[Il 22 Maggio a Modena si terrà il più importante convegno su J.R.R.Tolkien che sia mai stato organizzato in Italia. Il merito dell’iniziativa è dell’Istituto Filosofico di Studi Tomistici di Modena e dell’Associazione Romana di Studi Tolkieniani, che da alcuni anni curano una collana su Tolkien per le edizioni Marietti 1820, dopo avere aggregato un gruppo di studiosi italiani dell’opera del professore di Oxford.
Pubblicando per la prima volta in italiano i testi dei più grandi esperti di Tolkien nel panorama internazionale, l’Istituto ha guadagnato sul campo la credibilità necessaria per invitarli in Italia a parlare di “Tolkien e la filosofia”. Nessun’altra realtà italiana, nel corso degli ultimi quarant’anni ha mai potuto aspirare a tanto. Colpa del provincialismo nostrano; colpa dello snobismo di certa critica di sinistra e della mistificazione dei commentatori di destra, paradossale connivenza che ha ostacolato la nascita di un dibattito serio, non pregiudiziale e non ideologico, su uno dei più famosi narratori del secolo scorso.
Era ora che anche a sud delle Alpi iniziasse a tirare un’aria diversa. C’è un gran bisogno di areare il locale, spazzare via la polvere, le incrostazioni pluridecennali, i ricordini rinsecchiti lasciati da un paio di generazioni di sedicenti cultori dell’opera di Tolkien. Comincia così la nuova era per la Terra di Mezzo e per il suo creatore.
Tra i partecipanti italiani al convegno ci sarà anche Wu Ming 4, che interverrà nel primo panel pomeridiano. La scelta di invitarlo è dovuta soprattutto a “meriti artistici” – cioè al romanzo Stella del Mattino (Einaudi 2008) in cui Tolkien compare come uno dei personaggi principali -, ma anche alla serie di articoli e interventi collezionati negli ultimi anni (vedi i link in calce a questo post).
Qui di seguito pubblichiamo un articolo (scritto appositamente per Giap) di Roberto Arduini, giornalista de “l’Unità” e membro dell’A.R.S.T., che fornisce una panoramica molto utile a contestualizzare il convegno di sabato prossimo.]
TOLKIEN E I CRITICI
Letture e disletture del Signore degli Anelli
di Roberto Arduini
LA CRITICA E L’AUTORE
Nel terzo canto dell‘Eneide, Enea, approdato a Butroto, ritrova Andromaca, vedova di Ettore e ora moglie di Eleno, il quale ha ricostruito in quella terra un duplicato di Troia, un simulacro della città distrutta: con l’arca di Pergamo, la Porta Scea, perfino un altro fiume Xanto. Parvam Troiam simulataque magni Pergama: «Riconosco una piccola Troia, una Pergamo che imita la grande».
Il passaggio, enigmaticamente suggestivo, un po’ nascosto nelle pieghe del poema, viene in mente se si pensa al rapporto che intercorre tra la critica e il suo oggetto – poesia, romanzo, racconto che sia. Sembra una specie di metafora, confusa forse, ma stimolante. La piccola Troia è il doppio di quella che non c’è più. Per i superstiti esuli, essa riproduce l’originale ma non lo ricalca perfettamente. Perché la città-simulacro nascesse, è stato necessario che qualcosa venisse ad aggiungersi: la caduta e la distruzione della grande Troia, la fuga, la memoria di ciò che è andato perduto, anche la dimenticanza. Insomma, tutta un’esperienza fondamentale, senza di cui l’una e l’altra Troia perderebbero di valore.
Anche la critica, in qualche modo, simula l’opera presa in esame quando la interpreta, dopo averla perlustrata a fondo e ricostruita attraverso la lettura e la susseguente scrittura; ma anche l’atto critico introduce un’esperienza originale: quella lettura e quella scrittura, il lavoro che è così prodotto e che si incorpora al testo. La critica, in sostanza, si definisce proprio rispetto a questo lavoro, a questa esperienza. Essa non è mero rispecchiamento servile, oggetto subordinato aggiunto a quello primario.
È nella natura delle grandi opere letterarie attrarre critici di alto livello e studi di riferimento, non a caso chiamati nei Paesi anglosassoni “letteratura secondaria”, che divengono bagaglio imprescindibile per le opere stesse. Se è vero che James Joyce disse di aver scritto Finnegans Wake “per tenere impegnati i critici nei prossimi trecento anni”, è vero anche che il libro è rivolto, dirà ancora, a “un lettore ideale affetto da un’ideale insonnia”. Così le opere dello scrittore hanno trovato i suoi Richard Ellmann e Stuart Gilbert, come Fëdor Dostoevskij ha trovato il suo Joseph Frank, Vladimir Nabokov il suo Brian Boyd e J.R.R. Tolkien i suoi Tom Shippey e Verlyn Flieger.
LETTURE DI TOLKIEN
Proprio quest’ultimo caso può aiutare a spiegare come per ogni opera ci sia un periodo di riflessione, in cui si può dire che l’opera ha bisogno di essere “metabolizzata”. Tolkien è un autore scoperto relativamente tardi, a scoppio ritardato. Quando Il Signore degli Anelli fu pubblicato, ebbe degli estimatori della prima ora, come lo scrittore e amico C.S. Lewis e il poeta W.H. Auden, che scrisse lodi che misero in imbarazzo lo stesso Tolkien, ma in linea di massima fu poco compreso. In seguito, però, si è sviluppato un dibattito a livello internazionale. Sull’opera letteraria e accademica di Tolkien sono stati versati fiumi d’inchiostro da parte di studiosi, con testi divulgativi e specialistici, tanto che la letteratura secondaria ormai riempie decine di pagine di bibliografia. Dal 2004, in America, esiste perfino una rivista accademica di studi tolkieniani. Cos’altro serve per poter definire un’opera letteraria come questa, dopo quasi sessant’anni di vita sugli scaffali, un “classico”? Tolkien, a quanto sembra, è stato più che mai controverso e incompreso, capace di suscitare come autore lo stesso apprezzamento popolare e la stessa ostilità critica che accolsero la prima pubblicazione del Signore degli Anelli.
La letteratura accademica e critica su Tolkien può essere passata in rassegna utilizzando vari criteri. Seguendo un criterio cronologico, per esempio, si possono identificare quattro fasi, in parte coincidenti. La prima è caratterizzata dalle recensioni dei libri dell’autore, soprattutto quelle che riguardano Il Signore degli Anelli (1954-55). Sia che l’estensore fosse rapito o che fosse respinto dal libro, le recensioni, insieme alle reazioni e alle contestazioni che immediatamente suscitarono (in alcuni casi da parte dello stesso Tolkien), delinearono la struttura delle polemiche successive.
La seconda fase, che coincide con il “culto” di Tolkien degli anni Sessanta e la successiva reazione contro di esso, hanno dimostrato come la critica letteraria del Novecento, portando lentamente la sua attenzione su Tolkien, cercasse di valutare le sue pretese di artista: testi chiave furono pubblicati in questo periodo, dai saggi raccolti da Isaacs e Zimbardo nel 1968 a The Master of Middle-earth di Paul Kocher (1972).
Un evento chiave della terza fase fu la pubblicazione nel 1982 di The Road to Middle-Earth, di Tom Shippey, libro che ha decisamente rivoluzionato l’approccio critico a Tolkien, insistendo, in controtendenza rispetto alla teoria della “morte dell’autore” allora dominante nella critica letteraria, ad avvicinare gli scritti di Tolkien partendo dall’autore, attraverso la comprensione della sua formazione filologica e della sua riflessione su lingua e letteratura. Nel frattempo, le pubblicazioni di Humphrey Carpenter fornirono un quadro abbozzato della vita dell’autore, mentre vennero raccolte e pubblicate le sue lettere e i suoi principali saggi critici. Nell’anno del centenario della nascita di Tolkien (1992), erano state così gettate le basi per un’adeguata comprensione dell’opera del professore di Oxford.
La quarta e più recente fase (dal 1993 a oggi) è difficile da delineare, con l’enorme numero di volumi pubblicati, che in un solo anno superarono la quantità di tutto il decennio precedente. Soprattutto dall’inizio del nuovo millennio, la popolarità della trilogia dei film di Peter Jackson sul Signore degli Anelli è stata un potente stimolo per nuovi saggi critici, ma tra i fattori di lungo termine che hanno influito sulla produzione di letteratura secondaria sono da includere anche lo sfruttamento sistematico delle opere di Tolkien da parte della casa editrice Harper Collins (si parla di un libro “inedito” ogni due anni circa), e il ruolo svolto dalla Tolkien Society inglese e dalla Mythopoeic Society americana come riferimenti per convegni e riviste specializzate. Inoltre, ci sono segnali che sia giunta al termine l’esclusione silenziosa di Tolkien dall’accademia, forse perché la sua rilevanza culturale difficilmente può essere negata, anche se il suo valore letterario è ancora messo in discussione.
Un diverso criterio di classificazione della critica letteraria su Tolkien fa riferimento alla metodologia adottata. Alcuni studiosi, come già osservato nel caso di Shippey, hanno puntato su un approccio all’autore che prende le mosse dalla sua formazione accademica nel primo quarto del XX secolo: l’analisi delle sue opere letterarie rientra allora nelle letture caratteristiche della Storia letteraria (le opere di Tolkien sono state analizzate evidenziando come egli fosse un erede del Romanticismo, un membro degli “Inklings”, un cattolico, o uno scrittore della Grande Guerra); oppure il suo lavoro è stato trattato come fonte di saggezza morale, religiosa o politica.
Altri critici hanno seguito la dottrina modernista secondo la quale un’opera letteraria deve essere analizzata in modo indipendente dall’autore o dall’ambiente storico, preferendo invece una poetica che si basa principalmente sulla narrazione, sulle immagini e sulla retorica del testo. Se c’è un fondamento a un approccio essenzialmente estetico come questo è nel brusco rifiuto da parte di Tolkien di una critica biografica («Sono contrario alla tendenza attuale della critica, con il suo eccessivo interesse per i dettagli delle vite degli autori e degli artisti. Questi non fanno altro che distogliere l’attenzione dalle opere di un autore […] e finiscono, come si può spesso constatare, per costituire il motivo principale di interesse», Lettere n. 213), e nella sua insistenza sul fatto che nel suo lavoro non ci fosse l’intenzione di trasmettere un messaggio specifico ai lettori, ma «il motivo primo è stato il desiderio di un narratore di provare a cimentarsi con una storia veramente lunga che potesse attirare l’attenzione dei lettori, divertirli, deliziarli, ed a tratti anche eccitarli o commuoverli» (Prefazione, Il Signore degli Anelli). La predilezione per il dettaglio da parte di Tolkien, che lo portava a rivedere continuamente i suoi testi, è però ben lungi dall’ideale cristallizzato auspicato dal modernismo, e la tendenza di quest’ultimo verso un’ironia pervasiva deve essere accantonata per permettere di inquadrare bene lo scrittore.
Ancor più ostiche a Tolkien, che scrisse soprattutto letteratura fantastica, sono state le applicazioni sociali della narrativa realista, di orientamento marxista, che ha influenzato la critica letteraria negli anni successivi alla pubblicazione del Signore degli Anelli.
La teoria della critica letteraria post-anni Sessanta, post-modernista, post-marxista, è stata relativamente improduttiva per quanto riguarda Tolkien. Le uniche eccezioni sono state la teoria psicanalitica, che ha estratto dall’opera dello scrittore simboli e archetipi, e la critica femminista, che ha esplorato la presentazione dei personaggi femminili e degli stereotipi di genere. È ancora tutto da dimostrare il potenziale degli “studi culturali” di produrre un’analisi organica dei fenomeni culturali derivanti dal lavoro di Tolkien. Vi sono tuttavia recenti lavori promettenti in un certo numero di settori. L’analisi dello stile, o degli stili, di Tolkien è ancora poco sviluppata ed è probabile che essa sarà incrementata sensibilmente se si applicheranno le tecniche della linguistica contemporanea. Vi è anche un crescente riconoscimento del ruolo svolto da Tolkien nella storia intellettuale, più sottile di quanto possono suggerire qualsiasi etichetta o assegnazione a una “scuola letteraria”, e non limitabile solo al suo debito nei confronti delle fonti medievali. La rivista annuale Tolkien Studies, inaugurata nel 2004 da Verlyn Flieger e pubblicata dalla West Virginia University, si appresta probabilmente a ospitare i lavori in questi campi, così come il consolidamento delle altre aree di studio sullo scrittore inglese.
Seri studi su Tolkien ormai appaiono accanto a collane di critica letteraria, pubblicati da case editrici accademiche, come la Kent State University Press, la Oxford, la Cornell e la Routledge Press. E sono nate anche case editrici specializzate soltanto in letteratura secondaria su Tolkien, come la Walking Tree Publishers, che ogni anno promuove convegni internazionali sull’autore in collaborazione con l’università di Jena, in Germania.
L’ITALIA: TRA STASI E DISLETTURA
Di tutto questo si è mai sentito parlare in Italia? Purtroppo, no. Per oltre trent’anni il panorama è rimasto piatto e immobile, a causa del disinteresse di alcuni critici e della “dislettura” di altri, uniti nel proporre un’immagine “politically oriented” di Tolkien, dottrinaria, “tradizionale”, quasi esoterica: si sviluppa così una lettura in chiave simbolica del romanzo, con l’applicazione di categorie desunte da uno dei più influenti pensatori dell’estrema destra, Julius Evola. La cultura «alta», nel frattempo, considerava l’autore disimpegnato e marginale. Mancava completamente, in quegli anni, un lavoro critico che potesse illuminare l’universo creativo di Tolkien e le recensioni o le introduzioni ai suoi lavori erano fortemente fuorvianti (come l’introduzione di Elémire Zolla al Signore degli Anelli, smentita dalla stessa Prefazione dell’autore). Si è quindi creata una “distanza” sempre più palese, sempre più evidente, tra ciò che accadeva all’estero e quello che avveniva, anzi che non avveniva in Italia (con l’eccezione di pubblicazioni o studi estemporanei portati avanti da singoli). Una situazione che è durata fino all’uscita della trilogia cinematografica di Peter Jackson, dal 2001 in poi. Molto si è mosso da allora: le forze combinate di alcuni critici hanno fatto nascere prima le pubblicazioni coordinate da Franco Manni, poi un progetto culturale, la collana Tolkien e dintorni della Marietti 1820, che nasce con lo scopo di portare in Italia i migliori studi, le opere capitali della saggistica su Tolkien, di aggiornare il dibattito, di colmare quella distanza. Con l’uscita in questi giorni di Tolkien, l’uomo e il mito di Joseph Pearce, forse, si può dire che un apparato critico c’è: negli ultimi quattro anni sono state pubblicate, infatti, quasi dieci opere critiche, diverse per dimensioni, approccio, spunti, profondità, che nell’insieme restituiscono la ricchezza del panorama internazionale sull’autore del Signore degli Anelli.
In tal senso, è molto importante il convegno internazionale “Tolkien e la Filosofia”, che si terrà a Modena il 22 maggio, proprio perché chiama alcuni dei più grandi studiosi dell’opera di Tolkien che siano in circolazione al momento: stranieri come Shippey, Flieger e Christopher Garbowski, ma anche italiani come Manni, Monda e Wu Ming 4. Anche tra i moderatori ci sono molti esperti di Tolkien, scelti dagli organizzatori proprio per riflettere tutto il panorama critico italiano, dal filosofo Claudio Testi allo studioso di letteratura cattolico Saverio Simonelli, per giungere fino allo studioso del pensiero conservatore Marco Respinti. L’unica esclusione voluta è quella della “dislettura tradizionalista evoliana” che rappresenta un approccio obsoleto oltre che ideologico.
L’OPINIONE DI TOLKIEN
Data la popolarità di Tolkien, non sorprendono i tentativi compiuti anche all’estero da alcuni sinceri appassionati (come la lettura “hippie” o ecologista delle sue opere) di appropriarsi dell’autore per attribuirgli ora questa, ora quella posizione ideologica. Il suo cattolicesimo e la sua ostilità “ruskiniana” nei confronti della ”Macchina” difficilmente possono essere contestate, ma le loro espressioni negli scritti sono state tradotte da alcuni commentatori in un discorso didattico che lui stesso avrebbe rifiutato. Più volte Tolkien si è visto costretto a rifiutare queste “disletture”: «[Il Signore degli Anelli] Non tratta di niente se non di se stesso. Di sicuro non ho intenzioni allegoriche, generali, particolari, o morali, religiose o politiche. … Io sono comunque un cristiano; ma la Terza Era non era un mondo cristiano» (Lettera 165); «Non ho intenzioni didattiche, né scopi allegorici» (Lettera 215); «Detesto cordialmente l’allegoria in tutte le sue manifestazioni, e l’ho sempre detestata […] Penso che molti confondano “applicabilità” con “allegoria”; l’una però risiede nella libertà del lettore, e l’altra nell’intenzionale dominazione dello scrittore» (Prefazione, Il Signore degli Anelli). Si potrebbe continuare a lungo seguendo le parole di Tolkien contro la critica “orientata”. Tolkien confidava che i lettori trovassero la corretta “applicabilità” nelle sue opere e sembra confermarlo il loro notevole successo in tutto il mondo, anche in paesi culturalmente lontanissimi come il Giappone.
I TEMI
Le tematiche che affronta Tolkien nella sua opera sono “universali” (ci riferiamo al senso letterale, etimologico dell’aggettivo katholikòs), come spesso sono le tematiche dell’epica. È ovvio, dunque, che nelle sue storie sia possibile cogliere in trasparenza giudizi e riflessioni sulla sua epoca, la prima metà del Novecento, che non hanno niente da invidiare a quelle degli autori suoi contemporanei appartenenti al filone modernista o dei cosiddetti War Poets. La differenza forse con questi ultimi è che Tolkien credeva che i miti potessero contenere un nocciolo di verità sulla natura e la storia umana (e divina, essendo lui cristiano). Credeva cioè nella forza dell’epica e della narrativa non solo come interpretazione o lettura del mondo, ma anche come affermazione. Così recuperò e mise i miti nordici in contraddizione creativa con il cristianesimo. «Perché, ho capito», disse Tolkien in un’intervista a Philip Norman nel 1967, «che la vita reale dell’uomo è fatta di questa qualità mistica ed eroica… Gli esseri immaginati mostrano il proprio carattere interno attraverso il loro aspetto; sono anime visibili. E l’uomo nella sua interezza, l’uomo che si misura con l’universo, lo abbiamo compreso fino in fondo finché non vediamo che è come un eroe in una favola?».
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LINK CORRELATI
Wu Ming 4, “Tolkien e i Co-habiters” (2009)
Wu Ming 4, Recensione del libro di Stratford Caldecott Fuoco segreto: la ricerca spirituale di JRR Tolkien (2009)
Wu Ming 4, Un giorno a Maldon: il campo di battaglia e la parola magica (2008)
[…] quotidiano di oggi, una mia intervista a Wu Ming 4. Su Giap!, un articolo di Roberto Arduini. Che la festa […]
Ah, i titolisti di Repubblica… Ricordo che undici anni fa, quando io e i miei soci ci firmavamo ancora Luther Blissett, su Repubblica uscì un’intervista a noi in cui spiegavamo che Luther Blissett era uno pseudonimo collettivo usato da centinaia di persone e che noi rappresentavamo solo lo 0,04% del progetto. Il titolo era: “Luther Blissett siamo noi”.
Ecco, il lupo perde il pelo ma non il vizio. Nel pezzo di oggi dico che Tolkien non può essere letto in una chiave ideologica. E’ evidente a chiunque che questo vale anche per un’implausibile lettura “di sinistra”. Il titolo “Compagno Hobbit” invece allude precisamente al contrario. Non è responsabilità mia, ovviamente, né di Loredana Lipperini, ma tant’è, inevitabilmente un titolo del genere retroagirà sui contenuti dell’articolo. Peccato.
Bel convegno, se ne sentiva il bisogno. Dopo ore ed ore a litigare sull’appartenenza politica del buon Tolkien, era il caso che si sgombrasse il campo da un po’ di paccottiglia.
Peccato non poterci essere, e per questo motivo vi chiedo se sarà disponible l’audio o addirittura il video dei vari interventi?
@WM4: a suo tempo avevo avuto una discussione con un giornalista di Repubblica anni fa (non ricordo il suo nome) a proposito di antisemitismo, per il titolo di un suo articolo. Fu molto gentile e si scusò dicendo che quasi mai i titoli sono scelti dagli autori, quanto piuttosto dalla redazione. Mi sa che sono recidivi :)
Mi spiace proprio tanto di non poter assistere al convegno; come molti, suppongo, sono sempre stato bollato come cripto-fascista per i miei apprezzamenti su Tolkien. E’ cultura di destra? ma quella di sinistra c’è?
Su “L’Unità” on line, uno speciale dedicato al convegno di domani. Riprendono l’articolo di Arduini, e c’è un contributo ad hoc di Verlyn Flieger:
http://www.unita.it/news/culture/98950/un_convegno_internazionale_sullautore_del_signore_degli_anelli
UNA GIORNATA CAMPALE… E UN REGALO
Beh, il convegno è finito. Mi ritrovo a casa, stanco morto dopo otto ore di discussioni in due lingue, con vette di rara densità, e due giorni trascorsi a dialogare con persone brillanti.
Ho la sensazione di essermi un po’ innamorato di una donna di settantasette anni che risponde al nome di Verlyn Flieger. Una signora piccola e magrissima (al punto da paragonare se stessa a Gollum), con uno sguardo penetrante come pochi e una voce che ti immagini essere quella di Galadriel. Quando ha letto i versi in Quenya e in entese (scusandosi per la pronuncia), nel silenzio assoluto della sala, mi sono venuti i brividi. E quando ha parlato della teoria del linguaggio di Tolkien, con un intervento limpido, senza sbavature, il numero esatto di parole per dire il numero esatto di cose e non una virgola di troppo, mi ha trasmesso un senso di perfezione, di altezza a discapito della minuscola statura. Altra classe, altra categoria. Tanto da farmi apparire le cose che avevo detto poco prima dal tavolo delle conferenze come niente più che appunti sparsi, nicchie di senso ritagliate nei meandri dell’opus magnum. Lei no, non è frammentaria, i frammenti di luce li ha ricomposti uno alla volta e ha ricomposto il quadro d’insieme, ovvero l’idea sottesa. Ci ha mostrato le cose che sono sempre state lì, sotto i nostri occhi, senza che le vedessimo.
E poi Tom Shippey. Big Tom. Brillante, simpatico, diretto, efficace. Mai sopra le righe. Tutto quello che vorresti da un conferenziere. Me lo avessero detto un anno fa che mi sarei ritrovato a chiacchierare con Tom Shippey o che mi avrebbe seguito per scroccarmi le sigarette…
Eccoci lì, a convegno finito, prima che lui vada a vedersi la finale di Coppa dei Campioni sul maxischermo del bar e io me ne ritorni a Bologna. Non è venuto solo per fumare in compagnia, commenta il mio intervento sul coraggio e il potere nella narrativa di Tolkien, mi dà un paio di dritte. Poi arriviamo alla questione del femminile (“Siamo troppo legati a un’immagine degli Inklings come vecchi inglesi maschilisti, ma invece erano molto più open minded di quanto crediamo, se non altro parlavano di tutto senza tabù, e certamente anche del femminile”) e così salta fuori il nome di Robert Graves. Gli dico che è uno dei miei autori preferiti… non i romanzi storici, no… “La Dea Bianca”, “La figlia di Omero”, gran romanzo… Gli dico che ho un breve saggio in uscita: una lettura gravesiana del Signore degli Anelli…
Mi dice: – Sai, io l’ho conosciuto.
– Prego?
– Ho conosciuto Graves.
– Dove? Quando?
– A Oxford, negli anni Settanta.
Non faccio in tempo a deglutire che mi fa un regalo.
– Graves mi confessò un segreto che ti voglio rivelare: il segreto della vita eterna.
E poi, giuro, me l’ha detto.
Ma ha anche aggiunto che non funziona :-)
“E quando [Verlyn Flieger] ha parlato della teoria del linguaggio di Tolkien, con un intervento limpido, senza sbavature, il numero esatto di parole per dire il numero esatto di cose e non una virgola di troppo, mi ha trasmesso un senso di perfezione, di altezza a discapito della minuscola statura. Altra classe, altra categoria.”
Concordo in pieno. Finito l’intervento mi sono tolta le cuffie per la traduzione e ho incrociato lo sguardo del mio vicino: all’unisono abbiamo esclamato un soddisfatto WOOOW!!
E’ stata brava e intensissima.
Beh ciao, credo che il vicino fossi proprio io e confermo con gioia il momento.
Diciamo pure che la bella professoressa Verlyn Flieger probabilmente deve essere una giovane entessa venuta da chissà dove, come spiegare, altrimenti, il fatto che è stata impassibile dritta come un fuso ad ascoltare tutti gli interventi dalle 9.45 e alle 18:20, mentre noi del pubblico eravamo stanchi morti, ha fatto il suo intervento fresca riposata e cristallina.
Concordo con entrambi. E’ stato bello proprio sentire che dopo tante acrobazie per attaccare a Tolkien la coda di filosofo, la Flieger con la forza del suono delle lingue abbia sprigionato la più profonda potenza di Tolkien che era rimasta fino ad allora sopita rivelandone la filosofia più profonda e pulsante, quella che nasce nella fusione originaria di cosa e parola.
Bello essere stato con voi al più importante Convegno su Tolkien mai fatto in Italia, bello il clima che c’era, leggero e di spirito.
Evviva sono certo che oggi è il primo giorno di una nuova era per quanto riguarda Tolkien.
D.
Accidenti, vi ho invidiato parecchio.
“Ci ha mostrato le cose che sono sempre state lì, sotto i nostri occhi, senza che le vedessimo.” Mi sembra importantissimo, è un vero processo creativo, quello che ci si augura possa accadere quando si condivide qualcosa e lo si comunica.
Spero che ne parliate ancora, del convegno…
@Daniele Marotta:“Beh ciao, credo che il vicino fossi proprio io e confermo con gioia il momento.”
Daniele, sì, mi riferivo proprio a te! Anzi ne approfitto per dirti che mi ha fatto piacere conoscerti e conversare con te (e ovviamente è bello ritrovarti qui, in questo spazio collettivo).
@Paola di giulio: io ho assistito solo agli interventi pomeridiani, ma confermo, è stato un bel momento.
Sì, spero anch’io che parliate ancora di questa giornata, e che magari si possano trovare testi o filmati degli interventi.
Dopodichè, visto che la statura morale della Compagnia qui sembra consentire a tutti di resistere senza batter ciglio alla piccola provocazione di WM4, farò l’hobbit curioso e impaziente: è possibile sapere qual è il segreto della vita eterna secondo Graves?
E se lo dico che segreto è? :-)
Spero che l’Istituto tomistico si sbrighi a rendere disponibile l’audio e il video del convegno. Probabilmente però gli interventi in inglese rimarranno tali (non credo abbiano registrato la traduzione simultanea). Spero a breve di riuscire a recuperare almeno il dibattito Shippey/Manni.
I don’t see the hour!
Quando incontri questi docenti\intellettuali anglosassoni dotato di autoironia e buon sense of humour è una gioia per l’intelletto.
p.s. per WM4: vedo che dopodomani presenti il filmone di Lean. Ma poi resti a guardarlo tutto tutto? Se riesco a trovare un biglietto, verrei volentieri anche a salutare il Luciferatore!
No, non resto a vedermelo tutto (anche perché me lo sto rivedendo adesso sequenza per sequenza per preparare l’intro di mercoledì sera). Fatta la cosa gli organizzatori mi porteranno a cena da qualche parte, suppongo. Se ti va di aggregarti, ti racconto un po’ del convegno. A me farebbe piacere vedere una faccia amica, metaforicamente parlando (dal momento che non ti ho mai visto).
Chiaberge, sul Sole 24 ore di domenica:
http://riccardochiaberge.blog.ilsole24ore.com
Scusate, forse sono in un periodo non troppo lucido, ma che senso ha? :-/
Nessuno. E’ un cazzeggio così tanto per fare.
Parlando invece di cose più interessanti, ecco la traduzione quasi integrale dell’ultima risposta di Shippey nel confronto con Manni. Il loro duetto si è svolto in forma di botta e risposta, dove Manni individuava quelli che secondo lui sono gli influssi filosofici riscontrabili a suo dire nell’opera di Tolkien, mentre Shippey controargomentava sostenedo che le influenze filosofiche ci sono come ci sono nell’opera di qualunque scrittore, fanno parte della visione del mondo dell’autore, ma non sono centrali nella scrittura di Tolkien. Secondo lui Tolkien mantenne sempre un approccio filologico/comparativo e non filosofico alla narrazione, cioè incentrato sulla diversità e sul particolare piuttosto che sulle interrelazioni e sull’universale.
Alla fine l’ultimo assist di Manni è stata una domanda sulla Provvidenza. Per chi non lo sapesse, Tom Shippey sostiene che la Provvidenza sia il tema principale del Signore degli Anelli. Ecco qui, per gentile sbattimento di Saverio Simonelli (chairman al dibattito WM4 vs Monda), che ringrazio: http://www.lacompagniadellibro.tv2000.it/articolo.php?id=684
[N.B. Temo che chi non ha letto il Signore degli Anelli difficilmente riesca a gustarsi la risposta]
Mi pare che il tema della Provvidenza risulti anche più chiaro considerando quel capolavoro assoluto che è il primo capitolo del Silmarillion, ossia l’Ainulindale. Dove si apprende che tutto è già stato cantato da Eru, assieme ai Valar.
Avendo letto poi il SDA in età della ragione (la prima a 11 anni era stata eccessivamente precoce) dopo il Silmarillion, questo senso della Provvidenza, che io preferisco chiamare Sorte o Fato (nel senso descritto dal soprannome “Turambar”); “provvidenza” è troppo cattolico per i miei gusti (mea culpa).
Sarebbe anche interessante sapere se al tema della Provvidenza nelle opere di Tolkien possiamo aggiungere anche quello di Ananke, la sottostimata dea ellenica della Necessità. Perché l’oscura sorte cui non si può scampare mi sembra un leit-motiv di entrambi i romanzi.
p.s. per WM4, direi che Lean can wait e il film lo delego volentieri ad altra visione!
Apro e chiudo una parente OT, ma non troppo. Studiare un film sequenza per sequenza è un’esperienza secondo me fondamentale per capire il Cinema. Ti apre a degli squarci imprevisti sulla sua natura.
manca una frase: “…questo senso della Provvidenza, …, risulta ancora più pressante…”
“Studiare un film sequenza per sequenza è un’esperienza secondo me fondamentale per capire il Cinema. Ti apre a degli squarci imprevisti sulla sua natura.”
Se il film in questione dura però 4 ore, il rischio è stramazzare sul pavimento del salotto… ;-)
Aneddoto collaterale. Durante il pranzo, al tavolo dei relatori è stato lanciato (non dirò da chi) il giochino “personaggio preferito del Signore degli Anelli”. E’ abbastanza interessante notare che le risposte sono state meno banali di quanto così a caldo mi sarei immaginato.
Frodo ha preso un solo voto, quello di Andrea Monda, “insieme a Sam, perché non riesco a scinderli”. Anche Gandalf ha avuto un solo voto, quello di Franco Manni. Verlyn Flieger senza esitare ha nominato Gollum. Shippey ha fatto il nome di un oscuro orco che ora non ricordo. Io e Garbowsky abbiamo eletto entrambi Tom Bombadil (che quindi vince il miniconcorso).
Avendoli conosciuti e avendo letto i loro libri devo ammettere che ogni corrispondenza non è affatto casuale e dice qualcosa del relativo “tolkienologo”.
Bombadillo non vale!!!
Io adesso dovrei rileggerlo. Ma da adolescente avevo donato il mio cuore a Legolas e Galadriel. D’altronde il mio sogno era diventare elfo, e a GiRSA ho sempre tenuto i Noldor…
Legolas che camminava sulla neve senza lasciare tracce, guardava in cielo e vedeva aquile là dove gli altri non vedevano niente, anelava il mare e guerreggiava coi numeri e Gimli al Trombatorrione…
E soprattutto una cosa. Nelle appendici è l’ultimo personaggio a comparire. Quando prende la barchettina e salpa dai Rifugi Oscuri per Valinor, è la fine della Compagnia dell’Anello nella Terra di Mezzo (lagrimuccia).
p.s. AnnaLuisa a me toccò “Guerra e Pace” di King Vidor, menomale che c’era la Hepburn…
L’analisi di Shippey è molto interessante. Agli episodi citati aggiungerei (ma vado a memoria e potrei sbagliare) una sorta di premonizione di Gandalf, quando qualcuno degli hobbit si chiede perchè mai gli Elfi non abbiano ucciso Gollum quando l’avevano imprigionato: Gandalf risponde innanzitutto dicendo che sì, alcuni tra i vivi meriterebbero forse di morire, ma molti che sono morti meriterebbero di vivere, e quindi ammonisce a non dispensare con troppa facilità quello a cui non si può porre rimedio. E infine butta lì, a proposito di Gollum, una frase sibillina che accenna a un suo possibile ulteriore ruolo nella vicenda – e sappiamo bene, a posteriori, quanto avesse ragione.
Vorrei poi osservare che il concetto di Provvidenza è certamente legato alla speranza, ma nel SdA è una speranza che spinge a continuare a combattere e a non abbandonare un’impresa che sembra appunto disperata. E’ l’esatto opposto, insomma, di quella speranza consolatoria che – come ricordavano Pasolini e Monicelli – viene da sempre usata dal potere per tenere quieto chi potrebbe pensare di ribellarsi.
Non ho dubbi che Tolkien fosse cattolico, ma la Provvidenza di cui parla Shippey mi sembra lontana da quella della Santa Chiesa. O, in versione laica, il Fato presente nel SdA non porta certo al fatalismo.
E’ Frodo che rimpiange il fatto che Bilbo non abbia ucciso Gollum quando ne ha avuto la possibilità. E Gandalf in effetti dà la risposta più “provvidenziale” dell’intero romanzo, tanto è vero che viene ripresa da Sam verso la fine.
Sono d’accordo sulla distizione che fai. Tolkien era cattolico ma non ha scritto un’opera coerentemente teologica (per il motivo molto banale che non era un teologo). Il suo concetto di Provvidenza è ibridato con quello di wyrd germanico, che lui conosceva molto bene, visto che i poemi che studiava ne erano impregnati. Non ci si può affidare alla Provvidenza, bisogna agire e affrontare il Fato qualunque esso sia. Vale a dire: tu devi sbatterti e non sai se andrà a finir bene, potrebbe anche andarti male, ma in effetti c’è la possibilità che un disegno sotteso alle vicenda faccia finire tutto per il meglio. Non è tuttavia detto che questo meglio riguardi proprio te.
Ecco come Shippey spiega bene la sfumatura:
“Ma la gente può sviare dalle intenzioni della Provvidenza; analogamente, obbedire ad esse (nei limiti entro cui possono essere comprese) non offre automaticamente granazia di successo o di sicurezza. Il massimo che si può dire è che la fortuna può girare meglio di quanto ci si possa aspettare, come nel caso di Gollum a Sammath Naur (sul ciglio di Monte Fato, n.d.WM4): ma il tuo coraggio deve reggere (così era per Beowulf), devi cogliere le opportunità a due mani (…), sarà probabilmente controproducente ‘essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi’ (come dice Gandalf) e più in generale fare il male coscientemente per aumentare le tue possibilità.” (Tolkien, autore del secolo, 2000).
E’ una lettura molto “aperta” del concetto di Provvidenza, che secondo me c’entra poco con quella presente invece in Manzoni. Però ci sto ancora ragionando e per ora Shippey mi sembra una spanna sopra i commentatori cattolici in quanto a complessità dell’analisi.
Forse, ma non essendo un vero anglofilo mi sbaglierò, il concetto di “Providence” deve suonare alle orecchie di Shippey diversamente da come “Provvidenza” risuona nella nostre.
La storia di questa parola per noi ital(a)ici non ce la rende vox neutra, ma piuttosto negativa, qualcosa che sentiamo troppo come “un peso”. Aldilà poi del significato vero e proprio che essa si porta appresso.
Infatti mi piace molto di più il termine molto “made in u.s.a.” che è serendipity…
La uso anche in italiano, mi dà proprio l’idea del caso, di quelle cose che succedono e basta, senza per forza divini demiurghi a tirare le fila della storia…
Non è però il caso di Tolkien. Lui era quanto di più lontano dal “made in USA” possa esserci. La sua idea di Provvidenza è interessante perché ha un confine tratteggiato e perché rimanda a un piano superiore di cui però nessuno può avere certezza e nel quale nessuno (se non forse Gandalf) può confidare.
“La sua idea di Provvidenza è interessante perché ha un confine tratteggiato e perché rimanda a un piano superiore di cui però nessuno può avere certezza e nel quale nessuno (se non forse Gandalf) può confidare.”
Sì è proprio questo l’aspetto affascinante…
per WM4 (EkerOffTopic!)
Nippofantasy!
Gli arretrati potresti trovarli qui e via dicendo. Ci sono anche delle edizioni Maximum che implementano diversi numeri assieme.
Fino al 30esimo numero direi che ne vale la pena!
@WM4 – 25/05/2010 at 3:01 pm
Non ci si può affidare alla Provvidenza, bisogna agire e affrontare il Fato qualunque esso sia.
L’idea che bisogna darsi da fare, che compare anche in Altai ;-) è comunque presente nel pensiero cattolico ortodosso almeno dal XVI sec.
«Dobbiamo pregare come se tutto dipendesse da Dio, e agire come se tutto dipendesse da noi ». (105)
(105) Detto attribuito a sant’Ignazio di Loyola; cf Pietro da Ribadeneyra (1526-1611),
Tractatus de modo gubernandi sancti Ignatii, c. 6, 14: MHSI 85, 631.
http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p4s2a3_it.htm
Che poi sia minoritaria, sono d’accordo.
Ho fatto una ricerca veloce della parola “provvidenza” nei Promessi Sposi e ritengo che la Provvidenza è molto invadente. Per esempio al cap. 17
” [Renzo] Prima però di sdraiarsi su quel letto che la Provvidenza gli aveva preparato”
sembra proprio che un angelo sia venuto giù dal cielo a mettere la paglia nella capanna.
Questa è una ‘deformazione’ degli scrittori troppo cattolici che credono di scrivere vangeli invece di romanzi.
Nei 4 Evangeli si ha una lettura teologica della vita di Gesù,
non un resoconto di cronaca o, come in molti romanzi, una narrazione più possibile simile al vero o almeno coerente con la struttura interna del racconto (ad es., per capirci, nel Signore degli Anelli Gandalf dice “ho bisogno di qualcosa su cui lavorare, non posso sciogliere la neve [trasformando il mio bastone in lanciafiamme!]”)
@Giovanni: Non intendevo sostenere che il cattolicesimo è fatalista, ovviamente. Se non altro perché le opere contano per la salvezza individuale. Ciò non toglie che la Provvidenza tolkieniana resti sfuggente e ibridata col wyrd. Io ritengo questo un punto di forza narrativo, che Tolkien segna senz’altro su Manzoni, uno di quegli “scrittori troppo cattolici”, come li chiami, nei cui libri tutto è detto esplicitamente, i principi religiosi e la fede sono sulla superficie del testo, a prova di stupido. Non solo Tolkien faceva esattamente l’opposto, cioè sottraeva e sottendeva i fondamenti religiosi alla sua narrazione, proprio perché il racconto non fosse sovradeterminato, ma soprattutto non si preoccupava della religione mentre scriveva. Stanotte mettiamo online il testo del mio intervento al convegno di Modena dove all’inizio parlo proprio di questo.
[…] integrale dell’intervento di Wu Ming 4 al convegno “Tolkien e la Filosofia”, Modena, 22 maggio […]
io ovviamente vi ho scovato solo ora…
Ma dove eravate tutto questo tempo?
Sono felice di avervi trovato :)
@ Simone,
“Ma dove eravate tutto questo tempo? ”
Beh, in svariati posti… A volte anche in classifica! :-)
http://www.wumingfoundation.com/images/classifica28novembre2009.gif