Non/Giap - Io esco, rispettatemi i morti nel frattempo - 18 novembre 2003

0 - "Poche parole", di Valerio Evangelisti, da Carmilla on line, 17 novembre 2003
1 - "Definizioni", di Wu Ming 4, 15 novembre 2003
2 - "Starsky & Hutch in sgommata contro i colpevoli", di Marco Philopat, 14 novembre 2003
3 - Un instant-video di Carlo Miccio con lyrics di Wu Ming 1
4 - "D'Annunzio vs. Wu Ming", di Davide Ognibene, dal blog Leonardo, 18 novembre 2003
5- A proposito di uranio "impoverito" e di lutti silenziosi - da Paola
6 - La parola ai giapsters

N.B. La scelta delle illustrazioni è di Wu Ming. Gli autori dei testi qui riportati non ne hanno alcuna responsabilità.

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Poche Parole

di Valerio Evangelisti

Non c'è tanto da dire.
Immagino che le famiglie dei soldati e dei civili francesi uccisi in Algeria, negli anni '50 e '60 del sanguinoso secolo XX, piangessero i loro cari, a buon diritto. Del resto, moltissime di quelle vittime non avevano nessuna colpa. Erano andate a difendere l'ordinamento coloniale perché comandate, perché lo giudicavano naturale, perché qualcuno le aveva convinte che fosse un dovere. Erano rimaste stritolate da un meccanismo allestito da altri. Personaggi cinici che i campi di battaglia e le zone a rischio li conoscevano solo da carte geografiche irte di bandierine.
Oggi, a mezzo secolo di distanza, non si discute più di quei lutti personali, ma di chi avesse ragione tra francesi e algerini. La risposta praticamente unanime è: gli algerini.
Vale per i belgi in Congo, per i portoghesi in Angola...
Forse conviene guardare anche il presente come se fossero passati cinquant'anni. E' difficile, in certi momenti, ma è l'unico modo per cogliere tensioni e tendenze di lungo periodo, quelle che fanno la storia. Poi, su queste ultime, formare un giudizio.
Non è facile, ripeto, ma non è nemmeno impossibile.
Più facile è invece giudicare chi, a fronte di militari italiani caduti in Iraq, si lancia in una retorica patriottarda dagli echi risorgimentali, e chiama a una sorta di nostra riscossa nazionale. C'è una nota stonata in simile, unanime fanfara (da Ciampi in giù). Questa volta i patrioti sono gli altri. Noi siamo gli austriaci, i Radetzki, i Cecco Beppe. Gli occupanti, gli invasori: quell' "austriaca gallina" che l'Inno a Oberdan invitava a massacrare a suon di bombe e a colpi di pugnale.
Sia maledetto chi ci ha messi in questa posizione del cazzo, ed espone giovani vite alla morte per quattro latte di petrolio.

da www.carmillaonline.com


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Definizioni - di Wu Ming 4

Dal vocabolario della lingua italiana Zingarelli 2002:

Occupazione: presa di possesso.

Occupato: preso e tenuto a disposizione di qualcuno.

Invasione: occupazione di un territorio e simili altrui, per ragioni e motivi diversi.

Colonialismo: politica che tende ad assicurare colonie a una nazione.

Resistenza: ogni movimento di opposizione armata a un esercito straniero o a un regime dittatoriale.

Terrorismo: 1. Regime instaurato da governanti o belligeranti che si valgono di mezzi atti a incutere terrore. 2. Concezione e pratica di lotta politica che fa uso della violenza (sotto forma di omicidi, attentati, rapimenti, ecc.) per sconvolgere gli assetti politici e istituzionali esistenti. 3. Atteggiamento fortemente intimidatorio.

Reazione: risposta, replica ad un'azione ritenuta offensiva, violenta o comunque negativa.

Vittima: 4. chi soggiace ad azioni ingiuste, a prepotenze, violenze, soperchierie, sopraffazioni e simili. 5. Chi subisce, anche senza averne piena coscienza, le conseguenze negative di errori, vizi, difetti e simili propri o altrui.

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Nassiriya, giornalisti tv e Genova:
Starsky & Hutch in sgommata sui colpevoli

di Marco Philopat

Chissa' se milioni di persone che hanno acceso in questi giorni la tv, loro unica fonte d'informazione, avranno almeno capito che siamo in guerra, e che quei morti sono crepati per una guerra gia' persa.
In pochi si ricordano l'invasato Bush sulla portaerei che inneggiava alla vittoria nell'ormai lontano 1 maggio, quel sospiro di sollievo del popolino, quel senso di orgoglio nazionale per la spedizione dei carabinieri italiani, quel patriottismo démodé... E ancora di meno si ricorderanno le gaffes del ns. premier a proposito della razza inferiore araba, il documento dei paesi europei non allineati a Francia e Germania, il rifiuto di incontrare Arafat e per ultimo le scellerate dichiarazioni sulla Cecenia... Chissa' se qualcuno si sarà chiesto chi ha le piu' gravi responsabilita' di questo attentato... Dopo una serata davanti alla Tv mi viene da vomitare, nessuno, dico nessuno ha fatto questo semplice collegamento, figuriamoci la sinistra. Invece mi e' toccato vedere cose allucinanti, veramente... i documentari dell'Istituto Luce, fascisti su marte... uno schifo mostruoso... la cosa più orribile che abbia mai visto in vita mia... Ma dove siamo? Vorrei conoscere a uno a uno i giornalisti che scrivono quei testi che nemmeno mio nonno se li sarebbe bevuti, non ci crede nemmeno piu' l'invasato number one e il suo staff: Bremer che parla di ritirata preventiva, Wolfowitz in mutande, Dick Cheney scotennato dagli appalachi...
In rete ho trovato un ambiente leggermente diverso in questi giorni, almeno nei siti che frequento, il "cordoglio" e' in definitiva imperante, pero' si trovano anche messaggi del genere:


"io ho fatto 5 cortei per la pace contro la guerra. io sapevo... e come me migliaia di persone nel mondo... [che] sarebbe finita cosi', e adesso e' ipocrita non affermarlo... capisco che il "te l'avevo detto" non serve niente a nessuno.. ma io che posso farci? NOT IN MY NAME, si diceva... appunto... non mi sento 'responsabile'. non volevo questa guerra. non la voglio. a differenza di tutti quelli che hanno tolto la bandiera, la mia e' ancora li', sbiadita ma li', perche' la guerra e' li'... tutto il resto (Vespa, Bush, Berlusconi, il governo, il parlamento, il cordoglio) e' un copione... quello si', cinico spietato e volgare."

Messaggi che mi fanno riflettere e mi portano a ricercare le forme piu' adeguate per sputtanare i demendsjournalist, scovare i responsabili, che poi sono gli stessi di Genova 2001, quelli di Carlo Giuliani, dei pestaggi, delle molotov magiche apparse nel cilindro della Diaz, di Bolzaneto... E purtroppo, sempre in rete, mi capita di leggere anche questa:

“La breve notizia che segue è stata presa dal settimanale "Il Mucchio" n°552...d'altronde non potevamo aspettarci che qualunque altro giornale, o media in generale, lo facesse presente:
"Beccaria. Su iniziativa della presidenza italiana l'Unione europea ha deciso un progetto pilota per la lotta alla tortura e ai trattamenti inumani nel Terzo Mondo. Rappresentanti dei vari paesi europei verranno mandati in giro per il mondo a spiegare ai governanti perche' non bisogna torturare la gente. Il rappresentante italiano sarà il vicequestore PERUGINI, fotografato a Genova mentre prendeva a calci in testa un ragazzino di quindici anni tenuto fermo da agenti."

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accendi gli speakers clikka il link leggi, guarda, ascolta:

http://webland.panservice.it/enzine/microcolica/caramba/moviecaramba.html

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D'Annunzio vs. Wu Ming

di Davide Ognibene

"Io esco. Rispettatemi i morti nel frattempo" (Roberto Grassilli)

Siamo senza parole, ci uniamo al cordoglio, ricordiamo le vittime, facciamo il minuto di silenzio, togliamo la pubblicità (e guardate che le pubblicità sono soldi, e parecchi), andiamo a salutare le salme, esponiamo la bandiera, preghiamo per i caduti, partecipiamo al dolore, e poi?
Banalmente, sarebbe finita qui. I morti rimangono morti, i vivi rimangono vivi, i militari italiani rimangono in Iraq. Abbiamo scoperto che siamo in guerra, abbiamo deciso di restarci. Ora potremmo anche tornare alle rispettive occupazioni (in attesa del prossimo allarme). Invece abbiamo altre 24 ore di lutto nazionale. Che si fa?

Ci studiamo le biografie dei caduti? Già fatto. Intervistiamo i parenti, i commilitoni? Fatto, fatto. Li spremiamo un po' a vedere se finalmente piangono? Ma non è più tempo di lacrime, l'ha detto anche Berlusconi: l'Italia non è più il Paese delle mamme. E allora che si fa?

Nel 1887 il Regno d'Italia era in guerra e non lo sapeva.
L'avventura coloniale era cominciata due anni prima, piuttosto in sordina: un battaglione di bersaglieri era salpato da Napoli alla volta di Assab, un porto nel Mar Rosso acquistato da un armatore privato. L'obiettivo era, secondo alcuni, civilizzare gli indigeni che avevano barbaramente assassinato un esploratore italiano, Bianchi; secondo altri, "cercare le chiavi del Mediterraneo nel Mar Rosso" (il fatto è che la Francia ci aveva appena soffiato la Tunisia sotto il naso). Qualcuno sperava forse di poter collaborare con gli Inglesi alla "pacificazione" e alla relativa spartizione del Sudan: speranza subito frustrata. I Bersaglieri si limitarono a occupare il territorio di Massaua (Eritrea) e a cercare di accreditarsi come mediatori tra i due capi indigeni in lotta fra loro: il Negus d'Etiopia e il suo futuro successore, Menelik. (La mediazione è una vera vocazione delle nostre forze armate).

Non che di questo, tutto sommato, fregasse un granché a qualcuno. Erano anni difficili, in Italia: i movimenti anarchici, il primo socialista in Parlamento, il trasformismo, la pressione fiscale sui ceti meno abbienti, il gioco delle alleanze europee... perfino i nazionalisti, più che all'Africa, guardavano alle più vicine Trento e Trieste.

Quand'ecco che giunge la notizia che una colonna di cinquecento italiani è stata sterminata da un capotribù, tale ras Alula. Cosa avranno pensato, gli italiani, di un eccidio così improvviso e immotivato? Avranno esposto la bandiera, si saranno uniti al cordoglio, avranno pregato per i caduti. E poi? Poi si saranno chiesti, semplicemente, che ci facevano cinquecento italiani in mezzo all'Abissinia. Cosa stavano pacificando? E il Governo? Il Primo Ministro de Robilant, una settimana prima che la notizia giungesse in Italia, aveva risposto in Parlamento che non valeva la pena di preoccuparsi per "quei quattro predoni" che ostacolavano l'operato degli italiani. Alla notizia della strage si dimise. (Ripeto: si dimise).

Rimaneva, in quell'ancora timido embrione di opinione pubblica, un senso di insofferenza per una strage smisurata (paragonabile a quella delle guerre d'indipendenza) in un territorio praticamente sconosciuto, in una guerra che nessuno aveva veramente scelto di combattere. È a questo punto che interviene lo Scrittore. Un individuo che capta una sensibilità diffusa, che riesce a dar corpo a un disagio che nessuno era riuscito fino a quel momento a concretizzare.

Gabriele D'Annunzio pubblica Il Piacere nell'89. È la storia di un raffinato aristocratico, Andrea Sperelli, un artista che promette bene ma che si rovina a causa di due donne. Benché l'autore avverta subito che intende descrivere "tanta corruzione e tanta depravazione e tante sottilità e falsità e crudeltà vane", il fascino del suo personaggio gli prende la mano. Più procede nella depravazione, più Sperelli risulta irresistibile ai lettori e alle lettrici.
Finché non succede qualcosa. Una sera Sperelli va a un concerto, al Palazzo dei Sabini: incontra le due protagoniste femminili e flirta con entrambe; durante un quartetto di Bach si mette a ragionare, freddamente, su come "l'una avventura avrebbe aiutato l'altra". Uscendo, si imbatte con la carrozza in una manifestazione per l'eccidio di Dogali ed esclama:

"Per cinquecento bruti, morti brutalmente!"

La donna che è con lui rimane di sasso. Di sasso rimane anche il lettore. Finora Sperelli non si è mai interessato di politica. E da qui in poi cesserà di interessarsene. Perché parlare di Dogali? E in modo così oltraggioso, poi? Cosa è successo?

Non è successo niente di strano: è D'Annunzio che cerca lo scandalo, e lo trova. Il romanzo viene accolto da mille polemiche. Come osa questo scrittore parlar male degli eroici caduti di Dogali? E D'Annunzio, sornione, che in una lettere all'editore dichiara:

Quella frase è detta da Andrea Sperelli, non da Gabriele d'Annunzio, e sta in bocca di quella specie di mostro. [...] Perché i critici dovrebbero insanire? Io, Gabriele d'Annunzio, per i morti di Dogali ho scritto una ode molto commossa, pubblicata a suo tempo.

Salvo che dell'"Ode molto commossa" nessuno si ricordava già più: mentre i "cinquecento bruti" se li ricorda abbastanza bene chiunque abbia letto il Piacere. Ma perché allora D'Annunzio si comporta così?

È che ha capito qualcosa d'importante. Forse lo ha capito leggendo, nell'Educazione sentimentale di Flaubert, di come il protagonista, al colmo dell'abiezione (ha portato una prostituta nella camera che aveva arredato per il suo primo amore), senta eccheggiare le prime fucilate di una rivoluzione ed esclami: "Toh, accoppano qualche borghese" (On casse quelque bourgeois). "Ci sono situazioni", aggiunge subito Flaubert, "in cui un uomo, anche il meno crudele, è così distaccato dagli altri che vedrebbe perire il genere umano senza un palpito di compassione". Quell'uomo, non crudele, ma spaventosamente distaccato, è lo scrittore, è l'artista. È Flaubert: forse è anche D'Annunzio. Che finora si è divertito a descrivere il suo modello di viveur: a prestargli i suoi modi e i suoi gusti: ma si è fatto tardi, il romanzo sta finendo, il peccatore deve essere punito, i lettori devono tornare riappacificati alla loro triste realtà. Sperelli deve diventare un mostro: tanto vale tirare in ballo la più grave tragedia nazionale, per mostrarne finalmente l'aspetto cinico, brutale, la "corruzione", la "depravazione", le "falsità sottili e vane".

E in più, una volta liberatosi del mostro Sperelli, D'Annunzio è libero. Non è più lo scrittore di torbidi romanzi sull'aristocrazia romana, no: è il poeta civile che scrive "odi molto commosse". E il suo lettore? Forse anche lui, a suo tempo, aveva osservato un piccolo lutto per i morti di Dogali: e poi era tornato agli affari suoi, e ai suoi svaghi, compresi i romanzi torbidi. Ma ecco che è chiamato a giudicare "il mostro" Sperelli: miracolo! Ora, finalmente, può indignarsi, elevarsi sulla "depravazione" e le "falsità vane" degli aristocratici che non amano la Patria. E Dogali ha acquistato un senso anche per lui. Ora sì che cinquecento morti non sono morti invano. Ora sì che l'opinione pubblica è pronta per l'avventura coloniale: e ci saranno altre spedizioni, altre stragi, altre "odi molto commosse".

§

Siamo senza parole, ci uniamo al cordoglio, ricordiamo le vittime, facciamo il minuto di silenzio, togliamo la pubblicità, andiamo a salutare le salme, esponiamo la bandiera, preghiamo per i caduti, partecipiamo al dolore, e poi?

Ma certo, è così semplice... possiamo indignarci.

Contro chi? Contro chi manda i carabinieri in un luogo che non possono difendere, in una missione per la quale non sono addestrati, in una "pace" che pace proprio non è, contro i Ministri che in Parlamento per tanti mesi hanno minimizzato, minimizzato? Macché.

Ci indigniamo contro il primo pirla che troviamo nell'open publishing di Indymedia: è così facile, è a portata di mano... ci indigniamo contro una piccola casa editrice che fomenterebbe il terrorismo: Luttwak ci mostra come si fa.
Ci indigniamo contro gli scrittori. Contro Wu Ming 1 (Roberto Bui), che ha avuto, per i diciannove di Nassiriya, parole molto ciniche dal primo giorno. E un po' d'italiani che fino a quel momento non sapevano nemmeno d'essere in guerra e contro chi, hanno finalmente trovato qualcosa per cui combattere: l'indignazione per quello che scrive Wu Ming.

Chi è Wu Ming? Discorso lungo. Diciamo almeno che non è D'Annunzio. Si tratta di un collettivo di scrittori che negli ultimi anni ha prodotto alcuni romanzi notevoli, ma soprattutto un'idea di letteratura 'impegnata' che negli anni Novanta si era del tutto persa per strada. Nei mesi che precedettero Genova, i Wu Ming si ritrovarono nel ruolo di agit prop telematici del Movimento: fu un bel momento, credo, per il Movimento e per Wu Ming. Poi ci fu Indymedia, la forumizzazione di Indymedia, la ghettizzazione dei Disobbedienti, e il rumore di fondo coprì un po' tutto. I Wu Ming continuano ad avere molte cose da dire, ma, diversamente da due anni fa, per lo più si tratta di prediche ai convertiti. E non è colpa loro: è venuto a mancare un terreno di scambio tra ambienti e linguaggi diversi, che avrebbe potuto essere, e non è stato, Indymedia.

E i blog? Anche i blog avrebbero potuto diventare quel terreno di scambio. Che effetto avrebbe fatto una "predica" di Wu Ming su un blog generalista? Ora lo sappiamo, da quando Giuseppe Genna ha postato il pezzo di Wu Ming1 sui morti di Nassiriya su GNU. E gli utenti, illustri e no, si sono uniti in un coro di vibrante protesta. Alla fine, più di Nassiriya, si è parlato di quanto sono stronzi i Wu Ming. (Sorte analoga -- anche un po' peggiore -- è capitata a un pezzo di Gianluca Neri su Clarence). Senza discussioni sul merito, naturalmente. Bui, per esempio, ricordava i fatti di Genova (che rendono ancora difficile a molti italiani, oggi, parlare dei "nostri carabinieri"); ricordava i militari italiani caduti per l'uranio impoverito. Ma, più dei fatti, contava il tono: era un breve pezzo scritto per la mailing-list di Wu Ming: lapidario, cinico, diciamo pure stronzetto. Il massimo per chi vuole avere un "mostro" contro cui indignarsi.

E allora coraggio, indigniamoci. Tiriamo pure fuori Pasolini, che amava i poliziotti proletari: che belli i proletari che vanno a morire per noi in Iraq. Ed ecco: per altre 24 ore abbiamo risolto il problema di cosa dire, di cosa fare. Poi, se dio vuole, torneremo al nostro tran tran. In attesa del prossimo allarme. Perché siamo in guerra, ricordiamo.

da http://leonardo.blogspot.com

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A proposito di uranio impoverito e di lutti silenziosi, mi son ricordata di questo post che era uscito su it.arti.musica.rock. La signora che l'ha scritto è un'oncologa cagliaritana.

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[Ci scusiamo di non poter pubblicare tutti i messaggi ricevuti. In ogni caso, ringraziamo tutti i mittenti, anche quelli dei messaggi più laconici, anche gli autori di una singola parola.]

A proposito di

> 0. I body bags e l'indignazione facile [WM1]

E' ora di finirla con la retorica del tipo che i "nostri" soldati sono diversi, che quando vanno a fare la guerra (perché è quello che i soldati vanno a fare, e che cazzo!) gli vogliono tutti bene, li accolgono a braccia aperte e quant'altro.
Il problema è che questa guerra è stata portata avanti (anzi, è portata avanti tutt'ora) non nel mio nome, né nel nome di tanti altri italiani che hanno chiaramente manifestato il proprio dissenso (come dimenticare le città italiane tappezzate di bandiere della pace?). Per cui, ovvio e anche un po' stantio il dolore che accompagna la morte di persone, come sempre, ma quelle persone erano là a fare una guerra. E in una guerra, è quasi una tautologia dirlo, si rischia di morire. Il prblema forse, è che per l'opinione pubblica (...lasciamo perdere!) questa tautologia non è autoevidente, e così i kamikaze iracheni dovrebbero portare rispetto e non fare atti di guerra contro le persone con cui sono in guerra. Boh!

Aldo, triste ma consapevole e con poca voglia di retorica

***

Sono d'accordissimo con le tue considerazioni, anzi, questo clima di patriottismo, parole e dolore fuori luogo , mi sta disgustando. I militari uccisi erano volontari, hanno scelto loro di andare ad occupare un paese, non si tratta di giovani tirati per i capelli e mandati a combattere al fronte. Cosa pensavano? che morivano solo gli americani e gli inglesi, che gli italiani erano graziati. Otrettutto vengono definiti eroi. ma perché'? cosa li definisce eroi? inoltre ho sentito cazzate come le forze dell'ordine ci hanno sempre aiutato (prenderci a manganellate non è di gran aiuto), i carabinieri difendono la patria (ma da cosa?) ho visto telegiornali parlare principalmente della vita dei soldati che sono morti. Ma nessuno ha detto chi erano i civili morti nell'attentato, nessuno ha raccontato le storie dei civili morti in questa guerra del cazzo. Ho paura che la gente abbia chiuso gli occhi su ciò che è accaduto a Genova, o che forse non li ha mai aperti.
E questo è solo l'inizio....
a presto,

Chiara


***

Se avessi un parente in iraq, morto o ferito (e sono uno dei pochi che non ha nessuno nelle forze armate, una specie di record visto il territorio...) e uno di quegli infami col microfono venisse a pretendere lacrime o frasi di rito, penso che gli ficcherei il microfono per bene su per il culo.
Per quel che riguarda la situazione, una mia amica ha il cugino in iraq ed è preoccupata. il ragazzo di una mia amica lavora per una ditta presso un poligono e la mattina dell'attentato vi lascio immaginare la tensione.
Quando abbiamo saputo la notizia, ma non chi erano le vittime, abbiamo avuto un attimo di tensione sempre di occupanti si tratta, ma purtroppo di occupanti conosciuti, compaesani ecc. molti arruolatisi perchè la scelta era la germania o la fabbrica continentale o la divisa. Nessuna giustificazione ma in ogni caso una vita di merda.
Poi abbiamo saputo che erano carabinieri, i primi morti.
Alla faccia del lutto nazionale, il cinismo della gente, le ricostruzioni basate sulle barzellette, ad esempio sono morti mentre pulivano le bombe a mano, per pulirle all'interno hanno tolto la linguetta...
Alla fine la retorica tv e giornali, il sito di Repubblica, "Porta a porta" battuto dalla partita dell'italia battuta dalla pubblicità durante il "minuto di raccoglimento".
Ho appena finito di leggere Antracite, e non so se ce l'ho più coi giornalisti (o coi figli dei, quelli che si fanno il blog su misura come un tempo le scarpe e i vestiti per entrare nei salotti buoni) o con i soldati, con gli sbirri.
Bah.

ciao, fab.

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Condivido quanto scritto da Wu Ming 1. Provo compassione per quegli uomini in quanto uomini, in quanto figli, fratelli, mariti, padri e tutto il resto. Ma quegli uomini non erano là in nome mio. Né in nome mio ci sono morti. Non sono i nostri, sono i loro, o i vostri, se preferite. Chi li ha mandati a morire ammazzati oggi li piange morti ammazzati. Davvero, e che s'aspettavano? Che v'aspettavate? Sono solo gli ultimi morti di una lunga lista, che siano italiani non fa alcuna differenza. Anzi, una sola: adesso anche l'Italia ha i suoi morti da buttare sul tavolo della pace. Grazie al fiero alleaten Galeazzo Musolesi.

Beauveria bassiana, da GNUeconomy

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Immaginavo che la morte degli italiani in iraq avrebbe sollevato un polverone che non sarebbe finito più...come volevasi dimostrare...
D'istinto ho pensato di scrivere due righe, ma mi sono fermato subito, vi avrei detto cose scontate..scontate per voi (e pochi altri...temo) così ho desistito..
Ho pensato: ci sarà /Giap/ che farà il punto ...ed il punto è arrivato.
Non c'è dubbio che siamo fondamentalmente sulla stessa lunghezza d'onda. Ma anche per me, come per il giapster che vi ha scritto, c'è un 10% che stride.
Il sostenere: <<Va pero' detto che [...] nessuno dei "nostri ragazzi" e' stato prelevato a viva forza da casa sua, non ci sono "coscritti", ci sono persone che hanno consapevolmente scelto le forze armate come carriera, guadagnarsi il pane con il mestiere delle armi, quindi dovrebbero avere messo in conto simili evenienze.>> la trovo una semplificazione eccessiva...almeno per chi non vuole o non è in grado di ragionare su ciò che legge (..di qui anche tante abberranti reazioni a "Body Bags") Bisogna partire proprio dall'orrendo "brodo di cultura" in cui crescono questi ragazzi e dal perchè decidono di entrare nell'esercito.
Almeno la metà di queste persone sono meridionali e quindi con buona approssimazione ragazzi che decidono di entrare nell'arma perchè si garantiscono lavoro e tutto ciò che ne consegue. Soggetti che poi inevitabilmente vengono traviati dalle pareti stesse delle caserme imbevute di parole come potere,disciplina, obbedienza, sopraffazione, ipocrisia, sangue...
Che Placanica (o chi per lui, visto che di certo ancora non è emerso alcunchè) sia responsabile o si sia comunque attribuito la resposabilità della morte di Carlo Giuliani non c'è dubbio...ma è altrettanto vero che un militare non qualificato, come lui e come tanti altri (compresi forse quei pochissimi che si tentò previamente di addestrare) in via Tolemaide, in piazza Alimonda...e quindi a Genova non vi doveva essere proprio inviati.
Che siano i militari a scegliere di andare in guerra (che lo percepiscano o siano in grado di percepirlo oppure no) è sicuramente vero...ma anche qui la scelta è sicuramente viziata: 1) dal forte compenso; 2) dalla fallace percezione di ciò che veramente sta accadendo 3) forse..o probabilmente...dalle fandonie raccontate dai superiori e sentite alla televisione.
Su quale sia il vero problema credo che sia inutile dilungarsi...in questa sede...vista la comunanza di prospettive...
D'altra parte forse è pur vero che le cose semplici sono le più difficili da far intendere...Le dichiarazioni di tutto il ceto politico istituzionale erano scontate...ma anche questa volta c'è chi mi fa rabbrividire...Come può D'Alema dire (sintetizzo) che non si può chiedere il ritiro delle truppe perchè visto i tempi che corrono e l'impatto emotivo che questa vicenda a sugli italiani tale richiesta favorirebbe Berlusconi? Ma stiamo parlando di guerra-sangue-morti-distruzione...oppure di voti-poltrone-ripicche-o cosa?

Due parole su "MILITARI: GLI ESTREMI PER RIBELLARSI CI SONO"
La ricostruzioni giuridica del giapster lascia molto a desiderare...che possa arrivarsi a stabilire che la guerra in Iraq sia giuridicamente sbagliata o per meglio dire illecita se ne può certamente discutere...e tanti lo stanno facendo...Ma citare alcune norme dell'ordinamento italiano, mi sembra un po' a caso (mi scuso...qui non vuol esserci alcun tono polemico, ma solo una costatazione tecnica), fino ad arrivare ad ipotizzare che il militare possa denunciare il presidente della Repubblica per "attentato alla Costituzione"..è assolutamente fuori di ogni logica...anche dal punto di vista della fanta politica.
Se voleva essere un intervento provocatorio...beh..magari sono stato io a perceprilo troppo da tecnico...ma quel discorso centra ben poco con una coscienza di massa od uno sperato cuneo tra base e vertici militari.
Per sintetizzare al massimo ed evitare di addentrarmi in quiestioni squisitamente giuridiche (che richiederebbero un notevole approfondimento)...qui bisogna fare innanzitutto i conti con il diritto internazionale nei confronti del quale parlare di vincolatività giuridica è tutt'altro che facile..anche per quelle relativamente poche norme scritte che esistono; e conseguentemente con la rinuncia dei Paesi a parte della propria sovranità nazionale proprio per favorire il rispetto di quello stesso diritto internazionale.
In soldoni..spesso ciò si traduce: i deboli si autolimitano i potenti decidono.
Il libro di Sven Lindqvist Sei morto! Il secolo delle bombe, spiega molto bene questi meccanismi...sopratutto per quanto riguarda la guerra coloniale della prima metà del secolo scorso

ciao

Emiliano

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Io dovevo fare l'obiettore e per un imbroglio burocratico - spero involontario - mi sono ritrovato magicamente arruolato: cinturone, giberne, tuta mimetica basco, fucile. 10 mesi sono volati, per fortuna. Ma ne ho viste di tutti i colori.
Ho visto tante caserme, mangiato in tante mense, visto tante celebrazioni e tante decorazioni... e tanto spreco, tanti favoritismi, tante furberie da caserma...
Dopo che per 300 mattine alle 8 in punto canti l'inno di Mameli capisci che forse, forse, c'è un po' troppa retorica... ed è quasi comico. E per quanto si possa alzare il tricolore sul pennone, quella bandiera non sarà mai abbastanza in alto per sventolare libera dalla corda che la sottende...
Gli eserciti sono una macchina mangiasoldi paurosa e non guardiamo a quello americano. Basta guardare il nostro...
La cosa pazzesca è che le forze armate sono da sempre lo sbocco non tanto per i veri patrioti, quanto per i più disgraziati. Ho visto con i miei occhi gente della mia età (avevo 20 anni) che a stento parlava l'italiano e nemmeno aveva la terza media... non sto scherzando... E SIAMO NELL'ITALIA DEL TERZO MILLENNIO, e cosa credete che facessero alla fine della leva? Firmavano, ovvio. Per avere un lavoro e, forse, una possibilità per conseguire una qualche qualifica.
Scusatemi, ma mi viene da dire: pace in guerra agli uomini di buona volontà.

Con stima, Àlen


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Tono, registro, taglio. Contingenze.
I concetti sono rimbombati in testa a tutti.
Ancora una volta, quando parlate vi ascoltano.

Fate a modo e state bene

mr_lars

 

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Due parole dal nido della Stella Rossa, spero possano dare il loro (pur lieve) contributo al dibattito in corso su giap e mi piacerebbe che le inoltrassi ai tuoi lettori. Qualche sera fa un geometra del mio paese viene a trovarmi con dei libri di scuola del ventennio, erano i testi universalmente adottati per materie come 'cultura militare' e 'storia fascista', puoi immaginarti cosa ci fosse scritto sopra - fra l'altro, devo dire che erano fatti proprio bene, intendo dire che un giovane figlio della lupa iniziava a prendere dimestichezza con il territorio e poi con le cartografie e poi ovviamente con lo smontare e rimontare il fucile. Insomma, avevo la pelle d'oca: quei libri erano di suo nonno, mentre il mio si arruolava a 17 anni in marina e combatteva a Pantelleria con spirito sinceramente e ingenuamente rivoluzionario... Tornando al mio paesano, mentre aspetto il suo arrivo col vino del barsport sul tavolo e i brustolini fatti da me(coi semi delle zucche della crai), dò uno sguardo in rete e trovo analoga ricerca - sulle scuole fasciste, non sui brustolini - svolta da una scuola di valdagno (vi), scarico un documento in cui il duce spiega ai bambini perché devono obbedire senza condizioni agli ordini che vengono loro dati: obbedire è segno di volontà e una volontà debole è come una baionetta di latta, in sostanza: i bambini NON DEVONO CHIEDERE IL PERCHE' DELLE COSE, il che equivale praticamente a ucciderli, ad annientare il loro senso critico... Ecco, mentre lui torna a casa e io preparo il mio giaciglio notturno mi sfiorano la testa pensieri inquietanti: quelli erano i nostri nonni, sai cosa vuol dire? che i danni di quel ventennio non possono essere certo cancellati dalla sera alla mattina, che il 25 aprile perde per noi significato, che nonostante il (formale) cambio di governo le nostre strutture cognitive sono rimaste più o meno quelle, vedi la riforma gentile quanto è durata! per questo insisto che il nodo centrale, l'unica vera pressione di forza uguale e contraria alla loro, consiste nel ripartire dall'educazione, dal dialogo con il vicino di casa: mettere a punto un sistema efficace e 'moderno', cioè compatibile con dinamiche e stili di vita contemporanei, per lavare i panni con la cenere - del camino, della pizzeria sotto casa - equivale a quanto un certo signor gandhi intendeva col riprendere il lavoro al telaio, per non dipendere dall'economia coloniale; è molto difficile, ma non abbiamo scelta... che dire? in anteprima assoluta i frammenti che stanotte mi sono nati in corpo, è la canzone, apparentemente innocua polkettina, cui sto lavorando proprio in questi giorni, verrò a cantartela prima o poi - nei panni del vecchio gert - ai giardini margherita baci, PS: si è vero, si tratta di un lavoro a lungo termine, ma credo sia il solo ad agire nel profondo. il resto può tamponare, non risolvere, come i condoni per la finanza di uno stato ;-P

non chiedere perché
devi obbedire agli ordini del re
(...)
eia eia eialalà
soldati in uniforme antica
milizia della rivoluzion
(...)
tu chiedile perché
prima che torni la milizia del re.

Federico

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Come è che fa?... "non c'è nessun dopoguerra"... :-)

A proposito di Body bags: i soldati che hanno scelto di andare in Iraq si sono fatti delle domande? Se le sono fatte! Il problema sono le risposte! Ne immagino qualcuna:1. mi pagano un sacco di soldi così quando torno mi sposo; 2. vado a fare la guerra al terrorismo; 3. vado a fare la guerra; 4. vado ad aiutare gli americani a portare la democrazia e la pace, che gli irakeni, essendo arabi e musulmani del cazzo non sanno neppure dove sta di casa; 5. (nella migliore delle ipotesi) il parlamento italiano ha votato per l'intervento, quindi io ci vado.
Compagni, qui la confusione regna!
"Poveri" ragazzi! come facevano a darsi delle risposte diverse quando attorno a loro (e a noi) vige la più completa disinformazione e confusione mediatica? Siamo franchi, in Italia tutti guardano la TV e nessuno legge i giornali, i libri non ne parliamo proprio, siamo un paese con un altissimo tasso di analfabetismo informatico, me lo dite questi povericristi dove trovavano le risposte giuste alle loro domande?
Sono rimasta a bocca aperta quando ho letto il sondaggio fatto per Repubblica da Demos-Eurisko che ho trovato (http://www.lamescolanza.com/temp/italia_favorevole_alla_missione.htm), è una fotografia del caos che regna:
il 90% ha fiducia nei carabinieri (?!?! fiducia per che cosa? mah!); il 51% crede che l'Italia debba essere impegnata direttamente in Iraq, di questi il 31% per portare a termine la lotta al terrorismo e il 20% per non lasciare l'Iraq in un caos politico e sociale; ma...
... il 45% è contrario alla guerra in Iraq, solo il 33% esprime consenso verso gli USA, e il 40% scenderebbe in piazza per la pace.
Vi sembrano risposte di un paese informato, equilibrato e consapevole??? Ma niente di strano visto che rispecchia le informazioni che passano in Italia, sia per colpa dei giornalisti sia dei politici e degli intellettuali di regime e non.
Invitare a spegnere la TV e a cercare di documentarsi al di là delle parole vuote e retoriche come fa Playmobil è giusto, ma siamo sicuri sia facile per tutti? L'attività di reperimento delle informazioni non è una cosa naturale come camminare, occorre allenamento e occorre apprendere a scremare le informazioni dalle parole vuote e retoriche e dalle prese per il culo. Questo è facile per chi lo fa da sempre, per "hobby" o per mestiere, ma per mia nonna come per il soldato di carriera che fa il soldato perchè non conosce niente altro?
Purtroppo non basta che scriviamo a Giap invitando i soldati a leggere Chomsky. E chi è Chomsky? e come lo viene a sapere, il soldato, di Chomsky se in TV si tace e su internet al massimo ci è andato per scaricare una suoneria per il telefonino? Sapete che ci sono sondaggi che dicono che gli italiani si imbarazzano ad entrare in libreria? Il problema dell'informazione va oltre la discussione sul tipo di informazione, il problema è l'accesso.
Mi sono dilungata per colpa del sondaggio, in realtà volevo dire qualcosa sull'intervento di Francescangeli. Io non sono sicura che il suo "invito alla ribellione" possa essere condiviso, a meno di considerarlo un paradosso e non una proposta. Non ci troviamo di fronte ad un ordine "manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato". Ci troviamo di fronte ad una cazzata colossale ed ad un ordine che in molti consideriamo criminale ed illegittimo, ma converrete con me che è una cosa diversa. Non amo gli argomenti costituzionalisti, perchè non credo che la Costituzione sia buona e tutti i problemi nascano dal fatto che non viene applicata, ma se questo è il terreno di confronto dico: l'Italia è una repubblica parlamentare, il parlamento, ci piaccia o no questo dice la nostra costituzione, è sovrano in quanto espressione della "volontà popolare" Cosa penseremmo se i soldati si ribellassero sul serio? Colpo di stato. Se non fossimo sicuri che l' esercito obbedisca alle decisioni del parlamento "democratico" (sempre per la costituzione) la situazione sarebbe ancora più preoccupante. Meglio, forse, una forma di resistenza passiva, e individuale: "Soldato, vuoi andare in Iraq (Kosovo/Somalia/Afghanistan etc)?", "No grazie, non stavolta".

Dan

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Qualche spunto:
1) "l'unico scopo della vita è finire", afferma il nichilista Mr. Smith.
2) l'autoperpetuantesi sistema tele-comunicativo (vedansi programmi replicati e replicanti 24h-a-day e che niente aggiungono o tolgono né a se stessi né al palinsesto generale o sentansi le varie sky e tv via cavo, via satellite, via flebo et cetera) pretende per sua definizione interna l'infinitezza.
3) gli utenti-clienti-fruitori imbevuti delle tele-comunicazioni, sospendono il giudizio critico e provvedono a partecipare - in uno *zombie style* da far impallidire George A. Romero - ad ogni tele-ritualità che consenta loro una parvenza d'infinitezza, uccidendo la propria morte e imprimendo se stessi sul salvifico magnetico nastro di una betacam della sony, sia esso (il nastro, s'intende) di stato o privato.
4) inconsapevoli d'esser merce gratis, auto-prodotta e visivamente perfetta (ovvero massa), essi paiono semplici... piccole creature prive di storia, psichicità, relazionalità, vedono in una liturgia simbolicamente avvilente un'eroica salvezza che li metta al riparo da orrendi sensi di colpa in agguato e pronti a colpire: "ma 'quelli lì', poveretti, ce li avranno mica mandati i signori i cui sogni ci avevano così affascinato e catturato?"
5) perché la francofortiana attività critica non compare nei mezzi di comunicazione di massa? il potere ha annebbiato le menti di tutti quanti tele-lavorano e tele-comunicano e tele-commentano e tele-appaiono?
6) ba(ndie)re. soldati. presidente della repubblica. commozione. preti.... credere, obbedire, combattere... tutto ciò m'inquieta.
7) WM1: mi vien quasi da parafrasare un pezzo di b. brecht, "viviamo in tempi Bui".... ....ah, ma quanta importanza diamo ad un wuming, ad un perfetto sconosciuto, ....quanto peso hanno avuto quelle parole, ....oh che paura e sdegno, ....a vangar la terra dovrebbero andare, altroché, ....a far i carabinieri, allora sì che si pulirebbero la bocca prima di parlare, .... caro roberto, non so come tu abbia fatto a non mandare tutti affanculo tacendoti, ma spero con tutto mon coeur che tu non faccia un'altra volta la cazzata di voler giustificare delle opinioni.
con immutabile affetto, Fabio

 

Non/Giap - Io esco, rispettatemi i morti nel frattempo - 18 novembre 2003