[Il prossimo 10 giugno, con un concertone a Soweto, si aprono i Mondiali di calcio ospitati dal Sudafrica, una delle nazioni più complicate del Pianeta. Per l’occasione, sulle pagine di GQ, abbiamo dedicato la nostra rubrica “WuMingWood” a un raffronto tra due uomini politici: uno sudafricano, l’altro italiano. Il risultato è nelle righe che seguono. Buona Lettura.]
Eugène Terre’Blanche, fondatore del Movimento di Resistenza Afrikaner (AWB), ricorda molto da vicino due politici italiani. La barba folta, gli occhi a fessura e la stazza sono quelli di Carlo Pedersoli, alias Bud Spencer, che qualche anno fa si presentò alle elezioni con Forza Italia. Altre caratteristiche, invece, lo avvicinano a un nostro deputato del Parlamento Europeo, il cui nome vorrei mantenere segreto, per lasciarvi il piacere di indovinarlo.
Diciamo subito che entrambi hanno un amore inconfessabile per i simboli dell’estrema destra. La bandiera dell’AWB è molto simile a quella del partito di Adolf Hitler. L’unica differenza è che al posto della svastica ci sono tre numeri sette, neri, disposti come le tre gambe della triscele siciliana. Si tratterebbe del numero di Jahveh (777) contrapposto a quello di Satana (666). Il Politico Misterioso, invece, ha un debole per la croce celtica, ma il fascismo non c’entra nulla, sia chiaro: è solo un richiamo alle tradizioni della sua terra (l’antico Piemonte dei Taurini e dei Salassi).
Terre’Blanche ha fondato il suo movimento negli anni Settanta, deluso dall’ammorbidirsi dell’apartheid (Il partito di governo voleva concedere il voto agli indiani e ai sanguemisto). Per darsi alla politica, ha dovuto smettere di fare il poliziotto, senza per questo rinunciare alle uniformi e alle armi da fuoco. Il nostro Mister X, da parte sua, non è mai stato nelle forze dell’ordine, ma il controllo paramilitare del territorio è da sempre la sua passione. In un’intervista ha descritto il tipico militante del suo partito come “un po’ ex-carabiniere, un po’ boscaiolo, un po’ cacciatore, un po’ uomo libero.” Anch’egli ama indossare capi di vestiario ben riconoscibili, ma senza l’eleganza di un Terre’Blanche in tenuta da voortrekker, il pioniere afrikaner di metà Ottocento.
Inutile dire che due soggetti del genere hanno avuto problemi con la giustizia. Il Führer dei boeri – die Leier in lingua afrikaans – si è fatto tre anni di prigione per il tentato omicidio di una guardia di sicurezza e il pestaggio di un benzinaio, entrambi di colore. Altri crimini più gravi e golpisti gli sono stati perdonati dalla Commissione per la Verità e la Riconciliazione, presieduta dall’arcivescovo Desmond Tutu. Mister X non è mai stato ospite delle patrie galere, anche se da viceministro si vantava di non usare l’auto blu, ma un mezzo della Polizia Penitenziaria. Quando il suo partito uscì per la prima volta dal governo, dichiarò entusiasta: “E’ come uscire di prigione”. Nel 2005 è stato condannato a due mesi e venti giorni (poi commutati in una multa) per “concorso nel reato di danneggiamento seguito da incendio”: durante una spedizione anti-droga uno dei suoi volontari fece cadere una torcia accesa, le cui fiamme appiccarono fuoco a un pagliericcio, dove per puro caso dormiva un manovale rumeno.
Dietro le sbarre, Terre’blanche ha trovato solo due detenuti bianchi come lui: tutti gli altri erano neri Xhosa, Bantu e Zulu. Un ottimo stimolo per rinnegare l’odio razziale e abbracciare la fede dei Cristiani Rinati. Così, appena uscito di galera, Eugène ha rilanciato le attività dell’AWB: non più nostalgia per l’apartheid, non più minacce di guerra civile, ma un sano e pulito nazionalismo, con la richiesta di una terra per il popolo afrikaner, oppresso e in via d’estinzione.
Viene da pensare che i nostri due politici si siano incontrati, a mezza strada tra Ventersdorp e Torino. Mister X partecipa spesso e volentieri a convegni e seminari fuori dall’Italia. In un servizio dell’emittente francese Canal+ lo si vede intervenire a un raduno di automisti nizzardi, dove consiglia ai militanti di “entrare nelle piccole amministrazioni, insistere molto sul regionalismo, per non essere etichettati come vecchi fascisti, ma come un nuovo movimento territoriale, e sotto sotto rimanere gli stessi”.
Inutile ricordare che gli Afrikaner non sono affatto un’etnia precisa, come non lo sono i bianchi protestanti del New England, gli argentini con i bisnonni europei, e tanto meno gli elettori di Mister X. Evocare un “popolo oppresso” è solo la prima mossa di un gioco di prestigio: presentare come vittima chi non lo è affatto. Così i discendenti dei coloni olandesi, inventori del termine apartheid, possono accusare i neri di genocidio culturale e invasione, più o meno come Mister X, dalle nostre parti, parla del rischio di cedere all’Islam l’Europa bianca e cristiana.
Per concludere, vorrei aiutare chi non avesse ancora indovinato, segnalando tre importanti differenze tra il Bud Spencer sudafricano e il nostro politico misterioso.
Per prima cosa, va ricordato che l’Afrikaner Weerstandsbeweging non è mai stato al governo e che il suo leier non ha mai rivestito cariche istituzionali. Mister X, al contrario, siede all’europarlamento ed è stato consigliere comunale, deputato, sottosegretario e membro della Commissione per le libertà civili e la giustizia.
Secondo, mentre Mister X fa un uso banale e costante, nei suoi comizi, di insulti razzisti violenti, Mister Terre’Blanche non può permettersi di fare altrettanto: nel dicembre 2009, per aver chiamato “scimmia” un leggendario guerriero Tswana, è stato subito denunciato alla Commissione Sudafricana per i Diritti Umani.
Infine, die Leier è stato ucciso a colpi di machete il 3 aprile scorso, nella sua fattoria, da due braccianti neri, a quanto pare per una disputa sulla paga. Mister X è stato invece aggredito in un paio di occasioni, la seconda in modo grave, ma per fortuna è ancora vivo, in salute e nel pieno esercizio delle sue funzioni: un esempio vivente di quali mostri produca il mix italiano di fascismo, apartheid e tradizioni locali inventate di sana pianta.
Bellissimo :-)
Aggiungerei alle caratteristiche del noster Mister X l’abitudine alla provocazione, per altro condivisa col suo amico Roberto, quello della maglietta delle vignette, che bello bello (è un eufemismo), ha fatto scoppiare tumulti in Libia con tanto di morti (persone umane!), mostrando il suo bel sorriso idiota al TG1. La faccia era quella dello sciocco della compagnia che aveva indovinato la risposta giusta.
Ecco, tornando a Mister X, lo ricordo che sfotteva, a favor di telecamere, due migranti che dormivano in macchina, presentandosi all’alba con cappuccino e brioche e svegliandoli.
Ho ritrovato qui il triste reperto.
http://www.youtube.com/watch?v=-oISPCuUaJI
Questa della provocazione non è una cosa casuale. Al di là del tentativo di far scoppiare il casino, credo faccia parte di una strategia volta a rendere “simpa” certi comportamenti, e di fatto a sdoganarli, a renderli… possibili.
Ed imitabili.
Penso che certi personaggi usino le sparate razziste per “fare i simpa”, con il risultato – forse non sempre strategico, ma comunque reale – di rendere banali le sparate stesse. La politica imita la chiacchiera da bar per ruffianeria e finisce per legittimarla.
Sarebbe interessante capire come allargare la strettoia tra retorica buonista e politically correct da una parte, e becerismo senza vergogna dall’altro. Credo che siano facce della stessa medaglia e non a caso hanno inondato l’Italia, come fenomeno “politico”, più o meno in contemporanea.
Però non è sempre stato così. Intendo: non sempre la politica ha scimiottato la chiacchiera da bar. Accade soprattutto in questa fase, quasi fosse una reazione a un eccesso di “tenuta”. Ci sono stati in momenti nella storia del nostro paese in cui il decoro, per quanto ipocrita fin che vuoi, è stato un valore, o uno stile.
Oggi, se un direttore di giornale dice che si fa bene a sparare ad una nave di pacifisti, non solo non viene cacciato con infamia, ma addirittura c’è chi sostiene che “almeno, lui, le cose le dice chiare”.
La mia maestra, che pur era democristiana, se sentiva di questi ragionamenti, ti alzava da terra, convinta. Il mio prof di italiano, che pure aveva il piccone di Cossiga in casa (sic), se ti sentiva dire certe cose ti sbatteva fuori.
Oggi, con riferimento al razzismo, pare esserci stato un “salto di livello”. Non so se sia soltanto l’imitazione della chiacchiera da bar, o la volontà di spostare il confine etico più in là, per poi arrivare a legittimare cose che sessantacinque anni fa si sono condannate. Non so.
Condivido invece il problema della strettoia. Parlando con amici stranieri, tutti danno ormai per “scontato” ciò che fanno il sire e i suoi, mentre si chiedono, come mai l’opposizione non abbia un atteggiamento più chiaro.
Il problema, secondo me, è quello del senso critico smarrito.
Ci vorrebbe una scuola che educhi ed abitui alle narrazioni alternative, come proponeva Rodari quando faceva giocare con le storie tipo cappuccetto rosso cattivo etc. Solo così, a mio parere, si ricostruiscono gli anticorpi.
Ne parla, a modo suo, Germano Nicolini (al Diével), verso la fine di questo discroso.
http://www.youtube.com/watch?v=QAXVz0IE2iI&feature=related
Scusate la lunghezza, ma il tema mi appassiona.
A me sembra che il problema “chicchera da bar” sia un “effetto” e non una “causa” del deterioramento del sistema politico italiano. Cerco di spiegarmi meglio. Ciò che il partito di “Mister X” ha fatto, e continua a fare, mi sembra si ricolleghi in maniera diretta al precedente post del blog: da un lato creazione di una storia, di una narrazione, dall’altro una differente modalità di strutturare la relazione di potere.
Se la “narrazione” ha giocato un ruolo fondamentale, con la creazione di una identità tirata fuori dal nulla, quella della razza “padana”, con tanto di sterminata simbologia, altrettanto importante mi pare l’aver riversato, sul piano politico nazionale, “macropolitico”, tutta una serie di tematiche, attegiamenti, posture e linguaggi che invece erano prettamente locali, “micropolitici”. La partita secondo me si gioca qua, e non è tanto una questione legata all’attività sul territorio (che pure gioca il suo ruolo): il punto è proprio la messa in risalto del “micro” a sfavore del “macro”. La chiacchera da bar, l’insulto facile, la bestemmia come intercalare sono tutti effetti di questo spostamento: il fatto è semplicemente che la Lega utilizza solamente questa “porzione” del quadro micropolitico, facendola venire a galla. La lega in generale, e “Mister X” in particolare, funzionano perciò attraverso una specie di “effetto larsen”: amplificano, attraverso la “narrazione”, un tenue segnale locale, che a sua volta si rimpolpa entrando in risonanza con l’amplificazione che ne è stata fatta.
La strategia pare assolutamente vincente; e la risposta (che non arriva) non può che avvenire sullo stesso piano, micro-piano: il discorso dell’opposizione non è mai sganciato da dinamiche che hanno a che vedere con interessi che pertengono ad una “macrofisica del potere”, fallendo miseramente nel cogliere questo livello “molecolare” del potere, e del vivere più in generale. In questa prospettiva è evidente che il senso critico è totalmente smarrito, ma è centrale in questo senso il venir meno catastrofico di chi occupa una posizione dalla quale sarebbe possibile scardinare quest'”ordine del discorso”, o generarne un’altro.
Almeno credo…
Il decoro non è un valore in sé, è un’ipocrisia (decere = convenire), un modello ideale di comportamento che comprende (o soltanto mostra) valori diversi in epoche diverse. Ecco: mi pare che siamo passati da un decoro gesuita, borghese e da salotto a un decoro idolatra, piccolo borghese, da bar. E prima ancora si era passati da un decoro parrocchiale, contadino, da “vestito buono la domenica” al decoro consumista e “da salotto” di cui sopra. Ma mentre il passaggio più antico è stato sviscerato da Pasolini, e collegato ad altre “Grandi Trasformazioni”, la mutazione più recente non sembra avere una causa scatenante altrettanto chiara.
@Antonio: l’opposizione fallisce a livello “macro” proprio perché non sa mettere “in larsen” esperienze alternative a quella leghista sul livello “micro” e territoriale: in Piemonte vince Cota perché la Bresso perde una valanga di voti in Val Susa… Noi abbiamo la fortuna di poter girare l’Italia in lungo e in largo, e di poter incontrare decine di realtà resistenti “a livello micro”. Talmente numerose che uno sarebbe pure ottimista, se solo ci fosse la capacità, “a livello macro”, di attivare l’effetto larsen. Tante piccole narrazioni alternative, ma senza un corpus omerico che le trasformi in Odissea…
@ Antonio Ricciardi: I due piani sono collegati, credo. La sinistra ha fallito miseramente nel cogliere il livello “molecolare” del potere perché ha perso prima di tutto un’idea complessiva di società e di futuro. Non si dà una cosa senza l’altra. Senza una prospettiva, senza un’idea generale nella quale inscrivere il particolare, non resta che il microscopico, l’individuo solo contro tutti, intento a difendere se stesso e le persone che lo circondano; resta cioè il familismo amorale italico ridotto sempre più a una dimensione mononucleare, alla micragnosità del vivere bestiale. La Lega è prima di tutto questo. Berlusconi è soprattutto questo. Se oggi Feltri può scrivere che è bene sparare ai pacifisti perché invece di starsene a casa a pensare ai fatti propri vanno a rompere i coglioni agli altri, ecco, è perché si è fatto della difesa del proprio particolare l’unica prospettiva esistenziale auspicabile. Si è cioè scardinata qualsiasi idea di società, che si fonda invece sul principio del comune.
Ricordate cosa diceva la Thatcher? “Non esiste la società. Esistono soltanto gli individui e le famiglie”. Secondo me è l’affermazione più nichilista, terroristica e totalitaria che sia mai stata fatta nel corso del Novecento.
I leghisti sono ridicoli con la loro narrazione pseudologica di terra-razza-comunità padana (e nondimeno sono pericolosi, sia chiaro), perché è un tentativo di nascondere proprio la miseria di esistenze alienate e isolate. Basta vedere come i “padani” hanno ridotto la Pianura Padana per capire quanto davvero tengano alla propria terra e alle proprie radici e quanto invece sia proprio l’essersi privati di qualunque prospettiva (intesa anche in senso paesaggistico) a spingerli verso una retorica ipocrita e posticcia…
Ho l’impressione che il discorso leghista si stia spostando su un piano più generale, si stia, ehm, “raffinando”. Hanno riviste “teoriche”, hanno le scuole quadri (ci ha insegnato Alain De Benoist), hanno intellettuali di riferimento che magari non sono molto noti a livello nazionale ma sono ascoltati nella loro nicchia. Da questo punto di vista, il personaggio politico da studiare non è tanto Borghezio, ma Zaia, che si presenta come interprete di questo rinnovamento. Una Lega bioregionalista, “ecologista”, legata alla campagna e alla montagna. Una Lega, verrebbe da dire con un calco terminologico, “regionalsocialista”, e intrisa di nostalgie per l’amministrazione pubblica austriaca. Una Lega che per questo, negli ultimi tempi, ha subito poco visibili “scismi”: se ne sono andati molti degli elementi ultra-liberisti, ideologicamente vicini al pensiero di Ayn Rand e ai “Libertarians” americani. La recente contestazione anti-Zaia e pro-OGM si spiega anche così. Istanze come quelle di Fidenato e dei suoi agricoltori ribelli, un tempo, erano rappresentate dentro la Lega.
Il territorio dove stanno avvenendo queste trasformazioni è il Nord-Est. La Lombardia forse non ha più nulla da dire, ideologicamente e miticamente parlando è un limone spremuto. Lo “sfondamento” a Ovest e in Emilia è un fenomeno ancora troppo recente. Il Nord-Est è invece terra di frontiera e di strane alchimie. Uno dei nomi che torna nei discorsi e nelle pubblicazioni è quello di Bepi Mazzotti (1903-1981), che in gioventù fu molto attivo nell’intersezione tra alpinismo “spirituale”, tradizionalismo cattolico e fascismo (da mesi sto studiando i rapporti tra montagna e fascismo).
Un momento davvero molto significativo di questa evoluzione è l’orribile ma fascinosa intervista rilasciata al “Corriere della sera” dallo scrittore Enzo Bettiza, poco più di un mese fa. Ecco, quell’intervista non è solo un “coming out” e un “endorsement”, questo è l’aspetto più superficiale. Quell’intervista è un documento prezioso, ci dice moltissimo sul nuovo “kitsch” leghista. E’ nota la definizione di “kitsch” data da Milan Kundera:
“un mondo dove la merda è negata e dove tutti si comportano come se non esistesse. Questo ideale estetico si chiama Kitsch.”
Nel Bettiza-pensiero quest’ideale di rimozione della merda è perfettamente rappresentato:
idealizzazione di un passato idilliaco sotto gli Asburgo (= rimosse le guerre, rimossa la brutalità del dominio);
nostalgia di un Lombardo-Veneto caratterizzato da una “buona amministrazione” che oggi verrebbe recuperata dalla Lega (= identificazione del buon amministrare con un mero “quieto vivere” e “far quadrare i conti”; ma anche fosse, vengono rimossi i crack di molti comuni leghisti, le speculazioni sui derivati etc.);
– autentiche mistificazioni come quella che la Lega si preoccuperebbe non del territorio bensì del Rathaus etc.
Questi sono discorsi più subdoli e quindi ben più pericolosi di quelli deliranti sul Dio Po (che per me è sempre stata la crasi di una bestemmia), sui celti, su Barbarossa. La tradizione che viene inventata è più recente, e il mito tecnicizzato meno evidente perché si nasconde nella storia in modo più coeso. I Celti erano soggetti troppo fantasmatici e lontani, Cecco Beppe è roba dell’altroieri, vicina a noi, e c’è tutta una letteratura alta di riferimento (Joseph Roth etc.) Questo è un mito tecnicizzato “erudito”, presentabile. Cosa c’è di meglio per indorare la pillola del razzismo?
Questo ovviamente aggiunge una contraddizione (o un cortocircuito) in più all’armamentario narrativo leghista. Come si concilia il dominio asburgico, quindi austriaco, con il “padroni a casa nostra”, che rimane ancora lo slogan più ripetuto dai leghisti?
Su un piano minimamente logico e di coerenza del discorso, sono due cose inconciliabili. Ma il mito tecnicizzato serve proprio a tenere insieme le aporie, e in fondo nessun pensiero reazionario si è mai preoccupato di essere convincente o consistente su un piano di razionalità. Figurarsi, questi si dicono amanti della campagna e intanto, come giustamente ricordavi, hanno trasformato la pianura padana in un’avvilente e brulla distesa di capannoni. Si dicono custodi del territorio e poi vogliono trasformare l’idrovia Padova-Venezia in una camionabile!
Tornando alla questione delle nostalgie asburgiche, credo siano giocate in chiave anti-nazionale. Il Rathaus va bene, la regione va benissimo, la macro-regione idem, e in fondo l’impero austro-ungarico (nella loro versione idealizzata) era un arcipelago di regioni e macro-regioni, fiero, ben amministrato. E’ il livello intermedio dello stato-nazione a essere rigettato, è “Roma ladrona” (soltanto a parole, ovviamente: gli stipendi da parlamentari o da ministri non vengono mica lasciati in tesoreria!).
E ovviamente tutto questo poggia su un fondo di verità, perché “Roma” (metafora o metonimia che sia) *è* “ladrona”, il nostro stato-nazione è *davvero* corrotto, inefficiente etc. Ma di questa corruzione e inefficienza la Lega è complice, non nemica. Lo è come forza politica, perché nonostante il frasario da opposizione è una forza di governo a ogni livello dell’amministrazione; e lo è come composizione sociale, perché molti imprenditori del Nord che votano Lega fanno affari con le varie mafie, appaltano le costruzioni all’edilizia di camorra, avviano i loro rifiuti industriali verso lo smaltimento illegale al Sud… E’ anche il blocco sociale che si rispecchia nella Lega a mantenere il Paese nella condizione che poi la Lega finge di denunciare.
Altro elemento rimosso dal nuovo kitsch leghista: l’impero austro-ungarico era multi-etnico, multi-culturale e multi-lingue ai limiti della vertigine. Agli inizi del Novecento a Trieste si parlavano circa 300 lingue diverse. Ovviamente, questa è una cosa che il leghismo non cercherà di riproporre.
Per comprendere De Benoist in salsa padana bisogna guardare «Gran Torino» di Clint Eastwood, manifesto del razzismo differenzialista [che sostituisce quello biologico]: le etnie sono tutte uguali non si mescolano, ogni cultura è un’isola, e sono buoni solo quelli che accettano di lavorare alle mie condizioni… Addirittura, il vecchio Clint presta i suoi attrezzi da lavoro al giovane asiatico per «educarlo»…
@jimmyjazz,
Dici? Mah, è una lettura “allegorica a chiave” del film in cui io non mi ritrovo molto. Anche perché fabula e intreccio del film la contraddicono e mettono in crisi in più punti. Ad esempio, quando è Walt a visitare la casa dei vicini Hmong, il quadro è molto diverso. Inizia facendo gaffes su gaffes, come quella di toccare la testa del bambino, suscitando riprovazione e diffidenza, perché è lui a essere teso, a sentirsi fuori posto. Dopodiché si rilassa, lo ritroviamo seduto a “conversare” amabilmente con le donne della famiglia, ad apprezzare il loro cibo, e quando la ragazzina gli propone di scendere nel seminterrato per “mingle” (mescolarsi, fare amicizia), lui risponde sorridente: “Why? We’re mingling right here!” (e mi sembra sia la prima volta nel film in cui lo vediamo sorridere). A questo punto, Eastwood poteva risolverla in modo banale, irenico, e abbracciare un multiculturalismo di maniera, e invece la storia prosegue nel conflitto, le barriere si sono abbassate ma rimangono, e questo è onesto (non mi viene altra parola), perché la società multiculturale non è un pranzo di gala né una festa in Piazza Vittorio.
Quelle che tu critichi mi sembrano essere le *premesse* del film, è il mondo come lo vede Walt stesso. Ma Gran Torino è la storia di un viaggio iniziatico, in cui un razzista arriva a “mingle” con l’Altro, a comprenderlo, e addirittura a sacrificarsi per lui.
Certo, da qui a dire, come hanno fatto i soliti cinéphiles cazzoni, che Gran Torino è un film “di sinistra” ce ne passa un bel po’. E’ comunque la weltanschauung di un repubblicano, di un conservatore. Ma Eastwood è un conservatore scettico, che ogni tanto esce da se stesso e si dà un’occhiata da fuori.
Direi che il momento “differenzialista” è uno solo, quello in cui Walt prende in giro il “wigger”, il ragazzino borghese bianco che cerca di emulare i suoi coetanei neri e si rivolge a loro chiamandoli “bro” (“What’s this bro shit? These guys don’t wanna be your bro, and I don’t blame them!”)
Ecco, è una scena divertente, ma è superficiale. Quella tra cultura nera e cultura bianca è una relazione complessa, e proprio da questo rifiuto ideologico degli atteggiamenti “wigger” partiva una mia riflessione di qualche anno fa.
Torno sulla questione del decoro, per segnalare che il concetto di “Decoro Urbano”, per ambiguo e inconsistente che sia, è il motore dell’azione politico-amministrativa bolognese da molti anni. L’ultimo “evento” è stato il “No Graffiti Day” del 29 maggio.
Sono d’accordo con WM 2. Che il decoro non sia un valore in sè è facilmente comprensibile, visto che è facile pensare a forme di “decoro” immorali. Nella città in cui vivo, ad es. ridipingere i muri è un atto che serve a cancellare non i tags e le scritte, ma ad obliterare tutto quel che accade lontano dalle quattro vie del centro, lontano dalle botteghe e dalle aree salotto, nella pancia delle periferie, in luoghi che rimangono incomprensibili e illeggibili.
Questa nuova ossessione decorista tanto segnala, tanto per cambiare, la pervasività delle dinamiche di carattere feticistico: il muro pulito come sostituto simbolico dell’ordine, una forma masturbatoria di “amore per la città” al posto di una visione possibile, di un orizzonte di non-esclusione.
Tra l’altro, Smargiassi sul suo blog fa notare che i “de-writers” bolognesi alla fine sono dei deturpatori, o comunque gente che interviene sui muri con lo stesso arbitrio che addita negli altri (anzi, secondo me con un arbitrio ben peggiore, perché sottrae anziché aggiungere…)
http://smargiassi.blogautore.repubblica.it/2010/06/02/muri-specchi-della-societa/
Il decoro non è positivo. La *dignità* è quella che va cercata. E a Bologna ne vedo pochissima. L’anima della città è già “leghista” da molto tempo. Cofferati ha fatto le stesse identiche cose di Gentilini, ma a livello nazionale si parlava di Treviso, non di Bologna. Bologna campava ancora su un’immagine falsa, vecchia di trent’anni almeno. Adesso, spero che anche nel resto d’Italia ci si renda conto di quanto vile e lurida è la psiche collettiva di questo buco di culo.
@wm1
non voglio proporre una «allegoria a chiave» che appiattisca il film, che è molto bello e significativo (tanto che si presta bene ad essere discusso e analizzato)… Però le trasformazioni del razzismo e le definizioni della «linea del colore» in base alle esigenze del mercato del lavoro e la «docilità» di chi appartiene a una minoranza sono fondamentali.
La minoranza hmong negli States viene apprezzata per le capacità commerciali e l’etica del lavoro molto forte. Lo stesso avviene per i vietnamiti in generale, nonostante poco tempo fa fossero nemici in una guerra sanguinosa. Il contrario avviene per i latinos, considerati fannulloni e relgati ai lavori più umili.
Ecco perché l’operaio Wasp spaesato riesce a comprendere e rispettare la cultura dei suoi vicini di casa. Eastwood, noto reazionario, scopre che si può convivere coi migranti, che ci si puo’ addirittura immolare per loro, quando riconosce quel potente (seppur diseguale e temporaneo) mezzo di coesione sociale che è la produzione capitalistica.
La Lega riesce benissimo a fare questa operazione, amplificando le tensioni etniche solo quando serve ai padroncini padani, in modo da abbassare la forza contrattuale della forza-lavoro migrante. C”è un bel libro uscito di recente «Avanti Po» di Paolo Stefanini (il Saggiatore) che indaga la penetrazione della Lega nelle «regioni rosse»: lì la diffidenza verso il «diverso» si mescola perfettamente alla retorica (tipica anche di una certa sinistra, non a caso) del «se vengono a lavorare sono benvenuti».
Adesso ho capito cosa intendevi. Solo una precisazione: il protagonista è certamente spaesato ma non è Wasp: è polacco e cattolico. Questo marca una differenza non da poco, mi sa.
a maggior ragione: lui è l’esempio concreto di un migrante che si è «integrato» perché s’è arruolato nell’esercito del lavoro :)
E’ quello che intendevo. E quanti leghisti di rango sono figli di meridionali?
@todos,
leggendovi e’ venuto in mente il conflitto in Jugoslavia. In un libro che purtroppo non vedra’ alcuna ripubblicazione, “Maschere per un massacro” di Paolo Rumiz, in mezzo a molte buone riflessioni, egli scrive che il conflitto jugoslavo e’ stato soprattutto quello tra la citta’ multietnica, regno della dinamicita’ e del cambiamento delle cose, e quello della montagna/campagna, regno della conservazione del tutto e dell’odio/invidia verso cio’ che appunto cambia, si sporca le mani, tende a non rimanere sempre uguale a se’ stesso.
Trovo questa analisi sociologica di quel conflitto molto azzeccata. E ogni volta che torno dalla Bosnia mi chiedo se sono possibili paralleli con il nostro caso italico.
Alle ultime elezioni regionali – vivo a Torino e ho osservato il recente cambiamento verso la direttrice leghista/forzaitaliota della neo-giunta Cota- a guardare bene dentro al contenitore dei risultati, si scopre che la sinistra e’ sparita o in fuga o in fase di deperimento pressoche’ ovunque, tranne che nei grandi agglomerati urbani. Dove cioe’ le contraddizioni sono evidenti, vivibili sulla propria pelle, osservabili dai cittadini tutti i giorni a tutte le ore. Dove c’e’ mix, dove si e’ costretti a sporcarsi le mani con il nuovo, il diverso, le idee di “sinistra”- scusate le pesanti virgolette- sono ancora presenti. Come se vivere la vita e il suo necessario dinamismo portasse comunque ad una riflessione non per forza egoistica, iper-individualista e tatcheriana.
Altrove, nella profonda provincia, il discorso si ribalta. Sinistra esce di scena. Eppure, anche li’ esistono gli immigrati, i problemi sui luoghi di lavoro, i cambiamenti urbani. Anche laggiu’ sono documentabili furti, scippi e violenze ad opera di chicchessia e addirittura in numero minore rispetto alle metropoli, ma tutto cio’ rende le persone sospette e le consegna alla paura, al disinteresse diffuso verso il bene comune. Se nella citta’ quindi, le persone toccano con mano il vero cambiamento e non si pongono immediatamente nell’alcova razzista – e sottolineo il “toccare con mano”, il viverlo davvero, al di la’ di cio’ che ti viene raccontato-, in provincia si slitta precocemente verso un atteggiamento generalmente chiuso.
Come e’ possibile tutto cio’ ? Perche’ dove c’e’ piu’ tranquillita’, dove le cose magari vengono amministrate in modo meno caotico e le strade sono piu’ tranquille o peggio quasi morte, si diventa razzisti-intolleranti- etc ?
Qui entrano in gioco la Televisione e la Lega, o la Destra come si preferisce. L’una e’ in grado di raccontare a chi non puo’ o non vuole osservare, una realta’ esageratamente violenta e di creare un’immaginario di civilta’ in cui il “civis provincialis” sente la necessita’ di autodifesa – e non tutti, anzi quasi nessuno riesce nell’intento di Eastwood di “andare a vedere davvero cosa succede”- sente un vuoto bisogno di decoro cattolico-edonista. L’altra forza, la Lega in particolare, ha capito tutto questo. Ma non per superiorita’ culturale rispetto ad altre forze politiche, quanto perche’ ci si e’ seduta sopra, perche’ essa stessa e’ il prodotto di questo imbarbarimento generale. Cio’ che la Lega espone politicamente e’ davvero reale, misurabile nelle vite di molti dei suoi elettori. Piegarsi sul marcio esistente e cavalcarlo standoci dentro, essendo essa stessa questo marcio. Certo, come dice Wm1, dice anche tante bugie, e non e’ vero che sia una forza aliena dalle infiltrazioni illegali e mafiose. Ma e’ anche il partito piu’ vecchio seduto in parlamento e quindi ha potuto negli anni costruirsi una sua fetta di popolo che si e’ ingrossata sempre di piu’. Ha cominciato dunque – e qui mi ricollego al discorso jugoslavo- a governare la Provincia del Se’, e cioe’ la natura angusta e conservatrice della panza italica.
Io non so se arriveremo ad avere un conflitto tipo quello jugoslavo ( non vi sono le condizioni), ma dopo le ultime elezioni regionali ho cominciato a vedere questa dicotomia citta’- provincia molto piu’ forte e visibile. In qualche modo, questa contrapposizione, nonostante alcune evidenze geografiche, e’ anche e soprattutto mentale. La Lega realizza davvero un mito tecnicizzato, vicinissimo al reale ma costretto a spararle grosse, altissime (Dio Po, AustroUngheria) perche’ la base culturale di partenza e’ rasente lo zero.
Non so, confusamente, ma ho provato a rendere il quadro un po’ piu’ complicato….
D.
Uhm. A me la chiave allegorica proposta non convince granché. O meglio, ha senz’altro un senso, ma non tiene dentro tutte le sfumature del film. Soprattutto mi sembra sottovalutare il fatto che Walt Kowalsky non sia soltanto in lotta con la parte “marcia” della comunità immigrata hmong o metta al loro posto i gangsta neri del quartiere. Kowalsky è in guerra con tutti, la guerra se la porta dentro come una ferita. Kowalsky digrigna i denti in continuazione, e i primi con cui non è mai riuscito a comunicare sono i propri figli, e, ragion di più, i propri nipoti. E’ il prototipo del maschio bianco alienato e paranoico, solo con il suo fucile a difendere il proprio cortile ben curato dal caos portato da fuori.
Eppure a un certo punto sceglie un’altra famiglia, una disastratissima famiglia hmong (di hmong integrati, è vero, armati di buona volontà e disposti a lavorare) al posto della famiglia borghese bianca e della Chiesa cattolica romana. E’ un leghista di ottant’anni che cambia prospettiva, che si apre a una trasformazione. Non radicalissima, è chiaro, perché sarebbe inverosimile. La sua morale resta quella che è, ma la sua prospettiva non è più la stessa. Il sacrificio finale dell’eroe che sostituisce la mattanza bronsoniana (o appunto eastwoodiana) è una grandiosa riflessione autocritica sul modello narrativo ed eroico proposto nel corso di un’intera carriera. E non è certo una torsione destrorsa.
Quello che scrive jimmyjazz mi convince e mi sembra utile a condizione di non considerarlo una “chiave” del film, ma un elemento di contesto. Di extra-testo. Riguarda quel che sta a monte della realizzazione del film, il dato ideologico che lo precede (ma che il film non lascia inalterato, anzi). E’ utile analizzare il *perché* della scelta dei Hmong come comunità. Appunto, in questo momento il razzismo colpisce principalmente i Latinos, vedi leggi discriminatorie in Arizona etc. I Hmong sono più rassicuranti, più integrabili, “lavorano e non rompono i coglioni” etc. Contributo utile. Però non può essere una “chiave” del film, perché il film è molto più complesso e sfumato, e non si fa aprire da una chiave sola.
vado un bel po’ OT, me ne rendo conto… ma porto un esempio di “mingle” che mi ha particolarmente colpito ultimamente… gangstagrass… ossia gangsta rap + blue grass, un ritorno dei cowboys, stile “ultimate badass”
http://www.youtube.com/watch?v=Xy09F1cUIrA
questa è anche la sigla di una serie, “Justified”, il protagonista una specie di moderno cowboy, appunto… executive producer: Elmore Leonard!
Diciamo che se tutti i leghisti seguissero l’esempio di Walt Kowalski, L’Italia sarebbe un paese migliore…
Sulle differenze tra città e provincia esposte da Punkow, non sono del tutto convinto: qui da noi (Bulaggna), molti comuni della provincia sono ben più a sinistra del capoluogo, sia come risultato elettorale, sia come politiche sociali, sia come mentalità diffusa. E più in generale, in dieci anni di su e giù per la Penisola, non mi è parso di riscontrare un atteggiamento più chiuso del “civis provincialis”. Al contrario, molto spesso sono i metropolitani a fottersene delle novità, a snobbare il dialogo, mentre i provinciali sono più affamati, più desiderosi di confrontarsi. Quasi tutte le nostre presentazioni raccolgono più entusiasmo e più domande in provincia di quanto non accada nei grossi centri.
Sono un responsabile nazionale di un movimento indipendentista sardo.
L’indipendentismo sardo contemporaneo (lasciando stare quello naif e spontaneo dei primi del Novecento) nasce negli anni Sessanta, in seguito all’impatto sui sardi dell’alfabetizzazione di massa, dei mass media e delle correnti politiche di quegli anni. La sua matrice è stata a lungo (e i parte è ancora) movimentista, anti-colonialista, anticapitalista, ecc. (ci siamo capiti). Ha avuto aderenze e commistioni con gruppi politici dell’eversione italiana e internazionale ed è stato depotenziato e praticamente smantellato nel corso degli anni Ottanta (anche con azioni dei servizi di sicurezza non proprio cristalline, come potrete immaginare).
Quel che è rimasto vivacchia ancora sugli slogan di trent’anni fa.
Noi, da una decina d’anni, abbiamo fatto una scelta diversa. Non sto a farvela lunga, tanto chi vuole ci trova comodamente su internet (www.irsonline.net). Dico solo che tra i nostri principi fondanti ci sono anche il rifiuto della violenza come strumento politico e del nazionalismo (in tutte le sue declinazioni: e badate che per noi il nazionalismo o l’etnocentrismo sarebbero una risorsa assai più comoda e a portata di mano!).
Essere presi per degli imitatori sfigati e provinciali (in quanto sardi) della Lega è una dele cose più orrende e denigratorie che possiamo sentirci dire. Ma capita.
L’80% degli italiani è succube della narrazione televisiva, medium autoritario per antonomasia (come diceva vanamente Pasolini).
Il combinato disposto di leghismo + berlusconismo non fa che esaltare caratteristiche culturali che in Italia sono storicamente ben radicate.
Ma non credo che porteranno ad un esito di tipo jugoslavo. Per la semplice ragione che gli italiani non hanno la stessa indole bellicosa di serbi e croati (se sono lecite generalizzazioni di questo tipo) e soprattutto perché se l’Italia imploderà lo farà per ragioni molto più concrete che ideologiche (vedi possibile default di stato, crisi sociale, azione di centri di potere più o meno occulto che decideranno di finirla col Berlusca in modo radicale e magari spettacolare, o che so io).
Il che non ha niente a che vedere con il progetto politico a cui partecipo, che tutto si propone, tranne che di danneggiare l’Italia (ci pensa già abbastanza il suo governo, mi pare).
Si può perseguire l’emancipazione storica della propria gente senza creare miti fasulli, senza incitare all’odio per il diverso o appellarsi a chissà quale tradizione da preservare (che poi va finire tutto in folklore, con buona pace dei duri e puri).
È più difficile, ci vuole più consapevolezza, più elaborazione teorica, più onestà e anche più tempo. Ma solo così si può essere credibili (innanzi tutto ai propri occhi) e costruire un progetto di convivenza umana che valga la pena perseguire e difendere davanti al mondo.
Non mi pare che la Lega (che intanto – tenetevi forte – è sbarcata anche in Sardegna) abbia un disegno di questo tipo. Trattasi di mero perseguimento del potere (di una certa idea del potere). Bossi è un super predatore politico. Più di Berlusconi. Non sarà col decoro (concordo con gli Anonimi, sul punto) e con la puzza sotto il naso da radical chic di molti zombie della sinistra italica che se ne verrà a capo.
@ Omar,
a prescindere dal resto, a me interessa un punto specifico, sollevato da quello che nel tuo commento dici quasi a margine: la Lega è sbarcata in Sardegna. Ecco: la Lega, in Sardegna, che tipo di narrazione adotta? Quali retoriche peculiari rispetto a quelle della casa madre nordista? Cosa racconta la Lega sarda? Come opera per distinguersi da movimenti autonomisti/indipendentisti “storici” e di segno diverso? Quali miti tecnicizza? A quale tradizione sostiene di fare riferimento? Con chi ce l’ha specificamente? Ecco, come si “sardizza” la Lega? E che riscontri ha?
A proposito dell’intervista a Bettiza: il tentativo di inventare per la Lega delle ascendenze culturali “alte”, in modo da renderla più appetibile per gli intellettuali, fu fatto già una quindicina d’anni orsono ad opera di personaggi come Gianfranco Miglio (oggi giustamente dimenticato, si professava seguace di Carl Schmitt). Fu un sostanziale fallimento; ad abboccare fu il solo Massimo Cacciari. E’ buffo, ma significativo, che oggi al “Corsera” ci riprovino rispolverando il mito degli Asburgo (una loro specialità: già ci sfrangiarono le palle a colpi di Mitteleuropa durante tutti gli anni ’80)… Penso che non funzionerà neanche stavolta.
Salvatore, magari andasse come dici. Temo però che stavolta il tentativo sia più serio e insidioso. Quella di 15 anni fa era un’altra Lega. E’ cambiato molto, nel frattempo. Oggi la Lega ha consolidato un’egemonia culturale che allora non aveva, ha le grinfie su numerosissimi enti locali che possono patrocinare eventi, finanziare convegni, riviste etc., ha una classe dirigente più esperta di allora, e soprattutto ha cambiato discorsi: a metà anni Novanta la Lega era un partito rozzamente liberista e faceva l’apologia della globalizzazione, poi il suo blocco sociale ha iniziato a soffrire di alcuni effetti di quest’ultima, e adesso uno dei suoi “teorici” di riferimento è il Tremonti de La paura e la speranza (protezionista, identitario, moderatamente tradizionalista, mellifluamente anti-globalizzazione etc.). Le stronzate asburgiche sono coerenti con questo quadro…
Ancora su Walt Kowalski (scusate, ma è uno dei film che più mi sono piaciuti negli ultimi anni).
Siamo onesti: noi chi vorremmo come vicini di casa? I teppisti stupratori o una famiglia “che lavora”? E’ un po’ azzardato definire di destra o reazionario il fatto di preferire gente disposta a integrarsi senza rinunciare ai propri usi e costumi (i hmong di Gran Torino non ci rinunciano) e senza farsi mettere i piedi in testa, invece dei bulli che credono di difendere l’orgoglio della minoranza con i coltelli e le pistole.
Tra l’altro faccio notare che la retorica/narrazione leghista fa leva su entrambe le stereotipizzazioni: lo stupratore o spacciatore immigrato che ti aggredisce sotto casa, e la famiglia casinista che occupa l’appartamento comunale accanto al tuo, e fa vivere tre generazioni dentro le stesse quattro mura, cucina roba strana, emana strani odori, fa casino in orari strani, etc. etc. Sono entrambi aspetti dell’allofobia fomentata dalla Lega: uno più d’impatto cronachistico, l’altro più quotidiano e strisciante.
La linea rossa del film secondo me infatti è ben altra. C’è una scelta maschile: la guerra; e c’è una scelta femminile: provare a costruirsi un futuro sottraendosi alla faida virile. C’è un canone eroico che implicherebbe che il maschio anziano introducesse il maschio giovane nell’età adulta insegnandogli a uccidere i suoi simili per difendere le proprie donne dalla violenza; e c’è un canone eroico diverso in cui l’insegnamento consiste nell’esatto contrario: nel non proseguire la faida virile ed escogitare il modo per mettervi fine. E’ un modo che implica il sacrificio del vecchio eroe, del maschio alfa, proprio per consentire al futuro di esistere. Il che significa che non si tratta comunque di una scelta facile o indolore, bensì molto pesante. Eppure necessaria.
ciao
non ho avuto modo di riflettere a fondo su queste tematiche che mi stanno comunque molto a cuore percui mi limito per il momento a leggere cio’ che scrivete.
mentre parlavate di decoro mi e’ venuto in mente che ieri sera ho visto il documento “DIRTY HANDZ – SEARCH AND DESTROY” resoconto di writers famosi.
Il fatto di ridipingere come e’ stato fatto a bologna mi ha sempre richiamato alla mente una bocca tappata per non parlare, a voi no?
ciao
Mozione d’ordine! :-) Mi sembra che ci sia un fraintendimento, che si stiano portando avanti due discorsi su due piani diversi, che non potranno mai incontrarsi se non si chiarisce l’equivoco. E rischiamo pure, senza volerlo, di riattivare il frame secondo cui *alcuni* “vengono qui per lavorare” e tutti gli altri “vengono qui per delinquere”, mentre sappiamo che la schiacciante maggioranza dei migranti migra per lavorare.
Quindi: non è che gli ispanici negli USA lavorino meno dei hmong, anzi: l’intera economia americana collasserebbe da un giorno all’altro senza la loro quota di lavoro, quasi sempre durissimo, sovente nero. Jimmyjazz stava descrivendo quella che è la percezione degli ispanici distorta dal razzismo: casinari, nullafacenti, rumorosi etc.
Non si tratta di chi lavora e chi no o di quali vicini preferire; si tratta di chi è accettato seppure con qualche mugugno e chi invece è preso di mira più di altri e percepito come una costante minaccia.
Negli ultimi anni di vita Samuel P. Huntington (quello del “clash of civilizations”) descrisse senza mezzi termini i Latinos come una minaccia alla civiltà americana. Perché?
Perché i Latinos sono tantissimi e continuano ad aumentare;
perché sono associati a prassi e scelte di vita “devianti” come l’immigrazione clandestina;
perché hanno narrazioni forti e organizzate, per certi versi alternative a quella dominante (celebrano il “Dia de la Raza” dalla Tierra del Fuego a Brooklyn, hanno diversi miti delle origini);
ma soprattutto:
perché i Latinos “rompono i coglioni” più di altri, nel senso che piantano grane, si organizzano anche sindacalmente, reclamano diritti, contestano in massa le leggi che giudicano ostili, e riescono anche a esercitare pressioni forti sul potere. Gli ultimi anni hanno visto una mobilitazione diffusa degli ispanici contro questa o quella legge, contro questa o quella campagna discriminatoria etc.
Tutte cose che altri gruppi – perché più acquiescenti o semplicemente perché integrabili con minor rischio – non fanno.
Da qui il luogo comune reazionario, uguale a tutte le latitudini: se stanno sempre a gridare e rompere il cazzo, quando ce l’hanno il tempo di lavorare? E’ chiaro che campano in un’altra maniera!
Questo perché, in media, si lasciano sfruttare meno di altri. O almeno non stanno zitti.
Ragion per cui, gli ispanici, pur essendo occidentali e cristiani, sono oggi un Altro… più altro di altri, e scusate il bisticcio. Sono una spina nel fianco dell’America perbene.
Anche i hmong hanno le loro “devianze”, e il film le mostra, ma i hmong sono pochissimi e non arrivano in massa, anzi, non arrivano praticamente più. Ed è anche peculiare il modo in cui sono arrivati, una trentina di anni fa: sono stati accolti perché avevano combattuto con gli USA contro il comunismo.
Quindi, sono pochi e sono una presenza molto peculiare, ergo pongono meno problemi, non sono un “folk devil” come gli ispanici, da additare come pericolo alle masse proletarizzate.
Ecco, questo è il contesto del discorso che si faceva sopra. Non si tratta di considerare reazionario chi vuole vicini che lavorino anziché spacciare crack; si tratta di capire perché lo sguardo etnicizzato, di fronte a due gruppi etnici, in uno vede “onesti lavoratori” mentre nell’altro vede fancazzisti piantagrane e/o debosciati.
Per adesso la Lega in Sardegna è un fenomeno marginale e lo resterà. Per vari motivi.
Nondimeno, oggi come oggi non tecnicizza alcun mito (sono già tutti occupati, per fortuna!): si limita a appellarsi da un lato a xenofobia (e omofobia, e sicurezza, ecc.), dall’altro al fatto che in Italia è una forza di governo molto influente (notare il paradosso!).
Dovrebbe inquadrarsi nell’ambito del discorso autonomista (facendosi forte di una sua presunta autorevolezza in materia: in casa di chi l’autonomismo l’ha inventato, mah…), ma certo non indipendentista (dato che si fa forte di essere forza governativa… italiana). Infatti ha incontrato la dura resistenza del PSdAz, attualmente alleato col centrodestra berlusconiano (oh yes!).
Non ci facciamo mancare nulla, come vedete.
Voti ragranellati dai leghisti nostrani? Qualcuno, attraverso una sapiente opera clientelare e presso quella percentuale di decerebrati razzisti che esistono pure da noi.
Certo, è un fenomeno curioso. Una serie di cortocircuiti politici e culturali mica da ridere. Ma poco più di questo, secondo me.
Due cose.
La prima su “Gran Torino”. Attenzione a fare discorsi troppo specifici sullo straniero nel film di Eastwood.
Io credo che molto semplicemente che il piccolo coprotagonista sia stato scelto “orientale” e non ispanico per motivi squisitamente narrativi.
Kowalski viene decorato in Corea e non in Colombia. Il sentirsi accerchiato da una famiglia cinese è – anche simbolicamente – assai differente.
Aldilà della questione immigrato ispanico vs immigrato hmong, penso che il film inserendo due “bianchi” (Eastwood e il prete) in un quartiere completamente multietnico abbia fatto un notevole ritratto di quella che è la situazione di molti ghetti che in certe città americane ma oramai anche italiane sono visibili a tutti. Dove a pesare con la propria assenza è in primis lo stato, e il senso di comunità è affidato unicamente ad una parrocchia.
Dice Clint a proposito del suo personaggio.
“I’m a weirdo in it. I play a real racist… But it also has redemption. This Hmong family moves in next door, and he has been in the Korean War, in the infantry, and looks down on Asian people and lumps everybody together. But finally they befriend him in his time of need because he has no relationship with his family”.
E’ curioso notare come non faccia minimamente accenno al fatto che Clint salvi dal pestaggio i figli dei vicini.
Lui viene aiutato, perché è un uomo solo e sconfitto.
[WM1: premesso che la cosa più stupida da dire di un’opera d’arte è la sua appartenenza ad un’area politica, soprattutto quando essa è di fattura pregevole, ad avercene di film “de sinistra” così].
Seconda cosa, brevemente ché già ho preso troppo spazio, sulla Lega.
E’ un fenomeno da non sottovalutare, cresciuto in 15 anni. Ma io non voglio neanche mitizzarlo. Dopo Berlusconi ci manca solo un nuovo demone lovercraftiano indistruttibile.
Appena gli italiani si accorgeranno realmente degli effetti della crisi, senza chiacchiere, io credo che tanti fantasmi del nostro presentissimo svaniranno come neve al sole.
Il che non significa che saranno sostituiti da fari luminosi. Si può sempre peggiorare, e invece dei fantasmi avere dei mostri in carne ed ossa.
Le ultime due righe del tuo commento sono le più realistiche. Purtroppo è raro che le crisi facciano “aprire gli occhi” a qualcuno o sciogliere gli spettri come neve al sole… E’ più facile che avvenga il contrario: la crisi obnubila e fomenta le guerre tra poveri, spinti a combattere tra loro per accaparrarsi le briciole. Durante una crisi la demagogia ha ancora più presa, e funziona ogni sorta di diversivo razzista, di ricerca di capri espiatori. L’ipotesi “crollista” di certo marxismo, la crisi che radicalizza i lavoratori, il tanto-peggio-tanto-meglio… Tutte cazzate. Gli anni di vacche magre (o addirittura di vacche morte) non sono i più adatti a disvelamenti, lotte solidali ed estensione delle libertà. La crisi del ’29 spinse l’Europa in fondo a destra, la Germania giù nell’abisso e più tardi il pianeta nella peggior guerra di sempre. La crisi degli anni ’70 portò al governo Reagan e la Thatcher, con le conseguenze che tutti conosciamo… Oggi in tutta Europa i movimenti xenofobi guadagnano terreno, e le loro narrazioni sono potenti. E’ vero che “i lavoratori si radicalizzano”, ma non necessariamente a sinistra. Mi sa che ci attende ancor più guerra tra poveri, e molto “socialismo degli imbecilli” – ovvero mobilitazioni contro nemici sbagliati; è come Bebel definì l’antisemitismo. Il leghismo può tranquillamente diventare un socialismo degli imbecilli. In una certa misura, lo è già.
E comunque, quando si attraversano certe dogane, è poi molto difficile fare marcia indietro. Il disprezzo per il diverso, per il marginale, per lo zingaro e il lavavetri negli ultimi vent’anni ha fatto passi da gigante. L’idea che una città è tanto più sicura quanto più è pulita, e non quanto più si-cura dei suoi abitanti, va ormai per la maggiore. E’ difficile che certe sparate razziste tornino ad essere quel genere di idee che uno le pensa, magari le dice al bar, ma in fondo sa che sono soltanto sfoghi, aria cattiva che viene su dalla pancia e non dalla testa, mostri da tenere al guinzaglio. Nell’Emilia rossa i discorsi contro i “maruchein” (= i terroni) si sentivano già negli Anni Cinquanta, ma non c’era nessuno che li riprendesse da un palco, e se provavi a farli al di fuori di una cerchia ristretta, ti beccavi subito una sanzione sociale. Dire certe cose “terra terra” era sintomo di ignoranza, non di onestà intellettuale. Oggi invece si prende il discorso rozzo per discorso verace, la reazione de panza per chiarezza mentale, il vaffanculo per rivoluzione.
@wm1: sono sicuro che non lo e’ gia solo in una certa maniera.
ragazzi apriamo gli occhi, ma purtroppo la lega ha fatto da sempre un sacco di voti proprio su questo. Il socialismo degli imbecilli e’ gia’ profondamente parte integrante della lega e personalmente posso toccare la cosa con mano tutti i giorni anche nell’ambiente di lavoro in cui mi trovo dove qualche collega che vota sempre a sinistra ce l’ha a morte con il “cutrese” piuttosto che con il “marughein” o il “negher”. Questa e’ una cosa diffusissima, l’offesa da bar non e’ piu una volta ogni tanto, e’ sempre. Ma la cosa che a me preoccupa di piu non e’ tanto l’offesa quanto il fatto che quando succede non c’e’ nessuno dei presenti che dica qualcosa. Guardate gli autobus ad esempio, usate mezzi pubblici? a Modena dove vivo, quei cazo di paladini della finta sicurezza di controllori/autisti di autobus, per un euro di biglietto che qualcuno non paga, chiamano gli sbirri e lo rimandano a casa perche non ha i documenti italiani! (e gia questo e’ abbastanza triste..) ma non solo, nel frattempo si permettono di inveire sul malcapitato, di fermare l’autobus chiudendo le porte per non farlo scappare (a casa mia si chiama sequestro di persona..), finisco: nessuno dice nulla. fra i presenti non c’e’ un Modenese che dica qualcosa, la rossa modena si vergogna in silenzio.
I lavoratori che prendono l’autobus alla mattina sono gia da tempo preda di queste false speranze coi paraocchi ed e’ prorpio questo il punto. Forse proprio perche in tempi come questo non c’e’ nessun politico della cosiddetta sinistra che ti da un futuro alternativo da pensare/sperare.
Quoto WM2: “Oggi invece si prende il discorso rozzo per discorso verace, la reazione de panza per chiarezza mentale, il vaffanculo per rivoluzione”. – La destra, sul piano culturale, ha lavorato tantissimo per raggiungere proprio questo risultato. Mi sembra che siamo l’unico paese al mondo dove l’espressione “politicamente corretto” ha una valenza esclusivamente negativa: nella pubblicistica di destra, e ormai nel senso comune, politicamente corretto è sinonimo di ipocrisia, di “buonismo” imbelle, di perbenismo piccolo-borghese ecc. Viceversa, l’insulto razzista sarebbe indice di onestà intellettuale, di gagliardìa e di libertà di spirito.
E’ una strategia retorica che viene da lontano (se è vero che già i grandi reazionari dell’Ottocento come De Maistre, Schopenhauer o in parte lo stesso Nietzsche passavano per brillanti anticonformisti proprio in quanto rimettevano in circolazione i più beceri e incivili luoghi comuni). Ma mi sembra che in Italia abbia avuto un successo ineguagliato e bisognerebbe capire perché.
@ Matiu,
seguo le metamorfosi della Lega ormai da anni, e secondo me il leghismo non è (ancora) compiutamente, nitidamente quello che io mi figuro come nuovo “socialismo degli imbecilli”, che potrebbe essere qualcosa di più ambiguo e pericoloso di quanto abbiamo visto finora.
Sì, in una certa misura un “socialismo degli imbecilli” lo è già, nell’accezione più semplice. E’ una buona metafora, il parallelo funziona… ma solo a un livello superficiale, cioè: gente che prima votava “a sinistra” (le virgolette sono comunque d’obbligo) oggi vota Lega per protesta (anche se non si sa bene contro cosa, dato che la Lega è al governo). Il massimo di questa schizofrenia è l’operaio che ha la tessera della CGIL, scende in piazza contro il governo etc., poi però vota Lega, cioè il governo contro cui scende in piazza.
Ma questo è “socialismo” dalla parte dei votanti. Io penso a quel che sta accadendo dalla parte dei votati. Il “socialismo” che intendo io è ancora in fieri, e penso si produrrà nelle alchimie ideologiche che ho provato a descrivere per sommi capi nel mio primo commento. E forse si produrrà solo nel post-Berlusconi, se la Lega saprà smarcarsi prima ed eviterà di associare la propria immagine a quella del caudillo in agonia. Solo quando la Lega comincerà a fingere di non averlo mai visto né sentito, emergeranno compiutamente quei tratti che adesso sono visibili solo in certi contesti e discorsi locali.
[…] Naturalmente, non conosco il perchè di tutto questo. Però ho letto con interesse e costernazione la discussione dei Wu Ming e sono rimasta folgorata da questa riflessione (di Wu Ming […]
Primo post sul nuovo Giap ma vi seguo da eoni.
Qualche post fa WuMing1 chiedeva @Omar:
” Ecco: la Lega, in Sardegna, che tipo di narrazione adotta? Quali retoriche peculiari rispetto a quelle della casa madre nordista? Cosa racconta la Lega sarda? Come opera per distinguersi da movimenti autonomisti/indipendentisti “storici” e di segno diverso? Quali miti tecnicizza? A quale tradizione sostiene di fare riferimento? Con chi ce l’ha specificamente? Ecco, come si “sardizza” la Lega?”
Io un esempio di Lega che “sconfina”, cercando piu’ ampi consensi l’ho trovato in questo, tra l’altro recentissimo:
http://www.youtube.com/watch?v=PmhiGy2VPmc
Borghezio Paladino della giustizia universale…diventera’ un mito?