacati di base del giorno precedente.
Il fatto è che quelle parole precedute dal cancelletto si sono gioiosamente calate nel contesto sociale e materiale del corteo del 19 ottobre, sono finiti in mano ai soggetti reali. E sono diventati altro, anche se i giornalisti non se ne sono accorti e si sono messi a maneggiare la parola “sollevazione” senza rendersi conto che questa non era più una pietra grezza ma era stata finemente lavorata – in un processo ovviamente contraddittorio e pieno di spinte e controspinte – dai manifestanti fino a divenire altra cosa. Col proverbiale senno del poi, direi anche che gli indizi c’erano: si leggevano nelle discussioni delle assemblee preparatorie e nel prendere forma delle componenti che hanno poi dato di vita alla manifestazione. Quegli indizi, a dirla tutta, si coglievano anche dai messaggi che arrivavano dai palazzi del potere che si voleva assediare; perché il senso della parola “assedio” l’altro giorno è stato plasmato anche (ovviamente non solo) dall’atteggiamento delle forze dell’ordine davanti al ministero delle finanze, dalla tattica sintetizzata dalle parole di un giornalista embedded addentro alle dinamiche questurine come Carlo Bonini: «Non caricare la folla se non autorizzati direttamente dal Questore».
Di questo rapporto dinamico si occupano i compagni spagnoli del #15M quando parlano di Tecnopolitica: rifuggono da qualsiasi feticismo digitale e da ogni forma di propaganda e rappresentazione perché puntano a costruire relazioni tra gli hashtag e le piazze, a mantenersi in sintonia con quanto avviene in strada e usare la rete per amplificare una cosa che esiste e farla circolare meglio.
Spezzo una lancia “contro” l’egemonia dell’hashtag e del sistema della tecnoimmagine. Come visto in #guerrieri, l’hashtag può anche essere prodotto da un sistema di potere forte, ma con la giusta strategia (e una buona dose di aleatorietà) si può dirottare diventando un significante davvero instabile. Il problema di fondo non sta nell’uso di un hashtag (o di uno slogan) più o meno significativo, nè nel soggetto politico/tecnocratico che lo promuove (il soggetto è uno spazio vuoto occupato di volta in volta da diversi hastag, e non viceversa). La svolta consiste nello scardinare i processi che regolano i rapporti fra le varie piattaforme enunciative (istituzionali e non) e trovare quei bug che possano generare cortocircuiti nella catena discorsiva, rivelandoci uno spazio di libertà sempre possibile.
In soldoni: sì alla street art, sì all’occupazione di hashtag e algoritmi, sì al mediattivismo “di strada”, purchè il medium non sia usato come mezzo, ma come “messaggio” (o anche “mAssaggio”, se crediamo alla funzione taumaturgica della narrazione ;-) ).
Ottima analisi, grazie. Utile esplorare il concetto di tecnoimmagine in Flusser: il fatto che le immagini non sono piu’ prodotte dalla narrativa, ma nell’era della sintesi della realta’ la narrativa e’ un prodotto che segue le tecnoimmagini.
Ricollegare la distanza fra realta’ fisica e virtuale e’ importante, fare in modo che sia la narrativa delle moltitudini a plasmare le immagini e non l’opposto. Ma queste dinamiche si ritrovano anche prima dell’epoca del “feticismo digitale” come lo chiami, erano gia’ nelle dinamiche dei capetti e nell’imposizione delle loro narrative. Ora tornando al 19 Ottobre credo che chi quel giorno ascoltava Radio Ondarossa sa che dai suoi microfoni e’ stato fatto tanto e nella direzione giusta affinche’ ci fosse una vera sintonia tra la strada e la rete.
Ciao a tutt*, sono Lorenzo e vivo a Brescia. Anche se seguo e ammiro da diversi anni questo blog, non vi ho mai scritto. Ora ne sento la naturale esigenza: non sono d’accordo con chi parla di successo della manifestazione del 19 ottobre. O meglio forse non sono riuscito a capire bene il senso di questo successo. Ad essere sincero, mi aspettavo delle motivazioni di critica dei Wu Ming verso l’organizzazione di questa giornata: l’ho percepita fino dall’inizio (e questa mia percezione non è cambiata nemmeno a fatti accaduti e accampate terminate) come l’ennesimo tentativo di convogliare tutte le forze e la rabbia in un’unica soluzione concreta, limitata nel tempo e nello spazio. Condivido fortemente le osservazioni sulla necessità di una continuità a-temporale e capillare delle lotte, e a me l’idea di questa giornata è sembrata tutto il contrario.
La conseguenza più positiva che riesco a trarre dalle mie osservazioni sull’evento di cui parliamo è: forse il #19O è stato giusto nella sostanza (cioè la necessità di far conoscere le ragioni specifiche dei territori, che sono concrete, riguardano la vita e la quotidianità delle persone), ma non nella forma (nel modo in cui è stato comunicato tra le varie anime interne e verso i media esterni): che senso ha raccogliere forze sotto il richiamo di Assedio ai palazzi del potere, quando l’intenzione era piuttosto di riunire le mobilitazioni specifiche perché si confrontassero, condividessero le pratiche utili, provassero a consolidare i punti in comune? Se non si voleva fin dall’inizio fare il benché minimo assedio, la benché minima dimostrazione di violenza fisica (che continuo a pensare sia l’unica soluzione di una rivoluzione completa e soprattutto immediata), perché si è deciso di usare metafore adeguate solo ad alimentare la voglia di impatto eclatante dei media generalisti?
Mi sembra che tutto venga progettato sempre con troppa ambiguità… per farmi capire mi sento costretto a parlare un po’ di massimi sistemi: o si fa una rivoluzione vera, con milioni di persone (non settantamila) che assaltano per davvero con le armi i palazzi del potere, che decapitano i propri simili (per aspetto e genetica) detentori del potere di creare e cambiare le regole dimostratesi disumane e omicide, interrompono e rompono i sistemi e i tempi di funzionamento della società e dello stare assieme vigenti, oppure si pratica giorno per giorno (come penso sia più opportuno fare), nel proprio piccolo, nel proprio territorio la contro-esistenza, le contro-pratiche e le relative contro-narrazioni in grado di instaurare un nuovo e umano funzionamento del nostro stare al mondo.
È inutile, secondo me, cercare di creare una contro-narrazione usando gli stessi termini della narrazione imposta o quelli che la narrazione imposta vuole sentirsi raccontare perché le conviene.
Questa del 19 ottobre per me è stata la prima volta che ho pensato: sta volta non ho proprio voglia di andare a Roma a manifestare perché a me questa manifestazione sembra inutile. Vi parla una persona che ha sempre partecipato più che attivamente a tutti i percorsi di lotta degli ultimi anni.
Penso che l’unica soluzione per cambiare realmente le cose o, più concretamente, per sovvertire l’azione nel merito di problemi specifici come il diritto alla casa, gli abomini sul territorio per la costruzione delle grandi opere, gli omicidi voluti e perpetrati di chi ha necessità di emigrare e di muoversi nelle terre, sia quella di svegliare fuori le persone che non sanno nemmeno che cosa sia una manifestazione, che non sanno e non riescono a vedere le cause dei problemi, non continuare a parlare di noi stessi, di come questa volta o quell’altra volta ci siamo sentiti più uniti, meno uniti, ma che bello che sta volta l’USB stava coi movimenti, perché quel gruppetto là non ha gridato “siamo tutti antifascisti” ecc… Penso che ogni sforzo e ogni utilizzo del TEMPO debba essere convogliato nell’ideazione da zero di nuovi modi posti completamente ad di FUORI dall’azione dei media più utilizzati per comunicate a tutti, ma proprio a tutti (soprattutto a quelli che quando hanno visto in diretta 4 gatti a bastonare i finanzieri davanti al ministero, hanno pensato “quindi l’articolo su Repubblica che ho letto ieri che parlava di possibile guerriglia urbana e terrorismo era realistico”) quali siano le reali motivazioni del perché IL CAPITALISMO NON FUNZIONA E NON FUNZIONERÀ MAI. I 4 gatti davanti ai finanzieri non lo spiegano, e se a me (un io medio ipotetico), che tutto sommato, di politica non ci capisco molto e forse alle prossime elezioni voterò renzi perché è figo, in tv e su internet fanno vedere solo questi 4 gatti, chi è che me lo spiega con parole semplici semplici che, invece di lamentarmi sempre perché la mia vita fa cagare, posso iniziare ad agire in modo diverso, e cercare di cambiare le cose non solo per me, ma per tutti?
Sempre più spesso ultimamente mi ritrovo a mettere in discussione continuamente i modi in cui affrontiamo, da compagn*, la vittoria ormai acclarata del capitalismo e ciò che possiamo fare per prenderci la rivincita; sto leggendo in questi giorni per la prima volta Scritti Corsari di Pasolini, il quale, analizzando quello che succedeva nei primi anni Settanta, sembra sbattermi in faccia pari pari le contraddizioni che rilevo in quello che stiamo facendo nell’organizzare questa rivincita: egli parlava di un fascismo “vecchio” (quello del ventennio, la repressione, la negazione delle libertà) e di un fascismo “nuovo” e molto più pericoloso, quello dell’avvento del consumismo grazie all’azione della televisione e della comunicazione di massa esplosa nei decenni precedenti. Denunciava quella che secondo lui era una grave sottovalutazione di questo montante fascismo “nuovo” da parte di chi organizzava le lotte. Ora, nel 2013, questo fascismo “nuovo” che cosa è diventato? Probabilmente si è sublimato, ha pervaso tutto, fa parte delle nostre vite, volenti o nolenti. È questa la vittoria del capitalismo forse? Secondo me sì. Io penso che questo errore grave di sottovalutazione di questo “nuovo” regime fascista, in cui non viviamo ma sopravviviamo da schifo, molto spesso lo si commetta anche oggi, anche nell’organizzazione e nell’attuazione delle varie “chiamate alla lotta”. Spero che chi è riuscito a seguire più di me mi possa contraddire, ma il 19 ottobre non ho sentito parlare di feticismo della merce, di sfruttamento del lavoro legato alla filiera delle tecnologie digitali, delle cause reali del precariato del lavoro immateriale e intellettuale, non ho sentito parlare delle “nostre” questioni ambientali e sociali (TAV, MUOS, diritto alla casa e alle migrazioni, abolizione delle carceri) andando alla radice del problema, alle cause dell’azione criminale delle varie larghe intese, grosse koalition o di questo o quell’amministratore istituzionale di turno: cioè del fatto che tutto ormai si basa sul buon andamento del mercato del futile, dell’obsolescente, del non umano. Ci stiamo dirigendo nelle direzioni giuste?
Grazie molto molto molto ai Wu Ming per il loro lavoro :)
Ciao a tutt*! Sono completamente d’accordo con le considerazioni di Laurentius, compresi i ringraziamenti per i Wu Ming. Ai quali mi sento di aggiungere modestamente un rimando alle opere del giovane Diego Fusaro.
Ciao Laurentius. Ti rispondo brevemente perchè secondo me il tuo commento merita una risposta seria, e non va lasciato cadere come “sfogo” di un deluso della manifestazione.
Detto questo, su molte cose che dici sono (e siamo, come collettivo) d’accordo. Ad esempio, quando dici che la manifestazione ti è sembrata “l’ennesimo tentativo di convogliare tutte le forze e la rabbia in un’unica soluzione concreta, limitata nel tempo e nello spazio. Condivido fortemente le osservazioni sulla necessità di una continuità a-temporale e capillare delle lotte, e a me l’idea di questa giornata è sembrata tutto il contrario.”
Bene, questa lettura è anche la nostra, nel senso che in questi anni abbiamo visto come il tentativo di mobilitazione unitaria, centralizzata, “evenemenziale”, in assenza di mobilitazione politica diffusa, non porta a granchè. Attenzione: qui parliamo di mobilitazione *politica*, cioè un insieme di lotte sintetizzate da delle proposte comuni e concrete con cui portare avanti la lotta più generale contro questo sistema di sviluppo. Non le centinaia di lotte “sociali” e vertenziali presenti su tutto il territorio, che sono effettivamente esistenti ed effettivamente vive.
Oltretutto, siamo d’accordo nel criticare la retorica del “palazzo” e del suo assedio. Era sbagliata 12 anni fa a Genova, lo è ancor di più oggi. Il potere non risiede in quel palazzo, in quelle istituzioni. Il potere è diffuso e riguarda i rapporti politico-economici di sfruttamento stabiliti in altri luoghi, da altre istituzioni. Assaltare un palazzo vuoto, svuotato da ogni potere concreto (se non ratificare direttive imposte altrove) e in un giorno di ferie, anche noi non capiamo quali determinati passi in avanti possa portare al movimento di classe.
Detto tutto questo, ci sono diversi *però* di cui non si può negare l’evidenza.
70.000 persone sono un numero neutro in se. Una manifestazione di 70.000 persone oggi, in un contesto pacificato, in assenza di mobilitazione politica italiana ed europea, per di più colpita da un accanimento mediatico senza precedenti, e in cui una parte importante della sinistra (anche di movimento) giocava a smarcarsi, secondo noi significa tantissimo. Qualche anno fa saremmo stati un migliaio, descritti come il corteo dei black bloc, e forse ci saremmo ridotti a riprodurre quella modalità. 70.000 persone se ne sono fregate della criminalizzazione mediatica di chi dipingeva quel corteo come il corteo dei “duriepuri”, “anarcoinsurrezionalisti”, e via dicendo; così come se ne sono fregate del tentativo riformista di presentarsi come la sinistra per bene e fieramente antiberlusconiana dei Rodotà e del Landini.
Oltretutto, non era solo il corteo di “casa e reddito”, ma di una serie di parole e atteggiamenti radicali che tempo fa avrebbero portato al fallimento numerico della manifestazione. E’ stato un corteo effettivamente espressione di un diffuso anticapitalismo, neanche più tanto “viscerale” ma sempre più cosciente. mancherà ancora la “proposta”, ma la “protesta” ci sembra sempre più precisa nell’individuare i suoi nemici, e dunque selezionare i suoi amici.
Ed è stato un corteo profondamente “di classe”. In piazza c’era un pezzo importante del nuovo proletariato, a cominciare dai migranti, passando per gli occupanti di casa delle periferie romane, finendo per quel vasto precariato realmente sfruttato e realmente in bilico fra sopravvivenza e disperazione sociale. Insomma, quella stessa composizione che due anni fa si espresse in quel modo, sabato ha deciso di esprimersi in altri modi. Ha mostrato intelligenza, creatività, capacità di smontare narrazioni precostituite indotte. Questo non è affatto poco e non era affatto scontato. Fino a pochi anni fa la questione non era “portare in piazza l’anticapitalismo”, ma individuare quei meccanismi per gestirlo meglio e più efficacemente. A noi ci sembra un salto di qualità notevole, per quanto ovviamente ancora in fase di gestazione e senza organizzazione politica. Ma almeno le basi ci sembrano esserci tutte.
Un saluto
Alessandro
Questa discussione, se continua così, rischia di passare alla storia.
Nessuno vuole rispondere al povero Laurentius? Perché ragazzi, non so come dire, ma è con gente come lui che dovreste sforzarvi di comunicare, invece di stare lì a pontificare su quanto funzionano gli hashtag o le tecnoimmagini.
Settantamila persone per una manifestazione in una città come Roma sono una cifra ridicola, ci vuole così tanto ad ammetterlo? per quello che ho visto io mi è sembrata una sconfitta su tutta la linea, e voi vorreste farla passare per un successo appoggiandovi sulle citazioni di Mario Brega … roba da matti.
#sollevazionegenerale… se non fosse tragico ci sarebbe da ridere.
A Laurentius deve rispondere chi c’era il #19O. Come già detto, noi non c’eravamo, eravamo convinti che sarebbe stato un carnaio e invece non è andata così. Il racconto in tempo reale ed ex-post di quella giornata è stato completamente diverso e si è visto anche l’altra sera a “Servizio pubblico”, dove tutti i commentatori, interni ed “esterni” (ma che comunque erano a Roma), sono partiti dalla premessa che la giornata di sabato scorso è stata un segnale importante di collegamento di lotte, da quella per la casa a quella contro il TAV. Non lo sto dicendo io, lo dicevano in studio. Ora, non è che io penda dalle labbra di Santoro (!), di Travaglio (!!), di Giulia Innocenzi, ma se sabato fosse davvero stata la minchiata/farsa/disfatta che descrivi, credo che il racconto sarebbe stato molto diverso. O no?
Davvero ci accontentiamo di leggere dei numeri in astratto? 70.000 persone a Roma sono “poche” rispetto a cosa, a quando, a quale contesto, a quale fase dei movimenti, a quale precarietà delle vite?
Noi, per quanto ci riguarda, abbiamo solo domande, la principale delle quali l’abbiamo proposta all’inizio e anche nel thread: come si è evitato il trappolone? Non siamo in grado di rispondere, per questo abbiamo sollecitato un post a Giuliano e sollecitiamo interventi da parte di chi c’era.
Come si è evitato il trappolone? E se formulassimo diversamente la questione? Un modo potrebbe essere questo: come mai non si è evitato il trappolone nell’ottobre di due anni fa? Oppure ancora: che trappolone fu quello di due anni fa? Chi lo organizzò?
A queste ultime domande alcuni hanno risposto così: c’era in piazza chi non sopportava l’idea di una convergenza fra forze tanto diverse (la Fiom, per intenderci, e i centri sociali), e l’esplosione di violenza sarebbe stata funzionale a far saltare sul nascere quell’ipotesi di “alleanza”. Se le cose andarono effettivamente così, il risultato – effettivamente – venne conseguito, tanto che nei mesi successivi quell’ipotesi fu progressivamente lasciata cadere.
Che di quella possibile convergenza non sia rimasto che un ricordo abbiamo avuto, nei giorni scorsi, la conferma più chiara: da una parte gli uni (#12o), dall’altra gli altri (#19o). Niente più mescolanze, niente più “pericolose” contaminazioni: ognuno per conto suo, senza più alcun bisogno di far casino per ristabilire le distanze, con la separatezza di sempre “finalmente” ristabilita.
Troppo dietrologico per essere vero?
Gabriele, ma non sarà che – molto più semplicemente – i due cortei erano separati perché i movimenti non ne possono più di questi cantieri che costruiscono case partendo dal tetto? Di “movimenti” che si pretende di fecondare in vitro, lanciandoli con l’ennesimo convegno romano di VIP, a cui segue il corteo nazionale di pura testimonianza, che tra l’altro è una testimonianza sfigata?
Ieri leggevo la mozione “Sinistra classe rivoluzione” con cui l’opposizione interna del PRC arriverà al congresso, e c’era questo passaggio:
«Per oltre due anni si è portata avanti la finzione della Federazione di sinistra; crollata questa sotto il peso di contraddizioni insolubili si è passati senza colpo ferire a una nuova proposta di aggregazione a sinistra (Prc, Idv, Sel) che a sua volta si è dimostrata impraticabile e ha condotto al tentativo di Alba, sfociato in “Cambiare si può” che a sua volta è morta nel giro di un mese cedendo il passo a Rivoluzione civile…
Questo rincorrersi frenetico di proposte sempre più improbabili si è svolto senza che mai venisse tratto un bilancio onesto dell’esperienza precedente. Si afferma un metodo grottesco di “autocritiche a scoppio ritardato”: nel 2008 si fa l’autocritica per l’errore del 2006 (entrata nell’Unione), nel 2012 si compie l’autocritica per l’errore della Federazione della sinistra, ora si fa l’autocritica per Rivoluzione civile… È un metodo che nega il principio della responsabilità politica […]»
L’elenco è incompleto perché si limita alle “siglone” a cui ha aderito ufficialmente il PRC, in quanto questo è un punto di vista interno al PRC. Ecco, io credo che la dietrologia sia sviante, perché mi sa che fuori dal PRC la critica è ancora più radicale. Quante volte l’abbiamo visto il carnevale di sigle che si uniscono per fare la “siglona” e lanciare movimenti dall’alto? Al di là della buona fede e buona volontà di chi era in piazza il 12 ottobre, io penso che ormai i movimenti rigettino all’istante questi tentativi di incollare col Vinavil pezzi di ceti politici sconfitti e residuali, a cui apporre la faccia nota di questo o quel leader o “battilocchio”, per creare dei Frankenstein che muoiono poco dopo. Non può essere quella la strada. Con tutto il rispetto, io credo che la convergenza con il popolo della FIOM (che tra l’altro il 12 ottobre brillava per assenza!) non si ottenga passando per le alleanze politiche e le coalizioni a cui aderisce Landini, ma si ottenga sui luoghi di lavoro dove quella composizione sociale esiste, resiste, insiste. Su questo, immagino, saremo d’accordo.
Certo che siamo d’accordo, anche se rimane un problema: posto che la piazza del #12o era di un’arretratezza evidente dal punto di vista dei contenuti (e anche delle presenze), la dinamica delle piazze separate mi pare comunque un passo indietro rispetto a quel che era sembrato possibile due anni fa. Al di là di come andò il corteo romano, quell’appuntamento era scaturito da un percorso di confronto reale nei territori fra soggetti enormemente diversi, ma disponibili reciprocamente. Ecco, il drastico logoramento di quella reciprocità oggi mi appare un problema, sul quale – credo – ci si dovrà scervellare.
Premetto che il 19o non ero a Roma, quindi non ho una conoscenza diretta della manifestazione; rispondere alla domanda di wuming1 sul motivo per il quale sia stato evitato il trappolone, rimane quindi estremamente difficile anche per me. Ho seguito però i report degli incontri di preparazione al corteo, che i compagni del nEXtemerson e del movimento di lotta per la casa riportavano dalle assemblee di Roma a Firenze.
Come dice Giuliano nel suo ultimo intervento, forse c’erano degli indizi perché questo corteo potesse riservare delle sorprese positive (col senno di poi chiaramente…). A ripensarci bene, una cosa interessante, è che il timore che si ripetesse lo sciagurato copione del 15o, era presente più in noi che seguivamo le discussioni preparatorie in maniera mediata, piuttosto che in quelli che le avevano vissute di persona, toccando con mano il clima a Roma durante gli incontri di preparazione.
Allo stesso tempo ce ne erano molti anche di segno opposto.
I media mainstream cercavano, come al solito, di creare intorno all’evento un notevole livello di paura e preoccupazione (da non perdere a proposito il post di jumpinshark http://jumpinshark.blogspot.it/2013/10/crea-il-tuo-livello-dallarme-fud.html ).
Creare un clima emergenziale attorno alle manifestazioni di dissenso, (oltre a distogliere dalle reali motivazioni del dissenso), opera secondo me anche ad un livello emotivo: l’elemento paura, diviene un fattore dissuasivo alla partecipazione a tali manifestazioni.
Accanto a questo livello se vogliamo soft di dissuasione, o quantomeno appartenente alla sfera comunicativa, ce ne sono stati altri ben più tangibili.
Ancora Giuliano ricordava la trattativa saltata con Trenitalia, quindi la presenza di difficoltà “logistiche” nel raggiungere la manifestazione.
Infine accanto a queste forme di dissuasione, ci sono stati gli interventi repressivi veri e propri, operati in via preventiva dalle forze dell’ordine; che se durante la manifestazione si son risparmiate le solite cariche, nei giorni precedenti hanno blindato e militarizzato una città intera. Esemplare in questo senso ciò che è avvenuto venerdì 18 ottobre a cinque amici e compagni di Firenze, che non hanno potuto partecipare alla manifestazione ed hanno ricevuto un pesantissimo foglio di via di tre anni da Roma. Questo il link al comunicato del nEXtemerson e del Movimento di lotta per la casa http://nextemerson.noblogs.org/post/2013/10/24/non-siamo-noi-a-dovercene-andare-via/ .
Date queste premesse quindi, che il corteo sia andato come è andato è una cosa che mi ha sorpreso. Pur da osservatore esterno, la percezione che ho rispetto al corteo del 19 è sicuramente positiva.
Questa percezione è stata rafforzata dalla giornata del 25 ottobre a Firenze, presidio di contestazione contro il ministro Alfano, presente all’assemblea nazionale dell’ANCI. E li c’ero anche io.
Sulla scia della manifestazione di pochi giorni prima, da Roma, Milano, Pisa e Bologna, sono arrivati centinaia di persone appartenenti a differenti realtà, soprattutto quelle più legate al diritto all’abitare. Il presidio si è poi trasformato in un corteo che è andato a difendere un’ occupazione del movimento che era avvenuta nella mattinata. Ecco, era da un po’ che non vedevo queste realtà “cugine”, che all’interno dei loro territori portano avanti lotte molto simili, aver la capacità di mobilitarsi, incontrarsi e portarsi solidarietà nel giro di così pochi giorni.
Probabilmente se non ci fosse stato tutto il percorso di preparazione per il 19o, e se il corteo non avesse spiazzato un po’ tutti per il modo in cui è andato, anche questa piccola “rete neurale” di connessione fra movimenti, sarebbe rimasta meno attiva di come lo è adesso.
E la palla è rilanciata per il 31 ottobre ancora a Roma, per la conferenza Stato/regioni.
Chissà che un passo alla volta…
Ciao a tutti, dopo anni di letture mi accingo a diventare un giapster a tutti gli effetti…
Secondo me il 19 si è evitata la tonnara per a) puro caso, b) per volontà delle fdo e c) decisione del coteo. Il 19 in piazza ci saranno state un migliaio di persone pronte allo scontro. Un numero tale da rendere la situazione potenzialmente incontrollabile per tutti. Come è stato il 15 ott.
Ma la tattica dei blu è stata palese. Vi descrivo questo episodio: il corteo stava arrivando in zona termini, quando ho visto un gruppetto di compagni che rientrava nel corteo “accompagnato” da 4-5 camionette della polizia. Ho saputo poi che casapau era lì dietro. Dopo pochi minuti è arrivato lo spezzone più duro del corteo e incredibilmente al loro arrivo delle camionette non c’era più traccia. Sparite alla vista in 2 minuti, non di più.
Dopo questa scena capirete il mio stupore quando mi sono ritrovato il drappello di finanzieri barricati a 20 metri dal corteo, davanti al ministero.
Per fare cosa poi non è chiaro, al massimo sarebbe stati tirati due petardi sul portone… Ma il messaggio tattico era chiaro: “per fare gli scontri bisogna essere in due, e noi vogliamo che ci attacchiate qua e solo qua”. La calca che ne è seguita, la carica contemporanea da due lati e l’elevato numero di arresti testimoniano la “perfetta riuscita” dell’operazione.
E’ anche vero che poi il corteo ha deciso, scientemente, di non rispondere colpo su colpo. Non erano tutti d’accordo ma ci sta, una moltitudine è anche questo. Non so cosa sarebbe accaduto se le fdo avessero attaccato frontalmente. L’impressione che ho avuto è che la rabbia diffusa e l’evidente coesione della piazza creano un mix che il questore di turno, probabilmente sotto pressione politica, non farà fatica ad accendere.
Penso che ci sia una differenza politica notevole tra le due giornate. Il 19O era una piazza con un grado di coesione politica incomparabilmente più elevato rispetto alla manifestazione fiume del 15O di due anni fa. Detta in quattro parole, la gran parte dei compagni che partecipavano al corteo di dieci giorni fa erano profondamente convinti che la sfilata sinceramente democratica dei due anni precedenti fosse un frame da far saltare a colpi di pietre e bastoni perché ammucchiava realtà più che incompatibili, metteva insieme istanze e pratiche inconciliabili. Nessuno a ‘sto giro è s’è permesso di fare le campagne “trova la foto del black bloc” con repubblica e monnezza affine. Vi ricordate Vendola il 16 ottobre 2011?
http://www.youtube.com/watch?v=6Fe09JqH8-I
A tal proposito come non citare una delle più belle scritte sui muri apparse sul tema “insignados”:
PIANTA GRANE, NON TENDE. Una contestazione palese a ciò che aveva portato in piazza metà corteo il 15O.
Sul 19O è anche vero che io posso giudicare solo da ciò che ho visto. Vale a dire che la palese decisione di non rispondere alla doppia carica può essere dovuta ad una considerazione come quella che hai fatto tu: <>.
Quest’ultima considerazione può confermarcela solo chi è molto dentro al movimento, ed è la classica informazione che la digos cerca come l’oro quindi non aspettiamo di trovarla su di un blog.
Faccio anche notare che Laurentius ha lasciato il suo commento di sabato sera e tu la domenica mattina (!) ti chiedi perché nessuno abbia ancora risposto. Non è che nella vita delle persone ci sia solo Giap, eh… Un po’ di pazienza.
Sono una donna e madre single di ragazzo neomaggiorenne, che ha lasciato la scuola e ovviamente è disoccupato.Grazie anche al mio lavoro (con cui riusciamo a sopravvivere)ho il polso quotidiano di quello che significa vivere oggi in Italia. Tutti i giorni incontro ‘il pianoterra’ (cit. De Luca) di questo paese.Disoccupati,cassaintegrati,migranti e
‘clandestini’,sinti,rom,persone che non sanno niente del ’19 ottobre’. La domanda è: stiamo lottando per loro a loro insaputa?Chiedo di aiutarmi a capire, a superare un senso di frustrazione che contamina la volontà di credere che,comunque,uniti si vince.
Sì, si lotta a loro insaputa. Ma cercando di ampliare la base in lotta e portare conoscenza. Lottare non vuol dire “siamo andati in manifestazione il #19O per loro”.
Di certo i soggetti di cui parli hanno tutte le motivazioni sociali per fare parte della lotta. Spesso le corde le devono però toccare altri, un’opera militante di avanguardia (tra cui una parte del #19O?) va fatto, che riesca ad riprodurre, ad innestare il conflitto in ogni contesto.
E’ un lavoro (di ricomposizione) spesso lungo, ma che il deteriorarsi delle condizioni d’esistenza facilita enormemente.
Provo ad esplicitare uno dei nodi della questione, utile ad evitare entusiasmi ingiustificati e depressioni sconfinate. Alla fine della giornata del 19 ottobre, durante una delle tante chiacchierate di bilancio e prospettiva, un compagno che si apprestava a risalire sul pullman per tornare nella sua città mi ha detto provocatoriamente: “Adesso speriamo che non si dia l’indicazione di tornare a lavorare nei propri territori”. Il senso di quella frase mi pare evidente: chi costruisce quotidianamente argini alla barbarie e occasioni di conflitto ha bisogno di una cornice più ampia dentro la quale riconoscersi.
Detto ciò, ribadisco che la pratica tutta italiana di pensare un corteo come snodo risolutivo o addirittura come momento di innesco della rivolta è pericolosa e fuorviante. Chi scrive sopra che in fondo il #19O non è servito a nulla in fondo aderisce a questo schema. Ma la rivoluzione non solo non sarà teletrasmessa, ma non sarà neppure organizzata a tavolino prenotando una data d’autunno sei mesi prima.
La relazione tra le rivolte e le strutture organizzate che agiscono in modo permanente e non spontaneo è uno dei temi: sarebbe assurdo (oltre che illusorio) pensare che queste ultime hanno la facoltà di decidere il *quando* e il *come*. Eppure è evidente, se non siamo spontaneisti e velleitari, che una costellazione di soggetti e nodi che hanno presenza, legittimità e forza organizzativa sia imprescindibile alla riuscita di ogni iniziativa politica che non voglia ridursi ad una fiammata muta che si lascia dietro il deserto, feriti e arresti, come nel caso del 15 ottobre del 2011.
Ribadisco quanto ho scritto nel commento qui su: uno degli strumenti utili a costruire e rendere denso lo spazio che sta tra la rabbia sociale e le soggettività organizzate è la comunicazione. Che è un terreno delicato e ambivalente (basta vedere come in questi anni si siano utilizzate le parole urlate in piazza per portare delege in bianco ad un movimento-azienda) ma imprescindibile. E’ un terreno di lotta come gli altri.
Io comunque una nota sul comportamento della questura con casapau la spenderei.
In una situazione di una roma militarizzata e controllatissima hanno permesso a decine di soggetti di scendere in strada, a pochi passi dal corteo, con caschi e bastoni. Una situazione pericolosissima, potenzialmente più che esplosiva. Qualcuno, tra i gestori della piazza, dovrebbe rispondere per queste totale incompotenza. Dovrebbe…
Sono un po’ perplesso dalla rivendicazione come un fatto naturale – o addirittura positivo – della “caciara” come metodo per rovinare i “comizi” a Nichi Vendola. Traduzione: il 15 ottobre 2011 “doveva finire con dei comizi” e quindi per non farlo succedere ci siamo scatenati e abbiamo trasformato il corteo in una trappola (una trappola per SEL? no, una trappola per noi!). Corollario: il 19 ottobre 2013 i “comizianti” se ne sono stati alla larga e quindi abbiamo potuto evitare di far scattare l’autotrappola.
Mi sembra un sistema molto pericoloso, anche perché significa usare chi partecipa ai cortei come ostaggio di una contesa tra gruppi organizzati. La contesa in questione è sacrosanta (ricordiamoci cosa ha significato la cooptazione dei movimenti da parte di gente come Vendola in altre occasioni), ma perché invece non provare a coinvolgere chi va in corteo in quella contesa in un modo più intelligente, cioè più politico? Perché non cercare di mettere *politicamente* invece che – passatemi la parola – “militarmente” in difficoltà il Vendola della situazione? Anche perché resto convinto che dopo il 15 ottobre 2011 il progetto di Vendola non si sia particolarmente indebolito: in fondo il suo progetto era cavalcare un movimento di piazza, ma se il movimento in piazza non c’era più meglio ancora, potevano direttamente fare una cavalcata elettorale, terreno a lui più congeniale e su cui infatti ha ottenuto modesti ma importanti risultati (rientro in parlamento, Boldrini ecc.).
Progetti come quello di Vendola (che se vogliamo ha delle affinità forti con certe suggestioni facilone del 12 ottobre) vanno sconfitti sul terreno del consenso e dell’organizzazione, non su quello del fuoco e delle manette. L’illusione che la maturazione politica passi automaticamente da un’escalation nelle forme esteriori della lotta attraversa tutta la nostra storia ma mi sembra che potremmo avere ormai acquisito la “saggezza ribelle” sufficiente per dire che è una scorciatoia che non funziona. Mi pare che il 19 ottobre l’autotrappola non sia scattata non solo per l’assenza di SEL e CGIL ma anche, come dice Giuliano, per un surplus di riflessione e partecipazione dal basso che, come ho già scritto, personalmente non mi aspettavo e mi ha positivamente sorpreso.
Nella misura in cui un movimento diventa di massa, compariranno i comizianti, gli opportunisti, i vecchi volponi, e anche semplicemente gli ingenui in buona fede che daranno retta a questi signori. Se pensiamo a SEL siamo spinti a reazioni più drastiche, ma pensiamo alla FIOM e ditemi se si può voltare le spalle in blocco a ciò che la FIOM rappresenta nelle fabbriche e negli uffici al di là e talvolta contro la linea ondivaga di Maurizio Landini. O speriamo che i movimenti radicali non diventino mai di massa, così nessuno viene a romperci le balle – ma perdiamo, oppure ci tocca allestire dei dispositivi per riuscire a difendere un’egemonia anticapitalista anche di fronte all’assedio concentrico delle forze dello Stato e del riformismo.
Urge spiegarsi meglio mi pare. Cominciando dal fatto che non volevo postare una rivendicazione ma semplicemente proporre una chiave di lettura del comportamento in piazza di alcune parti del movimento il 15O. Dopodiché le valutazioni politiche generali e contingenti rispetto a quel comportamento mi paiono un capitolo ulteriore e, appunto, propriamente politico.
La chiave di lettura è mirata precisamente a riflettere le composizioni politiche molto differenti di quelle piazze distanti fra loro due anni. Anche qui poi, riflettere rispetto a inclusività o esclusività, piattaforme e via dicendo è un capitolo ulteriore che necessità della stessa cura politica che menzionavo sopra.
Anche perché in effetti capisco bene il ragionamento iniziale sui comizianti, ma c’è anche il “pericolo” contrario: della serie be’, allora andiamo in piazza pure col Pd, che comunque qualche punto di contatto lo potremmo anche trovare. Situazione che tra l’altro il 15O s’era delineata eccome. Per intendersi, il frame del corteo nazionale come trappola e come modus evitandi che ci siamo spesso ridetti su Giap ha sempre avuto il senso chiaro, per me, di evitare scadenze che prestassero il fianco ad un certo atteggiamento di piazza della polizia e più ancora che riunissero insieme lotte d’opposizione politicamente tanto lontane da sembrare inconciliabili (anti berlusconismo, anti casta e via dicendo).
Dopodiché non si tratta, e qui ti do ragione, né di scelte strategiche, né di scelte politicamente inclusive. Semplicemente credo, di manifestazione di dissenso politico in termini di scontro violento. Mi pare che sia lo stesso ragionamento che in Valle è compreso in modo endemico, non si tratta di piani distinti, si tratta di inquadrare certi strumenti dentro delle volontà politiche e delle strategie che a quelle volontà si confacciano.
Nel frattempo a Roma si salta su di (piu’ che assaltare) un blindato
http://video.repubblica.it/edizione/roma/corteo-antagonisti-assalto-a-un-blindato/145152/143681?ref=HREA-1
A me pare nei due anni che hanno separato il 15 dal 19 ottobre siano cresciute tantissimo quelle belle realtà periferiche di protesta che fanno della metodologia orizzontale e del rifiuto delle rappresentanze classiche la propria caratteristica fondamentale, e sto parlando ovviamente di Nomuos, di Taranto, di Venezia, No dal Molin oltre ovviamente ai No Tav che a mio modo di vedere sono quelli che hanno trascinato positivamente tutto questo. Le manifestazioni in tutta italia dopo la caduta di Luca Abbà dal traliccio e lo sgombero della baita Clarea (due giorni dopo i sessantamila n marcia da Bussoleno a Susa), per me sono un punto di svolta, che spiega forse anche la maggiore autonomia della piazza romana, il 19 ottobre.
almeno, io se penso alla principale differenza fra ora e due anni fa la vedo in questo spirito.
Utile a proseguire questa discussione (e a capire – da una prospettiva “gonzo” senza enfasi ma coi piedi per terra – come procede il percorso del #19O): una nuova puntata del #videoTacco del #Duka.
Si parla del #31O, di assedi che diventano cortei, di bonghisti, scontri e scontrini http://vimeo.com/78469438
Altre info su #19O (ancora da leggere)
http://www.infoaut.org/index.php/blog/clipboard/item/9461-keep-calm-and-enjoy-19o-parte-1
Il 19 ottobre non è successo nulla.
E la colpa è di tutte le strutture politiche organizzate completamente impreparate alla gestione di un nuovo e potenziale 15 ottobre.
70000 persone rispetto ai numeri del 2011 parlano da sole, come parlano da sole le scene ignobili che si sono verificate dopo via XX settembre e magari prima…
Per il resto, per Roma, parla abbastanza chiaro il corteo del 20 novembre 2013.
Non so se vi è chiara la situazione.