di Nicoletta Bourbaki (*)
INDICE
14. Introduzione: chi inquina Wikipedia?
13. Rasista mi? Ma se l’è lü che l’è negher!
12. I «Campi dei Merli» delle nazioni
11. Lo schema Rankovic: wikinazionalismo
10. Fascisti? Pfui… Dei ve’i igno’antoni, pa’ola mia. L’irredentismo-chic
8. Sapevate che Tito era il comandante in capo della RAF? Sapevatelo su it.wikipedia
7. Come la nonna di Tuco divenne irredentista a sua insaputa. Storia di un campo profughi
5. Sull’uso disinvolto, altrimenti detto “ad minchiam”, delle fonti. Il caso Djilas
3. Qui (non) lo dico e qui lo (rin)nego
14. Introduzione: chi inquina Wikipedia?
Nel maggio del 2014 Giap ha ospitato un lungo articolo di Salvatore Talia intitolato Fascinazione Wikipedia, dove si rendeva conto di abusi compiuti sulla versione italiana dell’enciclopedia libera da utenti chiaramente di destra, con un POV [punto di vista] nazionalista e in certi casi tout court neofascisti.
Talia raccontava di fonti manipolate o inventate di sana pianta, di tattiche e strategie per sviare l’attenzione da tali falsificazioni, e concludeva la casistica – raccolta scelta di exempla tra i molti citabili – con questa riflessione: «Non c’è nulla di scandaloso, e non vi è pertanto nessun bisogno di denunciare cricche o complotti […] Il massimo che si può pretendere è che il gioco sia leale, e avvenga secondo le regole che la comunità stessa si è data. E’ giusto, inoltre, che la comunità dei wikipediani si difenda, con ogni mezzo necessario, contro i giocatori che barano.»
L’articolo ha subito scatenato reazioni – alcune molto sopra le righe – da parte di soquanti dei personaggi citati. Nel rispondere a quei commenti, Talia e altri hanno sollevato una serie di tombini sotto i quali si aprivano cunicoli puteolenti. Molti altri casi di manipolazione sono stati segnalati e, come sovente accade su Giap, la discussione è divenuta a sua volta inchiesta collettiva.
E’ infatti da quella discussione che siamo ripartiti.
Per comprendere cosa sia accaduto negli ultimi anni in certi ambiti di it.wikipedia, nulla di meglio di un case study.
L’utente che peggio ha reagito all’articolo di Talia, abbandonandosi a insulti e provocazioni da due baiocchi fino a essere bannato da Giap, è stato l’uomo che si fa chiamare Presbite. Per questo abbiamo deciso di approfondire il suo ruolo nel dispositivo che ha deturpato la storia del novecento italiano su Wikipedia.
Detta in parole povere: c’è un propagandista “neoirredentista” che per anni è riuscito a egemonizzare le voci di Wikipedia sull’Adriatico orientale – Trieste, il fascismo di confine, la persecuzione delle minoranze slovena e croata, l’esodo istriano, le foibe ecc. – improntandole alla sua ideologia, manipolando le fonti, omettendo passaggi fondamentali e soprattutto “presidiando” quelle voci perché nessuno riuscisse a emendarle.
L’uomo che si fa chiamare Presbite si spaccia per conoscitore della materia rigoroso e “super partes”, ma ogni verifica delle sue scelte lo mostra per quel che è: un agit-prop nazionalista che manipola fonti e millanta un ruolo di “esperto” del confine orientale.
Questo fenomeno è degno d’interesse di per sé, e dovrebbe diventare oggetto di studio da parte di sociologi della comunicazione e storici, nonché materia di dibattito per quella parte dell’opinione pubblica che s’interessa all’argomento.
Negli anni, come si vedrà leggendo l’inchiesta, alcune persone hanno tentato di opporsi all’andazzo, talvolta con puntuali opere di smontaggio e demistificazione. Eppure, le falsificazioni di Presbite (o almeno la maggior parte di esse) sono ancora lì, leggibili da un numero potenzialmente altissimo di persone.
Come e perché è potuto succedere? Quali logiche hanno favorito quest’esito?
Nell’inchiesta che segue, cercheremo di dare alcune risposte.
Si badi: gli esempi che riportiamo sono forse il 10% di quel che abbiamo scoperto e si potrebbe raccontare.
Nondimeno, questa storia va oltre Presbite. Presbite è solo un sintomo.
Per far capire bene la partita in corso e quale sia la posta in gioco, andrebbe spiegato che battaglia si sta combattendo oggi sulla storia del confine orientale, e perché quella storia è diventata un punto nevralgico per gli equilibri politici del presente, nonché un terreno strategico per la legittimazione del PD – oggi renziano, domani chissà – come “partito della nazione”.
Poiché dai margini si vede il tutto molto meglio che dal centro, l’estremo nord-est è un osservatorio privilegiato. Da Trieste le tendenze risultano più nitide. Lo mostra, una volta di più, la vicenda Furlanič.
Nell’inchiesta che state per leggere possiamo solo fare qualche cenno, ma Giap ha avviato da tempo una riflessione su questi temi, perciò rimandiamo a future analisi e sintesi, e senza ulteriori indugi ci inoltriamo nella giungla del neoirredentismo su Wikipedia.
Buona lettura.
N.d.R. Come sempre su Giap, quest’inchiesta si può scaricare in ePub e/o aprire in versione ottimizzata per la stampa. I link sono in calce al post.
13. Rasista mi? Ma se l’è lü che l’è negher!
«Nell’Istria la lotta nazionale è una fatalità che non può avere il suo compimento se non nella sparizione completa di una delle due razze che si combattono. Se una volta avremo la fortuna che il governo sia quello della patria italiana, faremo presto a sbarazzarci di questi bifolchi sloveni e croati!» (Ruggero Timeus, 1911)
«Non è che gli istriani avessero una chissà quale “predisposizione” ad essere fascisti: semplicemente i fascisti seminarono s’un terreno ampiamente fertilizzato da anni e anni di tensioni fra popoli. Il razzismo antislavo degli italiani, come insegnerebbe monsieur de la Palisse, nasce in primo luogo laddove ci sono popoli neolatini accanto a popoli slavi.»
– Presbite (msg) 17:10, 30 mag 2014 (CEST) – Discussione: Scontri di Maresego
Il triestino Ruggero Timeus fu solo la punta d’iceberg del milieu antislavo che di fatto costituì l’ossatura dell’irredentismo triestino di inizio ‘900. Felice Venezian, Mario Alberti, Giorgio Pitacco, Attilio Tamaro espressero concetti simili ai suoi, ma nessuno come lui ebbe la sincerità di esprimerli in tutta la loro ferocia.
Timeus non ebbe il tempo di conoscere i campi di sterminio, dei quali la sua Trieste avrebbe ospitato una triste succursale, la Risiera di San Sabba. Forse la cognizione della barbarie organizzata che seguì alla Grande Guerra gli avrebbe indotto maggior cautela prima di blaterare di razze e sparizioni. Eppure qualcosa di quella ratio sopravvive persino nel nostro presente, come si evince dalla seconda citazione in apertura, tratta da una discussione di it.wiki, formulata a 103 anni di distanza dall’anatema di Timeus.
Confrontando le due citazioni si può vedere come, nonostante la seconda sia emendata dagli oggi impresentabili propositi di genocidio della prima, l’assunto di fondo rimanga sostanzialmente invariato.
In entrambi i discorsi si considera la lotta nazionale come una fatalità “naturale” dovuta alla vicinanza tra due etnie o razze. La “naturalizzazione” dei conflitti sta alla base dell’ideologia nazionale imperialista. A una lettura distratta, l’apparente equidistanza passa per obiettività, ma in verità essa afferma la stessa logica dell’apartheid e della pulizia etnica (cfr. John R. Bowen, Il mito del conflitto etnico globale): la guerra accadrà inevitabilmente, tanto vale impegnarsi subito per vincerla. Scelta nazionale, etnia, comunità di destino vengono mescolati come nel gioco delle tre carte, ma a uscire è sempre la carta dell’antislavismo.
Che a Trieste, a Gorizia e in Istria ci sia stata in età contemporanea una contesa nazionale è fuori di dubbio, ma essa fu solo una delle linee di frattura che attraversarono nel tempo la società di quelle regioni, e non sempre la più importante: accanto ad essa si dispiegavano la lotta tra classi e quella fra laici e cattolici, che tagliavano trasversalmente le appartenenze etniche, e a volte finivano invece per determinarle.
Peraltro, quando linee di frattura simili si presentano in epoche storiche diverse, non sempre le si può ricondurre a un’unica tradizione. Ad esempio, la lotta per l’affermazione fra le due borghesie italiana e slovena a Trieste a cavallo fra XIX e XX secolo non ha niente a che vedere con le tensioni nazionali del secondo dopoguerra, subordinate alle divisioni della guerra fredda. Voler individuare una frattura perenne ab origine che si conserva intatta nei secoli è una mistificazione in taluni casi ingenua, un eccesso di “presentismo”, ma il più delle volte corrisponde a una precisa progettualità.
Scrive Presbite nel suo sandbox (pagina di prova) per la voce “Incendio del Narodni dom” su it.wiki:
Le vicende che portarono al rogo vanno inquadrate all’interno della pluridecennale lotta per il predominio sull’Adriatico orientale fra popolazioni slave (prevalentemente croate e slovene) e italiane, iniziata ancora nell’ambito dell’Impero austro-ungarico.
La storia è nota: il 13 luglio 1920, mentre Italia e Regno dei Serbi, Croati e Sloveni stanno trattando per la definizione dei confini e D’Annunzio è a Fiume coi suoi legionari, a Trieste i fascisti di Francesco Giunta, con l’appoggio dell’esercito, assaltano e danno alle fiamme il grande edificio sede delle principali associazioni culturali ed economiche slovene, e devastano decine di esercizi commerciali e abitazioni private di cittadini appartenenti alla comunità slovena.
Secondo Gaetano Salvemini lo scopo dell’azione congiunta di fascisti e militari era proprio quello di sabotare le trattative che di lì a poco avrebbero portato al Trattato di Rapallo.
Secondo altri storici, ad esempio Annamaria Vinci, lo scopo era quello di disarticolare la borghesia slovena di Trieste, ritenuta incompatibile col nuovo ordine nazionale che si andava imponendo nella “Venezia Giulia”.
In ogni caso, come dice Renzo De Felice, l’incendio del Narodni dom fu «il vero battesimo dello squadrismo organizzato». Il contesto quindi è quello dell’espansionismo italiano nei Balcani, della «vittoria mutilata» nella prima guerra mondiale, del fascismo che dilaga dopo il «biennio rosso» 1919-1920.
Per Presbite, invece, l’incendio del Narodni dom va inquadrato nella «pluridecennale lotta» tra popolazioni slave e italiane per il predominio nell’Adriatico. L’imperialismo italiano scompare, come scompare il razzismo di Stato che di lì a poco sarebbe diventato il marchio di fabbrica del regime fascista sul confine orientale.
12. I «Campi dei Merli» delle nazioni
Nulla come la provata capacità di conquista può rendere conscia una popolazione della sua esistenza collettiva, diceva Eric Hobsbawm. Ma quando questa capacità di conquista non è per nulla provata ma permane la necessità di compattare un popolo dietro una velleità imperiale, essa si esprime sottoforma di vittimismo.
Ad esempio, l’epopea nazionalista serba ha trovato nell’esaltazione di una remota sconfitta, la battaglia del Campo dei Merli (Kosovo Polje) – collegata al declino e alla successiva scomparsa del medievale Regno di Serbia –, la giustificazione simbolica alle proprie moderne pulsioni nazionaliste più aggressive, paventando in alternativa la minaccia dell’estinzione etnica. Non a caso nel 1997, all’interno di una performance dei Laibach a Belgrado, il filosofo sloveno Peter Mlakar pronunciò uno dei suoi destabilizzanti discorsi žižekiani, che cominciava così:
Dragi Srbi,
Želim da vas pitam: kako to da je Srbija tako mala? Kako to da je posle svega što je dala i kroz šta je prošla – ovako sićušna i mala?Cari serbi,
desidero chiedervi: come mai la Serbia è così piccola? Come mai, dopo tutto quello che ha dato e dopo tutto quello che ha passato – è così minuta e piccola?
L’irredentismo italiano ha sempre seguito lo stesso dispositivo: la sistematica negazione della dignità culturale dei popoli slavi dell’Adriatico orientale e la conseguente tendenza a negare i loro elementari diritti nazionali in Italia si è accompagnata al mito di una secolare infiltrazione e slavizzazione forzata ai danni degli italiani. Ogni pretesa di tutela avanzata da queste comunità viene restituita come prova patente di tentato annientamento.
È un classico bias di proiezione: si vedono e si temono continui tentativi di sopraffazione da parte dell’altro proprio perché si anela a sopraffare l’altro e viene “naturale” ritenere che l’altro la pensi nella stessa maniera. La mediazione culturale, il meticciato, la natura mutevole dell’identità escono semplicemente dal cono del proprio sguardo. Il vittimismo è inoltre il dispositivo psicologico attivato dalla mancata assunzione di responsabilità: si dà ampio spazio alle reazioni della controparte occultando le azioni che le hanno scatenate.
Chi propugna la tesi dello scontro etnico ha quindi un pesante difetto di vista e occulta deliberatamente una volontà imperialistica o di potenza, celando dietro una disputa secolare fatale la responsabilità di una precisa scelta di aggressione.
L’Italia vide nei Balcani il proprio naturale terreno di conquista fin dalla firma della Triplice Alleanza, quando pretese compensazioni territoriali dall’Austria in caso di sue espansioni nei Balcani.
Si capisce così come il confine orientale e il mito della «vittoria mutilata» nella Grande guerra (perché il Trattato di Versailles concesse all’Italia meno territori di quelli che aveva chiesto in cambio dell’intervento) nella Grande Guerra siano diventati il campo dei Merli del nazionalismo italiano.
Questo fervore nazionalista visse un’estate indiana anche dopo la seconda guerra mondiale con la questione di Trieste, per poi scomparire dopo il 1954, anno del “ritorno” di Trieste all’Italia.
Dopo quella data il nazionalismo sembrò ridursi al tifo durante i mondiali di calcio e alle beghe locali intorno al morente porto di Trieste, città che dopo aver occupato per decenni la ribalta nazionale, quasi scomparve dalle carte geografiche dell’opinione pubblica, assieme ai labari dell’irredentismo; solo i neofascisti seguitarono a mostrare una certa ossessione per l’argomento, fino a farne il loro unico cavallo di battaglia.
Quando negli anni ‘90 i neofascisti cambiarono nome e ritornarono al governo, riportarono il confine orientale all’ordine del giorno nazionale e, con la retorica della verità a lungo sottaciuta, ripresero né più né meno gli stessi slogan di 50 anni prima – un bordone che non avevano mai smesso di suonare. Dopo il primo governo composto da post-fascisti venne il turno del primo governo composto da post-comunisti, il quale, anziché avviare una riflessione sui crimini italiani nella seconda guerra mondiale (mai riconosciuti a livello istituzionale), come forse sarebbe stato lecito attendersi, si affrettò invece ad intonare il bordone degli ex-missini cercando, se possibile, di appropriarsene. Un processo iniziato col famoso discorso di Violante in occasione del suo insediamento alla presidenza della Camera nel 1996, in cui si equiparavano partigiani e repubblichini, e giunto all’apice col discorso del Presidente della Repubblica Napolitano in occasione del “Giorno del Ricordo” nel 2007, in cui si denunciava la pulizia etnica sul confine nordorientale – non in riferimento ai campi italiani di Gonars o Arbe dove di fatto la popolazione civile di interi villaggi sloveni e croati fu decimata, ma in riferimento alle cosiddette foibe, pazienza se la ricerca storica seria ne ha sempre smentito la natura di pulizia etnica.
11. Lo schema Rankovic: wikinazionalismo
Aleksandar Ranković fu comunista, in clandestinità, fin dall’adolescenza e fu imprigionato e torturato sia sotto la Jugoslavia monarchica che sotto i nazisti. Dal 1946, dopo la nascita della Jugoslavia socialista, diresse la famigerata UDBA, la polizia politica che si rese protagonista del cosiddettoperiodo dell’Informbiro, momento di grande incertezza politica e instabilità seguito alla scomunica della Jugoslavia da parte del Cominform nel 1948. Con il disgelo tra Jugoslavia e URSS dopo la morte di Stalin e la destituzione di Milovan Đilas, massimo propugnatore dello scisma da Mosca, l’UDBA di Ranković iniziò a concentrare il suo occhio repressivo sui funzionari di partito, probabilmente con l’intento di eliminare i potenziali rivali del suo direttore. Il potere di Ranković ebbe fine bruscamente nel 1966 quando Tito si accorse che persino il suo telefono era sotto controllo.
Ranković morì nel 1983; Tito l’aveva preceduto di tre anni e in Jugoslavia era già cominciato il processo di disgregazione. I nazionalismi serbo, croato e albanese stavano montando, e proprio al funerale di Ranković, a cadavere ancora caldo, la sua vicenda politica mutò improvvisamente di segno. La sua caduta in disgrazia fu interpretata retroattivamente come un prodromo di faida etnica: il siluramento di un serbo da parte di un croato (cioè Tito). La sua destituzione fu messa in diretta relazione con la cosiddetta “primavera croata” – movimento culturale nazionale croato fiorito ben un lustro dopo la sua caduta. Da parte croata, viceversa, si reinterpretò la sua figura come quella di un accentratore di potere strumentale all’idea della “Grande Serbia” – l’idea dei cetnici contro i quali Tito combatté durante la seconda Guerra Mondiale. Oggi queste interpretazioni, palesemente prive di ragione storiografica, sono entrambe compendiate nella pagina dedicata allo statista jugoslavo nella wikipedia inglese, evidentemente in ostaggio di una guerra fredda fra contributori filoserbi e filocroati.
I fatti storici possono rimanere punti fermi, ma la linea che li unisce si può modificare. Deviare le traiettorie della memoria storica collettiva è più facile di quanto si pensi: basta un po’ di fantasia, un po’ di paranoia, costanza, capacità di individuare le fonti pubbliche diopinion-making, nonché una certa conoscenza delle precedenti mistificazioni, per costruire un’illusoria concatenazione storica comebackground delle proprie bufale.
Si potrebbe obiettare che al cecchino serbo che mirava al passante croato a Vukovar nel 1991, di Ranković non gliene fregasse nulla, ma sarebbe un grave errore. Lo schema Ranković è insieme sintomo e tassello di una narrazione al cui interno una scelta contingente e obiettabile – premere il grilletto – diventa una necessità in una falsa prospettiva storica di conflitto etnico permanente, per la quale se il cecchino non spara al passante, questi prima o poi sparerà a lui. Proprio l’occuparsi di fatti storici divenuti ormai marginali e inattuali, come la vicenda personale di Ranković, offre una superficiale illusione di profondità e quindi di autorevolezza storica. Più remoti saranno gli episodi storici, più si avrà gioco nel manipolarli impunemente, e più suggestione di realtà acquisterà la mistificazione davanti agli occhi del lettore ignaro. Significativo è anche il fatto che la “riqualificazione” della vicenda Ranković sia scaturita al suo funerale, ovvero alla scomparsa del primo testimone diretto degli eventi, prerogativa di questo genere di manipolazioni radicali.
Ciò spiega come Wikipedia, divenuta fonte primaria di documentazione dell’utente medio su fatti storici marginali e non, sia così permeabile ai nazionalismi e alle sue pesanti mistificazioni, campanello d’allarme di un processo di ri-nazionalizzazione galoppante degli immaginari nel mondooffline, ma anche terreno di scontro su cui in parte si gioca la riscrittura del passato e l’orientamento delle sensibilità dell’opinione pubblica.
La citazione dell’utente Presbite che apre quest’inchiesta è tratta dalla discussione relativa alla voce wikipediana Scontri di Maresego (evento storico che a dire il vero localmente è da sempre conosciuto come “Rivolta di Maresego”). Nel milieu neoirredentista quella che fu una reazione popolare, in un paesino istriano a prevalenza slovena, al violento squadrismo sul confine orientale, viene presentata come una mera aggressione antitaliana contro dei ragazzini che affiggevano manifesti per la campagna elettorale. La posizione di Presbite è apparentemente equidistante. Ma si dia un’occhiata all’intervento da cui è tratta la citazione. Vi è presentato un grottesco bilancio della campagna elettorale del 1921 in Istria:
«19 marzo: due adolescenti italiani a Strugnano – uccisi da fascisti
29 (?) marzo: due comunisti italiani a Buie – uccisi da fascisti
aprile (?): uno sloveno a Caresana – ucciso da fascisti?
15 maggio: tre fascisti italiani a Maresego – uccisi da sloveni
16-17 maggio: due sloveni nei dintorni di Maresego – uccisi da fascisti
Ricapitolando I:
Sette morti per mano fascista (uno dubbio)
Tre morti per mano “slava»
Ricapitolando II:
Sette morti italiani (quattro per mano fascista, tre per mano “slava»
Tre morti “slavi” (per mano fascista)»
10. Fascisti? Pfui… Dei ve’i igno’antoni, pa’ola mia. L’irredentismo-chic
Presentare le violenze fasciste come episodi “eccessivi” ma comprensibili nel quadro di un secolare conflitto etnico è grave e irresponsabile. Sarebbe tuttavia errato confondere questo tipo di manipolazioni con quelle fasciste tout court – di solito molto più grossolane. Ovviamente chi compie queste manipolazioni non è nemmeno antifascista; semmai ostenta una certa “insofferenza al fascismo”, principalmente per il fatto che il fascismo ha perso, irredimibile smacco al Made in Italy.
Dell’alleanza italiana con Hitler tale approccio disprezza soprattutto l’importazione del barbaro razzismo biologico, tragica trasfigurazione del “nobile” razzismo culturale irredentista. È una posizione che rende plausibile scagliarsi contro i negazionisti della Shoah, e al tempo stesso accusare di negazionismo delle foibe chiunque voglia riportare quel fenomeno ai fatti storici verificabili.
Sono gli irredento-chic, baby! A la page, molto glam, a volte con pose liberal e “di sinistra”. Indossano la giacca blu elettrico di Cristicchi, ma non riescono a scrollarsi di dosso l’odore di muffa dei vecchi volantini della Lega Nazionale. Sono gli interpreti perfetti di una congiuntura di generale revival risorgimentale favorito da anniversari “giubilari” e relative celebrazioni. Il 150° dell’unità è finito pericolosamente a ridosso del centenario della Grande Guerra, riportando in auge un equivoco di vecchia data: la Grande Guerra come compimento del Risorgimento, una continuità promossa dalla propaganda interventista e poi celebrata dal fascismo.
En passant, va fatto notare che nel 2011 è caduto anche il centenario dell’invasione italiana della Libia, avventura imperialistica che aprì la strada a un genocidio conclusosi vent’anni dopo. Di quella ricorrenza si è parlato molto, molto meno. Chissà perché.
9. Un Montenegro al Bar o una Crna Gora ad Antivari? Del perché su wikipedia non si trovano i nomi di certe località
– Prendi il traghetto da Bari e arrivi a Bar, il porto principale del Montenegro. Se vuoi andare a Ulcinj vai a sud, se vuoi andare a Kotor e Herceg Novi vai a nord. Se però hai tempo prosegui per la Croazia e vai a vedere Dubrovnik e Cavtat, la penisola di Pelješac e Ston, che sono bellissime.
Il signor Luigi ringrazia e si ripromette di informarsi meglio per organizzare il viaggio.
Passa qualche mese e i nomi pieni di consonanti straniere sono spariti dalla sua memoria. Si ricorda solo che il traghetto parte da Bari e arriva in una città che ha quasi lo stesso nome. Guarda su internet e sul sito dei traghetti trova la traversata Bari-Bar. Pensa: visto che sbarco a Bar, vediamo cosa c’è là di interessante. Va su it.wiki e trova: Bar (pubblico esercizio); Bar (unità di misura); Bar di wikipedia (dove i redattori di it.wiki discutono tra loro e confrontano le idee); poi trova: Roll Bar (struttura protettiva in caso di capottamento della macchina); Temple Bar (quartiere di Dublino); Bar Mitzvah; Harry’s Bar; Confederazione di Bar (un’associazione settecentesca di nobili polacchi); e ancora: Bar Le Duc e Bar Sur Aube in Francia, il gruppo soul-funky Bar Kays, la modella israeliana Bar Refaeli, ma di Bar in Montenegro non c’è traccia.
Siccome Luigi non è espertissimo di internet, chiama suo figlio e gli dice:
– Io sul computer sono un po’ baziloto: come trovo questa Bar in Montenegro? Su wikipedia non c’è!
Il figlio gli spiega che su google deve cercare Bar, Montenegro e it.wiki. Luigi guarda il risultato, ma c’è qualcosa che non quadra: siccome è un po’ presbite, allontana il viso dallo schermo e legge:
«Antivari – wikipedia».
Luigi si arrabbia: – Ma io cerco Bar, non Antivari!
– Babbo, e ti calmi? Via,nell’i nternet trovi tutto! Però che ricerche pallojze che fai! Prova a guardare cosa dice il sito!
Luigi clicca e legge: «Antivari (in montenegrino Bar) è un comune sulla costa del Montenegro».
Ma vaffanculo – pensa Luigi –, da dove salta fuori ‘sto nome da supercazzola?
Pazienza. Si legge un po’ di informazioni su Bar/Antivari, poi siccome non ricorda nemmeno una delle altre località, ma a memoria gli sembra che una cominciasse con la cappa, una con l’acca e una con la u, decide di andare sulla mappa del Montenegro e le ritrova: Herceg Novi, Kotor e Ulcinj. Poi va su it.wiki per leggere che cosa può vedere in queste città e, nuova sorpresa: le tre città montenegrine appaiono come Castelnuovo, Cattaro e Dulcigno. Continua la ricerca con le località croate di Dubrovnik, Cavtat, Pelješac e Ston: le trova come Ragusa, Ragusa Vecchia, Sabbioncello e Stagno. Insomma, un casino: i nomi usati e conosciuti dai turisti non corrispondono a quelli su it.wiki.
Il signor Luigi a questo punto decide di cambiare la destinazione e il periodo delle sue vacanze: sceglie la Slovenia. Già ha delle difficoltà a trovare Cerkno, che it.wiki si ostina a chiamare Circhina, poi quando passando dalla Slovenia all’Austria sente sul bollettino meteo che il passo del Vršič è transitabile solo con le catene pensa: E a me che me ne importa? Io vado in Austria per il passo della Moistrocca! …e si ritrova bloccato e sommerso dalla neve.
A questo punto Luigi lascia definitivamente perdere wikipedia e per le vacanze future si compra la Lonely Planet.
Quello che è successo al signor Luigi è ciò che capita a chiunque cerchi una qualsiasi località della Dalmazia, dell’Alto Adige, molte località della Slovenia, del Montenegro e addirittura dell’Albania e della Grecia. Con un’opera tanto certosina quanto inutile (anzi, dannosa, in quanto un’enciclopedia dovrebbe puntare a facilitare più possibile la ricerca), i nomi di centinaia se non migliaia di luoghi nei Balcani sono stati italianizzati, rendendo decisamente più complessa la consultazione dell’enciclopedia libera.
È chiaro che qui non si vuole mettere in discussione l’utilizzo di nomi italiani quando questi sono in uso nel parlato comune: al pari di Londra o Parigi, che nessuno esprimendosi in italiano chiamerà mai London o Paris, è assolutamente sensato che città come Spalato, Sebenico, Lubiana, Pola, Capodistria, Bolzano o regioni come l’Istria e la Dalmazia appaiano in it.wiki con il nome italiano.
No, l’assoluta illogicità e scomodità si palesa in centinaia e centinaia di nomi di località che nessun italiano usa nel presente o addirittura che da secoli non hanno più quella denominazione, con risultati paradossali: Pirovac viene chiamato Pirovazzo o Slosella, nomi che nel parlato non si sentono più dai tempi della Repubblica di Venezia; il monte Jalovec e il Kanjavec si trovano sotto i nomi di Gialuz e di Cima degli Agnelli (un amico rocciatore ci ha spiegato che usare in ambito alpinistico questi nomi corrisponde a chiamare l’Inghilterra Albione). Con risultati finali al limite del comico: il porto greco di Igoumenitsa appare come Gomenizza; Iraklion, capoluogo di Creta, viene chiamata Candia (nome che la città ha smesso di avere dal 1669, quando Creta fu conquistata dai turchi); la macedone Ohrid è presentata come Ocrida. E addirittura ci furono feroci discussioni perché qualcuno sosteneva che il Kosovo dovesse essere inserito in it.wiki come Cossovo …
Sono nomi che non hanno più alcun uso pratico, in certi casi le località non sono più chiamate così dalla peste del 1347 che spopolò la Dalmazia, in altri il nome italiano fu imposto durante l’italianizzazione forzata attuata dal fascismo, per cancellare la presenza slovena e croata (e tedesca) dal territorio, in altre ancora sono denominazioni militari mai usate nella pratica. Il redirect permette comunque (nella maggior parte dei casi) di trovare la località cercata anche digitando su google il nome attualmente in uso, ma il fatto che la denominazione italiana appaia come quella principale dimostra che lo scopo di quest’operazione è pericolosamente nazionalista e neoirredentista. Di più: il redirect acquista la sinistra funzione di restituire nella “giusta forma italiana” il toponimo “erroneamente digitato in lingua allogena”.
L’obiettivo finale di questa operazione è dimostrare che tutto l’Adriatico orientale (e, perché no, la parte della Grecia appartenuta alla Repubblica di Venezia) è storicamente italiano, delegittimare storicamente la presenza sul territorio di chi vi abita oggi, e rendere familiari ai lettori queste denominazioni obsolete.
Considerando che, come si è già osservato, la maggior parte degli italiani informatizzati per fare una qualsiasi ricerca si documenta su wikipedia, il potenziale propagandistico di una scelta come questa è enorme, pericoloso e fondamentalmente antistorico, in quanto la rivendicazione degli ex domini della Serenissima parte dall’equivoco – costruito ad arte durante il Risorgimento e ulteriormente sfruttato dal fascismo – che l’Italia sia la legittima erede della Repubblica di Venezia, laddove sia come struttura statale, sia come entità culturale e linguistica questa consequenzialità è tutta da dimostrare.
Il gruppo che si è dato da fare per questa vasta quanto pericolosa operazione include, tanto per cambiare, il solito Presbite, che si è autoproclamato per acclamazione massimo esperto del confine orientale su it.wiki. Contraddicendo le linee guida dell’enciclopedia libera secondo cui l’italocentrismo è da evitare, e ignorando la raccomandazione di utilizzare per le località relative all’Adriatico orientale i nomi italiani qualora vi sia una popolazione italofona autoctona (anche se minoritaria), questi wikinazionalisti hanno italianizzato tutto il territorio, a prescindere dall’attuale presenza italiana, anche località e zone dove la popolazione italofona è estinta da secoli, oppure territori greci (le isole del Dodecaneso), sloveni o croati in cui la popolazione italiana fu una minoranza risibile durante il periodo di amministrazione italiana.
Per questa italianizzazione toponomastica Presbite & Ca. si sono basati su fonti parecchio discutibili. In primis i due libri di Dario Alberi Istria, storia, arte, cultura e Dalmazia, storia, arte, cultura (Lint Editoriale, Trieste) e quello di Alberto Rizzi Guida alla Dalmazia. Arte, storia, portolano (Istituto Regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata). Nell’introduzione alla guida sull’Istria, l’autore Dario Alberi scrive:
«ciò che mi ha spinto a questa fatica […] è stata la consapevolezza che tante persone […] non sono in grado di poter conoscere l’Istria un po’ più profondamente di quanto riportato dalle scarse, scarne e non sempre obiettive pubblicazioni turistiche iugoslave in lingua italiana; l’editoria italiana […] sembra abbia considerato l’Istria non facente più parte del nostro mondo. Fa rabbia a un triestino o a un giuliano sentire un padovano o un friulano che chiede la strada per Koper o per Motovun, mentre quasi mai un italiano parla di London, Paris, Beograd o Athina. Perciò alla fine dell’opera ho ritenuto opportuno inserire un glossario che riporta in italiano i nomi delle località, anche per futura memoria.»
È evidente l’inopportunità di usare un testo con queste premesse proprio per dirimere le questioni che riguardano l’obsolescenza degli esonimi italiani d’oltre confine! Di fatto però il glossario in appendice alla guida di Alberi diventa la bibbia per it.wiki grazie a Presbite, che ripeterà a spron battuto, come un mantra, che queste pubblicazioni sono il non plus ultra per quanto concerne l’adriatico orientale, senza accettare obiezioni.
Nella loro ossessione italianizzatrice i neoirredentisti informatici, oltre che sui libri di Alberi e Rizzi, si basano su pubblicazioni di epoca austro-ungarica (del tutto tabù invece quando riportano nomi esclusivamente slavi), su mappe catastali asburgiche, su portolani veneziani, su documenti fascisti, alla faccia delle linee guida di wikipedia che, rispetto ai toponimi italiani al di fuori dell’Italia, consiglia l’uso di enciclopedie, atlanti o carte geografiche edite non prima del 1950.
Ad ogni modo, anche questi documenti antichi dimostrano ben poco della composizione etno-linguistica del territorio. Solo per fare un esempio, Imotski, cittadina al confine tra Croazia ed Erzegovina, da sempre a maggioranza croata, viene italianizzata Imoschi sulla base di una mappa tavolare austriaca della prima metà dell’800, fatto che dimostra unicamente l’italianità di chi redasse la mappa, visto che i rilevatori si limitavano a scrivere i nomi delle località nella grafia che era loro più familiare.
Interessante è pure il fatto che questi collaboratori di wikipedia, acerrimi sostenitori dell’italianità dell’Adriatico orientale e dell’Alto Adige, si guardino bene dal modificare le voci relative alla Val d’Aosta, ad esempio Courmayeur in Cormaggiore e Saint Vincent in San Vincenzo della Fonte, ben consapevoli del ridicolo a cui andrebbero incontro se fossero veramente coerenti nella loro opera di paladini dell’italianità.
A una ricognizione di massima nelle varie wikipedia europee si nota che solo in quella italiana è presente uno zelo così ossessivo nel voler nazionalizzare il nome di località che appartengono ad altri Stati. Situazioni simili sono reperibili soltanto nella wikipedia ungherese, in quella greca e ancor più in quella polacca, dove il nome magiaro di paesi della Transilvania, della Slovacchia e della Vojvodina, quello greco di paesi della Turchia e quello polacco di paesi ucraini viene utilizzato come prima denominazione con lo stesso fine revanscista-nazionalista di Presbite e combriccola.
I neoirredentisti ungheresi, greci e polacchi, tuttavia, non sono ancora riusciti a spingersi alla magiarizzazione, grecizzazione o polacchizzazione di qualsiasi località con il parossismo degli italiani.
Per fortuna, invece, estranea al nazionalismo on line sembra al momento de.wiki che si limita, seguendo correttamente le indicazioni dell’enciclopedia libera, a segnalare con il nome tedesco solo le città più grandi (Breslau, Danzig, Posen), fornendo invece come primo indirizzo il nome attuale (polacco o russo) delle cittadine e dei paesi più piccoli passati sotto la Polonia o la Russia dopo la seconda guerra mondiale. Addirittura Memel, città anseatica e all’epoca del Reich guglielmino porto più a nord della Germania, appare con il nome lituano di Klaipeda.
Il confine orientale è stato uno dei terreni di coltura del fascismo delle origini e una delle sue armi di propaganda. L’attuale utilizzo di wikipedia a fini nazionalisti e neoirredentisti sembra quasi una replica in salsa tecnologica degli stessi mezzi di propaganda che furono usati dopo la Grande Guerra per realizzare un senso di appartenenza italiano di massa, e contemporaneamente creare una massa di manovra favorevole al regime autoritario che veniva a profilarsi.
Diversi contributori sono insorti nel tempo contro questi assurdi esonimi e il loro criterio, sia nelle singole voci, sia al Bar di wikipedia, sia nella discussione sulle linee guida degli esonimi, ma tutto si è risolto sempre con un nulla di fatto. A fare ostruzionismo con lo specifico intento di smontare qualsiasi soluzione troppo conciliante con la toponomastica slava o non italiana sono stati nel tempo diversi contributori di evidente estrazione nazionalista, ma unlandmark preciso lo stabilì il solito Presbite in una delle discussioni relative al porto dalmata di Dubrovnik e alla liceità dell’uso del desueto Ragusa come titolo della voce. Qui Presbite proclamò le summenzionate guide di Rizzi ed Alberi, ma soprattutto la toponomastica da esse adottate, come fonti imprescindibili a cui adeguare l’attualità della toponomastica nell’Adriatico orientale, fiancheggiato in questo da un gruppo di contributori che trovano un ideale punto di incontro nel Progetto: Storia/Venezia Giulia e Dalmazia.
Tale progetto nasce da un’idea dell’utente Barba Nane – il quale tenta prima di chiamarlo “Istria Fiume Dalmazia”, poi, contrastato da Crisarco, vira verso la meno compromettente denominazione attuale – e porta a costruire l’omonimo portale nel giro di un anno.
All’inizio Crisarco denuncia la gratuità e il POV del progetto, ma attorno a Barba Nane si crea un gruppetto di supporter che insieme riescono a respingere le accuse. In breve tempo Presbite diviene il punto di riferimento del progetto.
Eppure il POV è immanente allo stesso progetto anche per il solo fatto di mettere sotto la propria lente le voci riguardanti le terre “un tempo italiane” dell’Adriatico orientale, proponendo “un’omogenità di stile” per la loro compilazione. Il gruppo si configura come una task force che monitora le voci strategiche, ritrovandosi spesso a discutere e segnalare “manipolazioni slavocomuniste” al wiki-Bar Cafè Tommaseo.
8. Sapevate che Tito era il comandante in capo della RAF? Sapevatelo su it.wikipedia
La Dalmazia è una regione meticcia di forte e storica impronta slava, croata ma con presenze significative serbe, montenegrine e bosgnacche – questo almeno prima della catastrofe delle guerre etniche degli anni ’90. La regione vantava pure minoranze albanesi e valacche che ne impreziosivano il peculiare melting pot, nel quale rientrava anche una minoritaria presenza costiera veneta, l’unica componente non autoctona o non conseguente a processi migratori bensì a una dominazione coloniale, ancorché radicatasi nel corso di tre secoli, non diversa da quella esercitata dalla Repubblica di San Marco su Creta, Cipro e tante altre terre che nessuno, si spera, oggi si sognerebbe di rivendicare come italiane.
Nell’antichità la regione fu la terra degli oscuri illiri, lontani avi degli odierni albanesi. In seguito alla dominazione romana e bizantina si sviluppò una cultura neoromanza che tuttavia si estinse in epoca premoderna, sopravvivendo fino al XIX secolo solo in alcune oasi, analogamente alla cultura ladina sulle Dolomiti. Proprio come la cultura ladina è estranea alla cultura nazionale italiana così questa antica radice neolatina non ebbe nulla a che fare con la cultura veneta. Ciononostante la pubblicistica non scientifica italiana, specie se vicina ad associazioni di esuli, mischia volentieri coloni veneti e antichi dalmatici al fine di presentarli come una continuità nazionale italiana millenaria, totalmente priva di riscontri storici, volta a dare alla regione il carattere di un’italianità mai esistita. Effetto prodotto anche da guide e studi storico-artistici che capziosamente associano Istria e Dalmazia – due regioni storicamente e pure geograficamente molto distanti. Proprio il carattere slavo e misto di questa terra ne farà nell’ottocento la culla ideale del movimento illirista, primo bocciolo dello jugoslavismo, l’ideale di fratellanza dei popoli slavi del Sud.
Se, per dirla con lo storico Federico Chabod, già l’irredentismo di per sé costituì una territorializzazione degli ideali universalistici di libertà dei popoli propri del Risorgimento repubblicano, è pur vero che al principio, nella seconda metà dell’ottocento, esso si configurava ancora come un movimento antagonista, antimonarchico e antisistema con addentellati persino nel mondo anarchico. Proprio l’obiettivo Dalmazia costituì lo spartiacque, il punto di non ritorno, nel passaggio dall’irredentismo mazziniano al nazionalismo imperialista alla Timeus.
Se la rivendicazione di Trento e Trieste, o finanche del litorale istriano occidentale, data la nutrita comunità italiana presente in quei luoghi, poteva ancora essere ricondotta all’ideale dell’unificazione nazionale – seppur con qualche forzatura per l’altrettanto cospicua presenza non italiana – la pretesa della Dalmazia, territorio quasi esclusivamente slavo, sancì lo slittamento ideologico dal diritto all’autodeterminazione alla volontà di potenza nazionale/imperiale, destinato a permanere come preciso marcatore: anche allo scoppio della prima guerra mondiale la Dalmazia costituì la discriminante netta fra nazionalisti-imperialisti e interventisti democratici.
La parola «Dalmazia» rimarrà una spia nascosta dell’imperialismo di ieri fino ai giorni nostri: «Istria Fiume Dalmazia – ritorneremo» diventerà un classico slogan delle tifoserie neofasciste, e anche il suffisso «-dalmata» nelle associazioni di esuli istriani e fiumani fu da subito molto ambiguo, specie per la mancata accettazione del trattato di pace di gruppi come l’ANVGD (Associzione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia). Tale suffisso era unicamente giustificato dall’inclusione degli zaratini nelle categorie dell’esodo, pur essendo stati questi ultimi sfollati da Zara in seguito ai bombardamenti angloamericani del 1943-1944, quindi per ragioni molto diverse da quelle politiche, sociali ed economiche che spinsero all’esilio parte degli istriani e dei fiumani nel dopoguerra.
L’inclusione della vicenda zaratina nel bordone degli esuli sfuggiti al genocidio slavo portò alla formulazione della tesi più delirante fra quelle partorite in seno all’associazionismo esule istriano: i bombardamenti alleati sarebbero stati comandati nientemeno che da Tito in persona al preciso scopo di sterminare gli italiani di Zara, spina nel fianco nel corpo slavo della Dalmazia.
Queste farneticazioni furono compendiate nel libro I bianchi binari del cielo di Antonio Cattalini (1965). Già nel 1980 l’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli – Venezia Giulia nel saggio Storia di un esodo (pp.46-47) liquidava così le tesi di Cattalini:
«È un dato di fatto però che l’affermazione di Cattalini sull’esistenza di un piano preordinato da parte degli jugoslavi per distruggere Zara, non fornendo prove concrete, costituisce una presa di posizione aprioristica portata alle estreme conseguenze, che ha il suo perno nel disprezzo e nell’odio verso le popolazioni di nazionalità slava; egli probabilmente riprendeva e faceva sua una voce corrente nella cittadina in quei giorni, forse diffusa e alimentata dalle autorità fasciste locali, per rafforzare il consenso fra la popolazione. Sono affermazioni le sue che non si basano infatti su un materiale documentario che sia conosciuto, ma sembrano derivare soprattutto da una concezione che vede nella lotta dei popoli slavi una innata volontà snazionalizzatrice nei confronti dell’elemento italiano.»
La tesi del piano preordinato slavo messo in atto dalla RAF e dall’USAF, come se britannici e americani fossero sprovveduti e ignoranti garzoni di bottega degli “slavocomunisti”, rimase confinata al mondo esule, finché Enzo Bettiza la presentò all’inclito nazionale nel suo bestseller Esilio del 1996. Si tratta di un libro di memorie, un’opera letteraria senza pretese storiche dove l’autore si è limitato a esporre la tesi senza farla propria – peraltro poche pagine prima aveva anche vagheggiato l’idea che la distruzione di Zara fosse stata causata nientemeno che da una maledizione lanciata sulla città da sua madre…
Su wikipedia Presbite ha però preso Bettiza e Cattalini come fonti, accanto ad altre simili (per esempio il missino Oddone Talpo e oscure traduzioni dalla pubblicistica croata), per confezionare quello che doveva essere il suo gioiello, la voce “Bombardamenti di Zara ”.
Osserviamolo da vicino.
L’autore, anziché inquadrare l’oggetto nel suo contesto storico immediato – la seconda guerra mondiale e l’invasione della Jugoslavia -, allarga il background temporale fino al termine della prima guerra mondiale, parlando di vecchie contese nazionali incomprensibili, allo scopo di spiegare uno scenario bellico che vedeva contrapposti bombardieri angloamericani contro caccia nazisti – come se si volesse redigere una voce sulla Battaglia di Stalingrado partendo dalle campagne napoleoniche. Ovviamente lo scopo di questa premessa si palesa nel paragrafo “Cause dei bombardamenti e controversie ” dove viene citata la famosa tesi del genocidio titino a mezzo bombardieri alleati.
Da notare che ufficialmente l’autore prende le distanze da suddetta tesi affermando come essa sia «spesso stata presentata in modo semplicemente declamatorio», sottile escamotage che attribuisce unicamente al tono e non al contenuto stesso l’inammissibilità di tale teoria.
Da notare anche che l’intera sezione si snoda attorno a un presunto dibattito sulla liceità o meno di tale ipotesi “genocidiaria”, di fatto attribuendole una rilevanza surreale. Peraltro la presunta tesi opposta – “motivi militari” – viene squalificata come tesi “giustificazionista” di parte ultra-nazionalista croata. Quella che potrebbe essere la più rilevante tesi opposta – il progetto di uno sbarco alleato in Dalmazia rimasta sul tavolo almeno fino all’ottobre 1944 – non è nemmeno menzionata. Invece Presbite si dilunga in altre varianti inconsistenti, parla di una presunta informazione ingannevole fornita dai partigiani all’aeronautica alleata, come se ai suoi comandi ci fossero stati dei completi fresconi.
In generale l’assunto secondo il quale la città sarebbe stata spazzata via dai bombardamenti su mandato titino non viene contestata (anzi viene avvalorata dalla riproduzione di un radiomessaggio alleato nel quale è riportata una richiesta di Tito, come se ciò bastasse). Solo il “movente” è messo in discussione: genocidio o… buh? Peraltro, come abbiamo ricordato sopra, la stessa struttura della voce a partire dall’impostazione del contesto storico è architettata per fornire background e motivazioni proprio alla prima ipotesi.
Nel gennaio del 2009 l’autore stesso propone «immodestamente” (cit.) di inserire la voce nella vetrina di wikipedia, ovvero un riconoscimento di qualità che permette alla voce di essere linkata in modo ciclico direttamente sulla homepage della wikipedia italiana. L’istanza ha successo ma dopo poco più di un mese un utente (WlaFoca) apre nella talk una contestazione per ingiusto rilievo (vedi link) relativa alla sezione “Cause”. L’utente, senza approfondire le fonti, si limita a sottoporre al vaglio del buonsenso i dati sciorinati nella voce. I presupposti della presunta controversia storica riguardo a Zara sarebbero infatti dovuti, secondo Presbite, all’irrilevanza strategica del porto dalmata, in contrasto con l’entità della distruzioni che farebbe di Zara, a sua detta, la città italiana più devastata nell’intera guerra.
Tutto parte insomma dal quesito: come mai tanto accanimento da parte dei bombardieri alleati?
L’utente WlaFoca si limita a rilevare come il complessivo quantitativo di bombe sganciato su Zara nell’arco di due anni (poco più di 500t) corrisponda alla metà del quantitativo sganciato su Roma nel corso del solo 19 luglio 1943; anche la cifra complessiva dei suoi caduti, 400 portati fino a 1000 (e dagli esuli, manco dirlo, a 4000!) confrontati ai 20.000 morti di Foggia nel ’43 non gli «sembra talmente eccezionale dal poter invocare il crimine massimo dell’umanità, il genocidio”. Pure l’entità della distruzione (80% della superficie edificata) rapportata alla scarsa importanza della città viene smontata con il semplice paragone con il bombardamento di Treviso, dove lo stesso effetto si sarebbe prodotto nel corso di una singola giornata.
Ai rilievi dell’utente, Presbite risponde con attacchi personali, vaghe minacce disciplinari e giochetti retorici. Soprattutto stronca la contestazione con la puerile contro-accusa di «non aver letto nulla di nulla sull’argomento», e di non aver portato alcuna nuova fonte ma di essersi unicamente basato sulla ragione! «vuoi modificare la voce? Modifica la voce, seguendo per cortesia le regole di WP, e cioè: fa’ parlare le fonti! Non hai fonti a disposizione? Mi dispiace, ma allora non credo tu abbia gli strumenti sufficienti per modificare alcunché”. Nonostante l’inconsistenza della difesa la controversia viene archiviata, e anche grazie al sostegno di altri wikipediani, la voce rimarrà in vetrina per ben cinque anni.
Ma wikipedia cresce e con essa gli standard qualitativi della vetrina. Un moderatore (Pèter) avvia una segnalazione per togliere alla voce il riconoscimento di qualità. Presbite, promettendo consistenti miglioramenti alla voce (che non arriveranno mai), inizia a contrastare la procedura difendendo la sua “creatura” con i denti, alzando progressivamente i toni, mettendo in scena il solito repertorio di creativistraw man arguments, e arrivando ad insinuare un accanimento personale del moderatore Pèter (evidentemente la faida etnica è una scusa buona anche per le diatribe su wikipedia…).
Gli utenti Pèter e Stonewall, curatori del portale Guerra, rispondono con pazienza illustrando accuratamente
«la non adeguatezza alle convenzioni di stile, la superficialità del contesto storico, il nullo o quasi approfondimento del lato militare (che in una voce del Progetto Guerra appare quanto meno bizzarro) e la mancanza di verificabilità di diverse note inserite.»
Presbite risponde lamentandosi di non aver inserito lui la voce nel progetto Guerra (Pèter gli risponde: «dove avrebbe dovuto essere inserita una voce relativa a bombardamenti? Nel Progetto Cucina?»), inizia a vacillare e a pronunciare profonde dichiarazioni apodittiche che fanno quasi tenerezza («tutte le fonti dicono che…»,«non esistono altre fonti oltre a quelle da me riportate…»). Ma Stonewall va giù duro: da navigato contributore di voci a tema bellico chiede tipo di forze aeree e reparti (wing, squadron) impegnate nelle missioni di bombardamento su Zara (come ad esempio è fatto in altre voci: Operazione Tidal Wave),
«chi le comandava, come si svolgevano (da dove partivano, che rotte seguivano, che contrasto affrontavano, non solo su Zara ma anche lungo i pericolosi percorsi di accesso agli obiettivi), da chi erano decise. Quest’ultimo sembra un punto centrale; se erano auspicate da Tito come ovviamente gli irridenti anticomunisti viscerali sbandierano, queste richieste di Tito a chi arrivavano? Da chi erano discusse? Da chi approvate? Quale era la catena di comando? Quale il ruolo dei politici anglo-americani? Perché le (ipotizzate) richieste di Tito furono approvate?».
Presbite va in crisi, chiede aiuto a un altro utente (Demiurgo) che per un po’ gli fa da spalla, ma perlopiù balbetta, dice che i dati richiesti sono ignoti, arriva persino ad ammettere che sono gli aspetti politici e non quelli militari ad essere realmente rilevanti sull’argomento!
Mentre Presbite bercia insulti, accusa gli altri di non conoscere le fonti e si autoproclama massimo esperto del confine orientale, i suoi avversari iniziano a recuperare dati: numero identificativo degli squadroni operativi nella zona, rotte, basi di partenza, perdite, tutti dati palesemente ignorati da Presbite e facilmente reperibili da chi sa dove cercare (significativo il fatto che Presbite dichiarasse con assoluta sicumera l’assenza di contrasto aereo tedesco, quando nel giro di qualche ora ne viene facilmente reperita la contraria evidenza nelle fonti pubblicamente consultabili).
Emerge soprattutto come ogni bombardamento alleato scaturisse da una pianificazione effettuata sulla base di «una serie di fonti diverse, ufficiali di collegamenti alleati, ricognizioni aeree, decrittazioni Ultra», un complesso dove le richieste dei partigiani venivano prese cum grano salis, com’è lecito attendersi.
Salta fuori che alcuni bombardamenti segnalati meticolosamente in voce risultano farlocchi . Presbite sbraita contumelie, ma è bloccato, sa che aggiungere dettagli significa evidenziare sempre di più l’assoluta cialtroneria con la quale è stata redatta la voce e soprattutto il suo assurdo POV fondante.
Morale della favola: nel giro di poco tempo la voce viene sbattuta fuori dalla vetrina. Ma quella che potrebbe apparire come una vittoria di Wikipedia per Presbite è una “sconfitta di Pirro”: la voce rimane pur sempre lì e soprattutto rimane in vetrina nel Portale Venezia Giulia e Dalmazia. Non solo, ottiene il massimo dei voti nel monitoraggio di qualità di detto progetto, che si rivela essere il feudo personale di Presbite.
Soprattutto all’inizio della procedura di segnalazione, nel subdolo tentativo di annullamento della segnalazione di Pèter da parte dell’utente Pigr8 si evidenzia una delle funzioni del relativo Progetto: presidiare le voci sull’Adriatico Orientale. Presbite dirige gli altri, disciplinandoli ad una forte idea di progettualità, per esempio respingendo l’irredentismo“un tanto al chilo”. Come dichiara in questa discussione sui Dalmati italiani, il suo scopo “è sempre stato quello di scrivere delle cose inattaccabili sulla Dalmazia“. Attenzione, non cose vere, non cose ragionevoli, non cose eque o problematiche: cose inattaccabili. Da qui la sfida personale che ha lanciato proprio su Giap a ricercare sue patenti falsificazioni, come se il problema non fosse il suo POV pushing, ma lo stile mediante il quale lo impone. Falsificare è perdente quando con l’interpolazione e l’omissione si ottengono risultati ben più efficaci.
7. Come la nonna di Tuco divenne irredentista a sua insaputa. Storia di un campo profughi
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Diciamo subito, a scanso di equivoci, che nei campi profughi la mortalità fu molto alta, soprattutto durante la prima caotica fase di evacuazione e di smistamento, a causa delle frequenti epidemie di tifo e di colera. Nell’autunno 1915 la mortalità raggiunse in diversi campi picchi del 100‰/anno, contro una media del 20‰/anno riferita all’intera popolazione dell’Austria. Negli anni successivi, grazie a una più attenta profilassi delle malattie, si stabilizzò intorno al 30‰/anno, contro una media riferita all’intera popolazione dell’Austria salita nel frattempo al 26‰/anno. Inoltre i profughi erano sottoposti a un regime di semi-segregazione e la loro forza lavoro veniva sfruttata largamente nel contesto dell’economia di guerra. La struttura gerarchica, l’onnipresenza della polizia e i criteri classisti utilizzati nell’assegnazione degli alloggi contribuirono a trasformare i campi in una sorta di prefigurazione della società a venire nel dopoguerra.
Perchè parliamo di Wagna? Perché Wagna – o meglio: una ricostruzione falsa e mistificatoria di ciò che fu Wagna – ha un ruolo importante nella mitografia neoirredentista. Secondo la vulgata, gli austriaci deportarono in massa a Wagna la popolazione di Pola, “in quanto italiana”. Alcuni si spingono a parlare di “genocidio asburgico”, di un progetto secolare di annientamento degli italiani dell’Adriatico orientale, portato avanti dagli austriaci con la complicità degli “slavi”. Slavi che poi avrebbero completato l’opera con le foibe, ecc.
Il “problema” di questa vulgata è che a Wagna non c’erano solo italiani, ma anche sloveni.
Un altro “problema” è che solo una parte degli italiani di Wagna proveniva da Pola: gli altri provenivano dal Monfalconese e da Gorizia.
E un altro “problema” ancora, è che oltre a Wagna nell’Impero c’erano decine di campi analoghi, alcuni destinati esclusivamente a sloveni e croati, altri agli ucraini della Galizia, e così via.
In particolare, visto che a Pola la popolazione era mista, per i croati di Pola fu allestito un campo specifico a Bruck an der Leitha. Questi fatti sono ben noti praticamente da sempre a chi vive sul confine orientale, anche se la storiografia si è occupata solo di recente in modo sistematico della questione dei profughi durante la grande guerra (si veda ad esempio: F. Cecotti “Un esilio che non ha pari”. 1914-1918. Profughi, internati ed emigrati di Trieste, dell’Isontino, dell’Istria, Goriziana editoriale, Gorizia, 2001).
Ma la “storiografia” parallela dei neoirredentisti è, e deve restare, impermeabile alle ricostruzioni fattuali. Così, quando nel 2012 RossanaBianchi – uno dei tanti “sockpuppet” (identità fittizie) dell’utente Brunodam – scrive su wikipedia una voce dedicata a Wagna, la intitola “Campo di concentramento asburgico di Wagna”. E poi la infarcisce di falsità. Infine, la abbellisce con citazioni farlocche, per dare una parvenza di autorevolezza all’“opera”. Il risultato si può ammirare qua.
[N.d.R. Brunodam è un utente bloccato da Wikipedia ad infinitum per le sue numerose manipolazioni. Si è spinto talmente in là che altri utenti con POV più o meno simile al suo – tra i quali Presbite – hanno dovuto scaricarlo. Di ciò si è molto lamentato, dicendo peste e corna degli ex-sodali. Come in questa breve ma molto interessante discussione, dove a partire dal settimo commento Presbite viene attaccato con violenza.]
Chi avesse letto quella pagina su Wagna si sarebbe convinto che in Stiria, tra il 1915 e il 1918, fu attivo un campo di concentramento per italiani – non molto diverso da quelli nazisti – in cui avvenivano esecuzioni sommarie di civili; e che quel campo fu concepito dagli austriaci nel contesto di una pulizia etnica a danno degli italiani dell’Istria. E non gli sarebbe quindi sembrato strano ritrovare Wagna nella pagina “Massacri delle foibe”:
L’ostilità slava (e soprattutto slovena) all’annessione già palesata con il boicottaggio nei confronti dei civili italiani di ritorno dai campi di concentramento di Wagna e Tapiosuly, si esprimeva con l’accumulo di armi provenienti dal confinante Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e con attentati
Passa un po’ di tempo e nel gennaio 2013 Presbite, rendendosi conto che un titolo come “Campo di concentramento asburgico” è talmente assurdo da far apparire già di per sé inaffidabile la voce, decide di modificarlo in “Campo di internamento”. Anche questa dizione è sbagliata, perché Wagna fu un campo profughi. Campo di internamento fu invece, ad esempio, Katzenau presso Linz. Presbite si premura anche di correggere la forma e la punteggiatura di alcune frasi, senza toccare però il contenuto della voce.
Poi nel giugno 2014 succede qualcosa. Succede che un giorno TBPJMR, su Giap più noto come Tuco, legge la voce sul campo di Wagna e salta sulla sedia. Sua nonna ci è stata, a Wagna. Ci ha passato tre anni. TBPJMR si accorge subito che niente di quel che c’è scritto in quella voce corrisponde al vero. Così decide di apportare alcune modifiche alla voce, molto limitate. In pratica elimina il clamoroso fake delle fucilazioni di civili, e aggiunge una frase in cui dice, indicando una fonte, che a Wagna c’erano anche degli sloveni.
Da quel momento, e per circa una mese, Presbite si scatena nella pagina di discussione (come dire: la sala macchine della voce) e ci fornisce – suo malgrado – un bignami in 114mila battute delle sue strategie ostruzionistiche preferite, strategie che vale la pena studiare in dettaglio.
6. Filibustering
Presbite esordisce così:
Apprezzo il lavoro svolto finora nella voce, ma adesso domina la confusione. Credo a causa del fatto che le uniche fonti prese in considerazione da chi ha modificato la voce in tempi recenti siano quelle internettiane.
Bisogna diffidare sempre di chi esordisce con una concessione. La “confusione” di cui parla Presbite in realtà dipende dal fatto che la voce, come compilata da RossanaBianchi, era costruita su dati falsi. In particolare, RossanaBianchi aveva copiaincollato in voce un post comparso sul forum “Patriottismo”, attribuendolo falsamente allo storico Franco Cecotti. Quando TBPJMR è intervenuto nella voce riportando dati provenienti da fonti vere, era abbastanza logico che quei dati sarebbero entrati in conflitto con quelli già presenti. Per Presbite però il problema non sono i dati falsi di RossanaBianchi, bensì le “fonti internettiane” utilizzate da TBPJMR.
Cosa sono le “fonti internettiane”? Sostanzialmente sono le fonti reperibili in formato digitale su internet utilizzando un motore di ricerca. Ad esempio: un articolo di Giovanna Procacci reperibile sul sito dell’Università Ca’ Foscari è una “fonte internettiana”; un articolo di Marta Verginella pubblicato in formato digitale sulla rivista “Storia delle donne”, edita dall’Università di Firenze, è una “fonte internettiana”.
Invece un passo copiaincollato dal forum “Patriottismo” può essere una fonte “non internettiana”, a patto che sia attribuito – anche falsamente – a un libro reperibile soltanto in formato cartaceo.
Ecco quindi un primo esempio della tattica ostruzionistica adottata da Presbite: gettare discredito sulle fonti altrui, anche a costo di inventare categorie ridicole come quella di “fonte internettiana”. La discussione sull’autorevolezza delle “fonti internettiane” è andata avanti per parecchi giorni. Wikipedia è fatta così: ogni edit deve avere un adeguato consenso all’interno della comunità. Basta che qualcuno sollevi un dubbio sull’autorevolezza di una fonte, anche con argomenti pretestuosi, perché una voce resti bloccata per giorni e giorni.
Nel frattempo TBPJMR comincia a riscrivere la voce utilizzando come fonte principale la monografia dello storico Paolo Malni. Altro giro, altra corsa. Secondo Presbite le fonti sono insufficienti. Non solo: secondo lui la voce andrebbe ampliata in modo da coprire il periodo 1914-1963. Infatti nel 1941, nello stesso luogo in cui era stato costruito il campo profughi durante la prima guerra mondiale, i tedeschi avevano allestito un campo per prigionieri di guerra. E poi nel ‘45 le baracche avevano ospitato i profughi tedeschi fuggiti dai paesi occupati dai sovietici. E più tardi, nei primi anni sessanta, i fuoriusciti jugoslavi.
A sostegno della sua tesi, Presbite porta una “fonte austriaca”. Si tratta di una pubblicazione interessante, in lingua tedesca, dello storico Heino Halbrainer. Il punto però è che si tratta di una pubblicazione del polo museale della municipalità di Wagna, dedicata alla storia appunto di Wagna e dei “suoi” campi nell’arco di 50 anni. Ma il campo per POW del ‘41 è materialmente un altro campo rispetto a quello del ‘14.
L’obiezione di Presbite è quindi un secondo esempio di tattica ostruzionistica: allargare il campo a dismisura in modo da far sfumare il focus e creare un’impasse. Soprattutto perché intanto a dare man forte a Presbite è intervenuto Bramfab, che propone di scorporare dalla voce tutta la parte che riguarda la descrizione del contesto storico in cui fu allestito il campo. Il combinato disposto delle due proposte ha come effetto quello di bloccare i lavori per alcuni giorni.
Per di più, lo stesso Bramfab mette in atto una manovra diversiva, sollevando dubbi sull’affermazione di Paolo Malni che tra i profughi trentini ci fossero anche dei tedeschi. Nella foga polemica tuttavia Bramfab ci regala suo malgrado un’epifania:
«Sarebbe a dire che in previsione della guerra gli austriaci si fecero una pulizia etnica alla rovescia in casa?»
Finalmente ci siamo: la posta in gioco, in questa voce, è il frame della pulizia etnica.
La discussione si sposta sul titolo della voce: campo profughi o campo di internamento?
Le fonti parlano chiaro: campo profughi. Ciononostante, parte un lungo botta-e-risposta sul fatto che le autorità austriache avevano predisposto l’internamento degli stranieri abili alle armi e dei sospetti politici; fatto che TBPJMR aveva già riportato correttamente in voce. Ma i campi di internamento erano strutture diverse rispetto ai campi profughi, e Wagna era un campo profughi.
Ora però Presbite si concentra sul numero degli internati. Tira fuori dal cilindro una nuova fonte austriaca. Tale fonte cita un rapporto (Bericht) dell’Ufficio di sorveglianza di guerra al Ministero dell’Interno. TBPJMR recupera il testo del rapporto, che, con buona pace di Presbite, non contraddice, ma integra i dati già inseriti in voce. A Presbite non resta che montare una stucchevole polemica sulla corretta traduzione dal tedesco della forma verbale “sollte”. Secondo TBPJMR è “dovrebbe”, secondo Presbite “deve”. A sostegno della sua tesi Presbite afferma perentorio che in un’ “Ordnung” non si usano forme dubitative. TBPJMR obietta che il testo in questione non è tratto da un’ “Ordnung” bensì un “Bericht”. Niente da fare, la discussione si impantana nuovamente.
Questo è un terzo esempio di tattica ostruzionistica: attaccare su un punto secondario, cercando in tutti i modi di aver ragione su quello, per aver ragione su tutto. Presbite comunque ha torto, e l’unico effetto che ottiene è quello di far perdere un sacco di tempo al suo interlocutore.
Visto che non gli è andata liscia col tedesco, Presbite ricomincia a contestare i numeri. I numeri sono il suo cavallo di battaglia, neanche fosse un promotore finanziario. I numeri di Paolo Malni non gli piacciono. Lui ha dei numeri più belli. I suoi numeri provengono da un articolo di Aldo Gorfer sul portale della Provincia di Trento e dal testo di una conferenza tenuta dallo storico austriaco Hans Hautmann. In entrambi i casi si tratta di sviste, di letture frettolose dei dati d’archivio. In entrambi i casi, il numero totale (114.000) degli sfollati italiani assistiti dallo Stato in Austria viene attribuito erroneamente agli sfollati provenienti dal solo Trentino. Ma Presbite non si scoraggia. Chiama in suo soccorso De Gasperi, forse lo contatta per telefono:
«Aggiungerò che anche De Gasperi era un ignorante pasticcione: ho trovato un suo discorso postbellico nel quale parla di 119.000 profughi trentini. E mi è stata inopinatamente segnalata pure un’altra fonte libresca, nella quale starebbe scritto esattamente l’opposto rispetto a quel che hai scritto tu (mi è stata letta, per cui non ho ancora il virgolettato): gli studiosi presentano numeri molto diversi sul numero dei profughi trentini. Le risate!»
(N.B. In realtà anche De Gasperi, in un suo articolo del 1919, aveva indicato in 111.000 il numero totale dei “profughi trentini e italiani in genere”)
Chissà se un fantomatico documento letto a Presbite da non si sa chi (magari per telefono) può essere considerata fonte autorevole su wikipedia…
Ormai la discussione si trascina da più di un mese. Siamo alla fine di luglio, e fa caldo. Presbite comincia a biascicare sequenze incomprensibili di numeri.
5. Sull’uso disinvolto, altrimenti detto “ad minchiam”, delle fonti. Il caso Djilas
Ma come usa le fonti Presbite quando interviene direttamente in una voce? Lo illustreremo attraverso un esempio pesante.
Siamo nella voce “Istria”. Il 25 maggio 2013 IlirilìkIlirik chiede il controllo fonte su questa frase:
«Purtuttavia, sebbene queste uccisioni sommarie, precedute in alcuni casi da sevizie e maltrattamenti, fossero analoghe (sia numericamente che per metodi) a quelle perpetrate in altre zone occupate dall’armata di Tito, in Istria ebbero il chiaro intento di infondere il terrore nella popolazione italiana, inducendola a lasciare il territorio.»
Il 26 giugno Presbite risponde: “basta chiedere”. E modifica la frase in questo modo:
«Sebbene queste uccisioni sommarie, precedute in alcuni casi da sevizie e maltrattamenti, fossero analoghe a quelle perpetrate in altre zone soggette al controllo dell’armata jugoslava, secondo quanto testimoniò il braccio destro di Tito Milovan Gilas in Istria ebbero l’intento di indurre la popolazione italiana a lasciare il territorio.»
indicando come fonte una risposta di Indro Montanelli a un lettore, sul Corriere della Sera.
La “testimonianza” a cui si riferisce Presbite è un’intervista rilasciata da Đilas a Panorama nel luglio del 1991 (PDF qui). Sono i giorni in cui la Jugoslavia comincia a disgregarsi, e Đilas parla dei confini tra Serbia e Croazia. Poi infila questo suo ricordo sull’Istria:
«[…] Ricordo che nel 1946 io ed Edward Kardelj andammo in Istria a organizzare la propaganda anti-italiana. Si trattava di dimostrare alla commissione alleata che quelle terre erano jugoslave e non italiane: ci furono manifestazioni con striscioni e bandiere. Giornalista: Ma non era vero? Certo che non era vero. O meglio lo era solo in parte, perché in realtà gli italiani erano la maggioranza solo nei centri abitati e non nei villaggi. Ma bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni d’ogni tipo. Così fu fatto.»
In un’intervista rilasciata al Giornale di Brescia nel 2006, lo storico Raoul Pupo, che di certo non può essere sospettato di essere filo-jugoslavo, ha definito questa dichiarazione una «bufala sparata da Đilas».
Pupo dice che una ricercatrice di Lubiana (Nevenka Troha, N.d.R.) ha dimostrato «senza ombra di dubbio» che nel 1946 Đilas non mise piede in Istria. E che in quei mesi Kardelj andò sì in Istria, ma per convincere gli italiani a restare.
Ciononostante la “testimonianza” di Đilas continua ad essere un cavallo di battaglia dei neoirredentisti, che da anni la spammano ovunque in tutti i forum e i social network.
Non solo: questa “testimonianza” è citata con grande enfasi nello spettacolo di Cristicchi, Magazzino 18, ormai parte integrante del curriculum scolastico in tutte le scuole del Regno.
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Innanzitutto perché Arrigo Petacco nel suo libro L’esodo. La tragedia negata degli italiani d’Istria, Venezia Giulia e Dalmazia (Mondadori, 2000) ha citato la frase in modo, diciamo così, creativo, spostando la data a cui si riferisce Đilas dal 1946 al 1945, cioè a un contesto completamente diverso. Nel libro di Petacco infatti c’è scritto, in esergo e addirittura nella quarta di copertina:
«Nel 1945 io e Kardelj fummo mandati da Tito in Istria. Era nostro compito indurre tutti gli italiani ad andar via con pressioni di ogni tipo. E così fu fatto. (Milovan Gilas)»
È proprio questa la versione della dichiarazione di Đilas che viene commentata da Montanelli. Il lettore gli scrive:
«Caro Montanelli, “Nel 1945 io e Kardelj fummo mandati da Tito in Istria. Era nostro compito indurre tutti gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo. E così fu fatto” diceva Milovan Gilas. Ho letto parecchi articoli di Gilas e mai più avrei creduto che prese parte alla tragedia dell’esodo degli italiani dal suolo patrio se non ordinò massacri mediante l’infoibazione. Gilas non fu un dissidente che condannò le mostruosità di Tito? Le sarei grato di un breve profilo per comprendere con chiarezza la vera storia della sua vita. Ha avuto personali contatti con lo scrittore?»
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«Che in quel periodo Gilas, da molti ritenuto addirittura il “Delfino” di Tito, abbia cercato di “disitalianizzare” tutta la costa adriatica – di cui era egli stesso originario – lo sapevo e mi fa male al cuore, ma posso capirlo. Che per farlo sia ricorso anche lui alle foibe, qualcuno me lo aveva detto senza però fornirmene prove.»
Detto senza giri di parole: Presbite ha manipolato le fonti.
L’utente IlirikIlirik il 12 giugno chiede di nuovo la conferma della fonte, proprio sulla base del contenuto reale dell’intervista a Đilas.
«Nella dichiarazione di Đilas, citata in riferimento a fondamento della affermazione evidenziata, non viene fatta menzione alcuna di uccisioni, di altre azioni violente e tanto meno di collegamento alle foibe (v. anche citazione seguente).»
E Presbite risponde così:
«Lo dice l’articolista citato, in nota (Montanelli), e tanto basti.»
4. E allora le foibe??!!
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«Casi di esecuzioni sommarie e incendi di villaggi si ebbero comunque già prima dell’emanazione della Circolare 3C. Ad esempio l’8 agosto 1942 un gruppo di alpini della Divisione Julia, reduci dalla Grecia, incendiarono il villaggio di Ustje, situato a una ventina di chilometri da Gorizia, e fucilarono 8 persone, come rappresaglia per l’uccisione del comandante dei Carabinieri di Aidussina, il maresciallo Pasquale Marrone. In realtà Marrone era stato ucciso dagli alpini stessi, perché aveva difeso gli abitanti del paese dalle loro scorrerie. Gli alpini avevano poi addossato la colpa agli abitanti del villaggio.»
E immediatamente Presbite aggiunge:
«Nella stessa località, nel mese di marzo del 2002 venne esplorata e svuotata una fossa comune contenente i resti di 67 soldati – 15 tedeschi e 52 italiani – uccisi dopo la fine della guerra e qui sepolti.»
Chiosando così il suo intervento:
«Occhio: ad ogni notiziola se ne può aggiungere una uguale e contraria. Mi pare che si stia perdendo il senso generale di questo paragrafo…»
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3. Qui (non) lo dico e qui lo (rin)nego
Altrettanto importante di quello che scrive, è quello che Presbite non scrive. Prendiamo come esempio la voce “IX Korpus”, una delle 123 da lui create. Prima dei recenti interventi correttivi da parte di altri utenti, nella voce si leggeva:
«Fondato a dicembre del 1943 riunendo una serie di brigate precedentemente operanti in modo indipendente, il IX Korpus ha giocato un ruolo fondamentale per la liberazione della Primorska (il Litorale sloveno), che prima della guerra apparteneva quasi interamente al Regno d’Italia. All’interno di questa regione – dichiarata annessa alla Jugoslavia fin da settembre del 1943 – le località principali erano Gorizia e Trieste, ugualmente reclamate dalla Jugoslavia, che vennero occupate militarmente dal IX Korpus dal 1 maggio fino al 12 giugno del 1945, nell’intento di mettere gli Alleati di fronte al fatto compiuto.»
Manca qualcosa?
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Nell’ordine, manca:
1) Il fatto che il 6 aprile 1941 l’Italia e la Germania invasero la Jugoslavia.
2) Il fatto che nel 1941 l’Italia si annesse la Provincia di Lubiana, vi impose un commissario speciale, e di fronte all’esplodere della resistenza slovena mise in atto una serie di rappresaglie contro la popolazione civile culminate nella recinzione col filo spinato dell’intera città di Lubiana e nella deportazione di 20.000 civili nei campi di concentramento italiani.
3) Il fatto che dal 10 settembre 1943 al 1° maggio 1945 la Primorska fu annessa di fatto al III Reich all’interno della Zona di Operazioni Alto Adriatico (OZAK) sotto il comando del Gauleiter della Carinzia Friedrich Rainer, che prendeva gli ordini direttamente da Hitler.
Per contro, Presbite ci informa che nel settembre del 1943 la Primorska fu dichiarata annessa… alla Jugoslavia. Di cosa si tratta? Dopo l’8 settembre la Primorska fu attraversata da un ampio moto insurrezionale, e il 16 settembre l’OF (Fronte di liberazione del popolo sloveno) emanò il seguente proclama:
«Il comando supremo del fronte di liberazione del popolo sloveno, dando seguito a una rivendicazione fondamentale del popolo sloveno, derivante da diritti naturali e storici, proclama l’annessione del litorale sloveno alla Slovenia libera e unita nell’ambito di una Jugoslavia libera e democratica. Alla minoranza italiana sui territori annessi è garantita l’autonomia. Le modalità di attuazione dell’autonomia saranno discusse da rappresentanti delegati delle popolazioni slovena e italiana del Litorale non appena le circostanze lo consentiranno.»
In questo caso quindi Presbite, con una miscela di omissioni e di forzature, riesce a far passare su it.wiki la seguente ricostruzione del contesto storico in cui operò il IX Korpus: di punto in bianco nel settembre del ‘43 la Jugoslavia [che nel 1943 non esisteva più – o non esisteva ancora – come entità statuale, N.d.R.] dichiarò annessa la Primorska (appartenente al Regno d’Italia) e istituì il IX Korpus per rendere effettiva tale annessione. La fonte indicata da Presbite è una tesi di laurea in sloveno – Jernej Alič,9. korpus NOV-a Slovenije. Od ustanovitve do osvoboditve Trsta, Lubiana 2008 – , ma ovviamente nella tesi la “notizia” dell’invasione italiana della Jugoslavia nel ‘41 c’è, così come la “notizia” dell’occupazione tedesca nel ‘43. Forse gli sono sfuggite perché non conosce lo sloveno e si affida a gogol tranzlejt per leggere testi scritti in questa lingua così “semplice“…
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Ma anche in italiano esistono svariate fonti che attestano entrambe le “notizie”. Se a Presbite nessuno l’ha fatto notare, è perché in Italia la storia del confine orientale è poco conosciuta, e come abbiamo detto, lui a furia di filibustering nelle pagine di discussione si è costruito il ruolo di “esperto di confine orientale”.
2. Non solo confine orientale. Come l’antifascista Franco Basaglia divenne repubblichino su it.wikipedia
È capitato anche che Presbite, dall’alto del suo ruolo di “esperto”, si sia prestato a “coprire” operazioni sporche di altri utenti. Per capire in che modo il futuro psichiatra Franco Basaglia (1924 – 1980), incarcerato per antifascismo già all’età di 19 anni, su it.wikipedia sia diventato… repubblichino grazie all’utente Theirrules e con l’imprimatur di Presbite, ecco la storia dell’inserimento in it.wiki della “notizia”.
6 agosto 2011: nella talk di Presbite Sandro_bt chiede se si può “chiudere” sulla voce “Eccidio di Vercelli”, alla quale una nutrita compagnia – coordinata da chi? Da Presbite, naturalmente – sta lavorando da molto tempo.
Theirrules chiede qualche giorno di tempo dicendo di avere una notiziola interessante da inserire.
11 agosto 2011: Theirrules annuncia nella talk della voce di aver trovato una fonte che indica Basaglia come repubblichino della colonna Morsero. La fonte è un libro di Bruno Vespa,Vincitori e vinti (2005).
4 novembre 2011: l’utente Jose Antonio inserisce nella voce “Franco Basaglia” la “notizia” su Basaglia repubblichino, indicando come fonti Bruno Vespa e il defunto “foibologo” di estrema destra Marco Pirina. L’inserimento viene subito perfezionato da Theirrules.
5 novembre 2011: l’amministratore Piero Montesacro smonta la bufala portando in talk come fonte autorevole una monografia su Basaglia di Colucci e Di Vittorio. Provvede anche a rimuovere dalla voce “Franco Basaglia” la falsa notizia su Basaglia repubblichino.
1 maggio 2012: Theirrules inserisce la falsa notizia su Basaglia repubblichino nella voce sull’eccidio di Vercelli, asserendo falsamente che tale notizia è già presente nella voce su Basaglia.
21 luglio 2012: Presbite propone di avviare la procedura per il riconoscimento della voce sull’eccidio di Vercelli come voce di qualità.
20 agosto 2012: la voce sull’eccidio di Vercelli viene riconosciuta voce di qualità col voto favorevole del proponente Presbite, di Jose Antonio, di Arturolorioli e del “referee” Adert.
E così diventa “di qualità” anche la bufala sul passato repubblichino di Basaglia. Un’autentica calunnia che verrà rimossa solo nel 2014 dopo una segnalazione avvenuta su Giap.
@Wu_Ming_Foundt @footymac matricola carcere S.M. Maggiore Venezia del noto “fascista” Basaglia arrestato 4/12/1944 pic.twitter.com/5McHEa0SQn
— Iveser Venezia (@IveserVenezia) May 21, 2014
E a proposito di “voci di qualità”, è arrivato il momento di dare un’occhiata al gioiello di famiglia di Presbite: l’“Eccidio di Porzûs”.
1. Porzûs
Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo, fu uno dei 17 osovani (partigiani delle Brigate Osoppo) uccisi a Porzûs nel febbraio del 1945 da un gruppo di gappisti friulani della divisione Garibaldi-Natisone. Il 27 novembre 1944 Guido aveva scritto una lettera al fratello, in cui raccontava i rapporti molto tesi tra la sua formazione, che aveva deciso di restare “autonoma”, e le formazioni garibaldine che avevano deciso di essere inquadrate nel IX Korpus.
Diciamo subito, a scanso di equivoci, che Guido Pasolini è molto critico nei confronti dei Garibaldini. È un azionista, i suoi ideali sono quelli del Risorgimento: per lui la resistenza è esclusivamente lotta contro lo straniero. A noi comunque non interessa analizzare il punto di vista di Guido Pasolini. Ci interessano le informazioni contenute nella lettera. Nella pagina di it.wiki dedicata a Guido Pasolini ne sono riportati ampi stralci. Soffermiamoci su questo paragrafo:
«Si riorganizza la brigata: in breve tempo raggiungiamo i 600 uomini nella vallata Attimis-Subit. Si entra in contatto con i mandanti delle 2 brigate Garibaldi che fiancheggiano il nostro schieramento: si forma la divisione Garibaldi-Osoppo, si firma un patto di amicizia con gli sloveni che, slealmente hanno cominciato la propaganda slovena nel territorio da noi occupato. […] In quegli stessi giorni giunge una missione slovena inviata da Tito: si propone l’assorbimento della nostra divisione da parte della Armata slovena: ci fanno capire fra l’altro che qualora facessimo parte dell’esercito sloveno eviteremmo il disarmo. Il comandante di divisione Sasso (un garibaldino) tentenna, il vice comandante Bolla (Osoppo) pone un energico rifiuto. Gli sloveni se ne vanno scontenti.»
Dalla citazione sembra di capire che gli sloveni avessero posto gli osovani di fronte all’alternativa: o vi unite a noi o vi disarmiamo. Ma cosa c’è scritto nella lettera al posto di quei tre puntini messi tra parentesi? Il testo integrale è il seguente:
«…nel territorio da noi occupato. Giunge per radio una notizia ad aggravare la situazione: gli inglesi nelle terre liberate, disarmano le formazioni partigiane. A noi dell’Osoppo la notizia non ci fa né caldo né freddo: “Una volta che l’Italia è liberata!…) , La cosa sembra invece mettere il fuoco nelle vene in certi commissari garibaldini. Vanni (da nessuno autorizzato), commissario di divisione, nella pubblica piazza di Nimis grida le seguenti parole (in un discorso enfatico quanto vuoto di sostanza): “Io vi assicuro che né Russi (la parola è detta quasi di sfuggita) né Americani né Inglesi (qui la voce tuona) disarmeranno la Divisione Garibaldi-Osoppo.” In quegli stessi giorni giunge una missione slovena…»
Dal testo integrale scopriamo quindi che gli osovani, unendosi al IX Korpus, avrebbero evitato di essere disarmati dagli inglesi. E che però per gli osovani essere disarmati dagli inglesi non costituiva un problema, visto che il loro scopo era esclusivamente quello di liberare l’Italia. Vedremo tra poco che questo “dettaglio” non è secondario nella ricostruzione del contesto in cui maturò l’episodio di Porzûs.
Per completare il quadro, ricordiamo anche che il 13 novembre 1944 il generale Alexander diffuse via radio un proclama in cui richiedeva a tutte le formazioni resistenti del nord Italia di interrompere qualsiasi attività militare, e annunciava una drastica riduzione dei rifornimenti. E che tra l’ottobre e il dicembre del 1944 l’alto Friuli fu sottoposto a pesantissimi rastrellamenti tedeschi – con la collaborazione di unità cosacche e di alcuni battaglioni della X Mas – in seguito alla caduta della Repubblica libera della Carnia.
La pagina su Guido Pasolini è stata creata dall’utente Demiurgo, ma si tratta di uno spin-off della pagina “Eccidio di Porzûs”. In quest’ultima pagina la lettera tagliuzzata era stata inserita da Presbite, con l’accorgimento di riportarne il testo completo in nota – tanto non l’avrebbe letto nessuno. Demiurgo si è limitato a copiarla da una pagina all’altra.
Questo è un tipico esempio di manipolazione per omissione. Se ora ci spostiamo nella pagina “Eccidio di Porzûs”, vediamo che vengono nuovamente omessi dei “dettagli” importanti. Presbite scrive:
«Tutte le terre a est del fiume Isonzo – e comunque ovunque vivesse una componente etnica slovena, compresa quindi la Slavia veneta – furono rivendicate fin dalla fine del 1941 dalla nascente Jugoslavia di Tito, che le dichiarò ufficialmente annesse nel settembre del 1943.»
Come fonte viene indicata una tesi di dottorato: «Patrick Karlsen, Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale 1941-1955, Anno Accademico 2007-2008, pag.13»)
Vediamo allora cosa scrive Karlsen a pag. 13:
«Dopo l’invasione della Slovenia da parte dell’Italia e della Germania nell’aprile 1941, tutte le forze politiche riunite nel Fronte di liberazione sloveno (Osvobodilna fronta – Of) si prefissero lo scopo della liberazione e unificazione della loro nazione. Tra queste anche il Kps, che all’interno dell’Of rappresentava la fazione più organizzata e influente. Già dalla fine del 1941 il Fronte aveva istituito una commissione interna per studiare i futuri confini della Slovenia, e il Comitato centrale (Cc) del Kps aveva dichiarato “irrinunciabili” le città di Maribor e Trieste. […] Contemporaneamente,l’Of cercò di radicare la sua presenza su tutto il territorio da esso ritenuto sloveno.»
Come nella voce “IX Korpus”, Presbite ha omesso il “dettaglio” dell’invasione italiana della Jugoslavia. Inoltre la lotta dell’OF per la “liberazione e unificazione della nazione slovena” dall’occupazione di un paese invasore viene trasformata, con evidente manipolazione della fonte, in “rivendicazione territoriale della nascente Jugoslavia di Tito”, in stile “blut und boden”.
Sempre citando Karlsen (pagg. 16-17), Presbite prosegue così:
«All’interno di questi territori gli jugoslavi pretesero di avere il comando di tutte le operazioni militari sottoponendo al controllo del NOVJ le altre formazioni combattenti, in accordo con quanto aveva stabilito, a seguito di precisa richiesta di Tito, il segretario del Comintern Georgi Dimitrov in una lettera del 3 agosto 1942: questi aveva disposto per tutta la Venezia Giulia la dipendenza delle strutture del PCI al Partito Comunista Sloveno (PCS) e di tutte le formazioni combattenti nell’area al Fronte di Liberazione Sloveno.»
Ma vediamo cosa dice Karlsen. Innanzitutto, per quanto riguarda i rapporti tra Pcd’I e KPS, a pag. 13 scrive:
«La politica dell’“entrismo”, sostenuta dai vertici del partito centrale come ultima carta per cercare di intaccare la popolarità del fascismo, risultava del tutto inaccettabile per gli iscritti al Pcd’I di origine slovena e croata; per loro, qualsiasi forma di accomodamento verso il regime che mirava alla cancellazione della loro identità di popolo equivaleva a un tradimento.»
Spostandoci alle pagg. 16-17, leggiamo:
«Nel contesto della guerra e dei rivolgimenti politico-sociali giudicati prossimi a venire, il possesso del porto di Trieste era visto dai comunisti sloveni come una delle questioni dirimenti. Chi controllava il porto, per il suo posizionamento strategico e per l’elevata concentrazione della sua classe operaia, era destinato a esercitare un’influenza decisiva sul suo entroterra, in gran parte agricolo.»
Nel 1942 Kardelj, in una lettera a Massola, si espresse così:
«A causa dell’atteggiamento filoinglese di gran parte della borghesia italiana, da una parte, e la debolezza dell’azione politica del proletariato italiano, dall’altra, esiste il pericolo che Trieste in futuro possa diventare il trampolino di lancio degli imperialisti reazionari inglese.»
Continua Karlsen:
«A questo punto, diveniva fondamentale che tali posizioni fossero ufficializzate dall’autorità cui veniva riconosciuta la competenza di stabilire le giurisidizioni e coordinare gli ambiti di azione dei diversi partiti comunisti: il Komintern. […] La risposta tanto sollecitata […] pervenne da Dimitrov il 3 agosto 1942, tramite una lettera a Tito […]. È questo il documento attraverso cui il Komintern accoglieva in toto le istanze slovene e sanzionava un nuovo equilibrio, nei rapporti tra Kps e Pcd’I nel Litorale, a favore del primo.»
Il testo del comunicato di Dimitrov è il seguente:
«Cc Slovenia e Cc Jugoslavia sono tenuti ad esigere dai compagni italiani il rendiconto della loro attività. Costituire gruppi di Kps nei rioni italiani d’un tempo, laddove vivono sloveni e croati – Istria, Trieste ed altrove. Sviluppare colà il movimento partigiano non è soltanto giusto, bensì pure urgente. Così pure è estremamente urgente che il tutto venga condotto a termine dal comando, in contatto con i compagni italiani, nella costituzione delle organizzazioni per la lotta partigiana ed antifascista in Istria, a Trieste ed a Fiume.»
Leggendo Karlsen scopriamo quindi che la corsa verso Trieste dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia (EPLJ) non era questione di “blut und boden”, ma di posizionamento strategico in un’ottica rivoluzionaria. Scopriamo che gli antagonisti dell’EPLJ erano gli inglesi, alleati nella lotta contro il nazifascismo, ma considerati avversari nella lotta di classe. E scopriamo che in quest’ottica i comunisti sloveni nel 1942 avevano chiesto e ottenuto dal Komintern la direzione politica e militare della resistenza armata nel Litorale, con i comunisti italiani in posizione subalterna.
Ricapitolando:
1) Presbite omette di dire che l’Italia aveva invaso la Jugoslavia nel 1941 e che se n’era annessa ampie porzioni.
2) Presbite manipola una fonte e presenta la lotta di liberazione slovena contro uno Stato invasore (l’Italia) come rivendicazione territoriale jugoslava nei confronti di quello Stato.
A causa di queste omissioni e manipolazioni, le richieste del KPS al Pcd’I appaiono come dettate da puro sciovinismo nazionalistico, e non dal fatto che il Pcd’I fosse un partito che, seppur clandestino, seppur facente parte del Komintern, era agli occhi dei comunisti sloveni troppo accomodante nei confronti dell’imperialismo e dello sciovinismo italiano. Vale anche la pena sottolineare che quando nel ‘42 Dimitrov attribuì al KPS la direzione politica e militare delle formazioni partigiane combattenti nella “Venezia Giulia”, non esisteva ancora nessuna formazione combattente italiana, né del Pcd’I, né di altri movimenti antifascisti; che dopo l’8 settembre 1943 il Pcd’I organizzò anche nella “Venezia Giulia” le proprie brigate partigiane come parte integrante delle Brigate Garibaldi del resto d’Italia (Karlsen, pag. 26); e che solo nell’autunno del ‘44, anche per evitare che i garibaldini venissero disarmati dagli inglesi sulla base delle clausole armistiziali, Kardelj impose ai comunisti italiani di inquadrare le loro brigate partigiane nel IX Korpus (Karlsen, pag. 32).
Inoltre Presbite omette di dire che la preoccupazione principale del KPS per quanto riguardava Trieste era che quel porto strategico non finisse sotto il controllo diretto o indiretto degli inglesi. Da quel che scrive Presbite, sembra che di punto in bianco nel ‘41 una non meglio precisata “nascente Jugoslavia di Tito” avesse cominciato a manifestare pretese territoriali sull’Italia, e che per questo nel 1942 avesse chiesto e ottenuto dal Komintern di poter sottomettere il Pcd’I e tutte le formazioni combattenti della “Venezia Giulia”. Gli inglesi scompaiono dal quadro, e tutto quanto sembra ridursi a una faida etnica sul confine orientale, con gli italiani ovviamente, sempre e comunque, nella parte delle vittime in quanto italiani – oppure dei traditori della patria.
Noi non abbiamo tesi da proporre su Porzûs: si tratta di una delle pagine più controverse e laceranti della storia della resistenza in Italia. Ma il lavoro di Karlsen è una delle fonti citate da Presbite, e noi abbiamo mostrato come Presbite, attraverso omissioni e manipolazioni di una fonte da lui stesso indicata, abbia falsificato il contesto in cui si colloca l’episodio.
E poi: come mai nella voce i rapporti tra osovani e X Mas restano nel cono d’ombra? Tali rapporti risultano dimostrati dal 2000, da quando sono stati desecretati i documenti dell’OSS (pubblicati poi da Nicola Tranfaglia e Mario Cereghino nel 2004 nel volume Come nasce la repubblica, Bompiani). Gli americani ne erano al corrente: nel gennaio del 1945, in seguito a un lungo colloquio tra il capitano Manlio Morelli del battaglione valanga della X Mas e il sottotenente Cino Bottazzi “Piave” della Osoppo, Morelli stesso, su incarico di Borghese, si incontrò a Vittorio Veneto con Candido Grassi “Verdi” e con “Piave” della Osoppo, per negoziare un eventuale accordo in chiave anti jugoslava. In voce c’è scritto:
«Dalle ricostruzioni del dopoguerra risultò che era sempre stata la Xª MAS a cercare degli accordi con la Osoppo per opporsi alle mire jugoslave sui territori orientali italiani, ottenendone però ogni volta un rifiuto.»
Dai documenti dell’OSS pubblicati da Tranfaglia invece risulta che l’accordo fu discusso in modo abbastanza dettagliato, anche per quanto riguardava la logistica, ma poi non andò in porto soprattutto per le resistenze di una parte dei comandi della Decima.
In ogni caso il fatto stesso che ci fu un tentativo – ad alto livello e non proprio estemporaneo – in tale direzione fa parte del contesto, ed è pertanto oggetto di ricerca storiografica. Non lo si può liquidare, come fa Presbite in pagina di discussione, dicendo che durante la guerra i contatti tra partigiani e fascisti erano abbastanza frequenti, tirando in ballo gli scambi di prigionieri, ecc.
0. Ha un caratteraccio, però…
A questo punto potremmo chiederci se la multiforme attività manipolatoria che abbiamo finora documentato sia mai stata riconosciuta e sanzionata come tale dalla comunità dei wikipediani.
Il log dei blocchi (l’equivalente wikipediano della “fedina penale”) di quest’utenza è abbastanza eloquente.
A parte un primo blocco di scrittura nell’ottobre del 2008, non rilevante perché irrogato per errore (Presbite fu scambiato per un altro utente già sanzionato con un blocco di scrittura di durata infinita, errore corretto dopo due giorni con la completa riabilitazione), troviamo:
13 ottobre 2010: blocco di 36 ore per «trolling, edit war e comportamento non collaborativo».
18 ottobre 2011: blocco di una settimana per «attacchi personali reiterati e con presa in giro».
7 luglio 2012: blocco di una settimana per «attacchi personali».
11 ottobre 2012: blocco di due ore per «attacchi personali».
24 marzo 2014: blocco di una settimana per «attacchi personali».
Nella discussione relativa all’ultima (finora) delle segnalazioni disciplinari contro Presbite, aperta lo scorso 25 luglio e conclusasi pochi giorni dopo senza che fosse emessa alcuna sanzione, l’utente Stonewall ha dichiarato che Presbite «ha (spesso, forse quasi sempre) ragione nel merito» ma «con il suo comportamento francamente insopportabile nelle discussioni», comportamento improntato al «sarcasmo con tutti» e caratterizzato da «un irritante superiority complex», riesce a passare «sempre dalla parte del torto». Pertanto Stonewall invita Presbite a cambiare registro d’interlocuzione con gli altri utenti, ad accettare «le eventuali critiche con garbo e senza pensare sempre al complotto contro di lui» e ad articolare in maniera più ortodossa le sue discussioni, «da cui uscirà facilmente vincitore vista la sua enciclopedica preparazione nello specifico anche senza cercare di ridicolizzare l’interlocutore».
Questi commenti di Stonewall sintetizzano abbastanza bene quella che è l’immagine corrente di Presbite all’interno della comunità dei wikipediani. Si ritiene comunemente che Presbite sia un utente assai scrupoloso e preparato, fine conoscitore della materia di cui in prevalenza scrive (la storia dell’Adriatico orientale); peccato solo per le sue asperità caratteriali che lo rendono così indisponente.
Lo stesso Presbite aderisce volentieri a questa immagine e ammette senza difficoltà di avere un “caratteraccio”, ma tiene a ribadire che, se a volte si inalbera, è solo perché ha talmente ha cuore l’Enciclopedia da non poter tollerare che la stessa sia rovinata da degli ignoranti.
«Per quanto è in mio potere, ho sempre cercato di scrivere delle voci “decenti”, quando non “ben fatte”. E questo è il mio tratto: scrivere di temi ignorati praticamente dall’universo mondo, quasi sempre in solitudine. E quindi quasi sempre da solo col mio POV. Cercando di tenerlo il più possibile a freno. […]»
«Che cos’è che mi secca alquanto? Cioè: perché mi vien da prender per i fondelli altri utenti, ogni tanto? La risposta è semplice: qui dentro qualcuno immagina delle baruffe chilometriche su voci come Equazione o Funzione? di Eulero? No. E sapete perché? Perché quelle sono tipiche voci da “iniziati”, cioè da gente che sa della materia. E in generale le fonti che trattano di quel tipo di voci non si trovano a puntate in allegato a “La Repubblica”. Invece qui è “normale” che una voce di storia sia scritta prendendo come fonte una dispensa scritta da Enzo Biagi. O roba del genere.»
Secondo Presbite, la storia dell’Adriatico orientale è materia da lasciare agli “iniziati” in quanto eccezionalmente difficile da conoscere e da capire:
«Benvenuto nella storia delle terre orientali dell’Adriatico, dove per ogni numero bisogna compitare svariate fonti! Ma non solo: per ogni fatto – anche quelli apparentemente “normali” – è necessario dotarsi di santa pazienza e leggere un filino di più.»
Sempre secondo Presbite, solo chi sia arrivato a conoscere bene tutte la letteratura storiografica sull’argomento è in grado di districarsi in questa complicatissima materia, di distinguere le fonti affidabili da quelle che non lo sono, di vagliare e ponderare tutte le innumerevoli versioni di un medesimo episodio trascegliendo quelle più attendibili e scartando le altre. A quel punto, e solo a quel punto, l’utente (divenuto ormai un esperto, se non la massima autorità della materia) può legittimamente scriverne su wikipedia. Naturalmente, Presbite possiede tutti questi requisiti di scienza e di dottrina, laddove i suoi interlocutori quasi sempre, e specialmente quando non la pensano come lui, non li possiedono.
«Oppure vien fuori uno che non ha mai sentito parlare della Muttersprache in Istria fra il 1880 e il 1910 (e chi ha mai sentito parlare della Muttersprache in Istria? Saremo in venti in tutt’Italia ad avere una bibliografia su questo argomento!) e contesta una cosa della quale non sa nulla. E per sustanziar il tutto, magari cala l’asso, sparando un paio di sciocchezze sesquipedali! […] E io mi inc… di brutto. M’inc… per queste forme di cialtroneria […] che fanno andare a p…atrasso una bella fraccata di voci.»
A ben vedere, quindi, e secondo quanto ammette lo stesso Presbite, le sue intemperanze verbali e la sua aggressività non sono un mero portato caratteriale, come di chi perda improvvisamente le staffe e, in un impeto d’ira incontrollabile, senza riuscire a dominarsi dica o faccia degli spropositi. Ci troviamo invece di fronte a una precisa strategia volta a difendere wikipedia da apporti ritenuti (da Presbite) dannosi per l’enciclopedia stessa. S’intende che il modo migliore per impedire ai barbari di rovinare un territorio è non permettere loro di metterci piede: di qui la vasta gamma di tattiche dissuasive che Presbite mette in opera per presidiare le sue voci, che vanno dall’ostruzionismo, al sarcasmo, agli insulti più o meno velati fino, in qualche caso, alle minacce.
Ed è così che, parafrasando uno dei nostri classici, le voci di it.wiki correlate all’argomento Adriatico orientale appaiono oggi circondate da reticolati irti di spine erudite, e sorvegliate da una sentinella che urla il “chi va là?” a ogni profano che osi avvicinarsi troppo. Abbiamo visto in che modo Presbite, sulla scorta della sua autoproclamata qualità di “iniziato”, si sia assunto questo ruolo di sentinella posta metaforicamente a guardia del confine orientale. Nasce il dubbio se una dottrina che necessita di tali mezzi difensivi non assuma, già per questo solo fatto, i caratteri inquietanti dell’ideologia.
Ad ogni modo, è inutile sottolineare come il modus operandi di Presbite sia del tutto contrario allo spirito dell’Enciclopedia Libera. Nessuna barriera all’ingresso, infatti, può essere compatibile con il principio del “be bold” e della libertà per chiunque di contribuire; il controllo sui contenuti dev’essere paritario e può avvenire solo ex post e non ex ante. Inoltre wikipedia è per sua natura un progetto collaborativo. Le voci migliori nascono dall’apporto di molti utenti, secondo un metodo che non esclude il conflitto tra utenze portatrici di punti di vista diversi o anche opposti, ma tende semmai a disciplinare tale conflitto in modo da farne un elemento costruttivo, finalizzandolo al miglioramento qualitativo e alla crescita quantitativa dell’Enciclopedia. Una concezione opposta all’elitismo autoritario di cui appare intriso ogni intervento dell’utente Presbite.
Lo stesso Presbite sembra rendersi conto di tale sua estraneità allo spirito di wikipedia quando afferma:
«Adesso dirò una cosa che forse parrà stramba: da un certo punto di vista io mi sento incompatibile con questo progetto.»
Non possiamo non dirci, per una volta, d’accordo con lui.
—
* Nicoletta Bourbaki è l’eteronimo usato da un gruppo di inchiesta su Wikipedia nato nel 2012. Con questa scelta, il gruppo omaggia Nicolas Bourbaki, collettivo di matematici attivo in Francia dal 1935 al 1983.
#Vichipedia l’italianizzatrice. Qui lo storify sulle linee guida più assurde di it.wiki dal 2004 al 2014. Sulla linea degli esonimi adriatici di it.wiki, che sembra dettata dall’ANVGD “dei tempi d’oro”, ho fatto questa ricerca per capire come si è arrivati a un tale scempio e, tra le altre cose, ho scoperto che questo post su Giap sta già producendo dei cambiamenti! A quanto pare piacciono a ben pochi ma questi pochi riescono a mantenerle sostanzialmente inalterate nonostante continue obiezioni e continue proposte di adeguarle ai princìpi wikipediani.
Forse la domanda corretta non è “chi inquina Wikipedia” ma “chi scrive Wikipedia” o meglio “chi ancora scrive su Wikipedia”: la Wikipedia italiana ha perso momentum ed è in calo di partecipanti (si veda la discussione «Il crollo di it.wiki nel 2013») ma il problema, che in quella discussione nessuno ha posto, è chi se ne è andato ed invece chi resta. Chi rimane, ed assume sempre più importanza all’interno di una comunità in declino, è chi ha una propria agenda da portare avanti, facilitato da un ambiente di discussione sterilizzato, dove anche se scrivi solo sciocchezze non si può dire che sei uno sciocco. Il fatto stesso che questa disamina sui contributi di un utente di wikipedia sia qui e non sulle pagine di servizio dell’enciclopedia «Utenti problematici» e «Comportamenti degli utenti» (che sono editabili da qualunque utente registrato) è il sintomo evidente di una comunità che non funziona più, che non attrae più partecipanti. Quello che denuncia è banalmente vero, per chi conosce wikipedia (per esempio si vedano i contributi di questo italianizzatore citato nello Storify con la perla di Stancovazzo) ma la comunità italiana ha perso chi aveva la pazienza e la costanza di stare dietro alle varie agende (dai nostalgici di Salò ai neoborbonici a cattolici integralisti fino ai testimoni di Geova) su un milione di voci, quindi si presidiano le voci a maggiore visibilità e quelle ‘’di nicchia’’ sono lasciate in balia dei POV-pusher.
A proposito di strategie di ostruzionismo e manipolazioni su Wikipedia: non si manipolano e falsificano solo le fonti ma anche le discussioni.
È molto interessante il link, proposto da Nicoletta Bourbaki, al blog di Brunodam, dove nei commenti un utente scrive:
«Mi piace moltissimo il sito. Molto migliore di tanti altri pieni di pettegolezzi, errori madornali e fesserie. Superiore anche alla wikipedia italiana con i suoi articoli troppo controllati da amministratori spesso imbecilli, come il ducetto Vituzzu o il defenestrato Piero Montesacro. Complimenti, Bruno. Vedo che ben tre tuoi “nicknames” sono apparsi tra quelli che hanno votato contro la rielezione del criccarolo Montesacro, costringendolo a ritirarsi anzitempo. Spero che anche Vituzzu riceva lo stesso benservito alla prossima votazione per la sua rielezione, magari con cinque tuoi “sockpuppets”! Siamo amici da molti anni, e so che prima o poi ottieni sempre quello che ti proponi. Ciao, Rodolfo Fermi»
Montesacro è un ex-amministratore di Wikipedia, mobbizzato e spinto ad abbandonare il progetto dopo essersi opposto a lungo a certe manipolazioni. [Nel post qui sopra, ad esempio, lo vediamo denunciare la falsificazione di “Basaglia repubblichino”.]
Questa – come si arrivò all’isolamento di Montesacro – è una storia che varrebbe la pena ricostruire e raccontare.
È anche così, con simili mezzucci e con tattiche di mobbing, che si è ottenuto l’abbandono di utenti che tanto avevano dato al progetto, e si è arrivati al calo di partecipazione attiva e critica di cui parla Argentiere99 nel suo commento.
Calo di partecipazione attiva e critica che ai POV-pusher di destra va benissimo, così possono spadroneggiare.
Anzi, il calo di partecipazione attiva e critica è proprio il “correlativo oggettivo” del pensiero di destra.
Nella risposta a Rodolfo Fermi, Brunodam parla di Presbite e dice:
«I miei interventi (con sockpuppet in Italia) lo hanno aiutato a sopravvivere “miracolosamente” a due attacchi nel passato».
Dopodiché, come scrive anche Nicoletta Bourbaki, parte una ridda di insulti a Presbite (associato a un nome e cognome), accuse di ingratitudine ecc. In questo contesto Presbite viene criticato da posizioni di ultradestra, ma per motivi legati a scazzi personali. Plausibilmente, Brunodam si era mosso in modo talmente pesante da mettere in imbarazzo e rischiare di esporre e “bruciare” utenti come Presbite, che quindi aveva preso le distanze. Ma prima che le prendesse, Brunodam, fingendosi altre persone in realtà inesistenti, a suo dire lo aveva cavato d’impiccio in due occasioni critiche.
Bello schifo, non c’è che dire. Ma rassegnarsi è un’opzione scartata in anticipo. Wikipedia è troppo importante. Il lavoro di inchiesta deve continuare, diramarsi, approfondire.
Qua c’è un interessantissimo scazzo tra Presbite e Vito, proprio a proposito di Brunodam, datato gennaio 2011. Le accuse che Vito muove a Presbite sono pesanti:
«Continui a far da fromboliere ai vari Brunodam & soci in maniera forse inconsapevole. Almeno su questo non mi potrai dire “zitto figurante!” perché seguo le amene partite a scacchi fra Istria, Dalmazia, Florida, Puglia e Veneto (sembra un grottesco risiko no?) già da un paio d’anni, forse da prima che ti ci coinvolgessero.»
Dopo un botta-e-risposta, Presbite replica così:
«Quindi non esiste nessun esempio concreto del mio essere “fromboliere” di Brunodam. O – per lo meno – tu non ne riesci a tirar fuori neanche uno. Eppure insisti. Complimenti per la trasmissione e grazie.»
A un certo punto Vito linka un commento che qualcuno (Brunodam?) aveva lasciato nella talk di Presbite, e che quest’ultimo aveva subito cancellato:
«Per ultimo ti comunico che sto entrando in contatto con gli avvocati di Antonio Angelucci per vedere se accettano di creare una “CLASS ACTION” anche con me ed altri abusati (vedi informazione relativa su google facendo “criccawikipediaitaliana”) nella wiki italiana: il caso “irredentismo italiano in Istria” (come quello sull’ “irredentismo italiano in Dalmazia”) verrebbe inserito. Hai sbagliato grosso ad agire da opportunista per farti ben volere/accettare dal “marijuanero” Crisarco (& company) e nel non ricordarti di mantenere sempre la regola del mai sparare su altri italiani (come diceva il buon Garibaldi). (PS: siccome sono certo che qualche cane da guardia della Cricca, tipo Vituzzu o Gac, cancellerá questo messaggio, te lo ripeto sul tuo sito da collezionista di cartoline.) Uno che ti faceva di un’altra qualitá.»
Presbite ribatte dicendo di essere vittima e non fromboliere di Brunodam. La discussione continua con toni molto accesi.
Pare insomma che sia successo qualcosa di grosso, e sarebbe importante capirne qualcosa di più.
«Sul tuo sito di collezionista di cartoline», scrive l’anonimo nella pagina utente di Presbite.
Questo punto va spiegato, altrimenti nessuno riesce più a seguire.
Brunodam e altri associano più volte Presbite a costui.
Che è anche l’autore di questo post e di centinaia di commenti sul blog triestino Bora.la.
Nei commenti al post appena linkato si firmava prima “Luigi (Veneziano)” e poi “Luigi Vianelli (veneziano)”. E se si clicca su “Luigi (Veneziano)” nell’intestazione di questo commento si viene condotti proprio al sito di collezionismo cartoline.
In un altro commento sul medesimo blog triestino, “Luigi (Veneziano)” linka una voce di Wikipedia (Teoria veneta) dicendo di esserne l’autore. Testualmente:
«La voce sulla Wikipedia italiana l’ho scritta io».
Come si vede dalla cronologia, l’autore di quella voce è Presbite:
«18:21, 28 dic 2010 Presbite (Discussione | contributi) . . (6 992 byte) (+6 992) . . (Nuova voce, basata in parte sulla traduzione dalla en.wiki)»
Ricapitolando:
uno che su bora.la si è firmato a volte “Luigi Vianelli”, altre volte “Luigi (Veneziano)” e altre volte ancora “Luigi Vianelli (Veneziano)” non ha alcun problema a rivendicare l’utilizzo del nickname “Presbite” su Wikipedia.
Ed è sempre egli stesso ad asserire (tramite un link) di essere lo stesso Luigi Vianelli collezionista di cartoline.
Capito adesso il riferimento?
Precisiamo che a noi dell’identità anagrafica vera o presunta di Presbite importa poco. Per noi rimane “Presbite” e ci interessa solo quello che fa su Wikipedia. Ragion per cui, ribadiamo che le questioni di cui discutere sono:
1. il contenuto degli edit di Presbite;
2. come Presbite “presidia” le pagine sull’Adriatico orientale;
3. se Vito avesse o meno ragione nel collegare Presbite al giro di Brunodam (Brunodam stesso sostiene di sì e dice di avere aiutato Presbite in momenti critici assumendo identità fittizie per “fare numero” e difenderlo);
4. tutto questo nel quadro di un’analisi del funzionamento del dispositivo-wikipedia. Quello su Presbite è solo un “case study” esemplare, altri ne seguiranno.
D’altro canto, era necessario chiarire certi riferimenti – altrimenti astrusi ai più, anzi: astrusi a quasi tutti – reiterati nei commenti di Brunodam e altri.
Capire bene i passaggi è importante, perché le vicende a cui alludono Brunodam e i suoi amici sono cruciali per capire cos’è successo su Wikipedia negli ultimi 4-5 anni.
Aggiungo per completezza che “Luigi (Veneziano)” è stato bannato da bora.la nel marzo 2012 per comportamento offensivo e provocatorio nei confronti di altri utenti. È tornato poco tempo dopo con un nuovo nickname, El Baziloto, e ha ripreso a imperversare, con lo stesso stile gradasso e passivo-aggressivo. Dal maggio scorso, però, non si è più fatto vivo.
Tanto per aggiungere una curiosità: in questo commento su bora.la “Luigi (Veneziano)” – cioè, ricapitolando, l’uomo che dice di essere Presbite – scrive:
“Purtroppo (o per fortuna), conosco abbastanza bene il settore bancario, visto che ci lavoro da venticinque anni.”
Mi è venuta in mente la supercazzola numerologica su Wagna, smontata da Tuco e riportata da Nicoletta Bourbaki nel post qui sopra, ma mi astengo dal fare battute, suonerebbero banali.
Un aggiornamento: si è appurato che Luigi Vianelli (il quale, lo ricordiamo, ha pubblicamente dichiarato di essere Presbite) è un banchiere di Banca Etica (Orpo!).
Non si tratta di chissà quale scoperta, anche l’identità tra Vianelli/Presbite e Vianelli/Banca Etica è pubblicamente esibita sul web. Non si può dire che Vianelli non ci metta la faccia! Qui come qui.
Se tra chi legge qualcuno si sta sforzando, senza riuscirci, di trovare un qualche filo logico nella giustapposizione (o addirittura sovrapposizione) di immaginari che quest’informazione produce, beh, non è il solo o la sola. Tanto che, quando l’abbiamo fatto notare su Twitter, Banca Etica si è sentita in dovere di intervenire. Il tweet ha introdotto un elemento di chiarezza.
Detto questo, ribadisco a nome di tutti quelli che stanno contribuendo all’inchiesta su Wikipedia quanto già affermato nei punti numerati qui sopra.
Ribadiamo che TUTTE le informazioni riportate sopra le ha fornite (rese pubblicamente disponibili) Vianelli medesimo. Di questo gli va dato atto.
Leggere la spavalderia con cui Brunodam – utente pluribannato da it.wiki – si vanta di aver utilizzato n sockpuppets per influenzare l’andamento di alcune discussioni, o ancora per influenzare votazioni sulla nomina di admin o su eventuali sanzioni da comminare agli utenti individuati come avversari, lascia interdetti. Ma il suo essere ufficialmente considerato un paria su it.wiki può anche lasciar intendere che il suo torto più grave sia un altro: non l’essere ricorso all’uso di sockpuppets alla bisogna, ma aver detto la verità che altri non possono dire o che mascherano con un atteggiamento da “doppio standard”: si grida allarme per presunte chiamata alle armi eterodirette che metterebbero in pericolo l’enciclopedia libera e poi bellamente si gioca sporco per salvare gli amici o far fuori gli utenti considerati scomodi.
È bene sottolinearlo nuovamente – non è mai abbastanza – che it.wiki è un campo aperto al conflitto in cui si è giocata e si gioca una partita politica importante, un campo per troppi anni trascurato e affidato alle sole procedure interne di wikipedia e alla fiducia acritica nella scrittura collettiva delle voci. Nicoletta Bourbaki anche di questo aveva scritto in precedenza prendendo in esame quello che avvenne con la creazione della voce “Vittorio Arrigoni”: dei limiti dell’efficacia delle sole procedure di it.wiki, del ruolo centrale del conflitto – per quanto volutamente mal celato o raccontato come disfunzionale – che molti utenti di it.wiki negano, dell’importanza di mantenere l’enciclopedia libera permeabile al mondo esterno. Vediamo invece che la reazione della comunità wikipediana è tendenzialmente sempre quella di “lavare i panni sporchi in casa” (o di tenerli sporchi in casa), tant’è che le inchieste pubblicate su Giap per più di qualcuno hanno avuto il “torto” di portare il dibattito *fuori* da wikipedia, mentre per chi utilizza wikipedia per reperire informazioni questa è una grande occasione e certo non viene letta con sospetto.
Volevo spendere due parole sugli esonimi. Innanzitutto il signor Luigi, andando sulla pagina di Bar, oltre a Bar Le Duc e Bar Sur Aube trova anche la Bar montenegrina (che sta li dal 6 aprile 2004). Spiace vi sia sfuggita, spero siate stati più attenti nel resto dell’inchiesta.
Essendo in parte responsabile della scelta di usare i toponimi italiani quando esistenti, vorrei precisare quanto segue. La scelta fu fatta agli albori dell’edizione in lingua italiana di Wikipedia, quando c’erano poche voci e pochi utenti. Si scelse di dare la precedenza al toponimo in italiano per evitare di discutere su ogni singolo caso (Su Berlino pochi eccepirebbero, ma già Ratisbona/Regensburg potrebbe essere fonte di discussioni lunghe e tediose) Perché essendo in fin dei conti l’edizione in lingua italiana non sembrava una scelta scandalosa. Perché comunque Wikipedia permette di creare i cosidetti “Redirect”, che consentono al signor Luigi, quando scrive nella casella di ricerca, di finire sulla voce giusta, sia che cerchi il nome in italiano sia che cerchi il nome autoctono.
P.S.: per curiosità sono andato sulla Wikipedia in lingua slovena a vedere che titolo hanno le poche voci relative ai comuni della provincia di Udine. Sono evidentemente ostaggio dell’imperialismo sloveno.
Vale la pena riprendere e soffermarsi su “Il caso Djilas”, perché è eclatante l’uso ad minchiam delle fonti. Quella breve risposta di Đilas estrapolata da una altrettanto breve intervista, noto cavallo di battaglia negli ambienti degli esuli rancorosi, di cui mai si cita il contesto del discorso, è riportata in svariate voci di it.wiki, presentandosi spesso in forme leggermente diverse che, va da sé, tendono a modificare il senso stesso di quelle poche parole.
Oltre che nella voce “Istria” (http://bit.ly/1xd24ps) – dove nel frattempo è stato raddrizzato il tiro – la citazione delle parole di Đilas si possono trovare nella voce a lui dedicata (http://bit.ly/1ux4oaj), in quella di “Edvard Kardelj” (http://bit.ly/1H8agf6) e in quella “Esodo giuliano dalmata” (http://bit.ly/1sXzhAb). Questo breve elenco certamente non è esaustivo, ma è significativo perché si può vedere come la citazione di Đilas sia riportata in maniera leggermente diversa in ognuna delle voci segnalate e si può leggere come a volte la fonte della citazione riporta: un generico «settimanale italiano»; «Panorama» (a ingenerare maggiore confusione va detto che di rivista chiamata Panorama ve n’è un’altra oltre a quella pubblicata in Italia da RCS, diffusa in Croazia e in Slovenia in lingua italiana per la minoranza italofona); il libro di Arrigo Petacco L’esodo. La tragedia negata degli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia. Il punto è che – evidentemente – nessuno si è preso la briga di consultare le fonti che vengono citate.
Vediamo un po’ più nel dettaglio gli strati di falso che vengono citati nel post – Đilas, Petacco, Montanelli e Presbite:
Đilas probabilmente la spara nel tentativo di ritagliarsi un ruolo nel processo avviato di dissoluzione della Federazione Jugoslava, fatto sta che – come riportato nel post – Raoul Pupo non solo smentisce la presenza di Đilas nel 1946 in Istria, ma aggiunge che Kardelj vi andò solo, non per convincere la gente ad andarsene, ma a restare: «Tito voleva dimostrare agli Alleati, impegnati nella definizione dei nuovi confini post-bellici, la volonta “annessionista” degli italiani e quindi diede istruzioni affinché fossero “invogliati a legarsi” al regime e non a espatriare».
Petacco nel suo testo citato si contraddice nelle tre occasioni in cui riporta l’intervista a Đilas (peraltro senza indicare in bibliografia o in nota da quale numero del 1991 della rivista Panorama riprendeva le parole di Đilas): in esergo al testo, alle pagine 142-143 e nella quarta di copertina. Nel primo e nell’ultimo caso si riporta – erroneamente – come data della presunta presenza di Đilas e Kardelj in Istria il 1945; nel corpo del testo alle pagine indicate la data indicata è correttamente il 1946, anche se la già breve risposta di Đilas nell’intervista a Panorama non è riportata per intero, ma alla bisogna per confermare la propria tesi: «La favola delle foibe come «tombe dei fascisti», alla quale per anni hanno finto di credere anche molti storici italiani, è stato peraltro smentita da autorevoli fonti Jugoslave (n.d.a. Đilas).»
Montanelli – considerato a destra e a manca grande giornalista per una scaramuccia avuta negli anni Novanta con il suo editore Berlusconi Silvio – come scritto nel post cita a memoria una voce che gli era stata riferita, non verifica la correttezza delle parole di Đilas riportategli dal suo lettore, insomma risponde con gran superficialità e con una pseudo-lezione di vita (ah, la natura dei grandi uomini…) riferendosi a una questione di grande complessità storica, in cui una data spostata anche di un solo anno si riferisce a contesti molto differenti. Gran giornalismo.
In ultimo, Presbite (e in breve, che il problema non è questo utente wikipediano in sé): come gli sia venuta l’idea di utilizzare come fonte la risposta di Montanelli alla lettera di un lettore – lui uomo dalle migliaia di edit su it.wiki – per inserire il riferimento alla dichiarazione di Đilas, è un bel mistero. O forse no, forse era la cosa più semplice perché era l’unica fonte reperibile in rete, forse perché si voleva appoggiare sulla *autorevolezza* del giornalista Montanelli. Il vero mistero – ma dopo la lettura del post non rimane niente di misterioso – è perché Presbite abbia usato quella fonte quando lui stesso 5 anni prima rispetto al suo edit fontato con Montanelli aveva inserito nella voce “Istria” (http://bit.ly/1ycnO3b) la citazione tratta dall’intervista a Đilas comparsa su Panorama.
Ricapitolando, per la voce “Istria”: nel luglio 2007 un utente non registrato inserisce nella voce la citazione di Đilas così come riportata sulla quarta di copertina del libro di Petacco, nel maggio 2008 Presbite la integra (http://bit.ly/1t2UxDw), così come da intervista su Panorama. Il tutto, due anni dopo che Pupo l’aveva dichiarata una bufala. Nel 2013 lo stesso Presbite riprende in mano la versione della frase di Petacco (commentata da Montanelli) e la usa come clava contro l’utente IlirikIlirik. Ecco, questo è quello che s’intende per manipolazione delle fonti.
Per dare un’idea dei danni che ha fatto Petacco, guardate qua: la frase di Djilas con la data sbagliata e’ finita anche sul sito dell’ ANPI di Alzano:
Primavera 1945, Milovan Gilas e Kardelj, furono inviati da Tito in Istria, con il compito di indurre tutti gli italiani ad andare via, usando pressioni di ogni tipo. E così fu fatto come da dichiarazioni di Gilas fatte nel dopoguerra quando fu perseguitato e imprigionato da Tito.
Senza contare che la dichiarazione di Gilas è un falso anche quando riportata con la data “giusta”…
La cosa più interessante di questa faccenda è che quella frase, nelle sue varie versioni esatte o apocrife, con tutti i suoi strati di falsificazione, è via via diventata una specie di randello con cui colpire chiunque cercasse di ragionare sul biennio ’45/’46 al confine orientale. E’ diventata un’ “arma fine di mondo”, caricandosi di significati che andavano ben oltre il suo contenuto, già di per sè falso.
Snowdog, l’abbiamo scritto o no che il sig. Luigi è poco pratico con Internet? E’ così poco esperto che la ricerca l’ha fatta scrivendo su Google “Bar” e “Wikipedia”. Antivari gli è saltato fuori appena al 23esimo posto.
Se non te ne sei accorto, è un apologo scherzoso e di fiction, con protagonista un personaggio immaginario, che serviva a introdurre in maniera comprensibile – a prezzo di qualche ellissi – una questione complicata e misconosciuta ai più: quella degli esonimi e dell’italianizzazione forzata dei toponimi. La vera trattazione inizia dopo.
Ora, a parte gli scherzi e la fiction: la questione dei toponimi è una questione *politica*. E’ da finti ingenui liquidarla come tecnicismo. La tua “ricostruzione” frettolosa e di massima rimuove tutto quello che ha ricostruito Lo.Fi. nel suo storify, la cui lettura consigliamo a tutti.
Sul tuo secondo commento:
premesso che a una veloce occhiata alla wikipedia slovena non ci sembra che la situazione degli esonimi sia anche solo lontanamente paragonabile a quella su it.wiki (i nomi sloveni di località in provincia di Udine su sl.wiki sono una decina in tutto e si riferiscono quasi tutti ad aree in cui la lingua slovena è oggi tutelata per legge, mentre su it.wiki i nomi italiani di località in territorio sloveno sono per la gran parte quelli imposti dal regime fascista, fontati con i relativi decreti), non ci interessa la pseudo-questione se sia più nazionalista la wiki slovena o quella italiana, chissenefrega. Oltre ai paragrafi sugli esonimi ti consigliamo di darti una letta anche al resto dell’articolo, per esempio alla parte intitolata “schema Rankovic” dove parliamo anche dei problemi della wiki inglese in scacco a contributori filoserbi e filocroati.
Il problema è proprio la permeabilità di wikipedia ai pov nazionalisti. Noi ci siamo occupati del caso italiano, analizzato nella specifica congiuntura politica attuale e inquadrato nella storia politica italiana. Chi vuole criticare la nostra inchiesta è pregato di “stare sul pezzo”, senza benaltrismi, senza “specchi riflessi”, senza “e allora gli altri”, senza “e allora le foibe”, senza “non è mai colpa nostra”.
Aggiungo che qua non stiamo discutendo l’opportunità di usare toponimi-endonimi italiani o sloveni in territori che sono da sempre mistilingui e in cui anche oggi le lingue minoritarie sono tutelate anche con apposite leggi – l’Istria da una parte del confine e la fascia confinaria del FVG dall’altra. Per queste zone l’uso del nome italiano è più che legittimo e di certo nessuno qua su Giap lo mette in discussione. Quel che è inaccettabile sono gli eccessi a cui si è arrivati sulla wikipedia italiana grazie alle regole che “si è data” (e qua va ribadito che queste regole non sono piovute dal cielo, sono il risultato di uno scontro politico in cui una parte ha prevalso sull’altra). Si usano nomi italiani per zone in cui gli italiani non sono mai stati altro che occupatori e persecutori. Quando si fa un’operazione del genere, poi non ci si può nascondere dietro a un tecnicismo (eh, ma le regole…).
Lascio in pace il povero signor Luigi, ma torno per far presente che la mia “ricostruzione” non si sogna lontanamente di rimuovere tutto il lavoro di Lo.Fi (cui ho dato solo una rapida scorsa). Il mio intervento voleva solo parlare dell’origine della scelta, fatta 10 anni fa, quando eravamo quattro gatti, di preferire il toponimo italiano, ove esistente. Criterio valido per tutti gli angoli del mondo, non solo per l’altra sponda dell’Adriatico. Sulle altre questioni mi astengo, che non ne so abbastanza.
P.S.: ma anche no. Il buon Luigi PRIMA cerca su Wikipedia e non trova. POI chiede al figlio e cerca con Google. Questo potete anche moderarlo e solo puntacazzismo.
Tale scelta spetta a noi amministratori del blog e il tuo ultimo commento lo lasciamo dov’è, come esempio di cosa si preferisce contestare – i risultati di un’ipotetica ricerca web fatta da un personaggio di fantasia dentro una storiella alla signor Veneranda usata come apologo “didattico” – anziché affrontare quel che viene fuori da quest’inchiesta: esempi di POV nazionalista, manipolazione di fonti e tattiche di ostruzionismo su Wikipedia allo scopo di “presidiare” interi periodi storici.
Però ti si può capire: è vero che editi Wikipedia da dieci anni, ma di queste cose “non ne sai abbastanza”. Chissà, magari dopo qualche altra “rapida scorsa”, saprai qualcosina di più. Mai disperare. Fiducia nel futuro. Pensa che, con una “scorsa” un po’ meno rapida allo storify, non avresti detto quella cosa del “redirect” col tono di chi tira un fuori un coniglio dal cilindro.
Vedi, si potrebbero aggiungere giusto due parole a quel passaggio, per chiarire che prima il signor Luigi, che è proprio un baziloto, cerca su wikipedia passando per Google “Bar Wikipedia”, poi il figlio gli fa notare che se non aggiunge Montenegro non ha speranze, ed è a quel punto che trova ‘sta roba qui:
Ma poi uno pensa: e perché mai? Ci mettiamo a emendare un apologo, una storiella allegorica raccontata en passant dentro un’inchiesta tutta basata su dati riscontrabili e fonti debitamente linkate?
Anche no.
Che dirvi, sono almeno 5 anni che ho mollato Wikipedia. Che se la godano i presbiti e quelli che come voi ci vedono bene. Buon pro vi faccia.
Grazie dell’imprescindibile contributo.
Un rapido commento per dissipare alcune incompresnsioni sperando di non essere troppo OT: l’algoritmo di ricerca di Google prende in considerazione non solo il “peso” del risultato (un sito “pesante” è un sito molto linkato), ma anche l’attività rilevata dai robot google nel navigatore che si sta usando, nonché altri parametri di tipo “semantico”. Senza entrare nei dettagli, il risultato è la creazione attorno all’utente di quella che viene chiamata “filter bubble”:
http://en.wikipedia.org/wiki/Filter_bubble
Ora non credo che l’algoritmo di ricerca di WP sia così (inutilmente) sofisticato, ma, al di là del fatto che la storiella di Luigi è un’allegoria, è un grosso errore prendere i risultati di una ricerca Google come un dato scientifico indipendente dall’osservatore e dallo strumento utilizzato per osservare.
Scusate l’OT, ma pare che sia uno dei punti caldi della vostra discussione.
PS: sarebbe figo avere la pagina “filter bubble” in italiano ;-)
MarBern, scusami, lo sappiamo come funziona Google,
[in realtà con una ricerca attraverso server anonimo, tipo HideMe.be, quindi senza cookies né storia precedente del navigatore (ma con la geolocalizzazione da parte del server, visto che apre Google in lingua italiana), il risultato è peggiore: cercando “Bar Wikipedia” sono arrivato alla settima schermata di risultati senza trovare la voce che it.wiki dedica alla città montenegrina, ciò probabimente per il semplice motivo che quella voce si chiama “Antivari”],
e consentimi di segnalarti la fallacia logica su cui si basa la tua frase:
«al di là del fatto che la storiella di Luigi è un’allegoria, è un grosso errore prendere i risultati di una ricerca Google come un dato scientifico»
Non puoi rimuovere con un «al di là del fatto che» ciò che gli autori dell’inchiesta hanno posto a premessa del loro NON prendere quei risultati come un dato scientifico: si tratta di una storiella non letterale ma allegorica.
Una storiella che – io ne sono certo – avrà aiutato il 99% di chi ha letto l’inchiesta a comprendere il resto del paragrafo dedicato agli esonimi.
Ed è precisamente del *resto* del paragrafo che bisognerebbe parlare, senza dare spago alle digressioni di chi viene qui, interviene ad mentula canis e poi, quando si ritrova senza più nulla da dire, dice che dell’argomento non gliene frega niente e fa quello sdegnato che se ne va sbattendo la porta.
WM1, mi spiace per l’incomprensione: il mio “al di là del fatto che” è effetivamente una pessima formulazione.
E’ chiarissimo a me (anche se non si capisce nel mio intervento precedente) che la storia è allegorica e che quindi impostare la discussione su “io ho cercato su Google” è un punto di partenza sbagliato, perché significa non aver capito l’allegoria. Quindi sono pienamente d’accordo con la tua segnalazione di fallacia logica, e mi scuso per l’incomprensione.
Il mio commento era solo teso a smontare l’aura di prova scientifica che si dà a una ricerca Google. Volevo solo puntare il dito sul fatto che l’argomento “io ho cercato su Google” è non solo non pertinente in questo contesto, ma anche fallace in sé.
Immagino che molti o tutti i giapster sappiano bene come funziona Google, ma mi sembrava utile metterlo nero su bianco, per mettere un punto fermo alle polemiche basate sul “sei bugiardo perché la ricerca Google ti contraddice”.
Mi spiace se non sono stato chiaro e se tutto ciò è piuttosto OT.
Scusate per essere uscito dalla ramificazione, ma ho cliccato su “reply” al mio proprio commento (visto che quello di WM1 è troppo “profondo” per avere il reply), e il commento è apparso in un nuovo thread…. Il mio commento sarebbe dovuto apparire nella ramificazione precedente :-(
Non ti preoccupare. Tra l’altro, adesso che col nuovo tema c’è più spazio, aggiungiamo un livello di commentabilità ai sotto-thread, grazie per aver fatto notare la cosa.
[OT] A proposito di nuovo tema e sotto-thread: il nuovo tema è bellissimo, e si legge molto bene anche su mobile, tranne proprio i commenti innestati, che vanno dallo stretto allo strettissimo. Si potrebbe aggiungere una media query per ridurre il margine nei commenti su schermi piccoli, e a quel punto il tema sarebbe perfetto.
Sarà fatto! :-)
L’abbiamo fatto.
E con ottimi risultati, grazie!
Ed eccomi ad allungare vieppiù il brodo al fine di arrivare alla lunghezza minima consentita perché il commento passi. Ma è dura, sono già tre tentativi.
Un altro esempio del pressapochismo, diciamo così, di Presbite, lo troviamo nella voce “Divisione Garibaldi-Natisone”. La voce è priva di fonti, e comincia così:
La Divisione Garibaldi “Natisone” è stata una formazione partigiana garibaldina che ha operato durante la Resistenza in Friuli ed in seguito – a partire dalla fine del 1944 – nel territorio jugoslavo.
E già qua non ci siamo. Alla fine del 1944, in seguito all’accordo tra Togliatti e Kardelj, la Garibaldi-Natisone passò sotto il comando del IX Korpus e fu trasferita nella zona di Cerkno e Trnovo, che si trovava all’interno dei confini italiani di Rapallo (1920). Tra l’altro, reparti della Garibaldi-Natisone furono impiegati nella cosiddetta “battaglia di Tarnova” contro la X Mas, alle porte di Gorizia, nel gennaio 1945. Solo nell’aprile del ’45 la Garibaldi-Natisone fu spostata al confine con la Croazia.
La voce continua così:
Già a marzo del 1943 nelle Valli del Natisone nacque un Distaccamento Garibaldi, considerato la prima formazione militare della Resistenza italiana. In zone limitrofe – allora parti del Regno d’Italia – operavano però fin dal 1941 le formazioni partigiane jugoslave. Alla data dell’armistizio italiano gli sloveni presero il controllo della Valle dell’Isonzo nel tratto Plezzo-Tolmino (escluse queste due località, in mano ai tedeschi) stabilendo il loro centro a Caporetto. Da qui nelle settimane successive iniziano ad infiltrarsi anche nella zona delle Valli del Natisone verso Cividale e Faedis, dove però si erano già costituite alcune formazioni di partigiani italiani.
(Occhio alle avversative, ndr. Ci tornerò dopo)
Parlare di formazioni partigiane jugoslave all’interno del Regno d’Italia nel 1941 è sbagliato: a parte il fatto che l’ EPLJ fu costituito appena nel novembre 1942, la resistenza armata degli sloveni e dei croati all’interno del Regno d’Italia nel 1941 nacque in loco: non si trattava di formazioni partigiane jugoslave, ma di formazioni partigiane nate all’interno dei confini italiani dell’epoca, quindi dietro la linea del fronte, come reazione popolare all’invasione italiana della Jugoslavia (avvenimento che peraltro Presbite si ostina a nascondere sotto il tappeto ogni volta che scrive su wikipedia). Tali formazioni avevano ovviamente forti collegamenti col movimento partigiano che si era sviluppato in tutta la Jugoslavia occupata dall’ Asse, ma definirle “formazioni jugoslave” è completamente sbagliato dal punto di vista storico. Scrive ad esempio Galliano Fogar(*), parlando della situazione del 1942:
Estendendosi e rafforzandosi in tutta la Jugoslavia, il movimento partigiano di Tito finì col dilagare anche oltre il vecchio confine italiano del 1924. Il movimento si collegò con i primi gruppi partigiani sloveni formatisi nelle valli del Vipacco in provincia di Gorizia e nella zona di Postumia nell’estate-autunno 1941 e promosse l’estensione della lotta contro fascisti e nazisti organizzando le popolazioni slovene e croate oppresse dal regime e colpite da nuove misure persecutorie dopo lo scoppio della guerra (internamenti, deportazioni, trasferimenti forzati, ecc.). (…) Venne così a formarsi all’interno stesso dello stato fascista un fronte partigiano che, sviluppandosi in un ambiente propizio, minacciava le retrovie delle truppe italiane impegnate dai partigiani di Tito in Slovenia e Croazia (…).
Parlando poi dell’antifascismo italiano, Fogar continua:
Ne restò influenzato anche l’antifascismo italiano, soprattutto nelle concentrazioni operaie della costa fra Muggia, Trieste e Monfalcone, nei centri industriali di Pola e Fiume e nel distretto minerario dell’Arsa – zone in cui non si era mai spenta nella clandestinità l’organizzazione di classe (…) Fra le masse operaie italiane della regione in cui agiva l’organizzazione clandestina del partito comunista, la solidarietà verso le popolazioni nazionalmente oppresse e il movimento partigiano cominciò ad assumere forme concrete di collaborazione e appoggio. (…)
E così si arriva alla nascita del Distaccamento Garibaldi:
Nel marzo-aprile 1943 si formava il “Distaccamento Garibaldi” composto di volontari antifascisti italiani unitisi alle formazioni slovene per combattere il nazifascismo. Il distaccamento fu il primo nucleo della resistenza armata in Italia. (…) Questo piccolo reparto, entrato in azione ancora prima dell’ 8 settembre 1943, diverrà, dopo l’armistizio, uno dei centri di irradiazione del nascente movimento partigiano italiano nel Friuli orientale e nella Venezia Giulia.
Quindi il primo gruppo italiano di resistenza armata al fascismo nasce non contro qualche invasore straniero dell’Italia, ma contro l’invasione italiana della Jugoslavia e in appoggio alla resistenza slovena.
Risulta a questo punto evidente che le avversative (però… però…) inserite da Presbite nel testo sono del tutto fuorvianti, e servono as usual a introdurre surretiziamente il frame della contrapposizione etnica.
(*) “Dalle aggressioni fasciste all’occupazione nazista” in “Dallo squadrismo fascista alle stragi della Risiera”, ed. ANED – Trieste (1974)
A proposito del passaggio della Garibaldi-Natisone sotto il comando del IX Korpus, Presbite ha le idee chiare, e le ha espresse così nella discussione sulla “Battaglia di Tarnova”:
Sulla scorta della lettura di un certo numero di documenti dell’epoca, di una serie di autori come Elena Aga Rossi ed altri e degli atti del processo per l’eccidio di Porzûs, io ritengo che i garibaldini in quelle terre incorsero nel reato di alto tradimento per aver combattuto per cedere parte del territorio nazionale alla Jugoslavia, ma per ovvi motivi quest’interpretazione è stata un poderosissimo tabu per oltre cinquant’anni.
E parlando di Togliatti rincara la dose:
PS Io non discutevo però del “tradimento del mito nazionale”, ma di una fattispecie molto più terraterra, contenuta nei codici di diritto penale di ogni stato del mondo: è colpevole di alto tradimento chiunque lavori per separare dallo stato alcune parti del suo territorio. Nel nostro ordinamento democratico si chiama “Attentato contro la integrità, l’indipendenza o l’unità dello Stato”, ma è altrettanto noto colloquialmente con la tradizionale dizione di “Tradimento”.
Io non mi scandalizzo per le accuse di tradimento rivolte ai garibaldini o a Togliatti. Mi limito a osservare che quella del “tradimento” non è una categoria storiografica. E’ piuttosto una chiave di lettura ideologica. Una lente deformante, che tra l’altro esclude dalla visuale i nove decimi della scena. E’ a causa della scelta di questa chiave di lettura che nella voce su Porzus non si fa menzione del “proclama Alexander” e non si dice nulla dell’impossibilità per i partigiani di tenere le posizioni sui monti che si affacciavano direttamente sulla pianura a 20 km da Udine. Lo scriveva anche Guido Pasolini, in un passaggio della sua famosa lettera – che però chissà perchè non è riportato su it.wiki:
Siamo agli ultimi di Settembre: la situazione militare è minacciosa. Lo schieramento della divisione troppo avanzato, (siamo quasi in pianura) è debole.
Scompare completamente, insomma, l’inquadramento dell’effettivo scenario di guerra. A questo proposito, è illuminante questa testimonianza di Silvino Poletto, vicecommissario della Garibaldi-Natisone.
In compenso, la posizione del Pcd’I sul confine orientale viene inquadrata a partire dal congresso di Lione del 1926. Poi si parla del patto col TIGR del 1935. E infine… si salta direttamente al 1944 e al carteggio tra Bianco e Kardelj. Di cosa sia e di come si faccia la guerriglia, nemmeno un accenno.
Una ricostruzione del contesto sciatta e incompleta, a essere buoni. O più realisticamente, futiz – come si dice a Trieste.
Ottimo intervento contro i tentativi di wikinazionalismo e wikirevisionismo.
A proposito del soggetto chiamato in causa, voglio segnalare le sue perle nere di saggezza sulla questione Ronchi.
Pagina che dopo l’intervento pubblicato su GIAP con tutte le conseguenze,soprattutto positive, che ne sono derivate, è in continua fase di revisione ed aggiornamento. Penso al suo tentativo di voler sminuire l’importanza della cittadinanza onoraria assegnata al dittatore fascista, che pur seguendo la logica come accaduto nel resto d’Italia che in un mio recente post ho evidenziato indicando l’esistenza di circolari prefettizie ad hoc, cosa poco nota, in verità a Ronchi è stata utilizzata per altra ragione per il cambio della sua denominazione e non a caso questa avvennedopo tale riconoscimento e l’annessione di Fiume all’Italia. Stesso discorso per la revoca che siamo riusciti ad ottenere dopo quasi un fottutissimo secolo, cosa che si vuole sminuire. Per non parlare del fatto che si vuole confondere i ronchesi con i monfalconesi, quando chi vive questi luoghi sa bene che pur essendo comuni confinanti avevano una propria specifica identità oppure penso al caso della visita della commissione alleata di cui si vuole dare una rappresentazione fuorviante e rinvio a tal proposito a questo mio intervento in materia dove denunciavo proprio il tentativo su wikipedia di “revisionare” in modo sballato la storia. Ma si parla, in quella discussione, anche del caso di Emilia Passerini, e scrive “sa che un tizio venne condannato per l’omicidio della bambina? Sa che questo qui non era un fascista?” ed i mandanti? Rinvio anche a questo intervento per tale caso.
Mi scuso per aver indicato vari miei link in questo commento, ma per chi legge e non conosce la storia del Confine Orientale, può essere un canale rapido di informazione e formazione.
La resistenza su wikipedia è necessaria ed un plauso a chi pur con fatica riesce a sostenerla, perché piaccia o non piaccia wikipedia è la fonte in rete più utilizzata ed il problema sussiste! Ma se sussiste un problema vi è anche la soluzione!
mb
La discussione su Ronchi me la ricordo molto bene, perchè ero stato io a chiedere il controllo fonte su questo passaggio inserito da Civa61
Il 26 e 27 marzo del 1946 si tenne la visita a Gorizia, e provincia della commissione interalleata per verificare quale fosse il senso di appartenenza della maggioranza dei cittadini che, partecipando a migliaia, sottolinearono il desiderio della gran parte della comunità di restare italiana. Nel settembre 1947 con il trattato di Parigi e la stesura del confine tra Italia e Jugoslavia di gran parte del territorio provinciale passò alla Jugoslavia, ma Ronchi fu assegnata alla Repubblica Italiana, inserita nella provincia di Gorizia.
Si trattava di un copiancolla di un articolo del Piccolo che sostanzialmente riportava un comunicato della Lega Nazionale. A parte il fatto che all’epoca (1946) Ronchi non era in provincia di Gorizia; a parte questo, c’è il fatto che a Ronchi e in Bisiacaria nel 1946 la maggior parte degli abitanti erano pro-Jugoslavia. Nella stessa Gorizia in quel periodo ci furono quasi ogni giorno manifestazioni contrapposte pro-Italia e pro-Jugoslavia. Questi fatti li avevo inseriti in voce indicando come fonte un articolo dello storico Alessandro Cattunar che a Presbite e Bramfab non è piaciuto per niente. E infatti sono partiti col solito filibustering. Evidentemente la conflittualità interna alla società giuliana del dopoguerra, che si dispiegava anche lungo faglie politiche e sociali che attraversavano le comunità nazionali, gli rovinava il quadretto di Gorizia e Trieste italianissime.
Ecco il link corretto all’articolo di Cattunar:
http://www.studistorici.com/wp-content/uploads/2009/10/CATTUNAR_Dossier_1_2009.pdf
Schema Ranković all’opera: guardate questo edit di Presbite nella voce “Invasione della Jugoslavia”:
http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Invasione_della_Jugoslavia&diff=61178673&oldid=61178632
In particolare, la frase
In tutto il Quarnero e la Dalmazia, sia italiana che croata, si innescò dalla fine del 1941 una crudele guerriglia, contrastata da una repressione che raggiunse livelli di massacro dopo l’estate 1942.
viene modificata in
dalla fine del 1941 in queste terre e nella Dalmazia facente parte dello Stato Indipendente di Croazia si sviluppò una cruenta guerriglia che contrappose le varie etnie locali, contrastata da una repressione che raggiunse livelli di massacro dopo l’estate 1942.
La resistenza antifascista contro l’Italia e gli ustascia viente trasformata in contrapposizione tra le varie etnie.
Quando apriremo anche il “caso Jose Antonio”? Sodale di Presbite e Theirrules,membri della “cricca” fatta venire allo scoperto da Talia recentemente, il nostro Jose Antonio “presidia” le voci riguardanti il Reggimento Volontari Friulani “Tagliamento”, la voce sul suo comandante, il collaborazionista e delatore Col. Zuliani e questo significativo passaggio sulla storia di Cividale del Friuli “Alla caduta della Repubblica Sociale Italiana osovani e soldati fascisti (in particolare del Reggimento alpini “Tagliamento” e del Battaglione Bersaglieri “Mussolini”) fecero fronte comune per bloccare l’avanzata dell’Armata comunista Jugoslava e salvaguardare l’italianità della zona. Nel 1945 i miliziani titini riuscirono comunque a entrare in Città. Tuttavia, l’annessione alla Jugoslavia venne scongiurata appena pochi giorni più tardi, grazie all’ingresso degli inglesi.”
Il tutto ovviamente intriso di nazionalismo, antislavismo. A nulla sono valsi i tentativi di modifica, tutti respinti al mittente. E intanto la “leggenda” del Reggimento Volontari Friulani “Tagliamento” difensore dell’italianità contro le orde barbariche titine si è propagata sulla rete. Nessun riferimento all’occupazione ed annessione nazista di quelle terre, nessun riferimento agli incendi ed ai massacri compiuti dai volenterosi collaboratori dei nazisti, nessun riferimento alle delazioni di cui fu responsabile il Zuliani e che causò le deportazioni di “elementi badogliani ed antifascisti” in Germania.
Beh, visto e considerato che Jose Antonio adotta il nickname in omaggio a questo soggetto qui…
Ma l’esempio che riportate voi, rispetto al suo standard, è robetta.
Una delle tante voci a lungo e amorevolmente presidiate da Jose Antonio è “Rodolfo Graziani”. E’ affascinante, quasi ipnotico, vederlo all’opera nella pagina di Discussione della voce. Ammiratelo, guardatelo impegnarsi allo spasimo, cavillare legalisticamente, confondere a bella posta la “verità” giudiziaria dell’immediato dopoguerra con la verità storica impostasi da allora, etichettare come mera “opinione” tra le tante il dato di fatto – acquisito da tutta la comunità degli storici – che Graziani fu responsabile di stragi, deportazioni di massa, rappresaglie indiscriminate, crimini di guerra.
Ma il suo non è POV-pushing, non sia mai!
Lui “depovva” per “povvare”. Intanto qualcuno scriveva così del soggetto “Scrive voci a sostegno di personaggi legati al fascismo o al neo-fascismo con evidenti toni tendenziosi, elimina gli interventi di chi come il sottoscritto cerca di porvi rimedio, attacca personalmente: vd. [[1]] –Saponelocaleaf (msg) 14:10, 8 mag 2012 (CEST)”
Dopo la pubblicazione del post c’è stata un po’ di maretta nella voce su Porzus. Qualche utente, probabilmente dopo aver letto il post, è intervenuto nella voce chiedendo chiarimenti su alcuni passaggi. Demiurgo, un utente amico di Presbite, è intervenuto più volte per denunciare la presunta “pressione esterna” da parte di Giap!, accusando in pratica tutti gli altri utenti, che in queste ore stanno intervenendo su questa e altre voci “presidiate” da Presbite, di essere agenti, consapevoli o inconsapevoli, di una congiura “esterna” contro Wikipedia.
Noi troviamo simili accuse quantomeno bizzarre. Pensiamo che le voci di Wikipedia debbano essere trattate come qualsiasi altra produzione intellettuale per la quale vale il diritto di critica; riteniamo, anzi, grave che qualcuno voglia soffocare le critiche facendo passare per “complotto” persino le normali discussioni sulle voci all’interno della comunità wikipediana.
Per tornare alla voce su Porzus, è innegabile che in essa le criticità siano veramente di sostanza, e che il POV di Presbite ne emerga in modo prepotente. C’è tutta una scelta narrativa che dovrebbe essere messa in discussione. Ci sono le manipolazioni del saggio di Karlsen, e soprattutto ci sono le omissioni. Lo scenario bellico non viene nemmeno abbozzato. Non si parla del proclama Alexander, e non si parla dell’atteggiamento degli inglesi nei confronti dei resistenti a livello europeo a partire dall’autunno ’44. Gli inglesi disarmarono i partigiani in Belgio e addirittura spararono sui lavoratori in corteo ad Atene; e sempre in Grecia, appoggiarono la repressione monarchica nei confronti del movimento partigiano comunista. Così ad esempio quando in voce viene riportata la posizione del commissario politico del Rezijski bataljon: “L’Inghilterra sarà il nemico del domani e il suo sistema capitalista deve sparire. Sull’esempio della Grecia, le formazioni garibaldine che hanno accettato di dipendere dagli sloveni rappresenteranno la Elas dell’Italia.” non si capisce di cosa stia parlando. E poi, come già osservato, c’è la questione dei rapporti tra Osoppo e X Mas, e dell’ incontro tra Morelli e “Verdi” organizzato da Cino Boccazzi “Piave”. La Decima che alla spicciolata sta passando dalla parte degli alleati, Borghese che da tempo fa il doppio gioco… Che si voglia sposare qualche tesi o meno, posizioni entrambe legittime, l’onestà esige che la ricostruzione del contesto sia completa, e che non venga forzata in modo da far emergere la propria tesi preferita come quella ontologicamente corretta. Da premesse false peraltro – come insegnano i logici – si può dedurre qualunque cosa….
Beh, in effetti… se tu (Presbite, non Nicoletta :-)) citi varie frasi di comunisti italiani e sloveni in cui si parla della reazione in agguato e non dici quel che stava succedendo nell’autunno ’44; se citi un commissario politico sloveno che parla dell’ Elas il 1 gennaio 1945, e non dici che in quei giorni stava succedendo questo, se dici che Mastelloni partendo da gladio arriva a Porzus e non dici che nel gennaio del ’45 un uomo di fiducia di Borghese aveva incontrato gli osovani con la mediazione degli inglesi…. beh, allora stai imbrogliando!
La spia nazista Elda Turchetti non è più una spia nazista secondo wikipedia, anzi è la partigiana osovana “Livia”. Da notare che: 1) sebbene il documento di assoluzione sottoscritto da “Bolla” esista, l’Associazione Partigiani Osoppo ha sempre evitato di considerare la Turchetti una dei loro 2) Nell’elenco delle partigiane riconosciute depositato presso il Centro Documentale dell’Esercito di Udine non c’è traccia della Turchetti 3) L’Ufficio Informazioni della 1a Brigata Osoppo nel dicembre (forse novembre) 1944 consigliava vivamente di eliminare la Turchetti poiché poteva nuocere, anche inconsapevolmente, alla causa partigiana 4) Esiste la deposizione della madre della Turchetti tal Pittia Lucia (?) che conferma che il mestiere svolto dalla figlia, per mille lire mensili, era quello di andare in giro a raccogliere informazioni. Tutto questo NON lo leggerete MAI su wikipedia.it.
La voce così com’è ora è nata proprio in seguito alle rimostranze di Giovanardi e a un’intervista a Paolo Simoncelli sul Corriere nel maggio 2010. Va detto che la voce nel maggio 2010 era mal fatta e conteneva diversi errori fattuali. Chi l’ha riscritta ha colto l’assist di Giovanardi e del Corriere per riscrivere la voce in modo apparentemente più professionale, introducendo tuttavia altri errori fattuali:
– le “rivendicazioni della nascente Jugoslavia di Tito” nel 1941 – mentre si trattava di documenti dell’ OF sloveno prodotti in seguito all’invasione italiana della Jugoslavia;
– la direttiva di Dimitrov del 1942, che impegnava i comunisti sloveni a sviluppare il movimento partigiano nel litorale “in contatto coi compagni italiani”, trasformata in assoggettamento di tutte le formazioni combattenti all’ OF – come se nel 1942 ci fossero altre formazioni combattenti oltre a quelle dell’ OF;
– il rifiuto osovano delle avances della decima;
– …
e soprattutto omettendo pezzi fondamentali dei contesto bellico e politico.
Poi la cosa divertente è che dei rapporti tra Osoppo e Decima aveva parlato proprio…. Simoncelli nel 1994, in due articoli pubblicati sull’ Avvenire (27 e 29 ottobre). Il corriere aveva ripreso Simoncelli in un articolo firmato Silvio Bertoldi, che parlava di questi accordi con toni entusiastici.
“Dal Sud a Borghese: resistere a Tito
Una strana e vana alleanza contro le foibe, tra regio governo e X Mas”
http://archiviostorico.corriere.it/1994/novembre/23/dal_Sud_Borghese_resistere_Tito_co_0_94112311001.shtml
Bertoldi si inventa anche 3000 infoibati a Gorizia tra l’8 e il 12 settembre 1943.
“Era bastato quello che avevano fatto nei tre o quattro giorni dopo l’ 8 settembre ’43 per temere il massimo degli orrori. Gli uomini di Tito erano rimasti a Gorizia poche ore, fino al 12, dopo lo sfaldamento dell’ esercito italiano e in quel breve tempo furono ben quattromila i “prelevati”: di tremila non si sapra’ piu’ nulla, “infoibati” nelle caverne del Carso.” (Bertoldi)
P.S. La bufala dei 3000 infoibati a Gorizia nel settembre ’43 proviene da Pisanò attraverso Pitamitz, ed era già stata smontata da Galliano Fogar nel 1981!
“In due lettere inviate a «Storia Illustrata» segnalavo sia alcuni degli errori più vistosi su fatti specifici sia le gravi omissioni e lacune di ordine; storico generale del servizio del Pitamitz, indicando le fonti su cui mi ero basato. Per quanto riguarda le informazioni sbagliate o imprecise o deformate su vari episodi e circostanze segnalavo, ad esempio, che le stragi di italiani a Gorizia che, secondo il Pitamitz, sarebbero state compiute dai partigiani sloveni fra l’8 e il 12 settembre ’43 (arrivo dei tedeschi) non erano mai avvenute e che una delle due pubblicazioni (entrambe accesamente antiugoslave) citate dal Pitamitz a sostegno di tale sua affermazione, non parlava affatto di stragi slave a Gorizia in quei giorni mentre l’altra che riportava tale versione (la fascistissima “Storia della guerra civile” del Pisanò) non può ritenersi attendibile senza altri riscontri e verifiche.” (G. Fogar)
La clava di quella voce di wikipedia ha già colpito nel 2010: http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=101013&sez=NORDEST
Piccolissima precisazione, al punto 3, riguardo alle varie “dimenticanze” di Presbite, dite che OZAK sta per zona d’operazione alto-adriatico. In realtà, almeno secondo i miei modesti studi, l’acronimo si scioglie in Operation Zone Adriatsches Kuenstenland, ovvero la Zona di Operazioni della Costa Adriatica. In tal modo viene ripresa la terminologia asburgica, cara ai Gauleiter austriaci Hofer (Bolzano, Trento e Belluno) e Rainer (per l’appunto dell’OZAK). Non giudicatemi troppo pignolo.
C’è un elastico che lega crimini di guerra italiani e foibe a cui si allude nel capitolo “I Campi dei Merli“. Lo illustrò bene Angelo Del Boca: nell’immediato dopoguerra si urlava alle foibe per tacere i crimini italiani, poi di colpo le si dimenticò quando gli stessi Alleati minacciarono di consegnare i nostri criminali di guerra alla Jugoslavia (e pur di non consegnarli si evitò anche di rompere le palle alla Germania per i massacri nazisti in Italia, finiti nel famigerato Armadio della vergogna); infine dopo 50 anni – subito dopo la scomparsa della scomoda Jugoslavia – ecco di nuovo le foibe sulla ribalta con le responsabilità nazionali sempre affossate.
E intanto gli italiani ignari vanno in villeggiatura in Slovenia o in Croazia e si sorprendono dell’astio dei locali non appena essi scoprono la loro nazionalità. Tornano a casa e consultano wikipedia, trovano la tesi della faida etnica di Presbite e se ne convincono sulla base della loro stessa esperienza personale: è vero! Quei barbari ci odiano senza motivo!
E poi viene Cristicchi che presenta crimini italiani (pochi) e foibe (tante) insieme, ma con l’elastico reciso in modo da presentarle come due cose slegate, tipo la fame nel mondo e l’estinzione delle balene… E la magnetizzazione è perfezionata, depurata da ogni ombra cosicchè i sonnambuli possano incominciare a marciare: andiamo a conquistare l’Istria e la Dalmazia, così i camerieri ci tratteranno finalmente con la dovuta cortesia! Eccheccazzo! Qui anche le pietre parlano italiano, che lo insegnino anche a loro!
Cfr. Angelo Del Boca “Italiani, brava gente?” Neri Pozza, 2005 e Franco Giustolisi “L’armadio della vergogna” Nutrimenti, 2004
Complimenti a Nicoletta Bourbaki per l’enorme lavoro svolto. Condivido in toto l’idea di wm1 che semplicemente dimenticarsi di wiki ita non sia un’opzione accettabile. Per decenni ci si è dovuti scontrare con il potere, contrastabile con enormi sforzi, dei mass media e adesso si dovrebbe lasciare a Presbite e simili la possibilità di falsificare informazioni che leggeranno migliaia di persone? Siete riuscit* a ritracciare casi di manipolazioni delle fonti che già da soli dovrebbero essere sufficienti per il ban infinito.
Utilissimo è anche l’articolo Il mito del conflitto etnico globale, se vogliamo questo frame è la cosa che emerge con più forza, strategie di falsificazione varie a parte, dall’attività di Presbite. Un rischio discorsivo presentissimo, mi è capitato più di una volta di vedere ridotti i conflitti e i contesti in cui nascono e crescono a questa essenzializzazione trans storica. E’ un modo per ripulirsi la (non) coscienza critica.
Come poi si diceva a chiusura dell’altro articolo su wikipedia che avete ospitato ci si dovrebbe occupare in modo molto più intenso di questa piattaforma. Il problema non è chiaramente solo italiano e non si esaurisce (anche se si tratta chiaramente dell’aspetto più preoccupante) nella storia deturpata, penso subito alla pagina inglese sulla crisi del 29, non appare una sola volta la parola “overproduction” e se si va a guardare il paragrafetto striminzito sulla spiegazione “marxista” è impossibile non notare lo spirito cazzaro con cui è stato scritto. https://en.wikipedia.org/wiki/Great_Depression#Marxist
La questione non è oziosa e volevo sottolineare come questa azione mistificatoria abbia portato a richieste da parte di un consigliere regionale FVG di Forza Italia – Novelli – di non sostenere economicamente la casa editrice Kappa Vu. Cito: «Ma assessore – incalza il consigliere di Fi rivolgendosi a Gianni Torrenti – le pongo una domanda: è corretto che la Regione finanzi chi nega la Shoah? Perché faccio questa domanda? Perché mi sono accorto che diamo soldi alla Kappa Vu di Kersevan. Una persona – puntualizza il consigliere scorrendo le pagine di Wikipedia – che come leggo contesta ad esempio la foiba di Basovizza. Cioè ritiene verosimile che non fu mai commesso alcun omicidio e che l’esistenza della foiba come luogo della memoria è frutto di propaganda. Credo che un ente pubblico come la Regione debba censurare questo. Porterò in aula un emendamento soppressivo, sulle foibe non ci si può esprimere in questi termini».
http://ricerca.gelocal.it/ilpiccolo/archivio/ilpiccolo/2014/11/29/NZ_18_03.html?ref=search
questa la pagina facebook di solidarietà alla casa editrice Kappa Vu
https://www.facebook.com/pages/Solidariet%C3%A0-alla-casa-editrice-Kappa-Vu/1498970657043341?ref=ts&fref=ts
Novelli non è nuovo ad attacchi scomposti a storici sgraditi alla destra. Nel 2010 attaccò Joze Pirjevec:
http://bora.la/2010/01/31/foibe-il-pdl-si-scatena-contro-pirjevec-subito-una-commissione-dinchiesta/
Date un’occhiata ai commenti sotto quel post di bora.la e troverete, attivissimo, l’immancabile Presbite aka “Luigi (Veneziano)” aka Luigi Vianelli (è lui stesso a identificarsi, basta cliccare sul nome).
Funziona così: prima si impone su Wikipedia una torsione destrorsa, nazionalista, anti-antifascista, anti-slava e anti-partigiana, anche manipolando le fonti come abbiamo visto in più di un’occasione. In seguito, al di fuori di Wikipedia, politici e giornalisti di quella sponda riprendono quel che c’è scritto nelle voci così ottenute, e usano l’enciclopedia libera per portare avanti le loro campagne, spesso finalizzate a chiudere la bocca agli antifascisti.
Nei commenti su bora.la viene citata anche l’immancabile frase di Djilas, e per di più nella versione futiz di Petacco:
“Nel 1945 io e Kardelj fummo mandati da Tito in Istria a organizzare la propaganda antitaliana. Si trattava di dimostrare alle autorità alleate che quelle terre erano jugoslave e non italiane. Certo che non era vero. Ma bisognava indurre tutti gli italiani ad andar via con pressioni di ogni tipo. E così fu fatto”
http://bora.la/2010/01/31/foibe-il-pdl-si-scatena-contro-pirjevec-subito-una-commissione-dinchiesta/#comment-169539
Se posso inserirmi in questo spazio da galleria degli orrori con un OT racconterei una vicenda su wikipedia francese, successa proprio ieri.
Per caso sono finita sulla pagina Giuseppe Pinelli. Si capisce che è il risultato di una serie di cancellazioni e rielaborazioni: ripetizioni, linguaggio traballante, struttura della voce ai limiti dell’incomprensibilità, il decesso in Questura attribuito nelle prime linee, quelle riassuntive che tutti leggono, a una “maladie” (!!!) anziché come si scrive molto più sotto al “malaise actif” capolavoro diagnostico del giudice che pure alla “maladie” non era riuscito ad arrivare. La voce, lunghissima, è blindata e pochissime parti sono modificabili. Provo a inserire un testo come riferimento bibliografico (ci sono già Cederna, Fo ecc. ma la voce più recente, Mughini, si ferma al 2003), nella fattispecie questo: http://www.carmillaonline.com/2013/08/10/gabriele-fuga-enrico-maltini-e-a-finestra-ce-la-morti-pinelli-chi-cera-quella-notte/ con la citazione in regola, nessun link né copiaeincolla, 1 riga di sunto totalmente priva di giudizi e valutazioni che accenna all’uso di fonti inedite. Oggi la mia aggiunta è scomparsa, senza discussione né osservazione alcuna, ovviamente, e con la dicitura, in più, di “vandalisme”. Ecco come si costruiscono le reputazioni su wikipedia, con tutta la loro prosopopea sulle fonti e le verifiche. E pure la reputazione di wikipedia, a questo punto, per quanto mi riguarda.
Ricordo bene di avere corretto in passato delle voci meno scottanti, storiche o di altro tipo, e non era mai successo nulla. Il correttore che ha eliminato la mia aggiunta ha un nome francese.
Grazie dell’ospitalità e buon lavoro.
Ho dato un’occhiata alle modifiche che hai tentato d’introdurre nella voce. Credo che siano state annullate non per malafede, ma (per così dire) per “malaburocrazia”. Infatti, da utente non registrato, hai cancellato alcuni pezzi di testo e hai aggiunto una fonte senza però metterla in nota; subito dopo un utente (che, come dichiara nella sua home page, si occupa di fare “patrolling” cioè di riparare i guasti inferti all’enciclopedia da teppisti, burloni ecc.), ha respinto quello che, a un’occhiata molto superficiale, poteva effettivamente apparire come un vandalismo. E’ uno dei casi tipici in cui un utente anonimo agisce con l’intenzione di introdurre dei miglioramenti sostanziali in una pagina di Wikipedia, ma, siccome non conosce determinati formalismi e determinate procedure, il suo contributo viene immediatamente cassato per “vizio di forma”. Non conosco abbastanza bene il francese per modificare massicciamente la voce; ho comunque sostituito “maladie” con “malaise” per “malore”. Ti consiglio di contattare sulla sua talk page la persona che ha “bocciato” le tue modifiche, e di farti aiutare da lei a modificare la voce.
Grazie delle precisazioni e soprattutto per aver agito sulla voce; tanto meglio se le cose stanno così come tu descrivi, ci riproverò. Preciso anche io che non ho mai pensato di cancellare testo preesistente: può darsi che abbia inserito due volte il mio stesso testo, era notte fonda, ma di toccare quel che c’era non avevo intenzione, anche perché le parti, ben poche, che a me apparivano modificabili non erano tali da richiederlo. In particolare non era possibile agire sulla parola “maladie”, né su tutta quella parte di testo. Non mi era nemmeno possibile aggiungere note per inserire la fonte: non sarebbero state appropriate in quel contesto. La voce è priva di bibliografia, mentre altre la hanno, quindi a maggior ragione per me non sarebbe stato possibile agire altrove che in quella sezione “Littérature et journalisme” dove avevo inserito la fonte in questione.
Cari Wu Ming,
sono un utente di Wikipedia, in genere occasionale e/o anonimo, vi seguo sempre e leggo con interesse e sconcerto la vostra inchiesta su un settore dell’enciclopedia e sul comportamento di certi utenti, uno in particolare. Apprezzo anche molto la vostra scelta di criticare il profilo pubblico senza scavare in dettagli più privati, come avviene invece in altri siti.
Vorrei tuttavia mettervi in guardia dal rischio di travisamento di fatti in relazione alla posizione di utenze del tutto in buona fede, un rischio legato alla trasposizione dello stile comunicativo wikipediano in altri siti e di fronte a lettori che non ne conoscono e non ne capiscono.
Non c’è legame, in particolare (o se ce n’è non è così per tutti), tra l’italianizzazione forzata fascista e lo sforzo di alcuni utenti di adattare in italiano il titolo Kosovo (in Cossovo). Purtroppo si tende a buttare il bambino con l’acqua sporca: l’utente medio non si ferma a soppesare le ragioni di tutti, ma divide gli intervenuti in buoni e cattivi, fascisti e antifascisti.
Così non è. Garantisco che quegli utenti (tra i quali credevo erroneamente di essere anch’io, non ci sono, meglio ancora) non sono affatto bianchi e neri: al contrario, qualche «bianco» nasconde a mio avviso macchioline diverse e meno evidenti qui, ma non per questo meno dannose per l’enciclopedia e la storia…
La stessa campagna del fascismo a favore della lingua nazionale ebbe, oltre alle oscene aberrazioni nei riguardi delle popolazioni allofone e agli eccessi che hanno contribuito a renderla ridicola, per il resto solo il peccato originale di essere nata in seno al regime fascista. Tuttavia denigrarla «di per sé» è solo una «reductio ad Hitlerum» (v. Wikipedia). Operazioni del genere sono avvenute in tedesco, in francese, in spagnolo, in romeno, sono state tentate anche in inglese, ma solo da noi vige l’equazione (errata) purista = fascista.
Personalmente non vorrei mai il ritorno del fascismo solo per avere treni in orario. Ma non per questo posso bollare di fascismo chi desidera soltanto non perdere sempre la coincidenza, così come chi desidera soltanto conservare l’identità della lingua italiana.
Grazie per l’attenzione.
L’errore comune, purtroppo, è di non considerare la questione della lingua come questione politica. In particolare, per quanto riguarda l’Adriatico orientale la questione della toponomastica non può essere separata dalla questione dell’imperialismo italiano nei Balcani e nel Mediterraneo. Come abbiamo spiegato nel post, non sono in discussione i toponimi italiani di città importanti come Spalato, Pola e Lubiana, o di città in cui la presenza di una comunità italiana sia stata o sia tuttora significativa (Rovigno, Lussino, eccetera). L’aspetto politico neorredentista si manifesta nell’italianizzazione di centinaia e centinaia di toponimi di località minori (Circhina per Cerkno, Grusizza Piro per Hrušica, Sabbioncello per Pelješac, eccetera) o nel recupero di toponimi assurdi come Porto Tolero per Ploče. Lo scopo di questa italianizzazione forsennata è duplice: all’interno di wikipedia è quello di creare un frame irredento-friendly per la compilazione delle voci riguardanti l’Adriatico orientale. All’esterno invece è quello di rimettere in circolo i toponimi del periodo in cui quelle regioni furono sotto sovranità italiana, per rivitalizzare la coesione nazionale intorno al mito delle terre perdute (a proposito: lo sapevi che le italianizzazioni dei toponimi erano cominciate già nel 1916, dopo il parziale sfondamento del fronte dell’Isonzo e la presa di Gorizia?). Può essere che come dici tu ci siano contributori che si prestano a questa operazione in buona fede. Ma questo è un motivo di più per denunciare il senso politico di tale operazione. Ricordiamo infine che wikipedia è compilativa: si limita a riprodurre lo stato corrente delle conoscenze nella comunità scientifica di riferimento. Pertanto non ci dovrebbe essere spazio per nessun tipo di campagna politica o linguistica. I puristi della lingua italiana dovrebbero battersi per Cossovo in real life, non all’interno di wikipedia.
Comunque nel fascismo la puntualità dei treni era propaganda,dunque falsa.In Italia,il culto del dantismo ( come simbolo della perfezione della lingua italiana) è stato utilizzato per dimostrare la superiorità della presunta civiltà italica (italiana) rispetto a quella dei “barbari”. La lingua è sempre stata questione politica,lo è stata nel risorgimento, lo è stata con l’irredentismo,poi con il fascismo, poi con il post fascismo e lo continua ancora oggi.
Non vorrei passare per Monsieur de lapalisse, ma TUTTE le lingue nazionali sono una invenzione. e proprio in quanto tali una questione politica. Da capire chi ne sia il propugnatore e sostenitore, ma a occhio parrebbe una cosa del ceto intellettuale, interessato a garantirsi un ruolo e dei “posti” in quanto “possessore” di quella lingua. Credo sia un discorso lungo, ma importante.
[…] orientale venne spostato con la forza sempre più a est. Si veda la progressione in quattro mappe proposta in questo post. In quelle terre l’imperialismo italiano fu responsabile di stragi, deportazioni, persecuzioni. […]
[…] orientale venne spostato con la forza sempre più a est. Si veda la progressione in quattro mappe proposta in questo post. In quelle terre l’imperialismo italiano fu responsabile di stragi, deportazioni, persecuzioni. […]
Buongiorno, e/o buonasera, al , o alla, ‘casualcausale’/’causalcasuale’ ‘lettore’, o ‘lettrice’, (:
a cui domando qual è il suo ‘giudizio’ di [https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Heidegger_e_il_Nazionalsocialismo&diff=70176265&oldid=70158127 questa modifica] e di [[Discussione:Heidegger_e_il_Nazionalsocialismo|questa discussione]] (a pagine di wikipedia).
Inoltre domando anche se conosce se sono di “pubblico dominio” le foto a p. 157 e 205 della versione pdf del testo di Schneeberger: http://kops.uni-konstanz.de/handle/123456789/22442;jsessionid=F4E95D457112F31CD02B59902838B118 poiché le vorrei pubblicare su wikimedia commons (già ci provai ma furono cancellate poiché: «[…] the file page either doesn’t contain enough information about the license or it contains contradictory information about the license, so the copyright status is unclear.» https://commons.wikimedia.org/wiki/User_talk:Karlzeno) —
domandai già:
*senza ottenere risposta alla ‘Martin-Heidegger-Gesellschaft’ (sia alla ‘mail’ delle ‘info’ che a quella di Manuel Schölles che si ‘occupa’ di «Redaktion und technische Betreuung»), al ‘Der Spiegel’ che le pubblicò nel 1966 ( http://magazin.spiegel.de/EpubDelivery/spiegel/pdf/46265617 ) e all’autore di un ‘sito web’ ( http://thecharnelhouse.org/2013/09/27/heideggers-nazism/ )
*con risposta non funzionale alla pubblicazione a Donatella Di Cesare vicepresidentessa della ‘Martin-Heidegger-Gesellschaft’ ed autrice di ‘Heidegger e gli ebrei’ ( http://www.bollatiboringhieri.it/scheda.php?codice=9788833925585)
*e con risposta in parte ‘funzionale’ (con ‘suggerimento’) alla ‘Harald Fischer Verlag’ che vende la versione in microfiche di una rivista ( http://www.haraldfischerverlag.de/hfv/IZ/illustrirte_engl.php ) che pubblicò una delle due foto. mi fu risposto che loro non detengono alcun copyright e di provare a ‘pubblicare’ con riferimento alle ‘norme’ relate alle ‘così denominate’ “opere orfane” (https://it.wikipedia.org/wiki/Opere_orfane ) —.
[…] orientale venne spostato con la forza sempre più a est. Si veda la progressione in quattro mappe proposta in questo post. In quelle terre l’imperialismo italiano fu responsabile di stragi, deportazioni, persecuzioni. […]
#PRESBITE E LE COSE DA (NON) SAPERE
Come ha scritto Nicoletta Bourbaki, un ruolo centrale nella distopia presbitiana è svolto dal Progetto Venezia Giulia e Dalmazia. Quel gruppo di lavoro ha fatto i suoi giri di valzer con Brunodam nell wiki inglese, dove si è scontrato con un analogo gruppo di lavoro croato. Prender un per batter quell’altro, diceva mia nonna. Fatto sta che a suo tempo il gruppo “giulianodalmata” ebbe la peggio in en.wiki e quindi decise di concentrarsi su it.wiki. La storia di questa guerra per bande è tutta scritta nero su bianco nell’archivio discussioni del “Caffè Tommaseo”, ad esempio qua. Si è già detto del POV immanente al progetto: mettere nello stesso scatolone Venezia Giulia e Dalmazia significa selezionare come filo conduttore della storia di quelle terre la presenza “italiana”. Un filo talmente labile da risultare in realtà interrotto in ampi intervalli spaziali e temporali. In parole povere, non si tratta nemmeno di un filo. Un esempio illuminante di questo POV è fornito dallle linee guida per i contributori che Presbite aveva preparato nel 2009:
Ci sono alcune cose che dovresti sapere prima di approcciarti alle tematiche giulianodalmate. Non tutto ciò che credevi di sapere è vero: troppi sono i luoghi comuni e le idee controverse. Per venirti incontro abbiamo predisposto queste FAQ, che non vogliono essere un sunto della storia giulianodalmata, né indirizzare il lettore verso idee precostituite, ma solo una risposta ai più comuni pregiudizi.
Le linee guida di Presbite furono quasi subito rimosse, in seguito a questa discussione. Tuttavia qualcuno si premurò di copiaincollarle nel blog di Brunodam (si veda il secondo commento in questa discussione). L’estate scorsa l’utente Atbc aveva reinserito le FAQ in it.wiki, ma in dicembre, dopo una segnalazione di Salvatore Talia, sono state nuovamente rimosse.
Ci sono varie cose discutibili in ciò che Presbite scrive nelle sue FAQ. Un esempio tra i tanti: quando parla dei disordini del 23 maggio 1915 a Trieste come di uno scontro etnico tra italiani e sloveni, dice una cosa falsa: i tumulti e gli assalti alle sedi delle associazioni irredentiste italiane e l’incendio de “Il Piccolo” furono scatenati da lealisti filoasburgici, in gran parte italofoni. Curiosamente, quando Atbc ha reinserito le FAQ nel 2014, quel passaggio non c’era più.
Tuttavia, come sempre quando si ha a che fare con Presbite, è più interessante soffermarsi su quel che *non* dice. In questo caso, si tratta di capire quali sono le cose che secondo lui *non* è necessario sapere per “approcciarsi alle tematiche giuliano-dalmate”.
Qui di seguito mi limiterò a fornire alcuni spunti, relativi ad aspetti che hanno a che fare con la questione calda del confine orientale d’Italia. Sono consapevole che il mio, in questo caso, è un approccio “italocentrato” (ma non “italocentrico”), e pertanto segnalo questo bias fin da subito a chi legge. Dico anche che per forza di cose non posso e nemmeno voglio pretendere di essere esaustivo. Fatte queste precisazioni, osservo che per Presbite:
1) non è necessario sapere nulla dei motivi per cui l’Italia entrò in guerra nel 1915. In particolare non è necessario conoscere i termini del dibattito tra neutralisti, “interventisti democratici” e interventisti imperialisti. Non è necessario conoscere il progetto di conquista dell’intero Adriatico orientale messo in campo da una parte dell’establishment politico, militare, economico ed intellettuale italiano, primo passo di un più ambizioso progetto di penetrazione nell’intera area balcanica. (si veda ad esempio M. Thompson, “La guerra bianca. Vita e morte sul fronte italiano 1915-1919”, Il Saggiatore, 2009). Son cose che metterebbero in crisi il frame metastorico dello scontro etnico tra le popolazioni “italiane” e “slave”;
2) non è necessario sapere nulla della Jugoslavia tra le due guerre, nè dei rapporti tra stato Italiano e stato Jugoslavo, se non per quanto riguarda il conflitto diplomatico nella definizione dei confini tra il 1919 e il 1924. Nulla su Pavelić esule a Roma, nulla sugli altalenanti rapporti tra l’Italia dei Savoia e la Jugoslavia-sempre-più-grande-Serbia dei Karađorđević. Quindi nulla sulle motivazioni storiche della violentissima contrapposizione tra nazionalisti serbi e nazionalisti croati che esplose nel ’41. Nulla di nulla poi, ovviamente, sulle altre linee di frattura che attraversavano la società jugoslava in quel periodo;
3) non è necessario sapere nulla del progetto imperiale italiano elaborato dal fascismo (a tale proposito di veda: D. Rodogno, “Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell’Italia fascista in Europa (1940-1943)”, Boringhieri, 2003). Son cose che metterebbero in crisi la favoletta dell’Italia che entra in guerra per compiacere la Germania, e non per portare avanti un proprio disegno imperialista;
4) non è necessario sapere nulla delle modalità dell’occupazione italiana in Jugoslavia. Nulla delle rappresaglie sui civili, nulla delle deportazioni nei campi di concentramento, nulla delle alleanze coi cetnici serbi nella lotta antipartigiana: prima tattiche, poi propriamente militari e politiche. E nulla del gioco pericoloso a cui giocarono politici e militari italiani: fomentare le contrapposizioni etniche allo scopo di controllare il territorio, combattere i partigiani, e competere con l’alleato tedesco per l’egemonia nella regione. (si veda ad es. Eric Gobetti, “Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia 1941-43”, Laterza 2013);
5) non è necessario sapere nulla dei diversi modelli di resistenza all’occupazione italiana e tedesca che si svilupparono in Jugoslavia: la Slovenia è diversa dalla Dalmazia, l’Erzegovina è diversa dal Montenegro o dalla Serbia. E non è necessario sapere come mai il movimento comunista fu l’unico che riuscì a portare avanti in modo efficace, coerente e unitario la lotta di liberazione. E che d’altra parte per riuscire a farlo inglobò e fece propri ANCHE OBIETTIVI NAZIONALI – che dal ’43 furono coniugati soprattutto in funzione antitedesca, come del resto avvenne in tutti gli altri fronti nazionali antifascisti – rendendo però problematico ogni enunciato sull’esportazione della rivoluzione in territori mistilingui come l’Istria e la Venezia Giulia.
6) Non è necessario sapere nulla del periodo ’43-’45, del collaborazionismo italiano, sloveno e croato con gli occupatori nazisti. Nulla del collaborazionismo confindustriale a Trieste, nulla della continuità tra fascismo, collaborazionismo e revanscismo post ’45 a Trieste (si vedano ad esempiob i lavori di Galliano Fogar.)
Insomma, per Presbite non è necessario sapere nulla di quelle cose che metterebbero in crisi la coerenza della narrazione che emerge dalle cose che invece secondo lui è necessario sapere (e sapere in un certo modo).
Last but not least, va detto chiaramente che enunciare linee guida sui contenuti delle voci storiche è contrario alle linee guida di wikipedia.
[…] le pagine di Wikipedia che parlano della sponda orientale dell’Adriatico (fondamentale questo post di Wu Ming, non solo sull’argomento specifico ma anche per capire più in generale le […]
[…] triestino e figlio di un esule istriano. Dal ramo materno è di ascendenza slovena. Fa parte del gruppo di inchiesta su Wikipedia «Nicoletta Bourbaki». Appassionato delle storie della sua terra di confine, da anni ha intrapreso un percorso di ricerca […]
[…] è una bufala. Il meccanismo attraverso il quale essa si è prodotta e amplificata è spiegato qui. Aldilà del fatto che è stato dimostrato che Gilas non era presente in Istria in quel momento, […]
LA «FAMIGERATA FOTO» E WIKIPEDIA – #FOIBE
Alcuni giorni fa un utente che si firma “Ultimo viene il corvo” ha tentato di inserire nella voce “Giorno del Ricordo” un paragrafo sulle polemiche causate dall’utilizzo della foto dei fucilati di Dane nei manifesti dedicati al 10 febbraio, nonchè la foto stessa, accompagnata da una didascalia esplicativa. Il suo intervento è stato cassato in men che non si dica prima da Jose Antonio e poi da Bramfab. Successivamente TBPJMR ha reinserito il paragrafo, e questo collage di immagini:
https://drive.google.com/file/d/0B5GeV249UR9NMmdUZjJWZVVGb1k/view?usp=sharing
accompagnato dalla seguente didascalia
Utilizzo improprio, da parte di un quotidiano on-line in occasione del Giorno del Ricordo, dell’immagine della fucilazione di cinque sloveni da parte dell’esercito italiano.
L’immagine è stata subito proposta da Bramfab per la cancellazione causa violazione di copyright, e successivamente rimossa da Presbite.
Ne è nata una discussione assurda, in cui Bramfab, Presbite e Harlock81 hanno messo in campo una serie di argomenti inconsistenti per sostenere che l’immagine, al di là del copyright, non debba essere reinserita. In particolare:
– inserire l’immagine alimenterebbe il suo uso distorto
– la polemica sulle immagini non è significativa, riguarda scazzi tra gruppuscoli
– esistono anche immagini vere delle foibe
Alla fine è arrivato Nicola Romani, con un itervento-provocazione di cui vale la pena riportare il seguente stralcio:
Piccolo appunto relativo al “caso (o meglio foto) in oggetto”, pur deprecando e condannando in ogni modo le esecuzioni sommarie di civili inermi (anche se so già che non servirà a nulla), oltre a quotare Harlock81 sull’eventuale rischio che si incorre nell’inserire l’immagine dai parte dei soliti pov-pusher che prima scrivono se la suonano fuori da wiki e poi se la vengono a cantare qui sopra (perché questa è la vera cronistoria di questo tentativo senza girarci troppo intorno) definendo erroneamente (ma “forse” coscientemente) “crimini di guerra italiani commessi in Iugoslavia” ciò che… udite udite… non fu commesso in Iugoslavia!
Come sappiamo infatti (che piaccia o no) la Iugoslavia si era arresa con tanto di armistizio e trattato con l’Italia! e la parte di territorio relativa al qui definito territorio annesso (o forse meglio “ceduto”?) è da leggersi come giuridicamente Italia! => costituente della Provincia di Lubiana) e di conseguenza de jure non c’era più nemmeno la guerra (o meglio, specifico a scanso di equivoci, lo “status di guerra con la Iugoslavia” sempre giuridicamente parlando eh!) conclusasi con gli accordi tra i due paesi!
Giova ricordare inoltre che essendosi la Iugoslavia arresa, ogni forma di lotta armata era da considerarsi agli effetti delle convenzioni internazionali sulla guerra vigenti all’epoca (Aia e Ginevra) come puro “terrorismo” e che gli attacchi di tali formazioni poneva, chi li commetteva (sempre giuridicamente parlando), tra gli “illegittimi belligeranti” (per la cui definizione rimando alla tutt’ora in vigore “legge di guerra e di neutralità” e ai suoi relativi artt. 25-27 e 29 per i quali si era puniti secondo il codice penale militare di guerra anch’esso in vigore all’epoca cioè con la pena capitale) e all’orrendo diritto di “rappresaglia” (cfr. art. 8 della medesima legge) e/o di “ritorsione” (artt. 9 e 10), due concetti distinti.
Non ho capito se l’intervento di Romani sia una trollata o meno (spero di sì), noto comunque che ‘riecheggia’ un’altra delle principali bufale giustificazioniste dei crimini fascisti, e cioè la tesi che le rappresaglie operate da nazisti e fascisti contro civili e partigiani fossero in qualche modo legittimate dalle convenzioni internazionali in vigore all’epoca. Bufala basata su articoli di dette convenzioni (Aia, principalmente, e Ginevra) inventati di sana pianta e sulla distorsione in malafede del contenuto di alcune sentenze (non definitive) pronunciate da tribunali italiani in merito a episodi della guerra di Resistenza.
In due suoi interventi, di ieri sera e di stamattina, l’uomo che si fa chiamare Presbite, sedicente esperto del confine orientale, ha bellamente ignorato l’aberrante intervento del suo amico Nicola Romani, colmo com’è di indifendibili enormità. In compenso, Presbite strilla l’ennesimo allarme per la salvezza di Wikipedia, denunciando a gran voce il presunto complotto slavocomunista dei Wu Ming contro l’Enciclopedia e lanciando forsennati attacchi personali contro altri utenti.
Naturalmente, Presbite finge, con cinismo gesuitico, di non accorgersi di come l’operato suo e dei suoi sodali come Nicola Romani abbia negli anni danneggiato la credibilità e la reputazione di Wikipedia infinitamente più di qualsiasi complotto, vero o presunto.
Ma questi interventi di Presbite sono utili perché palesano, una volta di più, un dispositivo tipico delle discussioni relative alle voci presidiate da Presbite e dai suoi.
Funziona così:
1) arriva l’estremista di turno, con un intervento, di solito molto rozzo, che sposta bruscamente verso l’estrema destra l’asse della discussione.
2) Presbite, pignolo preciso e puntuale, non trova nulla da dire contro la prevaricazione operata dal suo amico, ma comincia la sua predica spaccando il capello in ottantaquattro contro i suoi contraddittori. Oppure eleva fittissime cortine fumogene, con giaculatorie e supercazzole su inutili dettagli, con lo scopo di “coprire” le sparate del proprio commilitone. Oppure ancora (come in questo caso), ma solo come ultima ratio, tira fuori il manganello dalla tonaca e si mette anche lui a menare, con attacchi personali assai violenti e spregiudicati, conditi col suo caratteristico umorismo da prete.
3) L’effetto è sempre lo stesso: gli utenti meno agguerriti vedono la rissa in corso, scatenata da Presbite e dai suoi sodali, e si tengono alla larga. Quando il polverone si è posato, il camion con a bordo il cappellano Presbite e la sua squadra riparte, e la voce rimane nelle condizioni (di solito miserevoli) volute da Presbite e dai suoi.
P.S. Sarebbe ora che qualcuno un po’ più colto (ammesso che ce ne siano) fra gli amici di Presbite avesse pietà di lui, e gli spiegasse che la parola “esiziale”, nonostante l’assonanza, significa pressoché l’opposto della parola “essenziale”. Da anni Presbite continua a perpetrare questo suo scempio (involontario stavolta, e anche un po’ ridicolo) contro il vocabolario italiano, scrivendo sempre “esiziale” al posto di “essenziale”: ad esempio qui , qui e qui .
“Dovrei dire de hoc satis, ma vengo ogni santa volta ritirato per i capelli nella discussione, con queste tue ripetute e fantasiose ricostruzioni, che continuano pervicacemente a svicolare da un punto per me esiziale, qui dentro: la precisione” (Presbite, 27 agosto 2012).
[…] che a volte è così faziosa da distorcere e omettere fonti e notizie. Il blog Giap ha svolto un lavoro molto interessante su queste contese a proposito di vicende del dopoguerra in […]
[…] una traccia ce la dà l’uomo che si fa chiamare Presbite, che si è più volte dichiarato persona informata dei fatti, in una discussione avvenuta nei […]
[…] [Ooo ariáaa raiô, obá obá obá…] – «Psichiatria radicale» – l’antifascista Basaglia calunniato da Pirina, Vespa e Wikipedia – la presenza del Brasile a Trieste (?) – l’importanza dell’OPP […]
[…] – presidiare un cluster di voci “sensibili”. Nel concentrarci su di lui, come già ci concentrammo su Presbite, non vogliamo fare dell’eccezionalismo o personalizzare il problema del revisionismo storico […]
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