Un anno di arancia meccanica in libreria e su Twitter, quack! #AaAM

Anatrino perfora il pensiero unico
Anatra all’arancia meccanica
è uscito da quasi un anno e qualcuno trae un primo bilancio, quack!

Su Giap abbiamo già accennato alla ricerca di Francesco Spè (@akaOnir) sul nostro modo di usare Twitter. Ricerca che in una prima fase era finalizzata a una tesi di laurea specialistica, ma è proseguita anche dopo.
Nell’estate 2011, proprio da un’intervista di @akaOnir a Wu Ming 1 partì un’interessante reazione a catena: migliaia di persone si interrogarono insieme su quali fossero le differenze tra stare su Twitter e stare su Facebook. A rendere seguibile l’intera discussione fu l’hashtag “#twitterisnotFB”. Quel materiale fu utilissimo a WM1 e WM2 al momento di rilasciare a Repubblica un’intervista sull’argomento.

Tutto ciò, per quanto ci riguarda, è già storia. Twitter sta cambiando rapidamente e, come si sa, noi abbiamo cambiato modo di usarlo, disgustati com’eravamo dai “flame” e dalle conseguenze del nostro discutibile status di “moderate twitstar” (cit. Jumpinshark).

La collera proletariaMa quella che Francesco Spè ha fotografato col suo lavoro di ricerca, di cui ha appena reso pubblica un’ampia porzione, è stata una fase entusiasmante e importante. Studiandola, se ne possono trarre lezioni.

@akaOnir ha fatto un grosso lavoro su come, insieme ai lettori, abbiamo utilizzato Twitter per discutere di Anatra all’arancia meccanica. Non si è trattato solo di promuovere il libro e commentarlo, ma di farlo vivere su Twitter, proseguirne il mondo (i mondi) con altri mezzi. Tant’è che si sono fatti vivi alcuni personaggi dei racconti, o meglio, le persone realmente esistenti a cui ci eravamo ispirati.
I testi e documenti prodotti da Spè sono preziosi anche per noi, e susciteranno amarcord di ogni genere nei molti che hanno interagito con Wu Ming su Twitter nel burrascoso 2011.

Sul blog Lettere in rete troverete:
– il capitolo (arricchito e aggiornato) della tesi in cui Francesco analizza l’uso dell’hashtag “#AaAM”;
– il link a uno storify tanto ricco da tagliare il fiato, che deve aver richiesto parecchio tempo ed energie. Alla fine c’è anche la colonna sonora del libro (Elio e le Storie Tese, Beethoven, Coltrane, Public Enemy, Guru, James Brown, AC/DC, Ramones, Popol Vuh, John Lee Hooker).
Insomma, leggete, ché vale la pena.

***

Cogliamo la palla al balzo per segnalare anche un denso post di @Jumpinshark, “Blog letterari, commenti e trollaggio for dummies”. Tra le altre cose, si parla di come gestiamo le discussioni qui su Giap.

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29 commenti su “Un anno di arancia meccanica in libreria e su Twitter, quack! #AaAM

  1. Sul suo sito, la casa editrice Einaudi segnala e commenta il lavoro di Francesco Spè:
    http://www.einaudi.it/speciali/Un-anno-di-Anatra-all-arancia-Meccanica-su-twitter

  2. E questo:
    http://storify.com/akaonir/aaam
    è il link diretto allo “storify” di Francesco Spè. Lo segnaliamo anche direttamente, proprio per il motivo spiegato dall’Einaudi: si tratta di “un materiale prezioso, che ci dà la possibilità (come forse non era mai accaduto) di seguire un anno di vita in rete di un libro, e ci sprona a interrogarci su tutti i modi che esistono (ed esisteranno in futuro) di far interagire letteratura e tecnologia, e su come, davvero, si può far vivere un libro con altri mezzi.”

  3. trovo molto stimolante tutto quel che è scritto sull’uso dei troll. Trollfor dummies è una esaustiva carrellata sullo sviluppo dei blog italiani. Questo mi ha pero aperto una serie di questioni soprattutto sulla moderazione dei commenti: è vero che questo porta ad evitare la deriva delle discussioni, e ad eliminare fastidiosi proclami messi li giusto per fare della facile polemica ma, leggendo questo articolo su l’unità http://leonardo.comunita.unita.it/2012/01/15/pannella-e-il-partito-dei-troll/ ho pure scoperto come l’assenza di moderazione aiuti a comprendere quale sia il vero spirito della base, trasformando il blog in un vero e proprio esercizio di democrazia totale…non posso ancora esprimere una posizione assoluta riguardo a ciò, in ogni caso è ammirevole il vostro lavoro di moderazione, visto che non cassate a caso, ma guidate la discussione…e sempre verso una direzione interessante e che possa portare ad una conclusione e non ad una serie di caotiche idee…

  4. In primo luogo e non come mero rito voglio fare i complimenti a Francesco per la creatura bella sana e cicciotta che, con sudore e qualche giorno di ritardo:), ha partorito. A margine noto che tra le tante possibilità di sfruttare il formato ebook vi è ad es. quella di accompagnare il testo originale (e le riedizioni di esso) con materiali di questo tipo, che sono ovviamente altro dall’ “opera” ma rappresentano molto bene quel social reading che, in forme diverse e con tutti i rischi del caso, è storicamente collegato alla “rivoluzione ebook”. Il lavoro di Francesco è infatti, imho, non costringibile nei tradizionali “echi della stampa” collezionati dalle case editrici, rappresenta quella che possiamo chiamare la “comunità dei lettori”, sub specie Twitter. E rappresenta la comunità di Giap, che sinceramente è un “fatto sociale” e un “fenomeno letterario” mica tanto normale… e se non è rilevante come i Wu Ming, fa comunque la sua figura (qui sto cercando l’applauso in modo svergognato).
    Ancora più a margine, il testo di Francesco documenta un vostro periodo di Twitter, che è stato per molti importante. E pur comprendendo bene il vostro nuovo corso, mi dico “che peccato”. E non perché fossi sempre d’accordo con voi o perché mi confermavate nei miei giudizi. Al contrario, sia nella condivisione che nel disaccordo, la vostra voce era importante, per me come per tanti altri, al fine di un *approfondimento critico*.
    E però il confronto su Twitter, un po’ per una vostra linea di programmatica “non morbidezza” (con tutta la quota di consapevole “provocazione”, pure letteraria, del caso) e molto perché il contesto di ricezione era profondamente mutato riguardo a voi, degenerava subito in casino nell’autunno 2011.
    E così siamo arrivati a casini e troll, sui social come sui blog. Il caso di Giap è assolutamente “insensato”, nei numeri (post con +500 commenti, really?), nelle forme (interventi spesso lunghi e ragionati, dialoghi, non battibecchi, prolungati e documentati ecc.), nei “protagonisti” (su Giap c’è un nucleo non amplissimo di commentatori forti; e in buona parte sono braccia rubate al blog autonomo :) – intendo dire che gente come Tuco si esprime soprattutto qui ma ha molte più cose da dire rispetto a tanti blogger) e nel fatto che “ve le andate a cercare” (il post buttadentro per i grillini più pimpanti, really?). E quindi è “fisiologico” che per consentire lo sviluppo delle particolari discussioni di Giap voi abbiate la mano mooooolto ferma. Ed è per me assolutamente corretto che a un certo punto voi decidiate di ritirarvi da una discussione improduttiva. Del resto, se in treno qualcuno mi tira un basto in treno per farmi ammettere che “sti immigrati son troppi e non si sa come fare” io, a quelle condizioni, mi rifiuto di discutere. Punto. Non vedo proprio cosa ci sia di strano. Apriti un blog gratuito e grafomanizza quanto vuoi ma non cercare legittimazioni culturali, mascherate da free and open encounter , alle tue “bizzarrie” sulle mie povere spalle (i volgari tolgano la s).
    Ugualmente per il discorso sulla censura. Censura vi è quando tiro giù il server che ospita il tuo blog o ti taglio le dita sulle tastiera. Non quando mi rifiuto di pubblicare i tuoi deliri, quelli che io ritengo tali ovviamente; sono appunto in casa mia e sono inoltre responsabile verso gli altri ospiti.
    Per il resto dico solo che *ognuno è troll per qualcun altro e solo in principio tutti siamo civili commentatori aperti al confronto*. Nelle pratiche concrete, nei momenti di discussione intellettuale “tirata”, quando ai sacri proclami troppo spesso malamente scaccolati da alti riferimenti bibliografici, bisogna far seguire la coerenza e mettere un po’ tra parentesi il proprio ego, le cose sono diverse. Ma non c’è da farne un dramma, in fondo ricordiamo sempre che vi sono questi problemi proprio perché vi sono nuove ed ampie possibilità di comunicazione e produzione culturale e sociale, neutre nel nudo fatto tecnico, ma liberatorie in senso teleologico, diciamo (insomma ve lo brucio ‘sto Morozov citato a puffo, la net delusion può essere un’ideologia smaccata e pericolosa come le pappette di Jarvis, di moda da noi fino a ieri).
    Ooops scusate, sono andato lunghissimo! Mi fermo e naturalmente ringrazio per la gentile menzione del mio post.
    PS: il post segnalato di Leonardo è davvero notevole (oltre a essere straziante testimonianza della sofferenza esistenziale che questo grandissimo intellettuale italiano prova ogni giorno nello stare criticamente dentro il PD :))

  5. ciao, vi segnalo una discussione sul Corriere in merito a Copyright e Copyleft…il tempismo è un po’ appannato, ma forse per l’Italia ed il Corriere sono cose nuove.

    Comunque, l’interesse sta soprattutto nei nomi più che rispettabili dei due “disputatori” che sono Ernesto Ferrero per il Copyright e nientepopodimeno che Giulio Giorello per il Copyleft.

    http://lettura.corriere.it/copyright-e-copyleft/

    Ferrero cita anche i WuMing (unico esempio del suo intervento) finendo a sostenere che
    “…a ben guardare, il copyleft sarebbe insomma un’astuta pratica promozionale messa in atto da chi ha capito prima e meglio le potenzialità della Rete, e dunque un investimento a costo zero, parecchio redditizio.”

    Riesce anche ad usare le locuzioni come “esproprio proletario” e a sostenere che senza copyright lo stato si troverebbe a dover finanziare i poveri “disoccupati intellettuali” fino a non saper se convogliare le magre risorse tra un “Fabio Volo o un novello Wittgenstein”…(!!)
    per finire, fa un finalino buono come uno sfacciottino di papà Barzotti (copyleft Elio ELST) dicendo che no, non è il copyleft il problema ma noi, noi lettori superficiali e di bocca buona!

    Giorello vola più in alto, comprensibilmente, ma gli esempi più attuali che cita sono Franklin e Milton!
    E poi, chissà se con meravigliosa ironia o per meravigliosa coincidenza, termina parlando dei Ming!

    “(…)sotto la dinastia Ming vedevano nelle esplorazioni condotte dai loro più audaci navigatori una minaccia alla «società» (ovvero alla brama di controllare il commercio), fino a ottenere che l’autorità imperiale le vietasse del tutto. Il motto dei Ming pare fosse «mantenere la rotta». Il nostro, invece, è: meglio pirati o hacker che questo o quel Grande Timoniere.”

    Capito, VoiMing? Mantenete la rotta! eheh…

    Magari a forza di banalità mainstream, forse certe pratiche e certe comprensioni riusciranno a diffondersi. O forse saranno sempre “contre-conduites” nella lotta contro l’ortodossia del potere…

    saluti da Parigi!
    Damiano

  6. Groan…

  7. Con una certa fatica e raschiando il fondo delle mie riserve di faccia tosta supero ancora una volta la timidezza che mi incute sempre più il livello di questo blog e dei partecipanti, per due osservazioni.

    La prima è una domanda/proposta, come al solito da ignorante.
    Vi chiedo se potete dare indicazioni (mi verrebbe da dire una specie di “catalogo ragionato”) di altri scrittori che usano modalità analoghe di frequentazione della rete, o che in modi magari diversi ma altrettanto innovativi abbiano esplorato le possibilità di interazione ed estensione dell’opera scritta con la rete, o che abbiano offerto e instaurato attraverso la rete un rapporto altrettanto stretto con i lettori (anche se è molto evidente che Giap non è, o non è più soltanto, il blog dei vostri lettori).

    La seconda è una osservazione che riguarda un settore lontanissimo dal vostro, l’editoria scolastica.
    Come tutti saprete, le ultime riforme del MIUR sull’argomento impongono tra altre cose che i testi scolastici debbano avere “estensioni” sul web. Non so esattamente i dettagli della cosa (anche perché quando una strategia di questo tipo viene definita tramite una legge, quasi sempre finisce “a schifìo”), ma ho amci che lavorano in quel settore. Avendo prole in età scolare e facendo per mestiere l’informatico, ho cercato di capire, chiacchierando con questi amici, come le case editrici abbiano affrontato la cosa. L’impressione è che l’abbiano subita soltanto come un’imposizione, che abbiano cercato di limitare i danni, e che non abbiano visto (o forse che abbiano visto anche troppo bene) le opportunità che a me sembrano invece evidenti.
    Voi pensate che la vostra esperienza potrebbe in qualche modo, opportunamente traslata, essere utile in quell’ambito? C’è qualcosa di simile all’estero?

    Grazie a tutti, e scusate l’invasione.

  8. @ VecioBaeordo,

    scrittori e scrittrici che non usano la rete solo come vetrina o megafono o forum – tutti usi legittimissimi ma in qualche modo “normali” – bensì sperimentano intensamente coi suoi linguaggi, in Italia, sono (ciascuno a suo modo) Giuseppe Genna, Vanni Santoni (e il gruppo SIC di cui è co-fondatore con Gregorio Magini), Lara Manni, i Kai Zen… Questi sono i primi che mi vengono in mente.
    Una che aveva fatto un esperimento interessante di prosecuzione del libro sul web e viceversa era Babsi Jones, che però ha smesso tanto di scrivere quanto di frequentare la rete (all’epoca, 2007, annunciò il suo auto-esilio usando l’espressione “reinventare il silenzio”).
    Chiaramente, nessuno usa modalità del tutto “analoghe” alle nostre, il nostro percorso rimane molto peculiare. Anche il tipo di rapporto che abbiamo instaurato con la “repubblica democratica dei lettori” resta peculiare.

    Sulla seconda questione: tra di noi c’è chi, come WM2, è molto più ferrato di me per quanto riguarda le tematiche educative/pedagogiche e il loro possibile rapporto con le tecnologie di rete. Penso che, appena avrà il tempo, ti risponderà lui.

  9. @WM1

    Molte grazie. Di Genna sapevo, degli altri non ancora. Non ho mai capito bene, poi, se si possa considere un fenomeno affine anche “carmillaonline”, cioè se possa essere vista in qualche modo come un’espressione di Evangelisti che l’ha fondata o se invece vada considerata come una webzine in quanto tale.

    E all’estero nulla di simile?

  10. Carmilla va considerata una rivista on line a tutti gli effetti, e non un’estensione del Valerio Evangelisti romanziere, anzi, è imperativo che non venga usata per promuovere o recensire libri degli autori che sono in redazione…
    Riguardo all’estero, se intendi qualcosa di simile a noi WM, no, non ci sembra. Dopo tutti questi anni l’avremmo saputo… Anzi, a giudicare dalle domande nelle interviste e dalle recensioni dei nostri libri, mi pare che questa dei collettivi di romanzieri/agitatori culturali sia ritenuta una cosa distintamente italiana…

  11. Parzialmente ritornando su ciò a cui accennava Jumpinshark, io credo che quella di Twitter sia stata un po’ una occasione mancata. Non dai WM, intendiamoci, ma in generale da “tutti” – scusate ma non so che termine usare, a parte questo, per dare il senso allo stesso tempo dell’impersonalità e del ci-siamo-dentro-pure-noi – per portare in Twitter una dinamica di discussione più stimolante della media.

    Anche io non sono sempre d’accordo con le posizioni di WM, ma i loro “cinguettii” sono sempre stati comunque uno stimolo alla mia materia grigia. Il punto alle volte era passare il primo istante di recepimento della provocazione o del sarcasmo, attivare i neuroni-diesel e pensare criticamente.
    Mi sembra che ci siamo già avvitati su Twitter stesso a commentare che questa comunicazione su Twitter non era sempre funzionale, in quanto richiedeva la presenza di sottintesi comuni. Chi non aveva/ha questi sottintesi perde (o non prende proprio) il filo del discorso.

    Mi sembra che questo però sia vero dappertutto, non solo su Twitter. E credo che non sarebbe bastato a creare le polemiche (polemicucce?) a botte di tweet poi sfociate con l’addio (parziale) dei WM se non si fosse unito al fastidio di alcune twitstar-serie/seriose (vedi caso per caso Riotta, Sarubbi…) quando sono stati toccati certi argomenti, fastidio che ha scatenato la corsa alla tastiera dei loro seguaci. Almeno, questa è stata la mia impressione scandagliando la mia timeline, più ristretta di moltissime a dire il vero.

    Sintetizzo e vado a chiudere: ho l’impressione che nel caso specifico più che i limiti del mezzo (Twitter), che pure ci sono, abbia pesato come al solito la voglia di non (cercare di) capire/approfondire punti di vista diversi dai propri tradizionali e di voler dire a tutti i costi qualcosa pur di esserci/apparire (tipo me adesso, ovvio :-).

    Ovviamente: le mie sono tutte opinioni personali e discutibili, per carità…

  12. Provo a colgliere il suggerimento di WM1 e commentare l’ottimo spunto di ramananda, soprattutto perché è un esempio evidentissimo e spassoso di come la nostra ‘forma mentis’ intesa come struttura storica e sociale che condiziona i nostri ragionamenti, funziona per dicotomie e (false) contrapposizioni.
    Tutto, dall’impostazione grafica della pagine, ai titoli dei due contributi, fino alla magnifica e incosapevolmente perfetta contrapposizione (esempi entrambi negativi) di Wu Ming/Ming (come ha sottolineato rama), lo testimoniano.

    Mi sembra però più interessante commentare Giorello, con cui facilmente si tenderebbe ad empatizzare.
    La sua è una impostazione a sua volta dicotomica: viva la pirateria, dice, perché permette di far giungere un’opera anche a chi era escluso dalla sua fruizione, a causa del potere monopolistico. Il potere qui è visto nel suo aspetto semplicisticamente repressivo.
    Sostanzialmente si riafferma, nel gioco di parole, la sola contrapposizione tra ‘right’ e ‘left’: ognuno vorrebbe decidere a chi far giungere la copia di un opera, semplicmente scegliendo un diverso ramo dell’albero.

    Il problema è già tutto impostato nelle parole e attraverso esse possiamo trovare la via per uscirne.
    Qui non si parla affatto di proprietà intellettuale, bensì di ‘diritto di copia’, di riproduzione (che diavolo vorrebbe dire poi proprietà intellettuale?!?). Perché ad essere negativo è il concetto stesso di copia: il diritto qui sta solo a garantire che ogni copia sia assolutamente identica all’originale e assolutamente fedele alla visione che l’autore ha del mondo: qualunque essa sia ‘deve’ essere preservata, identica a se stessa.

    L’idea che sta alla base di tutto è quella, ben descritta (sempre) da Deleuze-Guattari di ‘libro-calco’, che mantiene, anzi rafforza la struttura dicotomica e la ‘forma mentis’ del lettore.

    Se, invece di soffermarci sulla sterile contrapposizione left/right, approfondissimo il gioco di parole, ci renderemmo conto che ‘copy left’ ci indica già la via da seguire: lasciamola al suo destino la copia, abbandoniamola alla mutevolezza ed alla molteplicità.

    Il suo destino sarà quello di ‘fare rizoma’ con il lettore, come l’orchidea fa rizoma con la vespa: «La vespa […] si deterritorializza, diventando essa stessa un pezzo nell’apparato di riproduzione dell’orchidea; ma essa riterritorializza l’orchidea, trasportandone il polline.» (Rizoma)

  13. Nell’intermezzo tra 1Q84 e la rilettura di Asce di Guerra, ho letto questo libricino edito da minimumfax che si chiama “Cosa volete sentire”. E’ una raccolta di racconti di musicisti/cantautori indipendenti italiani, una roba leggerina e per niente pretenziosa che si legge in un paio d’ore. Nella prefazione, comunque, la curatrice del libro, Chiara Baffa, dice una cosa, che in questo contesto secondo me, diventa piuttosto importante: dice che quel libro è per i curiosi, per quelli che si chiedono come continua la storia che c’è in una canzone quando la musica finisce, qual è il mondo che c’è intorno, sotto e dietro.

    La musica ha il vantaggio, come dimostra il libricino suddetto (ma anche come dimostrano i vari esempi di musicisti/scrittori) di poter soddisfare questa curiosità tramite la narrazione letteraria, un media diverso. La letteratura, invece, ovviamente, non lo può fare attraverso sè stessa: insomma, scrivere un libro che parli di quello che c’è intorno a un altro libro avrebbe del surreale! Bisogna trovare nuovi mezzi per fare, in un certo senso, metaletteratura.

    Per me, appunto, quella “roba” che racconta Francesco nella tesi, non è social-media-marketing, è, in una parola, METALETTERATURA, e trasforma lo svantaggio suddetto in un vantaggissimo, ovvero quello di includere nel processo metaletterario pure i lettori (anche perchè, poi, penso che la maggior parte di noi che abbiamo parlato del libro su Twitter, lo avevamo comprato già prima, e quindi parlare di marketing non regge, proprio a logica).

    Per il resto, quoto parola per parola quello che dice Jumpin’ nel commento di sopra e ripeto quello che dicevo tempo fa su Finzioni: per me i WuMingS non sono solo “scrittori, gente che scrive roba bella”, ma anche, soprattutto, compagni (idem per molte persone con cui interagisco su Tw, che non sono *solo* follower/following) e credo sia indiscutibile che questa cosa è attribuibile anche all’uso di Twitter che in parte Francesco racconta nella tesi.
    Per il resto, il difetto di Twitter, il problema grosso, che porta ai flame e via discorrendo e porta spesso anche noi (almeno me, sicuramente si) a farne un uso sbagliato, non sono le twitstar, i trending topics e stronzate così: è l’impulsività, è il prestarsi alla composizione flash e irrazionale che spesso e volentieri ti porta a scrivere stronzate. La temporalità, è il problema: per commentare qua, o per scrivere un post, ci vuole un po’ di tempo. Per twittare qualsiasi cazzata, non s’impiegano più di due secondi due.

    (ah, Genna comunque usa molto più Facebook di Twitter. Idem Pincio)

  14. @Francioso
    come dici tu, se non è proprio forse una malafede, di certo è una “malagrazia” nell’uso delle parole ad invalidare un dibattito come quello che ho linkato sopra su Copy Right-Left.

    Gli autori lì stanno utilizzando una “notazione” che rimanda all’oggetto. Alla materialità del libro che contiene le idee. Sia per “liberarlo” sia per “vincolarlo”. Anche l’idea di Giorello del “buon pirata” è fuori fuoco…
    Il “pirata” è fuori legge per definizione, la connotazione inquadra già il contesto di riferimento normativo e culturale.

    Il dibattito andrebbe invece centrato su una constatazione: non c’è più materialità nell’oggetto. La copia è ormai un oggetto multiplo, moltiplicabile, immateriale.
    Allora, come dici, che senso ha la “proprietà intellettuale”? Nessuna, è ovvio.
    E’ solo un’escamotage disciplinare (in senso Foucaultiano) per regolamentare la molteplicità potenziale dell’oggetto e quindi per renderlo utile.

    Avrebbe molto più senso ragionare in termini di fruizione.
    Una copia cartacea ha una fruizione differente da una copia informatica. Io sono un frenetico lettore e la stragrande maggioranza dei libri che leggo li leggo su Kindle. Gratis.
    Ed è una splendida esperienza di lettura,anche.
    Ma se un libro mi piace lo compro. O lo regalo, o lo compro E lo regalo.

    Bassa qualità di fruizione, basso prezzo. Alta qualità, alto prezzo.
    Stop.
    Tra una copia digitale impaginata a cazzo, con font sballati e sparagrafati, e una bella copia legale che costa 2-3 euro, io comprerei tutti i giorni quella legale.
    Se però mi costa 15 euro, col cavolo…

    Il punto è che tutto il sistema è concepito per reggere un baraccone di produzione e di indotto che, di fatto, è archeologico.
    E’ già morto e sepolto e sta in vita solamente per i 5-10 libri mainstream l’anno (da Vespa a Volo a Faletti a Harry Potter) e per i libri scolastici.

    Ma un dibattito che è centrato sul reddito dei poveri “lavoratori dell’intelletto” o sull’accesso al libro-oggetto, ha poco senso. Ormai, chi vuole leggere può leggere gratis. Chi non vuole, non legge e basta.

    Il dibattito da fare è sulle pratiche. Perchè sono le pratiche che liberano o asservono l’individuo.
    E il vero punto di principio è che è indecente che l’individuo debba scegliere se pagare un prezzo assurdo a qualcosa che trova gratis in dieci minuti o se essere “un fuorilegge”.

    I nuovi autori, come tutti gli altri lavoratori, inventeranno nuove nicchie e nuove pratiche di commercializzazione dei propri prodotto.
    Senza dover appoggiarsi al Papà-Padrone, alle patrie galere ed a Mondadori.

  15. @ ramananda, straquotone:

    «Ma se un libro mi piace lo compro. O lo regalo, o lo compro E lo regalo.
    Bassa qualità di fruizione, basso prezzo. Alta qualità, alto prezzo.
    Stop.
    Tra una copia digitale impaginata a cazzo, con font sballati e sparagrafati, e una bella copia legale che costa 2-3 euro, io comprerei tutti i giorni quella legale.
    Se però mi costa 15 euro, col cavolo…»

    E hai ragione anche indicando la necessità di trovare pratiche disassoggettanti.

    La legge pare dica ciò:
    «Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali»

    Idee illuminanti? Il libro di sole citazioni che sarebbe tanto piaciuto a Benjamin (mi pare…) sarebbe illegale?

  16. Chissà magari è possibile imbastardire un po’ l’identità della copia (mi assumo totalmente la resonsabilità di quello che scrivo e scriverò anche dal punto di vista legale).

  17. Forse non è il caso di eccedere con gli OT, visto che il post parla di tutt’altro.

    Comunque, la mia opinione è semplicemente di vivere tranquilli. Non ho voglia di dare realtà ad una legge che è impossibile far rispettare, neppure con lo sforzo di mettermi al riparo da essa. Come quando dicevano che avremmo dovuto pagare il canone televisivo anche possendendo solo un computer, perchè “è possibile captare” trasmissioni televisive.
    Follia, ovviamente.

    questo per la lettura.

    Per la scrittura, non saprei. Ma direi che in rete di idee e spunti per pratiche e per controcondotte ve ne sono veramente moltissime.

    Io penso che l’unico limite alle pratiche sia quello che il regime discorsivo autoritario in cui viviamo fa interiorizzare agli individui, attraverso ansie e sensi di colpa, di appartenenza e simili.
    Smarcatosi da quello, l’individuo deve solo guardarsi dal braccio “militare” disciplinare del potere…e per chi è pesce nel mare, non è troppo difficile.
    ciao

  18. Devo dire che ho iniziato a seguirvi su twitter – e a dire il vero ho inziato a usare sul serio twitter – proprio durante tutto l’ambaradan promozional-agitatorio che akaOnir ha instancabilmente storicizzato e poi rielaborato. L’Anatra me la sono gustata anche grazie al continuo rimando e intreccio tra i contenuti dei racconti e il “contesto”, per così dire.
    In questo senso l’uso che avete/abbiamo (un noi che mi include nella comunità dei lettori, anche se nei fatti non ho aggiunto di bit di riflessione) è stato senza dubbio molto al di là dei canoni del marketing librario che apprendisti stregoni cercano di insegnare negli appositi corsi per esperti si socialfuffa.

    Detto questo – e scivolando così immediatamente off topic rispetto al post – mi interessa aggiungere qualcosa alla seconda osservazione di VecioBaeordo circa l’arrivo del digitale e della rete nell’editoria digitale.
    Ho scritto un post lunghetto sugli aspetti tecnici ed economici della questione http://www.alessandromiglio.com/?p=254 . E’ vero che l’evoluzione è stata imposta obtorto collo da una legge gelminiana e accolta con imbarazzo e impreparazione dagli editori, che adesso stanno correndo ai ripari in modi diversificati.
    Ora, non so a che cosa ti riferisci quando parli di “opportunità”. Certo, le opportunità ci sono e sono di diverso tipo: ad esempio la possibilità di aggiornare senza ristampare libri che contengono molti dati a rischio di obsolescenza (i.e. le geografie) o anche animazioni e video esplicativi che noi (sono nato nel 1979) ci saremmo potuti solo sognare. Insieme alle opportunità ci sono però anche i pericoli – se si può usare questo termine – e anche questi sono di tipo diverso.

    E l’aspetto secondo me più interessante – sul quale sto cercando di farmi un’idea dai contorni più precisi – dell’evoluzione ex-lege dell’editoria scolastica verso il digitale ha a che vedere con i percorsi di apprendimento e con il passaggio da una civiltà tipografica a una basata sull’integrazione tra l’intelligenza umana e la potenza di calcolo e di archiviazione delle macchine. Tutto questo in un contesto no nneutrale, ma nel quale operano prepotentemente attori giganteschi come Apple, Amazon, Microsoft e Google. Ecco, io sono piuttosto preoccupato quando penso che mia figlia (che adesso ha appena due anni e mezzo) probabilmente studierà contenuti selezionati e autentificati da un algoritmo di ricerca su un tablet, guardando video e animazioni, mentre ogni due minuti verrà distratta da FB o dalla chat. E così, al di là delle elucubrazioni sull’editore o sulla piattaforma che ospiterà il libro scolastico e sul copyleft o il copyright, forse cominceremo a farci domande più radicali. Perché se sarà come prevedono i tecnolatri sarà un passaggio epocale e probabilmente doloroso, così com’è stato il passaggio dall’oralità alla scrittura.

  19. Però un paio di lance vanno spezzate a favore degli editori: non ci sono solo quelli che fanno uscire Margaret Mazzantini (per dirne una), ma anche quelli che fanno uscire i Wu Ming.
    E in questo caso sono tutti e due Einaudi. E meno male che tirano fuori i Wu Ming, oppure le riunioni del mercoledì.
    Se anni fa un editore non se li fosse andati a cercare, probabilmente io non saprei chi sono gli autori di Q ecc. ecc.
    Lasciando stare la solita filippica (ecco, sono dei venduti!), gli editori stanno in un mercato, e la stragrande maggioranza di coloro che stanno fuori dalla blogosfera (una buona percentuale dei lettori) legge libri che qui nessuno avrebbe il coraggio di usare come spessori per i tavoli. Sì, certo, è un problema di educazione, però il problema resta, e non andrebbe via con il kindle. A me conforta sapere che non devo cercare in mezzo a un mare di scrittori giapponesi mediocri, perché qualcuno ha scelto Murakami. Sono felice di non dover cercare nel mare del self-publishing un Wallace. Gli editori fanno quel mestiere, prima di tutto. Poi rendono i libri leggibili: li impaginano, li correggono, li rendono gradevoli e magari tagliano delle parti che al lettore risulterebbero noiose. Io spero che in futuro gli editori esistano. Spero anche che la smettano di trattare i libri come merce normale. Suppongo che gli e-book non soppianteranno mai un libro di carta: la strada è ancora lunga. Forse conviveranno, o forse i libri più meritevoli verranno stampati, e gli altri verranno lasciati a girare su internet. O magari smetteranno di stampare codici civili e penali, armi bianche che disboscano il pianeta per poi essere buttate via poco dopo (un anno, magari due). Non so, della liberazione dagli editori sono più preoccupato che altro: e poi, se fra vent’anni non ci fossero più, e io mi perdessi il nuovo Murakami, o il nuovo Binet (io il francese non lo leggo), potrò perdonarmelo? Gli editori devono cambiare certo, ma non sparire. E poi: Fabio Volo non ci piace quando scrive, ma la gente legge per massima parte quello. Poi magari un quindicenne entra in libreria e compra Fabio Volo, però rimane stupito da quella copertina con un titolo a metà fra Burgess e un libro di cucina, e magari se lo compra… :)

  20. @alemiglio

    letto il post che hai linkato: illuminante. Condivido le tue valutazioni compresa l’ultima: “Perché mai, ci si può chiedere, gli autori, i redattori, i grafici, i fotografi, gli illustratori, i curatori e i ricercatori di contenuti multimediali, gli informatici che progettano le piattaforme e via elencando dovrebbero lavorare gratuitamente?”
    Ripeto: conosco gente che fa quel lavoro, so che lavorano con coscienza e competenza e che si meritano tutti i soldi che guadagnano (inoltre la mia opinione in merito alle polemiche sul costo dei libri in generale, compresi quelli scolastici, è: “ma di cosa stiamo parlando? di genitori che acquistano e mantengono lo smartphone a figli in età di scuole medie inferiori e poi si lamentano se in tutto l’anno spendono altrettanto, ma anche meno, in strumenti didattici e educativi?!?!?”).

    Le opportunità a cui alludevo riguardano proprio una possibile interazione con la “clientela” (quindi non siamo OT, penso).
    Può darsi che gli esperimenti che vediamo qui e oggi di utilizzo della rete da parte di autori, cioè il tema di questo post, riescano a dimostrare che tali modalità funzionano e perfino convengono, anche su scale più vaste.
    Può darsi che diventi possibile, normale, perfino “produttiva” (cioè conveniente in termini finali di guadagno), una comunicazione democratica e orizzontale tra editori, autori, insegnanti, allievi.
    Perché un editore scolastico non dovrebbe poter interagire con il suo “pubblico” come fa ad esempio su twitter @Einaudieditore?
    Perché non dovrebbe essere possibile, ad esempio, parlare su twitter di un libro di fisica con il titolo come hashtag, in modo molto simile a ciò che è successo con #AaAM?
    Sono anni che racconto a questi amici la mia speranza che siano proprio gli editori a fare da locomotiva per portare la scuola su internet, nel modo “giusto”. Senza escludere gli aspetti relativi al fatturato. E senza aspettare la legge, che in questi ambiti dimostra di saper creare più che risolvere problemi.
    Questo intendevo. Troppa utopia?

  21. non so se é stato mai segnalato, peró leggendo il racconto a tre dimensioni del vostro paperino, mi é venuto in mente questo articolo:
    http://goodcomics.comicbookresources.com/2007/01/25/comic-book-urban-legends-revealed-87/
    dove paperino si cimenta in esperimenti chimici all’epoca ancora sconosciuti al mondo scientifico, ma accertati oggi, con lo stupore e divertimento degli addetti ai lavori.

  22. Questa domenica (12 febbraio) in quel di Correggio, il Wu Ming Nabat Ensemble doveva presentare un reading da AaAM, nella serata di presentazione della “Rete Spartaco”. La data è stata rinviata all’11 marzo, causa offensiva del Generale Inverno. Seguiranno info e conferme.

  23. A quando la versione economica? Per intenderci quella che costa intorno i 13e …

  24. Wu Ming e Yu Guerra
    Reading musicale da Anatra all’arancia meccanica
    +
    Presentazione Rete Spartaco.
    Correggio (RE), 11 marzo 2012.
    Qui la locandina.
    [Si tratta dell’iniziativa annullata il mese scorso per via del maltempo.]

  25. In scaletta:

    – Benvenuti a ‘sti frocioni 3
    – Come il guano sui maccheroni
    – La ballata del Corazza

    E per la prima volta in voce + chitarre:
    – Canard à l’orange mécanique

    • “I trecento boscaioli dell’imperatore” no?
      Non è il mio racconto preferito di AaAM ma è molto poetico e starebbe benissimo in un reading musicale