A Firenze è un “largo”, a Pontassieve una “via”. Largo e Via Bruno Fanciullacci. Due targhe inaugurate di recente (2002 e 2003), tra polemiche politiche e querele incrociate. Fanciullacci fu un partigiano gappista, medaglia d’oro della Resistenza. Alcuni lo ritengono un killer (“l’assassino di Giovanni Gentile”), altri – noi compresi – un eroe. Pochi sinora lo hanno considerato un filosofo. E’ tempo di omaggiarlo in quella veste.
Sì, filosofo. Una nomea da riscattare, dopo anni di utilizzi arrischiati tipo “il filosofo Rocco Buttiglione”, di torpore accademico e convegni trascorsi a spaccare in sedici il pelo trovato nell’uovo. La filosofia, la prassi del filosofare, deve tornare nelle strade, le strade dove stanziava Socrate, dove viveva come un clochard Diogene detto “il Cane”. Non c’è bisogno di imitare quest’ultimo e dormire in una botte: è sufficiente abbattere gli steccati tra quel che si dice e quel che si fa. Vivere eticamente.
Bruno studia da autodidatta, nel fatiscente carcere di Castelfranco Emilia. Mentre sopporta angherie e privazioni e si rovina per sempre la salute, discute di economia, storia e ingiustizie secolari. Tra i detenuti circolano, ben occultati o mandati a memoria, testi di Marx, Engels, Labriola. Sono gli anni dal 1938 al 1942, Bruno è appena un ragazzo, arrestato ancora minorenne per aver distribuito stampa clandestina antifascista. Aveva un buon lavoro in un hotel di Firenze, poteva farsi i cazzi suoi nel comfort della “zona grigia”, e invece ha scelto l’opposizione al regime. Da bambino, nel pistoiese, ha visto le camicie nere angariare suo padre e costringerlo a trasferirsi con tutta la famiglia. L’antifascismo è una scelta di vita.
Gli hanno dato sette anni. Mentre è in prigione scoppia la guerra. Sulla scia di Hitler, il Duce dichiara guerra a mezzo mondo. La catastrofe incombe, le SS dilagano in tutta Europa finché non trovano uno scoglio insuperabile: la resistenza di Stalingrado. Il corpo d’armata tedesco s’impantana e viene annichilito. L’esercito italiano è allo sbando. Parte la controffensiva sovietica e “dentro le prigioni l’aria brucia come se / cantasse il coro dell’Armata Rossa“. Anche a Castelfranco.
Gli scontano la condanna, Bruno torna libero alla fine del ’42, elettrizzato dal vento dell’Est. Sconfiggere tedeschi e fascisti è possibile. Diventa operaio alla FIAT di Firenze, giusto in tempo per i grandi scioperi contro la guerra del marzo 1943.
A luglio cade il fascismo e il Re fa arrestare Mussolini. Ne prende il posto Badoglio, che però annuncia: “La guerra continua”. Velleità stroncata poco dopo: l’8 settembre c’è l’Armistizio. L’Italia si spacca: a sud il governo ufficiale, al centro-nord l’occupazione tedesca e lo stato-fantoccio di Salò. I partigiani si organizzano, comincia la guerriglia.
Tra gli intellettuali che scelgono Salò, il più importante è Giovanni Gentile, fondatore della dottrina filosofica detta “Attualismo”, colonna portante dell’edificio culturale fascista. Super-barone accademico, presidente di tutto il presiedibile, in vent’anni di dittatura Gentile è divenuto potente e ricchissimo. Hitler in persona gli ha conferito l’Ordine dell’Aquila Germanica.
Dopo l’8 Settembre, il filosofo getta il suo peso nella propaganda repubblichina e filo-nazi. Nel dicembre 1943, dietro la cortina fumogena di strumentali appelli alla “concordia possibile” (sotto l’egida di Hitler, ça va sans dire), esorta senza mezzi termini alla lotta contro “sobillatori e traditori, venduti o in buona fede”, chiarendo che bisogna stroncare le “forme delittuose di antifascismo e di irriducibile e di pericolosa opposizione al movimento nazionale”. Aggiunge: “sulla necessità della lotta giusta e necessaria io sono d’accordo con chi non vuole compromessi”.
Il 19 marzo 1944 Gentile incensa il Führer in un discorso all’Accademia d’Italia, dichiara che la Patria è stata “ritrovata attraverso Mussolini e aiutata a rialzarsi dal Condottiero della grande Germania, che quest’Italia aspettava al suo fianco, dove era il suo posto per il suo onore e per il suo destino, accomunata nella battaglia formidabile per la salvezza dell’Europa e della civiltà occidentale” etc. etc.
In questi giorni non si parla a vanvera, la realtà morde il culo e ogni frase è una chiamata alle armi. Gentile fa il naïf, si raccomanda che nella repressione non si commettano “arbitrii” o “sciocchezze”, ma intanto fornisce la giustificazione di un “grande uomo di cultura” a rastrellamenti e deportazioni, alla fucilazione di giovani renitenti alla leva, alla logica che porta all’eccidio delle Ardeatine e a stragi come quelle di Sant’Anna di Stazzema, Padule di Fucecchio, Marzabotto. Dal ’39, del resto, Gentile non ha detto nulla contro leggi razziali e persecuzione degli ebrei.
“Non sono questi i filosofi di cui abbiamo bisogno”, pensa più di un osservatore. Citiamo da una trasmissione di Radio Londra:
“Gentile ha difeso il liberalismo in nome della dialettica; poi ha difeso il terrore fascista in nome della dialettica, e ora difende la tolleranza sempre in nome della dialettica. E’ noto il filosofema del manganello a cui Gentile legò il suo nome [*] quando i manganelli spaccavano il cranio degli operai disarmati e che ha avuto il suo epilogo nelle esecuzioni di Verona. [Ora Gentile] ricorda ai fascisti che non bisogna ricorrere alla violenza e che c’è una solidarietà umana superiore ai conflitti […] la dialettica in mano a Gentile è diventata una ciabatta per qualunque piede, o, come disse Croce, un grimaldello da ladro che apre tutte le porte. Per questo il popolo italiano e in particolare la classe lavoratrice non accettano niente dalla bocca del signor Gentile… Qualunque cosa dicano, questi Pulcinella della filosofia hanno sempre torto”.
Intanto Bruno sta riflettendo: vuole combattere, ma dal carcere è uscito debole e malaticcio, non può salire in montagna, marciare in mezzo a neve e fango, dormire all’addiaccio… Decisione fatidica: resta a Firenze. Diviene uno dei membri più attivi e coraggiosi dei GAP, temuti guerriglieri urbani, specializzati in imboscate e sabotaggi.
Da quel momento, corre a cavallo di un razzo: con altri gappisti travestiti da guardie, fa evadere 17 partigiane dal carcere di Santa Verdiana; penetra nella sede del sindacato fascista e brucia le schede sugli scioperanti dell’anno prima, impedendone la deportazione in Germania; arrestato e torturato dalla famigerata “Banda Carità“, riesce a scappare e torna in azione.
In carcere, anni prima, Antonio Gramsci ha commentato una frase di Gentile: “Filosofia che non si pensa, ma che si fa, e perciò si enuncia ed afferma non con le formule ma con l’azione”. Per Gramsci, è solo “mascheratura” di un opportunismo: l’azione che per Gentile afferma la filosofia è quella del regime fascista, a cui il filosofo delega il “fare”.
Su chi abbia deciso l’agguato esistono varie teorie, delle quali ci frega poco. E’ ancora controverso se sia stato Fanciullacci ad attendere Gentile sotto casa. Ha davvero importanza? Bruno per noi è un filosofo a prescindere. Quella che comunque lo oppone a Gentile è una disputa filosofica, ed è lui a vincerla, perché non delega il “fare” ad altri, non agisce da “governato” bensì da uomo libero, e non in un singolo atto, ma in tutta la sua vita. E’ lui, non il barone che l’ha scritta, a trovare la verità della frase commentata da Gramsci: la filosofia si afferma con l’azione.
I due ragazzi tengono dei libri sottobraccio. Sembrano studenti e, a modo loro, lo sono. L’autore del “Manifesto degli intellettuali fascisti” arriva in auto, scarrozzato dal suo chauffeur. Bruno gli fa un cenno, Gentile abbassa il finestrino… E’ il 15 aprile 1944.
Nel fronte antifascista vi sono polemiche, qualcuno prende le distanze (ma dal modus operandi, non dalla condanna morale **) e la controversia proseguirà fino ai giorni nostri.
Bruno, però, non potrà prendervi parte. Il 15 luglio lo arrestano ancora. Di nuovo torturato, per non tradire i suoi compagni tenta una fuga che è anche suicidio: si getta ammanettato da una finestra al primo piano, i suoi aguzzini gli sparano, un colpo alla testa lo uccide. E’ il 17 luglio. A novembre avrebbe compiuto venticinque anni.
Una versione ridotta di questo articolo è apparsa su GQ, maggio 2010.
Per approfondire:
Francesco Mandarano, Dalla parte di Bruno Fanciullacci
(dossier gratuito in pdf, disponibile sul sito dell’ANPI)
* “Ogni forza è morale, perché si rivolge sempre alla volontà: e qualunque sia l’argomento adoperato – dalla predica al manganello – la sua efficacia non può essere altra che quella che sollecita infine interiormente l’uomo e lo persuade a consentire. Quale debba esser poi la natura di questo argomento, se la predica o il manganello, non è materia di discussione astratta. Ogni educatore sa bene che i mezzi di agire sulla volontà debbono variare a seconda dei temperamenti e delle circostanze.” (Discorso pronunciato da Giovanni Gentile a Palermo, 1924)
** Nello stesso articolo (uscito sul n.7 di “La Libertà”) in cui criticava e definiva controproducente l’azione contro Gentile, l’esponente azionista Tristano Codignola si lanciava in una durissima requisitoria contro il filosofo, colpevole di avere “avvallato, con l’autorità della sua solida personalità di uomo e di studioso, la triste collana di violenze, di prevaricazioni, d’inettitudini che recarono la rovina d’Italia”. Codignola attribuiva a Gentile “una parte preponderante nel mercimonio della corruttela delle coscienze d’intere generazioni di giovani”. Dopo il delitto Matteotti, la corrotta coscienza morale e politica di Gentile “divenne essa stessa fomite di corruzione agli altri”. La figura di Gentile era giunta a “simboleggiare nella forma più manifesta e amara la diabolica potenza della tirannia”. Codignola concludeva che Gentile, dopo che aveva deciso di imbrattarsi “nella turpe e sanguinosa farsa” della RSI, “non poteva sfuggire alle sue responsabilità e alle sue colpe”.
A conti fatti, non è precisamente “l’elogio di Gentile” descritto da alcuni revisionisti della domenica. Tanto che il Partito comunista fiorentino rispose: “Se noi non avessimo conosciuto Gentile, vi assicuriamo che sarebbe bastata una lettura del vostro articolo per approvare incondizionatamente l’azione giustiziera dei patrioti fiorentini”.
A noi in questa sede non interessano considerazioni di carattere strategico, tattico, militare. Le nostre considerazioni sono filosofiche: riguardano i rapporti tra pensiero, azione etica e “buona vita”, rapporti da indagare nelle “vite parallele” di Fanciullacci e Gentile.
[…] Il resto della storia lo potete leggere sul blog di Wu Ming […]
Ecco, questo è quello che cercavo.
Inauguro “Scritti Combattenti” con il vostro articolo.
Grazie
http://cosimok.wordpress.com/2010/05/06/per-bruno-fanciullacci/
In serata arriva una notizia divertente, una volta tanto: i pronipotini di Gentile hanno rimediato una figura barbina con la loro “manifrustrazione” romana (pompatissima per settimane ma dall’esito inconsistente). Si veda qui:
http://www.militant-blog.org/?p=2642
[consigliamo di cliccare anche sui link nei commenti, le foto sono documenti IMPIETOSI]
Mentre rimiriamo le immagini della débacle di Casapound [fenomeno molto mediatico e facebook-friendly, very postmodern and paraculo, ma in piazza si va ancora con la carne e le ossa, non con gli avatar], riceviamo una curiosa e-mail:
“Buonasera.
Sto scrivendo un pezzo per [testata di quotidiano nazionale] dove si commenta una lettera inedita di Oriana Fallaci che, in un passo, dice che chi ha assassinato Giovanni Gentile era un imbecille e un irresponsabile. E che se bisognava uccidere Gentile, allora bisognava uccidere anche Croce. Ci pioacerebbe inserire nell’articolo un vostro commento, anche in seguito allo scritto su Fanciullacci che avete scritto. Bastano poche righe. E’ possibiel averlo per domattina?
Grazie
[Nome]”
No, non era possibile. Abbiam lasciato perdere la vecchia egocentrica (si pavoneggia persino nella fossa!), e siamo tornati a guardare le foto.
Beh, la vecchia egocentrica era come un orologio rotto: due volte ogni 24 ore ci prendeva, e quando ha nominato Croce… :-)
Il “filosofema del manganello” è diventato famoso a livello internazionale: uno dei più noti manuali di logica (il Copi-Cohen, tradotto in Italia dal Mulino) lo cita come esempio di fallacia per esemplificare l'”argomento ad baculum” (attribuendolo ai “fascisti italiani”, senza nominare Gentile). Vale però la pena di ricordare che fu proprio la denuncia delle violenze occorse in quella campagna elettorale a costare la vita a Giacomo Matteotti (e a causare la caduta dal pero di Croce, fino a quel momento convinto della bontà una tantum della “sana gragnuola di botte” fascista).
Però non è che la “caduta dal pero” di Gentile abbia avuto chissà quali conseguenze sul suo essere fascista e pilastro del regime. Sul pero ci è risalito subito e ci è rimasto fino alla fine. E’ stato Fanciullacci a tirarlo giù una buona volta :-)
@girolamo, bah sulla “caduta dal pero” di Croce io non ci metterei la mano sul fuoco. É sempre stata una persona schifosa ed un tizio abietto: avendo avuto la sfortuna di studiare con i suoi epigoni e nell’Università che lo ha avuto come Maestro massimo ed immortale, posso assicurarti che era molto più anticomunista che antifascista. Ti dirò, in passi anche maturi della sua opera (l’abietto testo “La mia filosofia”, per esempio, che è della fine degli anni ’40; un testo che già nel titolo contiene due balle colossali: non c’è niente di suo, ma soltanto opinioni qualunquiste, e dunque nulla di filosofico… : ) salta immediatamente agli occhi una veemente, ignorante, bigotta e berlusconica critica al marxismo ed una sostanziale accettazione del fascismo come necessità della storia.
In buona sostanza, se proprio è “caduto dal pero”, Croce è solo sceso di qualche ramo. Era ed è sempre rimasto un pezzo di merda, anche nella vita privata di latifondista abruzzese e strozzino. Così, giusto per fare un po’ di chiarezza.
Ah, ma parlavate della caduta dal pero di Croce! :-) Avevo capito Gentile, perchè dopo la crisi Matteotti fece per non più di qualche minuto la “bella figa” e si dimise da ministro.
Da Gentile e Croce ai nuovi fascismi europei: pubblico una video lettera dell’oppositore turco, AVNI ER, ora nel CARA (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo) di Bari, in attesa della decisione del tribunale di bari che deciderà se concedergli l’asilo politico o farlo rientrare in Turchia dove lo attenderebbero le famigerate camere di tortura per i dissidenti politici.
http://cosimok.wordpress.com/2010/05/09/liberta-per-avni-er/
Insomma, volevano farci commentare a scatola chiusa una lettera della vecchia narcisa, al solito zeppa di pettegolezzi e plateali fesserie, che oggi la destra brandisce come un manganello per l’ennesima offensiva calunniosa contro i GAP e la Resistenza (“Oriana fa a pezzi i partigiani”, titola “Il Giornale”). Grezze iper-semplificazioni, insinuazioni che tanto nessuno si periterà di verificare, pezzi di patetica comicità involontaria come “A me non pare che Gentile fosse fascista”, e il solito odioso argomento – smentito da ogni fatto concreto – su Fanciullacci e compagni come “cacasotto” (un uomo con questa biografia qui!). Poi c’è un’artata rimozione di quello che Tristano Codignola pensava davvero della figura di Gentile, che per fortuna abbiamo a disposizione nero su bianco, scritto di suo pugno e citato anche in calce a questo post.
Puntuale come la morte, ecco il “rimbalzo”, con riabilitazione di Gentile (e per traslazione del fascismo stesso) e soliti tre-quattro pseudo-argomenti, “vigliacchi” etc.
http://www.ilgiornale.it/cultura/la_partigiana_fallaci_fa_pezzi_lantifascismo/benedetto_croce-giovanni_gentile-oriana_fallaci/10-05-2010/articolo-id=444180-page=0-comments=1
Da notare come, nei commenti, ricorrano sempre i soliti trucchetti da due soldi, quelli reiterati da quando è iniziata l’offensiva revisionistica. Uno dei più frequenti è citare l’incipit dell’articolo di Codignola togliendolo dal contesto, rimuovendo tutto ciò che seguiva, cioè il “ritrattino” di Gentile come corruttore e triste simbolo della tirannia.
“Cari Wu Ming,
mi chiamo [nome e cognome] e sono (neo)redattore presso il quotidiano [testata] […] mi piacerebbe sentire anche la vostra opinione dopo il vostro recente intervento su Fanciullacci. Sarebbe interessante costruirci sopra una pagina pro e contro, dal momento che avremo anche interventi di altra natura e visione.
So che non rilasciate interviste al telefono, ma a me andrebbe benissimo anche via mail. L’importante è che le risposte arrivino entro le 19 della giornata di oggi.
Nel caso vi fosse la possibilità, vi prego di rispondere a questa mia mail e io vi inoltrerò a breve le mie domande.
Vi ringrazio per attenzione, buona giornata e a presto,
[Nome e cognome]”
Risposta:
“Cara [nome e cognome],
grazie dell’invito ma quando si parla di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e adesione a totalitarismi assassini riteniamo sbagliato il gioco dei ‘pro’ e dei ‘contro’. Da una parte c’è la resistenza, dall’altra i macellai delle Ardeatine, di Marzabotto etc. Da una parte c’è un combattente per la libertà che salvò dalla deportazione centinaia di persone e che non cedette nemmeno alla tortura, dall’altro un esponente di spicco di un regime-fantoccio messo su da Hitler. Ci dispiace, ma non può essere materia di ‘sondaggio’ e ‘opinionismo’, di fan vs. detrattori.”
tra l’altro da notare anche come, nella penultima parte dello scritto, Veneziani (elogiando la coerenza degli intellettuali italiani in generale) riesce a mettere nella stessa frase Gentile e Gramsci, Marinetti e Giaime Pintor, un sincretismo scellerato come a dire “Non puoi scindere l’uno dall’altro, se ammiri B allora devi ammirare anche A”
scriveva Eco parlando dell’Ur-Fascismo “Nessuna forma di sincretismo può accettare la critica. Lo spirito critico opera distinzioni, e distinguere è un segno di modernità. Nella cultura moderna, la comunità scientifica intende il disaccordo come strumento di avanzamento delle conoscenze. Per l’Ur-Fascismo, il disaccordo è tradimento.”
A proposito di Gentile e di Matteotti. Nel 1925, Gentile inviò una lettera alla Sezione di accusa di Roma in relazione all’assassinio di Matteotti, lettera che si concludeva così: “Usando il pugnale Amerigo Dumini e compagni usavano dunque un argomento filosoficamente lecito di polemica […] Se l’On. Matteotti non voleva morire, non aveva che a consentire, cioè a cedere. Consentire non volle. Morì. Sua colpa e suo danno. Al lume della mia filosofia l’innocenza di Amerigo Dumini e compagni luminosamente rifulge” (stralci di questa lettera sono stati pubblicati su “l’Unità” del 29 maggio 2004, da cui ho citato).
Non vorrei sbagliarmi, ma credo che questi virgolettati non siano di Gentile, bensì di Adriano Tilgher, che fece la parodia del “filosofema del manganello” nel suo sarcastico pamphlet del 1925 Lo spaccio del bestione trionfante: stroncatura di Giovanni Gentile (pubblicato da Gobetti). Il pamphlet non l’ho ancora letto, ma so che in quelle pagine Tilgher, applicando il filosofema al fatto specifico e concreto, ne mostrò le logiche, inequivocabili conseguenze. Se questa citazione viene da lì, si può dire che il contenuto è totalmente in linea col pensiero gentiliano di quegli anni, pur essendo la formulazione volutamente imbarazzante, perché vi si ritrova esplicito ciò che rimaneva in parte implicito. Se ho ragione, e se davvero nel 2004 L’Unità ha attribuito queste frasi direttamente a Gentile, per il giornale si tratta di uno sfondone.
Confermo che nel 2004 “l’Unità” attribuì le frasi direttamente a Gentile. Ho sotto mano la fotocopia dell’articolo _Argomenti filosofici per un delitto_, “l’Unità”, sabato 29 maggio 2004, pagine 1 e 25, che riporta in calce la seguente dicitura: “Questo documento è tratto dal settimanale fascista senese ‘Rinascita’ del 17 settembre 1944, che riporta stralci della lettera indirizzata nel 1925 dal filosofo Giovanni Gentile alla Sezione di accusa di Roma in riferimento all’uccisione di Giacomo Matteotti”.
AAA Cercasi aiuto esperto opere di Gentile et/aut esperto delitto Matteotti con strascichi et addentellati. Astenersi fascisti.
Non sono un esperto, ma da rapida ricerca sul web, sembra che effettivamente la lettera sia di Tilgher. Peraltro, lo riconoscono anche sull’Unità, qui.
E pensare che ho tenuto per sei anni l’articolo de “l’Unità” fra le pagine dell’Introduzione a Gentile edita da Laterza. Ho fatto male a conservare l’articolo, e forse anche il libro. :-(
Vedi il lato negativo del non apparire in pubblico? Non ti sei potuto gustare la faccia della “Cara [nome e cognome]” quando ha letto la risposta!
La lettera è apocrifa, ovvero opera di Tilgher (benemerito studioso di Leopardi e Pirandello, tra gli altri), e durante la repubblica di Salò i fascisti se la bevvero come autentica.
La vicenda è ricostruita in questo pezzo di Umanità Nova:
http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2004/un25/art3339.html
A tagliare la testa al toro credo basti Beniamino Placido:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/11/19/stronchiamo-gentile.html
Il libro di Tilgher è stato rieditato una decina d’anni fa, e risulta ancora in catalogo.
Dimenticavo: se qualcuno vuol parlare male di Croce, con me sfonda una parta aperta. Ho pur detto che su questo sono disposto persino a dar ragione all’Oriana Fallace, o no?
Francesco, ma noi appariamo in pubblico almeno cento volte all’anno :-) Però scegliamo in modo deciso dove non apparire e, soprattutto, a cosa non prendere parte. A una paradossale celebrazione post-mortem della fanatica no, non prendiamo parte.
@girolamo io non ce la faccio più neppure a parlarne male, pensa te :D
Ancora sul flop della manifestazione fascista del 7 maggio. Enigmistica militante:
http://www.militant-blog.org/?p=2665
[…] L’articolo dei Wu Ming su Bruno Fanciullacci potete leggerlo qui: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=439 […]
Ho letto con attenzione i due topic dedicati ai “tirannicidi”.
E mi ha stimolato alcuni pensieri il termine “eroe” che ho visto utilizzato.
Vorrei porre una domanda a WM4, con cui è capitato di discutere dell’argomento “eroe” altrove: ma un tirannicida può essere considerato un eroe? Ovviamente facendo riferimento ad un’epoca come quella contemporanea.
Io non so, ma c’ho una certa rimostranza, non riesco a dichiararmi con tanta facilità.
@ Ekerot: Forse dobbiamo intenderci sul termine “eroe”. Se per eroe intendiamo una persona che attraverso la propria azione assume su di sé un’istanza collettiva e produce un risultato utile alla comunità, allora credo che un tirannicida possa essere definito tale. Tuttavia questo non significa che l’eroe – tirannicida o meno – sia una figura positiva tout court. E’ su questo che condivido la tua perplessità.
Faccio un esempio: il gesto eroico degli etarra che fecero saltare in aria Carrero Blanco ha di fatto privato il franchismo del successore in pectore del dittatore. E’ un gesto che ha prodotto senz’altro un utile collettivo. Sulla base di quel gesto eclatante però è stata poi improntata una filosofia d’azione che ha portato a pensare che l’omicidio politico potesse essere di per sé un modo di agire politicamente efficace. I risultati rovinosi si sono visti nel corso dei decenni seguenti, in cui di volta in volta il “tiranno” è stato identificato con esponenti dell’amministrazione civica, sindacalisti, politici di seconda e terza linea, poliziotti, etc., all’interno di un contesto istituzionale mutato, che con tutti i suoi difetti non poteva più essere definito propriamente tirannico.
Io credo questo: se come diceva il buon vecchio Lanza, non si dà tiranno senza un pubblico che lo contempla, o, come diceva Debord, il tiranno è il fulcro dello spettacolare concentrato, allora il tirannicidio è un gesto spettacolare che muta di segno lo show trasformandolo in una tragedia shakespeariana. Ma è ovviamente un’arma a doppio taglio, perché se viene preso come linea d’azione generale diventa estetica – o addirittura culto – del bel gesto, ovvero azione che si fa contemplare e delega l’azione a pochi “eroi”, invece di chiamare a una lotta articolata comune. Come già gli antichi avevano capito, l’ambiguità della figura eroica è irriducibile e bisogna sempre fare i conti con le contraddizioni che porta con sé.
Personalmente, credo che Fanciullacci sia un eroe per questi motivi:
“con altri gappisti travestiti da guardie, fa evadere 17 partigiane dal carcere di Santa Verdiana; penetra nella sede del sindacato fascista e brucia le schede sugli scioperanti dell’anno prima, impedendone la deportazione in Germania; arrestato e torturato dalla famigerata “Banda Carità“, riesce a scappare e torna in azione.”
“Di nuovo torturato, per non tradire i suoi compagni tenta una fuga che è anche suicidio: si getta ammanettato da una finestra al primo piano, i suoi aguzzini gli sparano, un colpo alla testa lo uccide.”
L’uccisione di Gentile, a dispetto di risonanze e apparenze, è un episodio secondario in questo percorso.
Esattamente. Fanciullacci non era né un esteta del bel gesto né un cultore della bella morte, né uno che cercava il martirio. E’ uno che ha messo in conto di rischiare la vita (e l’ha persa) per la libertà propria e altrui. E’ questo che fa di lui un esempio eroico positivo, molto più che l’atto di giustizia sommaria dal basso messo in pratica contro Gentile. Atto filosoficamente e politicamente dovuto, il degno raccolto di ciò che Gentile aveva seminato per vent’anni, ma infinitamente meno significativo delle altre imprese, meno eclatanti e meno ricordate, che invece sono le vere “gesta eroiche” di Fanciullacci.
Sì, era proprio questo che mi perplimeva.
Il rischio degenerante di un gesto come questo del “tirannicidio”, che è forse eroico, ma non mi suona del tutto positivo (deve essere colpa dell’Orestea!).
Da qualche parte dentro il mio cervello si annida l’idea che vi debba essere una possibile alternativa a questo gesto, più proficua per la comunità.
Come diceva WM1, oggi, basterebbe non votarlo. 70 anni fa, il discorso era diverso, senza dubbio. Ma anche io preferisco ricordare Fanciullacci per aver bruciato le liste degli scioperanti, piuttosto che per aver ucciso Gentile.
[Peraltro su codesti dubbi perplessità e riflessioni per me assai stimolanti, si è espresso uno dei miei autori preferiti, Jurij Trifonov, nel suo forse capolavoro L’impazienza.
Per chi non l’avesse letto, è il resoconto minuzioso ed angosciante dell’attentato allo zar Alessandro II (1881) da parte di un nucleo terroristico capitanato da Andrei Zelyabov.]
“Come diceva WM1, oggi, basterebbe non votarlo”
No, per la precisione: non l’ho scritto io il pezzo su Bresci. E’ stato scritto da WM2 e approvato dal collettivo.
E in ogni caso, quel “basterebbe non votarlo” è chiaramente una battuta, una semplificazione a scopo polemico. Le cose sono molto più complicate di così, e gli umani non agiscono nel modo razionale pensato dagli illuministi. Tante dittature sono iniziate con vittorie elettorali, ma non basta dire: “Era sufficiente che la gente non le votasse!”, perché questa è solo l’altra faccia del discorso secondo cui “chi vince prende tutto”, “il popolo si è già espresso”, “chi ha vinto le elezioni è l’Unto del Signore” etc. Il consenso (anche elettorale) a un regime è basato su rapporti di forza nella società e su una comunicazione che fa leva su pulsioni oscure, feticismi, miti tecnicizzati, frame truffaldini etc. E oggi la faccenda è persino più complessa che ai tempi di Le Bon (Psicologia delle folle, 1895) e Freud (Psicologia delle masse e analisi dell’Io, 1921). Oggi c’è quello che Recalcati ha chiamato un “totalitarismo orizzontale” in cui è “evaporata” la figura del padre. Avremo occasione di parlarne.
Pardòn, ho fatto una crasi tra la frase del topic e il pensiero che avevi postato nel commento.
[…] ai commenti Ieri sera mi è stato segnalato un post del blog degli ormai amatissimi Wu Ming (ringrazio caramente il segnalatore), che riportava nei […]