Giap #5, VIIIa serie - Hasta siempre - 29 novembre 2006
0. Annus irae, brutti viaggi
1. Los Perros de Saturno & Che Guevara
2. Nel ventennale della morte di Cary Grant
1. Dicono di noi: da Q a Manituana
2. Manituana: arriva il nuovo racconto apri-pista
3. Narrazione collettiva e transmediale: botta e risposta Blepiro/WM2
4. Anteprima Nandropausa
6. Editoria e copyleft: eppur si muovono (Vibrisselibri)
7. Riepilogo asta eBay per Genova
8. Processo al Diavolo: intervista ad Antonella Beccaria
9. Metà al Duce, metà al Fascio
ANNUS IRAE, BRUTTI VIAGGI
[WM1:] Sabato 25 novembre è morto, in seguito a un attacco di cuore, Gianluca Lerici alias Professor Bad Trip,
grafico, illustratore e pittore, l'uomo che ha impregnato del proprio
segno i movimenti punk e cyberpunk dagli anni Ottanta in avanti. Aveva
quarantatre anni.
Questo che per le controculture d'Italia è stato un anno fatidico non
ha voluto entrare in agonia senza un colpo di coda, uno spasmo, uno
schiaffo a tutti noi prima d'imboccare il tunnel dell'ultimo mese.
Durante l'estate avevano salutato il mondo altri fratelli maggiori: Piermario Ciani, Valerio Marchi e Roberto Bozzetti alias DJ Rodriguez.
Chi scrive queste righe non crede nell'Aldilà (o meglio, non crede
nell'anima immortale), ma se ho torto e un posto del genere esiste,
Gianluca e Piermario - forse i due grafici più influenti, ancorché
semi-invisibili, degli ultimi due decenni - stanno già collaborando a
nuove, portentose immagini. Il preludio sta nella copertina
dell'antologia blissettiana Totò, Peppino e la guerra psichica (prima edizione, AAA, 1996), felice incontro/scontro tra il segno di Bad Trip e quello di Piermario. E proprio al socio n.1 di Piermario, Vittore Baroni, affidiamo le parole di saluto a Gianluca:
"La sua grande generosità sotto una corazza di rude cinismo alternativo
- Il suo tratto nero seppia così netto e forte che anche le
fotocopie si incollavano tra loro - I suoi colori da cosmologie
frattali in psichorama anarcopop - continueranno a illuminare i
nostri buoni e cattivi viaggi."
Qui l'omaggio a Gianluca apparso su Carmilla a firma di Giuseppe Genna.
Pochi giorni prima avevamo saputo, in ritardo di diversi giorni e a
funerale già svolto, che era morta la madre di un nostro amico e
collega, persona a cui dobbiamo moltissimo e a cui vogliamo bene: ci ha
aiutato ai tempi della controinchiesta sull'arresto dei Bambini di
Satana, è stato il primo lettore di Q,
ha perorato la causa di un romanzo inusualmente lungo per la
letteratura italiana di quegli anni, ci ha presentato quello che
sarebbe diventato il nostro agente Heriberto Cienfuegos, e ha
organizzato l'incontro da cui sarebbe nato Asce di guerra. Se oggi siamo qui è anche merito suo e cogliamo quest'occasione per ribadirgli che non lo dimentichiamo, e gli siamo vicini.
LOS PERROS DE SATURNO & CHE GUEVARA
Clicca qui per ascoltare Hasta siempre nella versione di Jet Set Roger y los Perros de Saturno (mp3 128k, 3:50)
Quarant'anni fa.
Nella seconda metà del novembre 1966 Ernesto "Che" Guevara e i suoi
compagni entravano nella macchia boliviana, dando avvio all'ultima,
fatale campagna di guerriglia.
Meno di un anno dopo, la cattura, l'uccisione, il clamore e l'entrata nel mito.
"Tutto abbastanza bene;" scrive il Che sul suo diario boliviano, traendo il bilancio del primo mese. "il
mio arrivo, senza inconvenienti; la metà del gruppo è giunta anch'essa
senza inconvenienti anche se con un poco di ritardo; i collaboratori
principali di Ricardo sono pronti a lottare contro ogni ostacolo. Le
prospettive appaiono buone in questa regione sperduta dove tutto sembra
indicare che potremo restare indisturbati fin tanto che lo riterremo
conveniente."
Negli ultimi anni si è scritto molto sul Che.
Come ha affermato Sir George Martin a proposito dei libri sui Beatles,
"bisognerebbe proibire per legge di aggiungerne altri alla lista".
L'auspicio era ironico, dato il contesto (l'introduzione al libro di
Martin Summer of Love: the Making of Sgt. Pepper).
Si è scritto addirittura moltissimo sull'icona del Che, sulla sua
commercializzazione e perdita di significato: è uno dei tòpoi del giornalismo di costume di tutto il mondo. Gli "esperti guevarologi" intervistati si dividono tra gli Apocalittici di sinistra
(secondo i quali la tendenza è sempre e soltanto un male e una vittoria
del capitalismo su uno dei suoi più acerrimi nemici d'antan), i Biliosi di ex-sinistra
("Avete visto? A cosa serve la vostra utopia nostalgica? Il mercato ha
vinto, persino il vostro eroe è una merce, fate come noi, lasciatevi
alle spalle queste cianfrusaglie ideologiche!") e i Rosiconi di destra ("E' una vergogna! Si è trasformato in icona culturale un terrorista comunista, co-fondatore di una dittatura!").
L'ultimo rantolo - amplificato a livello mondiale l'anno
scorso e di cui ancora si propaga l'eco - lo ha emesso Vargas Llosa Jr.
(Alvarito, hijo de cotanto padre), illividito dall'eterno
ritorno del "Nacédor" (colui che sempre nasce, nella definizione di
Eduardo Galeano), dallo spostamento a sinistra di gran parte
dell'America latina (che evidentemente se ne fotte dei saggi consigli
di Vargas Llosa Sr.) e dal successo del film di Walter Salles I diari della motocicletta.
Ben poco spazio trova nei media chi, come l'argentino Néstor Kohan, rovescia la questione e scrive:
Il Che si diffonde attraverso la sua
immagine. E partendo da qui domandiamo: perché i/le giovani di tutto il
mondo non indossano una maglietta con la faccia di Bush o dei suoi
miserabili torturatori in Iraq e a Guantanamo? Perché i/le giovani di
tutto il mondo non mettono felpe e magliette con l'immagine di
Ratzinger o di quelli che dirigono il Fondo Monetario Internazionale e
la Banca mondiale? Quale sarà il motivo? [...] Crediamo che il Che sia
divenuto un modello attraente e seducente per la gioventù che non ne
può più del neoliberismo poiché [il Che] esprime proprio quello che né
[Vargas Llosa] né Milton Friedman, né Von Hayek, né Karl Popper, né
George W. Bush né nessuno di questi personaggi mediocri è riuscito a
rappresentare: un altro modo di vivere. Anche se è ovvio che il mercato
fa soldi col suo volto, è anche vero che quei milioni di giovani non si
mettono felpe e magliette con un simbolo del dollaro o un'immagine
dell'euro. [tratto dallo "Speciale Che Guevara" della rivista Latinoamerica, n.93, 4.2005]
Qualcosa di molto simile scrive Miguel Benasayag nel suo libro Il mio Ernesto Che Guevara (Centro studi Erickson, 2006).
Oggi, in ogni manifestazione o
esperienza alternativa, che sia in uno squat, sulle terre occupate o in
qualsiasi altro luogo, ritroviamo sempre e comunque il nostro Ernesto,
il Che, il dottor Guevara Lynch. Per questa ragione non è possibile
capire la potenza dei movimenti attuali e la loro specificità, se non
guardando che cosa c'è dentro al "fenomeno Che" e analizzandone i
possibili effetti. In filigrana si disegnano sempre quella barba,
quello sguardo, quella seduzione irresistibile. E' lui: lo si riconosce
ogni volta, anche se non sono sempre gli stessi che lo fanno rivivere
[...] Si tratta di capire se in questo universo neoliberista, nel quale
l'economicismo e lo scientismo proclamano a gran voce che "tutto è
possibile", dove si disconosce addirittura il senso del limite e della
restrizione, la figura del Che non rappresenti una vera forma di
resistenza che tenta di stabilire o di ristabilire le leggi
fondamentali della nostra società, in difesa dell'uomo e della vita e
contro il diffuso utilitarismo.
Noi siamo d'accordo con quest'impostazione. Penetrando sempre
più a fondo nella cultura pop come fosse il sottobosco della Sierra,
l'icona guevariana si trascina dietro riverberi, rimandi, significati,
link pronti da cliccare. Se anche solo uno su cento di quelli che
"consumano" la merce-Guevara si interroga sulla sua storia, sul suo
percorso, e va a leggersi l'intervento alla Tricontinentale, e si
infiamma per le parole scagliate contro l'imperialismo, e si commuove
per l'esempio di altruismo e amore per la comunità, questo è senz'altro
un bene. Parafrasando i nostri amici di guerrigliamarketing.it,
affermiamo che, mentre non sempre il conflitto diventa merce, la merce
può sempre diventare conflitto, si può sempre far leva sulla quantità
di lavoro (e quindi di implicito conflitto) che la merce incorpora e
porta con sé. Far leva sull'entrata del Che nella cultura pop, e vedere
che effetti riusciamo a produrre.
Nel 2001 l'editore Fanucci pubblicava un romanzo di Wu Ming 5, Havana Glam,
in cui si descriveva Cuba negli anni Settanta di un universo parallelo,
un mondo in cui David Bowie è affascinato dal castrismo e dedica album
di glam-rock a epiche imprese come l'assalto alla caserma Moncada o il
fortunoso approdo del battello Granma che portava dal Messico il primo nucleo di guerriglieri.
Qualche anno fa, al termine di una presentazione a Brescia, qualcuno ci parlò di un artista che si faceva chiamare Jet Set Roger
e si ispirava al medesimo immaginario glam che WM5 aveva infilato nel
romanzo. La cosa ci intrigò, e spargemmo la voce affinché costui (il
quale all'epoca non aveva un sito) si mettesse in contatto.
E' trascorso molto tempo prima che la voce raggiungesse l'interessato,
che pochi mesi fa ci ha scritto una mail dicendo che aveva letto il
libro e gli sarebbe piaciuto collaborare con noi.
Gli abbiamo chiesto di registrare una canzone ispirata al crossover di Havana Glam. Dopo avere ribattezzato la sua band "Los Perros de Saturno", Roger è entrato in studio e ha registrato una toccante versione Seventies-rock (appena screziata di latin) del più celebre pezzo di Carlos Puebla, una delle canzoni più eseguite nel mondo, Hasta siempre.
Nella sua postfazione al libro di Patrick Symmes Sulle orme del Che. Un viaggio in moto alla ricerca del giovane Guevara (Einaudi Stile Libero, 2002), Wu Ming 1 scriveva:
E' necessario ripartire da La Higuera,
dove - come ha scritto il poeta Enrique Lihn - il Che "ha stabilito
post mortem il proprio quartier generale", per scavare nel mito
guevariano fino a toccare "il fondo di nuda roccia" che tuttora esiste
sotto gli strati di retorica, langue du bois terzomondista e sovracodificazione simbolico-mercantile. Solo questo paziente lavoro ci consentirà di ri-aprire e re-investire
il mito, giocandolo nella situazione presente, contro chi prepara la
più grande e la più cruenta guerra tra poveri della storia, e al
contempo di imparare dagli errori, di rimanere vigili e prevenire la
sclerotizzazione e la perdita di senso dei miti che i movimenti vanno
creando.
Una decostruzione e rifondazione del mito guevariano sarà possibile solo moltiplicando i punti di vista obliqui, inattesi ed eterodossi [...]
Questo è il nostro obliquo, inatteso (tutti celebreranno il
quarantennale della morte, pochi hanno tenuto in mente il quarantennale
dell'inizio dell'avventura boliviana) e - senz'altro - eterodosso
OMAGGIO.
Hasta siempre comandante.
[L'immagine del Che con la lacrima di rimmel è stata realizzata da Gianni Rossi.]
NEL VENTENNALE DELLA MORTE DI CARY GRANT
Vent'anni.
Il 29 novembre 1986 moriva Cary Grant.
Alla fine del 2004 partecipammo a un convegno internazionale su di lui,
due giorni al Museo Nazionale del Cinema di Torino, organizzato da Giaime Alonge, docente del DAMS di Torino e sceneggiatore cinematografico.
Alcuni mesi dopo Giaime ha conversato con WM1 via e-mail, a proposito di Cary, di 54, dell'America, del rapporto tra letteratura e cinema. La conversazione è oggi parte del libro Cary Grant. l'attore, il mito
(a cura di G. Alonge e G. Carluccio, Marsilio, 2006), che raccoglie
atti e interventi del - e intorno al - convegno. Finalmente
l'intervista è on line sul sito, per l'esattezza qui.
N.B. L'8 novembre 2006 Giaime Alonge e WM1 hanno parlato di Cary e del libro alla trasmissione Hollywood Party di Radio Tre. Qui l'mp3.
DICONO DI NOI: DA Q A MANITUANA
"Q
è stato preso distrattamente per un romanzo storico, ma è un'allegoria,
un'immagine riflessa della realtà, ambigua, distorta e quindi più vera
del vero."
Ferruccio Parazzoli en passant, intervistato dal “Corriere della sera”, lunedì 06/11/2006. Qui il PDF.
“[...] Di ambientazione simil western sarà anche il romanzo Manituana,
nuova impresa letteraria del gruppo di autori noto come Wu Ming. Una
storia avventurosa, ambientata alla fine del Settecento, quando New
York era ancora una colonia inglese, tra baronetti di Sua Maestà,
pellerossa, avventurieri di ogni razza e pirati. Un romanzo basato su
anni di documentazione e ricerche su cui Stile Libero punta moltissimo
e che riporta alla luce il peccato originale su cui si fonda la grande
democrazia Usa, lo sterminio dei native americans.”
Alberto Dentice, “Bentornato cowboy”, “L'Espresso” n.44, anno 2006)
[N.B. Manituana sarà in libreria nella primavera 2007]
E A PROPOSITO DI MANITUANA...
Questione di giorni. Il quarto racconto apri-pista al romanzo sarà on line la prossima settimana.
Ancora una volta: non si tratta di semplici "anticipazioni" di Manituana,
ma di racconti "laterali", germogliati sul legno del tavolo durante le
riunioni. Non faranno parte del libro, e non dicono alcunché sugli
stili in cui è scritto. Incompiuti e inconclusivi, sono capitoli
ribelli, riottosi, ammutinati. Materia narrativa sfuggita dalle mani.
Condividono con l'opera principale intersezioni di immaginario.
I primi tre racconti sono:
Breed's Hill, 17 giugno 1775 (on line dal dicembre 2005)
Indian Kings (on line dall'aprile 2006)
Hendrick's Dream, 1751 (on line dall'agosto 2006)
NARRAZIONE COLLETTIVA E TRANSMEDIALE: BOTTA E RISPOSTA TRA BLEPIRO E WU MING 2
Dopo tanto tempo torno a scrivervi. Inutile dire che attendo l'uscita di Manituana
e che ho letto i racconti apripista (onestamente i primi due, il terzo
di sfuggita). Però non è di questo che voglio parlare: mi interessa, al
momento, il saggio di Marco Amici su di voi, intitolato acutamente "La narrazione come mitopoiesi secondo Wu Ming".
Acutamente, perché centra secondo me uno degli elementi focali delle
vostre elaborazioni narrative e teoriche. Del saggio, in particolare,
apprezzo la correttezza nell'esporre la genealogia, la genesi e
l'evoluzione della vostra storia fino al 2003, una specie di sinossi
utile per un eventuale alieno appena sceso sulla Terra e interessato ai
percorsi letterari italiani contemporanei. Ma il nucleo pulsante del
saggio è in fondo, dove finalmente parla di mitopoiesi, e forse il
pregio più grande è quello di stabilire in modo conciso e semplice un
ponte tra le elaborazioni teoriche precedenti (penso a Virilio e a Bifo
soprattutto) e la vostra prassi.
Questa fotografia, però, è datata 2003. Se faccio una rapida ricerca su
internet, mi sembra che voi stessi, da quella data in poi, non parliate
più di mitopoiesi (eccezioni: articolo di Wu Ming 1 su Carta del 2005 a proposito di Scirocco di De Michele, una nota di Wu Ming 1 a "Get back. note sparse su Guerra agli umani" di Tommaso De Lorenzis, maggio-giugno 2004 e "Sui fiumi di Babilonia. Appunti sulla teoria della guerriglia di T.E. Lawrence" di Wu Ming 4 del 2004).
Mi chiedo e vi chiedo: è vero? E se sì, è perché avevate avuto
l'impressione di aver ripetuto alla saturazione questo termine un
tantino altisonante? Oppure perché lo ritenevate ormai fisiologicamente
assodato? O forse perché la vostra prospettiva si allarga anche su
questo, dopo l'esperienza di 54, dei romanzi solisti e di Manituana,
e quindi siete più cauti a usare qualcosa che inizia a starvi stretti?
Di mezzo c'è stato il sabbatico, e quindi la risposta potrebbe essere
semplicemente questa. Mi incuriosisce sapere, però, se qualcosa si è
affinato, lungo la genesi del nuovo libro, per esperienza e per
pratica.
(Riccardo/Blepiro, 28/10/2006)
[WM2:] Credo che la differenza maggiore
rispetto al 2003 stia nella nostra riflessione sulla mitopoiesi come
momento collettivo. Siamo sempre stati convinti che la "produzione di
miti e di mondi" non può riguardare un singolo cervello. Quattro anni
fa, tuttavia, eravamo meno consapevoli delle strategie necessarie per
stimolare questa narrazione allargata. Con una certa ingenuità,
pensavamo bastasse raccontare una storia per attivare il processo.
Finito di raccontare, il nostro ruolo era abbastanza passivo.
Aspettavamo che fossero gli altri a proporci collaborazioni, sidequel, trasposizioni e simili. Furono Stefano Tassinari e gli Yo Yo Mundi ad attivarsi per fare lo spettacolo, e poi il CD, tratto da 54. Addirittura, la compagnia teatrale di Napoli "Il pozzo e il pendolo" portò in scena uno spettacolo ispirato a Q
senza che noi lo sapessimo (avevano provato a contattarci su un vecchio
indirizzo di Blissett...). Nessuno ci scrisse per proporre un finale
diverso di Q o per raccontare, che so, l'assedio di Munster visto dal vescovo Von Waldeck.
Proprio per reagire a questo impasse, ci inventammo le scritture collettive on line e i vari "communal projects" (da Ti chiamerò Russell a La prima volta che ho visto i fascisti).
Notammo subito che questi progetti aperti non solo stimolavano di più
la collaborazione trasversale: attivavano anche più narrazioni
"transmediali" ( La Ballata del Corazza è ad oggi racconto opensource, fumetto, reading concerto, partitura musicale, radiolettura e testo teatrale).
Il concetto di "transmedia storytelling" è alla base della mitopoiesi
contemporanea. Chiunque voglia creare mondi e farli abitare da molte
persone deve giocare su diversi campi. Partite diverse, autonome tra
loro, ma stesso campionato. A differenza dell'esperimento Corazza,
però, non bisogna tradurre lo stesso testo in linguaggi diversi, fare
più versioni dello stesso racconto (a fumetti, teatrale, musicale,
ecc.). La vera sfida è proporre il racconto come sorgente per altre
storie, che chiunque possa fruire in maniera indipendente. Il fumetto
con l'assedio di Munster visto da Von Waldeck dovrebbe essere un
prodotto godibile anche da chi non sa niente di Q. Chi conosce Q
lo leggerebbe con un piacere diverso, ma non esclusivo. Si tratta
allora di proporre i romanzi come storie aperte, non solo a livello
teorico, ma anche sul piano pratico. Il sito che ci piacerebbe
allestire per Manituana andrebbe in questa direzione: creare
ipertesto, far intravedere mondi possibili, stimolare racconti
paralleli, indagini laterali, storie che non siano "ancelle" del
romanzo, ma che possano proporsi di per sé.
E' quella che gli esperti chiamerebbero fan fiction e che a me piacerebbe chiamare communal fiction,
o qualcosa del genere. Se una storia suggerisce un mondo, la comunità
che abita, tra gli altri, anche quel mondo, non potrà fare a meno di
produrre altre storie, mitopoiesi, che a sua volta rimanderanno ad
altri mondi, ivi compreso quello reale. Si tratta di rendere i nostri
romanzi più abitabili, sorgenti di mitopoiesi collettiva e
non soltanto terminali. Invitare il lettore ad accomodarsi dall'altra
parte della pagina non basta. Bisogna preparargli una sedia, tè,
biscotti. Fornirgli le password per accedere al codice di
programmazione. Che non è la storia stessa - come pensavamo ai tempi
del Corazza. Bensì centinaia di storie potenziali, fonti, rimandi.
Bisogna far vedere che il mondo possibile è molto più vasto della
storia raccontata e lo si può esplorare in maniera interattiva, con la
stessa soddisfazione che si prova in Grand Theft Auto o in Second Life. Bisogna concepire il libro come parte della storia.
[Riccardo/Blepiro:] Vado di corsa, devo
entrare a tirocinio in ospedale tra un quarto d'ora circa, ma questo te
lo volevo dire: grazie. La storia che mi riporti sinteticamente è
illuminante. Illuminante, soprattutto, è il rendersi conto che il
codice sorgente di un romanzo (o una poesia, o qualunque altro oggetto
di questo tipo) non è il testo da manipolare, ma l'universo di origine,
quello stadio totipotente dell'evoluzione dell'embrione che è la
blastula. Il punto di vista comune (che forse non è del tutto chiaro
neanche a chi produce l'oggetto narrativo, vero?). Sì, forse è fan fiction, ma finora l'idea del fan era secondaria ai produttori dell'oggetto di fanatism. Invece il vostro salto è : fan community orizzontale. E questo è notevole.
Romanzo abitabile: idea bellissima! non so se deriva da altre
suggestioni, nè quali, ma la svolta "architetturale" di creazione di
ambienti è un secondo punto fondamentale. Ci risentiamo, vi consiglio
però di parlarne e rielaborare questi spunti perché, ripeto, sono
un'evoluzione.
ANTEPRIMA NANDROPAUSA
Il 15 dicembre andrà on line il n.11 della nostra webzine letteraria "Nandropausa".
Quello che segue è l'elenco, ancora molto provvisorio, dei libri di cui
parleremo. Dopo gli ultimi mesi di volata finale su Manituana, le pile dei titoli da leggere sono ancora alte.
Elmore Leonard, Hot Kid; Robert Schneider, Kristus; Stephen King, La storia di Lisey; Massimo Carlotto, La terra della mia anima; Marco Philopat, Costretti a sanguinare (nuova edizione); Marco Philopat (a cura di), Lumi di punk; Leonard Gardner, Fat City; Mehta Suketu, Maximum City; Henry Jenkins, Convergence Culture; Steven Johnson, Tutto ciò che fa male ti fa bene; Lello Voce, Il cristo elettrico.
EDITORIA E COPYLEFT: EPPUR SI MUOVONO
Buoni ultimi, ma solo per questioni tecniche, salutiamo il nuovo progetto di editoria anfibia Vibrisselibri.
Perché "anfibia"? Perché vive in due ambienti, sopra e sotto il pelo
dell'acqua. Saggi e romanzi vengono letti da un comitato di redazione -
di cui fanno parte persone che stimiamo, primi inter pares il poeta Rossano Astremo e lo scrittore per ragazzi Lucio Angelini (right on, brother!) - e selezionati per la pubblicazione on line (in copyleft).
La scommessa a breve-medio termine è che editori lungimiranti e non
codardi si facciano avanti per pubblicarli anche su carta. La sfida a
lungo termine è dimostrare - in un modo diverso da come lo abbiamo
dimostrato noi - che download gratuito e acquisto in libreria possono
frequentare, da buoni amici, lo stesso circolo virtuoso.
Finora gli editori italiani si sono mostrati riluttanti a pubblicare
testi già apparsi in rete, a meno che non si trattasse di antologie
ragionate (come la nostra Giap! del 2003) o di blog che diventavano libri (e in quest'ultimo caso, si è trattato quasi sempre di progetti editoriali nati ad hoc, non di case editrici già operanti e affermate).
Basti dire che il nostro amico Lello Voce non è riuscito a far ripubblicare il suo romanzo d'esordio Eroina perché il file era già scaricabile dal suo sito [oggi Eroina è parte del romanzo Il cristo elettrico, una trilogia in un unico volume].
In attesa che Vibrisselibri apra nuovi sentieri, resta valido quanto affermavamo nell'intervista collettiva inclusa nel libro di Antonella Beccaria Permesso d'autore:
"La stragrande maggioranza degli editori continua a ritenere [il
download dei libri] una bizzarria. Capita addirittura che editori,
parlando di noi, liquidino sbrigativamente il copyleft definendolo
'marketing' o 'una furbata'. Ma certo che è anche
marketing, che discorsi. Noi con le royalties ci campiamo. La
contraddizione, infatti, non è questa, bensì il fatto che un editore,
il quale in teoria sarebbe un imprenditore, di fronte a un esempio di
marketing che non soltanto ha successo ma crea comunità, lo disprezzi
con toni 'puristici' (!) anziché prendere esempio. Quanto all'essere
furbi: ma perché, è meglio essere stupidi? Boh."
RIEPILOGO ASTA E-BAY PER GENOVA
Diamo
per scontato che tu sappia di cosa stiamo parlando. Se non è così,
prima di proseguire la lettura segui i link proposti più sotto, poi
torna qui.
[Firulì firulaaaa... giramento di pollici... sabbia che scende nella clessidra...]
Rieccoci.
Questo è un flash di aggiornamento:
mentre scriviamo è all'asta la copia n.9 del libro di Gilberto Centi Luther Blissett. L'impossibilità di possedere la creatura una e multipla. L'inserzione scade alle h.11.45 di giovedì 30 novembre 2006. Se anche tu vuoi partecipare, clicca qui.
La decima e - udite, udite - non ultima copia andà all'asta non appena venduta la nona.
Perché "non ultima"? Non avevamo detto che ne avevamo soltanto dieci?
Sì, ma nel frattempo, passando a pettine cantine e solai di
ex-Blissett, siamo riusciti a trovarne altre due, in ottime condizioni.
Quindi l'asta prosegue fino ai primi di gennaio del 2007.
Ricordiamo che finora abbiamo versato €350 al Comitato Piazza Carlo Giuliani e €250 al Supporto Legale per Genova.
Giovedì verseremo altri €150 al Supporto, e il 50% della vendita delle ultime tre copie (quindi non meno di altri €200) andrà di nuovo al Comitato. Il 10% della nostra quota andrà a finanziare le spese di Carmilla on line.
Qui c'è una spiegazione dettagliata del progetto "eBay per Genova".
Qui invece c'è uno "Speciale Gilberto Centi"
PROCESSO AL DIAVOLO: INTERVISTA AD ANTONELLA BECCARIA
Oggi le controinchieste non mancano, il giornalismo investigativo
riconquista importanti spazi, ma in Italia vi fu un periodo, in realtà
appena ieri, in cui queste forme latitavano, si davano malate, e alcuni
audaci pionieri del citizen journalism dovevano fare da supplenti aggratis. Quando a Bologna furono arrestati i Bambini di Satana,
non occorreva chissà quale genio per capire che la storia puzzava di
guano d'avvoltoio: bastava far funzionare le narici. Eppure il coro
colpevolista era compatto e assordante, gli imputati "mostrificati" a
nove colonne, le voci critiche assenti. A qualcuno toccò produrre
dissonanza, smontare la verità ufficiale, rompere l'incantesimo.
La storia è già stata raccontata, ma sempre a spizzichi e bocconi, e
quasi sempre dal suo culmine. Il merito del libro di Antonella Beccaria ( Bambini di Satana. Processo al diavolo: i delitti mai commessi da Marco Dimitri,
Stampa Alternativa 2006) è di raccontare la storia risalendo ai
prodromi (le prime inchieste sui BdS, all'alba degli anni Novanta) e
arrivare fino a oggi.
Una lunga e dettagliata intervista ad Antonella è apparsa di recente sul sito La tela nera, ed è stata ripresa su Carmilla. Tra le illustrazioni di quest'ultima versione, un'immagine prodotta nel 1998 dal Luther Blissett Project, mai pubblicata altrove.
META' AL DUCE E META' AL FASCIO
Ripensando allo scherzo fatto a Settembre al sito di Forza Nuova, mi sono ricordato di un episodio che mi hanno spesso raccontato i miei nonni.
A Bergamo durante il ventennio c'era un personaggio geniale (un Luther
Blissett d'altri tempi) che nottetempo si aggirava per la città
defecando in mezzo alle strade e ai marciapiedi. Una volta lasciato il
dovuto, aggiungeva un cartello con su scritto: "Qui la faccio, qui la
lascio, metà al Duce e metà al fascio", dimodoché la gente trovasse il
messaggio alla mattina quando si recava a messa.
Inutile dirti che la rima è rimasta impressa nel cervello di parecchi
bergamaschi molto più delle aquile e dei fasci del regime.
Se non sbaglio, costui era un farmacista che è stato poi preso e menato.
Per ora non ricordo altri dettagli, ma cercherò di raccoglierne.
Michele, 11/11/2006
[WM5:] Bologna durante il Ventennio era una
città fascistissima. La plebe bolognese, però, non risparmiava né
barzellette né lazzi ai potenti di turno, al regime e all'Uomo della
provvidenza. Dopo la firma del Patto d'Acciaio, poi, anche i nuovi
alleati germanici finirono nel mirino. Mio zio raccontava, ad esempio,
che un certo strillone, sotto il centralissimo portico del Pavaglione,
nell'annunciare la prima pagina con la visita ufficiale di Von
Ribbentropp a Roma, gridava a squarciagola: "I Rubbentropp a Romma!",
che in vernacolo significa: "A Roma rubano troppo".
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