della Redazione di Carmilla
«Qui a Berlusconia, tra fandonie e miti, tra spettri ed epifanie del Maligno, tra risentimenti e narcisismi è in corso da un pezzo una vera e propria guerra all’intelligenza, dove ogni ragionamento di un qualche spessore è tacciato di sabotaggio o di spregio dell’umore popolare».
Così Marco Bascetta, difendendo la pubblicazione per manifestolibri del libretto Eroi di carta [158 pp., € 18.00, d’ora in poi EdC], stigmatizzava gli attacchi all’autore, il professor Alessandro Dal Lago («La libertà negata di criticare Saviano», manifesto, 30 maggio 2010).
Lasciamo perdere il termine “Berlusconia”, usato in difesa di un libro che individua (non a torto) nella «personalizzazione e simbolizzazione» della politica sotto forma di un continuo referendum pro o contro Berlusconi «il segnale della vittoria strategica del berlusconismo» [EdC p. 148], e cerchiamo di capire dove stiano i risentiti e i narcisi, a quale intelligenza si dichiari guerra, e soprattutto come siano questi ragionamenti «di un qualche spessore».
[ Prosegue su Carmilla – Anche in versione ottimizzata per la stampa ]
Per quanto mi riguarda, dopo le critiche di Cesari e Janeczek, questa disamina della redazione di “Carmilla” è decisiva: diciotto Euro risparmiati.
Da segnalare la replica stizzita del professor Dal Lago a Severino Cesari in “il manifesto” del 17 giugno. A un certo punto, Dal Lago scrive: “le contro-critiche di Cesari sembrano solo considerazioni notarili, allo scopo evidente di emarginare i miei argomenti, evidentemente imbarazzanti”. Tradotto: se il nitpicking alla ricerca di presunti errori fattuali lo fa Dal Lago sul testo di Saviano, allora va bene. Se invece lo fanno altri sul testo di Dal Lago, non va bene: sono questioni di lana caprina, quisquilie, bazzecole, pinzellacchere, begging-the-question…
@ Salvatore,
avrai notato che, en passant, l’analisi della redazione di Carmilla risponde anche alla stizzita contro-replica del professore… :-)
Già. Carmilla mette giustamente in evidenza l’atteggiamento schizofrenico di Dal Lago, il quale arriva a citare il passo del Vangelo sulla pagliuzza e la trave (Luca 6, 41-42) senza apparentemente accorgersi che il primo a cercare la pagliuzza è stato proprio lui. A meno che non si tratti di un’autocritica, magari inconscia.
Qello che resta, o resterebbe da chiarire a proposito di questa vicenda è il motivo che ha spinto Dal Lago ad alterare, nella sua analisi, ed in modo anche così sgraziato, fatti ed oggetti, così da crearsi un simulacro testuale a suo uso e consumo.
Le domande che mi pongo sono queste: a chi giova? cosa gliene viene in tasca? Che senso ha delegittimare qualcuno in questo modo, usando argomentazioni che si dimostrano incapaci di reggere l’analisi?
Qui si sfiora l’attacco personale, diretto,e si esula da un diritto, legittimo, di critica e dibattito su di un testo.
L’opinione che mi sono fatto, pur non avendo letto il testo di Dal Lago, è che sia la tesi di fondo a nutrire questa volontà di de-mistificazione e de-costruzione: e cioè la presunta vicinanza tra le strategie di costruzione dell’io messe in campo da Berlusconi e quelle messe in campo da Saviano. Trovo questa analogia del tutto fuori luogo (sempre che funzioni in maniera così schematica…se qualcuno ha letto EdC e trova che mi stia sbagliando me lo segnali). E’ vero che entrambi i personaggio si creano un io fortemente mediatizzato, ma Dal Lago sembra scordarsi del fatto che Berlusconi è un magnate dell’editoria, un gatekeeper che fa un uso strategico dei media, mentre Saviano è uno scrittore che dei media fa un uso tattico (a volte incappando in situazioni infelici), necessario in base alle contingenze che tutti conosciamo.
La differenza non è di poco conto, specialmente trattandosi di due personaggi che calcano la scena pubblica del nostro paese in maniera così decisiva.
Beh, in ballo c’è in effetti una questione politica.
Il pezzo di Carmilla infatti non solo riesce a cogliere tutta la cialtroneria dell’operazione di Dal Lago e Manifestolibri, ma ne smaschera anche l’intento politico. Vale a dire: scegliere il bersaglio grosso, Saviano, per portare un attacco indiscriminato e generalista (verrebbe da dire luogocomunista) a una fetta di intellettuali e narratori di sinistra che hanno provato, in questi anni, a diverso titolo e con diverse modalità, a percorrere il territorio della cultura pop nelle sue declinazioni più “alte”.
Provare a trarre fuori un racconto radicale del mondo dalle nicchie in cui è relegato, provare a rendere accessibile e interessante una narrazione delle cose diversa da quella imperante, e farlo con qualche parziale successo (senza per altro passare dalle conventicole di ultra-sinistra), è un peccato mortale per Dal Lago e Bascetta. Chi nei decenni che abbiamo alle spalle è stato complice di quell’arretramento, di quel relegarsi alle nicchie, tra radicalismo salottiero e pensiero debole (debolissimo), non può che contrastare un’operazione comunicativa e d’immaginario che riesca a smuovere qualcosa nella palude che ci circonda. Come faceva giustamente notare Severino Cesari nel suo articolo sul Manifesto, lorsignori devono dire che tutto è merda ciò che si muove sotto il sole e che ogni centimetro guadagnato, ogni tentativo di smarcamento dagli angoli, è al fondo un moto di disimpegno e resa al nemico.
Uno degli obiettivi degli strali di Dal Lago siamo proprio noi Wu Ming e gli scrittori con cui da anni dialoghiamo.
Dal Lago ci accusa di avere progressivamente de-politicizzato la nostra produzione narrativa post-Q. L’affermazione nasce da una lettura ristretta di quel romanzo, come allegoria dei movimenti politici recenti e recentissimi. A proposito di Q, infatti Dal Lago parla di “un’esplicita metaforizzazione dei movimenti sociali d’oggi”, che evidentemente è il solo metro di lettura politico a lui accessibile. Tutto ciò che non sia immediatamente esplicito resta per lui avvolto nel mistero, e testimonierebbe di un lento allontanarsi dalla narrativa politica a favore della narrazione pura, di stampo salgariano: “La metafora delle moltitudini è più attenuata nei successi 54 e Manituana, se non nella forma di una storia corale, polifonica e vista dal basso”.
Se non è la storia corale, polifonica e vista dal basso l’aspetto primamente politico, ne consegue che detto elemento si situa esclusivamente nell’allegoria a chiave, che riduce Q al Bignamino del piccolo rivoluzionario. Laddove appunto questa sovrapposizione diretta tra passato e presente non è così facile, Dal Lago non la vede (e non credo che finga ipocritamente, penso proprio che non ci arrivi, in fondo è un sociologo, non uno studioso di letteratura).
Ad esempio per lui il bar Aurora di 54 sarebbe l’evocazione delle tipiche osterie bolognesi, un luogo comune della subcultura di sinistra, e non il megafono del discorso comune della base del PCI nel dopoguerra, vale a dire un coro greco, la voce di una collettività (il fatto che i capitoli ambientati al bar siano scritti con un “noi” narrante non suggerisce niente…?).
Ancora, a proposito di Manituana, scrive: “i ‘nativi’ americani, i Mohawk, figurano come i protagonisti di una storia possibile o parallela che però perde ogni connessione con l’attualità”.
Rileggere questa frase, please. Poi immaginare Dal Lago con la suddetta frase tradotta in inglese appesa al collo e mollato a piedi in un centro culturale Mohawk, in una qualsiasi delle riserve irochesi del Nordamerica, mentre cerca di spiegare a certi nerboruti attivisti locali – reduci dai più recenti scontri con la polizia canadese, piuttosto che dall’assalto con i rampini al WTO di Quebec City del 2001- che la loro storia non ha niente a che fare con il presente. E’ chiaro poi che tutti i commentatori e critici anglosassoni, che hanno unanimemente letto Manituana come un’indagine sulle radici del peccato originale americano e quindi come oscuro punto d’origine del presente irakeno, hanno preso un granchio…
Infine, l’atto conclusivo del nostro disimpegno sarebbe proprio Altai, perché in quel romanzo “la metafora politica svanisce per lasciare il posto a una rappresentazione multiculturale del Mediterraneo orientale nel XVI secolo e, se proprio vogliamo cercarvi un parallelo con l’attualità, della condizione degli ebrei tra Oriente e Occidente”.
In tutto il romanzo l’unico collegamento politico con il presente che Dal Lago è riuscito a rinvenire è quello con la storia del sionismo e di Israele, cioè, ancora una volta, il riferimento più superficiale. Scontro tra Occidente cristiano e Oriente islamico? Non pervenuto. Conflitto tra identità personale e costruzione dell’identità collettiva? Idem. Relazione tra mezzi e fini nella concretizzazione di un’utopia? Niente. Contraddizione tra il suddetto progetto ideale e l’esclusione di genere? Idem come sopra. Nomadismo versus statualità? Silenzio.
Forse Dal Lago non le ritiene questioni politiche. Forse non le ritiene questioni politiche “attuali”, che riguardano i movimenti interessati a cambiare lo stato di cose presente. Forse Dal Lago non capisce che in letteratura l’attualità di un tema è data prima di tutto dalla sua universalità, e che proprio per questo un romanzo come Q continua a essere letto anche se il movimento altermondialista è finito da anni (per non parlare dei Roaring Seventies), e così speriamo accada anche nei decenni che abbiamo davanti, perché Q NON E’ una metafora del nostro presente, ma della potenzialità contenuta in QUALSIASI presente.
O forse, più banalmente, Dal Lago pretende troppo da se stesso, e invece di armarsi dell’umiltà del lettore comune, sfoggia la spocchia dell’accademico che per quel lettore comune prova soltanto disprezzo. E’ questa l’unica parte davvero onesta del discorso di Dal Lago, quella in cui il radical chic da salotto si dichiara senza mezzi termini:
“La fortuna del noir, della narrativa fantasy e pseudo-storica comporta il successo di uno stile di cui è facile individuare le caratteristiche, come si è visto nel caso di Gomorra e di alcuni esempi di NIE: immagini forti, metafore facili, storie sensazionali, periodare semplice. Uno stile da passatempo, da letteratura da consumare più che da leggere, grazie al quale il lettore di un libro all’anno (che sia Tre metri sopra il cielo o Gomorra) si prende – in virtù del successo da cui per qualsiasi motivo è stato benedetto – una rivincita su quel mondo delle lettere che lo ha sempre escluso o continua a escluderlo quando produce poesia, critica o narrativa alta. Nulla di nuovo sotto il cielo: semmai una tendenza alla scrittura come forma di comunicazione immediata (e non strumento di riflessione o di godimento estetico) che oggi viene rivendicata anche al di fuori della letteratura ‘popolare’. Questo mi sembra, in sostanza, il senso ultimo del NIE.”
L’accusa verso la letteratura di genere è quella di spargere tra il volgo vane illusioni di riscatto culturale e contaminare con il proprio immediatismo le forme letterarie “alte”. Le opere incluse nel NIE (assimilate ai romanzi di Moccia) sarebbero colpevoli di comunicare immediatamente, cioè senza mediazioni (quelle dell’accademia, ovviamente), invece di indurre la riflessione e il godimento estetico.
Il sottotesto di questo discorso è la manfrina di sempre, il canto del cigno di un’intellettualità di sinistra ormai inutile e inservibile: occorrono i mediatori culturali, gli intellettuali organici, gli addetti ai lavori, unici che possano fustigare e arginare il berlusconismo, nonché indicare al popolo lettore la strada verso l’autocoscienza.
E’ l’opzione comunicativa il vero problema, che Dal Lago cerca di denigrare definendola “medializzazione”, perfino quando a praticarla è un autore multiplo che sul rapporto alternativo con i media ha impostato la propria intera esperienza. Esperienza che per lui ha segnato il passo, ed è finita, nel passaggio dalle beffe mediatiche di Luther Blissett all’ingresso nelle scuderie berlusconiane di Wu Ming. Tutto chiaro no?
Su Roberto Saviano preferisco leggere le critiche, soprattutto le più balbettanti, che meglio degli elogi ne svelano la potenza narrativa.
Sono d’accordo con la redazione di Carmilla: un sociologo prestato (che si presta) alla critica letteraria mostra tutti i limiti di una pratica ormai fin troppo accademica, ombelicale, incapace di cogliere la realtà di un testo perché a quel testo non si avvicina mai.
Roberto Saviano è uno che vuole raccontarci una realtà, non darci delle notizie. E lo fa, a mio parere, con espedienti narrativi di prim’ordine, con parole calde, incandescenti. Forse solo nella forma saggistica la sua parola ha potuto trovare una strada, un canale. Basta pensare per un attimo all’eruzione dell’Etna, a quei fiumi di lava gonfi di calore che lentamente ma inesorabilmente si aprono una strada per cogliere lo stile della scrittura di Saviano.
Vorrei rovesciare i termini del discorso: non penso che Saviano abbia usato la “forma romanzo” per farsi più vicino al lettore. Credo invece che sia stata necessaria alla sua scrittura la “forma saggio” per incanalare la potenza del suo discorso. Questi canali di eruzione rendono la sua parola esatta, precisa, non slabbrata.
Caldo, intenso, e insieme esatto. Pavese insieme a Calvino, per citare i primi autori che mi vengono in mente. Completo la triade con Fenoglio, per l’aspetto testimoniale della scrittura di Saviano.
Le pagine di Gomorra non vogliono solo raccontarci una storia, non vogliono solo presentarci dei personaggi, non vogliono solo descrivere una realtà nei suoi aspetti sociali. Vogliono testimoniare (in questo senso ne riconosco l’appartenenza al New Italian Epic). Ha scritto Ignazio Silone che «Quando uno è passato per l’inferno e torna tra i vivi, ha il dovere assoluto di raccontare quello che sa». Saviano lo sa fare, indubbiamente.
Non dobbiamo accettare la trappola del guardare il dito: è la luna che ci interessa. Non mi interessa cioè che il vestito della Jolie non sia quello giusto, che l’occasione non sia riportata correttamente. Non facciamo finta di non conoscere il senso di un apologo. Allo stesso modo, non facciamo finta di non sapere, come già sovente e molto chiaramente si è detto, che Saviano non è Gomorra. E che quello che deve interessarci è cosa testimonia Gomorra e come Saviano lo dice, vale a dire quale contraddizione esplode in Gomorra e tramite quali espedienti narrativi Saviano lo fa. Nient’altro (c’è n’è abbastanza, direi).
Bisogna salvare una vita.
E’ chiaro che c’è una manovra in atto che tende prima a isolare, poi a colpire, una voce che ha individuato i nodi e le centrali di poteri molto oscuri.
E’ sempre così che avviene, prima si delegittima attraverso la critica, la calunnia, il dileggio, poi arriva la mano armata a completare il lavoro.
Un gruppo di potere, molto ben riconoscibile, ramificato e raffinato, sta con ogni evidenza tessendo la tela di una simile infame strategia.
Chi ha capito non può tacere. Il silenzio è complicità. Il non agire è accelerare l’orribile delitto.
Subito una scorta per il prof. Dal Lago.
L.
http://www.repubblica.it/cronaca/2010/06/23/news/quella_foto_shock_non_aiuta_saviano-5073331/?ref=HREC1-2
Benedetta Tobagi su repubblica.it a proposito della bella pensata di Max: il lavoro sull’immaginario collettivo prosegue offrendo addirittura il corpo morto dell’eroe alla vista di chiunque…
“Lettore di un libro all’anno”?… “Tre metri sopra il cielo o Gomorra”?… “Rivincita su quel mondo delle lettere che lo ha sempre escluso”?…
Ragazzi, che miseria!
Per la prima volta in vita mia, rendo noto un SMS che ho inviato stamane a Roberto, perché si sappia che qualcuno queste cose gliele dice, non certo da oggi e nemmeno da ieri:
“Con certe trovate mediatiche come la foto su Max dài argomenti ai tuoi detrattori e diventa più difficile difenderti perché trovano continui appigli. Anche la dichiarazione sul cardinal Sepe crea problemi, a volte si può anche rispondere: No comment.”
Ripropongo quello che l’intero collettivo scriveva qui a proposito dell’agghiacciante pubblicità dove tutti avevano il volto di Saviano:
«Dal 2006, per continuare a vivere, Saviano ha dovuto agire perché non calasse l’attenzione: gli è toccato essere sempre visibile, essere una presenza costante nella sfera pubblica. In ogni momento, il forte rischio era che questo sovra-apparire lo inflazionasse, gli facesse perdere potenza.
Di fronte a un calo di potenza, la tentazione è di rispondere “aumentando la dose”, per ottenere un effetto in un’opinione pubblica sempre più assuefatta e “tollerante”. Solo che, aumentando la dose, il problema si ripropone a un livello più alto e quindi più impegnativo, meno gestibile.»
E’ questo il dispositivo da criticare e che noi critichiamo da poco dopo l’assegnazione della scorta. In quei giorni gli scrittori Gianni Biondillo e Marco Rovelli inventarono l’espressione “desavianizzare Saviano”, cioè: esercitare un lavoro critico continuo, che contrappesi e relativizzi la trasformazione di Saviano in simbolo.
Ripeto: questo è il dispositivo, non quello presuntamente truffaldino dell’io “tripartito” su cui Dal Lago ha sprecato inchiostro e tempo (altrui). E’ un dispositivo che agisce Saviano [NB tutti siamo agiti da dispositivi: non possiamo fare tutto quello che ci salta in testa in qualunque momento], un dispositivo che a volte lui contrasta (trovando linee di fuga che lo riportano in temporaneo vantaggio sulla propria icona) e a volte asseconda. Perché è come dice Flavio: Saviano è costretto a un uso tattico dei media, non a un uso strategico, e incorre in passi falsi.
Ecco: un’operazione intorbidente come quella Bascetta/Dal Lago (Bascetta va *sempre* menzionato, altrimenti Dal Lago diventa l’unico capro espiatorio di una manovra che è editoriale, non è solo il “tiramento di culo” di un sociologo livoroso) rende PIU’ DIFFICILE criticare Saviano in questi termini, perché fa confusione tra libro, autore, narratore, personaggio, ribalta mediatica etc., facendo collassare e implodere tutti i livelli, quindi *rafforzando* il dispositivo.
Per conoscenza: mi ha appena risposto che la mossa non dipende da lui, credo intenda querelare. La sostanza del discorso non cambia, anzi, ne esce rafforzata: il dispositivo ha ormai portato l’immagine di Saviano in un “punto cieco” del sistema mediale, in una zona dove la pulsione di morte è fortissima. Siamo in una fase in cui il simbolo si gonfia di tossine. Se non si trova una strategia di smarcamento, ne esce demolito.
Mi è capitato di recente di essere invitato ad un incontro con Dal Lago su Eroi di carta. In quella circostanza, tra le altre cose, ha paragonato Gomorra a Va dove ti porta il cuore, per poi fare la vittima quando gli è stato fatto notare che stava dicendo grandi stronzate.
Ha iniziato a leggere in falsetto sfotticchiante parti di Gomorra, molto triste per uno che poi si esalta quando legge Baumann, e prende per grandi verità quelle che già trent’anni fa passavano per banalità estreme.
Onestamente l’ho visto proprio male. Mi ha dato l’impressione di uno che ha smesso di studiare e che i tempi di Non Persone siano belli che passati. Già il suo libro di prima sul counceling filosofico era raffazzonato e approssimativo, ma lì il target era comunque indifendibile.
L’unica speranza è che tutto sto chiacchiericcio pieno di livore passi prima possibile.
Stavo per chiedere informazioni proprio riguardo l’eventuale autorizzazione di roberto a una simile immagine. Pur rimanendo intatto il dispositivo, la cui evidenza è clamorosa, la differenza mi sembra fondamentale. Per la persona, intendo.
Purtroppo, nel mio pessimismo, credo non se ne esca.
Il paese nelle tossine ci è immerso.
In ogni caso, tutti quelli che lavorano per un altro orizzonte continuino a farlo. Per la propria dignità e le comunità di cui fanno parte.
L.
La pubblicità di Current TV era solo l’inizio. Siamo nella fase del “fotomontaggio martirologico” :-(
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/201006articoli/56136girata.asp
ecco la foto. La trovo agghiacciante, come agghiaccianti sono i riferimenti al Cristo morto di Mantegna, ad Aldo Moro nella Renault 4, a PPP.
@Danae,
a dire il vero, il primo nome che mi è venuto in mente vedendola è “Frankenstein”…
Questa situazione è sfuggita di mano *a tutti*. Sono atterrito.
@WM1,
certamente sì…
altro che querela! sarebbe da far ritirare l’intera tiratura…
Pazzesco. Frankenstein anche per me.
Ho sempre venerato Basaglia ma mi stanno venendo dubbi.
Speriamo che “Denis” Santachiara faccia il culo a tutti.
L.
Questa di “Max” è un’operazione veramente cinica. E’ come se ci fosse in circolazione una cambiale sull’evento mediatico “morte di Saviano”, e come se “Max” cercasse di farsela scontare in anticipo. Uno schifo.
L’inconscio di un’intera società sta chiedendo a Saviano di morire.
@WM1,
…avverte la tensione accumulata ormai insopportabile, e invece di comportarsi da inconscio fa come la mens: deve sfogarsi, risolversi, si scioglie in immagine di morte. Chiede la fine, la conclusione…
tornando al tuo sms di stamattina a saviano: si fa sempre più complicato difenderlo/proteggerlo
Si, è in atto qualcosa di schifoso. Ho la nausea e non è un eufemismo. C’è da vergognarsi di quella vergogna di cui parla Primo Levi, la vergogna di sentirsi un essere umano. Visto che nessuno di noi è un’isola e questa cazzo di campana sta suonando anche per noi che non viviamo sotto scorta e non abbiamo subito dirette minacce di morte.
Scusate ma non sono d’accordo…
A me sembra il normale decorso della comunicazione commerciale. L’atmosfera tetra che avvolge progressivamente Saviano dipende da dettagli superficiali (eppure estremamente funzionali) che aprono possibilità di sfruttamento progressivo del soggetto.
Il nostro è un giovane pelato, con la barba incolta, l’espressione tragica, i gesti rallentati e una fisicità rigida, quasi scollegata dal contesto in cui si trova, direi statuaria anche se non monumentale.
Immaginatelo ora basso, brizzolato, di mezza età, leggermente rubicondo in volto, sovrappeso e con involontario sorriso stampato tra i lineamenti.
Per converso, parte della sua fortuna commerciale dipende proprio dalla forza iconografica della sua estetica. Asciutto, diretto e non soggetto a movimenti ondivaghi.
Ogni aspetto di Saviano ha il suo pubblico, proprio perché è un’icona (pop) nel bene e nel male.
@danae – difenderlo/proteggerlo è velleitario, anzi è controproducente. Come sempre la risoluzione delle tensioni non sta nell’intensificare le energie coinvolte, ma nell’esatto contrario, dispersione, entropia, mimetismo, frammentazione.
L’inconscio collettivo di cui parla Wu Ming 1 non appartiene all’intera società. Io credo che si alimenti delle pie (e pelose) speranze della cultura di sinistra e che poi entri nel circuito commerciale come qualunque altro prodotto. Per i più Saviano è un elemento di colore che dà quel retrogusto Amaro Montenegro alla contemporaneità che scorre indifferente come un palinsesto televisivo…
p.s. a me, ad esempio, la foto ha immediatamente fatto venire in mente Jonathan Kashanian. Ricordate il vincitore del grande fratello n. 5..?
@ Norma
ma hai descritto esattamente il dispositivo che agisce Saviano, l’estetica che lo valorizza (in tutte le accezioni del termine) e al tempo stesso lo imprigiona. Come in un videogame, la logica di questo dispositivo si riproduce ogni volta a un livello più alto e quindi su un terreno meno praticabile.
Adesso siamo arrivati alla foto macabra in obitorio, al fotomontaggio volgare che strumentalizza Saviano nel modo più intrusivo e violento. What next?
E come non vedere, nell’estetizzazione della sua morte, un desiderio di morte, di sacrificio, un “non vedere l’ora” (pensiamo bene a quest’espressione, proviamo a visualizzarla nella sua letteralità) che porta a bruciare le tappe, a usare Photoshop per vedere adesso quello che forse si vedrà più avanti? – Ecco, vi facciamo vedere l’ora, l’ora che ancora non vediamo.
Non penso sia questione di sinistra, di destra o che altro: penso che l’opinione pubblica italiana stia assistendo da quattro anni all’allestimento di una tragedia lenta, soffusa, con progressivo accumulo di tensione, senza certezza di una catarsi. Una tragedia senza catarsi produce nevrosi. Si generano nel pubblico sentimenti sempre più contrastanti nei confronti del protagonista.
Io sono convinto che Saviano debba SOTTRARSI, almeno per un po’ di tempo, e allentare la tensione. Senza un allontanamento dalla zona di pericolo, o senza un intervento esterno che interrompa il circuito (come in Bateson un particolare cerimoniale interviene a interrompere la “schismogenesi” e a impedirne l’esito distruttivo*), questo processo porta ineluttabile verso la follia.
* E’ stato Severino Cesari a suggerirmi il parallelo con Bateson e la schismogenesi, in una telefonata di qualche ora fa.
@WM1,
sono d’accordo sulla necessità per Saviano di sottrarsi, allontanarsi e di ripensare il suo modo di mostrarsi (anche in vista del progetto delle puntate speciali per la RAI del prossimo autunno).
@ Norma: e in questo senso si è detto, soprattutto qui, che occorre difendere Saviano: occorre (aiutarlo a) salvaguardare cioè il suo spazio narrativo, la sua capacità/possibilità/libertà di espressione.
Sì, per difendere Saviano è necessario criticarlo, saper vagliare ogni sua mossa, distinguere continuamente tra la persona, il simbolo e il lavoro svolto. Anche per questo “Eroi di carta”, il rap-giezz di Sepe (Daniele, non Crescienzo) e le altre minchiate che ci ha propinato negli ultimi tempi una sinistra residuata e sconfittista hanno fatto dei danni. Ribadisco: seminando confusione, hanno reso più difficile criticare Saviano a ragion veduta.
@ Wu Ming 1
è da stamattina che penso al dispositivo in cui è preso (perché costretto o per scelta) Saviano e non sono arrivato a niente se non a pensare alla fuga; c’è un momento in Mille Piani in cui Deleuze e Guattarì scrivono (vado a braccio) che bisogna fuggire, fuggire sempre. Una fuga ragionata e consapevole, scrivi bene: sottrazione.
In “Massa e Potere” Canetti scrive che l’atto di potere per eccellenza è l’afferrare, e la foto è per me oscena perché è un punto di non ritorno, fa da contraltare alle minacce della camorra. Hanno cristallizzato la morte di un ragazzo giocando con photoshop per vedere e far vedere l’ora della morte. Trovo giustissima questa analisi e leggere che è il risultato del “normale decorso della comunicazione commerciale” è scioccante per me perché sento che (spero di sbagliare) può essere letta da molti come cosa “normale”. Non è “normale”. E’ un atto di potere, osceno.
@ Yamunin,
“E’ possibile che io fugga, ma durante la mia fuga sto cercando un’arma.” (George Jackson, citato da Deleuze & Guattari in Millepiani)
“Le linee di fuga non consistono mai nel fuggire il mondo, ma piuttosto nel farlo fuggire, come si fora un tubo.”
“Sulle linee di fuga si inventano nuove armi da opporre alle grandi armi di Stato” (e, aggiungo: alle grandi armi di Mafia)
Ma attenzione: se la linea di fuga è “solo una scappatella”, allora è “peggio di non essere evasi”.
Sì, le scappatelle non funzionano, sono funzionali al dispositivo. grazie per le precisazioni.
@yamunin – certo che è un atto di potere osceno, ma è anche normale, nella misura in cui la comunicazione commerciale è l’acqua dell’acquario in cui viviamo…
@danae – non c’è libertà di espressione per chi fa coincidere la propria vita con l’immagine pubblica che dà di sé, se non a rischio di ritorsioni proporzionali nel grado di violenza all’esposizione e alla rilevanza dei motivi che hanno decretato il successo. Negli Stati Uniti lo sputtanamento (galera, ricovero coatto, morte…e relativi spin-offs mediatici) della star di turno è uno degli sport nazionali.
@Wu Ming 1 – il desiderio di morte nei confronti del mito incarnato è quantomeno ovvio nella cultura cristiana. Più nello specifico noi italiani siamo quelli di piazzale Loreto e dell’Hotel Raphael. Ma l’aspetto più importante credo sia quello erotico. Il mito incarnato è osceno, è iperbolico, è fuori scala. Per non fare della psicanalisi di serie b mi limito a dire che un certo sentimento di odio-amore (attrazione-repulsione, vita-morte, scontato-imprevedibile) è il minimo che mi aspetto.
Voi Wu Ming dovreste saperlo, non c’è altro modo per proteggersi da tutto questo che un consapevole e accuratamente pianificato anonimato, e spesso non è sufficiente.
Non vorrei apparire cinica ma il successo ha sempre un prezzo, inoltre il successo di Saviano ha una chiara connotazione romantica, il che accentua ulteriormente il pericolo di ritorni di fiamma pericolosi.
Se fossi una sua amica saprei cosa lui veramente desidera, e capirei se questa condizione, per quanto dura, fa parte del pacchetto o meno. Ma non lo sono…
@ Norma
sinceramente, io non credo che “normale” sia la parola giusta, se la usi come sinonimo di “ordinario”, di “non anomalo”.
Di “normale” in quel senso, secondo me, in questa vicenda non c’è nulla. Mi sembra senza precedenti, non è mai accaduto niente del genere a nessuno scrittore, non a questi livelli. E’ un processo davvero “fuori scala”.
Sì, siamo un paese ossessionato dalla figura del Cristo, ma su quella croce non c’è uno scrittore: c’è un uomo di cui si dice fosse Dio.
Sì, siamo il paese di Piazzale Loreto, ma a Piazzale Loreto non appesero uno scrittore: appesero un dittatore, la sua mantenuta e dei gerarchi.
Sì, siamo il paese delle monetine al Raphael, ma il bersaglio di quei lanci non era uno scrittore: era un politico potente e arrogante, il premier più longevo fino a quel momento, capo supremo del partito che si era autodefinito “ago della bussola”.
Qui stiamo parlando di uno che ha scritto un libro, e a cui sta accadendo qualcosa di palesemente sproporzionato. Soprattutto se pensiamo che l’Italia è un paese di non-lettori.
Se penso a uno scrittore a cui sia accaduto qualcosa di altrettanto sproporzionato (benché diverso), mi viene in mente solo L. Ron Hubbard. Che però non subì il processo, ma lo pilotò dall’inizio alla fine.
Se invece per “normale” intendi che ha una sua logica, che è… razionalizzabile, riconducibile a fattori riconoscibili, certo che ha una sua logica, certo che è razionalizzabile, certo che i fattori sono riconoscibili, tant’è che da tempo ne stiamo discutendo. Però il processo è più della somma dei suoi fattori: qui c’è un’eccedenza, uno scarto da ogni norma a cui eravamo abituati.
Insomma, starei attento a non far risuonare la nota del “Che c’è di strano?”, del “Cosa volete mai, ne abbiam viste di cotte e di crude”. E’ una reazione che rischia di banalizzare e non aiuta la critica. Si è critici se si sanno cogliere i salti, le discontinuità, le rotture e cesure.
Sulla questione di come ci muoviamo noi: non è pianificazione dell’anonimato, perché noi non siamo anonimi. E’ un tentativo di gestire in modo diverso l’immagine pubblica dell’autore. Ma non credo sia un percorso riproducibile, il nostro caso presenta troppe peculiarità. Saviano deve trovare un *suo* modo di sottrarsi, non ha senso che si metta a scimmiottare il nostro, non gli sarebbe di alcuna utilità, anzi.
p.s. Carmelo Bene parlava di sé in terza persona, coltivava il mito del ritorno all’inorganico, la sua voce riempiva il teatro solo filtrata da un sistema di amplificazione, e considerava sé stesso e la sua arte osceni in quanto fuori dalla scena “o-skenè”. Aveva numerosi by-pass e fumava come un turco. E godeva, ah se godeva…
Certo, era un aristocratico e coltivava la disciplina del distacco. E questo aiuta. L’ambizione all’autenticità porta con sé l’intero flusso vitale, se non si limita alla sfera privata. E non è un fardello facile da sopportare. Ma di nuovo mi chiedo, è possibile arrivare fino a un certo livello di notorietà senza averlo fortemente voluto, e avere perseverato in un’azione finalizzata all’obiettivo?
Se mi permettete, oltre alla passione civile e al coinvolgimento personale, vedo in Saviano il dispiegarsi di una volontà di potenza tragica. E credo che, come me, molti interpretino questo lancio del cuore oltre l’ostacolo alla stregua di un tratto stilistico, trattandosi di una figura mediatica. Con la morte verrebbe certificata la sua natura autentica, e l’eroe, finalmente liberato dalla persona fisica, sarebbe a tutti gli effetti un mito.
E chi non preferisce il mito all’originale?
Chi ha avuto la ventura di cenare con il proprio eroe sa cosa intendo…
Il commento pubblico di Saviano:
“Un’immagine utilizzata per speculare cinicamente sulla condizione di chi come me in Italia e all’estero vive protetto. Un’immagine profondamente irrispettosa per tutti coloro che per diversi motivi, spesso lontano dai riflettori, rischiano la vita. Tutta questa pressione sulla mia morte, poi, lascia sgomento me e la mia famiglia. Ad ogni modo rassicuro tutti: non ho alcuna intenzione di morire”.
@Wu Ming 1 – io non banalizzo, anzi, tengo conto proprio dello specifico di Saviano: un giovane uomo, integro, coraggioso, intelligente, che si espone in prima persona armato solo delle sue parole per affrontare la parte più putrida del cancro che divora il paese (il Belpaese, per citare l’atmosfera del film di Luciano Salce). Mondadori intravede il business e tutto si sposta sul piano dello showbiz…
Mi ricorda, per complessità, il meccanismo del mesotelioma. La minuscola fibra d’amianto (proprio perché minuscola ma pungente) come risultato di una catena di eventi incredibilmente complessa, va a perforare il nucleo di una cellula dei polmoni e ne cambia il destino genetico producendo ammassi cellulari imprevisti e ingestibili.
In questo caso noi temiamo la fine della sventurata fibra o, in alternativa, che essa non riesca a distruggere l’organismo che vorremmo veder sparire.
Non è che si sovrappone alla figura di Saviano un’aspettativa che viene dal senso di frustrazione generato dalla complessità del meccanismo in sé?
Non siamo noi “supporter” a tenerlo là in alto, isolato e fragile..?
@ Norma,
ci credi se, da addetto ai lavori e persona che conosce l’editoria dall’interno, ti dico che in tutto quel che sta succedendo a Saviano la Mondadori ha un ruolo marginale?
La Mondadori ha “solo” pubblicato Gomorra, peraltro con una tiratura di 5000 copie, perché non si aspettava affatto il colossale best-seller. La Mondadori è stata anche colta di sorpresa dalla vicenda di Casaldiprincipe, tant’è che quando è esploso il “caso” con l’assegnazione della scorta, Gomorra era in quel limbo tra esaurimento di una tiratura e ricarico di un’altra, quindi assente dalla maggior parte delle librerie.
La Mondadori è estranea all’attività giornalistica di Roberto, non è lei a promuoverla né tantomento gestirla, perché i suoi articoli sono commissionati da un altro gruppo editoriale, quello Repubblica/Espresso. E’ quest’ultimo l’editore per cui Saviano scrive prevalentemente, e che sceglie per esprimersi sul mondo.
Infine, la Mondadori non decide né cura le apparizioni televisive di Roberto.
Quel che fa la Mondadori è attivarsi *alla fine*, in fondo alla catena di montaggio, per pubblicare in libro gli articoli usciti sui giornali etc.
Non è a Segrate che va cercato il telecomando del dispositivo.
Sull’altra questione: certo che sono i “supporter” a tenerlo là in alto. Diventi un simbolo perché in te si condensano aspirazioni, desideri, speranze. Questa è la premessa del discorso su Saviano, più che una conclusione.
@Wu Ming 1
ma certo che ci credo, non ho mai dubitato del contrario. Di certo non era interesse di Mondadori di puntare i riflettori su Casal di Principe con questa potenza (Cosentino ne é la prova vivente). Ma senza Mondadori il libro non avrebbe mai cominciato (e non ha ancora finito) ad abitare di fianco ai Ringo Pavesi in tutti gli autogrill d’Italia.
E’ un caso, è fortuito, ma è esattamente ciò che è successo. Vista la pericolosa sovraesposizione del nostro, andrebbe evitata qualunque forma di sostegno che tenda a rafforzare la sua dimensione simbolica, comprese raccolte di firme, diatribe pro/contro via mass media, inviti a convegni con la scorta fuori, ospitate faraoniche in tv, etc.
Dubito che lui non si renda conto. Credo che scelga di camminare sul filo. Ha più di un obiettivo (personale, artistico, sociale, politico) e non mi sembra che agisca per smorzare l’onda di piena che rischia di travolgerlo. Io credo che voglia imparare a fare surf, e lo capisco.
Sarebbe bello che molti altri surfisti noti o anonimi si unissero all’ebbrezza di quest’onda, se ne sono veramente interessati, o che lasciassero perdere definitivamente.
Questo è anche il paese del “vai avanti tu che mi viene da ridere.”
Per quanto riguarda voi, certo che siete anonimi. La terminologia su questo aspetto è scivolosa, così invece di andare in punta di piedi metto gli scarponi: siete anonimi in quanto icona di massa. Siete fuori fuoco. Bisogna avvicinarsi per vedervi distintamente. Esattamente al contrario che per Saviano.
@ Norma:
sulla libertà di espressione (che veniva come terza dopo capacità e possibilità) di Saviano, direi che si potrebbe riflettere su chi davvero, in questa vicenda, “fa coincidere la propria vita con l’immagine pubblica che dà di sé”. Quanto cioè Saviano agisce o è agito (come già è stato detto da WM1), e in che misura.
Stabilito questo, la tua affermazione potrebbe essere ripensata: non ha libertà di espressione chi è agito [da un meccanismo che è fuori da sé]. Poi, a cascata, si possono evocare “ritorsioni proporzionali” e lo sputtanamento come sport nazionale.
Ma siccome penso fermamente che Saviano debba agire (debba essere attore del proprio agire), difendo la sua libertà di espressione e mi oppongo a ogni tipo e forma di ritorsione nei suoi confronti, soprattutto se avviene in modo così totalmente anormale.
Insieme, voglio guardare molto da vicino questo dispositivo, per cercare di capirne e smontarne i meccanismi.
Molto interessante e significativo. Sul sito de “Il Giornale”, diversi commentatori si augurano che Saviano muoia. La redazione taglia quei commenti (immagino per evitare querele etc.), ma ormai li hanno visti (e salvati) in diversi, ecco un articolo sul caso:
http://bit.ly/dnngwO
Com’è che scriveva Saviano? “Tutta questa pressione sulla mia morte”.
Mi rendo conto che il contesto è letterario ma questo gioco con la coniugazione del termine agire mi sembra significativo di una vaghezza di concetto. Questo infatti, se portato a compimento, sottintende un’entità esterna alla vicenda di dimensioni e potenza incredibili, che agisce sui mass media a livello internazionale, sulla politica, sulle dinamiche emotive di un’intera nazione…
Nel caso questa entità esistesse (e comunque dubito che sarebbe la sola causa di quella che vedo qui descritta come un’anomalia) potrebbe avere un solo nome: “collusione”.
L’intreccio di interessi in questa vicenda, come in molte altre che hanno segnato la storia della nostra repubblica, è troppo complesso per essere gestito in modo univoco.
Temo, al contrario, che sia proprio l’investitura a paladino dei sopraffatti, dei senza voce, dei morti ammazzati (in primo luogo da parte di una sinistra in larga parte pantofolaia e reazionaria) ad aver creato le condizioni perché molteplici entità trovino un comune interesse nel rendere eccezionale (e dunque anormale) un’attività che dovrebbe essere la norma nella routine di una società democratica: l’espressione pubblica come forma di cittadinanza attiva.
Come questo sia possibile in un sistema che è completamente regolato dai principi del profitto economico e del successo personale è un mistero.
Come si possa poi uscire indenni dal sistema, avendolo intensamente frequentato proprio per delineare e potenziare il proprio ruolo di sovvertitore del sistema stesso, è un altro mistero.
Non voglio contrappormi a priori, al contrario condivido le preoccupazioni per Saviano come persona e per le conseguenze tossiche di una parabola astratta e catartica (liquidatoria) della vicenda. Un altro santo, e si ricomincia…
Temo però che difenderlo, proteggerlo, rivendicare la sua capacità/possibilità/libertà di espressione come se fosse emblematica (e non lo è, proprio per la particolarità dell’evento) lo releghi ancora di più nell’ambito dei simboli e degli altarini.
In nome di figure o eventi emblematici si sono regolarmente compiute azioni controproducenti se non aberranti, sempre nella speranza della prossima catartica passata di spugna…
interessanti anche i commenti sul sito di “Libero”.
Questo, in particolare, soprattutto per l’uso del “noi”:
“di che si meraviglia, ha smer**to il suo paese per molti spiccioli e poca scorta e adesso si preoccupano di vederlo così proiettato? Secondo noi è un omino finito. Se tanto ha dato e “tanto ” avrà non è colpa di chicchessia. Merito suo. Lo”scienziato” avrebbe dovuto sapere che chi semina vento raccoglie tempesta. Non siamo proni ai funerali di Stato ma non ci piacciono coloro che se li cercano. Questo “scrittore” ha sbagliato Patria, dovrebbe vivere in Iran!”
@ Norma,
è lo stesso concetto di “dispositivo” (introdotto da Foucault) a dire che non c’è una gestione univoca, perché un dispositivo è qualcosa di impersonale e molteplice, ma mi rendo conto che usiamo questa parola dandola troppo per scontata, come se la sua forza metaforica fosse sufficiente a spiegare.
Potremmo parafrasarla così: in ogni momento e in ogni ambito del vivere si registrano convergenze e interazioni di forze, limiti, tendenze, pressioni dal basso e dall’alto, tradizioni accettate o contestate, interessi, bisogni e automatismi che condizionano e indirizzano l’agire di un soggetto.
Di più: lo formano proprio come soggetto, nel senso che noi siamo il risultato dell’operare di più dispositivi, a formarci contribuisce il nostro genere, la nostra classe sociale, l’educazione che abbiamo ricevuto, il contesto in cui siamo cresciuti, le abitudini di chi ci sta intorno, i messaggi che ci arrivano, il governo che abbiamo votato o non votato, il contratto nazionale della categoria a cui apparteniamo etc.
Insomma esistono dei gomitoli di fili di diversi colori e spessori, anzi, per dirla con Deleuze, delle “matasse”, e si intricano tra loro a formare matasse più grandi. Noi come soggetti ci muoviamo in queste matasse, Foucault e Deleuze le chiamano “dispositivi”, ma possiamo anche trovare parole meno criptiche. La nostra libertà consiste nel cercare e trovare il filo che si dipana, la linea che ci porta fuori dalla matassa e ci permette di vederla da fuori. In parole povere: noi siamo liberi solo se conosciamo i dispositivi che ci formano e condizionano (ci “agiscono”). Chi non si rende conto di essere “agito” non è davvero libero, ogni sua affermazione di libertà sarà sempre una caricatura.
Questa vicenda di Saviano ha formato una matassa particolare e particolarmente imbrogliata, possiamo provare a individuarne alcune linee:
– l’impatto dirompente di “Gomorra”, con milioni di copie vendute, in un paese dove si dice che un libro è un successo quando arriva a diecimila copie di venduto;
– l’atmosfera mefitica che si respira in Italia riguardo ai rapporti tra politica, economia legale e crimine organizzato, per cui la figura di Saviano si muove in uno snodo che è al tempo stesso strategico e irrisolto se non irresolubile;
– l’anomalia nel sistema dei media determinata dal conflitto d’interessi di B., che ha creato l’annosa questione della proprietà Mondadori, sulla quale intervengono coi loro interessi gli editori concorrenti, per cui Saviano è continuamente tirato per la giacca, interrogato sulla propria coerenza, accusato di essere il prodotto di una campagna di marketing;
– l’esile speranza in *chiunque* possa riempire il vuoto che c’è a sinistra, dove però impera uno sconfittismo congenito e una vocazione alla minoranza rancorosa, per cui Saviano viene al contempo idolatrato (“Osanna!”) e attaccato selvaggiamente (“Crucifige!”);
– la pulsione di morte e il nichilismo che invadono il nostro immaginario, per cui intorno a Saviano si susseguono episodi morbosi e c’è una vera e propria attesa dell’evento catartico (attesa espressa in modo implicito o, com’è avvenuto sul sito del “Giornale”, esplicito);
Questi sono solo i primi “fili” che mi sono venuti in mente, ce ne sono molti altri.
Quello che penso di questa brutta storia.
http://cosimok.wordpress.com/lettere-dallesilio/
@ wu ming 1
Non credo sia un caso che negli ultimi giorni gli eventi che hanno più smosso discussioni ruotino anche intorno alle linee:
figura dell’autore/eroe
il vuoto della sinistra fossilizzata nella minoranza rancorosa
Luttazzi e Saviano per motivi diversissimi vivono sulla loro pelle il “contrasto” d’essere idolatrati e/o attaccati selvaggiamente.
Notavo questo.
Comprerò il libro L’eroe imperfetto di wm4.
@ Yamunin,
sì, hai ragione. Penso che la “paladinizzazione” di alcuni comici sia un processo simile, complementare e contemporaneo a quello di cui stiamo parlando qui. Le ragioni sono in parte le stesse.
@Wu Ming 1
Ne aggiungo qualcuno anch’io di filo.
– il disfacimento dell’illusione democratica e la contestuale ascesa di un nuovo ducetto (siamo pur sempre latini) hanno preparato il terreno all’avvicendamento di figure emblematiche, carismatiche e autoritarie. Saviano soddisfa solo le prime due condizioni e quindi divide: da destra viene considerato un fighetto opaco, usurpatore di una posizione che non gli compete (quindi tanto meglio se schiatta), e da sinistra è visto come un martire ancor prima di aver tirato le cuoia (Roberto, come si dice per i sogni, secondo me tutto questo parlare della tua morte ti allungherà la vita).
– qualcuno ha deciso di combattere una guerra. La letteratura come le arti plastiche o performative hanno formattato svariate strategie di gestione dei conflitti e delle relative conseguenze. Così la maggior parte degli autori sono sopravvissuti alla propria arte, anche senza rinunciare alla battaglia (almeno dal loro punto di vista). La strategia di Saviano non è ancora chiara. Forse aprirà una nuova via, forse è solo inadatta alla dimensione dello scontro ingaggiato. Ma in ogni caso ha aperto le ostilità senza aver valutato, apparentemente, la presenza di uscite di sicurezza. Questo fa già di lui un eroe. La sua prigionia lo santifica o lo maledice, punti di vista…
Chiarissimo, Norma, perfetto. Una volta localizzato il “nucleo” del dispositivo (che è un nucleo disomogeneo, irregolare, è semplicemente dove la matassa è più densa), individuare i fili non è difficile, soprattutto se lo sforzo è collettivo, comunitario. Il difficile è districare, sciogliere i grovigli peggiori, trovare i fili (di Arianna?) che si dipanano ed escono dalla matassa per la via più breve e meno dolorosa…
Sul dispositivo come strumento di creazione della soggettività dice cose molto interessanti Maddalena Mapelli qui http://bit.ly/aMwEWm
[…] Wu Ming 1 […]
Ecco, il post linkato subito sopra, nel pingback da Buoni presagi, è un gran bel post. Riassume quasi tutta la faccenda in modo semplice ma non semplicistico. In un altro Paese, direi che è un testo “a prova di stupido”, ma qui da noi abbondano stupidi in grado di fallire qualunque controprova, per cui… Ad ogni modo, Vicenzi (il tenutario di Buoni presagi) raramente delude, è una garanzia.
direi che il post di Buoni presagi aiuti a mettere un punto, cioè a definire le premesse del discorso che stiamo cercando di fare collettivamente.
E’ da stamane che penso che si dovrebbe cominciare a mettere ordine anche nel campo dei ragionamenti sulla *ricezione* di Gomorra e di Roberto Saviano (forse un altro filo da tirare?), se è vero che il destinatario (intendo qui il lettore non professionista) concorre alla formazione dell’opera e collabora con l’autore a situare un testo in un determinato contesto sociale.
grazie della citazione Flavio :-)
Trovo davvero interessante l’idea di Wu Ming 1 di iniziare a dipanare i fili del dispositivo all’interno del quale Saviano (e noi) soggiorniamo.
Provo a riprendere i fili, segnando alcune linee delle quali sarebbe interessante capire di più perché il dispositivo non è qualcosa che si dà da sempre e che è uguale per sempre, ma è l’esito, a sua volta, di una “storia” di lunga durata i cui snodi (e i cui scarti) potrebbero aiutarci a capire di più ( a capire di più, da parte di ognuno di noi, per se stesso, per il proprio percorso di soggettivazione all’interno del dispositivo, senza pretendere di essere tutti uguali all’interno dello stesso dispositivo).
– 1) EDITORIA IN ITALIA: l’irrompere di Gomorra segna uno scarto rispetto al dispositivo editoriale italiano? Di che tipo? Ci sono esempi simili? E prima? E dopo? (l’impatto dirompente di “Gomorra”, con milioni di copie vendute, in un paese dove si dice che un libro è un successo quando arriva a diecimila copie di venduto);
– 2) LEGALITA’ e CRIMINE ORGANIZZATO in ITALIA OGGI: cosa “muove Saviano” e cosa Saviano”muove” pur permanendo all’interno dello stesso dispositivo?
(l’atmosfera mefitica che si respira in Italia riguardo ai rapporti tra politica, economia legale e crimine organizzato, per cui la figura di Saviano si muove in uno snodo che è al tempo stesso strategico e irrisolto se non irresolubile);
– 3) SISTEMA DEI MEDIA e LEGAMI CON l’EDITORIA: quali sono in Italia oggi le linee di tendenza? e Saviano segna uno scarto? E’ una posizione di resistenza la sua? Si differenzia da quella di altri? O è conforme alle linee di tendenza del dispositivo mediatico-editoriale?
-4) SISTEMA dell’AUTORE e dell’EDITORIA: quali sono le linee di tendenza, oggi in italia? Quali i rapporti tra autore ed editore? quali le figure autoriali riconosciute dagli editori? quali i criteri in base ai quali gli autori vengono pubblicati? quali le condizioni che l’editore pone all’autore? può essere libero un autore nel mercato editoriale ialiano oggi? Saviano lo è? non lo è?
(l’anomalia nel sistema dei media determinata dal conflitto d’interessi di B., che ha creato l’annosa questione della proprietà Mondadori, sulla quale intervengono coi loro interessi gli editori concorrenti, per cui Saviano è continuamente tirato per la giacca, interrogato sulla propria coerenza, accusato di essere il prodotto di una campagna di marketing);
5) LETTERATURA E POLITICA in Italia oggi:
ci sono relazioni tra letteratura e politica? da sempre è così in Italia? Esistono condizionamenti politici per uno scrittore? Si può leggere la letteratura come letteratura di impegno? In che senso Saviano è in questo agito e in che senso attore?
(l’esile speranza in *chiunque* possa riempire il vuoto che c’è a sinistra, dove però impera uno sconfittismo congenito e una vocazione alla minoranza rancorosa, per cui Saviano viene al contempo idolatrato (“Osanna!”) e attaccato selvaggiamente (“Crucifige!”);
6) I CONDIZIONAMENTI sull’IMMAGINARIO:
da dove derivano? dai media? quali? che differenze ci sono tra radio, tv, internet? Quali media ha abitato e abita ora Saviano? In che termini ne è condizionato e in che momenti segna degli scarti?
(- la pulsione di morte e il nichilismo che invadono il nostro immaginario, per cui intorno a Saviano si susseguono episodi morbosi e c’è una vera e propria attesa dell’evento catartico (attesa espressa in modo implicito o, com’è avvenuto sul sito del “Giornale”, esplicito);
Parto dal presupposto che se si arriva alla rottura di un dispositivo (cosa che non credo sia avvenuta nel caso di Saviano) non si è improvvisamente “liberi”, ma ci si ritrova all’interno di un altro dispositivo per il semplice fatto che non possiamo cavarci dal contesto e dal mondo in cui abitiamo.
Il caso di Saviano è davvero complesso: ma come è complesso credo anche il caso di Wu Ming o di chiunque di noi inizi a riflettere “sul” o meglio “sui” dispositivi che di volta in volta condizionano il nostro modo di pensare e di vedere fino a plasmare i nostri corpi, a disciplinare i nostri comportamenti.
Non credo ci sia una ricetta per uscirne: proprio non se ne esce :-) Ma ci sono differenti modalità di essere creativi all’interno dei dispositivi.
Quando ho visto Saviano tenere delle “lezioni” in tv (era da Fazio, credo) ho visto una persona con i suoi vissuti, con il suo bagaglio di esperienze e di letture, raccontarci con forza quello che ha capito facendo leva su tutti gli accorgimenti scenici e retorici del dispositivo che lo stava ospitando e condizionando in quel momento. Io ho ascoltato e visto quello che saviano voleva mettere in scena, all’internod elle regole del gioco del piccolo schermo. Ho visto una persona usare per fini “etici” e “formativi” un dispositivo con la sapienza con cui lo usano altri per condizionare in altro modo.
certo che sono bellissimi spunti, meriterebbero di essere approfonditi :-)
nella stessa pagina di “Repubblica” di oggi in cui si descrive brevemente (e in puro stile “collage dall’ansa”) la vicenda della foto di Max, un trafiletto segnala le ordinanze di custodia cautelare per l’omicidio di Attilio Romano (che lavorava in un negozio di telefonia ed è stato ucciso nel gennaio 2005): Cosimo e Marco Di Lauro sono indicati come i mandanti.
Sto rileggendo Gomorra in questi giorni e quindi ho subito ricordato “l’anima […] scolata via da quei fori di proiettile”: “Mentre mi allontanavo […] iniziai a capire. A capire perché non c’è momento in cui mia madre non mi guardi con preoccupazione, non comprendendo perché non me ne vado, perché non fuggo via, perché continuo a vivere in questi luoghi d’inferno”.
Anche questo da mettere nella matassa da sciogliere…
Quando il Sistema uccise Carlo Giuliani, piazza Alimonda ci mise poco a prenderne il nome.
Sotto nessuno si sognò di scriverci eroe, o martire, o aggettivi simili.
“Ragazzo” ci scrissero.
Carlo, da morto, continuava a essere quello che era stato fino a qualche minuto prima: semplicemente un ragazzo, semplicemente uno di noi. Perché al suo posto poteva esserci chiunque.
Era parte di quella moltitudine che sognava ancora l’assalto al cielo, che credeva ancora possibile un altro mondo.
Non diventò, e non lo è neanche oggi, un martire. Forse è una delle rare prove di maturità di un movimento che da allora in poi ne dimostrò poca.
Se il sistema (che al Sistema è affiliato) facesse avverare la profezia di Max, nella piazza dedicata a Saviano ci sarebbe scritto “martire”, non ragazzo.
Avrebbe vinto il sistema, come sta vincendo adesso.
Se provassimo a ribaltare l’immagine di Saviano, a girare lo sguardo verso un altro tipo di pubblico, quello che nei territori controllati dalla camorra ci vive, ce ne renderemmo conto.
Da quelle parti Roberto non è un’icona della lotta alla criminalità, è la prova “vivente” della vita di merda che ti fanno fare se ti metti contro di loro.
Perciò quell’icona va distrutta. Perché a volerla tenere in piedi, oltre ai camorristi, sono coloro che hanno un fottuto bisogno di un martire. Di un eroe in cui identificarsi.
Un popolo molto diverso dai ragazz* di Genova. Forse un popolo che ha potuto strutturarsi proprio grazie alla fine di quell’esperienza.
Non sono ragazz*, non sono moltitudine, sono individui. Hanno bisogno di un individuo che li guidi e di icone (non di storie né di miti) da adorare.
Hanno bisogno del sangue per celebrare il rito della propria nascita e della propria unione, e quel sangue sperano inconsciamente (?) che sia quello di Saviano.
Forse non si rendono conto che questo messia non risorgerà, forse sperano più in un martire che in un messia. Difficile saperlo.
Saviano dovrebbe sottrarsi a questo gioco. Deve essere lui a distruggere la sua icona di eroe antimafia.
Non che non debba parlarne più, ma che cominci a parlare anche d’altro. A narrare anche d’altro.
La sua forza narrativa altrimenti sarebbe sprecata. Se non si tira fuori da questo gioco probabilmente non avremo più l’opportunità di leggere un suo libro che non sia una raccolta di articoli.
A me, per esempio, piacerebbe un sacco leggere un romanzo storico scritto da Saviano.
O sapere che ne pensa della letteratura, del cinema, della musica, degli anni ’70, degli ’80…
Penso che solo così possa liberarsi e tornare a vivere. Dimostrerebbe anche che la camorra non è in grado di rovinargli la vita.
Torni ragazzo. Uno di quelli che non vogliono eroi, almeno non nel senso classico. Uno di quelli che eroi lo sono tutti assieme.
Il cappotto di legno è pesante e mo’ è pure estate, lo riporti a Casal di principe dove lo ha indossato la prima volta.
Sarebbe la sua vittoria più grande contro il sistema. Almeno credo.
Mi ha colpito molto quello che ha scrtto WM1 (dunque anche moltissimo lo sviluppo di Maddalena Mapelli) sul ruolo marginale che ha avuto Mondadori rispetto al successo di vendite di Saviano. Già mi ero fatto un’idea del genere leggendo un post di qualche mese fa di Helena Janeczek su Nazione Indiana. E’ una questione che, per certi versi attiene principalmente ai numeri, alla diffusione, alla capillarità ma ovviamente anche alla potenza della parola. E’ importante perchè è un caso di “primato” del contenuto che esonda, esorbita dall’angusta cerchia della comunità dei lettori, che quasi prescinde dall’importanza e dal peso della casa editrice che ha creduto in lui. Ha una sorta di forza “contaminante” che arriva prima ad intaccare e poi a invadere piccolo e grande schermo. Quindi ad acuire contraddizioni irrisolte, a generare battimenti di frequenza.
Suppogo si possa dire che Saviano sia allo stesso tempo padre e figlio delle parole che ha scritto. Per la stessa ragione, penso, Wu Ming cerca di mantenersi esclusivamente all’interno della prima istanza, quella di padre, per non essere agito da quel dispositivo mediatico cannibalico da cui invece Saviano sta cercando di districarsi. Poi, certo, si tratta di approcci diversi per oggetti narrativi di natura diversa anche se credo di non dire una fesseria ravvisando una certa qual comunità di intenti, fondamentalmente. No?
Solo una cosa. Vorrei, per quello che vale, fare i complimenti in pratica a tutti quelli che prendono la parola qui. Ci vedo una voglia di argomentare, di sforzarsi, di cercare l’utilità del proprio contributo, di ascoltare, che, nel panorama attuale, definirei toccante. Si toccano corde diverse e non banali, dai tentativi di sistematizzazione ai contributi di ‘anima e testa’ (maddalena, punco, ma solo per citarne di recenti), capaci di risuonare tra di loro, e far procedere il discorso. Farlo avanzare.
E’ quell’idea di ‘costruzione moltitudinaria’, che non è affatto qualcosa di indifferenziato, ma proprio si fonda sulla specificità, sulla ‘necessità’, di ciascun apporto. Quel piano della cooperazione che parla, meglio di ogni proclama, del signicato della responsabilità. L’enorme potenzialità di un ‘intelletto generale’.
E’ una cosa bella, anche solo da seguire. E secondo me è giusto dirlo, sopra il triste rumore di fondo.
L.
Rispondendo circa un anno fa al blog della Treccani sul tema “Come nasce un best seller” Severino Cesari, nella sua estrema capacità di sintesi, spiegava che non esistono regole che rendano un libro un best seller e che in molti casi si tratta di una “felice quanto inaspettata sorpresa”. Tale sorpresa, come proseguiva Cesari, dipende dall’incrocio di più fattori: l’editore, l’agente, l’autore. Meglio: se chiamiamo linee/direzioni questi fattori, cioè se li consideriamo dinamici, possiamo dire che se in un determinato momento storico si incrociano le direzioni di un editore attento e sensibile (continuando a usare le parole di Cesari), di un agente importante e di un autore in grado di scrivere una storia “semplice capace di arrivare al cuore dei lettori”, ecco che nasce il best seller. Fin qui direi che il ritratto funziona bene soprattutto con “L’eleganza del riccio”.
La novità di Gomorra, a parere di Cesari, e di Romanzo criminale è la nascita di un filone del “romanzo della realtà” nel quale si incontrano la vitalità della letteratura da un lato e “il bisogno da parte del lettore di cercare delle risposte autentiche”. Condivido tutto, eccetto il *momento inaugurale* di questo tipo di letteratura, a meno che Cesari non intendesse dire che questi due testi inaugurano il ritorno del filone che potremmo definire “realista” tagliando molto con l’accetta e che da sempre percorrere la letteratura.
La novità di questa nuova fase realista (possiamo anche definirla secondo le categorie del NIE) a mio parere sta nel nuovo statuto del mondo letterario che per molte ragioni – alle quali lo sviluppo dell’industria editoriale non è estraneo – non presenta più come protagonisti un autore colto che scrive per un pubblico colto (la famigerata “Repubblica delle Lettere”). Sinteticamente: Giulio Einaudi e Arnoldo Mondadori mettono in piedi delle attività culturali *produttive*. Non sono mecenati, insomma: danno la possibilità a un autore di *comunicare*, ma si aspettano di ricavare un certo guadagno da questo. Decidono però di prendere strade diverse. Di nuovo sinteticamente: mentre Einaudi prosegue, almeno inizialmente, nel discorso “scrittore colto che si rivolge a lettori colti”, Mondadori intuisce le enormi possibilità aperte dall’ampliamento del pubblico dei lettori, e offre a questo nuovo pubblico (che in parte contribuisce a creare) libri *dedicati*. Il meccanismo poi si è mescolato, inevitabilmente. Una cultura *diffusa* ha generato autori di cultura o assolutamente privi di cultura (intesa nel senso tradizionale) e così il lettore non può più essere distinto tra colto o incolto. Lo spazio editoriale odierno è dunque un po’ più fluido, e la mescolanza è entrata in contraddizione con l’acquisizione di Einaudi da parte della Mondadori (e con il fatto che il padrone di Mondadori è anche capo del governo).
In tutto questo, mi interessa riflettere sulla *ricezione* per capire in che modo un oggetto narrativo arriva al lettore, quale sistema di forze genera questo incontro, a maggior ragione riguardo Gomorra, da cui sono discese conseguenze nuovissime per il sistema culturale. Credo che la ricezione abbia contribuito in modo forte a tutto questo. Per riprendere Calvino: “L’opera continuerà a nascere, a essere giudicata, a essere distrutta o continuamente rinnovata al contatto dell’occhio che legge”. Saviano stesso ha detto più volte che il Sistema non ha paura delle sue parole, ma delle persone che leggono quelle parole.
Per quanto riguarda le scelte editoriali, dal mio punto di vista (interno all’editoria) osservo che non sempre si decide di (o si può) pubblicare quello che *piace*, quello che si leggerebbe da lettori non addetti ai lavori. Non ritrovo più la fonte, ma recentemente ho letto un interessante articolo in cui si interpellavano vari editori proprio a proposito della gestione dei best seller inaspettati. In soldoni: un best seller per una medio-piccola casa editrice è una grande possibilità di libertà nel periodo successivo: con il bilancio in attivo, si può lavorare con meno pressione, decidere di fare meno novità, decidere di fare finalmente un libro che *piace*.
In nota. Ho trovato qualche lettera di corrispondenza tra Ignazio Silone e Giulio Einaudi degli anni 30 in cui Silone – in esilio in Svizzera e promotore di iniziative editoriali *non lucrative* – rifiuta di pubblicare con Einaudi perché la sua (di Einaudi) è un’attività commerciale che deve dunque fare i conti con il mercato: niente di più lontano dalla cultura, quindi (secondo Silone). E pensare che dopo qualche anno Silone è diventato autore Mondadori…
Continuo a dipanare fili:
7) LO SCRITTORE COME IL POLITICO (Italia, da quando?) : differenze (o tratti di continuità) di leadership tra Saviano, altri scrittori, leader politici.
(- il disfacimento dell’illusione democratica e la contestuale ascesa di un nuovo ducetto (siamo pur sempre latini) hanno preparato il terreno all’avvicendamento di figure emblematiche, carismatiche e autoritarie. Saviano soddisfa solo le prime due condizioni e quindi divide: da destra viene considerato un fighetto opaco, usurpatore di una posizione che non gli compete (quindi tanto meglio se schiatta), e da sinistra è visto come un martire ancor prima di aver tirato le cuoia (Roberto, come si dice per i sogni, secondo me tutto questo parlare della tua morte ti allungherà la vita).
8) SAVIANO E I POTERI: Saviano sta attuando forme di resistenza? Contro quali poteri? Esistono altri casi simili al suo? O è uno snodo nell’Italia contemporanea?
(esistono casi di altri scrittori – qualcuno ha deciso di combattere una guerra. La letteratura come le arti plastiche o performative hanno formattato svariate strategie di gestione dei conflitti e delle relative conseguenze. Così la maggior parte degli autori sono sopravvissuti alla propria arte, anche senza rinunciare alla battaglia (almeno dal loro punto di vista). La strategia di Saviano non è ancora chiara. Forse aprirà una nuova via, forse è solo inadatta alla dimensione dello scontro ingaggiato. Ma in ogni caso ha aperto le ostilità senza aver valutato, apparentemente, la presenza di uscite di sicurezza. Questo fa già di lui un eroe. La sua prigionia lo santifica o lo maledice, punti di vista…)
9) L’IMMAGINE DELLA MORTE: Max-Saviano è l’unico caso di “morte annunciata” di uno scrittore? La spettacolarizzazione della morte, la messa in scena della morte è un tema recente? Ci sono altri casi? Il caso Max-Saviano è uno scarto o rappresenta una linea di tendenza?
Leggendo tutti i commenti molto pertinenti, precisi e chiari, io faccio fatica però a trovare un punto di partenza, un punto di sintesi (impresa difficilissima!).
La domanda è: Saviano si sta “muovendo” all’interno di quale dispositivo? Di più d’uno?
Dieci tonnellate di carne sul fuoco! :-) C’è da meditare parecchio.
Io credo che il “nucleo” (la parte più densa) della matassa in cui si muove Saviano lo possiamo localizzare bene se partiamo da lui, dagli effetti che ottengono volta per volta le sue prese di posizione, dai modi in cui cerca di “smarcarsi” da un’immagine che si è autonomizzata e lo eterodirige. Insomma, io credo che in questo momento Saviano si muova in un dispositivo *specifico*, che si è costituito intorno a lui, e che fa parte di altri dispositivi più grandi, si muove tra e in quei dispositivi, ma ha una sua peculiarità. Deleuze la chiama “curva di visibilità“, cioè il profilo, la silhouette del dispositivo che ci permette di intuirne l’esistenza anche quando non ne conosciamo tutte le linee. Del resto, noi vediamo un gomitolo e capiamo cos’è *prima* di distinguere filo per filo (“Ogni dispositivo ha il suo regime di luce, la maniera in cui essa cade, si smorza e si diffonde, distribuendo il visibile e l’invisibile, facendo nascere o scomparire l’oggetto che non esiste senza di essa”, G. Deleuze, Che cos’è un dispositivo?, Cronopio, 2007, p. 13)
Allora: la prima curva a essere percepita è quella di visibilità: noi vediamo che c’è un dispositivo. La seconda è la “curva di enunciazione“, che è un’espressione difficile ma si può decrittare piuttosto facilmente: un dispositivo è fatto di discorsi, e si definisce portandoli avanti. La curva di enunciazione del dispositivo-Saviano è molto evidente e individuabile: la testimonianza, il coraggio della parola, la parola che sfida il potere, il testimone che diventa eroe, le conseguenze che l’eroe patisce per aver portato quella parola, l’odio per quella parola e quella testimonianza etc. Questo è già il “nocciolo”, la sostanza di ogni futura ricostruzione storica del caso Gomorra/Saviano. Qui saltano all’occhio le similarità con il modo in cui si storicizza Pasolini.
Quindi, noi prima vediamo un dispositivo (curva di visibilità), poi lo udiamo (curva di enunciazione).
La terza cosa che avvertiamo è l’esistenza di linee di forze, che – per riassumere brutalmente la descrizione di Deleuze – collegano le immagini ai discorsi. Queste linee tracciano collegamenti tra le due curve descritte sopra, agiscono “come frecce che continuano a intrecciare insieme le cose e le parole, senza per questo eliminarne la lotta” (Ibidem, p. 15). Le linee di forze definiscono lo spazio del potere: il potere del dispositivo, il potere dell’immagine di Saviano, gli effetti prodotti dai circoli – virtuosi o viziosi – tra la parola di Saviano e il suo volto-icona. In parole povere: queste linee definiscono lo spazio (mediatico, simbolico etc.) in cui Saviano si muove, cerca di muoversi, riesce a muoversi, gli è consentito di muoversi. Questo discorso sembra astratto, ma ho un asso nella manica, un esempio visivo. La scena del campo di forze fotoelettrico in cui si muove Vincent Cassel in “Ocean’s Twelve”:
http://www.youtube.com/watch?v=4Pjp2Edhkf4
Ecco, quelle sono le linee di forze. Saviano è costretto a muoversi così.
A volte Saviano “scarta”, cambia direzione, e ottiene un temporaneo vantaggio sul simbolo che rappresenta. Un momento di libertà. Si muove lungo quelle che Deleuze, sulla scorta di Foucault, chiama “linee di soggettivazione“, che un soggetto traccia quando *supera* le linee di forze di cui sopra, esce dallo spazio che le linee di forze recintano. Una linea di soggettivazione è una *linea di fuga*.
Noi un momento così lo abbiamo individuato nella risposta pubblica a Marina Berlusconi, il cui senso (forse pienamente comprensibile soltanto a chi sta dentro l’editoria) era: “Non stavo parlando con te. Io voglio prese di posizione dalla casa editrice, e con questo intendo chi la fa, chi la manda avanti nella sua materialità e attività quotidiana. Voglio sentire i pareri di dirigenti, editor, capi-collana. Gente che lavora coi libri e per i libri. La casa editrice sono loro, non il cognome che porti.”
Un altro momento, e sono d’accordo con Maddalena, è stato il monologo “teatrale” da Fazio in prima serata. Anzi, si tratta di due monologhi, in due serate diverse.
Ovviamente, non si esce mai dai dispositivi, noi siamo sempre calati in un contesto. Deleuze ipotizza che una linea di soggettivazione/fuga sia in realtà il bordo di un dispositivo nuovo, che nasce dal collasso di quello vecchio: “produzioni di soggettività che sfuggono ai poteri e ai saperi di un dispositivo per reinvestirsi in quelli di un altro, sotto nuove forme che ancora devono nascere.” (Ibidem, p. 20). La crisi del vecchio dispositivo annuncia una nuova linea, che Deleuze chiama in diversi modi: “linea di fenditura”, “linea di frattura” etc.
Un soggetto è tanto più libero quanto più sarà consapevole di muoversi in un dispositivo (in più dispositivi), e quanto più sarà in grado di *superare* linee di forze troppo stringenti e limitanti (come Vincent Cassel nel video linkato sopra), e tracciare linee di soggettivazione che costringano il dispositivo a cambiare, a ripiegarsi per cambiare forma (linea di fenditura) o rompersi (linea di frattura).
Madonna, che fatica! :-O
@ maddalena mapelli
“Trovo davvero interessante l’idea di Wu Ming 1 di iniziare a dipanare i fili del dispositivo all’interno del quale Saviano (e noi) soggiorniamo. Provo a riprendere i fili, segnando alcune linee delle quali sarebbe interessante capire di più perché il dispositivo non è qualcosa che si dà da sempre e che è uguale per sempre, ma è l’esito, a sua volta, di una “storia” di lunga durata i cui snodi (e i cui scarti) potrebbero aiutarci a capire di più ( a capire di più, da parte di ognuno di noi, per se stesso, per il proprio percorso di soggettivazione all’interno del dispositivo, senza pretendere di essere tutti uguali all’interno dello stesso dispositivo).”
Concordo sul fatto che l’immagine della matassa e dei fili che la compongono sia molto efficace nel visualizzare la complessa architettura di relazioni in cui possiamo riconoscere il concetto di dispositivo. Ma…la linearità (per quanto molteplice e aggrovigliata) che l’idea stessa di filo suggerisce, mi sembra fuorviante.
E’ da più un secolo che la gestione concettuale della complessità ricorre a modelli non lineari. Per provare a visualizzare un modello della dinamica degli eventi che ha trasformato il piacere dello scrivere di un ragazzo napoletano nel caso Saviano, propongo un brano tratto dal saggio “Dal nulla al divenire della pluralità” di Carlo Tamagnone (Editrice Clinamen, 2009 – qui trovate ampi estratti dei saggi di Tamagnone http://indeterminismo.bravehost.com/indet-site-terza.htm)
……………………..
Contro la tendenza a “necessitare” la complessità semplicizzandola è necessario ricondurla al suo significato più vasto, complicato, articolato, poliedrico, fuori dal cliché del “non poter definire-determinare per ignoranza o difficoltà di calcolo”. Il complesso non è l’olistico ma un comportamento “collettivo” con elementi di casualità che non permettono assolutizzazioni deterministiche. Il complesso è perlopiù probabilistico e non ci si può limitare a considerare la complessità lineare (dove l’indagine è facile) ma considerare anche la intricata (assai più difficile). La distinzione tra la complessità lineare e quella intricata ci induce ad associare a questa il concetto di ordine indeterministico, che non è un ossimoro ma implica il superamento di quegli schematismi mentali che associano la necessità all’ordine e il caso al disordine. L’ordine è solo uno stato di equilibrio e il disordine di squilibrio, poiché la realtà è mescolanza di equilibri che si squilibrano e di squilibri che si equilibrano. Le mutazioni portano un nuovo che qualche volta ha successo e molte altre no in un cammino per tentativi (peiratico) fatto di successi e insuccessi, di nascite e di aborti. La causalità lineare è solo “variazione di forma” dell’esistente; quella intricata invece “cambia” l’esistente.
L’intrico c’è dove le cause non sono connesse da una vettorialità ma sconnesse in una multidirezionalità, Un temporale molto violento è certamente un evento caotico che può avere conseguenze gravi o non averne. Da un grosso e vecchio albero attaccato dall’edera può sempre staccarsi un grosso ramo più secco, precipitare e ostruire una strada. Ma con tutto ciò, risalendo alle cause della perturbazione e alle condizioni dell’albero, siamo solo di fronte ad un accadimento provocato da una differenza di pressione nata da tutt’altra parte, da una forte umidità locale dovuta all’evaporazione, da un improvviso abbassamento di temperatura in quota e poi dalla vecchiezza della pianta. Tuttavia i grossi rami di vecchi alberi malati perlopiù non si staccano durante i temporali, anche se si può danneggiare l’attacco al tronco principale, sicché il ramo magari cade qualche settimana dopo per una modesta pioggerella che lo avrà e per uno scoiattolo saltato su di esso coi suoi pochi etti dinamici. Il ramo si staccherà e se la pianta costeggia una strada e in quel momento passerà il signor Rossi con la sua utilitaria esso rovinando magari la prenderà in pieno. Ci saranno molti o pochi danni alla carrozzeria e forse qualche scaglia di vetro sulla fronte del malcapitato; però, se lo prende in testa, può farlo secco.
Nell’incidente patito dal signor Rossi le variabili del sistema appartengono a ordini differenti, con un temporale che ha dato inizio al processo senza effetti, con una pioggerella quindici giorni dopo, il salto di uno scoiattolo, e poi soprattutto il passaggio in quel momento dell’utilitaria. Nessuna relazione causale di tipo lineare in tale complessità di fenomeni fisici nel sistema “bosco lungo una strada”. Solo cause sconnesse nate da un intrico causale del tutto casuale nel “lì e in quel momento” in cui c’è un’effettualità reale del tutto imprevedibile. Qualsiasi tentativo di volere connettere le cause dell’evento, farne un processo lineare e farlo diventare deterministico, è destinato al fallimento. E non già perché siano intervenuti due animali a determinarlo di cui uno vittima: il salto dello scoiattolo potrebbe essere sostituito da una pietra staccatasi da un declivio soprastante, o da un altro ramo più in alto caduto su quello in bilico o dal ventaccio di tre giorni prima che lo ha messo in tensione. E come il signor Rossi potrebbe esser sostituito dalla vecchina che sta andando dal fornaio o da una mamma che spinge una carrozzina con un bambino e così via. Le variabili del sistema sono “a piacere” ma il risultato indeterministico non muta: non c’è consequenzialità necessitata, siamo di fronte a complessità intricata e non lineare.
@ Norma,
un singolo filo tirato è lineare, ma una matassa composta da fili di ogni sorta e dimensione intrecciati, annodati, aggrovigliati, e che si collega ad altre matasse, beh, quest’immagine non evoca alcuna linearità, è anzi una figura del molteplice e dell’impredicibile. Se c’è un pensiero che sta nella complessità senza determinismi di alcun genere, è proprio quello di Deleuze. Comunque, testi altrui (anche quando sono parecchio interessanti) è meglio linkarli e basta, o meglio ancora linkarli + parafrasarli, “scioglierli” come ho fatto sopra con “Che cos’è un dispositivo?” di Deleuze. Se ci mettiamo a copiare cose e incollarle nei commenti, rischiamo da un lato di prendere scorciatoie, e dall’altro di intasare lo spazio a disposizione.
Giusto per chiarire cosa stessi citando quando ho introdotto la metafora della “matassa” (che usata da me era più, ehm, prosaica):
“[Un dispositivo] è innanzitutto una matassa, un insieme multilineare, composto di linee di natura diversa. Queste linee nel dispositivo non delimitano né circoscrivono sistemi di per sé omogenei – oggetto, soggetto, linguaggio ecc. – ma seguono direzioni, tracciano processi in perenne disequilibrio; talvolta si avvicinano, talvolta si allontanano le une dalle altre. Ogni linea è spezzata, soggetta a variazioni di direzione, biforcante e biforcuta, soggetta a derivazioni. Gli oggetti visibili, gli enunciati formulabili, le forze in esercizio, i soggetti in posizione sono come vettori o tensori.”
G. Deleuze, Che cosè un dispositivo?
Sul blog Salgalaluna, altre considerazioni su Eroi di carta:
http://www.salgalaluna.com/?p=513
Colgo lo spunto di Maddalena e provo a proporre un possibile punto di partenza.
Su cosa verte le critica che Dal Lago muove a Saviano? Nello specifico sull’articolazione di “«un dispositivo narrativo a tre prime persone» – l’io narrante, l’autore e il «Saviano in carne e ossa»” [cito da Carmilla]
La prima cosa che si nota, o almeno che io noto, è una certa difficoltà nel definire in che cosa differiscano l’autore ed il “Saviano in carne ed ossa”. Roberto Saviano in carne ed ossa è l’autore di Gomorra. Su questo non ci piove.
Che cosa ha nel mirino Dal Lago, quando propone questa bipartizione?
Credo che Dal Lago sia vittima di un errore imperdonabile di confusione, in quanto non riconosce che uno dei due termini è il prodotto del dispositivo mediatico di cui Saviano, come si è già detto, fa un uso strategico, ma da cui, inevitabilmente è usato.
Insomma piuttosto che di un “Saviano in carne ed ossa”, credo che sarebbe più giusto parlare di “un’immagine di Roberto Saviano”. Immagine che, è quello che vorrei mettere in luce, ha caratteristiche peculiari e sulla quale si giocano molti dei fraintedimenti che questa vicenda presenta.
In questi termini, l’ambiguità tra autore e “Saviano in carne ed ossa”, che permeava la tripartizione di Dal Lago, svanisce. Da una parte abbiamo l’autore di Gomorra, dall’altra il risultato di un dispositivo con cui quest’ultimo ha avuto a che fare. In un’altra posizione, su cui si è scritto cose alquanto interessanti (cfr. http://bit.ly/de91wI), l’io narrante.
Quali caratteristiche presenta “l’immagine di Roberto Saviano” prodotta dal dispositivo mediatico? Molte le abbiamo già viste nel corso delle discussioni: il “Saviano sei tutti noi” a cui si riferiva la pubblicità di Current (cfr. http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=157), il “Saviano-cristo-morto-di-Mantegna” che la foto di Max chiamava in causa, o il “Saviano Vate” che emergenva dall’analisi della composizione plastica dell’inquadratura nel video “La potenza della letteratura” (a cui, sfortunatamente, non posso rimandarvi).
Ciò che accomuna queste immagini, che costituiscono “l’immagine di Roberto Saviano”, è la loro alta magnitudo, il loro essere totali, invasive, impossibili da negoziare per lo spettatore. Queste immagini si impongono con una forza che cancella radicalmente l’esistenza dell’autore di Gomorra e la sostituisce con dei costrutti testuali che lo sovradeterminano, lo inseriscono in una cornice discorsiva che lo imprigiona in un ruolo dal quale, come nota punco, uscire è molto difficile, ma necessario.
Siamo qui nel regime che Serge Daney chimava “visuel” (visivo), contrapponendolo ad “image” (immagine). Il visivo “sarebbe la verifica ottica di un funzionamento puramente tecnico. Il visivo non ha controcampo, non gli manca nulla; è chiuso, accerchiato, un po’ come lo spettacolo pornografico che non è altro che la verifica estatica del funzionamento degli organi, e solo di esso.” [Cinema, Televisione, Informazione].
Mentro l’immagine “sarebbe piuttosto il contrario. L’immagine si produce sempre ai confini tra due campi di forze; essa è votata a essere la testimone di una certa alterità e, benché possieda sempre un nocciolo duro, le manca sempre qualche cosa. L’immagine è sempre più e meno di se stessa.” [Ibidem]
Se volessimo dirla con Deleuze, potremmo dire che il “Roberto Saviano” prodotto dal sistema mediatico è “simulacro” piuttosto che immagine, perché privo di quella natura processuale, di quel movimento incessante dello sguardo tra “il soggetto ed il mondo”, che è la cifra costitutiva di ogni immagine. Dal Lago confoderebbe, insomma, il simulacro di Saviano con il “Saviano in carne ed ossa”.
La differenza tra “visivo” ed “immagine”, tra “immagine” e “simulacro” è la stessa che passa tra il Saviano di Nazione Indiana, capace di negoziare la sua immagine in un rapporto “orizzontale” con i suoi lettori, ed il Saviano “mediatizzato” che si impone in virtù della sua magnitudo e di cui neppure Saviano stesso può negoziare alcunché.
Insomma, allo specchio, all’immagine riflessa con cui era possibile, tanto da parte nostra, quanto da parte di Saviano, negoziare la propria soggettività, si è sostituita una maschera da indossare o avversare.
Semplificando brutalmente, qui la posta in gioco non è tanto definire il ruolo o le responsabilità di Saviano, quanto piuttosto definire quali possibilità di negoziazione della soggettività sono rese possibili dai singoli media. Mi sembra abbastanza evidente che il circuito mediatico offra, in questo senso, sapzi alquanto ristretti, ma che, soprattutto, dia adito a gravi fraintendimenti, quando non si hanno ben presente i suoi meccanismi di funzionamento.
le difficoltà nell’analisi derivano, per me, principalmente dal fatto che stiamo tentando di descrivere un dispositivo in fieri, che in ogni istante dipana e aggroviglia nuove linee. Basti pensare a cosa è successo a questo post: si è partiti discutendo su Eroi di Carta e ci siamo trovati a fare i conti con la foto di Max. E dall’imbroglio propinato da Dal Lago sulla triade narrante di Gomorra siamo passati per necessità ad affrontare la questione immagine/simulacro.
Credo quindi che sia impossibile pensare ora a una *sintesi*, e trovo stimolante questa riflessione proprio perché ci fa confrontare con qualcosa di assolutamente nuovo (per come si è formato, per come continua a esistere, per la realtà nella quale si muove, per gli strumenti di analisi che ci costringe a usare e addirittura inventare).
@danae: dici bene. La velocità con cui si sviluppano queste discussioni su internet ne fa dei momenti di confronto tanto intensi quanto profondi. Per la sintesi, che è comunque necessaria, bisognerà trovare altri momenti, altri spazi, e, forse, altri mezzi.
Ops…ho preso nota :)
Permettimi di insistere nella distinzione tra complessità lineare e non lineare. Lo schema che hai proposto è completamente vettoriale, e la sua direzione è determinata dalla polarità causa-effetto. Naturalmente l’insieme è (apparentemente) confuso, complicato e caotico, ma, proprio come suggerisce il modello dei dispositivi, dipanabile (almeno in parte). Rientra nella tipologia del “non poter definire-determinare per ignoranza o difficoltà di calcolo”. Anche l’ipotesi delle vie di fuga (“linee di soggettivazione” che generano “linee di fenditura”, ovvero nuovi dispositivi) a me sembra che mantega sostanzialmente una natura vettoriale (cambia la forma, ma non la sostanza).
Curiosamente una delle dimostrazioni più importanti della meccanica quantistica è l’esperimento “della doppia fenditura” (dimostra la dualità onda-particella di luce e materia), che già dal 1961 confermava sperimentalmente il principio di indeterminazione di Heisenberg.
Sintetizzando, la natura esclusivamente probabilistica della conoscenza dei fenomeni complessi.
Se è vero che le applicazioni della meccanica quantistica sono principalmente legate al mondo microscopico delle particelle elementari (laser, microscopio elettronico, risonanza magnetica nucleare, diodi e transitor) le sue conseguenze indirette sono state vastissime a molti livelli. Considerando tra gli spin-offs anche solo le teorie del caos e della complessità, profondamente intrecciate tramite la nozione di “comportamento emergente”, vediamo come questo modo di interpretare la relazione tra gli eventi abbia avuto applicazioni estensive ad esempio nella finanza, biologia, meteorologia, cibernetica, etc…fino all’epistemologia della complessità di Edgar Morin.
Quello che voglio dire è che l’apparente eccezionalità di una vicenda andrebbe comunque ricondotta alla “normale” eccezionalità di tutti gli eventi complessi, di cui si può solo indicare la probabilità statistica e non la ragion d’essere profonda (se mai ce n’è una). Di quest’ultima fortissima pulsione verso la “verità” si possono occupare solo discipline deterministiche come la metafisica o la religione.
E ritorniamo al Cristo del Mantegna di Benedetta Tobagi…
@ Norma,
provo a risponderti, anche se il confronto si sta facendo troppo astratto e “incartato”, epistemologico, meta-discorsivo. Invoco il “facciamo a capirci” once and for all, poi torniamo a bomba a Saviano, d’accordo?
Per come la vedo io, stiamo parlando per metafore: l’apparente “vettorialità” del dispositivo (immagini come “linea”, “matassa”, “fenditura”, “dipanare”) è un effetto prodotto dalla necessaria riduzione di complessità che è il pre-requisito di ogni discorso non specialistico e improntato a un’etica pragmatica, cioè: per poterci capire, per aiutarci l’un l’altro a “visualizzare” ciò di cui stiamo parlando, per dialogare tra noi in modo costruttivo e magari trarre dal dialogo suggerimenti per una prassi, è necessaria una traduzione della complessità (di qualunque complessità) in immagini, in metafore, che naturalmente riducono la complessità reale. Quest’ultima, nella sua forma bruta, non è nemmeno percepibile o immaginabile, non è catturabile dal pensiero, men che meno dal linguaggio. Per poterci confrontare tra noi dobbiamo adottare alcune convenzioni, cioè dobbiamo filtrare la complessità per mezzo di modelli, esempi, descrizioni approssimate etc. Possibilmente senza banalizzare.
Insomma: è chiaro che *nel linguaggio* esistono le cause e gli effetti. Non vuol dire che gli effetti non siano a loro volta cause, che non retroagiscano sulle loro stesse cause, che le cause non siano effetti di altre cause che sono anche effetti etc. Ma noi dobbiamo usare le parole e capirci tra noi, quindi dobbiamo e/semplificare.
Un dispositivo non è altro che una “nube quantica”, è fatto di probabilità (tutto è fatto di probabilità). Le linee non sono davvero linee, come quelle degli elettroni non sono orbite, come quella dei quanti non è una nube. Deleuze ha ben presenti i vari rovesciamenti epistemologici occorsi nel Novecento, fa continuamente riferimento al dibattito scientifico contemporaneo.
Il punto allora è: lo schema che ho desunto da Deleuze è utile nel concreto? Può servire come griglia per leggere quel che sta accadendo a Saviano e lui stesso fa accadere? Questo senza alcuna pretesa di esaurire tutta la complessità e indeterminatezza di tutti i processi che hanno luogo.
Trovo la meccanica quantistica sicuramente un modello interessante, ma – per esperienza sul campo – inadeguato all’analisi di un testo letterario, nel quale le “particelle” in gioco sono di natura troppo diversa tra loro per essere assimilate e compresse in un’unica categoria.
Portando alle estreme conseguenze il ragionamento della meccanica quantistica, spingendolo nell’astratta statistica, dovremmo rinunciare all’analisi letteraria: dovremmo semplicemente osservare un testo senza poter dire “cosa” dice, “come” lo dice, “quali” effetti ha, “dove” si situa.
Il dibattito sul postmoderno e sul superamento del postmoderno è ancora in atto, ma è abbastanza evidente che la letteratura postmoderna che ha fatto del caos (nel senso della fisica) il suo orizzonte ha abbastanza rapidamente mostrato la corda (così mi pare, almeno).
Ritorno a Calvino: senz’altro le Cosmicomiche e Ti con zero sono un bel gioco letterario, ma non sono in cima alle mie letture ricorrenti.
Partiamo dal fatto che il “dispositivo Saviano” nasce da uno scrittore e dalla sua opera (Gomorra e non solo). Abbiamo quindi bisogno di strumenti utili e validi che a partire da un’analisi letteraria ci possano mostrare i meccanismi del dispositivo.
Sul necessario equilibrio (frutto di un continuo andirivieni) tra cosmos e caos nella letteratura, di Alessandro Serpieri (non tutto condivisibile, ma mi sembra chiaro rispetto ad alcuni punti): http://www.unifi.it/rivlea/upload/sub/LEA0_110505/La_critica_letteraria.pdf
Ecco, appunto, Danae ha spiegato meglio di me: il continuo richiamo a una maggiore complessità può avere effetti paralizzanti e generare un vero e proprio interdetto: i discorsi si fanno esponenzialmente più astratti e autoreferenziali, quindi non solo si perde il focus sull’oggetto della discussione (già negli ultimi due-tre scambi Saviano e le sue esigenze sono pressoché scomparsi), ma si innalza anche la “soglia” d’accesso alla discussione, per cui chi non ne sa di fisica quantistica etc. si sente inadeguato a parteciparvi. Ecco l’interdetto. Lo sforzo di noi WM, invece, è sempre quello di *spiegare* i riferimenti, di rendere accessibile la teoria, anche correndo il rischio di “volgarizzarla”.
Ok.
Non credo che il caso di Saviano sia emblematico, che possa essere astratto per trarne delle indicazioni generali. Trasuda vitalità da tutti i pori, anche quest’ultimo gesto sprezzante della foto ne sottolinea la fisicità. Vedendolo in tv mi è capitato di chiedermi che odore avesse. E’ carne, ossa e sudore. Fatica per ciò che ama e per ciò che odia.
Il clima che si sta instaurando mi ricorda “Improvvisamente l’estate scorsa”, il film di Mankiewicz in cui Gore Vidal (sceneggiatore) fa esplodere la vicenda creata da Tennessee Williams in una catarsi orgiastica di cannibalismo, stupro e follia.
Saviano è lucido, troppo per una società che riflettendosi nella sua superficie specchiante oscilla tra l’impulso di sputarsi in faccia e quello di fare a pezzi lo specchio.
Sulla “non emblematicità” del caso Saviano devo pensarci. A occhio e croce, mi sembra che sia singolare ed emblematico al tempo stesso… Interessante il suggerimento cinematografico, mi sa che quel film non l’ho mai visto. Me lo procuro.
http://www.style.it/news/le-notizie-del-giorno/2010/6/25/ecco-da-dove-viene-la-foto-scandalo-di-saviano-cadavere.aspx
chiedo venia per la fonte, ma mi sembra tutto così paradossale…! mancano le parole… si combattono il copyright!!!
Non ho potuto seguire tutti i post perchè sono di corsa e mi scuso se sono un po’ fuori tema.
Riporto semplicemente come spunto per una eventuale riflessione il frammento di un email di un amico che conosce Saviano:
“Ho passato la mattina con Saviano e ne sono uscito rivitalizzato. Saviano é il contrario della morte.”
E’ questa “vitalità” contagiosa che disturba una società con forti pulsioni di morte?
penso che questo frammento di email vada molto bene d’accordo con il richiamo di Norma alla fisicità di Saviano.
Senz’altro la sua “vitalità” è un gran bel problema per la società… In questo senso ritengo Saviano certamente singolare, forse emblematico (sempre che con questa parola non si intenda qualcosa di statico e rigido).
(salto tutte le cose che mi verrebbero da dire su quanto sono scritti bene i commenti che leggo qui, e continuo a scrivere sulla scorta delle idee ricevute)
Propongo di semplificare e di tornare coi piedi per terra.
L’immagine di Saviano è, in primo luogo, la sua foto, il suo corpo fotografato, il suo corpo che, in un video, si muove, le sue braccia che gesticolano. Provo a guardare solo le “immagini” dei luoghi virtuali (cioè dei dispositivi virtuali) che RS abita.
Perciò provo per un istante, a non-leggere le parole, a non- ascoltare le parole, ma a “guardare” e basta.
1. “Guardiamo” per prima cosa RS all’interno del dispositivo Nazione Indiana. Qui non c’è un volto, non c’è una “immagine” di Roberto, io “vedo” solo scrittura:
http://www.nazioneindiana.com/author/roberto-saviano/
Possiamo dire che qui c’è l’assenza totale di un’immagine dell’autore? Possiamo dire che qui c’è un autore senza un volto (come Wu Ming?, ma differente da Wu Ming?)
Le domande sono: all’interno del dispositivo “Nazione Indiana” c’è un regime di visibilità tale per cui tutti gli autori sono “senza volto”? Ci sono eccezioni? Saviamo sceglie di essere “senza volto” perché costretto dal dispositivo? O poteva scegliere in altro modo? Che fanno gli altri autori? Riescono ad aggirare il dispositivo NI, facendo vedere al lettore il proprio volto?
2. Sopra ogni articolo pubblicato da Saviano su NI c’è un link attivo che rinvia al suo sito personale
http://www.robertosaviano.it/
Clicco: cosa vedo? Quale “immagine” appare di RS?
Nessuna foto: solo rosso e bianco. E scrittura.
3. La prima foto la trovo cliccando su biografia:
http://www.robertosaviano.it/biografia
c’è una foto di medie dimensioni (volto in bianco e nero)
4. Procedo:
http://www.robertosaviano.it/category/gallery/ ci sono due foto, di piccole dimensioni impaginate all’interno di due incipit di articolo
5. clicco sulla prima delle due foto in miniatura: è un video (a colori, buona definizione) minuti 4.48, siglato come “Repubblica, radio Tv”. Lo interrompe un applauso: l’immagine si allarga, scopro che Saviano è su un palcoscenico, ci sono due persone in piedi vicino a lui. Riprende a parlare, termina, ricomincia l’applauso, beve l’acqua, il video non si interrompe, inquadratura finale sul pubblico che applaude.
Appunti: mi colpisce il particolare che il video non sia stato tagliato mentre lui beve l’acqua, mi colpisce il fatto che non si capisca fin dall’inizio il luogo in cui lo scrittore si trova: è un palcoscenico, il pubblico applaude, l’applauso del pubblico e il palcoscenico sono parte integrante del video…
Qui mi fermo per ora.
Sono di fronte a differenti modalità di articolazione dell’immagine di sé dettate in parte dai regimi di visibilità imposti da differenti dispositivi (il blog multiautore NI che inibisce l’articolazione visiva dell’autore) e il sito personale di RS che invece la articola. Non da subito. La home page del sito personale è un punto di passaggio.
Il sito personale lo si può creare come si desidera, a meno che RS non ne sappia nulla e che il tutto sia in mano ad un’agenzia che ne sta curando la pubblicizzazione. In questo caso l’analisi si complica…
(grazie per questa analisi sull’immagine “pubblica” di Saviano!)
Provo ad applicare le considerazioni fatte dal fronte che frequento di più:
Roberto Saviano propone il suo testo a Mondadori (e ad altri editori? Forse WM1 lo sa?). L’editor che lo legge pensa che valga la pena portare avanti il “processo” (credo che lo stile sia stata la prima cosa che l’ha colpito, non dimentichiamo che Franchini è editor della narrativa Mondadori, non della saggistica). Mondadori (l’editor + il “commerciale”) fa valutazioni del tipo: bè, l’argomento può essere d’interesse, l’autore è noto almeno per un certo gruppo di lettori, il testo (soprattutto) è scritto bene e quindi potrebbe intercettare sia il lettore di “narrativa” che quello di “inchiesta”: possiamo provare a farlo. 5.000 copie è una tiratura congrua per un testo dal quale ci si aspetta qualcosa ma non troppo. Sicuramente hanno avvertito la potenza del testo, ma forse non fino in fondo. Non hanno lavorato molto sul testo, non ce n’era bisogno (anche se – e solo per deformazione professionale, non voglio fare Dal Lago! – accenno en passant a qualche ripetizione che forse una “mano di redazione” avrebbe potuto eliminare per dare maggiore perfezione narrativa: l’odore di sangue intriso alla segatura, le donne vestite in giallo come la Thurman…). Danno al libro un titolo forte e una copertina che non lascia indifferenti. Mettono anche la foto dell’autore in quarta.
E Mondadori lascia andare il testo, la zattera comincia a navigare.
In quale mare? Nel mare dell’idolatria delle griffe (vere o false che siano); nel mare dei piccoli accomodamenti quotidiani che a lungo andare anestetizzano ogni volontà; nel mare della non lettura, della non cultura, del non dibattito; nel mare in cui la “scuola” è solo quella di Amici…
L’effetto è dirompente. La società nella quale Gomorra va a situarsi è del tutto impreparata ad accogliere quel libro, non ha le categorie per valutarlo e farlo proprio o rigettarlo. E così al suo autore si fanno domande come: sei uno scrittore? e allora perché parli di camorra? Sei un intellettuale? e allora perché non fai politica? Sei un testimone oculare? e allora perché non vai da un magistrato?
Gomorra è un elemento perturbante, che costringe alla ricerca di categorie nuove, per sue caratteristiche intrinseche:
1) racconta in modo potente, e quindi tocca nel profondo il lettore, anche quello che pensa di essere immune, anche quello che dice “Non mi piace com’è scritto, però mi ha colpito”. Soprattutto questo tipo di lettore dimostra che gli strumenti retorici (nel senso di costruzione narrativa del discorso) sono persuasivi e raggiungono l’obiettivo. Su questo WM1 ha scritto molto, con grande chiarezza.
2) il metodo: Saviano conosce molto bene il linguaggio e le categorie del suo “territorio”. Chi come me è stato all’Auditorium di Roma lo scorso marzo e ha avuto la fortuna di sentirlo parlare un paio d’ore dei cantanti neomelodici ha potuto capire ancora meglio la sua capacità di prendere quel linguaggio e quelle categorie e ribaltarli restituendo un altro ordine di significato.
3) il destinatario del testo è, come sempre nella letteratura, un lettore ideale che è diventato reale in modi finora mai (o solo raramente) osservati.
Abbandono le caratteristiche intrinseche, leggo *l’attualizzazione delle potenzialità*: quando a Casal di Principe Saviano ha parlato a quei ragazzini (maschi da una parte, femmine dall’altra) è andato a cercarsi il suo lettore ideale e dicendogli quelle parole, facendo i nomi dei boss l’ha reso lettore reale, lettore che ha “letto” (ascoltato), che ora sa, e non può non cogliere il messaggio. Da quell’episodio è scaturito tutto il resto.
4) il testo ha un forte senso e significato politico. Non può quindi rimanere sulla pagina. Non è solo un racconto, non è solo un libro che con il passaparola viene comprato e letto da tanti. Non è solo un argomento da salotto radical chic, da cena su un terrazzo in una sera d’estate. Deve muoversi, uscire, creare dibattito, essere maneggiato e masticato.
Questo credo sia il punto in cui il primo meccanismo “Gomorra” si è bloccato e ne è spuntato fuori un altro. La vita sotto scorta di Saviano gli ha impedito la comunicazione “politica” di Gomorra, gli ha impedito l’agorà, le presentazioni e i dibattiti in ogni città, paese, paesino, nelle scuole, nei bar, nei teatri (l’orizzontalità, insomma).
Saviano è stato rinchiuso (protetto) e da allora la sua presenza è entrata in un altro circuito, che ci e gli era sconosciuto. E’ diventato suo malgrado “immagine” in una società che fa dell’immagine un mantra ossessivo. Si è fatto (è stato fatto) “simulacro”. Su questo Flavio Pintarelli ha scritto meglio di me. Nel campo di forze che ora agiscono chi parla e chi ascolta usano le stesse parole ma categorie differenti.
Il primo meccanismo Gomorra bloccato, il secondo in continuo farsi e disfarsi che come un’anguilla sfugge a ogni analisi (e quindi è difficile da governare): tutto questo ha impedito anche il normale scorrere della vita creativa del narratore Saviano. L’obbligo alla parola detta, in qualsiasi occasione, l’obbligo a una parola pesante, densa comunque e dovunque hanno creato un cortocircuito pericoloso per lui. L’impossibilità del silenzio necessario a far posare il racconto su una pagina. Siamo al terzo meccanismo? Gomorra come testo di un narratore che non può più essere narratore? Gomorra come testo congelato, fisso, simulacro, che quindi è depotenziato dal suo senso politico?
Su questo procedo a riflettere…
Ho ritrovato il trailer del video “La potenza della letteratura” a cui facevo accenno nel post di ieri. Lo linko, così potete darci uno sguardo. http://www.palumbomultimedia.com/vip/wordpress/?p=402
@flaviopintarelli:
impressionante! è la prima volta che vedo Luperini silente!
Sto riflettendo sulla modalità espressiva “monologo” che sempre più Saviano frequenta, la mancanza di un reale contraddittorio, la debordanza della sua parola…
altra immagini del campo semantico “morte”: Forattini sintetizza l’uscita dell’Italia dai mondiali con 11 bare azzurre disposte su un campo di calcio:
http://www.clandestinoweb.com/number-news/156392-vignetta-bare-su-il-giornale-e-forattini-fa-infuriare.html
dal lato “ricevente”: interessante le reazioni al nuovo disco di Eminem (dopo un periodo di disintossicazione). Non va bene, dicono i suoi fans: non è più cattivo, non è più *Eminem* (il simulacro).
Scusatemi, durante il week-end mi collegherò alla rete poco o niente. Giusto per sbloccare qualche commento in moderazione. In rapido passaggio, rispondo alle domande dirette di Maddalena e Danae:
1. Il sito ufficiale di Saviano non è curato direttamente da lui, anche se lui è in contatto con chi ci lavora. Aggiungo: sono molto rari i siti ufficiali di scrittori italiani curati direttamente dai medesimi. Noi WM siamo, se non proprio mosche bianche, mosche molto, molto chiare di pelo :-)
2. Che io sappia, prima di darlo alla Mondadori, Saviano propose Gomorra ad altri due-tre editori (mi dicono anche a Feltrinelli, ma relata refero), ricevendo sempre rifiuti.
3. In origine il libro era molto più voluminoso di quello dato alle stampe, si dice – ma questo potrebbe dircelo solo Helena Janeczek, che seguì quel lavoro in prima persona – che sia stato asciugato del 40% circa.
4. *Tutti* i libri della collana “Strade blu” di Mondadori hanno la foto dell’autore in quarta di copertina. Non è un’esclusiva di “Gomorra”, guardate i libri di Evangelisti (“Noi saremo tutto”, “Tortuga” etc.) e di Genna (“Grande madre rossa”, “Le teste”), la foto c’è sempre. Non vi è alcuna riflessione o scelta “eccezionale” dietro la decisione di mettere la foto di Saviano in quarta, è stato un automatismo.
@WM1, grazie!
@danae: qualche mese fa avevo buttato già alcuni appunti su quel video, perché mi sembrava interessante vedere le modalità di costruzione dello spazio dell’intellettuale, che metteva in campo. Il carattere monologante della conversazione che tu hai notato è parte di questa costruzione più ampia.
Infatti la regista circonda Saviano e Luperini di libri: sul tavolino ci appoggia in un “disordine ordinato” i testi dei due autori, e dietro chiude la scena con una libreria (un modulo compositivo tipicamente televisivo). Ci sta dicendo che il libro, nella sua fisicità è l’attributo dell’intellettuale, che può accedere ad uno spazio di parola solo in funzione della sua opera.
Inoltre, se noti, la maggior parte delle inquadrature propone una visione frontale dei protagonisti che, insieme alla presenza del tavolino, marca una distanza dallo spettatore. Questi infatti può solo “guardare verso”, mai “insieme”, è escluso, in questo modo, dallo spazio dell’intellettuale, che in quel caso diventava a tutti gli effetti un vate.
Sono delle piccole note che mettevo in relazione ad un’altro prodotto, e cioè la serie dei “Ritratti” di Marco Paolini e Carlo Mazzacurati. Nella conversazione con Mario Rigoni Stern le scelte di regia vanno tutte in direzione di un’annullamento della distanza tra spettatore e scrittore. Le conversazioni si svolgono quasi sempre o all’aperto o negli spazi della vita quotidiana.
Spesso Paolini intervista Rigoni Stern e l’inquadrataura che ci mostra la conversazione è una semi-soggettiva, che produce effetti di continuità tra lo spazio dell’intervista e quello dello spettatore (in questo frammento si vedono spesso le mani di Paolini a rimarcare che lo spettatore sta guardando insieme a lui e non verso di lui. http://www.youtube.com/user/pintask8#p/f/0/Mw-10y2kAqQ). Anche quando si usa la ripresa frontale, il movimento dei due uomini, che camminano verso la macchina da presa, tende ad annullare l’effetto di staticità, di ieraticità, che invece si crea ne “La potenza della letteratura”.
Insomma, qui si assiste ad un processo di costruzione dell’immagine di Saviano, che non dipende direttamente da lui, ma che ha come effetto quello di sovradeterminarlo. Per questo credo che il suggerimento di Maddalena a guardare semplicemente le immagini di Saviano, per tentare di cogliere in che modo, nei diversi dispositivi di soggettivizzazione, si aprano spazi di negoziazione per la costruzione della soggettività sia proficuo ed interessante.
errata corrige: il link a youtube non è corretto. Il video è il primo della lista dei preferiti.
@flaviopintarelli,
certamente sì, i due video sono eloquentissimi.
Mi ha colpito il tuo riferimento alla parete di libri e subito nella mente mi sono passate immagini di altre pareti: quella della “discesa in campo”, quelle dei direttori dei giornali in collegamento a Porta-a-Porta (con in bella vista solo i libri allegati ai loro giornali)… Ma così divago…
Proprio la frontalità impedisce il dialogo tra Luperini e Saviano e provoca distanza in tutte le direzioni, impedendo la comunicazione.
Ieri mi sono andata a riguardare i 40 minuti di Current TV. Lì, l’anonimato di una stanza d’albergo dovrebbe simulare e alludere alla situazione di costrizione nella quale Saviano è costretto a parlare? Forse è un ostacolo alla comunicazione diretta con lo spettatore anche quella “schermata virtuale” che Saviano fa (finge di far) scorrere per “lanciare” altri contenuti (filmati, registrazioni)?
@danae: altro che divagazioni, hai colto due riferimenti figurativi molto importanti per leggere l’immagine che stavo descrivendo. Porta-a-Porta era proprio uno di quelli che avevo in mente quando ho cominciato a riflettere su quel video.
Il servizio di Current si trova on-line? Se si, dove? Mi interesserebbe darci un’occhiata.
non so se il link funziona, comunque l’intero video è visibile su http://www.robertosaviano.it
http://www.robertosaviano.it/gallery/saviano-racconta-saviano/
@flavio e danae
ho guardato i video e noto una differenza sostanziale nell’uso della camera e cioè:
1) nel video in cui sono presenti Saviano e Luperini non solo il set è televisivo ma l’uso della camera è decisamente televisivo, quasi da sit com: c’è un totale di riferimento che descrive il luogo (in questo caso il luogo dell’intellettuale con i libri, la libreria) e dei piani medi e primi piani di Saviano che non si rivolge a Luperini ma a noi che guardiamo, anche se non direttamente con uno sguardo in macchina tipo telegiornale ma l’effetto è molto simile. Si ha quindi una individualità, rafforzata dal gioco linguistico della camera, che si rivolge alla massa di ascoltatori. (questo mi riporta a Pasolini e alla sua presa di posizione nei confronti della TV come medium di massa autoritario: http://youtube.com/watch?v=A3ACSmZTejQ e già li erano disposti in circolo e parlavano fra loro!)
2) il video con Rigoni Stern e Paolini ha un taglio quasi documentaristico cinematografico: Non solo la grana dell’immagine ma il taglio delle inquadrature (soggettiva libera indiretta dici bene flavio) e il montaggio fanno sì che risalti con maggior forza (almeno per me) l’argomento del discorso e non solo le soggettività e rende lo spettatore partecipe e non estraneo.
La Televisione non può far altro che allontanare, in quanto medium, e Saviano pur mantenendo una certa visibilità rischia di restare ancora di più imprigionato nei fili della Matassa e lontano in quanto simbolo.
Ora, visto che già nelle interviste e nelle apparizioni televisive Saviano (e non solo lui ma anche la vecchina di cui parla Pasolini) rischia di essere inserito in un discorso Autoritario e pseudo democratico per il solo fatto di essere in TV ripropongo come domanda la frase di WM1: “sarà in grado (Saviano) di *superare* linee di forze troppo stringenti e limitanti (come Vincent Cassel nel video linkato sopra), e tracciare linee di soggettivazione che costringano il dispositivo a cambiare, a ripiegarsi per cambiare forma (linea di fenditura) o rompersi (linea di frattura)”?
@yamunin: è sulla la differenza che noti tra il carattere televisivo de “La potenza della letteratura” e quello cinematografico dei “Ritratti” che, a mio parere, si giocano le possibilità di fuga o superamento delle linee di forza a cui fa accennno WM1 nella sua domanda. Finché si resta entro canoni compositivi autoritari, per parafrasare PPP, come quelli televisivi che troviamo nel primo video sarà impossibile o comunque estremamente difficile per RS riuscire a trovare una via di fuga.
Ma per rompere questi canoni è necessario avere una grande consapevolezza di come funziona il discorso per immagini. Ciò che mi sembra interessante di questa discussione è che al termine di essa si dovrà, quasi per forza, arrivare ad una classificazione dei diversi media in base alle possibilità di “tracciare linee di soggettivazione” offerte da ognuno di essi. Personalmente non vedo altre possibilità di sintesi. Su questi meccanismi sarebbe fantastico conoscere l’opinione di Saviano stesso.
@danae: ho guardato lo speciale di Current. E anche su quello ci sono cose molto interessanti da dire.
La prima cosa che ho notato è la vicinanza di quell’immagine all’estetica di youtube. La domanda che bisogna porsi, dunque, è duplice: da quale spazio parla Saviano? e da quale spazio lo spettatore lo ascolta?
Saviano sembra parlare da un vero e proprio “non-luogo”, una stanza d’albergo che è allo stesso tempo la schermata di un computer (l’interfaccia “touch screen” sottolinea questo aspetto, pienamente in accordo con l’estetica “geek” del network).
Allo spettatore sembra, invece, riservato un posto direttamente dietro lo schermo del computer in cui Saviano parla. L’interfaccia grafica che lo scrittore agisce per veicolarci i contenuti video, infatti, si vede “al contrario”, come se fosse scritta su uno specchio a due vie (quelli delle sale da interrogatorio) dietro al quale lo spettatore sarebbe collocato.
In questo senso marcherebbe una distanza, eppure gli insistenti sguardi in macchina di Saviano agiscono in direzione contraria, annulando costantemente quella distanza (lo sguardo in macchina, nella grammatica cinematografica classica è rifiutato proprio perché rompe la finzione scenica chiamando lo spettatore direttamente in causa).
Non ne sono sicuro al 100%, e forse mi sbaglio, ma mi sembra che qui la costruzione dell’immagine miri a rompere l’isolamento di Saviano, il suo essere in un “non-luogo” al quadrato, tanto reale (la stanza di motel anonima, sorta di spazio proprio del “testimone sotto protezione” che molti prodotti della cultura popolare ci hanno raccontato) quanto virtuale (l’estetica “youtube” a cui si fa riferimento), attraverso un’interpellazione continua e incessante dello spettatore.
Faccio un pingback “a mano” per questo post di Claudio Coletta:
Eroi di carne: cecità accademiche e materie narranti
http://www.pandiver.org/?p=253
La rappresentazione di una personalità (in entrambe le accezioni di essenza intima e figura nota) tramite l’immagine è sempre finalizzata o condizionata dal contesto. Non mi riferisco (nel caso che qui propongo del ritratto fotografico) al momento dello scatto, in cui la possibilità di scegliere è relativa, quanto alla selezione delle immagini per la pubblicazione.
Le tipologie principali delle fotografie che ritraggono RS sono:
-primo o primissimo piano, sguardo inteso, accigliato, dritto in camera (spesso con almeno una mano che interagisce con il viso)
-di 3/4, assorto e concentrato (anche qui la mano è ricorrente) mentre un’azione (qualcun altro che parla, in genere) si svolge fuori dall’inquadratura.
-in piedi a figura intera o piano americano, statico, neutro, con una certa rigidità nella postura, da solo o a fianco di una persona nota o emblematica (tra le tante spiccano per artificiosità quelle con il calciatore argentino Lionel Messi in tenuta da gioco, con il pugile campione olimpico Clemente Russo a torso nudo, e con un vigile del fuoco che aiuta RS a indossare un casco a Onna)
-mentre parla a un microfono, su un palco, con gesti che sottolineano la narrazione o il ragionamento. Serio.
C’è qualcosa in queste immagini ricorrenti che definisce immediatamente il territorio umano ed emotivo da associare a RS. Una sintesi estrema da cui il trasparire di un qualunque stato emotivo o fisico estraneo a questo identikit mediatico viene immediatamente espulso.
Eppure Saviano e il suo volto sono tremendamente volubili davanti all’obiettivo come accade a chiunque. E’ questa la ragione che spinge la maggior parte dei fotografi a scattare a raffica. Prima si accumula materiale, poi lo si finalizza, infine si sceglie.
Qui vi propongo alcuni link a fotografie che non corrispondono all’iconografia “mainstream”. Si tratta di momenti di “mezzo”, transizioni emotive o di situazione, o di semplici sorrisi fatti a un interlocutore fuori quadro, che aggiungono sfumature e punti di vista, e frammentano la compattezza iconica del soggetto.
Io ci vedo una chiave per cominciare a smontare lo “show reel” multimediale che mi sembra imprigioni Saviano molto più della scorta…
http://www.flickr.com/photos/ricciardi/1403511529/
http://www.flickr.com/photos/ttan_/3983392960/
http://www.gossipnews.it/cinema/nastri_d_argento/images/roberto_saviano_4b48.jpg
http://giovaniprogressistipettineo.myblog.it/media/00/02/1036888545.jpg
http://www.flickr.com/photos/speranzacasillo/3537617953/in/photostream/
http://www.flickr.com/photos/speranzacasillo/3118146586/
http://www.lastampa.it/redazione/cmssezioni/cronaca/200904images/roberto_saviano01g.jpg
http://www.bbc.co.uk/blogs/thecultureshow/saviano.jpg
http://imworld.aufeminin.com/dossiers/D20081201/Saviano-Small-1-121216_L.jpg
http://3.bp.blogspot.com/_SC72BX9LdUg/SPdyINcVL6I/AAAAAAAAAgg/0k8G6zMk4uw/s400/roberto_saviano4.jpg
http://www.flickr.com/photos/ricciardi/1424157649/sizes/o/
http://www.flickr.com/photos/seleniamorgillo/3689748724/
http://www.flickr.com/photos/speranzacasillo/4473345262/
http://www.flickr.com/photos/speranzacasillo/4551302370/in/photostream/
http://imworld.aufeminin.com/dossiers/D20081201/Saviano-Small-1-121216_L.jpg
http://www.flickr.com/photos/speranzacasillo/1051171605/
Ops…il penultimo link è una ripetizione.
In effetti volevo mettere questa foto:
http://www.flickr.com/photos/speranzacasillo/3117318735/in/photostream/
Va detto che nella costruzione di questo monolite iconico RS ci mette la sua parte.
Una pagina come quella linkata sotto, secondo voi lo rende più o meno libero..?
http://www.speranzacasillo.com/dirittoallafelicita/
1. potrebbe essere un’idea quella di raccogliere considerazioni (tutte ottime quelle che ho letto sopra) e poi se ci restano dei dubbi, scrivere delle domande per RS…
2. i percorsi finora sono:
– l’immagine di RS nel virtuale:
a) il dispositivo dell’omologazione -> le fotografie “ufficiali”, formali, da agenzia = RS icona
vs
i processi di soggettivazione -> le fotografie informali, “vive”, non ufficilai = RS persona
b) il dispositivo dell’omologazione -> i video “ufficiali”, formali, da agenzia = RS icona
vs
i processi di soggettivazione -> i video informali, “vive”, non ufficilai = RS persona
e credo che qui si possa intravedere una delle vie di fuga praticate da RS:
il teatro vs la televisione
ripensandoci, quello che non “torna” in certi video di RS, ciò che lo rende “persona” e non “icona” in certi momenti è la sua capacità, nonostante tutto, di essere vivo – rispetto al dispositivo – come è “vivo” un attore a teatro rispetto ad un ospite di Porta a Porta…
Bisognerebbe cercare gli elementi comuni alle foto e video icona e auelli comuni alle foto e video in cui lui è ancora “persona”. E ripartire da lì…
3)
La spettacolarizzazione della morte – qui le cose sono complicate…
Max, ma anche, appunto, come dice Danae, le 11 bare dei mondiali. Anche in questo caso è una morte annunciata.
Torniamo indietro nel tempo.
Le bare mi hanno fatto venire in mente: L’Aquila, i funerali delle vittime del terremoto, Vauro e la vignetta con le bare che gli è costata la sospensione temporanea da Anno Zero
http://www.corriere.it/gallery/Politica/vuoto.shtml?2009/04_Aprile/vauro/1&6
Ma com’è che non si può criticare Saviano?
E’ il Saviano di cui si parla qui:
http://www.cloroalclero.com/?p=4567
O è sbagliato criticarlo anche per queste cose?
Boh…
Questa notte è morto Pietro Taricone. Ieri il suo paracadute ha avuto un problema tecnico e Pietro è precipitato al suolo rovinosamente. L’intervento dei medici è stato inutile. Dopo alcune ore di battaglia tra la vita e la morte il suo corpo ha ceduto. Anche la sua compagna, l’attrice Kasia Smutniak che ha assistito all’incidente, aveva di recente avuto un incidente analogo, risoltosi poi per il meglio.
Questa mattina wikipedia:
Pietro Taricone (Frosinone, 4 febbraio 1975 – Terni, 29 giugno 2010) è stato un attore e personaggio televisivo italiano.
…
La morte
Appassionato di paracadutismo, la mattina del 28 giugno 2010 precipita al suolo durante un lancio nei pressi dell’aviosuperficie di Terni. Ricoverato in condizioni disperate all’ospedale locale, viene sottoposto a un lungo intervento chirurgico che tuttavia non riesce a salvargli la vita.[9][10] Si è spento nella notte del 29 giugno 2010 alle ore 3.09.[11][12][13]
….
Vita privata
Era legato sentimentalmente alla modella e attrice polacca Kasia Smutniak conosciuta sul set del film Radio West. Dalla loro unione il 4 settembre 2004 è nata la figlia Sophie.
———————
Nella sua prima intervista uscito trionfalmente dal Grande Fratello dichiarò:
“Capisci che non è un gioco, è una cosa che ti può sconvolgere la vita. Ti rendi conto davvero di che razza di potere mostruoso ha la televisione. Partendo dal nulla e con nulla, fabbrica quello che vuole. La gente dovrebbe rifletterci di più. Altro che par condicio, chi ha in mano la tv in una società come questa può tutto. C’è da farsela sotto…”
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Ieri sera la notizia del suo incidente (era ancora vivo) era tra i primi tre titoli di tutti i telegiornali.
In fondo Pietro era un po’ il Che Guevara (nero) della tv generalista nell’epoca dei reality e della fiction.
Primo a fare sesso in diretta davanti alle telecamere, si rifiutò poi di fare ospitate nei vari programmi che se lo contendevano per tutelare la propria immagine. Quando l’anno successivo accettò di partecipare al Maurizio Costanzo Show, nell’ambito della rubrica Uno contro tutti, fece registrare alla trasmissione una media di quasi 10 milioni di telespettatori.
Lo scorso febbraio lanciò un’iniziativa congiuntamente a Casa Pound:
“Quando ho cominciato a ‘lanciarmi’ mi sono innamorato di questo sport – racconta Pietro Taricone – ‘Saltare’ da 4.500 metri con un paracadute a profilo alare è un’esperienza unica, che vorrei potessero conoscere anche altri. Lo sport ci aiuta a crescere, a incanalare le energie nel giusto modo, a stare lontani da quelle derive nichiliste che continuano a cercare di imporci come modelli culturali. Avvicinare i ragazzi allo sport, dargli una mano a comprendere e amare anche quelle discipline che finora sono rimaste privilegio di pochi è il mio modo di fare volontariato. E con CasaPound Italia su questo siamo in totale sintonia: l’incontro con Cpi è stato fortuito, ma ho capito subito di aver trovato l’interlocutore giusto, per concretezza, pulizia e voglia di fare’’.
———————
Direi che anche qui assistiamo al dispiegarsi della pulsione di morte in modo limpido. Nel caso di Tarricone ha anche quel sapore vintage degli arditi del ventennio fascista.
Sarà questa un’altra chiave di lettura della vicenda di Saviano, e più in generale del sentimento nichilista (proprio quello che Pietro, e i suoi predecessori ottant’anni fa, volevano combattere con l’azione e l’ardimento) che ben rappresenta la vacuità di visione del futuro dell’era berlusconiana?
p.s. il regime fascista almeno aveva una visione imperialista e sociale, la nostra seconda repubblica ricorda piuttosto lo spot dell’acqua Lete, e l’individuo la solitaria particella di sodio…
Franco, veramente io ho criticato eccome, e a più riprese, diverse mosse di Saviano.
Ho criticato le sue prese di posizione in politica estera (mi sono espresso in modo chiarissimo in una difficile discussione su Nazione Indiana, e su Militant ho spiegato come la penso, il mio commento è citato e linkato nelle note del pezzo di Carmilla);
ho criticato la sua visione apologetica del film “300” (tanto che la mia lezione su quel film nasceva proprio come contestazione della sua recensione!);
ho detto che non condivido il suo endorsement di Nicolaj Lilin (personaggio a dir poco imbarazzante).
Nel primo post che qui su Giap abbiamo dedicato all’argomento abbiamo detto di trovare “stridenti” e di non condividere diverse cose dette da Saviano in questi anni.
E anche nel pezzo “Wu Ming / Tiziano Scarpa: Face Off” non mi sembra di aver fatto l’apologia di come si muove Saviano nel dispositivo.
Quindi di cosa stai parlando, di grazia? Hai scritto tanto per scrivere?
Un libro come quello di Dal Lago rende non un buono ma un PESSIMO servizio a chi vorrebbe criticare Saviano *nel merito* e a ragion veduta, senza cazzate né sfondoni né boomerang né confusione. Abbiamo già spiegato perché la pensiamo così, e il pezzo di Carmilla non potrebbe spiegarlo meglio.
A proposito di matasse che si dipanano…
In una pausa del lavoro (notturno) per staccare un attimo ho dato un’occhiata al sito di repubblica.
Tra i primi articoli campeggia:
LA MORTE DI TARICONE
Saviano ricorda l’amico Pietro
“Io e lui, compagni di scuola”
http://www.repubblica.it/persone/2010/06/29/news/saviano_taricone-5245145/?ref=HRER1-1
“…Amava volare, ‘perché il cielo non tradisce’, come ogni paracadutista sa. A tradirlo è stato l’atterraggio, è stata la terra”.
“…Mi mancherà riconoscere nei sui sguardi e nel suo atteggiamento l’inconfondibile matrice della mia terra, mi mancherà, guardandolo, ricordare la nostra adolescenza, le manifestazioni a scuola, le gite. Quella vita che lo attraversava e mi contagiava. Addio Pietro, addio guerriero”.
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Sono quasi senza parole. In barba al calcolo delle probabilità la rete neurale di pandora diffonde le sue sinapsi…
Cari, la mia era una domanda provocatoria, legata alla mia non comprensione (evidenti limiti cognitivi) del can can attorno a ‘sta polemica.
Ho letto tutto quel che è passato per il manifesto, ho letto le vostre cose e carmilla. Ho letto anche le risposte di Dal Lago, quelle di Sepe compresa un’intervista su Rai News24.
E devo dire che continuo a non scorgere la barricata.
Cioè non riesco a scorgere dove sta il motivo di tanto astio nei confronti di Dal Lago e Sepe, che criticano Saviano su punti a mio avviso interessanti.
Al di là del gusto letterario – io non sono un critico, quindi posso solo dire “mi è piaciuto” o meno, di un libro – le critiche dei due mi paiono degne di nota, interessanti spunti di discussione.
Quando Dal Lago critica il “presenzialismo” di Saviano o il fatto che scriva cazzate – vere e proprie falsità (il pezzo iniziale dei cinesi); la critica dell’eroicismo; la critica – che a me è parsa assai ficcante – di Sepe sul Saviano giustizialista (senza contare la sacrosanta critica per chi ha come punti di riferimento simpatici personaggi come Almirante…); tutte queste cose, mi pare, sono spunti da cui si potrebbe partire per ragionare dello stato della “sinistra” oggi, più a livello culturale che politico (c’è differenza?).
E invece si è scatenato il finimondo, con attacchi ai due che io – nella mia profondissima ignoranza – non riesco a capire, soprattutto quando vengono da voi o da Carmilla, che proprio su questi temi lavorate da tempo.
Ma ci sta assolutamente che nella fretta di leggere tutto (e troppo) non sia riuscito a cogliere il punto nodale della vostra critica.
credo che l’intervento di WM4 del 22 giugno sia molto chiaro su questo punto.
L’attacco di Dal Lago coglie il pretesto di Gomorra per (tentare di andare) a colpire il NIE e in generale “una fetta di intellettuali e narratori di sinistra che hanno provato, in questi anni, a diverso titolo e con diverse modalità, a percorrere il territorio della cultura pop nelle sue declinazioni più ‘alte’”.
Del resto, non sono la prima a dirlo, solo pretesto si può considerare il richiamo *testuale* e *puntuale* a un libro che è uscito nel 2006… Dal Lago, inoltre, non è un critico letterario, bensì un sociologo; per questo la sua analisi ha tutte le caratteristiche finora notate: cialtroneria, imprecisione, talora malafede.
Per il resto, sono stata un po’ assente in questi giorni.
Seguo le considerazioni sull’immagine di Saviano e continuo a pensarci su. Direi, pero’, Maddalena, che non sono granché d’accordo sulle *domande a Saviano*. Possiamo continuare a confrontarci e se lui vorrà e potrà intervenire, ascolteremo le sue riflessioni.
@flavio, del video di Current mi fa pensare la costruzione narrativa: senza dubbio si nota il tentativo di entrare in contatto diretto con lo spettatore, ma viene anche da chiedersi: perché allora costruire tutto quell’apparato di *distanza*? O dobbiamo considerare anche questa una metafora? Mi costruiscono attorno una gabbia (la mia “casa” è una camera d’albergo anonima, youtube e similari è la mia unica forma di comunicazione), ma io voglio in ogni caso parlarvi direttamente.
Resta comunque, a mio parere, il punto centrale della forma monologante di questa comunicazione.
Franco, è proprio perché su questi temi ci lavoriamo da tempo che riteniamo il libro di Dal Lago la ciofeca dell’ultimo arrivato che, sparando a casaccio, butta tutto in vacca a potenziale detrimento di anni di lavoro.
[Sepe non lo calcolo nemmeno: il suo greve “rap” è solo una minchiata piena di livore, e nell’intervista al “Corriere del Mezzogiorno” (accompagnata dalla foto di Sepe che mostra il nuovo cd con un sorriso a 32 denti) ho letto frasi che finora si erano sentite solo in bocca a certi intervistati omertosi di Casal di Principe, coi dubbi sulle minacce, le lamentele populiste sul fatto che paghiamo una scorta per niente etc.]
Vedi, uno può fare la critica che dici, ma se poi:
– la porta avanti a colpi di falsità e distorsioni allucinate (come quella di Saviano fascista, nostalgico, fan di Evola, almirantiano etc., idiozia che ho già smontato su Militant nella discussione che ti linkavo sopra);
– a supporto della critica riporta dichiarazioni che poi si scoprono manipolate o riferite di quarta mano senza accorgersi di errori madornali (es. da una frase su cui Dal Lago ricama parecchio è scomparso un “non”, quindi Saviano aveva detto l’opposto di quanto attribuitogli);
– risulta evidente che Gomorra non è stato nemmeno letto per intero (Dal Lago sbaglia citazioni e riporta episodi in un modo che una lettura attenta e completa avrebbe reso impossibile);
– la critica dell’icona-Saviano si trasforma in realtà in un tentativo di demolizione in toto di Gomorra, con l’artata rimozione di molti degli aspetti che ne fanno un libro importante (es. la descrizione dell’economia politica della camorra; l’uso di cultura pop e gadget tecnologici per rendere i tratti antropologici dei nuovi camorristi etc.), mettendoci pure insistenti paragoni derisori coi libri di Moccia e quindi dando dell’idiota a chiunque lo abbia apprezzato o ne abbia tratto riflessioni;
– risulta palese che Dal Lago di camorra non sa nulla (altrimenti non avrebbe trattato come invenzione letteraria di Saviano la penetrazione camorristica in Spagna, che invece è un fenomeno comprovato ed enorme);
– l’ultima parte del pamphlet rivela che Saviano in fondo è un pretesto e Dal Lago voleva solo togliersi un po’ di sassolini dai sandali e cogliere l’occasione per sparare a zero su diversi altri soggetti che chissà perché (ma in realtà lo so) gli stanno sulle balle;
– se anche nel parlare di questi soggetti (tra cui noialtri) Dal Lago mostra di non essersi documentato, e mette in fila ulteriori sfondoni ed esempi di lettura frettolosa e capziosa (che a volte si è limitata alle prime righe di una voce su Wikipedia);
Ecco, se riscontriamo tutto questo, come puoi pretendere che riteniamo quest’operazione minimamente utile?
[A proposito: l’aneddoto dei cinesi congelati non è una cosa che Saviano afferma essere accaduta, ma un aneddoto dai contorni vaghi che viene riportato come diceria. E’ il racconto mezzo allucinato che fa al narratore un gruista del porto di Napoli, il cui stato è descritto come di alterazione (per tutto il tempo parla coprendosi gli occhi con le dita). L’autore conclude questo passaggio scrivendo: “Non riusciva ancora a crederci, sperava fosse un’allucinazione dovuta agli eccessivi straordinari”. Dopodiché, non torna sull’argomento, e passa a descrivere il rapporto tra la camorra e i cinesi.]
Gran parte di quelli che a sinistra fanno il tifo per Eroi di carta per come (finalmente) “ne dice quattro” a Saviano e “fa le pulci” a Gomorra, lo fanno senza aver letto né Eroi di carta né Gomorra.
La loro conoscenza della materia si ferma a un pugno di articoli di giornale, e infatti in rete la polemica viene rinfocolata ripetendo sempre le stesse due-tre critiche lette in quegli articoli (Saviano fascista etc.), senza mai azzardare un riscontro sui testi.
@danae: credo che nel caso di Current la forma monologante sia frutto di una scelta precisa, più che un effetto come in “La potenza della letteratura” . Lo speciale si chiama “Saviano racconta Saviano” e per cui è pensato in partenza come un monologo. Nell’altro caso era un dialogo che si risolveva ad essere soltanto un monologo.
Quanto alla costruzione spaziale io credo che il regista abbia tentato, a mio parere riuscendo abbastanza bene, di restituirci la situazione in cui Saviano si trova adesso. Costretto all’isolamento dalle minacce della Camorra, e perciò bisognoso di un contatto il più possibile diretto col pubblico. E’ interessanto che a fungere da elemento di contatto sia un simulacro della rete (l’interfaccia) e non il classico apparato televisivo (lo studio, ecc.).
@flavio,
sì, le tue considerazioni mi sembrano condivisibili.
Riguardo la forma monologante, trovo sia un elemento importante del “dispositivo Saviano”. Credo sia utile riflettere sulla comunicazione unidirezionale di tale dispositivo: Saviano, cioè, costretto (?: è questo lo snodo sul quale sto riflettendo) a parlare o scrivere senza poter ricevere una risposta immediata, a cui ribattere/rispondere, per ricevere un’ulteriore risposta, e così via. Un intellettuale privato di un reale spazio di discussione non si trova così de-potenziato? Perché nelle interviste televisive di Saviano l’interlocutore sembra avere l’aria di qualcuno “che dà la parola”, più che di un vero e proprio interlocutore? Tanto che si arriva al “Saviano racconta Saviano?”
di lato: la discesa in campo degli “autori Einaudi”
http://www.repubblica.it/politica/2010/06/30/news/l_appello_degli_autori_einaudi_diritto_all_informazione-5270825/?ref=HREA-1
Ringrazio danae e Wu Ming 1 per le spiegazioni (non dovute, e quindi ancor più apprezzate).
Proprio perché vi stimo sono venuto qui a cercare di capire.
Grazie.
@danae: secondo me le domande che poni più che afferire al “dispositivo Saviano”, fanno riferimento al dispositivo televisivo tout court. La televisione è per sua natura uno strumento che “dà la parola”. Se ci fai caso, la grammatica televisiva inquadra sempre chi sta parlando, la televisione è “vococentrica”, infatti non a caso chi grida più forte ottiene maggiore visibilità (vedi Sgarbi).
In televisione non è costitutivamente possibile la voce fuori-campo (se non per effetti “didascalici” come le risate che sottolineano la gag nella sit-com), che invece è parte fondamentale della tecnica cinematografica. Michel Chion ne “L’audiovisione” [ http://bit.ly/alnRpU ] sostiene che tutti i prodotti televisivi siano prodotti in cui è la parola ad avere il sopravvento sull’immagine. Il talk-show ha fin dal nome questa caratteristica. Ma anche la soap opera (che non a caso nasce in radio) è un racconto che si può seguire a prescindere dalle immagini (non a caso in Italia il mercato delle casalinghe è stato conquistato dalla televisione commerciale a colpi di soap, proprio perché potevano essere “udite” mentre si facevano i lavori di casa)
Perciò, credo che ad essere in causa siano qui proprio gli elementi costitutivi dei diversi media, che Saviano attraversa nel corso della sua carriera in modi alquanto diversi, piuttosto che l’uso che Saviano fa di ognuno di essi.
@flavio, danae e norma
Ho guardato anch’io il video di Current (dove, parentesi, RS racconta anche del liceo, di pascale e tarricone…): i testi (oltre all’immagine) sono suoi, quindi probabile che abbia seguito in prima persona anche la fase del montaggio curato da altri e si presume concordato l’ideazione, la titolazione e la regia, cioè la messa in scena. Penso quindi che si possa considerare questo video come “vicino” all’immagine che RS vuole intenzionalmente dare di sé più di altre produzioni in cui il dispositivo lo agisce con maggiore forza.
Credo che la messa in scena (costruire un’interfaccia virtuale tra l’immagine virtuale di RS e lo spettatore) sia, per i motivi sopra detti, coerente se non addirittura conseguente (sia cioè una scelta fatta in seguito a/ e non che precede i) con i contenuti veicolati dai testi.
Una delle metafore centrali del video è il “pugile che si guarda allo specchio” e le parole del maestro di pugilato di RS che gli dice di continuare a guardarsi allo specchio (“guardati, guardati, ma ti stai guardando o ti stai solo specchiando?), di non smettere, di ricominciare l’allenamento guardandosi allo specchio. Dice RS che è una questione di tecnica: devi arrivare a guardarti come se non fossi tu… solo se il tuo corpo diventa un’altra cosa, riesci a dominarlo, a plasmarlo, a forgiarlo…
E’ il tema del distanziamento da sé che attraversa tutto il racconto-video di RS a partire da titolo: “Saviano racconta Saviano” vuol dire che Roberto utilizza consapevolmente un dispositivo (il video) per:
a) dire delle cose su di sé a partire da una presa di distanza dal piano emotivo e viscerale, per cercare di instaurare un piano di riflessione che sfiora le emozioni ma che vuole fissare soprattutto concetti e idee su cui poi ognuno di noi può tornare. Il suo è un invito a “pensare per immagini” non solo a “vedere immagini”. Il titolo chiarisce molte cose: caro spettatore questo è il racconto che Saviano, che ha riflettuto sul suo percorso, fa su di sé e al tempo stesso sui dispositivi che utilizziamo per comunicare.
b) -> far riflettere lo spettatore sul dispositivo che lo sta ospitando mettendone in “scena”, “in diretta”, il funzionamento, il meccanismo.
In questo senso RS “mette in scena” Roberto Saviano: ed è nella messa in scena che ci “mostra” i trucchi del dispositivo a partire dal quale sta costruendo la sua narrazione: è lui che mixa le voci, che fa partire i video, la musica, i documenti di repertorio, le fonti cui attinge la sua parola: è lui che convoca i suoi interlocurtori per farli parlare assieme a lui.
Quello che ci sta dicendo è che senza una presa di distanza da sé, senza distanziamento, non c’è consapevolezza critica, ma si è vittime e complici inconsapevoli dei meccanismi e dei dispositivi che ci determinano.
Il suo non è un monologo. Anzi: è esattamente quello che facciamo noi utenti della rete (che è il dispositivo attraverso il quale lui ci sta parlando e sul quale vuole anche farci riflettere come il pugile che deve contuamente guardarsi nello specchio per “mettere su bene” una guardia, per saper difendersi) …
… il suo non è un monologo ma è un dialogo virtuale molto articolato attraverso la messa in scena delle presenze virtuali che lo costituiscono: sono la sua rete di appartenenze che via via sono chiamate a raccontare insieme a RS la sua storia, la sua situazione, il suo modo di resistere all’interno dei dispositivi. Lo dice più volte: “mi interessa capire i meccanismi…”.
I dispositivi tema del video sono molteplici: oltre all’immagine pubblica creata dai media (tema dell’eroe – “non sono un eroe perché l’eroe è morto io invece sono vivo, perché non voglio restare fisso in una immagine, in un bisto di gesso, non voglio restare fermo) e dalle conseguenze di essere una persona “pubblica” (il tema della calunnia, delle leggende e la necessità di prendere le distanze dagli attacchi quotidiani, di imparare a leggere i meccanismi… ” adesso mi segno le nuove leggende che nascono”) c’è il dispositivo camorra (dal come stanno maschi e femmine in piazza a Casal del Principe, al come e perché non si possono fare i nomi dei boss, al come e perché lui li ha fatti e alle conseguenze di questa sua azione; il regime del silenzio e il regime della minaccia di morte) al tema della sicurezza (vivere sotto scorta, vivere blindati, eppure voler parlare anche di questo dispostivo “non per marketing ma per condividere”) …
E’ un video particolare questo: ma ce ne sono altri così ?
Giusto per la cronaca, e senza voler andare troppo fuori tema, segnalo che il link del 29/6, postato alle 12.02 da Franco è con ogni probabilità una bufala. Si addebita a Saviano di aver scritto sulla sua pagina facebook una presunta sparata dai toni molto forti contro Gaza e pro Israele, l’11 giugno alle 18.02. Sia nell’articolo che nei commenti, dal criticarlo sulle sue posizioni di politica estera si passa rapidamente alla critica tout court dell’uomo e della sua opera (con immancabili citazioni a sproposito del saggio di Dal Lago).
Leggo il post intero dal sito che lo ha pubblicato ( http://sitoaurora.splinder.com/post/22937719/roberto-saviano-sui-palestinesi-e-su-gaza) e subito mi sorge qualche dubbio sull’autenticità di quelle parole. Soprattutto le affermazioni finali mi sembrano davvero lontane dallo stile e dal modo di scrivere di Saviano.
Controllo la pagina fb dell’autore: il post incriminato non c’è. Anzi, non c’è nessun post datato 11 giugno. Cerco nei commenti, anche dei post precedenti, ma nulla.
Faccio qualche ricerca con google per capirci qualcosa di più e trovo che gli unici blog a riportare quelle affermazioni di Saviano sono appunto i due sopracitati (cloroalclero e aurora) più un terzo (mondocane).
Ora il problema non è stabilire se Saviano sia pro Israele o pro Gaza, ma capire come e perchè si attribuiscano a Saviano non solo frasi ma interi (pseudo)articoli non suoi.
Il meccanismo è standard ( e più in generale rintracciabile in molte delle strategie comunicative dei mass media, mi torna in mente il caso del giudice Mesiano): qualcuno parte con “Saviano ha detto x-cosa discutibile” e giù tutta una slavina di improperi, ridimensionamenti, “lo dicevo io”, “ma che vi aspettavate” e via ingiuriando la persona senza mai entrare nel merito e anzi spesso e volentieri andando a parare completamente altrove. Salvo poi scoprire che la frase incriminata era stata decontestualizzata, modificata o inventata di sana pianta. In questo caso addirittura un post intero…
Trovo quantomeno inquietante questo episodio perchè è secondo me un esempio perfetto delle tecniche messe in atto dal sempre più vasto fronte anti-Saviano.
Se davvero così fosse saremmo davanti all’ennesimo, per fortuna velleitario e di piccole dimensioni, tentativo di delegittimazione trasversale. A proposito di dispositivi…
Molto interessante il terzo commento sotto il post di sitoaurora, che in soldoni dice:
«Anche se si scopre che è falso, per noi è vero lo stesso! Leggete e fate leggere “Eroe [sic] di carta”!»
E poi le solite idiozie su “Saviano fascista” etc.
Ecco i bei risultati dell’operazione Bascetta/Dal Lago. Quel pamphlet (peraltro nemmeno letto, sbagliano persino il titolo!) è diventato il vessillo di ogni troll che si crede rivoluzionario.
Criticare Saviano con lucidità, senza confondersi con questa gente, sarà sempre più difficoltoso :-(
ieri Saviano era a Viterbo, per inaugurare un festival letterario. Qui, l’articolo di commento. Accanto alla galleria delle foto, il link al video. E’ una sintesi di 5:47 minuti, ma assai interessante perché Saviano risponde alle “critiche” che gli sono arrivate nelle scorse settimane (chi lo ascoltava avrà capito?).
http://www.viterbooggi.eu/index.php?tipo=contenuto&ID=17950&categoria=pagine
Apprezzo il suo sforzo di non rispondere a critiche puntuali, ma di riportare il tutto a ragionamenti più ampi, che non *personalizzino* l’impegno per la libertà: è, credo, un modo per continuare a dire: tutti possiamo e dobbiamo opporci, tutti possiamo e dobbiamo comprendere.
[…] e commenti sulle recenti vicende legate all’immagine pubblica di Roberto Saviano su Giap ( http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=824 ) Share SHARETHIS.addEntry({ title: "Libertà di raccontare – RobertoSaviano a caffeina […]
ho rilanciato tutto l’intervento qui
http://www.ibridamenti.com/dalla-rete/2010/07/liberta-di-raccontare-robertosaviano-a-caffeina-cultura-video-viterbo-30-giugno-2010/
@ furoredidio,
dimenticavo: cloroalclero e sitoaurora sono due siti tendenzialmente “rosso-bruni”. Una volta gente alquanto simile veniva chiamata “nazi-maoista”, per capirci.
Tagliando con l’accetta, sono tutte varianti del classico discorso “Né destra né sinistra” (che è un discorso di destra). Pensano che per fare la rivoluzione si debbano far convergere – per “superarle” insieme – due tradizioni, quella delle sinistra anti-capitalista e quella dell’ultradestra “anti-borghese” e “nazional-rivoluzionaria”.
Solo che quest’ultima è una tradizione del tutto fittizia, dato che il fascismo nasce storicamente come reazione anti-operaia a difesa dei padroni e del capitalismo minacciato dagli sconquassi post-’17; non c’è frasario “rivoluzionario” e neo-sansepolcrista che possa occultare questo dato oggettivo.
E’ gente che si mimetizza abbastanza bene, l’elemento “bruno” o “nero” di solito è tenuto più soft di quello “rosso”, c’è un tipico frasario di movimento, quindi diversi commentatori di sinistra ci cascano etc.
Di solito li si sgama quando parlano di Israele, perché gli scappa detto spesso “gli ebrei”, cioè si scagliano non contro il capitalismo israeliano ma contro gli ebrei tout court, e quella è sempre una bella cartina di tornasole. E anche il loro anti-americanismo ha al fondo elementi… revanscisti.
@WM1 e furoredidio,
a proposito di “sgamare”, avete notato che più di uno di questi commenti apre o chiude con cose del tipo: “ma perché, non lo sapete? Saviano è ebreo, certo che parla a favore di Israele!”
trovato ora. Si presenta a Firenze un corto su “l’ultimo giorno in Italia di Saviano”.
http://www.lanazione.it/firenze/cronaca/2010/06/30/351717-saviano_vita_sotto_scorta.shtml
Chiedere a Saviano di morire, no, forse è troppo. Gli si chiede allora di fuggire per sempre all’estero (e di essere seviziato dalla camorra).
Chissà se anche di questo Saviano ha saputo solo ora?
@WM1 e Danae,
sto cercando di venire a capo della situazione su cloroalclero, di là sto postando col mio vero nome (francesco perrone); sembra comincino a fare qualche passo indietro, e per la verità, cloro (presumo curatore del blog) mi sembra si stia comportando correttamente (anche se
1-controllare le fonti dovrebbe essere l’abc per un sito di informazione e attualità;
2-il tono del post era la solita tiritera integralista del tipo “saviano ha detto x, quindi è uno scribacchino ridicolo in assoluto”); spererei e chiederò che il posto venga rimosso se, come appare sempre più chiaro, si tratta di una montatura bella e buona.
Tra l’altro ieri mi è venuto in mente un altro di questi episodi del tipo “ribaltamento dei fatti”: non so se ricordate la polemica a mezzo stampa che montò Pasquale Squitieri a Cannes 2008, quando accusò Saviano di divismo e irresponsabilità perchè aveva messo a repentaglio scorta e pubblico pur di non negarsi la passerella sul red carpet del festival, quando invece era successo l’esatto contrario, Saviano aveva rinunciato, giustamente, a quell’inutile vetrina, senza tra l’altro mettersi a fare grandi proclami o dichiarazioni in merito. E’ un esempio tra molti, ma particolarmente significativo, anche perchè ebbe molta risonanza sui giornali.
http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/campania/spettacoli/articoli/2008/05_Maggio/22/squitieri_saviano.shtml
Ovviamente Saviano e se non sbaglio Procacci, patron della Fandango, smentirono immediatamente le illazioni (“stronzate” è più preciso) di Squitieri ma il meccanismo ormai era partito e non so perchè in questi casi rimane molto di più nella memoria collettiva la (finta) notizia che non la smentita o la correzione.
Anzi, forse un’idea mi viene: Roland Barthes definiva questo tipo di dinamiche “linguaggi encratici”:
“Il linguaggio encratico è vago, diffuso, apparentemente naturale e dunque difficilmente individuabile: è il linguaggio della comunicazione di massa (stampa a grande diffusione, radio, televisione) ed è anche, in un certo senso, il linguaggio della conversazione, dell’opinione comune (della doxa); tale linguaggio encratico è, al contempo (contraddizione che ne fa la forza) clandestino (non lo si può riconoscere facilmente) e trionfante (non è possibile sfuggirvi): in altri termini è vischioso” (la citazione di Barthes l’ho tratta da un saggio di Maurizio Grande intitolato “l’implicito e l’esplicito della critica”).
Sono cose che WM1, Danae, Flavio e Maddalena hanno già detto in altri termini, ma era un pò che mi ronzava in testa questa citazione di Barthes che trovo particolarmente calzante al caso Saviano: è proprio questa “vischiosità”, a mio avviso, la difficoltà e l’insidia più grossa da affrontare per mettere su un discorso critico serio, scevro da luoghi comuni e leggende metropolitane.
OT: ciao francesco. è bello incontrare persone che si conoscono al di sotto di un nick inaspettato.
SuperOT, non bannatemi adesso :). Ciao Flà, bisogna bersi un bicchiere insieme uno di questi giorni…
“non so perchè in questi casi rimane molto di più nella memoria collettiva la (finta) notizia che non la smentita o la correzione.”
Perché il nostro cervello funziona così. WM2 si occupa anche di questo, con citazioni da studi di neurofisiologia e scienze cognitive, in “La salvezza di Euridice” (qui su Giap, il post successivo a questo).
Un paio d’anni fa, scartabellando fra le vecchie lettere, ne ho trovata una, datata gennaio 1998 e indirizzata ai “Gruppi di Lotta Proletaria”, la piccola formazione politica in cui militavo.
Nella lettera, un ragazzo di Caserta che studiava al primo anno di filosofia all’università di Napoli, ci chiedeva di mandargli un po’ di materiale per poter conoscerci meglio, e si dichiarava “un comunista rivoluzionario lontanissimo dai vari rifondinismi e riformismi”.
Firma: Roberto Saviano
Per alcuni anni si abbonò anche a “Luna Ribelle”, che era il nostro giornalino bimestrale.
Altri tempi : )
…però potrebbe dirlo che a vent’anni era comunista e rivoluzionario, non c’è mica da vergognarsene, anzi.
Per sapere chi erano i GLP: http://www.leftcom.org/it/articles/2002-05-01/glp-la-nostra-piccola-storia-e-gli-impegni-futuri
Beh, però non l’ha nemmeno nascosto, si sa che era nel giro dei centri sociali campani, e anche in molti passaggi di Gomorra si vede bene che è partito da una critica dell’economia politica, quindi da una lettura marxista, per quanto “giocata” insieme a diverse altre influenze.
Vero.
Maddalena, grazie del link per l’intervento di Saviano a Viterbo. L’ho appena guardato, trovandoci spunti forse utili a quanto andiamo pensando:
1) una sorta di risposta a Giacomo, quando ribadisce il suo desiderio di parlare a tutti (sembra dire che in questo momento non è importante per lui dire *da dove viene*, bensì *dove va*)
2) l’uso della metafora come espediente narrativo (vi racconto di Falcone e Borsellino, ma per raccontarvi anche di me, e di altri come loro e come me)
3) ancora una volta, la forza e l’emozione del racconto (citando WM2 “le emozioni, lungi dal corromperla, sono un ingrediente fondamentale della ragione”)
4) la questione dell’eroe, categoria alla quale risponde con quella di *giusto*. Ci stavo pensando oggi leggendo WM4 (quando si aprirà un post per L’eroe imperfetto?)
5) la forte carica etica della sua narrazione (da spettatore, da lettore, diventare cittadino)
In nota a queste due ultime considerazioni, credo sarebbe da esplorare il versante “ebraico” dei riferimenti culturali di Saviano: il valore della parola (nell’Antico Testamento la parola ha il potere di creare: “YHWH disse: ‘sia la luce’ e la luce fu”, ecc.), il valore etico del comportamento umano, la figura del giusto (inteso come *eroe imperfetto*) e del giusto sofferente… Ma sono solo suggestioni, lacerti.
“quando si aprirà un post per L’eroe imperfetto?”
Al più presto.
grazie!!
approfitto per un aggiunta alle suggestioni del mio commento: il valore del racconto e della memoria (“vi racconto una storia che voi racconterete ad altri che a loro volta la racconteranno ad altri…”)
@flavio,
all’interno della lunghissima discussione sulla Letterarietà (in Lipperatura), si è sfiorata anche la questione del video Luperini-Saviano, rimandando a questo link.
http://luperini.palumbomultimedia.com/?cmd=blog&id=12
Lì se ne parla a proposito di appropriazione indebita di commenti (?), ma qui è utile per il discorso sull(a costruzione dell)’immagine pubblica di Saviano.
p.s. vorrei precisare quanto ho scritto: la parola creatrice è nel libro della Genesi (che fa parte della Torah per la tradizione ebraica e dell’Antico Testamento per la tradizione cristiana)
@danae: lo so. Conosco la persona che vi faceva riferimento, la stessa con la quale abbiamo discusso ed eleborato gli spunti e le idee che ho riproposto anche in questa sede.
cmq la tua attenzione è impressionante :-)
Noto che nell’esaustivo scritto di Carmilla su Dal Lago ed il suo pamphlet, il verbo “esorbitare” viene adoperato, non a sproposito, con una frequenza degna del Giuseppe Genna di “Hitler”.
sul sito di Saviano, link alla sua pagina facebook con la presentazione del programma pensato con Fazio per Rai3
http://www.facebook.com/note.php?note_id=450430442852&comments
su Nazione Indiana, a proposito delle icone, ma nei commenti si finisce per parlare solo di Saviano
http://www.nazioneindiana.com/2010/08/14/il-vicolo-cieco-delle-icone/