/quasi/Giap/ - Hellbound Trains - 23 febbraio 2003
1. Gandhi e la locomotiva - di Wu Ming 4
2. Feedback su "Dopo il 15 febbraio i media siamo noi"
3. Dopo il 15 febbraio siamo diventati "medi"? - di N., con risposte di Wu Ming 4 e Wu Ming 1 + una nota di S.
4. Dubbi e prospettive - Uncle Zorro
5. Letteratura e differenze di genere - a proposito di una dichiarazione di Wu Ming 2
6. A proposito del copyleft e di alcuni strani eventi - di Marco C.
7. I Quindici hanno smarrito un bambino
8.**** MARCO DIMITRI VERSA IN CONDIZIONI DISPERATE, CERCHIAMO DI AIUTARLO****
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GANDHI E LA LOCOMOTIVA - Per l'obiezione di coscienza generalizzata
di Wu Ming 4
Quando chiesero a Gandhi, se si fosse trovato al posto di inglesi e francesi, come avrebbe fermato le truppe di Hitler che invadevano l'Europa, rispose che gli europei avrebbero dovuto stendersi sui binari e non far passare alcun treno carico di armi e soldati.
Quello che Gandhi ignorava è che probabilmente Hitler quei treni li avrebbe fatti procedere lo stesso... Ma noi oggi siamo più fortunati e almeno per il momento non possiamo essere spiaccicati. Mi sembra un vantaggio non indifferente di cui approfittare.
Molti anni fa Guccini cantava una canzone su una locomotiva "lanciata a bomba contro l'ingiustizia". La canta ancora, a dire la verità, per i più nostalgici, ai suoi concerti parla della rivolta individuale di un ferroviere anarchico che nei primi anni del secolo sequestra un treno eccetera eccetera.
Questo è più di un accostamento d'idee. Da un lato è la constatazione di qualcosa che da 24 ore sta già accadendo; dall'altro è la premessa per dire che il movimento contro la guerra deve giungere a proclamare l'obiezione di coscienza generalizzata.
I ferrovieri si rifiutano di portare i treni militari a destinzione (o comunicano quando e da dove partiranno); noi ci mettiamo sui binari per impedirne il transito.
L'intero movimento contro la guerra dovrebbe convergere su questa opposizione pratica e pacifica allo stato di belligeranza in cui ci troviamo ormai di fatto. Si tratta di offrire alle decine di milioni di manifestanti del 15 febbraio l'opzione di un gesto concreto e non violento, in piena sintonia con la miglior tradizione del pacifismo militante.
In fondo, la domanda che milioni di persone si stanno ponendo nel mondo da mesi a questa parte è proprio: "Come si ferma la guerra di fronte alla criminale e ottusa determinazione di Bush & company?". Beh, le guerre si fermano mettendo in minoranza e isolando i governi che le fanno, ma soprattutto paralizzando i paesi che vi partecipano. Paralizzandoli di fatto. Con blocchi, scioperi, diserzioni al regime di guerra che vorrebbero imporci nella maniera più soft e subdola possibile.
Disobbedire, obiettare, disertare. Giungere a uno sciopero europeo contro la guerra. Uno sciopero politico continentale. Che si assuma la responsabilità di gettare badilate di sabbia negli ingranaggi economici e di dare un segnale potente almeno quanto il 15 febbraio.
Cacerolazo europeo. Bloccare le rotte delle armi. Fermare le locomotive. Far percepire ai militari americani in transito tutta la disapprovazione e il rigetto della società civile europea nei confronti di quello che stanno andando a fare. Essere semplicemente ovunque.
Anche perché sappiamo bene che non si tratta "soltanto" di fermare i bombardamenti sull'Irak. Bush ha annunciato che Saddam è solo il primo di una lunga lista di dittatori che verranno spodestati con le bombe. Per risollevare l'economia americana dalla più grande crisi della storia non basterà mai la guerra-lampo irakena, come non è bastata quella contro i pastori afghani. La guerra sarà permanente. Quindi nemmeno la battaglia dei pacifisti potrà essere una lotta breve.
Dobbiamo prepararci.
Dobbiamo essere cauti, quanto determinati. Senza mai dimenticare che siamo tantissimi, in tutto il mondo, una "superpotenza mondiale", e forse anche il più grande mezzo di comunicazione di massa dopo Internet. Usiamo il peso di questa pacifica armata di 110 milioni di persone. E non dimentichiamoci che alla fine in India l'Impero Britannico ha perso...
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NON E' LA RAI
<<Non solo i media siamo noi ma i [media] mainstream ci copiano (ovviamente quelli intelligenti non la rai tivvì)!
La BBC, che è servizio pubblico non allegra brigata al soldo di questo o quel politicante, ha lanciato l'iniziativa "Send your demo pictures":
http://news.bbc.co.uk/2/hi/talking_point/2763101.stm
Chi era a londra e ha scattato qualche immagine digitale può spedirla (con mms o altro) [...]>>
Valentina***
IL 15 FEBBRAIO E LA RISONANZA MORFICA
<<In effetti in tutto il mondo si interroga sul misterioso fenomeno italico per cui pur controllando quasi tutti i mezzi di informazione il governo non è riuscito a dissuadere una folla oceanica a partecipare a questa manifestazione.
Lo stesso si può senz'altro dire per gli altri paesi dove la concentrazione dei poteri è più forte.
Penso soprattutto agli Stati Uniti. Davvero abbiamo aiutato gli americani a farsi coraggio, non credo che sarebbero scesi in strada così massicciamente se non ci fosse stata quest'onda lunga partita dall'Australia che ha attraversato tutti i continenti fino a concludersi nella incredibile Los Angeles [...]
Bisognerebbe comunque fare un monumento a chi ha avuto l'idea di fare questa giornata.
Tu hai parlato di passaparola come mezzo principe di questo successo e sono sostanzialmente d'accordo.
Mi è venuta alla mente però una teoria di un biologo inglese Rupert Sheldrake di cui ho letto alcune cose sul suo sito: http://www.sheldrake.org
Non sono in grado di spiegare bene questa teoria ma potrebbe aiutarci a capire questo fenomeno che stiamo vivendo.
Sheldrake sostiene che la trasmissione del patrimonio di conoscenze di una specie avvenga attraverso un meccanismo che ha denominato "morphic fields" e "morphic resonance" secondo il quale una delle conseguenze è che quando una determinata informazione supera una soglia critica di diffusione diventa conosciuta da tutti senza che ci sia più bisogno di una trasmissione diretta.
E' quando si dice che una cosa è nell'aria o che più ricercatori hanno raggiunto la medesima scoperta contemporaneamente senza che fossero in contatto, ecc. ecc.
Sheldrake sostiene inoltre che il cervello si comporta più come un sintonizzatore che come un dispositivo di memoria statica.
Tutte queste suggestive teorie possono aprire nuovi scenari nella comprensione dei fenomeni sociali e soprattutto dotarci di nuovi strumenti e di maggiore determinazione.>>
Gabriele***
IL MOVIMENTO CHE DISSOLVE I CETI POLITICI E' OK
<<Quello che è avvenuto a Roma è avvenuto, forse in passato, anche altrove. Ma io non c'ero. Chi dice che c'è stata una manifestazione è un riduzionista. A Roma c'è stato il popolo che ha occupato la città. Azione diversa dal dis/sentire. Azione sim-patica, perché il pathos è stato comune. A Roma c'erano poche bandiere politiche.
E appunto per questo è stata la più grande manifestazione del secolo, che sarà anche iniziato da poco, ma promette comunque bene. Il popolo, non le moltitudini, perche il popolo esprime coscienza civile. E la coscienza ha detto no alla guerra, no a questo governo di cavalli truccati da senatori, no a Caligola/Bush, no al terrore. Poi ci sono stati cretini intervistati da televisioni e cretini non intervistati da televisioni. C'erano anche televisioni cretine. Ma nessuno le guardava, perché non c'era spettacolo, ma vita vivente e vissuta.
Tutto ciò spaventa anche la sinistra/sinistra. E già, perche se non ci sono rappresentati che fine faranno i rappresentanti? Se scrivessi in tedesco userei Darstellung, la rappresentazione spettacolare, o lo spettacolo della rappresentazione.
Ahimè, Roma è stata una giornata anarchica, non perché i partecipanti fossero seguaci di Bakunin e Malatesta, ma solo perché sono stati solo se stessi, anzi sono stati quello che potrebbero essere. Sempre. Attimo immenso che appare e scompare, ma la cui traccia è indelebile. Meno se ne parla più agisce nelle sfere, nelle infosfere, nei neuroni. Roma è una lezione di cosa può essere un movimento, non il movimento dei movimenti, non i movimenti delle mosse politiche, non lo spettacolo delle satrapie
gruppettare.
A un mondo che cambia, ad un impero che va in rovina prima di essersi costituito, alle cancellerie europee sorprese esse per prime di una libertà d'azione e di parola che non sospettavano di possedere, insomma al grande, pericolosissimo casino contemporaneo, il movimento ha detto una cosa. Una cosa Dura e Cattiva.
La guerra ci sarà, perché nessuno è così ingenuo da pensare di poter fermare la macchina di distruzione e di morte. Ma questa guerra sarà la vostra rovina, non la nostra. Se la guerra ci sarà, e ci sarà, la separazione fra la volontà di tutti e la volontà di pochi diventerà così grande da produrre la fine del contratto sociale neoliberale. E forse del contratto sociale tout court. il 15 si è respirata in un momento tremendo per l'umanità, l'aria della libertà. E la libertà è pericolosa. Molto pericolosa. Inutile chiedersi "Che fare". Basta farlo.>>
Sbancor***
[A proposito della frase sull'arretratezza dei ceti politici rispetto al movimento tout court, e di certi conseguenti tiramenti di culo]
<<Tu dimentichi, stolto, che:
- "il 'movimento' è l'unico soggetto realmente antagonista";
- "dobbiamo aprirci alla realtà che ci sta intorno, però cioèccazzo, noi abbiamo una nostra identità e quella non si tocca";
- "il mediattivismo è LA Politica";
- "noi rappresentiamo i precari, le donne, i migranti, tutte quelle soggettività che i partiti e i sindacati della sinistra tradizionale ignorano";
- "no alla guerra e agli sgomberi... e alla repressione,... e al precariato... e, e, e, e... possibilmente tutto nella stessa manifestazione".
- "voi pubblicate per Einaudi/Mondadori";
- "bisogna fare l'impresa, ma lo Stato ci deve dare i soldi perché sono nostri";
- "noi siamo stati i primi a....";
- "noi lo dicevamo che....">>
Dejan
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DOPO IL 15 FEBBRAIO I MEDI SIAMO NOI?
DOPO IL 15 FEBBRAIO SIAMO DIVENTATI MEDI?
<<Vorrei ma non posso accodarmi alla tua (vostra?) apologia del 15 Febbraio. Non perché sabato scorso non sia stato messo in scena un evento storico, ma perché non sono convinto che la sua dimensione storica sia da inscrivere dentro i meccanismi di inclusione che i network sociali hanno giocato contro quelli esclusivi delle élites politico-economiche.
Forse le élites della controcultura hanno sperimentato la vittoria del proprio network globale, ma cosa hanno davvero sperimentato le "moltitudini" se non la messa in scena di una Woodstock modello 1999?
Gli ignoranti apologeti di Marshall McLuhan si lasciano abbagliare dallo slogan "The medium is the message" e finiscono per leggerlo come capacità della semiosi a sovradeterminare la pragmatica del mezzo.
Evidentemente è il contrario.
Il rischio della lettura di WM1 è quello di fare la stessa cosa con "Don't hate the media, become the media".
Quello che ho visto io è stata la vittoria dello spettacolo del dissenso sul dissenso stesso. L'adesione cinematografica alla critica, la pellicola di una negazione che non trova profondità.
Dal mediattivismo all'attivismo medio.
Un attivismo del fine-settimana che non lascia tracce sui vissuti individuali. Un compagno più anziano di me mi diceva: "noi negli anni Settanta non siamo mai stati così tanti... ma se eravamo 100.000... merda... il giorno dopo!". Noi invece? Aldilà degli effetti sulla politica istituzionale (ovviamente importanti)... noi il giorno dopo siamo diversi dal giorno prima? Siamo davvero singolarmente ed esistenzialmente più potenti il 16 Febbraio di quanto fossimo il 15 Febbraio? Non mi pare.
Sarei quasi tentato di dire che non eravamo tanti, ma eravamo troppi. Ma non è vero, non si è mai abbastanza.
Dico che mi è parso mancare quel senso di condivisione della strada. Come se la quantità superasse l'urgenza della qualità... (d'altronde avevamo i sondaggi dalla nostra parte).
Dov'è la vittoria se non nel confronto e nello scontro?
Invece ci siamo rivoltati contro un "nì" governativo con un "senza se e senza ma" sindacale. Abbiamo combattuto un "forse", non con un "no", ma con un "maddai".
Ma i "se e i ma" sono importanti... Solo quelli ci permetteranno il giusto livello di riflessione e una condivisione che guarda verso l'alto. Sono i "se e i ma" che ci permettono di costruire quelle concatenazioni di senso che possono farci affermare che "un'altra guerra e possibile!".
Si tratta di prendere la parola non di rimediarla...
N.
[WM4:]
Secondo me sbagli. In fondo potrei commettere anch'io il tuo stesso errore, è piuttosto facile. Firenze ci ha stupiti più di Roma, nonostante a Roma fossimo il triplo. Perché prima di Firenze i media governativi si erano scatenati nel fomentare "terrore" ed "emergenza", riportando poi una figuraccia colossale. Perché Firenze è stata la "prima volta", il primo milione.
Non potevamo immaginare che di lì a tre mesi avremmo triplicato. Prima di Roma non ci hanno neanche provato a fare allarmismo, perché sapevano di avere già perso. La tv di stato ha potuto solo oscurare l'evento, dichiarando senza remore urbi et orbi d'essere ciò che è, tv di maggioranza, ma soprattutto tv in via d'estinzione. Questo non è sintomo di medietas del movimento, ma di sconfitta della cricca governativa e dei vecchi mass media, di fronte a un nuovo medium che avanza.
Non si può certo dire che in questi tre anni i media non abbiano provato a ridimensionare, a stigmatizzare, a etichettare, a demonizzare, ad annacquare, questo movimento. Ogni volta esso è mutato, si è spostato altrove rispetto a dove lo volevano, si è ingrossato, ha dettato l'agenda alle vecchie istituzioni della politica. E oggi sì, il movimento è "di moda", ma non in senso trendaiolo, bensì nel senso che è "mainstream" e chiunque deve rassegnarcisi.
Un sessantottino sarà forse emozionato nel ritrovare certe sensazioni/condivisioni interplanetarie, centuplicate nei numeri. Un settantasettino sarà forse scettico e storcerà il naso perché "ai suoi tempi sì che si faceva sul serio", con una malcelata punta di livore per ciò che neanche lontanamente "ai suoi tempi" avrebbe potuto immaginare. Ma un ragazzo di vent'anni avrà per sempre la vita cambiata da manifestazioni come quelle di Firenze e di Roma. Dalla prima manifestazione globale della storia.
E di questo nel tuo ragionamento non tieni affatto conto, come faccio fatica a tenerne conto io. Invece a pensarci bene, è così. Per un ragazzo nato negli annì 80 (quindi che non ha accumulato troppo incarognimento) e adolescente neì 90 (quindi l'unico attivismo di cui ha avuto sentore è quello di qualche centro sociale), questo movimento moltitudinario è una roba che non può non cambiare la vita.
La cambia anche a me, che di anni ne ho trenta e non credo più, come credevo a vent'anni, che l'impatto sociale di una lotta si misuri contro il suo grado di spettacolarizzazione. Oggi dico per fortuna Hollywood è dalla nostra parte. Perché per cambiare il mondo ci servirà semplicemente tutto (ohibò, questo però lo dicevo anche dieci anni fa!) e se un Sean Penn e un Martin Scorsese muovono opinione nel loro fottuto paese, ben venga. Ben vengano Madonna e la Madonna.
Troppo post-moderno?
Tutto il contrario, in realtà, a pensarci bene.
Quanto all'attivismo da fine settimana, a me sembra che i fine settimana comincino a diventare parecchi...
Nei "se" e nei "ma", stanno tutte le differenze e le insidie del prossimo futuro. La maggior parte delle strutture politiche pre-esistenti al movimento (piccole, grandi o mastodontiche che siano) sono già pronte a recuperare il recuperabile, per buttar via tutto il resto. Basta che qualcuno dia il via, come a ruba bandiera. Le alleanze "copia-incolla" appunto, che sono l'altra faccia della medaglia del generico e girotondesco volemose-bene-siamo-tutti-di-sinistra.
Secondo me, il compito di chiunque dovrebbe essere quello di lavorare perché il movimento non si faccia erodere o strozzare da questa forbice. Ma sinceramente, non mi sembra ci siano motivi per essere pessimisti. Non ora.
[ancora N.:]
<<Cari compagni WM1 WM4,
per urgenza ho fatto a meno della premessa: credo che le proporzioni di una manifestazione come quella del 15 Febbraio rappresentino innanzitutto un vittoria.
Una vittoria contro i signori del pianeta e contro i suoi amministratori.
Una vittoria che ricorda che non ci sono deleghe in bianco e che le decisioni sul futuro dell'umanità non possono esser prese senza la popolazione del pianeta.
Una vittoria contro un modello di sviluppo miope e barbaro che va trasformando la logica bipolare della guerra fredda in una guerra tiepida multipolare in cui solo il nucleare garantisce indipendenza a prezzo della resurrezione di piccole patrie.
Questa era la premessa di una vittoria che condividiamo tutti.
Ma la nostra storia non è solo la storia della politica del diritto internazionale e degli stati nazioni.
Quello che non non vedo è il valore storico che voi riconoscete a questo 15 Febbraio in termini di avanzamento della qualità del conflitto.
Se è stata una manifestazione "storica" non basta lo sia stata per i suoi risultati immediati.
La sua dimensione storica per me sta da un'altra parte, su un asse che mi pare almeno obliquo rispetto a quello in cui in questi anni ci siamo mossi per far avanzare questa cosidetta "storia".
A Firenze, nonostante l'errore di posizionamento strategico delle aree a noi più vicine, ho visto il successo di una moltitudine che si è trovata a scambiarsi idee, opinioni, sogni. Credo che la vittoria di Firenze si sia consumata nei corridoi della Fortezza, tra i computer dello spazio Hub, tra i sacchi a pelo dell'ippodromo ovvero prima che la manifestazione del sabato mettesse in scena la forza e la fermezza del movimento.
Certo Firenze era un altra cosa. Ma quella manifestazione lì è stata davvero la vittoria delle differenze che si incontrano e si scontrano contro i frettolosi della sintesi. A Firenze la produttività centrifuga della moltitudine era un passo avanti all'urgenza della rappresentazione e della rappresentanza.
A Roma le cose sono andate in modo un po' diverso.
Forse è la pace. Se la politica è la prosecuzione della guerra con altri mezzi, la pace non rischia di essere la negazione di ogni politica?
Quell'arcobaleno sulle bandiere non rischia di rappresentare il destino di un movimento in grado di destare meraviglia planetaria prima di scomparire un attimo dopo?
I miei timori, Federico, sono proprio per i ragazzi di vent'anni che rischiano di assumere il conflitto come esperienza di consumo e non produzione.
E non è il problema di Claudia Koll... Non credo affatto che si possa fare a meno di una certa componente di comunicazione "televisiva", ma questa deve funzionare da catalizzatore in grado di rilanciare la messa in rete dei vissuti e delle esperienze, non generare nuovi cinematografi in cui gli spettatori sono uno accanto a l'altro e non parlano più.
Credo che le nuove forme del lavoro precario che portano ad investimenti crescenti in termini di energie emotive e psichiche rendano facile scivolare verso forme di partecipazione sempre meno impegnative sul piano della relazione mentre il codice dell'economia continua ad autoreplicarsi.
E mi pare che questo sia lo specifico del progetto Wu Ming (per questo me la prendo :-).
La vostra è capacità di vivere il conflitto in maniera non festiva. Portandolo dentro la propria dimensione esistenziale e produttiva (decisamente meglio di quanto ci sia riuscito il sottoscritto e non solo lui).
Per questo mi aspettavo da voi una particolare attenzione e vigilanza rispetto a questo tipo di rischio che per me a Roma si è mostrato con chiarezza.
Semplicemente avrei preferito gli slogan di Daniele Silvestri a quelli del papa e del cinese.
..il mio nemico non ha divisa
ama le armi ma non le usa
nella fondina tiene le carte Visa
e quando uccide non chiede scusa
il mio nemico non ha un nome
non ha nemmeno una religione...
Non faccio il disfattista perché è una guerra in cui credo, e il mio nemico non era in piazza sabato scorso se non perché trontianamente "il mio nemico mi somiglia è come me".
Non cerco generali, ma mi aspetto che siate sempre i migliori analisti dal fronte...
Un abbraccio.>>***
<<A proposito del recente dibattito sulla mediocrità di questo mo(vi)mento storico, l'altro giorno ho semi-costretto N. ad avventurarsi al sit-in al Parlamento, convinto che un evento di 3 milioni di persone avrebbe lasciato tracce anche in orari lavorativi...
Risultato: presenti all'appello io, N., una marea di guardie, il Mantovani e qualche altro cronista che se l'e' subito squagliata...
Poco dopo eravamo al caffè Tazza d'oro con N. che mi guardava di sottecchi per dire: beviamoci 'sto cioccolato và...
1-0 e palla al centro...>>
S.
[WM1:]
E' sbagliata l'ottica, o meglio, non è sbagliata in assoluto ma è capovolta, con la testa in basso e i piedi in alto: è il nostro lavoro quotidiano di anni, sulla comunicazione indipendente, sulla Rete, sull'immaginario, sul lavoro cognitivo ad aver provocato l'effetto-farfalla che poi si concretizza nell'opinione pubblica come "seconda superpotenza mondiale" e nelle manifestazioni in simultanea mondiale... [...] Nel '95 il Luther Blissett Project scriveva della necessità di un "network degli eventi",
cioè di eventi costruiti in tutto il mondo, da scatenare lo stesso giorno. Secondo me questo non è il momento di mettere l'accento sulle miserie e sui residui della vecchia antropologia, certo, bisogna tenerne conto e tenerli nella coda dell'occhio, ma lo sguardo dev'essere tenuto sulle potenzialità, sulle scommesse per il futuro, sempre rivendicando la pluridecennale spinta propulsiva delle "controculture".
[Ancora S.:]
<<Concordo, credo che l'appercezione di N. corrisponda però a un'esigenza diffusa di cambiare il quotidiano a partire dalla consapevolezza che dichiari guerra al Terzo Mondo ogni volta che sali in macchina, indossi le Nike, etc... e che il bombardamento sia solo l'epifenomeno della guerra strisciante e a bassa intensità imposta dagli attuali squilibri mondiali...
A livello percettivo c'è una sorta di divaricazione tra le pratiche ecologiche vegane-ecologiche-equeesolidali, di parti-da-te-stessa innanzitutto, e la macro-politica globale... Tutti sappiamo che sono connesse ma mancano i link sensibili, gli esempi concreti che possano tramutarle in opzioni su larga scala nella possibilità effettiva di un altro mondo... Voglio dire, Grillo può anche presentare l'auto ecologica davanti ai cancelli della Fiat, ma non sono certo gli operai che decidono cosa produrre...
Come esci da questa forbice senza ricadere nella minestra riscaldata del "capitalismo irriformabile"? Mancano i passaggi intermedi che ti permettono di trasformare la passeggiata del fine settimana in una passeggiata al giorno... Puoi pure fermare il treno carico di armi, ma il tuo datore di lavoro che si spara il tuo stipendio in Borsa e poi ti dice "mi dispiace, questo mese non ti pago", chi lo ferma?>>
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DUBBI E PROSPETTIVE
<<Continuo a ragionare sulle prospettive del Movimento, sulle sue strategie di lotta, sulle sue scelte e sulle sue prese di posizioni...
Nessun dubbio che, come anche sabato 15 febbraio ha dimostrato, tutta la moltitudine delle persone che erano presenti nelle manifestazioni in ogni angolo del mondo si propongono in una posizione ben più avanzata del mero sconfittismo di rigore ormai tipico della sinistra. Tuttavia continuo ad avere la sensazione che manchi ancora qualcosa o per lo meno... Boh, cercherò di andare subito al sodo e spegarmi nel miglior modo possibile.
Semplificando, la domanda che mi sono posto è la seguente: quanto, il Movimento, deve rimanere fuori della politica, la politica in senso "istituzionale"?
Per quanto il nostro sistema ordinamentale continui ad essere utilizzato per raggiungere fini tutt'altro che democratici, esso è pur sempre fondato su di un'impalcatura a base democratica. La nostra Cotituzione offre ad ogni cittadino "sia come singolo sia nelle formazioni sociali attraverso cui esplica la sua personalità", a cominciare dai partiti politici, la possibilità di proporsi e lavorare attivamente all'interno di tutte le istituzioni (nazionali, regionali e locali) per cooperare all'indirizzo e alle scelte politiche di ogni comunità di riferimento.
In breve, prima o poi, tutti, destrosi o sinistrosi, militanti, girotondini, iscritti al partito o al sindacato, wuminghini, indifferenti o un minestrone di tutto ciò... tutti il giorno delle elezioni dovremo compiere una scelta, sia essa votare, non votare, farsi votare (cioè presentarsi alle elezioni con un proprio partito).
O si cambia sistema costituzionale (e alla fin fine B*********, in qualche modo, sovente delira proprio in tal senso...) o dobbiamo ancora considerare le elezioni come il primo strumento che consenta, veramente, ai cittadini tutti, di partecipare alla vita politica del paese.
Domande e problemi che mi sto ponendo da un po' di tempo e che leggendo, ascoltando ed osservando, sono diventate sempre più pressanti.
Il Movimento, come si è sottolineato, anche in /Giap/ del 12-11-2002 oltre all'ultima mail da voi spedita, ha fatto e sta facendo grandi cose, soprattutto, quello che è più importante, sta riuscendo nella lotta più difficile e cioè convincere molte persone che c'è la necessità di un cambiamento, che ci sono cose che non vanno fatte ed altre che vanno fatte meglio (riguardino esse i migranti, il consumo critico, il rispetto delle diversità, la consapevolezza delle più diverse ingiustizie, la Nestlé, i bilancisti...). Insomma, inconsciamente o consiamente il Movimento è diventato un medium.
Basta pensare alle forte pressioni sulle multinazionali "sportive" che vengono costrette al rispetto, per lo meno, dei più essenziali diritti umani e dei lavoratori, nelle loro fabbriche del Far East.
Ma è questo stesso esempio, tuttavia, che può considerarsi anche come un campanello d'allarme. I grandi padroni delle multinazionali costretti a questi cambiamenti di politica aziendale, chiamiamoli così..., di certo non è che si rendono conto dei propri sbagli. Si osserva, infatti, sempre più spesso che la reazione maggiormente frequente è la chiusura della fabbrica e lo spostamento della stessa in altri Paesi che sono deficitari di qualsiasi tutela del lavoro.
Insomma può capitare che si realizzi l'equazione riconoscimento dei diritti = spostamento dello stabilimento = disoccupazione.
E allora? Dobbiamo aspettare di "attaccare" anche l'ultimo buco del mondo in modo da non consentire più spazi ai padroni? Sì certo anche questo... ma possiamo fare solo questo?
Dobbiamo lavorare per diventare o continuare ad essere un Movimento-lobby?
Una lobby così potente da poter determinare in maniera concreta le scelte di chi sta al Governo o comunque in Parlamento.
Ma se non ci si riuscisse...?
E qui torno alla questione degli strumenti forniti dalla Costituzione per determinare la politica dell'Italia. Il giorno delle elezioni di fronte alla scheda elettorale io (nel senso di persona generica) una "X" la devo pur sempre segnare. D'altra parte uno dei giochi più sporchi di ogni partito politico, a mio giudizio, è proprio quello di sfruttare/scommettere sul senso civico degli elettori e delle elettrici a volte si vince e a volte si perde (sistema ultimamente utilizzato soprattutto dal Centrosinistra con le conseguenze che conosciamo).
Sono in grosse difficoltà su questo tema.
Sono cresciuto in una famiglia in cui si è sempre fatta politica attiva (di sinistra).
Pian piano che si è andata creando una coscienza critica personale e man mano che le scelte politiche dei partiti di sinistra (insomma, il pci-pds-ds) sono andate degenerando, per non parlare delle scelte politiche (non anche, tutto sommato, quelle tecnico-amministrative) della sinistra al governo, mi sono trovato in una posizione sempre più distante, non tanto dalle persone che mi circondano, ma proprio dagli atteggiamenti e comportamenti di gran parte dei dirigenti dei partiti. Oltretutto sto parlando di un'esperienza che se pur relativamente breve ha portato, date le premesse, a conoscere i vari personaggi della politica di sinistra qui a Latina, che sì presenta delle obbiettive difficoltà per chi "sta a sinistra", ma certo non giustifica i personalismi le lotte interne e tutto quello che ha sempre caratterizzato tutti i partiti (correnti, correntoni, correntini, scissioni, litigi, ecc).
Insomma, forse bisognerebbe incominciare anche (e questo "anche" penso sia importantissimo) a pensare a come agire dal di dentro, da dentro i movimenti politici istituzionali. Proprio per utilizzare quegli strumenti democratici che un ordinamento quale il nostro predispone. Cercare di insinuare quel modo di concepire le realtà sociali della Terra, che in qualche modo accomuna il Movimento, all'interno dei partiti politici di agire come un virus.
Scelta questa tutt'altro che facile. Ripeto, io sono in grandi difficoltà.
Una questione che fa un po' pensare al dibattito che oggi sta attraversando le scelte di Banca Etica e cioè se entrare o meno pienamente in tutti i meccanismi della finanza. C'è chi sostiene che tale passo sarebbe l'inizio della fine, a fronte di chi sostiene che l'unica vera chance di cambiamento è invece proprio quella di colpire il sistema dall'interno... Influenzare da di dentro i partiti politici...sarebbe l'inizio della fine? E' , invece, una delle soluzione? L'unica? Meglio operare come una lobby?>>
Uncle Zorro
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<<Sono rimasta colpita dalla risposta di WM2, nell'intervista su Ferdinandea riportata nell'ultimo numero di Giap, sulla presenza di personaggi femminili nel film.
Ha fatto emergere un'insoddisfazione, finora rimasta latente, su come vengono trattati i personaggi femminili nelle storie che raccontate.
Non si tratta di una critica ai vostri libri (se non sembrasse ruffiano in questo contesto, vi direi la verità e cioè che siete i miei preferiti), ma di riflessioni a briglia sciolta. E quale miglior privilegio di poterle inviare a dei "punti di riferimento intellettuali", senza (ve lo giuro) pretendere una risposta, né farvi carico di nessun problema?
A differenza di quanto dice WM2, per me (da lettrice, spettatrice, persona) la scelta non può essere fra personaggi femminili assenti o, se presenti, contenuti in piccole storie parallele o "appiccicate" (come in "Gangs of New York") con lo scopo di apportare un po' di colore o di sesso alla storia. Le "vostre donne" hanno uno spessore diverso, ma non mi posso certo accontentare di Angela di "54", né tantomeno di Manuela di "Asce" o dei bellissimi personaggi femminili che però fanno solo capolino in "Q".
Immagino cosa state pensando adesso: ma da noi cosa vuoi? Niente, anzi continuate così! Ma mi chiedo se voi non siete in grado (non vi riesce o non volete) di mettere al centro delle vostre storie delle donne, esiste altro? O la differenza di genere è ancora oggi anche una differenza di genere narrativo? In effetti, anche sugli ultimi numeri di Nandropausa non ho trovato nulla...
So che queste possono apparire riflessioni oziose in tempi di sconvolgimenti planetari. Ma forse non sono così futili, per l'importanza della mitopoiesi (voi me l'insegnate) e per evitare "che tutto cambi senza che nulla cambi".>>
Chiara
[WM1:]
Sicuramente WM2 ti risponderà in modo più dettagliato, io mi limito a riconoscere che è un problema serio.
Leggo una cinquantina di libri all'anno (forse anche di più), esclusi quelli che leggo per lavoro (per documentarmi in vista di un romanzo o di un articolo etc.). Oltre il 90% di tali libri ha come autori dei maschi. Non credo però sia una mia preclusione, non sto a discriminare per genere i narratori. Il punto è che non riesco a leggere le storie intimistiche, familiari, microcosmiche, con gli arrovellamenti psicologici, e purtroppo molta della "scrittura femminile" che trovo in giro ha quel tipo di taglio lì.
[WM2:]
Inutile dire che tocchi un tasto dolente.
Ci tengo subito a precisare che nemmeno per me l'alternativa si pone tra assenza dei personaggi femminili e loro presenza ai margini della scena. Nella risposta, mi riferivo al caso specifico di "Gangs of New York", dove, a mio parere, la scelta davvero coraggiosa sarebbe stata quella di fare un film senza donne. Per altre storie, ovviamente, la scelta giusta sarebbe piuttosto tratteggiare personaggi femminili a tutto tondo, pienamente espressivi, ma non sempre ci si riesce...
E con questo arrivo al punto. Sì, credo che il genere costituisca un problema. Tanto per gli uomini che per le donne. Bisogna essere davvero molto capaci, come scrittori, per scavalcare questa difficoltà. Per quanto mi riguarda, una simile capacità è ancora di là da venire. Anche perché , lo confesso con grande schiettezza, vivo il problema più per interposta persona che non in maniera diretta. Mi dispiace, cioè, che molte nostre lettrici non siano del tutto soddisfatte dei nostri personaggi femminili. Ma mi rendo anche conto che, fosse per me, mi accontenterei di Angela. E immagino che, finché questo problema non sarà mio fino in fondo, non riuscirò nemmeno a produrre soluzioni convincenti.
Poi, c'è un problema col genere, inteso in senso letterario. Nel tipo di letteratura che facciamo noi, gli esempi di straordinarie figure femminili sono davvero pochi, e dunque mancano i punti di riferimento con cui confrontarsi, gli ideali a cui tendere...In particolare, le figure femminili tratteggiate dalle donne stesse, che, come diceva Roberto, in questo tipo di romanzi latitano.
Infine, credo ci sia un problema di numeri. Il fatto che gli scrittori noti al grande pubblico siano senz'altro più numerosi delle scrittrici crea una difficoltà in più. Anch'io, come Roberto, leggo poca letteratura femminile. Ma quando la leggo, non mi aspetto i personaggi maschili che piacciono a me. Mi aspetto grandi personaggi femminili, e figure maschili meno convincenti, sebbene interessanti perché viste con occhi di donna. "Cassandra" di Christa Wolf è un grande romanzo, ma Enea non è certo il tipo di personaggio maschile che più mi soddisfa. Idem per "Le memorie di Adriano". Grande libro, ma Adriano non è proprio così convincente, come maschio...Eppure, grande libro: non mi aspetto dalla Yourcenar un personaggio maschile di mio completo gradimento. Mi basta che sia interessante...
Non so...Può essere che una donna abbia più "pretese" dagli scrittori dell'altro sesso, anche perché sono la maggioranza? (in particolare, come detto, in certi generi letterari. Per cui, una donna a cui piaccia il romanzo d'avventura ha un bel da cercare, se vuole leggere una grande autrice...)
Dal canto nostro, cerchiamo di fare il possibile per risolvere queste difficoltà, senza cascare, come detto, nell'errore contrario, nel personaggio femminile a tutti i costi, anche là dove non ci sta a dire molto, per paura di dispiacere le lettrici che, come si sa, sono folta maggioranza.
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[Marco:]
<<...nell'arco di mezz'ora mi sono capitati tre riferimenti, da fonti che più eterogenee non si potrebbe, rispetto ad una tematica alla quale presto molta attenzione anche in virtù del mestiere che pratico (sono ingegnere del software presso un'azienda del settore e sviluppatore Open Source quando il tempo me lo consente).
Ore 12:07 - ricevo l'ultima issue di giap, la leggo d'un fiato, soprattutto la sezione relativa al copyright, e mi trovo al solito in perfetta sintonia con i temi proposti. L'esempio dì O'Reilly è illuminante così come evidente è lo stato terminale di gran parte dell'industria discografica.
Ore 12:25 - ricevo una telefonata da un collega di Milano, cui avevo consigliato la lettura del bel saggio di Pekka Himanen "The Hacker Ethic and the Spirit of the Information Age", che mi ringrazia e mi dice di cercare sulla sezione italiana di google con i termini "pekka himanen etica hacker". Mi dice di averlo fatto per approfondire il tema in rete.
Vi riporto per comodità la URL con la ricerca già impostata:
http://www.google.it/search?hl=it&ie=UTF-8&oe=UTF-8&q=pekka+himanen+etica+hacker&lr=
Cliccateci sopra e vedrete come questi temi suscitino l'interesse anche dei nostri servizi segreti. L'ultimo item della lista è infatti un link alla rivista di intelligence del Sisde, dove il saggio di Himanen viene recensito e, sorpresa, in termini che paiono lusingheri anche per un diffidente ad oltranza di questo tipo di interlocutori.
Ore 12:40 - Mentre sto navigando in rete mi imbatto in una notizia che merita attenzione. La morte misteriosa di un'ex sviluppatore Microsoft che aveva copiato a suo tempo i codici sorgente, cui aveva accesso, di Windows 2000 e SQL Server per rivenderli al mercato nero. Mafia? Il buon Guglielmo Cancelli (Zio Bill) in combutta con la CIA? Semplice sfiga? Pare che il "nostro" si sia fregato perché dopo aver fatto i soldi si è messo a fare "lo sborone" girando in Ferrari et similia. Di seguito la URL dove troverete i dettagli del caso:
MICROSOFT SOFTWARE THIEF DIES UNEXPECTEDLY AGED 32
Cause of death unknown...
http://www.silicon.com/news/500022-500001/1/2854.html?nl=d20030213
Il filo conduttore che lega i tre contenuti è evidente. Credo che il concetto del copyleft modello Open Source sia esportabile in molti ambiti, con effetti al momento difficili a prevedersi. Penso che la capacità di sopravvivenza di diversi settori dell'economia dovrà fare i conti con l'adattamento a questo nuovo modello di business. L'industria dell'intrattenimento cerca di opporsi all'inevitabile e inevitabilmente finirà travolta, l'editoria sta sperimentando forme di contaminazione che, più che garantire la mera sopravvivenza, potrebbero schiudere nuove ed interessanti prospettive.
Nel mio settore si combatte una battaglia epocale nella quale il vincitore è ancora incerto, da un lato la capacità di lobby di zio Bill, che si sta facendo il "giro delle sette chiese" in Europa pregando in ginocchio che non salti in mente ad altri di fare come la Germania che ha adottato Linux e Star Office per tutta la pubblica amministrazione, e la colpevole sudditanza tecnologica delle imprese europee in generale ed italiane in particolare nel cercare soluzioni di comodo (limitarsi a rivendere licenze di prodotti altrui: certezze molte, margini di guadagno ridotti, crescita tecnologica zero!). Dall'altro lato la spontanea pervasività delle soluzioni Open Source, la loro robustezza ed affidabilità - per uno del mestiere è incredibile vedere IBM sparare spot televisivi dove magnifica i suoi server Linux-based, come se big blue non producesse già una schiera di sistemi operativi - e soprattutto l'occasione di costruire soluzioni software replicabili a costo zero (come licenze) per la pubblica amministrazione.
L'Open Source rappresenta per tutti i paesi non nordamericani l'occasione di liberare definitivamente l'economia della produzione immateriale dal colonialismo tecnologico e dalla schiavitù delle licenze d'uso (illuminante in questo senso l'esperienza che si sta facendo in Brasile circa l'uso di software Open Source nella formazione scolastica). Si fa un gran parlare di evoluzione di servizi in rete, di e-governent, di informatizzazione della Pubblica Amministrazione. Forse non tutti sanno che il MIT (non quello di Boston, si tratta piuttosto del nostro pallido ministero per l'innovazione tecnologica :-( ) ha incaricato una commissione di "saggi" per un'indagine conoscitiva sull'Open Source, gli esiti della quale dovrebbero orientare le strategie di innovazione tecnologica ed evoluzione dei servizi in rete al cittadino negli anni a venire. Partita persa in partenza? Non credo. Con le pezze al culo donateci dai Tremonti Boys anche un governo piduista deve fare attenzione ai costi e al risparmio potenziale in bilancio di qualche miliardo di euro (provate a cassare il costo di una licenza di windows e di Office su due milioni di postazioni). Caro gli costa a Zio Bill essere competitivo su questi numeri, anche in termini di mazzette!
Cosa c'entra invece il Sisde? Probabilmente si tratta di fornire un'immagine bonaria, rassicurante e quasi progressista. Ad ogni modo la rivista in questione mi ha quanto meno incuriosito ed ho trovato, nello stesso numero, una recensione anche per l'ultimo lavoro di Manuel Castells, il che testimonia dell'interesse riguardo a certi temi (il tono della recensione in questo caso è molto più asettico). Al solito però si predica bene e si razzola male, basta osservare le URL navigando il sito (file con est
ensione *nsf") e si capisce che il sisde pubblica il suo sito Internet con Lotus Domino (ambiente IBM, iper-proprietario, iper-chiuso e, mettiamocelo pure, iper-costoso, ma soprattutto iper-dimensionato a spese del contribuente rispetto alla tipologia di sito proposta). Qualcuno però non sa che l'MI5 britannico ha recentemente emesso un rapporto nel quale argomenta tecnicamente la convenienza dell'utilizzo di software Open Source per un'agenzia di Intelligence. Il motivo più lampante è costituito dalla trasparenza di ciò che si sta usando e dal pieno governo della tecnologia sottostante. Guarda un po' questi inglesi! Insieme agli americani ci bombarderanno a braccetto l'Iraq, ma secondo me il timore di qualche back-door ad uso "esterno" all'interno dei prodotti di Zio Bill ce l'hanno.
Infine lo sviluppatore Microsoft, colto prima da improvvisa fortuna e poi da ancor più improvvisa morte. L'unica considerazione è che il software proprietario potrebbe essere appetibile anche per la criminalità organizzata (i sorgenti di Windows possono valere in questa congiuntura quanto una bella imbarcata di cocaina). Il resto potrebbe essere spunto interessante per un racconto o un romanzo breve che lascio a spiriti più sensibili del mio l'onere di vergare.
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Il bambino Roberto Orselli è atteso dai genitori all'indirizzo: manoscritti_ai_15@yahoo.it
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**** MARCO DIMITRI VERSA IN CONDIZIONI DISPERATE, CERCHIAMO DI AIUTARLO****
Una questione delicata.
Sinora ci eravamo trattenuti dal compiere un simile passo, per questioni di pudore e di dignità, ma la situazione è davvero grave.
L'operazione alla retina (cfr. Giap#2 IVa serie) è andata bene, ma non si può certo chiamare "quiete domestica" quella a cui Marco è ritornato: senza lavoro, anni di affitto arretrato da riscuotere allo IACP, telefono ed elettricità che verranno tagliati da un momento all'altro, gli amici che faticano sempre più a tirarlo fuori dalle sabbie mobili in cui cade periodicamente (in tempi di recessione ci sono sempre meno rami a cui farlo aggrappare)... Col ricorso in appello - dopo la sentenza che lo indennizzava con una sporta di prugne per più di un anno di ingiusta detenzione e una vita civile praticamente fatta a pezzi - la causa per il risarcimento durerà ancora qualche anno, ma nel frattempo?
Questa situazione non è recente, dura dal 1998, da quando Marco fu assolto con formula piena dalle accuse ributtanti che la Procura di Bologna, il Resto del Carlino e alcuni ambienti cattolici di destra gli avevano rigurgitato addosso. Sono rari i datori di lavoro disposti a soccorrere una persona a cui è stata appiccicata in fronte l'etichetta di "mostro".
Marco tira avanti con ammirabile sense of humour, viene anche alle manifestazioni, era a Genova e a Firenze, insomma, non è un morto vivente, ma noi siamo sempre più preoccupati per lui, per il suo stato di salute (dall'epoca dell'arresto ha perso una ventina di chili), per la possibilità non remota che si trovi in mezzo a una strada...
Per quel che riguarda il nostro sito, Marco ci aiuta a mantenerlo, a risolvere i problemi tecnici etc. ma è un web designer a tutto tondo, negli scorsi anni ha realizzato - sottopagato - svariati siti per liberi professionisti, cooperative, associazioni (che sovente si vergognavano di riportare il suo nome sulle pagine). Disegna le pagine con Dreamweaver, sa usare php, si trova perfettamente a proprio agio con Flash e altri linguaggi multimediali, è bravo con Photoshop, basti vedere il suo sito: http://www.bambinidisatana.com
Insomma, bando alle ciance: se qualcuno/a di voi giapsters avesse dei lavori o dei lavoretti da affidargli, e decidesse di aiutarlo e aiutarci, farebbe cosa buona e giusta. Chi vuole farsi avanti, scriva a info@bambinidisatana.com e in cc: a giap@wumingfoundation.com
Grazie in anticipo.
**** MARCO DIMITRI VERSA IN CONDIZIONI DISPERATE, CERCHIAMO DI AIUTARLO****
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N.B. Per tutta la giornata di sabato 22 febbraio il nostro server ha avuto dei problemi di ftp, che tuttora perdurano. Poiché si sono verificati a metà dell'upload della nuova prima pagina del sito, Wumingfoundation.com al momento non è facilmente navigabile. Abbiamo chiesto chiarimenti allo staff del supporto tecnico, sicuramente si risolverà al più presto, ma certo ci rode un poco il culo :-(((
Attenzione informiamo i/le giapsters che hanno l'indirizzo su freemail.it che il loro server respinge *in blocco* i numeri di Giap. Se avete amici o amiche in questa situazione, fateglielo sapere in qualche modo. Il messaggio di bounce dice "Sorry, no mailbox here by that name. (#5.1.1)" Che chiedano spiegazioni o aprano un account con un altro provider, provvedendo poi a ri-iscriversi.
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Iscritt* a /Giap/ in data 22/02/2003: 3466
Tutti i numeri arretrati sono archiviati qui.