UGO, l’Unica Grande Opera. Costruiamo insieme l’#8D2015

Terrorista è chi devasta i territori

Tra un anno esatto, una grande giornata di mobilitazione.

Capita che qualcuno usi le parole giuste per esprimere quello che avevi in testa e ti accingevi a scrivere tu stesso. In questo caso, a farlo sono stati Salvatore Settis e Tomaso Montanari, addirittura su un quotidiano mainstream come La Repubblica. La sintesi dei loro articoli coincide con quanto dicono da tempo comitati di cittadini e movimenti di base: esiste Una Grande Opera, una sola di cui l’Italia abbia concreto bisogno, ed è salvare il territorio, metterlo in sicurezza, risanarlo. Salvarlo dal dissesto idrogeologico che fa allagare le città e franare le montagne ogni volta che piove un po’ più forte; ma anche liberarlo dalla cementificazione e dal peso che insiste sulla sua superficie; dall’inquinamento e dall’immondizia. E non ultimo, aggiungeremmo noi, dalla militarizzazione, vero e proprio scippo di suolo pubblico a fini bellici.
Insomma, tutto il contrario di quello che si accinge a fare lo «Sblocca Italia», decreto che ha per nome un’antifrasi, dato che il fine reale è congestionare il Paese.

Chiamiamola UGO. È l’Unica Grande Opera, l’unica che valga la pena realizzare e che darebbe lavoro a decine di migliaia di persone. Un serio investimento di denaro, energie, intelligenza collettiva, per evitare catastrofi e riqualificare il territorio, che rimane risorsa primaria e che rappresenterebbe in realtà un risparmio sulle ecocatastrofi future.

Per fare una cosa del genere, si capisce, occorrerebbero una prospettiva e una visione completamente diverse da quelle imperanti. Servirebbe un’altra idea di progresso, non più misurata in metri cubi di cemento, appalti e fatturati, ma in qualità reale della vita, fatta di salute, tutele, socialità, cultura, felicità. Occorrerebbe immaginare un sistema di trasporto pubblico in cui la velocità di spostamento sia meno importante della capillarità; in cui l’impatto leggero sia un valore aggiunto; in cui invece di costruire nuovi raccordi, bretelle, tangenziali, per incentivare il traffico automobilistico, si lavori per potenziare il trasporto pubblico. Bisognerebbe ragionare sul recupero delle aree urbane dismesse (basi militari, caserme, distretti produttivi abbandonati) e sulla loro restituzione allo spazio pubblico;  e ancora, bisognerebbe pensare a come incentivare le filiere corte contro la grande distribuzione; ecc. ecc. Inutile farla tanto lunga, ci siamo capiti perfettamente, sono cose che sanno tutti.

Esiste in questo paese una forza politica che possa farsi carico di un mutamento di prospettiva così radicale?

Se parliamo di una qualche forza politica organizzata per raccogliere voti, la risposta ovviamente è no.

Se spostiamo lo sguardo, però, vediamo, sparsi per tutto lo Stivale e le isole, centinaia di comitati territoriali – almeno uno in ogni provincia – che portano avanti battaglie reali contro lo scempio del territorio, per la salvaguardia della salute e per un rapporto diverso con i luoghi in cui si vive. Se non fosse per loro, la devastazione del paesaggio e l’ingiustizia ambientale sarebbero oggi ancora più mostruose.

No Expo

È giusto, come fanno anche Settis e Montanari, invocare Una Grande Opera di risanamento, ma è altrettanto importante riconoscere l’opera di migliaia di attivisti, senza i quali saremmo circondati da chissà quanti altri ecomostri, autostrade che portano al nulla, ferrovie senza treni, impianti eolici inutili, parchi cittadini abbandonati, edifici pericolanti, immondizia, centrali nucleari, frane, inondazioni. Se si facesse l’elenco di quanti progetti dannosi e demenziali sono riusciti a bloccare e di quanti spazi dimenticati sono riusciti a riutilizzare, ne verrebbe fuori la mappa di una resistenza che ha impedito e impedisce ogni giorno il collasso psicogeologico dell’Italia.

E invece, questi movimenti, grandi, piccoli o piccolissimi, vengono accusati dagli alfieri dello sviluppismo di voler fermare il “progresso”, di essere “conservatori”, di essere “nimby”.

La verità è che questi soggetti, completamente autorganizzati e autofinanziati, sono modelli di esercizio della cittadinanza attiva e andrebbero tenuti in grande considerazione, perché sono una risorsa politica nel senso più pieno del termine. Sono esperienze che non si rassegnano all’affondamento del paese sotto una colata di cemento, fango e pattume. Spesso intorno a questi movimenti si sviluppano analisi, inchieste, studi, che vanno a dimostrare la miseria dell’attuale gestione del territorio e la sua perniciosità, che suggeriscono ipotesi alternative all’ottusità e alla miopia delle grandi opere e di chi le ordina, progetta, finanzia.

Il vecchio modello di sviluppo è duro da scalfire quando la presa di posizione critica viene dalla periferia, da un angolo d’Italia, da un “cortile”. Eppure, spesso è proprio dalla sfida della periferia al centro che nascono le lotte in grado di cambiare qualcosa. Mentre assistiamo alla celebrazione dell’Expo milanese con i suoi appalti cementiferi che ingrassano le organizzazioni criminali, vediamo anche fare capolino da dietro l’orizzonte la vittoria del movimento contro il Tav in Val Susa. Ormai anche gli ultimi giapponesi con l’elmetto rimasti a difendere quell’inutile scempio devono arrendersi all’evidenza che si tratta soltanto di una gigantesca voragine mangiasoldi, utile solo a far girare a vuoto la ruota del PIL.

Gino e Pino camminano per la strada quando, di fronte ai loro piedi, vedono un ripugnante escremento. Pino lo indica e dice a Gino:
– Se lo mangi, ti dò dieci euro!
Gino è nauseato, ma pensa che dieci euro sono pur sempre dieci euro, e allora si china sul disgustoso reperto, lo raccoglie e, reprimendo i conati, lo mangia in due bocconi. Pino, impressionato, non può fare altro che congratularsi e dargli i dieci euro.
Pochi metri più avanti, i due si imbattono in un altro escremento. Stavolta è Gino a fare la proposta a Pino:
– Se lo mangi, ti ridò i tuoi dieci euro!
Pino è schifato, ma 1) gli brucia di aver perso la somma; 2) non vuole essere da meno, e allora pure lui si china e ingurgita l’escremento. Gino si congratula e gli ridà i soldi. La passeggiata prosegue, ma pochi metri dopo Pino si ferma di colpo.
– Che c’è? – gli chiede Gino.
– C’è che siamo due scemi! – dice Pino. – Abbiamo mangiato sterco e nessuno dei due ci ha guadagnato niente!
– La vedi così perchè sei ignorante! L’importante è che l’economia si muova!

I valsusini, accusati di voler “fermare l’economia” perchè non vogliono mangiare sterco, resistono da vent’anni e potrebbero resisterne altrettanti. Perché chi la dura la vince.

Altrove le cose vanno in modo diverso. Al capo opposto del paese, la lotta degli abitanti di Niscemi (CL) contro il Muos sembra quella delle formiche contro l’elefante. Un elefante americano che ha posato il suo pesante deretano in mezzo alla Sicilia per non andarsene più. “Sauron”, così i niscemesi chiamano la radioantenna alta oltre cento metri, con in cima un faro rosso fuoco, la più alta delle 46 che costellano le colline recintate, dove sorge la base militare americana, proprio in mezzo a una riserva naturale. Il dibattito sulla concreta pericolosità di quelle antenne imperversa da tempo, a suon di perizie e controperizie, ma intanto la base sta là, e nella migliore delle ipotesi serve a una superpotenza per condurre operazioni militari in giro per il mondo, nella peggiore aumenta l’incidenza dei tumori della popolazione locale.

Da un estremo all’altro c’è una vasta gamma di situazioni e lotte diversissime tra loro, ma evidentemente accomunate da un’idea del rapporto con il territorio e della sua gestione che contraddice lo stato delle cose. Anche la lotta più piccola e meno consapevole, anche quella più “nimby”, volente o nolente mette una manciata di sabbia negli ingranaggi di un modello economico insostenibile ben rappresentato dallo «Sblocca Italia» di Lupi e Renzi.

Sauron Muos

Poco più di un mese fa, guardando da dietro un cancello l’Occhio di Sauron che scrutava la notte siciliana, rischiarata anche dall’inquinamento luminoso della base US Navy, sorta di astronave atterrata in mezzo al paesaggio, ci domandavamo una cosa.

Tutte queste situazioni di lotta territoriale non dovrebbero costituire una vera e propria rete? E per farlo, non dovrebbero innanzitutto contarsi? Se esistesse una rete di questo tipo, la periferia non sarebbe più tanto periferica, e la piccola lotta locale potrebbe riverberare su tutto il territorio nazionale e magari anche continentale. Se può esistere un discorso comune, allora può esistere anche una lotta comune.

Tentativi in questo senso ce ne sono già molti, ma spesso si concentrano su un solo aspetto del “diritto al paesaggio”, come la Rete Stop Enel o il Coordinamento Nazionale No Triv, o la solidarietà per una specifica battaglia oltre i suoi confini “naturali” (es. i No Muos fuori da Niscemi). Tentativi fatti in passato, come l’esperienza di Mutuo Soccorso, erano forse prematuri e si sono scontrati con interessi di tribù, correnti e parrocchie micropartitiche nel frattempo scomparse.

Grazie all’associazione Re:Common, nei primi mesi di quest’anno, abbiamo vissuto e animato un esperimento di scrittura collettiva “trasversale”, con l’esplicito obiettivo di far nascere un “noi”, una soggettività plurale a partire da esperienze diverse: dalla Riviera del Brenta al Salento, da Livorno alla Val Susa, passando per il Monte Amiata, i rappresentanti di sei comitati hanno dato vita ai racconti dell’antologia GODIImenti, Abbecedario di Resistenza alle Grandi Opere Dannose, Inutili e Imposte.

Ci siamo resi conto, in questa occasione, di quanto possa essere fecondo un simile confronto, e di quanto la narrativa sia il linguaggio più adatto per darne conto, perché le storie usano il particolare, l’aneddoto per raccontare l’universale, il comune. Ed è proprio di questo che ci sarebbe bisogno: una rete che tenga insieme le diverse realtà, per ragionare su ciò che le accomuna senza però farne una regola, che poi si riversi sui dettagli e li cancelli alla vista. Una terra di mezzo tra il singolo esempio e la teoria astratta: come nella metabasi di Epicuro e Lucrezio, dobbiamo mettere insieme le esperienze, sottolineare le somiglianze, produrre possibili associazioni, ma senza cancellare le caratteristiche tipiche dei singoli casi e luoghi.

Certo, sarebbe un progetto dispendiosissimo. Provare a costituire una rete del genere è un’impresa che potrebbe impiegare anni e potrebbe facilmente rivelarsi la fatica di Sisifo. Ma questo non impedisce almeno di pensare a un passo preliminare di tipo comunicativo.

Un’insorgenza. Una metabasi dei movimenti per il diritto al paesaggio.

Non il rituale concentramento nella Capitale, ma, al contrario, il manifestarsi contemporaneo e incontrollato di tutte le realtà, là dove sono attive e producono saperi. Ognuna secondo le modalità che preferisce: corteo, occupazione, blocco, sit-in, convegno, concerto, festa, spesa proletaria, azione diretta… Il tutto preceduto da un anno di incontri, laboratori, inchieste: con la lotta all’Expo a fare da catalizzatore, ma proiettandoci già oltre il Grande Evento, per rivendicare ovunque, in ogni angolo del paese, che la resistenza esiste, che ha già vinto moltissime battaglie e liberato molti territori. Uniti, si può puntare a un obiettivo ancora più vasto.

Tra un anno esatto a partire da oggi cadrà il decennale della «Battaglia di Venaus».
L’8 dicembre 2005, due giorni dopo un violentissimo sgombero per mano della polizia, trentamila persone sbaragliarono le forze dell’ordine, abbatterono la recinzione e riconquistarono il terreno del presidio No Tav, vero e proprio villaggio costruito per impedire l’avvio del cantiere CMC. Una vittoria politica importantissima, che costrinse i fautori della Torino – Lione a rinunciare a Venaus e spostare in Val Clarea l’ingresso del “cunicolo geognostico”. Grazie alla vittoria nella battaglia di Venaus, l’apertura del cantiere fu posticipata di oltre sei anni, con conseguenze per il progetto probabilmente fatali, perché più passa il tempo e più magagne si scoprono, e il TAV Torino – Lione appare sempre più chimerico, insensato, nocivo.
Riconquistando il terreno del cantiere, il movimento No Tav – che è profondamente antifascista – celebrò nel modo migliore l’anniversario del Giuramento della Garda, inizio ufficiale della Resistenza in Val Susa. Era un altro 8 dicembre, quello del 1943.

venaus2005

Venaus, 8 dicembre 2005.
– Stanno arrivando…
– Stanno ancora arrivando…
– Continuano a stare arrivando!
– Merda!!!

L’8 dicembre 2005 fu una data spartiacque nella storia dei movimenti contro le Grandi Opere Inutili e Imposte, come il 20 ottobre 1983 – la «Notte degli arresti» a Viadana – lo era stato per il movimento antinucleare e ambientalista. Con la lotta di Viadana, il movimento antinucleare “forò il velo”, e molti capirono che era destinato a crescere.  Nel 1987 una vittoria referendaria portò alla chiusura delle centrali nucleari, ribadita da un secondo referendum nel 2011.

L’8 dicembre 2o05 i No Tav “forarono il velo” a loro volta e irruppero con forza nell’immaginario nazionale. In altre parti d’Italia, molti cominciarono a interessarsi a quella lotta e a trarne ispirazione. Gli stessi No Tav dissero più volte che «l’8 dicembre può accadere ovunque». Poco tempo dopo, a Vicenza nacque il movimento No Dal Molin, e da lì in avanti è stata un’esplosione di No MuosNo Tap, No Expo, OpzioneZero, movimenti No Tav in diverse parti d’Italia (Terzo Valico, Brennero, Firenze…) e innumerevoli altre realtà. Anche mobilitazioni già in corso, come quella contro il ponte sullo Stretto di Messina, ne sono state rivitalizzate. Nulla è più stato come prima.

Tra un anno esatto.
Martedì 8 dicembre 2015.
Dieci anni dopo la battaglia di Venaus.
Mobilitazione nazionale simultanea e molteplice contro lo scempio dei territori, i baracconi mangiasoldi, le devastazioni ambientali, e per avere UGO, l’Unica Grande Opera che valga la pena fare: risanamento e messa in sicurezza dei territori, lotta al dissesto idrogeologico, decongestione del paesaggio.

Proponiamo l’8 dicembre come data “gravitazionale”. Alcune iniziative potrebbero avere inizio il giorno prima, o prolungarsi fino al giorno dopo e oltre. Ciascuna situazione deciderà cosa è meglio fare. L’importante è muoversi insieme e muoversi ovunque.

Ecco qua. Lanciamo questo sasso nello stagno, sperando che non ne esca un mostro tentacoluto per tirarci sotto e che invece dai cerchi nell’acqua possa nascere una visione di futuro.

#8D2015

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30 commenti su “UGO, l’Unica Grande Opera. Costruiamo insieme l’#8D2015

  1. UGO per tutti, tutti per UGO!
    Grazie a Ernesto Milanesi per lo slogan.

    • ah menomale, credevo sarebbe stato UGO vale UGO…

      A parte gli scherzi, bella iniziativa, è da tempo che mi interrogo, da tarantino (fuorisede), sul perché non esista più qualcosa simile al Patto di Mutuo Soccorso, cui accennavate.
      D’altronde, di fronte alla sconfitta della politica classica cui assistiamo impotenti, mi pare proprio che le uniche lotte che abbiano creato partecipazione siano state proprio quelle per la difesa del territorio, le quali però rischiano spesso di trasformarsi in localismi che tendono a dividere in maniera campanilistica, più che incentivare il federarsi delle lotte. Che ben venga questa vostra iniziativa, speriamo che raccolga i frutti sperati.

      • Redtaras: “localismi che tendono a dividere in maniera campanilistica” credo sia impressione che 10 anni fa avrei potuto condividere, oggi no. Da valsusino ho sentito e sento l’appoggio di tantissimi attivisti da tutte le parti di italia, non solo quando si chiama la gente a manifestare (o discutere in varie forme) qui, ma anche con atti di solidarietà, informazione, raccolta fondi sui singoli territori. Occasioni come “il grande cortile”, situazioni di sovrapposizione solidale delle lotte… Pensa che in 10 giorni qualche mese fa si sono raccolti 250.000€ (non ricordo la cifra esatta) per una condanna a risarcire inflitta a 3 notav. ACAD fa incontri in valle, molti da qua sono scesi a Niscemi e prima a Vicenza. Qualche anno fa addirittura si fece una venaus Roma a piedi per raccogliere un cahier des nei vari territori saccheggiati nello stivale (documenti poi consegnati in parlamento). Il vento sta davvero cambiando e forse si è ad un punto in cui realmente si può fare un grosso e solido fronte comune volto ad imporre un cambiamento nella gestione della società e del territorio

        • guarda capisco che la Val Susa riceva molto sostegno dal resto del paese, l’ho notato pure io nel mio piccolo. Però non si può ignorare il fatto che il movimento No Tav sia diventato (giustamente) anche un simbolo per molti “sinceri democratici”. Un simbolo della lotta democratica, di chi cerca di contrapporre il diritto degli individui a decidere sul proprio territorio e le proprie vite contro l’interesse di uno stato centrale che vuole imporre decisioni sulle loro teste. Ma anche un simbolo per chi vuole contrapporre nuovi modi di pensare l’economia e lo sviluppo umano a quello al momento imperante.
          Non è accaduto purtroppo lo stesso per molte altre lotte. Lasciami citare Taranto, che conosco un po’ meglio pur non vivendoci più. Al di là di alcune manifestazioni di solidarietà (non nel senso di corteo :D), tra l’altro espresse principalmente da alcuni movimenti del sud (Terra dei fuochi per esempio) non mi pare ci sia stata tutta questa unione e compenetrazione delle lotte. Né troppa partecipazione del movimento tarantino alle lotte altrui (escludendo alcuni cortei al sud, principalmente nella Terra dei Fuochi e in Basilicata). Per esempio, non mi pare ci siano state molte relazioni, in entrambi i versi, proprio col NoTav.
          Eppure, a voler guardar bene, la lotta contro l’Ilva (e l’Eni, la Cementir, le trivellazioni previste in Mar Grande, gli inceneritori, la Marina Militare, le discariche speciali e/o abusive) pone le stesse questioni della lotta NoTav, sia in chiave democratica che sul modello di sviluppo che ci si vuole dare.
          Sarei felice di essere smentito, se ignoro qualche informazione.

          • Sottoscrivo tutto quanto è stato scritto qui sopra, ma vorrei aggiungere una riflessione: un passo a mio parere fondamentale deve esser fatto per cooptare tutte quelle persone che nel loro viver quieto quotidiano spesso non hanno posizione (o semplicemente acquisiscono quella mainstream per riflesso) verso le quali occorre un lavoro minuto di informazione e di inclusione; la mia esperienza personale è come “soldato semplice” nel movimento NOTAV, nel senso che ho partecipato a molte (non tutte) le manifestazioni ma ho avuto poco tempo da dedicare alla parte organizzativa/teorica, mentre sono uno dei coordinatori del movimento “Mettiamociletette” che vuole salvare l’ospedale Valdese di Torino: in questa seconda veste ho avuto a che fare con molte donne di varia estrazione sociale e cultura, accomunate dal problema del tumore al seno, e il lavoro di presa di coscienza sulle (talvolta scellerate) scelte dela Regione Piemonte ha spesso avuto picchi di illuminazione entusiasmanti ma anche abissi di rassegnazione disarmanti. Tuttavia il movimento è andato avanti, ha coinvolto singole persone come istituzioni (es. la Tavola Valdese) e pian piano è passato dalla semplice protesta alla proposta di alternative, fra cui ultima quella dell’azionariato popolare per “ricomprarsi l’ospedale”. Sulla bontà delle scelte il tempo sarà giudice, ma al momento io vorrei rimarcare l’accento sulla necessità di costruire un percorso che sia anche propositivo a partire dalla discussione dal basso, dai singoli, che poi – banalmente – dovrebbe essere la Politica con la P maiuscola, che parte dal basso per via via salire per autorevolezza e non autoritarismo a livelli superiori. Per cui plaudo all’idea di una data simbolo nazionale per un giorno di lotta “urbi et orbi”, ma non fissiamoci solo sul momento della protesta altrimenti rischiamo di alienarci quella fetta di popolazione che teme un po’ gli eccessi non per pavidità ma per abitudine (e che non naviga su Giap nè su internet tout court…) e che invece dovremmo (dovremo) cooptare un piccolo passo alla volta, con grande pazienza e sensibilità.

          • Il tuo è sempio di Taranto è corretto: mi risulta qualche scritto di solidarietà (in ambo i sensi) e poco più; però se penso ai nomous, ai noDalMolin al terzo valico, ai notav firenze, ai comitati per l’acqua pubblica, ai keinestuggart21 (perdonate il mio tedesco) , ai baschi, ai comitati di lotta per la casa, ad ACAD,ai francesi dell’aeroporto di NotreDame… Ci sono state parecchie contaminazioni e collaborazioni, dalle quali secondo me occorre partire, rafforzando le sinergie già collaudate e creandone di nuove

    • Che la ncessità di far rete sia sentita è testiominata dal numero enorme di tentativi in tal senso.
      Per ora i risultati sono sempre stati parziali.
      Sul perché ci sarebbe da aprire un dibattito più che una risposta ad un post; ne vedo comunque principlamente due:
      1) gli attivisti sono estremamente presi dal loro problema locale e restano poche forze per fare il passo verso la rete
      2) nei movimenti ci sono logiche simili a quelle politiche ceh vedono gruppi più organizzati tentare di mettere cappellii o berretti su qualunque coordinamento nasca; domandate ai valsusini come tramontò il “Patto di Mutuo Soccorso”

      Da Firenze possiamo dire di alcuni tentativi che stiamo seguendo:
      abbiamo aderito al forum contro le Grandi Opere Inutili e Imposte (GOII, un acronimo esiste già e non ci pare molto utile complicare ulteriormente con uno nuovo), una rete europea di comitati che si è recentemente allargata al nord Africa e alla Turchia. Sono stati fatti diversi incontri internazionali, il primo a Bussoleno, poi in Francia a Notre Dames des Landes, in Germania a Stuttgart, in Romania a Rosia Montana, abbiamo organizzato iniziative nel forum sociale di Tunisi per incontrare comitati del Magreb, stiamo progettando un nuovo incontro in Turchia o Italia…
      Insomma ci stiamo muovendo e anche chi vi scrive è appena reduce dalla partecipazione, l’#8D2014 a Stoccarda alla 250° manifestazione contro il loro folle sottoattraversamento ferroviario (Firenze e Stoccarda si sono gemellate avendo in comune un progetto simile).
      Forse non è ai singoli comitati che si deve chiedere questo sfrozo di coordinazione che rasenta l’impossibile (Settis censisce circa 30.000 gruppi italiani), ma ad una sinergia tra comitati stessi, persone di cultura come Settis, Montanari e voi stessi, ai movimenti politici che dovrebbero nascere (ho paura a scrivere ri-nascere), soprattutto dovremmo produrre una cultura alternativa diffusa oltre il mondo degli attivisti. Il ’68 e gli anni ’70 furono un relativo successo proprio perché riuscirono in questo.
      Un primo tentativo cui vi invitiamo è di creare una sessione nel prossimo forum sociale a Tunisi a marzo 2015; notate bene diciamo una “sessione distinta” perché non abbiamo molta fiducia in questa esperienza segnata proprio dai troppi interessi che hanno messo il cappello sopra, ma quel luogo potrebbe essere una occasione eccezionale per incontrare realtà politiche mediterranee, non solo europee.
      Insomma parliamone assieme ancora! Noi ci speriamo.

  2. Invece, per la storiella di Gino e Pino – adattamento di una barzelletta bosniaca con protagonisti Mujo e Haso – ringraziamo Piero Purini.

  3. deformazione professionale: propongo di attivare uno sforzo collettivo per rendere facilmente accessibili, usabili, integrabili, visualizzabili, in pratica ogni *bili tranne quelli come “deformabili”, i dati relativi a ciascuna istanza/battaglia.

  4. Mi ritrovo molto in questa iniziativa e farò quel che posso per appoggiarla e sostenerla. Tra l’altro, visto che ieri eravamo alla riunione del movimento No Muos, a Niscemi, a discutere delle prossime iniziative da fare, proprio mentre veniva pubblicato l’articolo su questo sito, abbiamo discusso tutti assieme della cosa, una prima volta. Cercando di disegnare le nostre future ipotesi di percorso di lotta e di vedere come potevamo rapportarci a questa data ed a questo percorso. La discussione è aperta e ci/vi terremo costantemente aggiornati. Anche dentro il nostro piccolo centro sociale e nella nostra città ne parleremo. Quello che posso dire è che, sicuramente, in Sicilia non si è mai visto un tale pullulare di lotte territoriali, alle quali i No Muos hanno probabilmente dato la stura. Abbiamo i No Triv sulle coste sud-orientali e sud occidentali ed in particolare a Licata (coi pescatori in fermento). I comitati contro i petrolchimici che portano gente in piazza a Siracusa ed a Milazzo. I comitati contro l’elettrodotto nella Valle del Mela. Ed ovviamente la grande vertenza regionale No Muos. Quindi, il terreno potenziale di interlocuzione di questa vostra proposta, è fortisiimo.

  5. UGO mi piace moltissimo, la connessione di tutte queste esperienze è l’idea che mancava! complimenti!
    Dedico a UGO questo post a fumetti apparso su Il Girovago il 23/5/2013:
    http://www.ilgirovago.com/opportunita-dalla-crisi/
    è un commento disegnato ai lavori della Compagnia dei Rifugiati (oggi Cantieri Meticci) che stava costruendo lo spettacolo Il violino del Titanic, la riflessione verteva in quel momento sulle possibili opportunità che offre la crisi.
    Penso che la forza nell’emergere dei tanti pezzi di movimento che lottano per una gestione diversa del territorio partendo evidentemente da una visione alternativa di organizzazione sociale, stia in un certo senso tra queste opportunità: sono queste (e altre come alcune esperienze di economia solidale ecc) le “erbacce” che crescono con più vigore sui muri fino a sgretolarli quando l’edificio è lasciato andare.
    Mi piace anche molto l’idea di attribuire un ruolo trasformativo alla letteratura: è chiaroche in questo momento storico la politica non ce l’ha più. Perché non comprendete anche il fumetto? è un medium che in generale avrebbe molto bisogno di un’iniezione di contenuti, ma ha grandi potenzialità comunicative in buona parte ancora inespresse…
    ciao

  6. «UGO», chiaramente, può anche essere visto come un omaggio a.

  7. Rispondendo in una battuta, per quanto sia semplicistico ed efferato, a quanto dicevano e rilevavano sopra “redtaras” e “notav firenze”, vero è che anche “dentro” queste esperienze di lotta territoriale ci stanno molte differenze e c’è un “Nord ed un Sud” con relativa difficoltà di lottare al sud ed essere “considerati” come un “oggetto di movimento” con il quale interagire, verò è pure che vi sono MOLTI coordinamenti o aspiranti tali delle lotte territoriali, le quali sono innumerevoli.
    Appunto partendo dalla verità di questi due assunti, probabilmente, bisogna trovare un nuovo modo di operare che sia “diffuso” sui territori (anche se non conosce forme di coordinamento in senso proprio, capaci di rappresentarlo del tutto) e che però metta al centro la condivisione di pratiche e contenuti che sono gli stessi ovunque. Lo stesso percorso, trovando un possibile parallelo, che è stato fatto per il 14 Novembre ed il suo “sciopero sociale”. L’otto dicembre potrebbe diventare uno “sciopero diffuso” dei territori contro le grandi opere. Alla fine ogni lotta deve trovare un modo per farsi sentire ed essere efficace, ma tutti assieme possiamo fare emergere l’attualità di un problema che condividiamo in tutta l’Italia e fuori dai confini di essa.

    • scusa non vorrei essere frainteso. Non volevo dire che vi sia necessariamente una divisione fra lotte del nord e del sud, piuttosto che ho riscontrato una sostanziale indifferenza e finanche diffidenza per le lotte altrui, tranne le pochissime che gioco forza sono sentite come più vicine. Tutto ciò ovviamente è un grande limite di alcune lotte locali e un potenziale ostacolo per UGO, la cui nascita è da me fortemente auspicata invece.

  8. Secondo me una cosa bellissima sarà che, finalmente (se nessuno se ne esce con “andiamo sotto i palazzi del potere”), ognuno lo farà nelle zone che sente più vicine a sé. In questi anni la manifestazione a Roma è sempre stata una tragedia fatta di litigi, rivalità e faide infinite. Dal punto di vista degli ospiti ingrati sarebbe poi un buon problema logistico: se la manifestazione si concentra, i vari ospiti ingrati si muovono con camionette alla volta della capitale e la presidiano con dispiego di forza inutile, ma simbolica. Se la manifestazione ognuno se la costruisce a casa propria, con le sue logiche e la sua idea di protesta, l’ospite ingrato non è più molto ospite: per necessità logistica potrebbe essere un locale, e finalmente potrebbe prendersi la libertà (e magari il gusto, sia mai) di ragionare sulla faccenda (sarebbe stano veder ragionare l’ospite ingrato).

    • Questa sarebbe una conseguenza insolita ma forse anche foriera di novità! :-) Quantomeno eviterebbe la sensazione di battaglia campale che nella recente militarizzazione del dissenso accompagna ogni corteo al di sopra dei quattro gatti…

  9. Noi ci siamo. Siamo disponibili a collaborare attivamente fin da ora. Qui trovate i nostri link.

    http://difesasaluteterritorio.blogspot.it/

    http://sottolanevepane.blogspot.it/

  10. Appena sarà possibile, sarebbe molto utile avere qualcosa in cartaceo – ovviamente condensato rispetto al presente post – per far circolare la cosa anche fuori da Giap. Non tutti i compagni sono informatizzati e molti lo sono poco. Ci sono contesti (riunioni, manifestazioni..) in cui sarebbe secondo me utile poter iniziare a far girare qualcosa, anche di non esaustivo

    • Dovrebbero pensarci le diverse realtà nei territori. Senza capillarità, autonomia, dibattiti locali sulla (ed elaborazioni locali della) proposta #82015, molto difficilmente si riuscirà a fare qualcosa.

  11. Igor Masci ci fa notare che #8D2015 è anche il codice html di un bel colore rosso, rosso come la terra.

  12. Si è evitato il peggio, ma occhio ad esultare: sono comunque 14 anni di carcere per un generatore rotto, dal punto di vista della repressione dei movimenti è una condanna forte. Speriamo che si possano fare uscire presto i 4, ma tanti anni per un semplice sabotaggio sono una brutta cosa per tutti i movimenti

  13. Concordo con il tuo ragionamento, ma proviamo a fare due considerazioni in più.
    Un anno fa (il 9 dicembre) Chiara, Mattia, Niccolò e Claudio venivano arrestati nel cuore della notte da uomini incappucciati in base ad un’ordinaza cautelare da mettere i brividi.
    Le due contestazioni più gravi, “Attentato per finalità terroristiche o di eversione” (Art. 280cp) e “Atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi” (Art. 280Bis cp) prevedono da soli una pena finale non inferiore ai 20 anni di carcere, l’impossibilità di applicare misura cautelare differente da quella della prigione, un regime da detenuti molto simile al famigerato 41 bis.
    Ovviamente all’epoca non si parla ancora del compressore e nessun media si offre minimamente di indagare o fare chiarezza sul perchè di un’accusa tanto “radicale”.
    La mossa dei PM di Torino pare a molti chiara, da una parte dividere e spaventare un movimento come mai in precedenza si era visto così unito e deterinato sulle proprie posizioni (gli arrestati non sono infatti valsusini ma “anarchici infiltrati venuti da fuori”), dall’altra chiarire cosa si deve aspettare chi nei prossimi mesi e anni si ostinerà ad opporsi alla grande opera.
    Non bisogna infatti essere penalisti esperti o storici degli anni di piombo per sapere che le contestazioni cui al 280 e 280bis cp sono la perfetta anticamera all’ingresso del “reato associativo” (in questo caso il 270bis) che a questo punto potrebbe colpire chiunque, a vario titolo, ha condiviso le lotte degli imputati, (o magari ha semplicemente il loro numero di cellulare).
    Siamo esattamente dentro il teorema del “diritto penale del nemico”, che, unitamente alla militarizzazione della valle, ed alla narrazione tossica dei fatti, già più volte denunciata su questo blog, costituiscono le tre armi principali con cui lo Stato sta affrontando l’opposizione alla TAV.
    Ebbene la risposta a tutto questo è stata ancora più radicale, e ora porta anche i suoi frutti.
    Tutto il movimento ha da subito rifiutato ogni distinguo, ha abbracciato e sostenuto Chiara, Mattia, Niccolò e Claudio, ha chiarito che anche il sabotaggio è al pari delle manifestazioni di massa, delle preghiere, delle camminate, delle scritte sui muri una forma di lotta in cui l’opposizione NO TAV si riconsoce. E che questo non ha nulla a che vedere con il terrorismo, anzi nè è la perfetta antitesi.
    Le successive pronunce della Cassazione a maggio e della Corte d’Assise oggi ci danno speranza sul fatto che ragione e buon senso possono ancora prevalere, e non è cosa da poco.
    Poi, è vero, una condanna a 3 anni e 6 mesi per resistenza e porto abusivo d’armi è senz’altro una sproporzione, ma oggi portiamoci a casa questa vittoria confidando che forti di una sentenza del genere presto potremo finalmente riabbracciare Chiara, Mattia, Niccolò e Claudio e pretendere con più forza la liberazione di Lucio, Graziano e Francesco.
    Si parte, si torna insieme

    • Indubbiamente il momentaneo – ricordiamoci che ci sarà molto probabilmente un appello – allontanamento dell’accusa di terrorismo è una buona notizia perché forse permetterà ai 4 di uscire; alla tua analisi aggiungerei qualcosa sul 270 sexis, che è l’articolo su cui han puntato e rischiato troppo i pm, ma temo che andremmo offtopic. Comunque non volevo sminuire il dato positivo, solo richiamare alla situazione giudiziaria attuale, che non è rosea. A sarà düra !

  14. Non siete per niente Off-Topic, secondo me. Rispondere alla repressione e ragionare su di essa, in questa fase, è assolutamente in continuità con la proposta di una data che ci porti dalla difensiva all’attacco. Il paese deve discutere non di come siamo o non siamo terroristi noi, posto che i tribunali hanno parzialmente smontato questa ipotesi pur nella durezza dei loro pronunciamenti, ma di come lo sono loro ad insistere nelle loro “opere di militarizzazione e crisi” sui territori.

    • Intendevo offtopic l’addentrarsi troppo qui in un caso giudiziario, che però hai ragione è forse uno spunto per riflettere sul come si possa lottare e anche sul “quanto”; lo scollamento tra chi pensa che il massimo del conflitto sia uno striscione irriverente in un corteo e chi invece si spende in toto, mettendo a rischio se stesso, è emblematico. Senza pretendere che ciascuno decida di mettere in conto botte o galera, credo che il contesto attuale richieda una consapevolezza tale da creare quella che qui chiamiamo “complicità “, ossia una diffusa e pensata presa di posizione per cui, davanti a uno stato che è violento e despote, si prenda atto che legge e giustizia divergono e i compagni che decidono di andare oltre alla legge (ma non oltre la giustizia) sono da sostenere fattivamente. Per tornare al caso in oggetto ed esemplificare: i 4 ragazzi notav oltre alla solidarietà attraverso comunicati, lettere e manifestazioni, hanno avuto anche un legal team (in parte pro bono in parte pagato dal movimento) un minimo di denaro recapitato mensilmente (sempre mandato da noi, ché in carcere non si vive gratis) e quando si è potuto gli si è fatto arrivare anche cibo cucinato nei presidi. Far fronte comune, essere solidali nelle differenze di approccio e anche di orizzonte politico è dinamica da cementare ed implementare .

  15. […] odierna suggerisco di leggere questa importante proposta del collettivo di scrittori Wu Ming: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=19913) e – addirittura! – i “cittadini”; ma viene fatto solo per far vedere che […]

  16. … e puntuale come un intercity (cioè con una settimana di ritardo) ritorna su tutte le prime pagine la narrazione tossica del “pericolo terrorismo” legato all’alta velocità.
    A nulla importa che ad oggi non ci sia nessun legame tra l’incendio di Bologna e la Val Susa, tanto basta per fare 2+2 con articoli di questo tipo:
    http://bologna.repubblica.it/cronaca/2014/12/23/news/incendio_doloso_in_una_stazione_di_bologna_treni_fermi_il_quarto_sabotaggio_in_un_mese-103561396/?ref=HREA-1#gallery-slider=103579844
    Quali sarebbero le scritte NO TAV rinvenute sul posto non è dato sapere, notare però con quale enfasi viene ripresa la parola “sabotaggio” nell’articolo e vengono ripresi in bella mostra dei Throw-up che ricordano vagamente la parola tav.
    Gli inquirenti avranno scoperto i pericolosi NO TAG?

  17. NO TAG è geniale. Comunque, l’atto credo che sia un atto di sabotaggio nei confronti delle ferrovie. Matrice impossibile da stabilire, come il movente. Attenzione però a non farci catturare dal complottismo più “esasperato”. Questi atti, a me, non sembrano rispecchiare un copione da “strategia della tensione”, che prevede ben altre cose. Il problema di chi vuole vincere questa lotta resta, comunque, quello di non rimanere schiacciato dalla criminalizzazione e comunque di creare un piano politico e di mobilitazione collettivo che spsti l’asse del dibattito. Chissà se UGO non possa diventare uno strumento in questo senso…