[Quest’intervista è apparsa ieri sul sito del quotidiano La Stampa.]
I WU MING E LA SECONDA VITA DI GIAP
Dopo dieci anni, il collettivo bolognese chiude la sua storica newsletter, trasformandola in blog. Tra presente e futuro, disseminazione e razionalizzazione dei contenuti, social network, iPad e copyright, Wu Ming 1 ci spiega perché. di Luca Castelli
Dieci anni. Oltre cento invii. Più di dodicimila iscritti. Sono i numeri di Giap, la newsletter-rivista con cui – dal 2000 all’altro ieri – il collettivo di scrittori Wu Ming ha mantenuto via email il contatto con i lettori. Articoli, riflessioni, racconti, link e battaglie: un modo innovativo, soprattutto in Italia, per sviluppare la propria presenza online. Un percorso, tuttavia, che si è pian piano rarefatto. Fino alla chiusura definitiva della newsletter, trasformata in blog e integrata con Twitter, Anobii, il mondo dei social network, dei feed, dell’aggiornamento costante e istantaneo. Protagonisti di numerose iniziative online, dal progetto transmediale di Manituana al download libero di tutti i loro libri, fin dagli albori del www i Wu Ming svolgono un ruolo di avanguardia nell’esplorare la mutazione dell’autore ai tempi delle tecnologie digitali. Per questo, prendendo spunto dalla seconda vita di Giap, abbiamo deciso di fare il punto sulla situazione con il gruppo. A risponderci, attraverso i fili invisibili di Skype, è stato Wu Ming 1.
Perché avete deciso di terminare le spedizioni di Giap?
Di fatto, l’ultimo numero di Giap risale all’ottobre 2009. La newsletter è già chiusa da tempo. Negli ultimi mesi abbiamo comunicato principalmente tramite il blog dedicato ad Altai, Twitter e sulla bacheca della nostra libreria su Anobii. Gestire una newsletter via email negli anni è diventato sempre più brigoso: tra problemi tecnici, antispam, gente che si iscrive e poi se ne dimentica e protesta perché la riceve. Inoltre, per fare Giap era necessaria una vera e propria attività redazionale ed era uno strumento troppo lento. Per “giustificare” la spedizione di un numero c’era bisogno di una certa quantità di materiale significativo, quindi le spedizioni erano rarefatte.
E’ vero, come scrivete sul vostro sito, che avete cancellato tutti gli indirizzi degli abbonati? Un’eresia nell’era del marketing digitale…
E’ vero, erano circa 12.400 iscritti e con un solo click a mezzanotte in punto abbiamo cancellato tutto. Ricominciamo da capo, senza riposare sugli allori di un’attività telematica ultradecennale. Anche dopo l’uscita di Q, quando cambiammo nome (da Luther Blissett a Wu Ming, NdI), le reazioni nell’industria editoriale furono di sbigottimento: “Ma come, faticate anni per imporre un brand e dopo che avete successo lo distruggete?”. Noi non ragioniamo sul breve termine, guardiamo in avanti, tutte le scelte sono strategiche e devono riflettere il nostro ethos. Rinunciamo anche a “grandi” vantaggi immediati ma effimeri, come la notorietà che avremmo andando in tv, pur di non tradire il nostro stile. Questo ci porta a compiere gesti che secondo il metro dominante sembrano azzardati o addirittura incoscienti.
Però mi sembra di notare un corto circuito. Dici che non ragionate sul breve termine, ma in qualche modo lo spostamento verso un blog, integrato ai vari social network, rappresenta anche una transizione verso quella supremazia del presente e della comunicazione istantanea (e meno ragionata) che è sempre più dominante su Internet e, di riflesso, nella società.
I due piani, quello della comunicazione veloce e quello dei progetti a lungo termine, non si escludono. Noi mettiamo in cantiere romanzi che richiedono anni di studio e lavoro, al tempo stesso rispondiamo tutti i giorni a email, tweet, commenti. Alcune risposte richiedono pochi secondi, altre settimane di riflessione. Se c’è una visione strategica, e ancor più un’etica del comunicare, i due piani si integrano. Da alcune discussioni sul forum di Manituana, per esempio, sono nati spunti fecondi per la stesura di Altai.
E’ dunque possibile un’integrazione, più che un conflitto, tra vecchio e nuovo, lentezza e velocità, ordine e disordine? In molti settori – dalla musica all’informazione alla cultura in senso lato – si tende a vedere in modo quasi apocalittico la diffusione impetuosa delle tecnologie e gli effetti che essa sta generando. Voi la guardate con maggiore positività? O trovate forse la positività proprio nel conflitto?
La seconda che hai detto. La rete è un luogo di conflitto e nel conflitto non si può non stare. Vent’anni fa si facevano discorsi deliranti, sulla rete come luogo della libertà e dell’utopia, su Internet come tecnologia liberante. Si faceva un abuso di aggettivi come “orizzontale”, “rizomatico”, “paritario”, “a-gerarchico”. Si era arrivati a descrivere la tecnologia come una forza autonoma. Il fatto è che in rete eravamo pochissimi. C’erano gli smanettoni e i “poeti”, i cyberpunk e i primi attivisti, alcuni professori e qualche artista maudit. Oggi in rete ci sono tutti, o quasi. Solo Facebook in Italia quanti iscritti ha? Undici milioni? La rete oggi corrisponde al paese reale, ci sono gli stessi comportamenti che ci sono fuori, ci sono i gruppi contro Balotelli intitolati “Non esistono negri italiani”. Quindi si sta in rete come si sta in Italia, punto. Si cerca di dare il meglio e trarre il meglio, in condizioni difficoltose. Non esistono tecnologie liberanti, come non sono mai esistite architetture liberanti. Ogni architetto che ha avuto un sogno utopico, legato a edifici che avessero certe caratteristiche, una volta che li ha costruiti ha capito che quelle caratteristiche erano rimaste sulla carta, perché il mondo reale è pieno di contraddizioni e lacerazioni e la gente che abita in quegli edifici ha una vita anche al di fuori di essi. Anche Internet è un’architettura, per quanto all’inizio ben poco programmata. Si sta programmando nel suo farsi, ma non è di per sé liberante. La libertà non si pianifica, la libertà è una pratica, una prassi giorno per giorno. Se in rete ci sono persone più libere di altre è perché praticano la libertà, non perché stanno in rete. Riguardo all’accelerazione, all’impetuoso arrembaggio del nuovo… noi non facciamo l’apologia di questa accelerazione. Non accettiamo tutto. Ad esempio, abbiamo valutato che Facebook è incompatibile con le nostre pratiche e le nostre pratiche sono incompatibili con Facebook. Quindi selezioniamo, decidiamo strategicamente i terreni su cui muoverci: non decidiamo di adottare una novità proprio per il suo essere novità, ma perché sentiamo di poterci fare qualcosa.
L‘“impetuoso arrembaggio del nuovo”, unito alle potenzialità moltiplicatrici del digitale, ha portato non solo a un’accelerazione ma anche a una dilatazione dei contenuti, delle possibilità, delle risorse, dei sentieri che si biforcano… Quanto ha influito nella vostra decisione di cambiare la forma di Giap il desiderio di mettere un po’ d’ordine a questo caos, di razionalizzare la ricchezza e le possibilità del digitale, forse anche di ridisegnare l’architettura e l’identità dei Wu Ming?
Camminiamo come sempre su una fune, con in mano una pertica: stiamo disseminando e “accentrando” allo stesso tempo. Abbiamo account su tre social network, un podcast, un sito statico, e abbiamo avuto più blog e forum aperti simultaneamente. La disseminazione va bene (l’abbiamo definita “impollinazione anemofila”), la dispersione e la dissipazione delle energie no. Per riuscire a disseminare senza sprecare occorre uno strumento che i nostri lettori possano considerare un “perno”. Alcuni possono non provare mai l’esigenza di passarci e dare un’occhiata, perché si trovano a loro agio in un paesaggio di frammenti, e quindi ci seguono via twitter, coi vari feed rss, sono iscritti al podcast. Altri hanno la necessità di partire ogni volta da lì. Ad esempio, se uno si connette solo una volta al giorno o addirittura con frequenza più lasca, per motivi di lavoro o di famiglia, preferirà avere un posto dove andare, un punto di convergenza, e da lì decidere cosa vedere.
Rimanendo in tema tecnologico, ma uscendo parzialmente dalla Rete, cosa ne pensate dell’iPad e di tutta la nuova generazione di strumenti che cercano di spostare la lettura dalla carta al bit. Credete che da questa possibile migrazione, al di là delle ragioni industriali/commerciali, possa nascere anche una nuova forma di creatività?
Delle applicazioni per iPad ispirate al mondo dei nostri romanzi? E’ possibile, perché no? Non so se l’iPad sarà lo strumento definitivo. Pochi mesi fa sembrava che il Kindle dovesse spazzare via tutto, ogni discorso era kindle-centrico, adesso si dice che l’iPad è un “kindle killer”… Bisogna cercare di leggere le tendenze senza l’affanno della cronaca e del marketing, altrimenti siamo fregati e anche le sfide interessanti diventano scenari angoscianti. Ma se la domanda era più generale, cioè cosa pensiamo degli ebook reader e dei tablet, la risposta è: stiamo osservando, studiando, cerchiamo punti deboli e linee di frattura. Questi strumenti si presentano come chiusi, impermeabili al reverse engineering, ma come tutti i dispositivi contengono più linee e una di queste porta fuori dal dispositivo: si tratta di capire quale. Stiamo cercando di capire quali usi non previsti dai programmatori siano possibili. Nei giorni scorsi si è parlato di “colla vs. viti”: l’iPad è tenuto insieme dalla colla, non è smontabile. In senso stretto, forse. In senso lato, tutto è smontabile.
In questi mesi è in corso una partita ad altissimo livello politico che ha come tema il copyright. I grandi gruppi editoriali e dell’intrattenimento sono riusciti a far passare la legge Hadopi in Francia e il Digital Economy Bill in UK e stanno lavorando dietro le quinte dei negoziati sul trattato internazionale ACTA. Tutti provvedimenti che si muovono in direzione di un rafforzamento/ampliamento del copyright tradizionale. Voi avete sempre mantenuto una condotta decisamente alternativa, a cominciare dalla decisione di offrire i download gratuiti dei vostri libri su Internet. Quale potrebbe essere un’impostazione corretta/funzionale/etica del copyright nel terzo millennio? Esisterà un vincitore o, anche su questo tema, saremo costretti a un continuo conflitto tra le varie posizioni?
Per ora, sarebbe un passo avanti qualunque formulazione che tenga assieme la necessità di un compenso per il lavoro svolto e quella di tenere la cultura aperta e accessibile. Ma c’è un problema: troppo spesso si tende ad affrontare questa tematica solo da un punto di vista giuridico, legalistico, tutto fatto di leggi, licenze, codicilli. Invece è un problema di rapporti di forza. La disputa sul copyright, finché rimane lontana dalla stragrande maggioranza delle persone, non troverà mai risoluzione, e ogni passo avanti sarà seguito da tre passi indietro, che a loro volta saranno invalidati da pratiche reali. Oggi tutti – ma proprio tutti – violano il copyright. Chi mette sul proprio blog un’immagine trovata su Google, novantanove volte su cento lo fa infischiandosene di chi abbia i diritti. Anzi, non si può nemmeno dire che se ne infischi: non vede il problema. C’è una pratica di appropriazione diffusa, ma “bruta” e poco consapevole. Sull’altro lato, invece, ci sono minoranze “illuminate” e iper-consapevoli che sanno discernere in un ginepraio di implicazioni tecniche e legali e sanno dirti tutto della proprietà intellettuale e della sua storia. Sono quelle che si lamentano con te quando scrivi “Linux” invece che “GNU-Linux”. Ecco, tra queste due realtà la comunicazione mi sembra quasi inesistente. Invece, solo da un incontro e da un’ibridazione dei due approcci per produrne uno nuovo può partire la corsa verso una via d’uscita dal problema. Il discorso su copyleft, Creative Commons e no-copyright tende a rinchiudersi in un ghetto di “buoni” oppure a prodursi in smargiassate divertenti ma poco sensibilizzanti, come le risposte che davano quelli di The Pirate Bay alle ingiunzioni delle major. Non ho una linea da proporre, mi sembra solo che questi siano i due corni del dilemma. Perciò non possiamo sperare che il conflitto produca una qualche sintesi. Questa tematica è troppo importante e cruciale, in questa fase del capitalismo, per potere sperare in una qualche “ricomposizione” armoniosa. Il conflitto durerà finché i rapporti di forza saranno questi e le major e le multinazionali si troveranno di fronte una compresenza senza alleanza tra riappropriatori “bruti” e minoranze illuminate autoreferenziali.
Dalla vostra esperienza personale, vi siete fatti un’idea degli effetti che i download degli ebook hanno avuto sulle vendite e più in generale sull’immagine stessa di Wu Ming?
Q è disponibile online da dieci anni e viene scaricato migliaia di volte all’anno. Al contempo, continua a essere ristampato. Se non sbaglio, ha avuto oltre quindici edizioni e nel 2009 ha venduto molto più di tanti titoli nuovi e strombazzati, quindi direi che il download non ha danneggiato la performance in libreria. La libera circolazione dei nostri libri è un segnale forte, che viene apprezzato. Per ricompensarci di questa politica di apertura, molti comprano i libri o ci sostengono in altri modi: la settimana scorsa una persona ci ha mandato 50 euro via Paypal, dopo avere scaricato gratis qualche pdf. Di questi tempi, con questi chiari di luna, è un gesto quasi commovente.
Bè, panta rei, direi come prima cosa.
La parola scritta.
Il discorso in effetti è articolato e molto vasto. Però, sarò egoista, ma non mi sento proprio di rammaricarmi dell’evanescenza del prodotto culturale (soprattutto di alcuni …). Nel senso che tendo a misurare l’utilità di una particolare tecnologia sulla mia piccola misura umana e sulle sue necessità. Certo un ebook (o un file html) non ha la consistenza e la persistenza di un papiro però mi permette di leggere immediatamente il testo che mi hai appena linkato e le idee circolano rapide. Oppure di portarmi dietro una biblioteca in tasca, ma non voglio indugiare su argomenti che so che avete chiari come il sole.
In generale tendo a preferire di gran lunga il dinamismo rispetto alla conservazione. Quest’ultima, di primo acchitto, lo vedo come problema da affrontare a livello macroscopico, di civiltà tout court.
E ho comunque fiducia (più che nella tecnologia) nell’intelligenza dell’uomo di oggi e soprattutto in quello di domani che sarà tanto più evoluto quante più cose riuscirò ad elaborare io qui ed ora. Ma per farlo ho bisogno di “attrezzi duttili e rapidi”, soprattutto mentali.
Per il resto ripeto, non ne ho fatto un discorso rivolto particolarmente a voi Wu Ming che sotto certi aspetti siete stati e siete dei pionieri sull’argomento. Non vi nascondo infatti che un po’ mi ha perplesso la tiepidità con la quale (mi sembra di capire, ma magari sbaglio) vi state approcciando a queste nuove possibilità (Kindle e compagnia) che personalmente trovo molto promettenti e in un respiro relativamente rapido. E, è pur vero, che la carta è insostituibile: nessuno mi vieterà di acquistare un libro tradizionale qualora lo ritenessi opportuno, ma senza sprechi.
Insomma io credo che se domani o dopodomani avrò la possibilità di raggiungere un testo qualsiasi con un paio di click e con una spesa irrisoria potendo contare virtualmente su tutta la produzione intellettuale che esiste, bè insomma, direi che non sarà malaccio. Un po’ di entusiasmo ci può stare :-)
Senz’altro :-) Già adesso uno può rendersi conto quanto e in che misura la rete abbia permesso di accedere a uno scibile senza precedenti. Io che uso molto lo strumento podcast, e lo uso più per ascoltare parole che per ascoltare musica (quest’ultima la ascolto al computer mentre scrivo, le parole invece nel lettore mp3 mentre cammino), posso tenere una dieta quotidiana di lezioni registrate a Yale (lezioni? Interi corsi!) o in qualunque altra università, conferenze al MIT o in un sacco di altri posti, trasmissioni radio da diversi paesi del mondo, e tutto ciò era inimmaginabile anche solo dieci anni fa.
Sull’essere “tiepidi”: a livello personale direi di no, anzi, io ho comprato un Sony Reader PRS-505 già nella primavera del 2008 (oggi è già obsoleto), e fin da allora ne ho fatto un uso incostante ma non trascurabile. Come gruppo, invece, tieni conto che ogni volta che c’è stata un’innovazione tecnica significativa noi ci abbiamo messo un po’ prima di farne un uso pubblico, non siamo mai stati esattamente degli early adopters (ripeto: a livello personale sì ma non come progetto). Aspettiamo sempre che si definiscano meglio gli standard, che emergano dei comportamenti da cui possiamo trarre ispirazione etc. E’ successo con i podcast, con le piattaforme per blog (la prima release di WordPress è del 2003, noi abbiamo cominciato a lavorarci nel 2008!)… Di solito ci viene riconosciuto di essere abbastanza innovativi nell’uso sociale che facciamo di una tecnologia già affermata, piuttosto che precursori nell’adozione…
Per chi legge: un po’ di disorientamento è normale, dato che questo scambio con Sir Robin è cominciato in un altro thread, dove però era un poco OT e si è deciso di proseguirlo qui :-) Cliccando sulla frase “panta rei” nella prima riga del suo commento, si può leggere l’inizio della conversazione.
Parlando di libri.
Per esempio personalmente tendo ad essere molto scettico sull’iPad in quanto “revolution”. Sbandierato come ebook reader, non lo è perché retroilluminato, ma in definitiva riconosco che potrebbe aiutare a scardinare diverse porte che al momento sono ermeticamente chiuse a doppia mandata. Lo “hype” potrebbe avere, più o meno suo malgrado, il benefico effetto collaterale di incentivare la messa in rete di interi cataloghi da parte delle maggiori case editrici del nostro bel paese. Finchè questo non succede non ha molto senso sperare in una diffusione massificata del lettore elettronico per il semplice motivo che c’è poco da leggere e quel poco che c’è è adatto sì e no per un reader: senza snocciolare troppi aspetti tecnici, un pdf è poco adatto perché troppo rigido (non si può controllare la grandezza del carattere, per dire), quindi in senso stretto non è un ebook. Cioè: è fondamentale una buona usabilità perché possa attecchire, cosa che anche questa, adesso, non c’è o ce n’è pochissima.
Quindi diventa difficile anche azzardare previsioni perché di fattori da considerare ce ne sono troppi. Però d’altra parte bisogna riconoscere che gli assi nella manica di questa tecnologia sono allettanti, dalla distribuzione immediata e senza costi, alla pervasivita capillare (basta un pc collegato), nessuna spesa per la carta …
Se fossi il nostro premier fornirei tutte le scuole di ogni ordine e grado di questi aggeggi, così raccontare “una storia italiana” (o come diavolo si chiamava) sarebbe più facile.
Anche l’argomento: però in Italia, tanto, non si legge non mi trova d’accordo. Non si legge perché leggere costa caro, imho.
“Di solito ci viene riconosciuto di essere abbastanza innovativi nell’uso sociale che facciamo di una tecnologia già affermata, piuttosto che precursori nell’adozione…”
Fondamentale. Grazie.
Paola
@ Sir Robin,
eh, magari in Italia non si leggesse solo perché leggere costa caro. Basterebbe far sapere in giro che esistono le biblioteche e voila! Invece le biblioteche, pur essendo gratis, sono quasi tutte deserte o semi-deserte. E anche le librerie dell’usato attirano più o meno la stessa gente che va nelle librerie normali. Purtroppo il problema è molto più a monte: famiglie dove non entra mai un libro; scuole che rendono noiosa e sgradevole l’attività di leggere e inibiscono il rapporto con i libri; pregiudizio anti-culturale che parte dall’infanzia (bullismo non necessariamente fisico contro i “secchioni”, i “quattrocchi”); una classe politica che si fa vanto del disprezzo per la cultura e dei libri, che lo ostenta, che lo trasforma in punto di forza, e poi produce gente come Renzo Bossi… E poi chi una cultura se l’è fatta viene spesso trattato di merda, come i ricercatori universitari soffocati da burocrazia e nepotismo, costretti ad andarsene all’estero oppure spenti in ogni loro ambizione, quindi la morale che se ne potrebbe trarre è: “Guarda mio cugino, ha studiato tanto, ha letto tanti libri, ed è uno sfigato!” Allora meglio fare la fila per il provino di “Amici”.
Il risultato è che siamo, senza mezzi termini, un paese di analfabeti. C’è chi stupidamente dà la colpa ai videogame o che altro, ma figurarsi, quelli casomai fanno lavorare le sinapsi (non tutti, ma molti sì), e se ne fa uso massiccio anche in paesi di lettori forti (e i due modi di passare il tempo non sono affatto mutualmente esclusivi). No, la colpa non è di una tecnologia né di alcun medium “sostitutivo”, e il problema non è direttamente cognitivo. Il problema è etico, perché viene incoraggiata e promossa una degenerazione etica (apologia dell’ignoranza, disprezzo per la cultura, per l’apertura mentale, per l’idea di migliorarsi), a cui, certo, ne segue anche una cognitiva.
Bè, effettivamente con Renzo Bossi … Mi viene difficile ribattere.
Però non si può negare che i libri costano. Pagarli pochissimo certo non farebbe nessun danno.
Poi, sì, sono d’accordo. Bisognerebbe mettere in campo delle strategie incentivanti non solo comunicative che (parlo di quelle che hanno il marchio del ministero) sono dei palliativi vergognosi. Credo che però ci sia più di qualcuno (nei piani alti) a cui lo status così com’è vada benone, anzi inizierebbe a preoccuparsi se la tendenza dovesse invertirsi. Però, parlando di analfabetismo di ritorno, la mia opinione è che per la parola scritta internet stia rendendo un buon servizio fosse anche solo per poter accedere a fb. Una volta che hai un pc questo rimane una finestra di accesso privilegiata per la fruizione di contenuti altri. Anche qui, lo “hype” potrebbe avere effetti collaterali positivi. Poi, così a occhio, lo scenario apocalittico dipinto da De Mauro mi convince poco, viviamo in una società difficile e competitiva, come si fa semplicemente a campare essendo privi di strumenti basilari come la lettura e la scrittura? Credo che la metta giù un po’ troppo pesante, poi, certo, lo scenario non credo sia rose e fiori. Ma anche il più bullo dei bulli dentro di se sa che se vuole migliorarsi legalmente la prima cosa che dovrebbe fare sarebbe mettere il naso dentro a un libro.
L’esempio che fai tu dei videogames, secondo me, è indicativo perché testimonia di una fame narrativa che viene placata con un medium parecchio vivace ma che comunque per stare in piedi dignitosamente ha bisogno di una intelaiatura cognitiva all’altezza e di una qualche velleità estetica: è una “storia” anche quella (non parlo di pac-man, ma per esempio Lara Croft) su questo credo di aver sentito delle parole interessanti da Evangelisti. Si possono raggiungere elevati livelli di complessità della trama. Oppure ci si rivolge alle fiction televisive o al cinema. Insomma le storie servono a vivere di più, non lo devo certo dire a voi.
E poi anche la biblioteca: io, per dire, non ci vado perché poi il libro lo devo restituire, non posso riandarlo a cercare per rileggere un passo che magari mi salta in mente a distanza di anni.
Dunque, a mio avviso, la lettura di libri potrebbe godere di una salute buona (non dico di più) se questi libri si lasciassero leggere senza tante storie, una buona volta.
“come si fa semplicemente a campare essendo privi di strumenti basilari come la lettura e la scrittura?”
Beh, i risultati elettorali e i servizi sul processo a Wanna Marchi e sua figlia li hai visti anche tu! :-)
Comunque, in linea di massima sono d’accordo con i tuoi assunti.
fondamentalmente mi trovo d’accordo con quanto detto. tuttavia mi lascia qualche dubbio il passaggio di Robin sui bulli e i libri.
da settembre sto parecchie ore a settimana in una prima media in cui, ad inizio anno, nessuno ha indicato l’italiano tra le materie preferite (cosa che già di per sé mi lasciò basito). nel corso dei mesi abbiamo constatato come la maggior parte della classe (e delle classi) faccia molta fatica a comprendere o scrivere un testo anche molto semplice od a comporre una filastrocca. spesso molti di questi ragazzi non mancano di slanci creativi e di curiosità, ma, come campi poco curati, fanno molta fatica a germogliare e a svilupparsi. spesso mancano gli stimoli. non solo a casa.
fortunatamente non mancano neanche le belle sorperese, quando si trovano i canali giusti a risvegliare con potenza un interesse.
il discorso è vasto, tocca diversi aspetti sociali e forse è un po’ OT rispetto al post.
riguardo ai nuovi mezzi… le possibilità d’uso e gli effetti cognitivi sono infiniti, nel bene o nel male. personalmente soffro un po’a pensare a lettura di libri su schermi ed e-book, ma forse è solo feticismo ;-) anche perchè ci sono risvolti molto interessanti, come quelli che avevate postato in passato (http://bit.ly/dgl98s)
Sì, quell’articolo del Guardian lo abbiamo segnalato su Twitter proprio perché (al di là del product placement pro-Apple) è interessante l’implicazione.
Riguardo a quello che dicevo sul podcast, ho pensato di fare qualche esempio. Qui:
http://www.openculture.com/freeonlinecourses
ci sono le registrazioni di oltre 250 corsi di università come Yale, Stanford, Berkeley, UCLA, Johns Hopkins, Columbia…
Tutto gratis. Fior di docenti. Storia, filosofia, psicologia, letteratura, scienza… Io da Bologna posso scegliere tra questo ben di Dio e ascoltarmelo passeggiando, mentre vado alla stazione, mentre aspetto il treno… Quando mai è stata possibile una cosa del genere?
Ed è solo una delle tantissime risorse di questo tipo che offre la rete, perché ormai quello del podcast e delle audioteche digitali è un universo vastissimo. Ci sono tutti i corsi di Foucault al Collège de France:
http://michel-foucault-archives.org/spip.php?article290
Ci sono seminari di ogni tipo, che assecondano ogni sorta di perversione intellettuale! Una cosa che faccio ultimamente è estrarre le tracce audio dai video degli incontri che si tengono qui:
http://bidieffe.net/
(seminario permanente “Bateson Deleuze Foucault”)
per ascoltarmele nel lettore mp3.
E un altro sito incredibile, che frequento da anni, è:
http://www.ubu.com/
E questi sono solo i miei gusti. Chiunque può trovare di tutto.
Ci sono ancora, incredibile a dirsi, intellettuali che snobbano la rete. Così si precludono l’accesso allo scibile che la più estesa comunità di pensiero di ogni tempo (e ci sono anche i morti, vivi nelle loro voci) trasmette su una colossale meta-radio il cui palinsesto è infinitamente personalizzabile, e che possiamo sentire quando vogliamo.
@sir robin e wu ming 1
“come si fa semplicemente a campare essendo privi di strumenti basilari come la lettura e la scrittura?”
C’è di più e (forse) di peggio. Seguendo per lavoro le attività di Nati Per Leggere (www.natiperleggere.it) ho appreso una cosa interessante e a suo modo drammatica.
In Italia ci sarebbero 25 milioni di “illetterati funzionali”. Gente che, tecnicamente, sa leggere, ma che poi, quando ha finito, non ha capito quello che c’è scritto.
La cosa mi ha particolarmente colpito. Il nostro cervello acquisisce le informazioni, ma sono inutili. Tonnellate di grafemi (e relativi fonemi) da buttare.
A me è capitato, preparando esami, di leggere a vuoto, ma sapevo benissimo che la ragione era la mia distrazione generale, l’interesse per la compagna di studi nella sala al 36, il disinteresse per la materia, le preoccupazioni e i pensieri altri.
Ma in questo caso si tratta di gente che sistematicamente non capisce. Perchè non conosce il significato delle parole, o perchè non capisce come fanno a stare insieme.
A cosa è dovuto questo fenomeno? Non si sa. Forse ad una perdita della pratica della lettura e della scrittura, a favore della fruizione di altri media e di altre forme.
A me ‘sta cosa mi inquieta.
@cristianfabbi:
“A cosa è dovuto questo fenomeno? Non si sa. Forse ad una perdita della pratica della lettura e della scrittura, a favore della fruizione di altri media e di altre forme.”
No, non sono per niente d’accordo. Io a questa cosa dell’analfabetismo di ritorno non ho mai creduto.
Ho avuto la conferma qualche anno fa, quando ho deciso di fare il servizio civile volontario in un paesino in Sicilia (sono siciliano, ma da anni lavoravo e vivevo a Pisa, frequentando solo lettori accaniti).
Ho scoperto un mondo fatto di gente (e parlo soprattutto di neo diplomati, con alle spalle tredici anni di scuola) che, come dici tu, se legge un foglio non capisce cosa c’è scritto.
Mi ha colpito molto una persona, che semplicemente non conosce i prefissi e i suffissi, per cui, che so, sa cos’è un certificato ma non capisce certificazione, conosce la parola imputato ma non imputazione, imputabile, imputabilità.
(La stessa persona non sapeva come mai nel ’42 non si sono disputati i mondiali di calcio…)
Non si perde la capacità di leggere; più drammaticamente, milioni di persone entrano a scuola e ne escono tredici e più anni dopo senza aver imparato.
@ Wu Ming 1
In effetti quanto riporti è molto bello. Ma è interessante anche il tono che hai usato per descriverlo. Sarà buffo, ma la prima immagine che mi è saltata in mente è stata quella scena della versione filmica del “Nome della rosa” in cui Guglielmo da Baskerville e Adso entrano nella biblioteca del monastero e il composto e razionale frate investigatore si comporta come un bambino in un negozio di caramelle:
– Guarda Adso!! Qui c’è la versione del Beato di Liebana con le note di Umberto da Bologna!! E quest’altro! Qui c’è un codice miniato da Nicola da Cesena …
O qualcosa del genere.
E lì si trattava di un tempio della saggezza dove si annidava il dubbio che è nemico della fede.
A tutto ciò si aggiunge un cortocircuito: la stessa scena è stato facile rivederla qui
http://www.youtube.com/watch?v=laqMJ4c3bK0&feature=related
Forse infrangendo qualche legge di mercato?
@ Sir Robin
sì, mi identifico molto in Guglielmo quando entra nella biblioteca. Riprendo però il discorso che ti facevo nell’altro thread (e, prendendola da un altro versante, nell’intervista qui sopra): bisogna mantenere un nocciolo di scetticismo e pessimismo dentro la dolce polpa del tecno-entusiasmo. La rete non è una tecnologia liberante: la rete è il mondo. E dentro il mondo esistono pratiche di liberazione. Secondo me questa dell’accesso allo scibile in forma di podcast è una possibile pratica di liberazione. Dopodiché, io vedo la brutta china della rimozione del pericolo: i tecno-entusiasti scevri di pessimismi tendono a non vedere che la smaterializzazione completa della cultura potrebbe avere ripercussioni gravi; e tendono anche a ignorare che la rete ha un enorme impatto ecologico/energivoro, server sempre più potenti consumano sempre più energia, la circolazione e lo stoccaggio di sempre più dati comporta problemi seri. Detto questo, nel mondo e nella rete bisogna starci, con una tensione a trovare le buone pratiche.
Sempre a proposito del precedente scambio Wu Ming 1-Sir Robin, penso che si possa campare bene anche senza strumenti basilari: come 50 anni fa (anzi, di più) c’è chi ti risolve problemi tecnici e legali, chi ti fornisce conoscenze di seconda mano, chi pensa per te. Come si è sempre fatto in passato! Poi, per vivere in una società servono anche dei modelli, quelli pure ci sono, non c’è il vuoto. Basta rifarsi ai modelli precedenti, vecchi, superati, ma pur sempre modelli. Poi, non sono sicura, ma temo che certi gap tecnologici dopo un po’ non li puoi più colmare data la velocità di evoluzione dei mezzi.
Parafrasando De Mauro potremmo essere di ritorno ad una ‘aristocrazia’ intellettuale tecnologicamente avanzata che trae linfa da una base analfabeta! :-)
@ Wu Ming 1
Sono d’accordo. Ma cosa posso farci? Sono sensibile al problema e ne riconosco l’assoluta validità, ma più di questo… Perché intanto le cose vanno avanti e i tempi cambiano e sta a noi (provare a) rendere un futuro migliore. Ma è anche vero però che, ad esempio, posso aver iniziato un percorso di coscienza rispetto a questa contraddizione attraverso un medium che consuma energia e smaterializza il lavoro intellettuale, dunque adesso non sono più quello che ero fino a ieri. Questo è molto importante e lo ritengo un fattore da non mettere in secondo piano. Magari da queste suggestioni nasceranno delle conseguenze che porteranno alla risoluzione del problema, o almeno potrebbe invertire la brutta china della rimozione del pericolo. So che stai facendo un discorso più speculativo, però più di tanto non riesco a seguirti, magari potresti indicarmi qualche lettura che mi aiuti ad inquadrare meglio la questione.
@ Sir Robin,
ma l’hai inquadrata benissimo! Quando dici:
“posso aver iniziato un percorso di coscienza rispetto a questa contraddizione attraverso un medium che consuma energia e smaterializza il lavoro intellettuale, dunque adesso non sono più quello che ero fino a ieri.”
Questo è stare dentro la contraddizione. Non è questo approccio che considero problematico, ma quello dei tecnofili acritici, di quelli che credono che la tecnologia sia una forza autonoma e che la rete sia liberante di per sé. Alla fine, questo non è altro che un discorso liberista: la “mano invisibile” della comunicazione libera che preme etc. Non a caso le radici ideologiche di Wired (per fare un esempio) sono ultraliberiste.
Però se mi parli di “Wired” mi viene in mente Luca De Biase il cui blog seguo da qualche mese con il più vivo interesse (probabilmente già lo conoscete). I suoi assunti mi trovano spesso d’accordo e grazie alle sue parole penso di aver dato una collocazione più organica ad alcuni elementi che, pur navigando in rete da anni, mi sono accorto di aver dato per scontati. Non so se lo definirei un tecnomaniaco però è sicuramente una persona, intanto che scrive su Wired, e che è estremamente convinto e coinvolto nelle opportunità nuove che sta dando la rete, anche a livello di approfondimento teorico.
C’è un corposo articolo che riguarda la “strategia della disattenzione” che ho trovato molto bello, per dire.
Dice: “Google va tenuta d’occhio, per esempio.”
http://blog.debiase.com/2010/04/zambardino-preferisce-il-confl.html
Con questo non è mia intenzione difendere Wired. Solo credo che sia più costruttivo avere la possibilità di abbeverarsi da fonti diverse e numerose per trarne conclusioni e per costruirsi un’impalcatura identitaria di pensiero personale con la quale affrontare le contraddizioni e i problemi della vita. Non credo sia una questione di lana caprina, perchè, per dire, coinvolge anche l’autorevolezza di un pensiero: è più o meno fondato un asserto che trovo scritto su un blog qualsiasi piuttosto che sul sito (a caso) del Corriere della Sera? Dipende da cosa c’è scritto, in tutti e due i casi. Non dico che sia semplice. Ma, ecco, io in questo trovo che ci sia molta ricchezza.
Mi riferivo al Wired (e dintorni) originale, quello americano, alle radici ideologiche e all’attitudine liberista/freak dei suoi editorialisti di punta e collaboratori principali. Si parte dai “ruggenti” primi anni ’90. Un pensiero che ha avuto una valenza propulsiva innegabile, ma che aveva molte pecche, che oggi si vedono tutte. Mooolto americano, “Nuova nuova frontiera”, viva il mercato, the future looks bright, lo sviluppo risolve da solo i suoi problemi purché si eliminino lacci e lacciuoli, la rete è rivoluzionaria, J.P. Barlow è il Thomas Jefferson di Internet, viva l’individuo, Adam Smith lives again, andiamo anche con la destra se modernizza, bersi una birra con Newt Gingrich.
[…] ressegat. Apofitant el tren de tres hores i mitja cap a València m’he llegit quatre dels cinc últims articles del blog. Un és una entrevista de Luca Castelli a Wu Ming 1 pel diari italià La […]
A me sembra che gli e-book siano ancora lontani dal proporre un’esperienza di lettura “potenziata” rispetto alla carta, un’esperienza per la quale sarei disposto a pagare.
Per ora i vantaggi si limitano alla comodità del supporto e dell’archiviazione, ma il testo col quale si interagisce, nella stragrande maggioranza dei casi, non è molto meglio di un semplice PDF ottenuto con una scansione OCR.
I software di lettura non permettono di fare copia/incolla, e a volte anche solo ingrandire i caratteri dà problemi di margini, spazi e capoversi.
Il collegamento testo/web è inesistente, mentre un buon e-book dovrebbe permettere di navigare ogni parola, anche quelle che l’autore non ha impostato come link specifici a video, suoni, immagini, ologrammi.
Mancano del tutto gli strumenti 2.0: non posso condividere una frase, mandarla per e-mail o con Twitter in modo immediato. Non posso condividere le mie annotazioni (e in generale è ancora molto più semplice farle su carta). Pensate cosa vorrebbe dire se io potessi acquistare un e-book e accedere anche alle note altrui, come accade per le info inserite dagli utenti su GoogleEarth. Magari dal blog di Zizek potrei scaricarmi le sue annotazioni personali ai Seminari di Lacan o a uno qualunque degli ultimi libri che si è letto.
Per ora si è ragionato molto sull’aspetto del testo. Ora bisogna cominciare a interrogarsi di più sul rapporto con esso.
Da queste parti stanno cercando di farlo:
http://www.futureofthebook.org/
@ Wu Ming 2
Va bene, ma è un cammino. L’ipertesto potrà certamente essere uno dei punti di arrivo più auspicabili. Per adesso, personalmente, sarei felicissimo di poter fruire anche solo semplicemente del testo. E pagare per poterlo fare. Già in questo approccio potrebbero esserci una quantità enorme di vantaggi per tutti, per chi legge e per chi scrive. Ciò che rende diverso un ebook reader da un pc (portatile o meno) con uno schermo normale è, banalmente, solo il fatto che viene utilizzata una tecnologia che non prevede la retroilluminazione dello schermo. Il che rende non dannosa per gli occhi la lettura durevole, persistente e “fissa” propria della fruizione di un testo lungo come un libro. Senza soffrire. Non fissare una lampadina accesa (più o meno), tutto qui. Per quanto ne so è una tecnologia molto giovane che, per adesso, può contare su possibilità molto limitate: i lettori in commercio sono molto costosi per ciò che offrono (credo fino a 16 tonalità di grigio) in termini di performance. So che è alle porte l’implementazione del colore, una conquista in più per questa nuova tecnologia.
Per un testo navigabile (nei termini che indichi) su un supporto di questo genere credo sia ancora molto presto. Ma, detto questo, secondo me si tratta di un tipo di lettura diversa di secondo livello, ulteriore: l’approfondimento, i rimandi, i commenti. L’allargamento dell’orizzonte avviene in seguito all’assunzione dell’orizzonte. Oppure semplicemente quell’orizzonte non mi interessa: avrei pagato un “più” per un approfondimento di cui non sento la necessità, per qualsiasi motivo.
Invece, ciò che credo “illuminante” sarebbero parole confortevoli e molto economiche su un supporto agile e capiente. That’s it.
Due inizi di sviluppo:
Il libro per bambini:
http://www.youtube.com/watch?v=gew68Qj5kxw
Il libro di divulgazione scientifica:
http://www.youtube.com/watch?v=nHiEqf5wb3g
Siamo a un mese dall’arrivo dell’iPad, e già ci sono due tipologie di e-book che, almeno per certi aspetti, possiamo reputare migliori delle controparti cartacee. Un buon inizio!
Grazie, Guido, molto interessante. Più The Elements che Alice, devo dire. Quest’ultimo forse indica una via ma, di per sé, mi sembra solo gimmickry (cioè: un insieme di “trovate” ed espedienti).
Io mi pongo dal punto di vista di chi, ogni sera, legge storie illustrate alla sua bimba: il libro per bambini/ragazzini è già “open”, transmediale e chi più ne ha più ne metta. C’è una, ehm, “macchina desiderante” composta dal supporto cartaceo (parole + immagini), dall’immaginazione del bimbo, dalla voce del genitore, dai corpi di bimbo e genitore che interagiscono tra loro, dalle ombre che la lampada proietta sul muro… Un ebook come quello che si vede nel video è un progresso significativo rispetto a questo? Andando nella direzione del videogame (altro linguaggio, altra fruizione) e *mostrando più di quel che fa immaginare*, non finirà per espropriare flussi di immaginazione tanto al bimbo quanto al genitore?
Detto questo: io sono un partigiano dell’e-ink, perché non stanca gli occhi, perché consuma di meno etc. Ma ora che ho visto questi video, credo di poter constatare che il futuro, proprio come il passato e il presente, sarà retroilluminato. Quindi, ancora per un po’ di tempo, stancherà gli occhi e consumerà di più.
Hai ragione, certi aspetti del libro d’infanzia sembrano insostituibili. Sono convinto che l’iPad (assieme a tutti i tablet suoi fratelli a venire) non ucciderà i libri per bambini; ma magari ucciderà quelli fatti male. Per raccogliere la sfida dell’iPad, bisognerà puntare sulla sensazione tattile che darà la carta, sul profumo delle pagine, su dimensioni inusuali, sullo sfruttamento della risoluzione ancora molto più alta rispetto al mondo digitale. È una dialettica che fa solo bene. La radio è migliorata dopo la televisione, i cavalli sono in media trattati meglio dopo l’automobile, e così via.
Mmmh. Non so: a me Alice sembra più un buffo gingillo, mentre The Elements in fondo è molto più simile a un sito che non a un libro.
Trovo più affascinanti certi esperimenti di libri con realtà aumentata (augmented reality books):
http://www.youtube.com/watch?v=1RuZY1NfJ3k
http://www.youtube.com/watch?v=HZlK3d9Knt0
http://www.youtube.com/watch?v=iT2ek8N0VlY
E’ un ulteriore campo di sperimentazione, qui rimaniamo molto più vicini all’oggetto-libro. I “3-D mixed reality books” mi sembrano i figli tecnologicamente avanzati dei vecchi “pop-up” o libri animati (o ancora “libri in rilievo”), da sempre usati anche a scopo educativo e didattico.
“Andando nella direzione del videogame (altro linguaggio, altra fruizione) e *mostrando più di quel che fa immaginare*, non finirà per espropriare flussi di immaginazione tanto al bimbo quanto al genitore?”
E’ una bella domanda, che chiama in causa una questione che potremmo definire “ontologica” (don’t shoot me for that). Cosa caratterizza l’e-book in quanto e-book? Soltanto la scrittura, la parola scritta, come accade per il libro tradizionale, cartaceo (al limite la scrittura e le immagini, ma sempre prese in una relazione che le tratta come oggetti separati). Oppure dovremmo considerare l’e-book alla stregua di ogni testo elettronico, e quindi come un’immagine (costrutto sintetico che riunisce elementi visivi, scritturali e sonori)?
La tendenza (almeno negli esempi riportati) mi sembra che sia sbilanciata verso la seconda opzione. La domanda che emerge da questa veloce considerazione suona più o meno così: è veramente legittimo considerare l’e-book come una sorta di pronipote del libro? Oppure bisogna pensare all’e-book come un nuovo linguaggio e quindi come un campo di sperimentazione teorico-artistico del tutto nuovo?
Posta in questi termini la questione esorbita dal dibattito: l’e-book (o internet/i new media/gli old media) ucciderà il libro, la lettura, l’immaginazione, come si sente spesso dire. Credo che, finché non interverranno questioni di ordine sistemico (ad esempio l’impossibilità di produrre cellulosa) il libro continuerà ad esistere. La sfida dell’e-book sarà quella di trovare il proprio linguaggio e di ritagliarsi uno spazio di pubblico.
Faccio l’insegnante alle elementari. Credo che i bambini che vedo tutti i giorni a scuola si divertirebbero a rigirare tra le mani la storia di Alice versione iPad. Non so dire con certezza se l’entusiasmo della novità potrebbe tradursi in vero interesse per la storia. Magari i bambini stranieri, con le animazioni, sarebbero facilitati nella comprensione del testo, purché, sia ben chiaro, un adulto capace di leggere in modo lento ed espressivo fosse lì insieme a loro. A scuola, un iPad e un libro da scaricare potrebbero servire a una maestra. Non credo invece che sarebbe un gran regalo da fare a un bambino. Come oggetto regalato, a mio parere, non ha in sé un grande potenziale. Una volta abbattuti i prezzi, potrebbe diventare un semplice gadget estraneo alla lettura, come le scarpe con le suole a luminosità intermittente, il camper della Barbie, il telefonino, una console per i videogiochi ecc.
Mi viene da dire che gli effetti speciali di una lettura animata, forse, non hanno molto da offrire sotto il profilo cognitivo. Nei bambini il gusto per una storia si costruisce attraverso la relazione con l’adulto. La capacità cognitiva si sviluppa nella relazione e insieme all’affettività, dico cose note. Solo così, storia dopo storia, il piacere per la lettura può affermarsi, dilagare in profondità fino a diventare potente strumento di conoscenza. Non credo che un bambino messo lì da solo con il suo iPad avrebbe una speciale opportunità di apprendimento, almeno non del tipo legato alla lettura. Forse andrebbe catalogato tra i giochi interattivi.
A prescindere dal caso di Alice, riscontro un problema di lessico: se definiamo “e-book” quasi ogni documento testuale digitale, non finiamo per gettare nello stesso insieme cose troppo diverse, dal pdf scaricato qui o là, al nuovo romanzo che scarichi da Amazon direttamente sul Kindle, fino ad applicazioni per tablet o telefonini che somigliano di più a iper-evoluti giochi Nintendo?
Che qualunque file sia un “libro elettronico” (e-book) è vero in senso lato, come è vero che sono “libri” (books) anche i registri contabili o gli elenchi del telefono. Un libro, rimanendo terra-terra, è un “insieme di fogli che contengono un testo stampato o manoscritto, rilegati e provvisti di copertina” (definizione 1 dello Zingarelli).
Però la nostra idea di “libro” arricchisce e precisa questa descrizione: per noi “libro” è un testo (inteso come insieme organizzato di segni, possono anche essere immagini) stampato, rilegato e pubblicato, caratterizzato da una certa autonomia e auto-conclusività, da un certo “primato”. Al di là della qualità del contenuto, un libro è un testo che acquisisce uno status autonomo, che “merita” di stagliarsi da uno sfondo di produzione testuale.
Esempio e controesempio:
– esistono tante riviste in formato-libro, ma un numero di rivista non lo percepiamo come libro autonomo: magari lo abbiamo appena letto dalla prima all’ultima pagina, ma se qualcuno ci chiede: “Qual è l’ultimo libro che hai letto?”, non risponderemo: “L’ultimo numero di Allegoria“, ma andremo a ripescare il romanzo o il saggio letto subito prima.
– Invece, un vecchio “Millelire” di Stampa Alternativa ha il formato di un fascicoletto, eppure lo viviamo come un libro. Quando ne terminiamo la lettura, abbiamo il senso di “compiutezza” tipico di quando si finisce un libro.
Almeno, così funziona per me: da anni segno su un taccuino il titolo di ogni libro di cui termino la lettura, e mi sono reso conto di aver adottato fin dall’inizio questo criterio. Mi è venuto spontaneo.
Ecco, se noi abbiamo questa forma mentis, allora da un e-book ci attendiamo che, alla base, conservi il principio di cui sopra. Cioè che sia isolabile da un contesto, che abbia dei bordi, dei confini. Dopodiché, può scavalcarli quando vuole, in seconda battuta può essere spalancato, innervato di link etc. Ma in prima battuta, deve avere un certo “status”, un certo primato su altri testi anche disponibili nel medesimo formato e per il medesimo supporto. Sul kindle e/o sull’iPad posso caricare e leggere tante tipologie di testi, ma sono tutti e-book? Facile rispondere di no.
Più difficoltoso l’approccio inverso, cioè rispondere alla domanda: che cos’è un e-book?
Infatti l’approccio “ontologico” non paga. Meglio vedere cosa, di volta in volta, venga definito “e-book”, e studiare come funziona. D’intuito, mi verrebbe da definire questo Alice non un libro, ma un adattamento del libro a un altro medium/linguaggio (ancora indefinibile), come avviene coi film, i fumetti, il teatro etc.
Prima o poi, in qualunque discussione sul libro digitale, salta fuori l’argomento-Fedro, ovvero il timore che una nuova tecnologia possa uccidere alcune buone caratteristiche della vecchia.
Il dio Theuth inventa la scrittura e il faraone Thamus la rifiuta in quanto nemica della vera conoscenza, che si trasmetterebbe solo a voce, nel rapporto maestro-allievo.
Gutenberg inventa la stampa e molti umanisti del suo tempo dichiarano che la diffusione dei libri ucciderà la memoria, lo studio e il gusto per la ricerca.
La Warner Bros manda nelle sale il primo film sonoro e molti critici la accusano di aver ucciso il cinema, perché gli attori possono parlare.
Questo per dire che né Alice né The Elements mi sembrano libri, eppure non credo che *libro digitale per bambini* significhi per forza *perdita della relazione con l’adulto*. Spesso prendo i miei figli sulle ginocchia e navighiamo siti didattici, giochi, video su youtube… In qualche modo anche il gusto per il digitale si costruisce attraverso la relazione. Se un libro sta sull’iPad non vuol dire che è fatto per essere utilizzato da un bimbo *in solitudine*.
Poi ci sono tecnologie nuove che soppiantano le vecchie *solo in certe situazioni*. Ad esempio: i miei figli, quando siamo in casa, non mettono mai nello stereo un audiolibro. Preferiscono chiedere: “mi leggi una storia?”. Ma in auto si siedono e chiedono: “Metti le storie?” (ovvero le vecchie “Fiabe sonore” della Fabbri in formato mp3). Mia figlia adesso sa leggere e ogni tanto si mette lì da sola col suo libro e “si ascolta”. Più spesso mi chiede di leggere per lei. Tra qualche anno non lo farà più, ma non credo che per questo la lettura avrà ucciso le nostre “relazioni libresche”. Magari comincerà a parlarmi dei libri che ha letto…
A proposito di relazioni generate da un testo, il progetto Text 2.0 esplora la possibilità di costruire libri digitali che “reagiscono” alla lettura grazie ad un software di tracciamento oculare:
http://www.youtube.com/watch?v=8QocWsWd7fc
Forse rischia di uccidere il libero arbitrio ;-), ma come tecnologia (per ora molto costosa), sembra lo stesso interessante…
La fruizione in solitudine non dipende dall’oggetto in sé, ma dalla situazione in famiglia. Se in una famiglia si delega ai media il ruolo di baby-sitter, ogni innovazione rafforzerà questa tendenza, purtroppo diffusissima (e chi è senza peccato scagli la prima pietra).
Se invece se ne fa anche un uso accompagnato e il più possibile comunitario, la storia cambia, anche se…
…va tenuto conto che vi sono strumenti espressamente pensati per una fruizione individuale. Gli schermi piccoli mal si prestano alla visione comune. Già mostrare ad altre persone un MMS che hai ricevuto sul telefonino implica passare l’aggeggio di mano in mano, perché per vederlo bene bisogna guardarlo uno alla volta.
E’ vero che tramite l’aggeggio puoi essere in contatto con tantissime persone lontane, anzi, in fondo esistono per questo. E’ il contatto con chi ti è accanto a soffrirne, in un curioso rovesciamento: oggi diamo la precedenza a chi non c’è e facciamo attendere chi c’è. Pensateci: quante volte interrompiamo una cena o una chiacchierata e ci allontaniamo (a volte nemmeno) per rispondere al cellulare, anche se quello che deve dirci chi telefona è meno importante o interessante della situazione che interrompiamo?
[In ogni caso, i medici sconsigliano di regalare cellulari, smartphone et similia agli under 12, in base a un principio di precauzione, le radiazioni etc. Questo dovrebbe tagliare la testa al toro.]
Il discorso su YouTube e bambini mi interessa molto. Con mia figlia lo uso tantissimo. Ieri le ho mostrato la gag di Jerry Lewis che usa una macchina da scrivere inesistente, poi ho capito che le sfuggiva il punto, pensava che J.L. stesse fingendo di suonare uno strumento, e allora le ho spiegato cos’erano le macchine da scrivere, sempre su YouTube ho trovato video di macchine da scrivere, le ho detto che da ragazzo ne avevo una anch’io etc. Spesso quando le nomino un animale, poi glielo mostro su YouTube. Mi ha chiesto che verso fa la lince, lo abbiamo trovato su YouTube (per chi non lo sapesse: pur essendo un felino, la lince… abbaia!) E poi ovviamente la musica: “Papà, mi fai vedere quelli che spaccano le chitarre?” (gli Who)
Però ho anche sperimentato il potenziale intossicante di YouTube. I video corti sono come le ciliegie, e sono facili da scegliere, non è necessario saper leggere e scrivere. Se non si sta attenti e presenti il bimbo entra in uno stato febbricitante, quasi di trance, e poi schiodarlo dal computer diventa difficilissimo, e traumatico. E’ necessario negoziare: un ultimo video poi facciamo il puzzle; non ne guardi più di cinque, etc.
Oltre al fatto che ogni volta che il bimbo vede il computer acceso, anche se un genitore ci sta lavorando, pretende di usarlo lui e andare su YouTube. Con conseguente giramento di balle etc. :-))))
@ Wu Ming 2
Io continuo a pensare che si tratti proprio di un’altra cosa. Ma certo con questo non voglio dire che sia una direzione sbagliata da prendere, tutt’altro.
Provo a spiegarmi meglio scomodando nientemeno che l’ Italo Calvino di “Lezioni Americane”:
“[…] quale sarà il futuro dell’immaginazione individuale in quella che si usa chiamare la « civiltà dell’immagine » ? Il potere di evocare immagini in assenza continuerà a svilupparsi in una umanità sempre più inondata dal diluvio delle immagini prefabbricate ?”
Ecco, *Evocare immagini in assenza* trovo che sia una bellissima espressione.
Ben vengano dunque nuovi linguaggi, nuove possibilità di relazionarsi con il testo e di potervi interagire, immagini in movimento, 3D e quant’altro.
Ma è un altro campo da gioco rispetto alla semplice parola scritta, indipendentemente dalla superficie sulla quale la troviamo.
Per rispondere a flaviopintarelli : non vedo una contraddizione nella coesistenza di una medesima “forma” sulla carta o sull’e-paper. Anzi, potrebbe essere tutta salute. Non per forza un testo elettronico “deve” essere ipertesto per possedere una sua identità giustificata.
@ Sir Robin,
penso anch’io che la questione rimanga quella riassunta da Calvino: “Evocare immagini in assenza” [= in assenza delle immagini stesse] è una traduzione della parola “immaginazione”, ed è quel che ci rende umani, è buona parte dell’attività cerebrale che chiamiamo “pensiero” (noi pensiamo per metafore, ormai è accertato). Mantenere vive le tecniche e le arti che assecondano questa attività, mantenerle vive in sempre nuovi contesti e con nuovi strumenti a disposizione, è la sfida. Innovare salvaguardando. Siccome la realtà ha smentito la sentenza “video killed the radio stars”, penso che la sfida non debba spaventarci.
@Sir Robin: non è tanto una contraddizione quella che volevo sottolineare, forse mi sono spiegato male. Dal mio punto di vista è immagine ogni costrutto che viene proiettato o ricostruito digitalmente su di uno schermo. Anche un testo elettronico, specialmente un testo elettronico. Perciò, sempre a mio parere, la capacità di “evocare immagini in assenza”, che è propria della scrittura, rimarrà appannaggio della scrittura (in soldoni, non ci sarà nessun “omicidio” del libro).
Il testo elettronico, invece, dovrà trovare la sua strada e le sue proprie forme di espressione, tenendo conto del suo essere costitutivamente immagine.
@ sir robin: anche io penso sia un’altra cosa e non credo che l’e-book “solo testuale” sia in competizione darwiniana con l’e-book “ipertestuale” per colonizzare una nicchia ecologica.
Tuttavia, se un testo digitale ha l’aspetto e le potenzialità di un libro scansionato e trasformato in PDF, pur con tutti i vantaggi del supporto e della memoria, sarà molto difficile convincermi a pagarlo.
Certi cinema di Bologna proiettano in tempo reale, a pagamento, opere liriche che si tengono in altre città. Mia madre ci va volentieri, io no. Se vado al cinema voglio un film, non una cosa che nasce per essere altro e mi viene riproposta tal quale su uno schermo gigante.
Per questo, tanto come utente che come autore, sono interessato agli e-book in quanto strumenti per costruire nuovi rapporti col testo.
Rispetto all’evocare immagini in assenza, proprio perché il nostro pensiero è sempre metaforico, io non credo che la presenza dell’immagine uccida l’immaginazione. Un’immagine presente è comunque un punto di partenza per una catena semiotica, fatta di immagini immaginate, proprio in quanto assenti.
La fantasia non è un gioco a somma zero.
A me pare che oggi sia ancora presto per dire che cosa sia un e-book, visto che i lettori apposit sono in commercio sono ancora troppo recenti, poco diffusi e probabilmente “primitivi” (mi vien da dire che sono come i walkman rispetto agli i-pod). Vi segnalo un articolo interessante a questo proposito (http://craigmod.com/journal/ipad_and_books/), nel quale l’autore fa una distinzione fra formless content (ad esempio la gran parte dei romanzi, che hanno con la pagina un rapporto di sostanziale indifferenza) e definite content (cioè libri che usano la pagina come una tela, comei i libri illustrati, o certe sperimentazioni di Munari e mille altri).
Da lettore l’e-book mi sembra possa essere una piattaforma per sperimentare forme diverse di comunicazione, sia dal punto di vista della multimedialità (riprendendo magari certe sperimentazioni già tentate sulla rete ma che non hanno avuto molta diffusione – principalmente a causa della fatica nel leggere su monitor) sia da quello della socialità (penso alla condivisione dei commenti o delle note a un testo, o ancora alla possibilità di immaginare testi aperti che crescono nel tempo attraverso l’interazione fra autori e lettori, e via immaginando). E mi viene da pensare che più ciò accadrà meno sarà possibile che l’e-book uccida il libro così come lo conosciamo oggi. Magari potrà fare un po’ di selezione darwiniana, soprattutto per quanto riguarda quelle parti del mondo editoriale che campano molto (troppo) di rendita: l’editoria scolastica e universitaria, gli editori a pagamento, etc.
Scusate i refusi nel post qui sopra, alla seconda riga dovrebbe leggersi “i lettori in commercio sono …”.
Vorrei aggiungere che uno dei campi in cui gli e-reader potranno/potrebbero aprire a sperimentazioni più interessanti è quello della saggistica. Faccio l’esempio del mio campo di lavoro, le politiche territoriali: poter far interagire in maniera più aperta mappe, testo, tabelle, riferimenti “altri” (al cinema, alla letteratura, ad altre scienze e via dicendo) permetterebbe di costruire descrizioni più spesse e significanti del territorio, in definitiva di capirlo meglio. E ancora, l’e-book potrebbe permettere di costruire testi (o iper-testi) aperti all’interazione con l’esterno, non solo con la stretta cerchia della comunità scientifica. Se scrivo una cazzata, o ancora se una condizione di cui parlo è nel frattempo cambiata, la correzione o l’aggiornamento possono avvenire senza bisogno di ristampe, errata corrige e cose del genere.
Certamente per fare ciò bisognerebbe smetterla di pensare all’e-book come la trasposizione elettronica dei testi cartacei.
@Paolo Z. articolo molto interessante. Mi trova molto in sintonia con le conclusioni dell’autore e con le tue ossrvazioni.
Questa è la migliore discussione su e-book e dintorni che io abbia letto nell’ultimo anno, almeno nella rete italiana :-)
Segnalo che su Craigmod c’è anche un articolo intitolato “Embracing the Digital Book” in cui si giudica dannosa, “indolente” (lazy) e “kitsch” la scelta di iBooks (l’e-reader dell’iPad) di riproporre in metafora elementi della lettura su carta. “In metafora” come quando chiamiamo “scrivania” la schermata generale dell’interfaccia grafica del computer, con tanto di “cestino”, “faldoni” (folders) etc. In quel caso è una metafora utile, che serve a orientarsi. Nel caso di iBooks, secondo Craig Mod, questa cosa si traduce in uno “scimmiottamento” che ostacola la vera innovazione. O almeno così l’ho capita…
Mi rendo conto che il discorso è complicato e, credo, che parte delle incomprensioni possano venire ingenerate dall’ambiguità sottesa all’uso del termine “ebook”: può plausibilmente essere definito ebook un testo scansionato in pdf come pure un oggetto narrativo “vivace” come l’Alice sull’iPad. Probabilmente per questo seconda famiglia sarebbe più appropriato inventare un neologismo adatto, se già non c’è (davvero non lo so) tipo hyper-book o qualcosa del tipo … Non ne sono spaventato, tutt’altro. E’ che sto cercando di farmi delle domande. Mi scuserete (spero) se proverò a sottilizzare. Per esempio sono convinto anche io che, di per se, la presenza di un’immagine non uccida l’immaginazione, ma certo, più sottilmente, la indirizza. Questo è bene o è male? Non lo so, credo che la risposta più adatta sia: dipende dalle intenzioni. Queste nuovissime tecnologie (per esempio la tracciabilità oculare) possono contare su una “potenza di fuoco” davvero enorme, non credo equiparabile ad un disegno o ad una fotografia su un qualsiasi libro o su un qualsiasi giornale. L’attenzione diventa merce sempre più rara e qui torna Calvino. Ma, ecco, è una domanda.
@ Wu Ming 2
L’esempio che citi della proiezione delle opere liriche al cinema penso sia perfetto: è una possibilità in più. E’ una scelta che si aggiunge, pur con tutti i suoi limiti. Per vedere (semplicemente) un opera posso non dover fare tot chilometri, per dire. E’ giusto pagare per potersi vedere su uno schermo cinematografico un’opera lirica? Certo, nella misura in cui c’è un’utenza che è disposta a farlo, per qualsiasi motivo. Allo stesso modo per quanto concerne gli ebook testuali, è una possibilità che si aggiunge: semplice trasposizione elettronica di un testo cartaceo. Cosa che di per se credo contenga grosse potenzialità, naturalmente non nella invenzione di nuovi meta-linguaggi ma nella distribuzione, nella reperibilità, nel costo etc… della parola scritta.
Io la vedo in modo leggermente diverso, forse più superficiale, essendo meno ferrato sull’argomento e-book di tanti, e quindi è probabile che mi perda completamente certe potenzialità del mezzo e-book.
Premessa: io voglio la versione cartacea. I libri di svago o di lavoro o li compro o li prendo in libreria o in prestito. Gli articoli scientifici li leggo velocemente sul computer, se vedo che uno mi interessa stampo (per non stampare a caso e sprecare carta). Esempio: ho un po’ di libri di Wu Ming in pdf, ma non riesco a mettermi a leggerli. Dove lo faccio!? Sul computer che ho davanti agli occhi tutto il giorno? Sull’ipod touch?!
Il desiderio della versione cartacea ha, nel mio caso, cause molteplici. Mi piace l’oggetto tangibile. E’ comodo da trasportare: un (solo uno però) libro entra in tasca, sta in mano. Ci posso scrivere sopra, prendere appunti (fondamentale al lavoro). E’ un mondo a sé stante: non ho bisogno di cavi o batterie per farlo andare. A volte al lavoro voglio staccare gli occhi dal monitor fantastico del macbook pro: mi giro con il mio articolo in mano.
Tuttavia:
– su un lettore e-book ci posso far stare tutti i libri che voglio, e con 300 g ho tutto;
– leggendo su un e-book risparmierei molta carta;
– è generalmente portatile quindi mi permette di staccarmi dal computer, poiché è un oggetto vicino come forma ed ingombro ad un libro.
D’altra parte, perdo la possibilità di prendere appunti. Amen, e comunque sono sicuro che qualche modalità per inserire note sia possibile. Inoltre il mio e-book non è un mondo a sè stante! Se leggo per svago non evado, rimango collegato al mondo (con un iPad..), mi distraggo. Ho bisogno di batterie, cavi, access points.
Soprattutto, però, io voglio leggere, voglio frasi, lettere, qualche figura in libri scientifici, figure 2D in proiezione ortogonale o assonometrica. Non voglio ruotare niente (App sugli elementi..). Per assurdo, voglio la carta scansionata e convertita in pdf. E magari voglio anche un oggetto il più possibile a sé stante.
Però, secondo me, tutto ciò non tira. O meglio, forse non tira più, forse non fa guadagnare tanto. Ci vogliono cose “nuove”, luccicanti, impressionanti, “wow!”, che giustifichino il processore super veloce del gingillo di turno, lo schermo a 1 miliardo di colori, una campagna di marketing che propone l’oggetto come magic. I libri veri sono magici per molti versi e per qualcuno, ma è magia già vista. Ci vuole magia nuova, che faccia uscire soldi nuovi. Mettiamo che voglia il libro di Alice: o lo compro in versione cartacea, o in versione digitale. I soldi vanno o da una parta o dall’altra. Se però mi creano una versione di Alice con un sacco di cose in più, beh, magari sperano che i soldi vadano da entrambe le parti. Tutto ciò non mi piace!
Sicuramente ci sono motivazioni pedagogiche e di nuove possibilità che si apriranno con gli e-book linkati sopra (elementi ed Alice), ma io mi chiedo: possibile che non si riescano a fare le cose facili? Possibile che si debba sempre esagerare? Possibile che non si riesca semplicemente a farsi bastare una versione elettronica di un libro? Possibile che il mercato ora produca schermi touch fighissimi e processori portatili velocissimi e che quindi io mi debba adattare comprando un Alice.app?!
Queste applicazioni (non chiamiamole libri, sono software) che ho visto mi ricordano tanto quelle enciclopedie che andavano negli anni 90, tipo Encarta. Ci potevi fare un sacco di cose, tanti colori, tanti video, tante cose da ruotare anche lì. Scomparse: è arrivata Wikipedia con la sua semplicità e Wikipedia ora basta pur essendo composta “solo” da testo, immagini 2D e fotografie principalmente (più link esterni, che personalmente uso poco però).
Me li vedo i ragazzi del liceo, tutti con il loro iPad in mano a girare gli elementi, quando un professore con un computer collegato ad internet più un proiettore, riuscirebbe a fare la stessa cosa tutti insieme, e non ognuno per conto suo.
Io credo sarei a posto con un Kindle in bianco e nero.
Se dovessi comprare un iPad certamente non sarà per leggere, magari lo farei per la produzione musicale.
Mi rendo conto che nomino spesso iPad, mentre la discussione è sugli e-book. Però, applicazioni tipo Alice ed elementi sono per iPad, e prima di iPad non esistevano. Kindle è per me un qualsiasi e-book e-ink, altri non ne conosco.
Scusate la lungaggine! Spero di essermi fatto capire. :)
@ iamathias, per semplificare credo si possa dire che se l’e-book è per l’appunto una semplice trasposizione su formato elettronico di una cosa che conosciamo già (il libro stampato su carta), con l’aggiunta di qualche effetto speciale, allora forse non ha nemmeno molto senso parlarle, se non per fare considerazioni sulla comodità maggiore o minore dei vari lettori.
Una cosa diversa, e per me più interessante, è provare a ragionare su quali possibilità apra, per chi scrive e per chi legge, la diffusione di dispositivi di lettura multimediali. Al momento vedo tre questioni principali:
1) si possono immaginare contenuti specifici per questi dispositivi, che non siano né semplici libri, né ipertesti, né trasposizioni di siti web? A me pare di sì, sia per contenuti scientifici che per narrazioni, anche se forse bisognerà aspettare ancora del tempo per capire quale sarà il denominatore comune di tutti questi aggeggi (ad esempio, l’iPad sarà il punto di partenza per un nuovo standard o si rivelerà un oggetto buono per una sola stagione?)
2) se e quando si diffonderanno a sufficienza i dispositivi di lettura, sarà possibile mettere in pratica forme di condivisione dei testi, specialmente quelli di tipo scientifico? E su questa strada quali sperimentazioni si potrebbero fare, magari partendo dagli esempi virtuosi (wikipedia, in parte imdb o amg e un sacco di altre esperienze) o meno (encarta e altre cose simili) del web?
3) sempre nell’ipotesi che questi dispositivi si diffondano a sufficienza, quale impatto potrebbero avere sul mondo dell’editoria e sulla vexata quaestio dei diritti d’autore? Sempre rifacendomi al settore dell’editoria scientifica, immagino – anzi, auspico fortemente – che un sacco di quelle case editrici che campano di fatto di finanziamenti pubblici (sotto forma di fondi per la ricerca reinvestiti dalle università in inutili pubblicazioni) saranno spazzate via, a meno che non sappiano farsi veramente imprese culturali.
Il rischio che vedo, nel medio termine, è di avere a che fare con oggetti molto potenti, molto di moda e molto cari (di nuovo il caso iPad) e di usarli solo per fare cazzate, o per fare cose che potevamo già benissimo fare prima – tipo leggere libri.
Siccome ci stiamo lavorando ed è una bella discussione alzo la testa da InDesign e butto giù due righe…
A me interessa soprattutto la *forma* che possono prendere i testi e come molti che si occupano di grafica ed editoria stiamo sperimentando molto varie vie per disegnare libri elettronici.
Va premesso che bisogna distinguere tra il nome generico di tipologia (ebook)
il formato (ePub, html, pdf, etc)
l’applicazione di output (E-book reader, Adobe reader, Stanza, vari browser, etc)
e il device (iPad, Kindle, etc)
Si va dunque dal linguaggio con cui sono scritti i libri, al software che li interpreta e alla forma che prendono alla fine.
Al momento mi pare ci siano 2 strade da seguire per produrre ebook:
_la prima è generare dei files da leggere sulle applicazioni generiche (ebook reader, adobe reader, stanza, etc).
In tal caso la forma del libro dipende molto da questi, con tutti i limiti che ne derivano, vedi ad esempio i limiti tipografici del lettore ebook dell’iPad
http://fontfeed.com/archives/ipad-typography, o il kitsch barocco citato da craigmod,
ma coi vantaggi di un’omogeneità di interfaccia tra i vari libri, uno scaffale unico, ricerca trasversale, etc.
_la seconda è quella di produrre un libro elettronico come un’applicazione vera e propria, potendola arricchire di quegli elementi che la carta non può avere, e potendo anche agire sull’interfaccia, inventandola e facendola diventare parte integrante dei contenuti.
Nel secondo caso, che come produzione assomiglia ad un sito web (e l’applicazione può esser scritta semplicemernte in html5) e come libertà grafica ad un libro cartaceo per bambini, tutte le regole di navigazione, segnalibri, link, carattere, dimensioni e impaginato, sono scelti in base ai contenuti da rappresentare. Ciò ben si presta, a parer mio, a romanzi ‘immersivi’, di lunga durata, in cui il lettore è ben disposto ad assumere dei paradigmi visivi nuovi, e in cui l’autore è coinvolto nella produzione.
Ad esempio sto provando a fare qualche sperimentazione privata con Manituana sulla scorta dei materiali del sito, che con schede dei personaggi, mappe, musiche, apparati iconografici ben si presta a
costruire una lettura ‘arricchita’, con i nomi di luogo e di persona sensibili al click (o al tatto), side stories, commenti (anche di altri, online) e quant’altro si riuscirà ad inventare.
A quel punto la lettura elettronica del libro può essere qualcosa in più; contrariamente rischia di essere una piccola sottrazione di valore ai contenuti (sacrificando gli elementi che li veicolano, carattere tipografico, impaginato, odore), anche se a favore magari di una maggiore diffusione (e risparmio di carta) e interazione.
Si tratta di provare e riprovare, al solito, e impadronirsi delle tecniche…
qualche link per continuare
http://en.wikipedia.org/wiki/Comparison_of_e-book_formats
http://www.enhanced-editions.com/
http://www.fourthstorymedia.com/
http://www.epubbud.com/
http://craigmod.com/journal/ipad_and_books/
http://vimeo.com/8217311
Impunito, stai lavorando su ‘ste cose, per giunta ti gingilli con Manituana, e non ci fai sapere niente?! :-D Dobbiamo per forza alzare un polverone di discussione per snidarti dal laboratorio?
Quale miglior luogo per farvelo sapere che questo blog no? :-)
In effetti volevo aspettare il 457 reply ma non ce l’ho fatta… comunque aspetto di aver fatto qualcosa di decente, prima di farmi snidare.
Comunque dimenticavo di citare tutto il mondo dei digital comics, che spingono molto, e i romanzi tipo Harmony per l’iPhone :-)
Credo che siamo invischiati in una logica e in un’idea di progresso che blocca e limita la messa in discussione e la conseguente analisi delle potenzialità dei nuovi mezzi.
Penso che l’idea di un mezzo che supera l’altro sia un concetto meramente italiano e limitativo.
Il progresso è un concetto a mio avviso autopoietico e che ingloba il passato non superandolo ma sfruttandolo e potenziandone le possibilità.
Non è che l’e-book in quanto testo in quanto mezzo supera, sostituisce, annienta o non so che altro i “vecchi mezzi”.
E anche se fosse: qual è il problema?
Forse quello che c’era prima non è più utile.
Questa idea di preservare un mezzo “puro” e “giusto” è semplicemente inutile sia come idea che come atto.
Qualunque cosa avvenga utilizzerà “la mano invisibile” della nostra capacità di autoregolazione sia nel mercato (qui forse non è così invisibile) sia nel quotidiano.
Oggi sono rimasta sconvolta nel vedere una bimba di 3 anni che sapeva usare l’i-phone della mamma per accedere alla musica che conteneva. La paura del nuovo è qualcosa di assurdo. Si ha paura di ciò che non si conosce ma questo blocca la possibilità di crescita dell’uomo che è l’animale che più è riuscito ad adattarsi ad ogni ambiente. Figuriamoci se non riusciremo ad adattarci al “più virtuale” cioè all’e-mondo! non copiate il neologismo :-))
Aneddoto: prima di andare a letto, con la stanza già buia e il fratellino che inizia a ronfare, mia figlia di sei anni mi chiede sempre di spiegarle qualcosa. Oggi le ho raccontato di questi libri del futuro che si possono leggere su una specie di iPhone e se vuoi puoi cliccare sulla parola “bradipo” e ti appare l’immagine o il video di un bradipo, oppure sulla canzoncina del Pifferaio Magico e subito dalle cuffie esce la canzoncina… Reazione: “Bellissimo, papà. E dopo cosa ci metteranno nelle biblioteche? Tantissimi iPhone?”
@ Poulene,
ho l’impressione che ti raffiguri il progresso (soprattutto quello tecnologico) come “innocente”. Magari! Io sono ritenuto – e in effetti ammetto di essere – un “tecnofilo”, ma cerco di non soccombere al mio entusiasmo per il nuovo. Ho imparato che, nel corso della storia, ogni fede in un progresso lineare e ineluttabile – ogni visione ingenua dell’avanzare della tecnica – si è sempre infranta contro le scogliere di grandi tragedie. Il positivismo del XIX secolo ha in Auschwitz il suo rovescio, ma anche il suo più grande risultato: non si può negare che l’Olocausto sia stato un capolavoro di tecnologia, organizzazione e razionalizzazione. Quindi… una manifestazione di progresso, il progresso di una razionalità strumentale. Queste cose le hanno già dette altri molto meglio di me.
L’innovazione tecnologica non è mai “neutra”, è sempre interna a relazioni di potere, e la storia non procede per linea diritta e accumulo graduale di risultati, verso un futuro che sarà la sintesi di tutto quel che abbiamo fatto di buono. Bisogna lottare, perché le cose vadano per il meglio. Non ci vanno da sole.
A questo proposito: la capacità di autoregolazione del/nel mercato è pura superstizione, perché il mercato bada soltanto ai ritorni visibili a breve, non “ragiona” mai sulla lunga distanza e nell’immediato dà solo risposte stupide e non sistemiche. Un esempio tra i mille disponibili: problema del surriscaldamento estivo delle città; la soluzione del mercato è vendere più condizionatori, che rinfrescano dentro ma gettano fuori aria rovente; conseguente aggravamento del problema; nuova risposta del mercato: vendere ancora più condizionatori! E il problema si ripresenta ogni anno, sempre meno tollerabile, con buona pace della “mano invisibile”.
La tecnologia, anche quella digitale, non è automaticamente liberante, se noi non ci poniamo il problema di come muoverci per essere più liberi. Lascia tutto all’autoregolazione del mercato e avrai solo dispositivi omologanti, una rete a misura dei vampiri delle grandi corporation, un iper-Facebook a n-dimensioni in cui tutti gli atti comunicativi si somigliano.
“Penso che l’idea di un mezzo che supera l’altro sia un concetto meramente italiano e limitativo.”
Potrei anche apprezzare la citazione da Stanis La Rochelle, ma trovo l’asserzione poco fondata. L’idea di un mezzo nuovo che “supera” quelli già esistenti fa parte da sempre delle retoriche che, a qualunque latitudine, accompagnano l’avvento di un nuovo mezzo. C’è tutta un’iperbole del “superamento” che si manifesta nella storia dei media, che troviamo ad esempio in Edison, nei proclami dei futuristi, nel cyber-liberismo alla George Gilder degli anni ’80-’90, e che è connaturata al capitalismo. Il nuovo ha bisogno di un avversario retorico ben individuabile ( = il vecchio), perciò lo pungola, lo stimola, alimenta atteggiamenti reattivi a suon di esagerazioni, cattive retoriche e mitologie roboanti (ma spesso non sono i veri innovatori a ricorrervi, è il codazzo dei cialtroni). Però queste retoriche invecchiano in fretta, quando decadono i feticci. Un’automobile doveva essere ritenuta più bella della Nike di Samotracia, ma oggi quest’esaltazione dell’automobile suona obsoleta, mentre la Nike è ancora lì.
“Questa idea di preservare un mezzo “puro” e “giusto” è semplicemente inutile sia come idea che come atto.”
L’uso di “questa” fa pensare che questa posizione sia stata espressa qui. Non mi risulta. E, sinceramente, mi sembra più vicina all’idea del “puro e giusto” (cioè al feticismo dell’idea e dell’atto) un’apologia acritica dell’innovazione.
Bisogna stare nel divenire in modo critico, cogliendo le occasioni senza farsi abbacinare.
Der kommende gott, lo diceva Hölderlin, il dio venturo che apre la strada al nuovo lo fa sempre guardando all’indietro e nella storia dell’arte i casi che potrebbero venire a confermare questa teoria, per nostra fortuna, sono davvero tanti. Quando nel 1907 Picasso dipinse Les Demoiselles d’Avignon, considerato da molta critica il quadro che aprì la via all’arte moderna, molti lo considerarono immorale e sicuramente non di facile lettura ma il nuovo metodo cubista veniva applicato a forme stilistiche derivanti dall’arte tribale africana. Qualcosa di già visto. La creatività nasce dal confronto, dall’osservazione diretta delle cose che ci sono attorno. L’arte è nata come imitazione della natura, come possibile linguaggio. La scrittura contiene ancora questo segreto antico. La storia dell’arte ce lo insegna.
Per me un libro rimarrà sempre un libro ed un e-book sempre un e-book, due cose simili ma diverse.
A parte riconoscermi fino alle virgole nelle esperienze familiari di WM1 e WM2 (il che non fa una casistica, ma forse qualcosa la fa intravvedere), volevo solo ricordare quanto sosteneva a suo tempo l’ormai impresentabile (perché?) M. McLuhan.
Ossia che un nuovo medium non sostituisce mai il medium o i media che l’hanno preceduto, ma modifica l’intero campo dei media esistenti.
Aggiunge qualche funzionalità al nostro sistema nervoso centrale e ri-funzionalizza tutti gli altri media, tarandoli su questa nuova disponibilità operativa.
Non credo che l’e-book (quale che sia la definizione che ne diamo) possa sostituire il libro cartaceo.
Entrano in gioco qui considerazioni pragmatiche su cui varrebbe la pena di soffermarsi.
Ma le ha già fatte WM1 e a quelle rimando.
Il medium non è neutro e noi viviamo immersi dentro pratiche di potere.
Dal che discende anche una certa preoccupazione a proposito della Rete. Che giustamente non può essere considerata di suo un medium liberante o libertario.
L’anno scorso o due anni fa la CNN propose un sondaggio via internet ai telespettatori statunitensi a proposito della guerra. Il sondaggio diede esiti politicamente imbarazzanti (tipo che l’80% degli intervenuti si dichiarava contrario alla guerra, o alle guerre in generale). Il sondaggio sparì dal sito il giorno dopo (la fonte è un pezzo uscito su megachip.info qualche tempo fa, non l’ho sotto mano, sorry).
Lasciamo stare le considerazioni su questa notizia e le sue connotazioni.
Nell’articolo si esprimeva un avvertimento. Per ora uno degli attori principali nel grande gioco delle pratiche di potere non ha ancora messo le sue mani su internet. Ma forse lo sta facendo adesso o lo farà tra poco.
Ecco perché è sacrosanto il richiamo di WM1 alla “lotta” per la libertà e per le pratiche di emancipazione *dentro* la Rete.
Sono andato del tutto OT?
Boh… Nel caso, chiedo venia.
In culo alla balena, Anonimi!
Oppure si può ribaltare il problema come fanno qui:
http://dvice.com/archives/2010/04/screw-e-books-g.php
Sul bilancio ambientale e-book vs carta.
(Vedi ad esempio http://www.guardian.co.uk/books/booksblog/2010/mar/09/ecological-ebooks)
E’ vero, per fare un ebook reader ci vogliono metalli pesanti e tossici, polimeri, tecnologie altamente sofisticate (e pertanto proprietà di pochissimi soggetti). E diventano rifiuti tossici, una volta arrivati a fine vita.
E’ anche vero che ognuno di noi possiede uno o più gadget elettronici (computer, laptop, cellulare, iPod etc.) e si tratta sostanzialmente – con iPad ad esempio – di incorporare in uno di questi la funzione di lettura di libri.
Inoltre produrre la carta, confezionare e trasportare i libri, mandare al macero i resi e i giornali ha un costo ambientale tutt’altro che trascurabile.
Stampare un giornale che vive poche ore mi sembra un grande spreco.
E poi con gli e-book potenzialmente si supera il problema dei magazzini, del trovare i titoli di nicchia, quelli fuori stampa etc..
Detto questo, io per il momento, nell’attesa che arrivino sul mercato prodotti che superino i limiti degli attuali ebook-readers, non possiedo un ebook reader e (oltre a comprare e prendere in biblioteca libri di carta) compro audiolibri on-line. Formato MP3, me li porto in giro su un minuscolo iPod.
Sulle esperienze di vita famigliare, invece. I miei figli sono ormai grandicelli (10 e 15). Le letture se le scelgono autonomamente, io dò ogni tanto consigli che in genere (con mio grande piacere) vengono ascoltati.
La lettura ad alta voce serale è in parte sostituita dalla visione insieme di filmati YouTube, short films, e anche film mainstream.
Dedico abbastanza tempo alla ricerca (in rete e altrove) di contenuti adatti a loro “young adults”, che magari in parte vedo prima da sola, valuto, traduco, etc.
Ritengo che anche questo faccia parte del mio ruolo di genitore/educatore.
Il parere di Tombolini sull’iPad come lettore di e-book:
http://antoniotombolini.simplicissimus.it/2010/05/ipad-4-ipad-adesso-ce-lho-e-vi-dico-che.html