Alcuni appunti disordinati sulla twittersfera italiana

#usiditwitter
[Riportiamo anche su Giap quanto scritto qui].

Inutile girarci intorno, e ancor più inutile fingere di non capire. Negli ultimi giorni, diverse persone hanno fatto notare che:
– su Twitter ci sono sempre più flame;
– si impiega sempre più tempo a correggere distorsioni del segnale (anzi, a provarci invano);
– non si può più lasciare niente di sottinteso perché si ingenerano equivoci a valanga ma al tempo stesso il limite dei 140 caratteri costringe a sottintendere;
– molti VIP hanno scelto questo network come grande pollaio in cui scazzarsi per la gioia voyeuristica dei media mainstream;
– nel fare questo, i suddetti VIP hanno attirato qui vaste masse di persone (ancora) poco alfabetizzate nei confronti del mezzo e (ancora) ignare delle regole non scritte che questa comunità informale si è data, gente che scambia sistematicamente un RT per un’adesione al contenuto rilanciato (mentre «RT is not endorsement»);
– i nuovi strumenti («Activities» etc.) aggiunti da Twitter all’interfaccia web stanno innescando processi ancora non chiari…
Insomma, è aumentato il frastuono, che ghermisce e avviluppa ogni segnale.
Ogni volta che qualcuno ha constatato tutto questo, gli è piovuta addosso da più parti l’accusa sempre facile da cucinare (quattro salti in padella e zac!): sei elitario, disprezzi la gente, vuoi stare nelle piccole cerchie…
Ci sembra un’obiezione semplicistica e mal posta. Twitter ha la febbre da crisi di crescita, in cinque mesi ha quintuplicato il numero di iscritti, giocoforza le modalità di fruizione cambiano, e ancor più i modi di utilizzarlo.
Lo riscontriamo ogni giorno, anche perché la crisi di crescita di Twitter è, più in piccolo, anche nostra: dal giugno scorso abbiamo più che raddoppiato i follower, senza riflettere abbastanza su cosa questo implicasse. E così il nostro modo di usare Twitter è invecchiato in tempi molto rapidi.

Differenze che percepiamo:

1) prima a seguirci erano soprattutto nostri lettori o comunque persone che avevano almeno un’idea di massima di chi eravamo (scrittori) e come la pensavamo (per dirla in parole povere, «sinistra radicale»). Ci seguivano prima perché scrittori, e poi perché ci avevano incontrati su Twitter. Ora, invece, abbiamo la sensazione che molte persone ci seguano soprattutto perché, ehm, siamo «twitstar», e magari seguendoci assistono a qualche flame divertente…

2) Prima potevamo permetterci cose che adesso producono valanghe. Il motteggio, il paradosso, l’aforisma, l’uso poetico del linguaggio diventano difficilissimi da proporre e gestire. Se scrivi qualcosa di sfumato, di intenzionalmente ambivalente, per gettare l’ormai proverbiale «sguardo obliquo» su una situazione o un evento, ti ritrovi subito a spiegare, a farti l’auto-esegesi, ed è molto peggio che spiegare le barzellette.
Idem per la nostra modalità dei «tweet concatenati», tutti collegati tra loro. In passato, interi post di Giap sono nati come sequenze di tweet, vedasi ad esempio questo.  Oggi, semplicemente, non funziona più. Frotte di persone iniziano a commentare il primo, ignorando del tutto quelli successivi.

3) Se fino a poco tempo fa il tempo impiegato per precisare, spiegare, correggere l’effetto di un tweet, fornire elementi di background, riassumere le «puntate precedenti» fornendo link etc. era (poniamo) 1/6 di quello impiegato su Twitter, adesso se non è 3/4 poco ci manca. E non possiamo permetterci una cosa del genere: disperde energie, divora la vita.

4) su Twitter, discutere è sempre stato difficile, non è una novità. Si riesce a discutere partendo da Twitter per poi ritrovarsi altrove, in spazi discorsivi meno angusti (di solito si tratta di blog). Fino a qualche tempo fa, sembrava funzionare piuttosto bene, in qualche modo si procedeva, si andava oltre le premesse del discorso. Ora invece, sempre più spesso assistiamo a scambi lunghissimi, partecipatissimi, ma inchiodati alle premesse, dove ci si ritrova costretti a ribadire le premesse cento volte, e nel frattempo il dibattito non produce nessun tipo di sintesi o arricchimento, tutti restano sulle loro posizioni.

4b) Non solo: sempre più persone si incaponiscono a portare avanti la discussione su Twitter, nella gabbia da uccellini, senza raccogliere inviti a proseguirla altrove. Ci capita spesso di linkare un post o un commento su Giap, per scrivere il quale ci siamo sbattuti stando attenti a ogni parola e che richiederebbe una lettura un minimo meditata, e di vedere che molti ci rispondono su Twitter dopo pochi secondi, partendo per la tangente, magari dopo aver letto solo il titolo. Questo è sempre stato un mezzo velocissimo, ma se la prontezza di riflessi è una buona cosa, la fretta e l’ansia di dire la propria non lo sono mai. E di fretta ne riscontriamo sempre di più.

Insomma, l’abbiamo fatta lunga, ma il succo è: non riusciamo più a comunicare su Twitter come vorremmo. Non ci riusciamo più, e non ci divertiamo più. Di più: sentiamo che questo modo di stare su Twitter non ci arricchisce umanamente. Le nostre prassi e retoriche non sono più adeguate.
Ne stavamo già discutendo prima degli ultimi flame (sugli scontri del 15 ottobre a Roma, sul Banco Alimentare e sui pomodori a Oscar Giannino), ora sentiamo ancor più l’urgenza di cambiare. I flame non ci interessano, li troviamo avvilenti.

In attesa di trovare nuove prassi (se mai sarà possibile), intendiamo ricalibrare la nostra presenza su questo mezzo.
– Non cercheremo più di produrre contenuto qui dentro, ma rinvieremo sempre ad altri spazi (non soltanto nostri). Insomma, linkeremo contenuti esterni.
– Ritwitteremo solo messaggi altrui che a loro volta linkino contenuti esterni.
– In presenza di domande che richiedano risposte complesse, laddove possibile le scriveremo altrove e linkeremo la risposta.

Forse sarà un uso meno rispettoso dello specifico del mezzo, ma è quello che sentiamo di poter portare avanti. Non è più possibile muoversi come ci siamo mossi finora. I 140 caratteri sono stati una grande scuola di «breviloquenza», uno stimolo a dosare le parole, a scegliere i sinonimi più efficaci, anche a inventare. Ma più si va avanti, più questa «contrainte» ci sembra mortificante.

Dice: e allora perché continuare a stare su Twitter?
Perché, di base, è un formidabile strumento per la diffusione di informazioni. Non usarlo in questo senso sarebbe un peccato.

Di contro, cosa non è Twitter?
Non è un forum. Non è una chat. Non è «Ballarò».
Se sempre più gente lo userà come forum, come chat e come surrogato di «Ballarò», presto l’aria qui dentro sarà irrespirabile.
Per questo iniziamo ad aprirci sfiatatoi.

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91 commenti su “Alcuni appunti disordinati sulla twittersfera italiana

  1. Right back where we started from.

  2. Leggo e sono triste. Credo di essere parte del problema. I miei toni ultimamente sono stati sguaiati, il mio modo di stare su twitter non ha mai brillato, e ultimamente è pure peggiorato. Ammetto di aver alimentato alcuni flames e di aver spesso reagito nel peggiore dei modi ai cambiamenti della twittosfera/all’uscita dalla mia nicchia di utenti. Potrei addurre diverse scusanti, alcune personali, ma non farei che peggiorare la bassa stima che ho di me in questo momento.

    La verità è che ho cazzeggiato spesso e volentieri su twitter, incurante delle conseguenze “ambientali”. Ultimamente la mia presenza on-line, complice una serie di fattori, si è ridotta perlopiù al cazzeggio. Non nego di essermi divertito, e questo ora mi fa sentire ancora peggio.

    Ci sono stati dei momenti in cui avrei voluto prendermi tempo, mettermi lì e scrivere un lungo pezzo ragionato che spiegasse perché non mi piace come si è comportato Sarubbi, o la mia posizione precisa su qualche altro flame. Poi però ho ceduto all’urlo e all’invettiva, o più in generale a qualche forma di cazzeggio. Un cazzeggio che troppo spesso si è trasformato da scherzo/burla divertente in una disdicevole forma di stanchezza e di pigrizia intellettuale.

    Chiedo scusa a tutt* per questo.

  3. Credo che per la discussione, e il tempo di decantazione e elaborazione dei concetti che presuppone, il caro, vecchio, e più volte morto, blog potrebbe essere il rimedio migliore al ritmo indiavolato e zeppo di risposte da chat che la timeline di twitter sta assumendo.

    L’approccio che descrivete mi piace perché non demonizza il mezzo (twitter rimane uno strumento indispensabile e unico come fonte di informazioni e contenuti e possibilità di testarne tweet dopo tweet l’affidabilità, oltre che per seguire e diffondere avvenimenti in diretta attraverso persone presenti on the ground) ma invita a riusarlo mischiandolo con altri mezzi, reinventando e riappropriandosi di modalità e finalità.
    (Per fare un esempio concreto: ricordiamoci che sono stati gli utenti e non i creatori della piattaforma a inventare e promuovere l’uso del cancelletto per associare i tweet a argomenti comuni.)

    Ben venga, anzi ritorni, il blog come sfiatatoio per permettere decompressioni e confronti più approfonditi che i 140 caratteri non permettono

    (scrivo questo commento anche come esortazione a me stesso nei confronti del mio blog, rimasto in modalità slow da diversi anni)

  4. Perche’ non prendete in considerazione l’idea di spostarvi su friendfeed.com (frenfi, per gli amici italiani)?

    E’ decisamente piu’ orientato alle conversazioni e alle discussioni rispetto a quel troiaio di twitter (si vede che non mi piace?). La frequentazione di solito e’ un po’ cazzona ma mi e’ capitato di farci dei discorsi piuttosto interessanti di tanto in tanto.

    Certo anche frenfi non e’ perfetto ma potreste dargli una occhiata. Ciao!

  5. Alla fine dei conti non ne farei un dramma. Personalmente non ho mai visto Twitter come un mezzo deputato a contenere discussioni e riflessioni capaci di andare a fondo. L’ho sempre visto piuttosto come antagonista di facebook proprio per il suo essere profondamente “referenziale”, nel senso che è più utile a suggerire luoghi, anfratti, spazi meglio dedicati ad un utilizzo ragionato e non incrinato dall’insita velocità dei social network. Il semplice fatto che per leggere i contenuti bisogna andar da qualche altra parte lo ha fatto diventare cerniera tra varie realtà senza constringerle ad adattarsi al mezzo snaturandosi, a differenza di facebook che invece tende all’onnicomprensività ed all’annullamento delle specificità.

  6. twitter + blog, personale o di altri, è anche la mia ricetta. meno male che mi sono registrato qui prima che spariste del tutto dalla gabbietta… buona vita e a presto.

  7. Sono contento che smettiate di cazzeggiare su Twitter!! Finalmente avrete più tempo per scrivere un romanzo. Romanzi vogliamo noi, non frasi di 140 caratteri!!

    E grazie al cielo sono 140 caratteri perché se fossero di più chissà quanti pipponi sparava WM1. Ma ce l’ha un lavoro quel ragazzo? no voglio dire, sta tutto il giorno su twitter e sul blog. Io dico che fa il traduttore. Perché si sa che i traduttori non hanno un cazzo da fare tutto il giorno e stando davanti al computer non fanno altro che visitare siti su siti per distrarsi.

    (la verità è che vi odio. Stavo per andare a studiare ma avete pubblicato questo post, rovinando la mia giornata, perché come avrete intuito uno come me calcola la sua quotidianità nel miglior stile kantiano.

    Inoltre avevo intenzione di scrivere qualche riflessione al riguardo e ora, grazie a voi che mi avete bruciato gli argomenti, mi rimane soltanto qualche presa per il culo a Nichi Vendola.

    E infine, aimè mi sento un po’ in colpa anch’io come uomoinpolvere, con la faccenda di palazzochigi ho trovato anch’io parecchio da discutere riguardo Sarubbi.

    Che dire, concordo in gran parte, e mi dispiace che dobbiate/abbiate scelto di cambiare il vostro modo di usare Twitter. Mi chiedo soltanto se sia una situazione particolare italiana o se, con l’aumento di gente che utilizza il mezzo, capiti la stessa cosa anche in altri paesi. Pensate che si possa stabilizzare?

    WM1 o chi di voi è traduttore, non me ne vogliate, sulla figura del traduttore ho fatto un po’ di autoironia :)

    Saluti. Santiago )

  8. Io sono su twitter solo da pochi mesi, ma l’aumento della tendenza a degenerare negli ultimi tempi l’ho visto chiaramente. Anch’io cazzeggio su twitter eh, e mi garba molto, ma secondo me non è il cazzeggio in sé a provocare il pollaio. E’ il cazzeggio da TT quello inquietante. E’ quella voglia di spararla insieme agli altri, cogliendo l’attimo in cui monta l’onda, che genera mostri.
    Un paio di giorni fa, quando in cima ai TT c’era Langone con il suo famigerato articolo, se si andava a seguire l’hashtag si trovava roba talmente sessista che poteva tranquillamente finire pure quella su Libero. Ammetto di averla buttata in caciara anch’io tra i primi, poi quando ho visto quello che veniva fuori ho cercato di dire qualcosa di diverso, ma non riuscivo a togliermi di dosso la sensazione di essere quella rompipalle ad una festa in cui tutti si divertono.
    Si tratta di una dinamica che il mezzo asseconda moltissimo e che alla fine fa sgorgare pura caciara anche da circostanze che avrebbero delle potenzialità diverse. Non so se ci si può educare ad un uso diverso di twitter, che rimane comunque il sn che preferisco e che trovo più utile, se questa voglia di degenero sia solo un momento passeggero dovuto, appunto, all’aumento degli utenti, oppure se si tratti di una battaglia persa.
    In ogni caso, mi dispiace per le vostre difficoltà e sappiate che il vostro cinguettio dei tempi sereni mi manca già!

  9. limite tweet = 140 caratteri
    vostro articolo = 6651 caratteri

  10. Ci mancherete *molto*, ma i punti sono tutti sensati e la partecipazione solo via link è comunque un compromesso decente. Appunto perché fioccano le twitstar, ne serve almeno una dotata di coscienza.

  11. La vostra “dichiarazione di intenti” fa trasparire un po’ di amarezza.
    E di certo è destinata a procurare amarezza in chi vi segue, da tanto o da poco.
    Non è un *addio*, come qualcuno si è affrettato subito a definirlo: ma così vanno le cose, in fondo non era nemmeno un *boicottaggio* quello vostro, nei confronti del #bancoalimentare.
    Così, decido di scrivere qui per raccontarvi il mio, di rapporto con @wu_ming_foundt e con twitter.
    Di wm ho letto tutto, divorato, amato, prestato, regalato e consigliato, e senza sapere nemmeno come funzionasse twitter.
    A fine 2009, per il passaparola di una amica, mi abbono alla newsletter Giap!, giusto in tempo per ricevere l’ultimo numero, il #2, X serie – “Nell’Italia dei rumori pubblici”. Poi il passaggio al nuovo sito e a giap! il blog.
    Poi comincia a cadermi l’occhio su quella colonnina a destra, quella dei twit. Lì per lì non sapevo nemmeno bene a che servisse. Mi bastava vedere che i miei wm, i nostri wm erano sempre ben presenti su giap! sia in termini di nuovi post sia in termini di partecipazione al dibattito.
    Poi ho visto che gli aggiornamenti twittaroli erano sempre più frequenti, e man mano aumentava anche la “densità” degli argomenti trattati nei twit, di cui non si riusciva a “trovare traccia” su giap.
    Così, solo per seguire voi (captatio benevolentiae da vomito, ma vera) ho deciso di iscrivermi anche io. Quindi sì, appartengo di diritto alla categoria dei latecomers. Appartengo “mani e piedi” alla categoria di quelli che hanno quintuplicato il numero degli utenti di tw negli ultimi cinque mesi.
    Appartengo fino al collo alla categoria di quelli che hanno raddoppiato la vostra fila di followers dal giugno scorso.
    Insomma, sono l’ultimo degli ultimi a poter dire “secondo me questo e quello”, e forse potrei essere tra i primi a dovermi sentire in colpa per il vostro “cambio di rotta”.

    Ma in fondo fino ad ora abbondano su twitter i “necrologi” e le partecipazioni di cordoglio e scarseggiano i commenti quindi… io ci provo.
    La vostra presenza sempre più importante su twitter in termini di followers, di aggiornamenti, e di “disponibilità immediata” ha finito con l’indebolire giap. Non per numero di nuovi post (a spanne, forse, sono addirittura aumentati negli ultimi 12 mesi), ma in quello che rendeva giap così ricco, cioè il dibattito tra gli utenti, e le vostre stesse risposte.
    Provo a sintetizzare alcune “fasi” che io ho vissuto. Non rispecchiano necessariamente fasi cronologiche successive, ma in qualche misura danno conto di una evoluzione.
    1) Prima gli argomenti densi venivano gettati su giap. Poi veniva lanciato il twit con il link a giap.
    Il dibattito si sviluppava su giap. Alcuni commenti “meritevoli” di menzione venivano linkati dentro a twitter, e così si forzavano i followers a entrare su giap e partecipare, o anche solo a leggere con attenzione (i post su foucault, su tolkien, sul feticismo digitale, per fare qualche esempio)
    2) twitter usato come cronaca dell’istante (in questo senso, tw è formidabile), e riflessioni più critiche affidate a giap. Di questa fase rimangono insuperati #14dic, #nucleare, e (ma in maniera diversa) #15ott.
    3) twitter come possibilità di scambio, apertura, coinvolgimento di molte persone rispetto ad iniziative che necessitavano di un coinvolgimento ampio: ad es. #rogodilibri
    4) ultimamente, giap è rimasto un po’ “scollato” dalla vostra presenza su twitter: i post rimangono sempre interessantissimi (solo per citarne uno, il commovente ricordo di Paolo Vinti), ma forse un po’ meno “di attualità”. Oppure danno conto di flame attivati su twitter e che su giap perdono un po’ della spinta iniziale. Di conseguenza, il dibattito non “parte” (vado di accetta, eh!), non scocca la scintilla argomentativa, non ci si prende a cazzotti verbali, non ci si ferma a *tentare* di capire, soprattutto.
    Io mi ricordo, mesi fa, di discussioni veramente accese, e non di rado capitavano i “blocca utente” quando la discussione si faceva “troppo” accesa. Non è nostalgia dei troll, mi pare chiaro, ma era giap *il luogo* della discussione. Non era twitter.
    E discutere su giap, anzichè su twitter, ti costringe a cimentarti con qualcosa di importante.
    Se il tuo commento, almeno così la vivo io, è ospitato nello stesso condominio dove abitano Majakovskij, Zizek, Foucault,…, beh ci pensi su un bel po’. Su twitter invece ci sta justin bieber e le sue fans, e insomma è un altro paio di maniche, e ciascuno ritwitta la sua cazzata.

    Da qui, credo, siano originati molti degli “equivoci” delle ultime settimane.

    Insomma, e concludo che ho sbrodolato sin troppo, io i motivi per tutta questa amarezza non li vedo, ma anzi un (felicissimo, almeno per me) ritorno a dove si era partiti. O almeno, così ho interpretato il senso del vostro primo commento qui sopra.

  12. @ tomm_zan

    hai interpretato bene! :-) E torniamo qui danzando.

  13. Vi seguo da diverso tempo, ed è la prima volta che intervengo.
    Appartengo a quella categoria di persone che ha iniziato a seguire il blog perchè vi conosceva come scrittori.
    Dopo aver capito come la pensate ho continuato a frequentare assiduamente il vostro blog (solo come lettore), e poi ho iniziato a seguirvi su twitter, al quale mi sono iscritto praticamente solo per questo motivo.
    Ma di twitter mi sono stancato presto, proprio per le ragioni che dite: stare inchiodati alle premesse, discussioni che qualcuno tenta di portare avanti alla Ballarò maniera eccetera…
    Mi aspettavo prima o poi un articolo come questo, che infatti è arrivato.
    E la cosa mi fa assolutamente piacere perchè dimostra ancora una volta che vale sempre la pena seguirvi.

  14. Fate benissimo a limitare la vostra espressione su twitter perché ho notato che anche qualche twitstar politica e giornalista, non potendovi attaccare nel merito qui, vi attacca su una sfumatura di qualche vostro tweet. Come per una forma d’invidia espressa male. Cercando sempre di fraintendere e mai di capire.

  15. @ tom_zann
    Grazie per le osservazioni che mi sembrano puntualissime e tanto più importanti perché vengono da un osservatore esterno.

    @ santiago
    “Romanzi vogliamo noi, non frasi di 140 caratteri!”
    Giusto e sottoscrivo.

  16. Io sono uno che segue molto e commenta poco (su Giap è la prima volta). Già vi stavo dietro ai tempi della paleontologica newsletter, e poi sul blog di Altai.

    Su Twitter non sono mai riuscito a starvi dietro, per questioni di tempo. So di essermi perso qualcosa, ma non ho ore/energia a disposizione per sollazzarmi con un flusso di simile portata. Ci ho provato, ho abbandonato e mi sono limitato a Giap.

    Qui si può leggere con calma, fermarsi, riflettere, leggere le opinioni altrui, eventualmente sparare la propria, mettere da parte e tornarci su. Su TW mi sembrava di essere indietro, un po’ come mio padre un ventennio fa con la comparsa dei cellulari.

    Spero che questo ridimensionamento risposti su Giap il fulcro della vostra azione.

    E poi, che cazzo, scrivete più romanzi: non me ne importa una sega di sapere quello che pensate voi. Sono interessato al punto di vista dei vostri personaggi :)

  17. Tranquilli tutti, ché siamo all’opra! :-D

  18. Dunque, tento una prima sintesi:
    ad alcuni, Twitter aveva rotto il cazzo :-)

  19. Fin dal principio.

  20. ho letto con molta attenzione il vostro articolo, anche perché novizia nel convento twuitteriano…
    ho richiamato il link del vostro articolo nel mio blog tranellidiseta
    ora stavo leggendo un articolo ben diverso sull’espresso

  21. nessun dramma: anche per chi vuole seguire la storia delle discussioni che poi finiscono (o forse poi nascono, chissà) qua o altrove, twitter non è mai stato un gran veicolo (mille grazie anzi a chi si sbatte a fare gli storify). rimodulare la vostra presenza è sicuramente una buona scelta, usate e usiamo twitter più come motore di ricerca. c’è il mondo là fuori e voi avete sempre avuto la puntuale curiosità di sperimentare nuove forme, ne troverete altre migliori o semplicemente più adatte al momento

  22. non credete che twittando threads abbiate, come molti altri, manipolato il mezzo?

  23. @ ip

    i mezzi li si usa cercando di forzarne le regole in modo creativo, finché è possibile. Molto di ciò che anima Twitter oggi è una conseguenza di tali forzature: l’hashtag (come ricordava Strelnik), ma anche la stessa pratica del retweet, e tante altre cose. Sono tutte invenzioni degli utenti, che solo in un secondo momento Twitter ha incluso nel “pacchetto”. Riguardo al nostro specifico modo di usare Twitter per rendere il dibattito su Giap più seguibile, rimando a quest’intervista di qualche mese fa, dove troverai molti chiarimenti:
    http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=4935

  24. “modo creativo” o alla ballarò,
    That’s BROADCAST baby

  25. @ip

    Twitter è broadcast per sua natura. La struttura asimmetrica dei follow ne fa un mezzo di comunicazione a broadcast. I 140 caratteri rendono difficile la discussione e rendono naturale il link a qualcosa di esterno. Il flusso ordinato solo temporalmente e non per topic lo rendono meno adatto alla discussione di altre piattaforme. Twittare link esterni è forse la cosa piú naturale da fare con twitter

  26. @ ip

    mi sa che stai confondendo due cose non solo diverse, ma addirittura antitetiche l’una all’altra.

    Noi abbiamo sempre proposto su Twitter i permalink di commenti interessanti di persone che discutevano qui su Giap, poi uno leggeva, valutava se intervenire, si iscriveva, arricchiva il dibattito. Niente flame, niente ossessiva ricerca di visibilità. A meno che tu non intendessi tutt’altra pratica, questo è il “twittare thread” a cui ci dedichiamo noi, e a cui – come scritto nel post qui sopra – continueremo a dedicarci, perché discutere *su* Twitter è impossibile, mentre proporre discussioni abbiamo visto che funziona.

    Per “modalità-Ballarò” si intende invece quella di chi pretende di discutere (e scazzarsi) direttamente su Twitter, generando malintesi a valanga e caciara.

  27. C’è un’altra tendenza che si va affermando in modo allarmante: gli articoli che hanno come oggetto un tweet di personaggi (più o meno) famosi. Oggi, tanto per fare un esempio, ho letto un articolo (anche abbastanza lungo) su un tweet di Xavier Garrido (calciatore della Lazio stabilmente in tribuna) che si lamentava del fatto che nel palazzo in cui abita ci sono dei muratori che stanno facendo lavori e quindi si sveglia ogni mattina troppo presto (troppo anche per il Grande Capo Estiqaatsi).

  28. Ripeto il plauso per l’immagine tristemente geniale, quoto uomoinpolvere e Adrianaaaaaaaa (non riesco mai ad azzeccare il numero delle a del tuo nick, maledetta!), e aggiungo un paio di considerazioni a monte.

    C’era Vasco Brondi, aveva fatto un demo, io l’avevo scoperto, l’adoravo, l’ascoltavo e lo riascoltavo come pochi altri insieme a me. Poi Vasco Brondi ha aperto un concerto di Jovanotti ed è stato sdoganato. Da lì si sono creati due fronti: fronte A- quelli che prima adoravano Vasco Brondi e adesso dicevano “è un figlio di papà montato, blablabla, fa cagare, blablabla”. fronte B- quelli che prima nemmeno sapevano chi fosse Vasco Brondi, però aveva aperto un concerto di Jovanotti e quindi hanno iniziato a condividerlo, sentirlo ecc ecc. provocando le ire di quelli del fronte A (che, per inciso, erano passati al fronte A proprio per fare i bastian contrari rispetto a quelli del fronte B). E poi c’era e c’è chi sta in mezzo e continua a sentirlo senza le esagerazioni proprie di quelli attualmente al fronte B. Potrei ripetere l’esempio con Chuck Palahniuk e sarebbe uguale uguale.

    Che centra? Secondo me c’entra, eccome se c’entra, rientra tutto nel fenomeno della mainstreamizzazione (se lo fai presente ti bollano a vita come “indie snob e/o hipster”, ma anche sticazzi) e con Twitter è anche peggio perchè Twitter, a differenza di Vasco Brondi e Chuck Palahniuk che sono persone, quindi toccate relativamente dall’influenza degli utenti/fan, è un mezzo la cui personalità cambia proprio in base agli utenti. Ripetendo l’esempio di sopra, ci può stare un fronte A- lascio Twitter, mi trasferisco su identi.ca e/o altro socialnetwork più indie (per dire il primo che mi viene in mente, eh), un fronte B- “C’è Fiorello su Twitter, Twitter è una figata!” e una scelta sensata di compromesso come la vostra. Un po’ mi dispiace, ma apprezzo, in pieno (però, aggiungo una domanda/lancio un sassolino. Perchè la stessa cosa non può valere, ad esempio, per Facebook? Cosa cambia? Gli annunci? La troppa velleità pubblicitaria di Facebook? -se è per quello sono d’accordo, per altro, se è per altro, non l’ho capito.-)

    (E comunque tutto il mio discorso sui due fronti e il riferimento musicale, fa il paio con: http://www.youtube.com/watch?v=opnMFeOqdPI “Sono così indie che Twitter era da sfigati, adesso è da redattori si, ma redattori dell’Espresso”)

  29. eppure il canale é per me come ascoltare la radio

  30. @ ip

    ti do una notizia: qui non sei su Twitter. Non costringerti in una micragnosa manciatella di caratteri: se hai un pensiero da esprimere, prenditi tempo e spazio ed esprimilo, così possiamo capirlo. A forza di stare in gabbia, poi si resta curvi e rattrappiti anche al centro di una piazza. Questo è un invito a sgranchirti gli arti, farti due passi, respirare. Benvenuto su Giap.
    Altrimenti, sticazzi.

  31. @ Eve Blissett

    la differenza con Facebook è che, per vari motivi (anche di scarsa compatibilità tra le nostre strategie comunicative e la logica di fondo di quel SN), a suo tempo decidemmo di non investirci tempo ed energie. Cosa che invece abbiamo fatto con Twitter, che si prestava meglio. Ora Twitter sta subendo mutazioni, e muta anche il nostro approccio. Nel frattempo, nulla di quanto accaduto su FB incoraggia un tardivo avvicinamento da parte nostra. Se l’esigenza è soltanto quella di “promuovere” Giap da quelle parti, c’è già un sacco di gente che lo fa, in maniera del tutto spontanea.

  32. Compris. Quindi il punto, praticamente è: “Facebook era nato di merda ed è diventato ancora più di merda, Twitter era nato figo ed è diventato/sta diventando/potrebbe diventare di merda se non stiamo attenti”.

    (e, aggiunta, stanno facendo diventare di merda pure youtube. Quest’ansia di essere social è uno sfrangiamento di ovaie.)

  33. Mi piacciono gli hashTags che non sono formidabili canali e colla di tutto ma paterns che crescono come virus

  34. Anche a me piacciono i paterns e gli hashTags. Fin da quando li ho imparati a squola.

  35. […Continuate pure a discutere senza problemi. Lo sapete, Saint-Just veglia su di noi.]

  36. Appartengo come tanti a chi vi ha sempre seguito, nel bene e nel male. A seguito del flame sul Banco Alimentare qualcosa si è rotto. Vidi sul mio profilo di FB (che uso assai di rado) il post di una mia “conoscente” che parlava di voi e della questione. Inoltre allegandoci un commento, parziale e superficiale, sperando di farmi piacere! Ho sentito subito il puzzo di twitstar contaminata da fb dietro l’angolo (esperimento socialgenetico assai inquietante, tra l’altro)… Fate bene, pieno e solido appoggio e perdonate il citazionismo biografico, ma credo renda perfettamente.:-)

  37. Sollevo un paio di questioni che se no ho paura che finiscano nello sgabuzzino e invece potremmo prendere l’occasione per ritirare fuori.
    Innanzitutto, dopo aver letto il post mi è tornato in mente il discorso sui tempi dei movimenti che Wu Ming ha sempre portato avanti. E’ un discorso sui movimenti che devono avere il proprio tempo, non devono farselo imporre. La rivoluzione è fatta anche di questo: rompere i ritmi imposti.
    Pensandoci adesso mi sorprende quanto abbiate sfruttato twitter pur avendo una tempistica accelerata. I tempi sono accelerati non solo per voi, non solo nel vostro profilo. Ma anche nel mio, banale utente twitter che vi segue e che vede un vostro commento arrivare in fondo alla pagina nel giro di dieci minuti. Quindi non solo per voi è difficile scrivere, ma per chi vi segue è difficile star dietro a tutto.
    Credo che ci sia qualcosa che cozza in tutto ciò: prendersi i propri tempi ed essere estremamente volatili.
    Ed è una cosa che non riguarda solo voi che giustamente avete un blog che decide i propri tempi, ma anche quella benedetta rivoluzione di cui tanto avete parlato.
    Nei movimenti spagnoli, in quelli statunitensi, queste due diverse tempistiche convivono: una marea di dirette sempre più aggiornate, ma processi di cambiamento lentissimi.

    Ma visto che parlate anche dei “vip” direi che si può affondare col coltello. I vip non solo esistono, ma trasmettono messaggi. Se i vip sono politici (magari diretti avversari) bisogna stare doppiamente attenti.
    Obama si vendeva un volto democratico, aperto ai lettori anche perché rispondeva su twitter. Sta di fatto che sono le sue scelte politiche a essere sono determinanti, non i suoi tweet.
    Ma siccome viviamo nell’era della comunicazione, Obama (e tanti altri) si potrà rivendicare fino alla morte di essere aperto, pienamente democratico e all’altezza dei tempi. Tanto più se risponde a chi lo critica, anzi potrà dire: “Vedete, dico che sono in disaccordo, però parlo con tutti”. Tanto cosa gli interessa, nessuno vedrà mai le domande più spinose, dato che decide lui cosa ritwittare.
    Questa è un’arma a doppio taglio: ricordiamoci di Berlusconi e del suo uso della televisione, i Berlusconi di oggi hanno twitter e facebook. Non li comandano, ma hanno un pubblico di follower maggiore (quindi le loro informazioni circolano di più), sanno usarli o in genere hanno degli esperti che due dritte gliele danno.Utilizzando lo stesso strumento che usano loro, anche solo per combatterli rischiamo di dargli spazio, invece che zittirli.

    D’altro canto tomm_zan fa l’elenco di una serie di cose molto buone uscite dall’uso di twitter di Wu Ming. Queste cose non le perderei, e se voi vi staccherete un po’ da twitter, almeno non perdiamole noi che seguiamo il blog e stiamo in questa discussione.
    Un esempio su tutti: nervi #saldi. Da un’idea di Wu Ming si fece una giornata di comunicazione che diede forza al movimento notav. Quel giorno eravamo tutti notav, chi era a casa, chi era all’estero, chiunque.
    Non è poco.
    E nemmeno è un caso: #saldi era l’hashtag, un tema che eccedeva wu ming e proprio per quello ha funzionato. Era più importante l’informazione di chi la emetteva (o di chi l’aveva emessa per primo). Da appuntare sul taccuino.

    Anche #SteveWorkers è un esperimento da riprendere, secondo me. Di fronte a quella patetica narrazione su Steve Jobs, ci si è ritrovati in un pulviscolo di attori a dire una cosa semplicissima: non ci sto! E non ci si limitava a questo, ma da lì si partiva per rilanciare: non solo non ci sto, ma sarà anche il caso di incazzarsi.
    I diversi post di Giap sull’uso della Rete e sullo stesso SteveWorkers secondo me completavano molto bene.

    Riporto anche un altro caso, che non parte da Wu Ming, ma dà alcuni stimoli non da poco: il caso @MarioMonti. Ossia un profilo fasullo, inventato, col nome del nostro nuovo Primo Ministro. Che diceva delle frasi assolutamente credibili che parlavano di sacrifici inevitabili da parte degli italiani.
    Questi ultimi due esempi non sono certo romanzi, ma una via di mezzo tra politica e arte lo sono sicuramente

    Mi sembra di capire che l’uso del social network brucia molte energie. Credo però che l’uso così intensivo di twitter andasse ben oltre ciò che entra nei romanzi, spero che Giap possa funzionare come nodo per fare emergere queste cose.

    L’importante è uscirne un po’ più consapevoli (non solo voi wu ming, ma anche tutti noi che vi seguiamo), per usare ancora twitter in maniera piratesca e per non bruciare un’arma che è stata ed è molto forte.

  38. @wu ming 1
    Per quanto mi riguarda la tua “estrema sintesi” è corretta.
    I motivi (mi riferisco a me) sono sostanzialmente due:
    1) Come ha scritto qualcun altro qui si può leggere con calma, riflettere e, aggiungo io, rileggere e apprezzare la vostra scrittura non vincolata ai 140 caratteri (in fondo siamo qui in primo luogo perchè siete scrittori che leggiamo volentieri, no?)
    2) Lo “stile Ballarò” mi disgusta perchè, oltre a generare (deliberatamente) equivoci e buttarla in caciara (altrettanto deliberatamente) , riduce ogni confronto di opinioni alla messa in scena dello scontro, in cui le parti non vogliono cercare la verità (a proposito, per non generare fraintendimenti sia chiaro che non mi riferisco a voi) ma dimostrare di avere ragione.

    Nel vostro caso poi la tentazione per gli amanti del Ballarò style a buttarsi nella mischia è ancora più forte: “scontrarsi” su twitter con gente che per vivere usa le parole e magari avere pure la falsa impressione di metterli nell’angolo, quando in realtà si sta solamente “inchiodati alle premesse”, può costituire un eccitante più efficace del viagra.

    Questo spazio per fortuna è invece moderato e quindi bonificato da questi individui che non vogliono confrontarsi ma solo avere ragione.

  39. Non capisco perchè non rimandate su questo blog le discussioni che non possono essere sintetizzate con un semplice sintagma.

    Interessante l’idea di Steve Workers, peccato che l’abbiate concepita come una “campagna” affidandone il logo (in qualche caso) a soggetti estranei alla cultura situazionista. Si poteva fare di più smarcando Steve Workers da ogni sigla o pesantezza ideologica, come fa Anonymous ad esempio. Chi vuole se ne può anche appropriare della simbologia, perchè uno stormo di uccelli non si farà mai imbrigliare in una rete. ;-)

  40. Concordo in pieno con plv. Ma aggiungo anche un altro scampolo di riflessione. La tempistica accelerata della rete (parlo della rete in generale, adesso) rispetto a ogni altro mezzo di comunicazione, sviluppa una certa accelerazione comunicativa anche negli utenti. In certi casi, tipo twitter, si assiste a una vera e propria compulsione. Il ritmo con cui si twitta e ritwitta in certe discussioni indica una cosa molto semplice: in quel momento della giornata – un momento che può estendersi a volte per *tutto* l’arco della giornata – non si è in grado di staccarsi dalla rete, si è continuamente immersi dentro un flusso di informazioni. Questa compulsione a cosa porta? Io per esempio sono convinto che comporti una grossa difficoltà di concentrazione su qualsiasi attività si stia facendo in parallelo. Alla fine twitter non è più il nostro mezzo di comunicazione, diventiamo noi le sue appendici.
    Aggiungo che al confronto con i social network a noi i blog sembrano pachidermici, sono i nostri luoghi di riflessione e approfondimento. Ma dovremmo renderci conto che fuori da certi ambiti, anche i tempi dei blog sono ebefrenici. Perché moltissima gente di giorno lavora, ad esempio, e non tutti sul luogo di lavoro hanno la possibilità o il tempo per pensare un intervento, scriverlo, postarlo, seguire la discussione, etc. E quando riescono a trovare il tempo di leggersi un thread con decine di interventi, magari ormai la discussione è finita e non ha più senso aggiungere qualcos’altro.
    Per tornare dunque al discorso di plv, i tempi dei mutamenti veri, delle trasformazioni, degli approfondimenti, sono *lenti*. Per essere efficaci, per agire in profondità e non confondersi col rumore di fondo, serve tempo da dedicare alla cura delle cose che si fanno e che si trasmettono. Lavoro artigianale, concentrazione sul pezzo, non uno sconfinato multitasking comunicativo che sottopone continuativamente il nostro cervello a stress e ci succhia le energie. Quella che mi sembra si stia perdendo è proprio la capacità di concentrarsi.
    Come è stato già detto, questo non significa che twitter non possa avere una sua evidente utilità in determinati frangenti. Ma che debba essere il nostro compagno di vita quotidiana, ecco, non lo credo affatto.

  41. Complimenti non di rito per il mazzo che vi fate sulla rete da quando esiste. Quello che mi chiedevo è se tutto questo stia avvenendo per caso o soltanto come conseguenza della crescita di utenti di twitter.
    Nel periodo Monti voi siete molto più scomodi che nel periodo Berlusconi. Nel periodo B. eravate molto più tollerati e molto più lasciati in pace in quanto remavamo tutti contro di lui.
    Adesso le cose sono diverse e voi siete scomodi intellettuali della sinistra radicale, per di più senza segreteria politica di riferimento a cui chiamare per farvi rientrare nei ranghi.
    Quando si muovono i sarubbi e i riotta non è mai per caso. Io potrei twittare le peggio cose e loro non vengono a parlare con me, ma se lo fate voi si, perché voi create opinione e date voce a chi voce loro non vogliono dare.
    Hanno una maledetta paura delle vostre opinioni per quello che scopriremo lunedì ed hanno bisogno che passi l’idea sacrifici per tutti.
    Quindi giusto ripensare le maniere di stare su twitter ma non lasciamo un centimetro al frame che stanno imponendo al paese.
    @filippocioni

  42. «Continuate pure a discutere senza problemi. Lo sapete, Saint-Just veglia su di noi» sarà da oggi in poi la frase con cui chioserò le riunioni di lavoro! :D :D

    @AnonZiP
    una precisazione su Steve Workers: non si tratta né di una campagna organizzata a tavolino né c’è stato alcun “affidamento”, basta spulciare il sito steveworkers.tumblr.com per capirlo. C’è anche uno storify che testimonia come sia stato un progetto collettivo al quale hanno partecipato in tanti.

  43. @ AnonZIP

    le prime due righe non le ho proprio capite. Quanto al resto, che comunque mi sembra un po’ OT, tocca precisare alcune cose:

    1) “Steve Workers” non è farina del nostro sacco. E’ stato concepito su Twitter a partire da un nostro gioco di parole, ma lo sviluppo non è stato opera nostra. Non è stata nostra l’idea del blog su Tumblr, come non abbiamo aperto noi il profilo Twitter, come non abbiamo inventato noi le immagini etc. L’operazione ci è piaciuta, come antidoto alla beatificazione postuma di Jobs, quindi l’abbiamo “pubblicizzata” su Giap. Stop.

    2) Di conseguenza, noialtri non abbiamo “affidato” proprio niente a nessuno;

    3) en passant, se c’è una cosa di cui ben poco ci frega, è una presunta “cultura situazionista”, men che meno stabilire chi vi rientri o no (tra l’altro, non ho proprio capito a chi tu alluda). I situazionisti non sono tra i nostri riferimenti teorici preferiti.

    4) in ogni caso, personalmente non ho percepito alcuna pesantezza ideologica. A meno che per “pesantezza ideologica” tu non intenda… il richiamo alla classe operaia, ma quella era la chiave stessa del progetto: Steve Jobs guru dei padroni, Steve Workers “guru” dei lavoratori.

    5) su Anonymous, rimando a molte delle considerazioni fatte nel post e nella discussione qui:
    http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=6198

  44. Forse, in questo caso, mi ha confuso come è stata letta in un “contesto” specifico, fuori dalla rete.

  45. Provo ad aggiungere alcuni elementi in ordine sparso.

    Il 2011 è stato un anno di grandi rivolte e mobilitazioni, che hanno prodotto e stanno producendo smottamenti. I movimenti studenteschi di fine 2010 hanno “passato il testimone” alle rivolte nordafricane e mediorientali, che a loro volta hanno “ricaricato” i manifestanti greci e, soprattutto, influenzato la grande insorgenza spagnola, la quale ha “impollinato” l’immaginario di altri movimenti in altri paesi, processo che è salito di livello negli USA con OWS etc. e poi è ripartito in Egitto, mentre in tutta Europa ci sono grandi scioperi e lotte durissime.

    In questo 2011, Twitter si è rivelato uno strumento prezioso per tutti. Do per implicito e noto il discorso contro il feticismo digitale e l’approccio caricaturale che descrive quei movimenti come “Twitter revolutions”, ma è un dato di fatto che abbiano usato Twitter intensamente, spesso re-inventandone alcune pratiche.

    Noi WM abbiamo cercato di dare un contributo a tutto questo in quanto “public intellectuals”. Qui mi richiamo alla distinzione fatta da James Petras: “desktop militants” vs. “public intellectuals”:
    http://www.eurasiareview.com/13112011-social-opposition-in-age-of-internet-desktop-militants-and-public-intellectuals-analysis/
    (che è poi la stessa che abbiamo proposto anche noi tante volte, tra “clicktivisti”/rivoluzionari da tastiera e gente che tiene il culo per strada)

    Abbiamo usato intensamente la rete, ma abbiamo anche macinato chilometri, tenendo conferenze, seminari e ogni genere di iniziativa pubblica.
    Per dire: se mettiamo in fila tutti gli interventi che abbiamo fatto in giro, direttamente ispirati dalle lotte di quest’anno, e di cui abbiamo proposto l’audio qui su Giap, è davvero una considerevole mole di discorso.

    Ecco, Twitter ci è servito per tenerci collegati a tutte quelle lotte, e a volte per dare un contributo anche laddove non potevamo essere fisicamente presenti. Plv ha citato l’episodio nervi #saldi, tom_zann il 15 ottobre…

    Per ricollegarmi a quello che scriveva Plv: io credo che sia merito anche dello stare su Twitter se nei mesi scorsi abbiamo sempre più affinato il discorso sui tempi. Proprio la convulsa andatura di quel network ha evidenziato, per contrasto, la necessità di un discorso sul riprendersi i tempi.
    E il multitasking verso cui ci spinge il mezzo, come ricordava WM4, sempre per contrasto ha evidenziato la necessità di ricalibrare, restringere il focus, non fare i tuttologi come certi nostri colleghi, rifiutare certe interviste, e a un certo punto chiudere il calendario delle presentazioni, per poterci concentrare sulla nuova fase del lavoro sul romanzo.

    E’ probabile che il 2012 sia un anno anche più turbolento del 2011. Twitter continuerà a essere uno strumento strategicamente importante. Come si diceva nel post, per distribuire e socializzare informazioni è uno strumento formidabile. E anche noi lo useremo.

    Quello che di certo non faremo più è discuterci dentro.

  46. @ Wu Mings

    Premettendo che non ho mai usato Twitter, provo una seconda sintesi.
    Non è semplicemente che siete diventati troppo *famosi* per non scatenare un putiferio in rete ogni volta che aprite bocca?
    Non vorrei essere nei vostri panni: deve essere un bello stress!

    @ Wu Ming 4

    concordo in pieno.
    Il motivo per cui non uso Twitter né altri social network è proprio per evitare di perdermi nel rumore di fondo.
    È impossibile rimanere concentrati su qualcosa se milioni di persone ti parlano nelle orecchie 24 ore su 24.

    Un saluto

  47. @ Wu Ming 1

    [scusa, il mio post si è accavallato al tuo (…)]

    “riprendersi i tempi” mi piace moltissimo.

    Ciao

  48. Raramente lascio commenti sui blog tuttavia questo post mi spinge ad alcune riflessioni. Certamente twitter è un formidabile strumento per divulgare contenuti che rimandino ad altri luoghi e in questo senso la decisione di twittare (orribile neologismo) contenuti attraverso i link mi pare in sintonia perfetta con la considerazione di twitter come strumento divulgativo. La produzione di contenuti linkati è un po’ uno sviluppo dello strumento twitter che, non va dimenticato, iniziò esclusivamente come vetrina espositiva di quella italica espressione che va sotto il nome di”cazzeggio”. Per cui la vostra è una scelta estremamente condivisibile. Certamente la tentazione del flame è sempre presente in ogni social network, quasi una mutazione, indotta dal luogo di condivisione social, del trolling che infestava (infesta) i blog e credo sia una tentazione difficile da estirpare.
    Ma nel tornare a twitter quello che ho ultimamente notato, oltre all’invasione di hashtag, legati spesso alla viralizzazione (legittima, per carità) di eventi (invasione alla quale è più difficile sopravvivere che a un corso di addestramento della legione straniera), viralizzazione accompagnata da serie a volte un po’ stucchevoli di reciproci complimenti, quello che ho notato, dicevo, è come twitter stia iniziando a produrre e creare vere e proprie “star” letterarie che, a differenza vostra, che prima avete prodotto (e producete) letteratura e poi siete andati su twitter, cominciano a far nascere proprio su twitter l’idea della loro produzione letteraria in fieri fino alla sua realizzazione finita. Il tutto accompagnato dall’hashtag giusto e dal tweet sapiente. E’ un fenomeno che mi lascia molto perplesso, ma che va considerato. Forse la letteratura non è più solo una questione di contenuti ma sta diventando anche una questione di tecniche SEO? Non lo so, ma forse lo strumento digitale impedisce il non coinvolgimento totale e forse, direbbe Gabriele Frasca analizzando l’opera di Philip Dick, sta nascendo un nuovo scrittore cyborg: metà uomo e metà twitter.

  49. Quello che molti hanno descritto qui è un vero e proprio meccanismo di craving, e credo che le reazioni chimiche, psichiche e neurali che stanno alla base della “compulsione a comunicare”, siano davvero molto simili a quelle che determinano l’appetito per una sostanza.

    Faccio un tweet, tizio mi risponde in maniera stimolante/provocatoria ed ecco che sento il bisogno irrefrenabile di controbattere, se non c’è campo per la smartphone vado in paranoia, mi agito, i’m waiting for my man.

    Twitter mi fa essere sempre “in atto” e dunque finisce per de-potenziare quel che ho da dire, perché “Ciò che è potente può sia essere che non essere” (Aristotele), mentre Twitter mi fa “essere” di continuo, senza possibilità di “non essere”.

    E diciamo pure che lo smartphone, sempre collegato in rete, porta alle estreme conseguenze la trasformazione “in lavoro” di ogni minuto della nostra vita (Nuova catena di montaggio, come la definisce Bifo: quella mette in opera ogni minuto passato in fabbrica, il cellulare fa lo stesso (potenzialmente) con ogni attimo dell’esistenza.)

    Aggiungo che la discussione – prima della Rete – aveva alcuni rituali. Per discutere dovevo vestirmi, uscire di casa, andare in un luogo pubblico, fare quattro chiacchiere di riscaldamento, ecc.
    Adesso sto davanti al computer e parlo con un sacco di gente di cose importanti, però magari sono in mutande, e nel frattempo controllo la mail, lavoro, ricevo un sms… e inevitabilmente quel che ho da dire ne risente. Se a questo aggiungiamo uno strumento che mi mette pure fretta, che mi fa letteralmente andare in craving, ecco che non sono più una centrale di ragionamenti, sono solo un tossico in mutande (con tutto il rispetto per la categoria e per l’indumento in questione).

  50. Mi rammarica la sensazione da voi espressa di non trovare più “umanamente ricca” questo tipo di situazione. Par mio tutte le esperienze estenuanti e logoranti – specie se apparentemente inutili – possono essere spendibili, almeno da un punto di vista letterario. Perchè non capitalizzate quest’esperienza imbastendovi su un bel racconto gonzo-neoista stile “Bologna Social Enclave”? Infilandovi dentro tutte le nuove compulsioni internettare, dagli usi improvvidi degli hashtags al ruolo salvifico della rete etc etc? Ok, può sembrare una sciapa boutade da wannabe-Wu Ming 6, se seguite il mio commento però forse vi apparirà come qualcosa di più consistente.

    Le mie prime due ricerche su internet nel 1998 (avevo 17-18 anni) furono “noce moscata” e “luther blissett”. Questo solo per dire che so chi siete, da dove venite e che ho pure seguito le varie evoluzioni, però è vero che sono un perfetto “niubbo” per quanto riguarda twitter… ed è anche vero che i miei timidi accessi a detto SN sono in parte dovuti, come per tom_zan, ai vostri costanti e viepiù crescenti riferimenti ad esso.
    A latere, mi sono reso conto che l’Italia ha scoperto twitter praticamente dalla primavera araba in poi ed ho anche notato (come Filippo Cioni) un improvviso e misterioso overload proprio in corrispondenza di questo “autunno caldo”, come se dopo la caduta di B. gli italiani (ma più che altro gli opinion-leaders italiani: VIP, media, come le più carbonare “star” della blogosfera) abbiano provato il bisogno di “sentirsi” un po’ arabi dopo la cacciata del tiranno, o meglio abbiano cercato un nuovo frame del dopo-Berlusconismo nell’ambiente sociale twitteriano, al punto che i TG e i rotocalchi sono invasi da twitter come tempo addietro erano invasi da FB.
    E ancora (sempre – mi rendo conto – col rischio di scadere nell’antropologia da baretto) ho anche l’impressione che ogni volta che i media obbligano le masse ad occuparsi di economia (com’è successo col panico mediatico dell’escalation dello spread questo autunno), ne obblighino almeno una parte ad una presa di coscienza che deve necessariamente passare per un rinnovata “interazione sociale” (era accaduto qualcosa di analogo all’epoca di Seattle e dei social forum no?) e a questo scopo Twitter si prestava molto meglio che FB o altri, così ecco che da #occupy a @riotta (giusto per dare un’idea del range) un’ondata libidinale che va oltre gli specifici segni e identità si riversa in questo canale. Ho anche il sospetto che i difensori (più o meno consapevoli) dell’esistente cerchino di strappare questo medium ad un suo uso eccessivamente “nomade” e quindi pericoloso, specie guardando il nord-africa e la spagna, contro-colonizzandolo e mettendo in atto una vera e propria “territorializzazione” del mezzo, che come si sa è un processo che può coinvolgere e infettare anche gli oppositori dell’esistente. Mi spiego meglio: se un tempo twitter era ambiente privilegiato per quelle pratiche da “intelligenza collettiva” segnalate da plv, tipo elaborazione di un meme, diffusione di informazioni e tutti quei processi che prescindono dall’ego dei loro attori sociali, ora la situazione si è capovolta, territorializzandosi attorno alle twitstars e quindi orientandosi su polarità egotiste… per capire come i territorializzatori riescano ad accalappiare anche i loro oppositori è secondo me emblematica la vicenda del Banco Alimentare nella quale vi hanno un po’ imbrigliati, se permettete.

    in soldoni, USO “NOMADE” di twitter e quindi pericoloso per lo status quo: diffusione di informazioni, memi sovversivi, decontestualizzazioni etc. USO TERRITORIALE di twitter quindi favorevole allo status quo: sapere cosa pensa Fiorello degli zingari, sapere cosa pensa Vendola della circonsisione, sapere cosa pensa Fabio Fazio della fellatio e via di degenerazione twitstar-oriented… ecco allora che vi viene gettato un sassolino “dai, partecipate alla colletta di BA” – WM: “no grazie, no CL”… eccovi territorializzati: Cosa pensa WM di Banco Alimentare. Scusate però siete voi che siete caduti nel trabocchetto, non è molto giusto incolpare lo sdoganamento di twitter.
    Il messaggio secondo me è: un tempo potevate fare su twitter quello che vi pareva, ora dovete stare molto attenti perchè il nemico è riuscito a penetrare anche lì. Secondo me non è il momento di suonare la ritirata, è il momento di elaborare contro-strategie per scardinare l’uso territorializzante di twitter, per metterlo in ridicolo, per sovvertirlo, per restituire la pariglia. Credo di aver detto la stessa cosa di plv alla fine…

  51. @ Lo.Fi.
    Scusa, però io sono perplesso.

    1) Abbiamo scritto che lasceremo perdere le pratiche deteriori (quelle che con molta plausibilità chiami “territorializzanti” e che producono scazzi, narcisismi, circoli viziosi) e ci concentreremo sulle pratiche che Twitter valorizza al massimo e per le quali è particolarmente adatto (diffusione rapida, socializzazione, amplificazione di informazioni; proposta + aggiornamento continuo di discussioni che avvengono altrove).
    Cioè faremo esattamente quello che tu ti auspichi.
    Eppure secondo te staremmo “suonando la ritirata”. In che senso?

    2) Nel post abbiamo scritto testualmente:
    “abbiamo più che raddoppiato i follower, senza riflettere abbastanza su cosa questo implicasse. E così il nostro modo di usare Twitter è invecchiato in tempi molto rapidi”; “la nostra modalità […] non funziona più”; “non riusciamo più a comunicare su Twitter come vorremmo”; “Le nostre prassi e retoriche non sono più adeguate“; “[quest’altro modo] è quello che sentiamo di poter portare avanti“, etc.
    A noi l’aspetto di autocritica dei nostri appunti sembrava evidente, e ribadito. Siamo noi a non aver saputo trovare un modo migliore di usare Twitter mentre cresceva come network.
    Però tu dici: “non è molto giusto incolpare lo sdoganamento di Twitter”.
    E chi lo ha fatto?

    Quanto alla vicenda del Banco Alimentare: nessuno ci aveva chiesto nulla, nessuno ha mai interpellato Wu Ming sulla colletta, niente “sassolini”. Il tweet iniziale è stato una nostra libera espressione, non sollecitata da nessuno, che è giunta come un fulmine a ciel sereno e infatti ha sorpreso tutti quanti. La reazione rabbiosa di molti deriva proprio da questo: “Ma che c’entrano questi con la colletta alimentare? Chi gli aveva chiesto nulla? Come osano fare i guastafeste?”
    L’errore non è stato rispondere a una sollecitazione, perché il numero di sollecitazioni ricevute sulla vicenda prima di quel tweet ammonta a *zero spaccato*,00.
    L’errore (grave) è stato pensare di poter discutere la faccenda su Twitter.

  52. @ Wu Ming 1
    Ok, c’è una mia frasetta proditoria, il “scusate però” è stato un mio errore che trasforma il tutto in un attacco. Mea culpa. Perchè in effetti volevo un po’ dire le stesse cose che avete detto voi in una maniera un po’ diversa. Ripeto, sono un “niubbo” di twitter e volevo cogliere il vostro post per cercare di capire con voi cos’è salvabile e cosa è da combattere di twitter e soprattutto COME farlo. Mi era parso di cogliere un messaggio del tipo “ok, rimaniamo su twitter ma a quota periscopio”. Ho capito male, pardon.

    Riguardo al “sassolino” anche qui credo di aver messo insieme due tweet che non erano correlati, inseguendo il casus belli del flame mi era sembrato che un marforio avesse detto “oggi c’è la colletta, partecipiamo” e wu-ming/pasquino avesse risposto “no grazie”… ma evidentemente non c’era un collegamento, comunque non ha importanza se sia stato un sassolino altrui o un vostro calcolo renale. Mi premeva capire che dinamica è stata messa in moto per decontestualizzare la vostra esternazione, in quale schema sia stata infilata, come si possa sovvertire questo schema, tutto questo nel più ampio discorso quali #usiditwitter mettere in campo, quali combattere. Speravo di aver aggiunto qualcosa di mio alla discussione, magari con la semplice idea di farne una piccola outtake…

  53. @ Wu Ming 2

    quoto tutto il tuo ragionamento e, col vostro permesso, lo trasformo in un OT.

    La sensazione che ho osservando dall’esterno la galassia SN – ma non solo questa, lo stesso discorso può valere per i blog, i forum, i siti wiki e via dicendo – è che la rete stia diventando una sorta di feticcio-multitasking, qualcosa a metà tra il santino alla parete e l’elettrodomestico definitivo.
    Parecchi anni fa, quando io ancora annaspavo nel buio di Internet Explorer, mi craccavo photoshop malfunzionanti e passavo interi pomeriggi davanti alla progress bar di Napster per scaricare una canzone, un mio caro amico, decisamente più dotato di me in fatto di hardware, mi disse: “Tra un po’ il computer mi preparerà il caffè la mattina”.
    Allora mi sembrò un’esagerazione, eppure (anche) stamane, la prima cosa che ho fatto appena sceso giù dal letto è stata accendere il portatile e connettermi alla rete.
    Che diavolo è successo nel frattempo?
    È solo una questione di implementazione del mio hardware, o c’è qualche altro motivo che può spiegare questo mio strano comportamento?
    Riflettendoci un minuto, credo sia qualcosa che travalica l’aspetto strettamente comunicativo della faccenda: alla fine, appena sveglio non mi va di comunicare nemmeno con me stesso, figuriamoci col resto del pianeta.
    Ritengo invece possa trattarsi di una sorta di feticismo tecnologico.
    Il portatile, lo smartphone etc. mi consentono infatti di *fare delle cose*: accenderli di prima mattina sta diventando un impulso primario, esattamente come bere un sorso d’acqua o ingerire degli zuccheri…

    (non so perché ma mi fa ripensare alle ore che trascorrevo in sala giochi, negli anni 80, a fare la fila come un idiota per fare una partita ad un videogioco del cazzo ad 8bit – non avevo proprio nient’altro di meglio da fare?)

    Bé, se le cose stessero davvero così… mi sa che sarei veramente inguaiato di brutto!

    (mai come ora dunque, mi sembra necessario andare a scavare nel mio passato culturale più remoto, alla ricerca di anticorpi: rileggermi Burroughs, Ballard, Gibson, Dick… rivedermi Videodrome e Tetsuo… )

    “Parte della tua realtà è già una video-allucinazione”

    (se solo avessi una cazzo di porta USB dietro l’orecchio non avrei neanche + bisogno di ritirare fuori quei maledetti libri polverosi… )

    Long live the New Flesh

  54. io sono su tw dal 2008 e trasformazioni ne ho viste tante. i sn risentono della compulsione nostra di comunicare, vero. ma cosa c’è di errato in questo? o meglio cosa c’è di nuovo in questo? il mezzo? quando ero adolescente erano più i momenti di inadeguatezza all’ambiente, agli amici, alle situazioni che ti frenavano e così serravi la bocca e il pensiero. forse è facile venire fraintesi, forse ci sono troppe attenzioni su certe star approdate, ma resta un immenso modo per comunicare, come non ce ne sono mai stati nell’umanità. poco male se non mi caga nessuno quando dico una mia verità o un mio fatto. io lo dico e si disperde.

    prima non si disperdeva nemmeno.

  55. @franzecke
    quoto: “mai come ora dunque, mi sembra necessario andare a scavare nel mio passato culturale più remoto, alla ricerca di anticorpi: rileggermi Burroughs, Ballard, Gibson, Dick… rivedermi Videodrome e Tetsu”

    Beh, questa è pura telepatia. Proprio ieri con i miei soci & altri ci dicevamo: vedrai che adesso ritorna il cyberpunk, Gibson, Sterling & compagnia. Abbiamo dismesso le loro visioni come “vecchie” o naif, pensando che la Rete fosse altro, tutta libera espressione e zero dominio, e invece mi sa che quelli avevano la vista lunga, molto più lunga di quanto non si pensasse.

  56. Il linguaggio non è altro che l’incessante riflessione su di esso. Sugli strumenti, sulle tecniche, sui vettori dei linguaggi e le loro concatenazioni.
    In questo senso l’uso distorto, sgradevole, infine nocivo dei linguaggi e degli strumenti è sempre benvenuto. Giacchè impone un surplus di ragionamento, di salvifica pausa necessaria per elaborare, evolvere i linguaggi medesimi in sintesi superiori. In retoriche più potenti.
    Lo sbarco su tw di una sterminata legione di abominevoli stronzi è perciò un fatto di molto positivo.
    Impone strategie affilate. Elaborazioni aggiuntive.
    Un testo di 140 caratteri è una freccia.
    Bisogna saper determinare i bersagli, in base alla propria condizione, che può essere momentanea. Se sei un arciere solitario oppure uno di un battaglione di diecimila non è la stessa cosa. Se sei un presunto o reale opinion maker o un anonimo e arguto canesciolto neppure.
    Da non tecnico dico che tw azzopperà in modo serio molte reputazioni. Di molti stronzi. E questo è bene.
    Che la platea che via via cresce a dismisura va comunque tenuta in grande considerazione.
    Che bisogna crescere in maniera regolare e costante, attraverso la capacità di stare nei tempi giusti sui fatti che contano davvero e fornire indicazioni utili, e non sulle parole minchia del momento.
    Che alla lunga avrà la meglio chi curerà l’ottimizzazione
    percentuale del mezzo in senso Zen, che come si sa con il tiro con l’arco ha molto da spartire. Ovvero il più alto numero di bersagli centrati e il minor numero di frecce scagliate.
    Il contrario della fretta. E della compulsione.
    A ogni stronzo la sua freccia.
    Augh.
    L.

  57. @ Luca

    Vero e condivisibile: ma quando il nemico avanza con i B52, nemmeno un milione di frecce lo possono scalfire.

    @ Wu Ming 2

    “Vecchio” o “naif” il cyberpunk?
    Cavolo, a rileggere oggi quella roba sembra di guardare il telegiornale!

  58. Mi intimidisce l’autorevolezza di quasi tutti i commenti e di quasi tutti quelli che scrivono qui sopra. Mi perdonerete se abbasso come sempre il livello.
    Sottoscrivo parola per parola quanto scritto da @filippocioni.
    Aggiungo: spero di rivedere in futuro altre doppiette del tipo dei due tweet iniziali della questione BA. E concordo sul fatto che non avrà alcun senso, la prossima volta, “smazzarsi il thread” su twitter e dare retta a ogni ultimo stronzo che passa (mi ci includo, a volte). Perché nessuno ha diritto all’attenzione di nessun altro, quindi nemmeno alle risposte. Anche quelle secondo me bisogna guadagnarsele, meritarsele, esserne all’altezza. Gli altri si possono pure ignorare (includetemi, a volte ;-)
    Avete ruolo e peso che, con tutta l’umiltà del mondo, non si possono negare e lo sapete. Forse su twitter potete essere meno pedagogici, più provocatori, più scorretti, più “bastardi”.
    Spero che rivediate il limite che vi state imponendo. Ripeto: spero di rivedere tweet come quelli. Piazzate la botta, e poi via. Dirottate gli autobus. Siete scrittori, nessuno come voi può essere efficace e perfino “artistico” anche nei 140 caratteri. Quello che non serve è spiegare, giustificare, documentare, quantomeno non là. Se poi vogliono discutere sanno dove trovarvi.
    Sì lo so che tutto questo non è nella vostra natura e nel vostro metodo. Ma senza contributi di questo tipo, senza qualcuno che semini il panico, twitter diventerà l’ennesima televisione, l’ennesima tisana alla melissa per maggioranze oligofreniche.

  59. [Nota per WM1: non riesco ad aprire il link a eurasiareview che hai postato, puoi controllare se è corretto?]

    Allora, provo non senza difficoltà ad inserirmi nella discussione.

    Premesso che concordo con l’analisi fatta nel post e con la dichiarazione d’intenti fatta da Wu Ming rispetto all’uso di twitter, provo a proporre una riflessione ulteriore sull’argomento.
    Parto facendo questa domanda: alla luce delle considerazioni fatte nel post sulla mutazione del panorama in twitter, cosa è realmente, strutturalmente, cambiato in quell’ambiente?
    La risposta che mi do è la seguente, ad essere cambiati sono i meccanismi attraverso cui si costruisce la propria credibilità, la propria attendibilità come nodo di informazione.
    Personalmente, chi mi segue dovrebbe essersene accorto, ho sempre utilizzato il mezzo prevalentemente come uno strumento di delivery, cioè per fare arrivare alla mia rete di contatti informazione da me prodotta (un post, uno storify, un commento, ecc.) o da me filtrata.
    Sulla base di questa attività, che porta via una quantità di tempo non indifferente ma che è il riflesso del mio percorso di studio, comprensione e intervento sulla realtà, ho cominciato, giorno dopo giorno, a costruire la mia identità e la mia credibilità legate a doppio filo alla mia attività e alla qualità del materiale da me prodotto/filtrato.
    L’esplosione che ha caratterizzato twitter negli ultimi tempi ha letteralmente polverizzato questo meccanismo, in quanto ha avvicinato masse di utenti sulla base dell’interesse verso personalità che hanno già una propria autorevolezza/credibilità e non hanno dunque bisogno di lavorare per costruirsi un’identità nel mezzo e, dunque, per sperimentarne potenzialità, difetti e specificità.
    Questo sisma ha provocato una modificazione radicale dell’asse comunicativo di twitter, che da parzialmente orizzontale che era è diventato sempre più verticale, con schiere di fan/zeloti che, nella ricerca spasmodica di attenzione/accettazione da parte del vip di turno, sono stati pronti a muoversi in crociata contro il nemico di turno. E questo è successo anche a noi, come – se non interpreto male – fa notare #uomoinpolvere, che ci siamo sentiti in dovere di difendere i nostri riferimenti, cadendo con tutte le scarpe nel meccanismo del flame.
    Detto questo io ho fiducia che in tempi non troppo lunghi i danni del sisma verranno riassorbiti.
    Se si guarda alla storia del mezzo, si nota come in Italia Twitter sta seguendo un percorso in parte inverso rispetto a quello che ha seguito negli Stati Uniti. Negli USA, Twitter è diventato celebre grazie alle star che ci stavano sopra (Lady Gaga, Justin Bieber, ecc.) e solo in seguito si è specificato come mezzo di informazione con caratteristiche ben precise (dopo il terremoto di Haiti).
    In Italia, invece, il percorso pare essere al contrario: di Twitter prima si sono esplorate le potenzialità informative e poi è diventato un canale di “comunicazione” con le star di turno.
    Ma Twitter è un mezzo difficile che necessita di tempo e dedizione, che lo rende un social con un tasso di abbandono altissimo.
    Per cui io sono ottimista e penso che dopo questa sbornia, siccome i tempi per il ridimensionamento di Facebook come SN per eccellenza sono maturi, questa massa di utenti finirà per annoiarsi di un mezzo in cui l’attenzione si conquista solo a fronte di un massiccio investimento in termini di tempo ed energie e per rivolgersi verso altri servizi dalle caratteristiche più tradizionali (es. Google+)

  60. @ WM2 (proseguendo un discorso collettivo) : soprattutto, la parola-virus di Burroughs mi sembra suggestiva. Quell’aspetto alieno del linguaggio, replicativo, che si riproduce con meccaniche biologiche a prescindere dal bozzolo che lo emette. In questo senso il mezzo prende possesso degli utenti, anziché il contrario. Occorre mettere in atto dei “jimmick”, dei trucchi, per disinnescare le trappole. O anche, per dirla nella declinazione di Genna, bisogna essere untori. Servono allora spazi più pesanti nella rete, come questo, capaci di funzionare da *attrattori* (parlo proprio in senso matematico). Lo Zen a cui fa riferimento Luca qui sopra è fondamentale: niente riflessi pavloviani, niente emozioni primarie, capaci solo di suscitare click facili. Tempi diversi, controtempi. E’ anche l’unico modo per rimanere lucidi, e non farsi divorare il tempo. (che voialtri c’avete da scrivere ahah)

  61. ottimo intervento pinta ;) (la soluzione allora è essere in/credibili :P )

  62. Luca: «A ogni stronzo la sua freccia.»

    Chapeau.

    Mi trovo d’accordo con quel che ha scritto Luca. Credo che alla lunga gli stronzi si riveleranno per quello che sono. Twitter in questo senso aiuterà a farlo capire. Magari non a tutti, ma pur sempre ad una percentuale. È già successo, con la faccenda di quell’account chiuso senza sapere il motivo. L’account che ironizzava sul governo tecnico. Al di là delle effettive colpe, ha messo in luce un paio di atteggiamenti, di certe persone, che altrimenti non sarebbero stati percepiti.

  63. @ Lo. Fi.
    sulle parti del tuo commento che non ho “rettificato” non ho nulla da ridire, non c’è dubbio che il tuo sia un contributo utile. Ci tenevo a precisare, perché non si riproducessero equivoci.

  64. qualche mese fa si era discusso se twitter (non) fosse facebook.
    Molti commenti avevano quel sapore di “noi vs loro” un po’ feticista nel certificare come i 140 caratteri imponessero riflessione e scelta accurata delle parole e quindi maggiore qualità del messaggio, per cui l’idea era che fosse il mezzo in sè migliore veicolo (parlando di social network). A me allora ed ora sembra che entrambi, tutti, i mezzi siano sempre funzione di chi quei mezzi li usa. WM fa autocritica e si accorge che troppi brevi tweet legati uno all’altro non sono fruibili nell’insieme per cui sia la troppa audience, sia la conseguente difficile persistenza del messaggio intero hanno l’effetto contrario di quello con cui si parte, cioè l’effetto Ballarò: uno, anzi parecchi, spara merda su un tweet senza nemmeno immaginare la sequenza dei messaggi e l’intera discussione. Io condivido e aspetto curioso di vedere quali nuovi strade ci si apriranno e decideremo di seguire. Certo che come sempre voi vuminghi siete tra i pochi a mostrare i propri conflitti in pubblico e generare dubbio e discussione, grazie ancora

  65. “I flame non ci interessano, li troviamo avvilenti”. Pero’ secondo me e’ un problema di audience ad esempio se scrivi qualcosa sui pomodori a giannino e’ quasi automatico trovarsi a dialogare con un pubblico stile studio televisivo, perche’ giannino e’ un personaggio televisivo un economista da domenica in che ha una sua fanbase anche su twitter. Poi e’ altrettanto evidente che gli studenti si ribellino a veder violata la propria aula da un personaggio del genere (come da voi detto), e’ come se cruciani facesse una lezione a scienze politiche. Secondo me polemizzando su certi argomenti neutralizzate quell’effetto virtuoso del non apparire in televisione, nel caso del banco alimentare siete stati usati da un giornalista sconosciuto che si e’ levereggiato sulla vostra popolarita’. twitter e’ perfetto per parlare di contenuti prodotti da voi e per divulgarli. Io ad esempio ho fatto un percorso inverso rispetto ad altri commenti , vi ho conosciuto tramite twitter all’epoca dei bookbloc grazie ad un twit con un link a giap e dopo ho letto i vostri libri.
    tifo comunque x un rebalance degli sforzi a favore di giap

  66. Boh, a me dispiace e non capisco perché non possa essere una soluzione semplicemente non cagarseli i flame.

  67. Creo dei copia/incolla e inserisco citazioni che mi sembrano significative e lascio al flusso del mare infinito di internet, per dirla alla Saramago, ogni valutazione.
    @Wu Ming 2 “Beh, questa è pura telepatia. Proprio ieri con i miei soci & altri ci dicevamo: vedrai che adesso ritorna il cyberpunk, Gibson, Sterling & compagnia. Abbiamo dismesso le loro visioni come “vecchie” o naif, pensando che la Rete fosse altro, tutta libera espressione e zero dominio, e invece mi sa che quelli avevano la vista lunga, molto più lunga di quanto non si pensasse.”
    E aggiungo: “Uno scrittore senza né blog né sito, e che non frequenta gli spazi prostituzionali di Facebook e di Twitter, non è forse votato all’emarginazione? Il “making of” di un romanzo diviene non un bonus ma una sorta di dovere più importante del libro stesso.”
    — Richard Millet, L’inferno del romanzo – Riflessioni sulla postletteratura (Transeuropa)

  68. Sono ormai un lettore di Giap di lungo corso (solo dopo molto tempo ho iniziato a intervenire, e ora è da un po’ che manco attivamente). Certo però ultimamente leggere i vostri post era divenuta una fatica indicibile. Erano tutti (o quasi) post scaturiti da cinguettii.
    Da utente di twitter poco continuo ho apreso con piacere alcune cose, però voi mi siete sempre piaciuti perché scrivete libri, mica perché state su twitter.
    Sono curioso di capire come rielaborerete questa esperienza dentro un romanzo. L’eccesso di informazione è un tema a cui spero stiate lavorando. Mentre voi facevate incazzare la gente con il banco alimentare (grandi) ho riletto Manituana (a proposito di making of, ho anche riascoltato i materiali audio).
    Riassunto: io aspetto il prossimo libro, wuminghi. Se non state su twitter più di tanto, pazienza.
    ;)

  69. Ragazzi, io finora non ho detto niente, ma state *leggermente* esagerando.
    Ho appena scorso l’archivio di Giap degli ultimi due mesi.
    I post nati da cinguettii sono 2. Due.
    Quello su Steve Workers e quello sul Banco Alimentare.
    Riga.
    Nient’altro.
    :-)
    Detto questo, tranquilli, che noi siamo romanzieri. E scriviamo romanzi.

  70. Stamattina m’è venuta ansia da assenza di twit di WuMing tanto che sono andata a vedere se avessero ancora l’account :-) Così tranquillizzata, mi sono venuta a fare un giro su giap, ed ho trovato una interessante e sensata discussione.

    Ho anche notato che poche settimane fa i follower di WuMing erano <10.000 (qualche mese fa siera arrivati a 5.000) oggi sono 11.800 un aumento così rapido non può avere nulla di "naturale", o è attrazione compulsiva per le risse o è compulsione a "seguire" tutto ciò che si muove.

    11.800 persone e 140 caratteri è una sproporzione troppo grande. Se la ricetta fosse, anche qui, la decrescita?

    p.s. Lo stile comunicativo di WuMing è da sempre molto attivo, ma lo fa(ceva) con naturalezza, come se parlasse con qualcuno per strada.Dai tempi della newsletter non si sono mai risparmiati nel confrontarsi con chiunque. Ricordo belle discussioni, anche polemiche, via email con me e altri e poi tutti amici come e più di prima, ma soprattutto c'era la possibilità di conoscere ed approfondire non solo le idee espresse in forma di sentenza ma anche le personalità, le inclinazioni, lo stile. Spero e credo che non ci faranno mancare questo!

  71. Credo proprio che la chiave sia dismettere l’uso di Twitter come strumento di discussione. Se i 140 caratteri sono anche un limite “stimolante” – come tutti i limiti formali, d’altronde – allora potrebbe essere altrettanto stimolante stabilire un tetto massimo di tweet giornaliero – che so, cinque?

    Vorrei poi tranquillizzare tutti quelli che, giustamente, ci hanno richiamato al nostro lavoro di romanzieri: l’attesa di un nuovo “oggetto narrativo” targato Wu Ming, sarà soddisfatta entro la primavera del prossimo anno.

  72. @ Daniela

    non sono 11.800, sono 11.080! Hai avuto un momento di dislessia… :-D

    Ad ogni modo, ormai da una decina di giorni la media è di 100 nuovi follower al giorno. Anche nelle ultime 48 ore.

    A noi va benissimo che molta gente riceva i nostri tweet. Possono essere pure centomila, se il mezzo viene utilizzato bene. Undicimila sono “troppi” per l’uso sbagliato del mezzo che abbiamo descritto nel post, ma non esiste un “troppo” se si trova la quadra. Non dobbiamo puntare a una “decrescita” dei follower, ma a una “decrescita” delle nostre pretese, del nostro approccio: con Twitter non si può pretendere di farci tutto; bisogna selezionare le prassi, escluderne alcune e valorizzarne altre.

    @ Tutti

    a parte il grande progetto sulla Rivoluzione francese, che stiamo portando avanti alacremente, ci sono altre due uscite letterarie “in orbita”, ed entreranno nell’atmosfera nel corso del prossimo biennio. Sono due oggetti narrativi collegati all’Africa (Somalia e Kenya). Il primo atterraggio, come diceva WM2, avverrà già nella prima metà del 2012.
    Oltre a queste, c’è anche l’idea di una raccolta dei nostri scritti di non-fiction (articoli, saggi, post di Giap).

  73. Leggo Giap da tempo ma solo ora sento il bisogno di scrivere qualcosa. Il post e tutti i commenti sono parecchio interessanti. Secondo me alla base di tutto c’è però un equivoco: Twitter non è strutturato per essere una strumento di discussione. E’ un devastante (nel senso buono del termine) mezzo per far circolare contenuti. Mi piaceva l’idea del vostro profilo Twitter come di un Giap in miniatura, un posto dove pubblicare libere espressioni in 140 caratteri. Twitter suggerisce, affronta qualsiasi argomento lateralmente, di sfuggita. Per discutere ci sono altri posti forse più confortevoli, come questo blog. In attesa del vostro nuovo romanzo, saluti ai Wu Ming e a tutti i commentatori. Andrea

  74. Francesca 3176, ha detto secondo me una cosa interessante:

    “non capisco perché non possa essere una soluzione semplicemente non cagarseli i flame”

    La risposta secondo me è: No.
    O almeno non cagarsi i flame può essere una soluzione, ma fino a un certo punto. Perché all’inizio tutto sembra stare nello stesso discorso e tutto sembra stimolare risposte. E così cadi nella trappola senza accorgertene.
    E’ il mezzo che te lo impone e se vuoi trattenerti devi sforzarti.
    E’ come fare zapping durante la pubblicità: è impossibile non farlo. Si potrebbe spegnere la tele e riaccenderla dopo quattro minuti, invece…

    Il problema è che quel mezzo ti porta ad agire compulsivamente: mi sembra che WM2 abbia centrato un nodo scoperto. Il mezzo impone effettivamente delle modalità che non è facile governare e di cui è difficile essere consapevoli.

    Aggiungo un aneddoto che forse mi getta fuori contesto (giudicate voi).
    Mi sono ritrovato in Spagna ad un incontro fra le varie acampadas, che cercavano, dopo l’estate, di rilanciare il movimento indignad@s. Si ragionava degli strumenti comunicativi e ci fu un intervento abbastanza spiazzante: “tutte le comunicazioni che facciamo devono nascere dalle famose 3 C: cabeza, corazon e cartera” (testa, cuore e portafoglio).
    Che una persona all’interno del movimento dicesse questo, era secondo me molto grave.
    Questa deriva da marketing, da cui i movimenti italiani non sono immuni, è l’altra faccia dell’essere “pop”.
    Solo che il marketing bombarda e brucia e questo applicato ai movimenti va verso una deriva pericolosa.

    Seguire le acampadas su twitter era quasi impossibile: sembrava che stesse succedendo la rivoluzione ogni giorno, poi in realtà non stava succedendo nulla se non il normale fluire del movimento.
    Quindi vivevi una contraddizione: se andavi in piazza il movimento era lentissimo, se lo seguivi online sembrava che fosse in atto un cambiamento epocale repentino.

    A noi italiani che eravamo lì ci dissero “Italiani, fatevi Twitter e farete la rivoluzione”.
    Dieci risposte acide di infilarono a imbuto del mio cervello, ma nemmeno una uscì dalla mia bocca.

    Oggi, alla luce di questa discussione, risponderei così:

    A ogni stronzo la sua freccia.
    Ad ogni arciere un vademecum

  75. @WM1
    ormai soffro di dislessia galoppante (effetto collaterale dei ritmi compulsivi della rete?) :-D

  76. Post ben più che condivisibile, e discussione assai interessante. Sulla degenerazione in flame e di twitter come poco utilizzabile per confronti costruttivi, considerazioni inattaccabili. Epperò, ragazzi, per me che vi ho conosciuto là (e da là imparato a scoprirvi), su twitter mi mancate. Un sacco davvero.

  77. @plv
    due parole in più sul vademecum?

  78. premessa necessaria: non sono mai stato su twitter, ne’ su facebook, quindi non conosco realmente le dinamiche di questi mezzi.

    pero’ da quanto letto mi sono fatto questa idea: il problema non sono i flame, ma l’ impossibilita’ di incanalare la discussione (flame compresi) in un frame accettabile. da un certo punto di vista questo potrebbe sembrare un punto a favore di twitter, perche’ potrebbe sembrare un segno di democrazia reale (nessuno puo’ imporre a priori un andamento alla discussione). in realta’ mi pare di aver capito che le dinamiche siano piu’ simili a quelle della folla manzoniana: entrano in circolo delle informazioni parziali e distorte e le persone si buttano nella rissa seguendo l’ istinto del momento.
    nei blog, anche quelli non moderati, questo di solito non avviene. con un po’ di pazienza e di coordinamento, e’ possibile dare una direzione al dibattito, e persino ribaltarne l’ impostazione. questo secondo me si avvicina di piu’ all’ idea che ho io di democrazia reale: lo scontro anche duro tra sistemi coerenti di idee e di prassi.

  79. 140caratteri sono tipo una roba così: Il presidente del Consiglio ha annunciato di voler rinunciare al suo compenso: “Mi è sembrato doveroso come atto di sensibilità individuale”
    140caratteri, come sfogliare il giornale sul frigo dei gelati mentre prendi il caffè al bar. Nei bar italiani ci si scambia le battute perché l’espresso caldo e stretto regola il tempo di permanenza. Leggi una ADN-Kronos, alzi il sopracciglio, commenti sagacemente volgendo la testa verso quel tipo in camicia bianca dietro il bancone, deglutisci il siero bollente e mandi a fare in culo quel qualcuno che con una “battuta” ti ha rovinato la pausa.
    Il direttore del Tg1 sidifende così:Mai vista una fiera dell’ipocrisia, della faziosità e tante strumentalizzazioni come in questa occasione
    twittersfera non si può proprio sentire. è una di quelle parole inserite dal mi(ni)stero per la semplificazione nel vocabolario di uso corrente. Quanti follower avete? 11.500 pseudonimi sono un bel palazzetto gremito, ridurli ad una sfera mi par riduttivo. Cosa fanno galleggiano nell’aire e quando si spegne la connessione si dissolvono?
    Sprofondo nerazzurro
    L’espulsione di Zanetti, il rigore fallito da Pazzini, la vetta a -13, dopo la partita summit con il presidente Moratti
    Non credo sia nel mezzo la questione, il Twitter o il Fb di turno sono solo veicoli per il trasporto pubblico di idee. Se ti serve di andar veloce prendi la macchina sportiva, se devi caricare dei pacchi usi la familiare.

  80. Innanzitutto grazie ancora (avevo già ringraziato via twitter) per l’input che mi avete dato nello scrivere questo breve ciclo di articoli sugli aspetti controversi di Facebook (ovvero: meccanismi di dipendenza, strategie di controllo e struttura chiusa) che, guarda caso, si inserisce piuttosto bene in questa discussione, anche perché l’ultima parte tratta proprio delle differenze tra Facebook e Twitter e di come il secondo si stia facebookizzando attraverso vari processi.
    Non ultimo quello che descrivete voi: la massificazione di twitter, che può risultare utilissima se a questa espansione di utenza si fa corrispondere un’espansione delle pratiche di liberazione possibili, ma deleteria altrimenti, in quanto favorisce la sostituzione di una rete cinguettante con una ragnatela starnazzante.
    In tal caso, c’è da aspettarsi che i media esultino: avranno così trovato una nuova forma di “popolo del web”, quando questo stava per diventare un frame troppo trito e ritrito per essere credibile, troppo poco di moda per fare notizia.

    Non voglio commentare la scelta di cambiare le stretegie comunicative, per ora c’è da riflettere (prima l’avete fatto voi, ora toccherà a me) e da augurarvi buona fortuna.

  81. @Plv&Francesca sulla questione “non cagarsi i flame”: ieri sera mi sono messa a scrivere qualche tweet di pancia mentre ascoltavo la conferenza stampa di Monti e mi sono beccata qualche rispostina poco simpatica di qualche fUn di SuperMario. Ho provato a non rispondere ai potenziali flame , ma si è rivelata un’impresa più difficile del previsto, non tanto perchè fondamentalmente ho un caratteraccio quanto perchè s’arriva a un punto di supersaturazione in cui non si riesce più a distinguere i “buoni” dai flamer (e questo è favorito dal meccanismo di Twitter, aperto, per cui chiunque, anche non follower/followed, ti può leggere. Che è una cosa sacrosanta per quanto riguarda la diffusione dell’informazione ma, invece, terribile, per quanto riguarda i flame, quindi i flamer si inseriscono nelle discussioni nate “bene”, le sporcano, e finisce tutto nello stesso calderone pieno di merda.

    Oltre tutto, la questione dei “tweet de panza”: io stamattina mi sono resa conto che ieri sera ho un attimo esagerato, per esempio. L’immediatezza va bene quando si tratta di diffondere informazioni, ma quando si tratta di opinioni/discussioni, ti fa cadere facilmente in fallo. Nel tempo che ho impiegato per scrivere fondamentalmente stronzate in 140 chr ieri sera avrei potuto tirare fuori un post più ragionato ed organico su altro mezzo tipo blog, e non credo sia una cosa solo mia.

    Ultima riflessione e poi chiudo: io trovo che la questione “degenerazione di Twitter” sia anche molto politica (tra l’altro l’80% dei flame che ho visto/in cui sono stata coinvolta è proprio di matrice politica). I fan dei VIP c’erano già da prima: vi siete dimenticati quante volte ci siamo trovati Justin Bieber nei TT? E Jovanotti su Twitter da mò che c’era. Il punto, secondo me, è: se prima scrivevo “Berlusconi merda” l’80% della mia TL si limitava a retwittarmi o al massimo “brava, hai ragione”. Uguale: no flame, al massimo due minuti di autocompiacimento, e poi basta. Adesso se scrivo “Monti merda”, apriti cielo. E a me pare che la gente che ieri sera mi diceva che “non devo scherzare coi sentimenti” (cito solo uno dei tanti) dopo una battutina sulle lacrime della Fornero, non sia affatto “gente nuova su Twitter”.

  82. @wm1,
    la mia non era una critica, ma una constatazione. I commenti (spesso più dei post) dipendevano spesso da alcune cose occorse su twitter.
    Molte volte l’uso del simbolo # tradiva una origine esterna dal blog (è successo fuori, ma spesso se ne è discusso su twitter)
    Diciamo che era diventato magmatico seguirvi. Poi che sia un casino oggettivo seguire twitter non è una novità. Detto questo rinnovo un augurio personale: di comunicazione ne capite molto a mio parere, e mi piacerebbe vedere se nel prossimo romanzo avrete voglia di affrontare il tema dell’eccesso di comunicazione (fra gli altri, sia mai detto che vi voglia chiedere un romanzo a chiave!).
    Detto ciò il post era e rimane molto condivisibile.

  83. Il lavoro che avete svolto negli ultimi tempi è impressionante. Ripenso al post sul feticismo della merce digitale. Lo situo all’inizio di una presenza in direzione ostinata e contraria di una notevolissima intensità. Discussione sulla satira, Foucault, Sprintz, #15ott, Tolkien, Bartleby, Compagnia delle opere, e ora discussione sull’uso di Twitter. Ho tralasciato sicuramente qualcosa.
    Questo lavoro gigantesco si traduce in 11.000 followers. Se continuate su questo ritmo i followers diventeranno 100.000 in breve tempo. Sono a parer mio followers che valgono qualcosa, non siete in tv, non siete vip, non scrivete ogni giorno su qualche giornale, i followers ve li guadagnate con la vostra fama di scrittori, con la vostra capacità di produrre materiale originale di elevata qualità e di con la capacità di aggregare attorno a voi un collettivo allargato capace di produrre 475 commenti di analisi sul 15 ottobre.
    Siete un polo attrattivo importante per la sinistra non pacificata e non ansiosa di compromessi storici e l’allargarsi delle persone che vi seguono è un fatto immensamente positivo.
    Data l’entità di questo lavoro capisco però il vostro desiderio di riorganizzazione delle forze.
    Inutile dire che già mi mancano i vostri tweets e la caterva di reazioni che generavano, imho erano, in un deserto culturale dominato dalla tv, un oasi notevole.
    Spero infine che chi vi segue, non avendo il vostro ordine di problemi, non vi voglia copiare più di tanto, o meglio che vi copi dal punto di vista di produrre contenuti di qualità in prima persona stile @adrianaaaaa, @jumpinshark @mazzettam ma non sulla vostra scelta di non partecipare alle discussioni su twitter perché c’è bisogno di dare battaglia anche su Twitter.
    In fondo anche Twitter è l’ennesima piazza dove si confrontano molti punti di vista e dove ci si scontra anche ferocemente. Anche quello serve per trovarsi, contarsi, fare rete.
    Dovere esporre le proprie convinzioni a chi non la pensa come te non è poi sempre uno sforzo inutile, in un paese come il nostro o lo impari a fare bene oppure non potrai mai ambire a nessuna egemonia.
    Sono sbarcati su Twitter eroi parlamentari che sono tali solo per il fatto che twittano dal parlamento e riformisti che considerano che il cyberattivismo sia #occupypd e #siamotuttigiannino, non lasciamogli il campo libero, non lo facciamo nelle piazze, perché dovremo farlo su Twitter?.
    Se parte una valanga di tweets che insultano ‘er pelliccia’ sulla base di un tg che riporta la solita velina infamante non vedo perché far finta di niente e non buttarsi controcorrente, io sono per farlo ovunque, non solo sui social network, e se qualche giornalista ammericano si incazza pace, “Sai com’è, noi qui al circolo canottieri tor pignattara non è che siamo proprio bipartisan…” (cit @amicoFaralla)

    PS: per finire una affermazione di Marx letta oggi in un articolo, chissà come avrebbe preso Twitter: “La stampa quotidiana e il telegrafo, che ne dissemina le invenzioni in un attimo attraverso tutto il globo terrestre, fabbricano più miti […] in un giorno, di quanto una volta se ne potevano costruire in un secolo.” (Marx a Kugelmann, 27 luglio 1871)

  84. Mi riaggancio al commento di @eveblisset e ad altri, specialmente quelli di WM2.

    Credo che sia necessario partire da un presupposto e cioè dal riconoscere che esiste una temporalità propria dei social networks (usando il termine per comprendere anche il blog come forma di scrittura sociale) che è direttamente iscritta nella loro forma.
    Un blog o uno stream di informazioni (come può essere twitter, facebook, o altri) è sostanzialmente un costrutto regolato dal tempo. Ogni post, ogni commento, ogni tweet è inserito in un continuum temporale, è datato e identificato dall’ora in cui viene creato.
    Anche l’impaginazione e il layout di queste forme seguono un principio rigidamente cronologico.
    Ne deriva che la forma temporale propria di questi mezzi è l’actualitas, l’attualità intesa come appiattimento su un tempo reale costantemente differito. Ne deriva l’illusione di una conversazione in tempo reale che è però costantemente agita da una differenza: quando Wu Ming lamenta di non essere in grado di controllare la conversazione perché “si impiega troppo tempo a correggere le distorsioni del segnale” è proprio in questa temporalità che si è trovato costretto. La discussione va avanti, ma la differenza che agisce il tempo reale farà si che ci sia sempre qualcuno che riparte dall’inizio del ragionamento, da qui l’effetto replica.
    Quale potrebbe essere una possibile soluzione?
    In questo post (http://www.lavoroculturale.org/spip.php?article38), nonostante imprecisioni anche gravi, si indica una soluzione a mio avviso estremamente valida nella nozione di contemporaneità, che l’autore dovrebbe ricavare da Agamben.
    Con il termine contemporaneo si deve intendere:

    “una singolare relazione col proprio tempo, che aderisce ad esso e, insieme, ne prende le distanze; più precisamente essa è quella relazione col tempo che aderisce a esso attraverso una sfasatura e un anacronismo. Coloro che coincidono troppo pienamente con l’epoca, che combaciano in ogni punto con essa, non sono contemporanei perché, proprio per questo, non riescono a vederla, non possono tenere fisso lo sguardo su di essa. Nel contemporaneo si realizza un appuntamento tra i tempi. Interpolare i tempi. (G. Agamben, Nudità)

    L’invito, perciò, dovrebbe essere a prendere atto della forma temporale in cui ci costringono gli spazi virtuali che abbiamo scelto di abitare per potere lavorare contro di essa, per smontarne “l’ordine del discorso”.
    Il flame vive di attualità, la sua forza è quella di ribattere colpo su colpo, parola su parola, occupando il flusso di informazione, frammentandolo e frammentando di conseguenza qualsiasi ragionamento possibile (un esempio nel commentario di questo post http://scrittoriprecari.wordpress.com/2011/11/29/il-piccolo-lupo-e-il-ponte-della-ghisolfa/#respond).

    Come disinnescarlo? Ci vuole da una parte la pazienza e l’autocontrollo per non rispondere “di pancia” e dall’altra parte è necessaria la capacità di lavorare contro il dispositivo, portare, ad esempio, la discussione fuori da twitter rifiutando il gioco del botta e risposta virale che la piattaforma impone.

  85. Novità. Riguardo alla considerazione sulle nuove aggiunte, in particolare «Activities» e altro, temo che alcuni timori si siano rivelati fondati:

    http://fly.twitter.com/

    In breve, Twitter tra poche settimane cambierà drasticamente.

    Credo che si stia indirizzando più verso il “dialogo effimero” con conseguente perdita esponenziale di tempo, e meno verso quel flusso continuo di informazione che rappresentava mesi fa. Peccato.

    Cosa ne pensate?

    (scusate lo spam: riguardo al mio commento in cui dicevo che mi avevate bruciato gli argomenti seri e che per colpa vostra mi restava una presa per il culo a nichi vendola, se vi interessa ho fatto un post “serissimo” sul mio blog :D)

    Saluti

  86. Ho creato un account su Twitter tempo fa, per curiosità, ma non ne avevo mai capito la valenza. Ho cominciato ad utilizzarlo in un momento molto triste, dopo la morte di Vittorio Arrigoni.
    L’assenza di Vik si faceva molto sentire, non solo dal punto di vista umano, ma anche dal punto di vista dell’informazione che arrivava da Gaza. E allora è stato tramite quel mezzo che ho contattato alcuni suoi amici gazawi ed è stato allora che ho scoperto le potenzialità di quel mezzo come strumento di informazione diretta, fin quando possibile, durante situazioni estreme, come i quotidiani bombardamenti a cui è sottoposta Gaza.
    Non l’ho mai considerato uno strumento di discussione, lo ammetto. Ho contattato ed ho parlato più approfonditamente con i Gazawi tramite altri mezzi.

    Ed anche i vostri spunti, se anche li trovo su Twitter, li vengo a seguire qui, appena mi è possibile.
    140 caratteri sono uno spunto, non possono essere un “tutto”.

    Per me Twitter è e rimarrà un mezzo di informazione rapida tramite canali “fidati”. E basta.

  87. […] a Wu Ming 1). In attesa – manca poco – di svelare il resto (ho il tempismo di un bradipo: la presenza di Wu Ming su twitter sta svoltando proprio in questi giorni, in più idue staffettisti del collettivo periodicamente fanno […]

  88. Premetto che sto saltando gli 87 commenti che vengono prima di questo. Lo ammetto: non mi va di leggerli tutti.

    Io credo che parte del fenomeno che voi osservate sia dovuto a 1) l’aumento del vostro numero di followers (ora siete belli grossi) e 2) l’arrivo in massa di nuovi twitteri inesperti trainati dalle twitstar, scusate la parola terribile.

    Ciò che descrivete nei punti 1, 2, 3, è secondo me è dovuto al notevole incremento che il twitter account “@Wu_Ming_Foundt” ha osservato tra settembre e dicembre. Da un conto veloce con twittercounter, siete passati da circa 7.000 a quasi 12.000 followers in 3 mesi.
    Considerando che fate circa 40 tweet al giorno (che è un buon numero) e che quasi la metà di questi sia risposte ad altri utenti… insomma, mi pare normale che si sollevi un polverone ogni volta. Anche tenendo presente che non twittate cose tipo “oggi prendo un caffè” (appunto!) ma di argomenti sempre importanti (a volte “scottanti”, nel freddo dell’Italia di oggi), manifestando chiare prese di posizione.

    Punto 4. Beh, il fatto stesso che twitter sia “lacrime nella pioggia” a 140 caratteri… rende la discussione difficile.

    Sul punto 4b siamo d’accordo. Ma questa è una “maleducazione” che esiste da quando esistono i social network. Se posto su facebook, commentano su facebook. Se posto su twitter, commentano su twitter. E la discussione si annacqua.

    Ciò che osservate voi, in piccolo l’ho visto anche io.
    Continuo a usare twitter perché l’accoppiata twitter+blogging è al momento insuperabile. Ma inizio a cercare alternative…

  89. […] partire da questa conversazione asincrona e dalla lettura di un post dei Wu Ming sul loro ripensare il modo di stare su Twitter in relazione al blog, ho scritto il post Per un […]

  90. La premessa è la medesima di quello sopra di me, sorry. Però ho letto bene (mi pare) il post. E poi sono andato su Twitter a leggermi ben bene le regole, varie ed eventuali.
    Voi scrivere: “… gente che scambia sistematicamente un RT per un’adesione al contenuto rilanciato (mentre «RT is not endorsement»)”. A rigore un Retweet è proprio quello che voi negate: un desiderio di far girare il contenuto, anche se non per forza un’adesione intellettuale. Io uso Twitter per lavoro e quando la redazione dei siti aziendali che seguo manda un tweet, io faccio un RT. Anche se non aderisco, diciamo, al contenuto, è mio interesse diffonderlo. O no? (Scusate il ritardo nella discussione, mi rendo conto…).

  91. […] ciò, per quanto ci riguarda, è già storia. Twitter sta cambiando rapidamente e, come si sa, noi abbiamo cambiato modo di usarlo, disgustati com’eravamo dai “flame” e dalle conseguenze del nostro discutibile […]