Tripoli, suol del dolore. Ieri è oggi

1911. Concime umano per “far fiorire il deserto”

Dopo quello di Wu Ming 1, ecco l’intervento di Wu Ming 2 alla Biblioteca comunale di Rastignano (BO), sera del 17 marzo 2011, centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Prossimamente, metteremo on line anche le trascrizioni (con la bibliografia completa).
Repetita iuvant:
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Buon ascolto.

– § –

TRIPOLI, SUOL DEL DOLORE. IERI È OGGI (59’21”)
Cos’ha davvero detto Massimo D’Azeglio – Il ruolo del colonialismo nel “fare gli italiani”
L’elmo di Scipio da Assab alla Libia
1. Una base nel Mar Rosso – 2. Benedetto Cairoli e lo Schiaffo di Tunisi – 3. Le “spedizioni geografiche” – 4. “Il principio di non intervento” del ministro Mancini – 5. Giosue Carducci: “Armi, armi, armi per la sicurezza!” 6. Dogali 7. Protettorati somali, colonia eritrea 8. La vergogna di Adua 9. Tianjin 10. Rivolte tribali in Somalia.
Guerra di Libia: gli ingredienti della propaganda
1. La Terra Promessa: zolfo & grano 2. Cosa (non) hanno detto Erodoto & Plinio 3. Le aquile di Roma 4. Esportare il Risorgimento 5. Riscattare Adua 6. Fermare Francia & Inghilterra 7. Civiltà o morte 8. Mostrarsi uniti!
Guerra di Libia: le vere ragioni
1. Salvare il Banco (di Roma) 2. Far saltare Giolitti (e il suffragio universale) 3. La Francia s’è presa il Marocco, dunque… 4. “L’Italia nel 1911 si annoiava. Era disgustata di ogni cosa” (G. Salvemini)
Il battage sui giornali
1. Le corrispondenze di G. Piazza e le esplorazioni di Bevione 2. Il cerchiobottismo di Gaetano Mosca 3. Il voltafaccia de “La Voce” 4. Le bugie tripoline
La detection senza quartiere di Gaetano Salvemini
1. Il (falso) carteggio Crispi-Rohlfs-Camperio 2. Anacronismi 3. “Sia-amo i Senussi, sia-amo i Senu-ussi!” 4. Dare i numeri 5. Il misterioso opuscolo di W.J.Dillon 6. Un’impossibile citazione da Nietzsche 7. “Antiveggenza miracolosa” 8. Lo strano caso del sig. Ennio Quirino Alamanni
Fast-forward: 60 anni dopo, le stesse bugie
1. Un “filmgiornale”  RADAR del 1971 2. Cairoli e gli sceicchi 3. Far fiorire il deserto 4. “Il prodigio della laboriosa, intelligente, umana operosità della nostra gente”
Il battage nella cultura popolare
1. A Tripoli! 2. Una strofa troppo spinta 3. Giovannino Pascoli: “O cinquant’anni del miracolo!” – “Son fatti anche gli italiani!” 4. Matilde Serao: la guerra al femminile
Non solo Salvemini: l’opposizione fa fuoco e…parodie
1. Augusto Masetti alla caserma Cialdini: ”Fratelli (d’Italia), ribellatevi!” 2. “Tripoli, suol del dolore!”

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Bibliografia Minima
– G. Salvemini, Come siamo andati in Libia, in Opere III, vol. I, Feltrinelli, Milano, 1963
– I.Nardi, S.Gentili, La grande illusione: opinione pubblica e mass media ai tempi della guerra di Libia, Morlacchi, 2009 (Su Google Books un’ampia anteprima)
– A. Schiavulli, La guerra lirica. Il dibattito dei letterati italiani sull’impresa di Libia, G. Pozzi, 2009

Da vedere (preferibilmente dopo aver ascoltato l’intervento):

Augusto Masetti nel 1964
“A Tripoli!” (canta: Claudio Villa, un… comunista)
Il filmgiornale RADAR del 1971
(nella maschera di ricerca avanzata inserire: i luoghi: “Libia”; gli anni: “1971”)

Un ringraziamento a Manuela Zocca della Biblioteca “Don Milani” di Rastignano (BO), che mesi fa ha avuto l’idea di affidare proprio a noi la serata del 150enario.

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35 commenti su “Tripoli, suol del dolore. Ieri è oggi

  1. Molto bello, divertente e sempre significativo, grazie.
    Sono andato a guardare il cinegiornale Radar.

    Incredibile, da una parte, che possa essere stato fatto nel 1971, quando si inventava l’email, si mandavano le sonde su Marte e i Pink Floyd registravano a Pompei.
    E questi, con quel piglio fonatorio (come da voi sottolineato, quello si d’altri tempi e die hard), rivendicava Tripolitania su retaggio romano.
    Come se dalla Serbia si esortasse all’invasione della Romagna, un tempo terra di conquista di Teodorico il Grande Re degli Ostrogoti.

    Dall’altra ti accorgi che medesimi argomenti e categorie sono attualità assoluta in bocca a… chessò… Frattini?
    Si si, quello il di cui Ministero degli Affari Esteri ancora propone su Web i trattati su “Amicizia pezzotta” e “Autoritarismi con eufemismi” (cfr. http://bit.ly/hCmOdL).

  2. Nel 1971 Gheddafi era andato al potere da meno di due anni e aveva cacciato gli italiani dalla Libia. Il filmgiornale risente di quel clima revanscista: ma come, abbiamo fatto il colonialismo “buono”, siamo stati “brava gente” e voi adesso ci sbattete fuori? Noi italiani ci siamo sempre sorpresi che le ex-colonie non ci volessero bene. Dopo la Seconda Guerra Mondiale facemmo di tutto per ottenere l’Amministrazione Fiduciaria della Somalia. Nel 1948 – mentre le Nazioni Unite dovevano decidere se accontentarci – a Mogadiscio ci fu il massacro di 54 italiani ad opera di nazionalisti somali. Si parlò allora di “eccidio fomentato dagli inglesi”, gente portata apposta dal Nord del paese (ex-Somaliland britannico) in funzione anti-italiana. Ipotesi che hanno anche un loro fondamento, ma che nascono dall’idea che i somali di Mogadiscio ci fossero affezionati.
    Poi venne l’Amministrazione Fiduciaria, tra il 1950 e il 1960. Gli abbiamo insegnato come diventare una democrazia (vedi mo’ che bel risultato, sul lungo periodo…). E se guardi i cinegiornali del 1960, in occasione dell’Indipendenza somala, è tutto un auto-incensarsi perché “s’è mai visto un paese che va così d’accordo con una sua ex-colonia?”
    Abbiamo fatto i ponti e le strade e siamo stati buoni. Un giudizio davvero die hard.

  3. Mi si fa notare che il MAE ha rimosso poco fa le pagine Web citate dal proprio sito.

    Naturalmente Google ne conserva inesorabili versioni cachate:
    http://bit.ly/eKRRKU

  4. @WM2
    Ragione da vendere, un atteggiamento che nei tempi ci è proprio senza soluzione di continuità.

    A proposito di esempi ancora più “contemporanei” di auto-compiacimento, Mogadiscio e gente di merda, qualche tempo fa avevo letto questo tronfio articolo da Repubblica, datato 1985, sull’accoglienza riservata a Bettino dal caro Siad:
    http://bit.ly/hufFHy

  5. @Christiano: sulla visita di Craxi in Somalia ho un’intera cartella dedicata nei Segnalibri di Firefox…;-)
    Quindi ti contro-segnalo questo Beniamino Placido d’annata (6 ottobre 1985), con relativo estratto sui cinegiornali di ieri e di oggi:

    http://goo.gl/HAMhM

    Venerdì sera, inopinatamente, su “Canale 5” abbiamo visto uno “speciale” dedicato alla recente visita del Presidente del Consiglio Craxi in Somalia (che si trova in Africa). L’ Italia ha finalmente i suoi cinegiornali, come quelli di una volta: “Con 19 salve di cannone il Presidente Craxi è salutato dalla folla…”. “Il calore e la cordialità sono indescrivibili…”. “Il Presidente Craxi è il primo uomo politico del mondo che si è recato in questo paese di persona, per esprimere una solidarietà che è anche umana…”. E il Presidente Craxi, in persona, ai somali: “Vi saluto con un tipo di saluto che gli italiani hanno inventato e che si è diffuso in tutto il mondo: ciao”. A distanza di cinquant’ anni, venerdì sera, il bambino che è dentro di me si è nuovamente commosso. Sembrava di vedere un vecchio film Luce. Sembrava di essere in Africa. Quella del 1936. Buona domenica. Anzi: ciao.

  6. Grazie anche per la seconda parte, veramente densa di informazioni che col passare del tempo scivolano via se non si fissano bene. In certi momenti mi sono anche divertita, anche se in realta` c’e` poco da ridere. Ho trovato ulteriori conferme su una continuita` storica di certa italianita` che da quando e` spuntato fuori Berlusconi sembra essere dimenticata. Da anni combatto con la gente per fargli capire che Berlusconi non e` la piu` vistosa eccezione, ma semplicemente la piu` vistosa *norma* italiana, ma temo che lo si capira` (forse) solo quando non ci sara` piu`. Stamattina discutevo su twitter con un’amica, partendo da Goodbye Malinconia (stranamente!) del fatto che la nostra generazione e` comunque perdente, perche` al di la` di “botte di culo” personali e circoscritti (avevo scritto originariamente successi, ma successi de che, in questo paese?) la maggiorparte di noi non ha altra scelta che andare via. Io concordo in parte, nel senso che al fondo un po` di speranza mi resta, e penso che restare e resistere siano dei sinonimi, e che infine resistere e` comunque la via, per quanto possa sembrare sbarrata.
    Scusate, devo aver deragliato, eppure tutto si lega.

  7. @sweepsy
    Nell’equazione fuga di cervello = sconfitta vs restare = resistere, sento sopravvivere una retorica antica, da inno di Mameli.
    Nel 1911, un elemento forte della propaganda fu l’immagine dell’italiano che da emigrante proletario, percosso e deriso, doveva trasformarsi in colonialista, padrone a casa d’altri.
    Ora è chiaro che la situazione è molto diversa, che la protesta e la rabbia sono sacrosante, però non vedo perché migrare dev’essere considerato sempre e comunque come un insuccesso. Anche la fuga può essere una forma di resistenza.
    La débacle dell’Italia secondo me non si misura solo con il numero dei cervelli espatriati (che a livello ideale considero pure un dato positivo), ma con l’infimo numero di cervelli importati. Nel saldo di questo particolare import/export di laureati e ricercatori, siamo agli utlimi gradini in Europa.

  8. Sono d’accordo che andare via != (diverso) sconfitta, soprattutto dal punto di vista personale di chi va. A volte (in effetti pochissime) uno se ne va non solo per disperazione ma perche` gli piace di piu` stare da un’altra parte, magari perche` e` semplicemente piu` adatta al suo carattere e alla sua personalita`. In generale pero` e` una sconfitta per il paese il fatto che se ne vadano spesso le persone piu` preparate e sempre i giovani. Ovviamente unito al fatto che non arrivano quasi da nessuna parte.

  9. @pedrilla
    La retorica in stile “la grande proletaria s’è mossa” proprio questo faceva: invece di individuare la sconfitta nella cause dell’emigrazione, la attribuiva al fatto di doversene andare dal suolo natìo, in giro per il mondo, percossi e derisi. Così la soluzione diventava: non abbandoneremo più il suolo natìo, perché quel suolo lo allargheremo con le colonie, e potremo sentirci a casa anche a Tripoli e a Mogadiscio.
    A volte quando sento l’equazione fuga di cervello = sconfitta mi pare che si mescolino i due piani: l’innegabile sconfitta del paese che non offre niente a giovani preparati e la negabilissima sconfitta dell’andarsene, che a priori non è affatto una sfiga.

  10. Sono d’accordissimo. Penso che spesso quando qualcuno decide di andare o pensa di farlo si mette in un trip mentale sbagliato che lo fa pensare “devo andare via perche` non sono riuscito a farcela qui (avere un buon lavoro, avere un lavoro decente, campare bene, essere sereno, o qualunque cosa uno identifichi con farcela) e questa cosa la vivo come una sconfitta”. Secondo me questo ragionamento e` autolesionista e sbagliato. Ora qual’e` il senso di “vincere” rimanendo? se per rimanere bisogna vivere una vita peggiore di quella che si vivrebbe altrove? dove sta la vittoria nell’avere una vita peggiore? solo nel dire ce l’ho fatta qui dove era piu` difficile che altrove? ma allora questa difficolta` maggiore e` in qualche modo compensata da qualcosa o e` solo un esercizio barocco come non so… provare ad andare in bicicletta pedalando con un piede solo perche` e` piu` difficile?
    Secondo me e` la seconda….

  11. Ma il problema non e` andare via, secondo me. Anzi, chi vuole farlo oggi ha molte possibilita`, e credo sia bene. Il dramma nasce quando si e` costretti perche` non c’e` scelta ne` alternativa. Forse e` lo sguardo meridionale, vedo troppi amici che iniziano salendo al nord perche` giu` non ci sono opportunita`. Io nonostante tutto provo a restare, perche` penso che se posso e` bene fare qualcosa nel posto in cui mi piace vivere, non perche` semplicemente ci sono nata. E nonostante questo mi trovo costretta a continue trasferte periodiche, perche` le opportunita` le trovo fuori, e perche` l’amore (gia`!) lavora al nord. Forse sono troppo coinvolta, ma mi sembra assurdo che una persona con competenze in un settore, che ama fare quelle cose per cui ha studiato, con la possibilita` teorica di lavorare vicino casa, si trova costretto ad andare fuori, e fare tutt’altro, per poter vivere. E non parlo di me. E` retorica da Inno di Mameli questa?

  12. Come è ovvio rispetto la posizione e il sentimento di ciascuno.
    Ma il restare/ resistere mi dà l’orticaria, da sempre. Un conto è sostenere che le fughe siano una sconfitta del paese, ben altro che lo siano dei fuggitivi.
    Se l’equazione fosse reale, qui la rivoluzione ci sarebbe stata da un pezzo. Altro che resistere, un immenso parcheggio di persone, via via sempre meno giovani, ad aspettare che le cose migliorino. E che poi, per forza di cose, si abituano. Si adeguano. Anche perchè, non vedendo il mondo, alla lunga si convincono che così vanno le cose. Ovunque.
    Il culo bisognerebbe muoverlo invece. Accumulare esperienze, conoscenza. E semmai tornare, che si fa sempre in tempo.
    Così come i bei tempi non sono mai esistiti, tantomeno esistono i luoghi perfetti e incantati. Ma quelli dinamici sì, ecchecazzo, dove a trent’anni si può essere professori universitari o ingegneri responsabili di importanti progetti.
    Che se uno li vede e li bazzica un po’ di certo non gli fa male.
    E se torna poi, si incazza pure di più.
    E forse resiste anche un po’ meglio.
    L.

  13. Avevo visto solo i primi commenti sul tema, gli scambi successivi rendono il mio inutile. Meglio.
    L.

  14. @ sweepsy
    No, Sweepsy, questa non lo è. E non lo è perché metti l’accento sulla mancanza di alternative (“costretto ad andare fuori”) e sul “fare tutt’altro”, che è ovviamente frustrante. La retorica da inno di Mameli la sento in molti discorsi “patriottici” sulla fuga di cervelli, come se fosse una sconfitta in quanto tale, salvo poi inorgoglirsi perché il team del tale istituto di ricerca statunitense è guidato da un italiano. Vorrei solo che si evitasse di presentare la migrazione come una sconfitta tout court e i migranti come eterne vittime.

  15. @Wu Ming 2
    Bene, condivido perfettamente. Per spiegarmi ancora meglio, vorrei dire che a me piacerebbe lavorare nel mondo dell’universita`, come ricercatrice. Ci sto provando, anche se le possibilita` sono poche. Vorrei solo che potessi essere io a scegliere se intraprendere la carriera nella mia citta`, in un’altra citta`, oppure dall’altra parte del mondo (o peggio rinunciare). Quindi non intendevo dire che la sconfitta e` andarsene. Puo` anche essere un epic win :) e in molti casi lo e`.
    Tra l’altro sono sicura che molti di quelli che difendono (allmeno a parole) i diritti dei migranti che vengono qui poi rientrano perfettamente in quella retorica patriottica riguardo quelli che da qui partono. Un bel non sense, non c’e` che dire. Credo rappresenti uno dei tantissimi esempi di quanta poca riflessione e discussione seria si faccia.

  16. @luca: “Altro che resistere, un immenso parcheggio di persone, via via sempre meno giovani, ad aspettare che le cose migliorino.”
    Ci credi che io sono giunta esattamente alla stessa conclusione…a proposito dell’andare all’estero? Mi spiego.
    Da quando mi sono laureata ho girato diversi Centri per l’Impiego e agenzie interinali, frequentato laboratori per l’orientamento nel lavoro, parlato con una quantità di persone che si occupano di questi argomenti, chiesto consiglio a professori ecc ecc…e tutti dicono di andare all’estero. TUTTI. Gli sportelli degli uffici pubblici per primi. A loro fa estremamente comodo che noi giovani alle prime armi ci leviamo da qui, siamo solo un problema.
    Va benissimo fare esperienze in altri paesi, vedere come funziona altrove, ci mancherebbe altro. Ma la realtà è che dei parcheggi di cui parli tu, qui, ne sono rimasti ben pochi. I parcheggi adesso sono all’estero, dove qualcun altro si prenderà la briga di farci lavorare, perché qui lavoro non ce n’è. Se poi decideremo di tornare in Italia (se), allora avremo già una professionalità da spendere e saremo più utili e appetibili. Questo discorso l’ho sentito ripetere tante tante tante volte e lo odio.
    Ho una quantità di amici che sono andati a lavorare fuori e a quelli che tengono il timone in Italia va benissimo così, lì non sono un problema, qui lo sarebbero.

  17. Adriana (di rocky),
    credo tu abbia molta ragione, e mi immagino quanto soffocante e frustrante possa essere quella trafila, con annessi inviti e consigli, che elencavi prima. Però la differenza, per me enorme, sta nelle caratteristiche del parcheggio.
    Voglio dire: in italia per tantissimi il parcheggio è proprio stare fermi, non trovare un cazzo da fare, oppure cose lontanissime dalle proprie competenze e pressocchè non pagate. Qui parliamo ormai di milioni giovani e meno che non studiano, non lavorano e manco lo cercano più un lavoro.
    Fuori non ti fanno i ponti d’oro, c’è concorrenza, però hai chances che lo straccio di qualifiche o competenze acquisite trovino un riconoscimento specifico nel proprio settore di riferimento. Questo per me cambia molto. Anche solo in termini di accumulazione di stress e frustrazioni di ogni tipo. Che se poi si traducessero in incazzo collettivo e voglia di lottare e determinazione a scalzare via questa manica di parassiti e gerontocrati mi starebbe anche molto bene.
    Ma i fatti dimostrano che non è così.
    Ti dico una cosa: sono rimasto davvero affranto dall’inabissarsi del movimento prenatalizio di studenti e ricercatori etc. etc… Pensavo, non imparo mai, che non sarebbero andati più via. Pensavo che avessero capito nel profondo che era una lotta per la vita che avevano davanti, non per un merdoso contratto o delle aule meno fatiscenti.
    Ma è l’orizzonte che è stato chiuso. E con esso pure lo sguardo.
    L.

  18. Intanto complimenti per aver colto l’origine del mio nickname (davvero, ho scoperto che per molti è piuttosto oscuro). Hai vinto un pupazzetto di Rambo (i Rocky li abbiamo finiti) :D
    Hai ragione a dire che per molti qui il parcheggio è non fare niente o fare stage su stage. Ma per quanto può durare? Mica possiamo farci mantenere da genitori e nonni in eterno. Io spero che la consapevolezza della situazione ci arrivi prima del momento in cui ci ritroveremo con l’acqua alla gola.
    Se continuiamo ad andarcene, invece, togliamo solo un problema ai maledetti al timone di cui sopra, ed è una cosa che proprio mi da fastidio.
    Il punto è proprio quello che hai evidenziato tu: tradurre stress e frustrazione in incazzo collettivo. Io non sono così pessimista, secondo me ce la si può fare. Anche perché qual’è l’alternativa? Chi le pagherà le pensioni dei miei genitori? Io, dal Canada, dalla Cina o dalla Svezia, mandandogli ciò che avanza del mio stipendio di (a spararla grossa) 2000 euro al mese? Se fossimo l’India, forse, o il Marocco…

  19. scusate se cambio argomento: ho appena letto che in parlamento e’ passata la proposta dell’ IDV di rendere il 17 marzo una ricorrenza ufficiale, da celebrare ogni anno. e’ facile immaginare che il passo successivo sara’ l’ abolizione del 25 aprile (la festa che divide… e giustamente, cio’ che non puo’ e non deve essere unito).

  20. @ Luca
    (Se è off-topic riprendetemi…)
    Ero all’assemblea di cittadini e precari a Bologna in Sala Borsa prima di Natale. Non è esattamente un fatto di ieri, ma io vivo all’estero (ecco, lo dico fin d’ora, ho messo le mani avanti….).
    A parte lo shock, inevitabile dopo un anno e mezzo fuor d’Italia, nel rendermi conto che la stragrande maggioranza degli interventi, soprattutto nei collettivi studenteschi, erano maschili (ma erano le donne a prodigarsi, a lavorare dietro, a spingere i carrelli pieni di materiali volantini e amplificatori). A parte il gelo provocatomi dalle battutine di qualche raccomandato col culo super-corazzato sul mio presunto “privilegio” di cervello in fuga (perché io che campo con l’equivalente di 9,000 euro l’anno sentendomi “ricca” per questo, e che tra obblighi dottorato, insegnamento e ricerca faccio le 13/14 ore al giorno come niente, sono una “privilegiata”, mentre chi è andato avanti leccando culi evidentemente non lo è: ma anche dandola per buona, uno si mobilita solo quando una legge lo tocca direttamente nel portafogli? E poi, non sarebbe opportuno creare un fronte politico tra chi parte e chi resta? E chi torna dove lo mettiamo? Mah…). A parte tutto questo, sono rimasta gelata quando ho sentito il congedo: “Bene, ragazzi, ci vediamo dopo le feste”.
    Feste? Vacanze? Con quali soldi?
    Non voglio fare il discorso retorico del tipo “la rivoluzione non va in vacanza”, per carità, gli affetti e la famiglia sono importanti, credo anzi che la parte più vigliacca di questa precarietà sia che rende le persone incapaci di responsabilità e maturità affettiva: però mi pare evidente la difficoltà di mettersi in gioco direttamente e personalmente, al di là del “carnevale” di un giorno, al di là della contentezza di contarsi e di ritrovarsi.

    Non è tanto o solo un problema di radicalismo, e nemmeno solo di orizzonti ristretti: è anche un problema di passività. Continuiamo (da almeno 2 generazioni) a pensare che il problema sia “chiedere”, chiedere più forte, pestare i piedi. Non capiamo che questo è un atteggiamento infantile, ancor più che passivo: l’atteggiamento di chi non uscirà mai dallo stato di minorità. Che non ha niente a che vedere con l’orgoglio di essere minoritari.

  21. Discussione bella, toccante e – soprattutto – cruciale. Però, al momento, è troppo tenue il collegamento con il post. La “digressione” sulla fuga dei cervelli è partita da un commento al discorso di WM2, ma poi c’è stata una divaricazione. Non sarebbe male cercare, come suggeriva WM2 stesso, le continuità nascoste tra la retorica della “grande proletaria” (ieri) e i luoghi comuni ricorrenti nel dibattito sui “cervelli in fuga” (oggi). L’importante è che quanti vorrebbero intervenire a proposito di patria, Libia, colonialismo, propaganda etc. non si sentano paradossalmente fuori posto, quando invece i temi del post sono quelli.

  22. @valentina:
    Grazie del commento, in effetti rischiamo di andare molto OT, rispetto al tema degli emigranti italiani “percossi e derisi” e della sopravvivenza del tema nel frame “fuga di cervelli”.

    Per questo, vorrei segnalare questo interessante commento al blog di Enrico Franceschini, dove la parodia “Tripoli, suol del dolore” compare nei primissimi scioperi contro la guerra di Libia, a Parma e provincia, settembre 1911, e non, come racconto io in base ad altre fonti, in occasione degli scioperi metallurgici in piemonte dell’aprile 1912.

    http://goo.gl/HWeeB

    Al momento non ho tempo per approfondire meglio la genesi della canzone parodistica, tuttavia il racconto dei “fatti di Langhirano” è un ulteriore, importante tassello, per tracciare una storia della protesta contro il colonialismo italiano e la sua propaganda nel nome di Scipio, dell’Unità d’Italia e dei proletari.

  23. Nei primi due giorni di disponibilità on line, l’intervento di WM2 è stato scaricato 2754 volte.

  24. […] strani incroci, perche` proprio in questi giorni su Giap (nel nuovo formato blog) si e` discusso di fughe di cervelli partendo per la tangente dall’intervento di WM2 su Tripoli e i 150 anni d’Italia. Credo […]

  25. Grazie a @kappazeta ho riletto un vecchio pezzo di Giap, Liberarsi dalla mentalita` del ghetto. In quel testo si dice molto di piu` sulle c.d. fughe di cervelli di quanto i miei interventi possano fare… l’ho ripreso sul mio blog principalmente per altri motivi (stavo giusto notando come twitter sia milione di anni luce avanti rispetto ai media online italiani) e si discettava di provincialismo, cosi` si e` arrivati a giap =) ho anche fatto riferimento a questa discussione, che spero prosegua, ma si sa, i ping fanno un po` quel che vogliono

  26. Bellissimo intervento. Complimenti a Wu Ming 2 !!!

    Ad ulteriore dimostrazione del fatto che la forza della narrazione storica è davvero il migliore antidoto contro la retorica patriottarda.

  27. […] Tripoli, suol del dolore. Ieri e oggi, di Wu […]

  28. Grazie per questi interventi, davvero. Molto lucidi, molto densi, che non se ne vanno via dopo averli ascoltati. (E un grazie al volo anche a Sweepsy – sono io kappazeta ;) – per lo scambio su twitter e il ragionare condiviso).

    Detto questo, stamattina ascoltavo ancora un po’ assonnato la rassegna stampa su Città del Capo e si parlava della posizione subalterna (eufemismo) dell’Italia nella vicenda libica. Posizioni dei vari Paesi, prospettive sull’area, ruolo nell’intervento militare: son robe su cui si dovrebbe ragionare parecchio e mantenere lucidità. Ma per non divagare, ascoltando le notizie dei giornali di oggi, notavo parallelismi storici: in questo nuova forma di colonialismo – o colonialismo che prosegue con altri mezzi, che dall’altra parte del mare l’effetto è sempre morte ed espropriazione di ricchezza, risorse e autonomia – c’è l’Italia che scalpita sempre per cercarsi il suo posto al sole, la sua prima linea, le sue colonie. E mentre Francia e Inghilterra sono geopoliticamente determinate e attive, l’Italia, per manifesta incapacità, tentenna, rivendica, sbraita, cerca una via per rivendicare la pari dignità coloniale di francesi e inglesi. Sia chiaro: non sto dando un giudizio di valore sull’azione politico/militare. All’intervento sono contrario e su quanto avveniva in Libia ho avuto dubbi da subito. Nel ripetersi di questa storia coloniale, le tinte sono quelle della farsa (banalità, lo so), ma del resto al ministero degli Esteri abbiamo Frattini: serve altro?

  29. Oggi, nel sistemare alcune cartelle del computer, m’è tornata sotto gli occhi la scaletta di un racconto, intitolato “Forse Italia”, che m’ero ripromesso di scrivere tre anni fa, con un certo anticipo sull’anniversario dell’Unità d’Italia. L’intreccio ruotava intorno al fatto che le celebrazioni del 1861 si sono sempre svolte con una guerra sullo sfondo. Nel 1911 la Libia, nel 1961 il Congo (con la dimenticatissima strage dei 13 aviatori italiani a Kindu) e per il 2011 mi immaginavo il Turkmenistan (sulla falsa riga di Libera Baku Ora).
    Ad averlo scritto, avrei sbagliato di poco.
    Forse Italia.

  30. L’ho ascoltato oggi. Complimenti a Wu Ming 2: non dev’essere stato facile realizzare un’esposizione così densa e complessa in modo così avvincente. Dura un’ora, ma all’ascolto sembrano pochi minuti. Grazie.

  31. L’Estero…

    Questo post trae ispirazione da un’intensa discussione emersa su Giap, nella quale sono venute fuori questioni cruciali per il presente di un’Italia che sembra sperimentare, nelle ultime settimane, nel bel mezzo di una crisi istituzionale gravissim…

  32. […] Sul come e il perché eravamo andati in Libia, rimando anche alla seconda parte della conferenza di Rastignano, Tripoli, suol del dolore (Ieri è oggi). […]

  33. […] in quante altre città la toponomastica ricorda i tempi in cui la Libia era “nostra”. Nel 1911 festeggiammo il cinquantenario dell’Unità d’Italia invadendo quelle terre; solo vent’anni dopo terminammo di “riconquistarle”; dieci anni dopo le riperdemmo (ma nel […]