«L’unione di terra e sangue può solo far venire il tetano».
Questa frase di Karl Kraus ci è tornata in mente una ventina di giorni fa, vedendo le cupe foto di un manipolo di neofascisti italiani salito sul Monte Učka – la vetta più alta dell’Istria – per lasciarvi un messaggio revanscista, vittimista e blut und boden.
Pensando a quella tetra pagliacciata, alcun* compagn* di Alpinismo Molotov hanno deciso di fare un’incursione in quelle lande ed eseguire un rituale che “disinfettasse” la vetta. Sono partiti ieri mattina dal Carso triestino, in nove. Hanno raggiunto la vetta e l’hanno “defascistizzata”. Qui sotto, un breve dispaccio e alcune immagini. Un racconto più dettagliato sarà pubblicato nei prossimi giorni sul blog Alpinismo Molotov.
⁂
A Sinistra del P*rcod*o.
Questa la conclusione a cui giunge Tuco in vetta all’Učka riguardo alla sua collocazione politica, raggiunta attraverso il suo peculiare background familiare. #AlpinismoMolotov risponde così, attraverso Tuco, alla domanda identitaria che pende su questa montagna croata.
–
L’Učka o Monte Maggiore, massima vetta dell’Istria, è una montagna che infatti sconta – come altre – una pesante cappa identitaria tossica, una sovrastuttura artificiale pesante e brutta come gli antennoni piazzati sulla cuspide. Sarà colpa di quel Carnaro, o Kvarner, o Quarnero, che rimiriamo a est e che secondo Dante chiude l’Italia e i suoi termini bagna e je fa il bidet… Non importa se queste contrade parlano croato ciacavo o istrorumeno ciccio, per colpa di una cazzo di rima questa povera cima oltre a un discutibile traforo e orribili installazioni radio-TV deve vedersi sfilare sopra oscene parate, come quella di Casapau del 9 febbraio 2014, venuti qua a inneggiare al sangue italiano e ai martiri di e-allora-le-foibe, sventolando tricolori.Il bello è che nel loro stesso comunicato scrivono «Quel Tricolore che per istriani, fiumani e dalmati è stato causa di morte o di esilio è stato nuovamente alzato nel cielo dell’Istria».
Tutto vero, niente come quel tricolore in questa terra ha portato altrettanta morte, divisione e lacerazione. Soprattutto qui nell’Istria Orientale dove troneggia l’Učka e che nella sua storia ha udito ben poche parole di italiano e non solo, gli italofoni che abitavano qualche miglio più a sud edificarono la Repubblica Sovietica di Albona nel 1921. Altro che Casapau.
–
Storie che vengono evocate dal passo oratorio della spedizione #AlpinismoMolotov in questo primo giorno di marzo del 2015, che riporta in vetta la complessità di queste terre contro le stupide rivendicazioni degli eredi di quella stagione politica che a queste stesse contrade tanta sciagura portò.
Siamo una buona parte della componente orientale della Spedizione TriglavMolotov dello scorso 16 agosto: io che sono @MisterLoFi, Tuco, @rikutrulla, @alessandro2412 (che porta in dono una splendida versione del nostro logo) a cui si è aggiunta la sua compagna Barbara, Vigj, @Scalva, Federico e @ciopsa. Siamo in nove.
Proprio Vigj ha la trovata decisiva per defascistizzare a dovere la vetta dopo la demenziale sortita dei fasci del 3° millennio. Un’intera biblioteca portata in vetta, un’intera biblioteca perché conoscere e far conoscere la storia è il modo migliore per combattere il fascismo, figlio e padre di Ignoranza e Slogan. Ecco i titoli (nella foto in apertura, da sinistra a destra):
In Spagna per la libertà. Antifascisti friulani, giuliani e istriani nella guerra civile spagnola 1936-1939 di Marco Puppini
La Scintilla Zapatista di Jérôme Baschet
Lotte contadine nel Friuli orientale 1891 – 1923, di Renato Jacumin
Fucilate i fanti della Catanzaro, di Marco Pluviano e Irene Guerrini
Cime irredente di Livio Isaak Sirovich
Battaglione Alma Vivoda di Marietta Bibalo, Aldo Soia e Paolo Sema
Operazione “Foibe”: tra storia e mito, di Claudia Cernigoi
Ma non ci facciamo mancare nulla e abbiamo anche la nostra nemesi: sulla strada innevata per la vetta si materializza lo spettro de “il porco fascista”.
Ecco però comparire Scaramouche che con lo Spirito di Marat e il suo gran naso neutralizza rapidamente l’intruso!
Sul cippo della vetta può ora risplendere la scritta SFSN. Si legge: Smrt fašizmu, sloboda narodu.
Dopo le facezie, però, discesi dal monte, una parte del gruppo raggiunge l’abitato di Lipa, ora sul confine sloveno-croato. Ci rechiamo in pellegrinaggio, maschere e prese per il culo rimangono in bagagliaio. Veniamo a commemorare 269 tra donne, vecchi e bambini massacrati dalla Wehrmacht con la collaborazione italiana il 30 aprile 1944.
–
–
[Foto di Barbara, Lo.Fi., Rikutrulla e Scalva]
Vi ringrazio per il vostro passaggio a Lipa e per l’omaggio che avete reso alle vittime di 71 anni fa, per qualcuno storie vecchie da dimenticare per qualcuno altro storie vecchie da infangare e strumentalizzare. Per me storie da far conoscere e da narrare. Se siete andati a Lipa voglio credere che un po’ sia dovuto anche al reading musicale che è andato in scena più volte a Trieste. Non sono uno storico e non ho nessuna verità in tasca però sinceramente dalle ricerche che ho fatto credo che sia difficile pensare che nella strage non siano stati coinvolti in nessun modo i fascisti italiani e che sia opera solo dei tedeschi. In rete gli unici documenti che scagionano in qualche modo i fascisti sono quelli in lingua italiana.
Quando sono andato a Lipa, nel 2010 con l’idea di scrivere qualcosa su questo episodio sconosciuto ai più, devo confessarvi che mi sono sentito a disagio in quanto italiano. Era domenica è il paese era deserto, erano tutti in chiesa. Io e mia moglie stavamo guardando da fuori il memoriale, quando tutte le persone sono uscite e sono venute verso di noi. Ho dimenticato di colpo tutte le domande che volevo fare e pensavo solamente al fatto di essere un intruso, una persona non desiderata, non voglio arrivare a dire nemico, ma per un attimo mi sono pentito di essere lì. Badate bene che un pensiero del genere a Trieste, prima della partenza, non mi aveva nemmeno sfiorato. E’ stato proprio esser in paese, legger quel “TALIjANSKi” e tutto il resto a farmi pensare che essere imbarazzati per essere italiani, anche se antifascisti, forse non era così fuori luogo.
A farmi capire invece di esser fuori strada è stato per primo il signor Valencich sopravvissuto alla strage perché era fuori dal paese. La sua famiglia, madre padre e sorella venne sterminata. Si ricordava ancora qualche parola d’italiano, che mi ha precisato con vigore, era stato costretto ad imparare ma erano proprio poche parole e la comunicazione, per me che non conosco il croato, è stata difficile. La seconda persona che mi ha fatto capire che i miei timori, in quanto italiano, erano esagerati è stata la curatrice del piccolo museo di Lipa la signora Danica Maljavac che, nonostante si stesse allestendo proprio a lato dell’edificio che ospita il museo un pranzetto collettivo (a cui siamo stati invitati), ha aperto solo per noi il museo e nonostante parlasse l’italiano peggio del signor Valencich e nemmeno una parola d’inglese ci ha fatto da guida. Io ritengo questa signora la fonte più autorevole per capire cosa sia capitato a Lipa il 30 aprile del 1944. Sua nonna scampò alla strage perché fortunatamente fuori dal paese in quel tragico pomeriggio di sangue, e, al contrario di altri suoi compaesani era disposta a parlare di quello che era successo, perlomeno nei giorni immediatamente successivi alla strage, quando ritornò in paese. La signora Danica poi, fin da giovanissima si è dedicata alla ricerca di notizie riguardo quel giorno a partire dall’identificazione certa e del numero delle vittime. Ricerca durata anni. Se non sbaglio si è definito il numero di 269 vittime solo negli anni ’80.
Uno degli aspetti più tremendi di questa strage è che una grossa parte degli abitanti del paese (solo donne, vecchi e bambini) fu incolonnata e anziché esser deportata, come avveniva di solito è stata rinchiusa e stipata in un unico edificio, il numero 20 a cui è stato data fuoco e sono tutti morti arsi vivi. Una crudeltà che facciamo difficoltà a capire come possa esser messa in atto. Quindi Lipa non è solo una strage, non è solo una strage dove su 269 persone, 121 erano bambini è anche una strage perpetrata in maniera talmente crudele e vigliacca da far rizzare i peli quando la si ascolta per la prima volta. Eppure resta un episodio ancora praticamente sconosciuto.
Uno dei motivi per cui ho scritto Lipa (il reading musicale) è ovviamente proprio questo oltre a quello di cercare di indagare nell’animo umano e capire cosa possa spingere dei soldati o dei miliziani o comunque degli uomini armati ad uccidere a sangue freddo un civile inerme magari un bambino. Sembra una cosa così lontana da noi e invece continua a capitare in ogni conflitto, anche oggi a 71 anni di distanza.
E comunque ancora oggi si cerca in qualche modo di tenere alla larga da questi avvenimenti, gli italiani cercando di dimostrare lo loro estranietà.
Proprio per questo vi linko questo articolo
http://www.rigocamerano.it/testodecleva13.htlm.html
uscito proprio nel giorno del 70° anniversario della strage e giorno della prima assoluta di Lipa presso la casa della Musica di Trieste.
E’un aggiornamento di un articolo che avevo letto in passato ma che in questa versione mi era sfuggito essendo appunto uscito quando lo spettacolo era già bello che pronto e le mie ricerche terminate. Ma fa bene ogni tanto per me “googlare” -Lipa 1944- per vedere se c’è qualche novità e anche se di rado qualcosa viene fuori.
In questo articolo si scagionano praticamente gli italiani dalla partecipazione dell’eccidio (nonostante si dichiari che un’abitante del paese sia stata “graziata” da una camicia nera che a quel punto non si capisce a quale titolo fosse presente nel paese).
Poi c’è il carabiniere italiano che “avverte” gli abitanti di Lipa con parole che sembrano più minacce che consigli. Si usa la curiosa frase: “Purtroppo l’attacco non viene svolto in maniera militarmente corretta: il paese di Lipa viene circondato e ogni civile che si trova in strada e sui campi viene ammazzato” dove una mattanza viene definita un’operazione non militarmente corretta. E se notate non viene mai scritto in maniera diretta l’episodio dell’edificio numero 20. Poi le testimonianze (tra l’altro a caldo nel marzo 45) che gli italiani non c’entrano viene data da un amico del Tenente Piesz, che era a capo del presidio fascista di Rupa. Ovviamente non la si può considerare sopra le parti.
In ogni caso, almeno nel mio spettacolo, non mi è interessato dimostrare che gli italiani, i fascisti, ci fossero oppure no, perché in fondo potrebbe essere anche irrilevante.
Quello che però bisogna ostacolare oggi sono i tentativi di chi vuole sempre e comunque far uscire puliti i fascisti mettendo in primo piano la loro italianità più che la loro appartenenza politica (vedi anche se alla voce vittime oltre che carnefici) e questo non possiamo accettarlo.
Concludo con un quesito. Avevo letto che il governo Croato aveva stanziato dei soldi per un ampliamento del museo. Chiedo agli amici che hanno visitato Lipa se ne hanno avuto notizie a riguardo.
Un saluto a tutti e vi ricordo che i prossimi appuntamenti con Lipa, il reading musicale, sono ad Opicina (Trieste) sabato 28 marzo alle ore 20.00 al Teatro Tabor e giovedì 23 Aprile a Muggia (Trieste) alle ore 21.00.
Beppe Vergara
Ciao Beppe, ti rispondo io in quanto “organizzatore” della spedizione. L’idea del passaggio a Lipa è stata di Tuco e come forse ricorderai quel 30 aprile eravamo entrambi in prima fila alla Casa della Musica, proprio di fronte alla cantante dei Bachibaflax, quindi direi proprio che è impossibile non riconoscere l’influenza della tua bellissima drammatizzazione teatrale sulla nostra scelta. Peraltro un’ottima lezione sull’uso della fiction e dei registri teatrali per raccontare un crimine contro l’umanità come lutto collettivo, universale. Una lezione che Cristicchi (ma forse dovrei rivolgermi più a Bernas e Calenda) farebbe bene a imparare.
La nostra a Lipa è stata una toccata e fuga, non abbiamo visitato il museo (anche perché – shame on me – ne ignoravo l’esistenza e la collocazione), quindi ahimé non saprei rispondere alle tue domande.
Molto interessante il testo che hai linkato di Rudi Decleva, non tanto dal punto di vista storico quanto da quello antropologico. Se è lo stesso Rodolfo Decleva che conosco io trattasi di un esule fiumano e, sebbene sia sempre mirabile lo sforzo da parte di un membro di un gruppo sociale così nazionalizzato di occuparsi di sofferenze “altrui”, trovo emblematico e grottesco impostare la ricerca sulla base della nazionalità delle vittime o allo scopo di dimostrare l’assenza di responsabilità italiana, un’ottica tutta contraria a quella auspicata nella domanda n° 4 delle FAQ sul giorno del Ricordo. Un grottesco involontario che emerge anche nell’impostazione “nazionale” della recente mostra sul disastro minerario di Arsia curata dal circolo culturale Istria. Attenzione perché Decleva e il circolo Istria sono i “progressisti” se non proprio gli eretici del mondo esule, i pochi che in tempi non sospetti leggevano e parlavano di Tomizza per dire, ma evidentemente alcune tare le possono superare solo le nuove generazioni. Qui Livio Dorigo, il presidente del Circolo Istria, lamenta l’indifferenza della società civile europea verso i nuovi esodi ma lui stesso rimane prigioniero dell’identitarismo quando afferma che bisogna essere innanzitutto cittadini della propria terra e quindi avere una propria sicura identità perché allora si possono attraversare i confini senza timore di perderla, rimanendo se stessi. Anche se capisco cosa vuole dire non sono d’accordo sui termini, non è questa la soluzione. L’identità deve essere inclusiva non un baluardo esclusivo per rimanere sè stessi, bensì una consapevolezza delle proprie origini miste che induce ad essere pronti a nuovi meticciati. Un errore di prospettiva che secondo me gli impedisce di riconoscere i contenuti tossici del giorno del Ricordo che rendono assolutamente inadatta questa solennità a fungere da ponte interculturale.
Peraltro dal testo di Decleva, per quanto si sforzi di assolvere gli italiani, emerge secondo me chiara la responsabilità fascista, anche se non come esecutori materiali del massacro. La giustificazione secondo la quale se non avessero collaborato sarebbero finiti male mi pare francamente inaccettabile. Se si seguisse sempre questa logica nessuno sarebbe mai colpevole di niente.
Mi scuso per il ritardo nelle risposte ma volevo solo dire che mi sento onorato del fatto che la messa in scena del mio testo vi abbia in qualche modo condotti a Lipa anche fisicamente.
Quello che mi fa tristezza (e rabbia) in chi strumentalizza questi eventi è il fatto che di fronte a tragedie simili vale di più uscirne puliti sotto dal punto di vista dell’identità nazionale più che interrogarsi su come sia possibile arrivare a rinchiudere delle persone tra cui tantissimi bambini dentro un edificio e incendiarlo lasciandoli bruciare vivi.
Loro si preoccupano a capire se erano italiani io mi interrogo se quelle persone erano uomini. E in ogni caso la non partecipazione degli italiani a Lipa non è che assolva tutto il resto Africa compresa. Continuo ad usare il termine “italiani” perché usato in modo strumentale da queste persone ma il termine giusto è uno solo: “fascisti”.
[…] Avevamo promesso un resoconto più dettagliato della spedizione che, l’1 marzo scorso, ha simbolicamente “decontaminato” il monte Učka (Istria), dopo che i grigi pajazi neofascisti di Casapau l’avevano irrorato di sostanze nocive quali vittimismo, italianibravagentismo, nazionalismo, antislavismo e, non ultimo, machismo (una passeggiata da niente descritta come un’ascesa eroica, andè ban a fèr däl pugnàtt!). […]
[…] queste storie (ed escursioni) ha toccato anche il paese di Lipa. Su Giap in marzo era comparso il primo resoconto della spedizione sull’Učka (Monte Maggiore) che poi aveva avuto come epilogo, per una parte del […]