Quale miglior viatico per questo post della frase all’imperativo contenuta in un articolo del book-jockey D’Orrico sui libri dell’estate? L’articolo è uscito qualche giorno fa su Sette (settimanale del “Corriere della sera”).
Ehi, non fate finta di niente: D’Orrico vi ha dato un ordine! :-) Anzi, gli ordini sono più d’uno, perché alla frase riportata segue l’ukase “Basta coi finti sperimentali”. Il nesso tra la “finta sperimentazione” e una raccolta di saggi sulla figura dell’eroe in letteratura risulterà chiaro (forse) a chi ha seguito il dibattito sul New Italian Epic.
[A proposito: sull’ultimo numero di Internazionale (854 | 9 / 15 luglio 2010), a pag. 68 c’è un reportage di tre pagine intitolato “L’epica dei tempi difficili”. L’autrice è Frederika Randall, corrispondente dall’Italia della rivista USA The Nation. C’è anche un tentativo di messa in prospettiva storica, con accenni di paragone con la situazione americana. Pdf qui.]
Chiudiamo il preambolo ricordando che a noi le micro-recensioni di D’Orrico piacciono a tal punto che ce ne scrivemmo una da soli, anni fa, all’uscita di Free Karma Food (“Sono di Bologna ma si spacciano per cinesi. / Tanta ciccia e poca figa nel romanzetto del sedicente Wu Ming 5”).
Dunque, L’eroe imperfetto è uscito ormai da un paio di settimane, in un periodo poco favorevole a operazioni di questo tipo. Non avevamo ancora dedicato all’uscita un post specifico perché aspettavamo l’occasione giusta, che si ostinava a non arrivare. Finora abbiamo visto solo una recensione, scritta dal collega Giorgio Falco e uscita su “La Repubblica”, bendisposta ma un poco vaga.
Poiché mancava uno spazio apposito su Giap, alcune nostre e vostre conoscenze hanno iniziato a discuterne su Lipperatura (in calce alla recensione di Falco).
Bene, l’altro giorno (9 luglio) Wu Ming 4 ha presentato il libro su Radio 3, a Fahrnenheit. Con lui c’era l’antropologo Franco La Cecla. La conduzione era affidata a Loredana Lipperini.
La conversazione è durata 24 minuti e la potete ascoltare/scaricare qui sotto.
Wu Ming 4 e l’antropologo Franco La Cecla parlano di eroi, | [mp3_embed playlst=”http://www.wumingfoundation.com/suoni/Fahrenheit_WM4_La_Cecla_eroe_imperfetto_09072010.mp3″] |
Scarica l’mp3 (22 mega)
Indi ragion per cui, se avete commenti da fare, potete lasciarli qui sotto.
Solo, tenete conto che WM4 non potrà rispondervi subito, perché oggi lo operano a un ginocchio.
Beh, intanto auguri per l’operazione (chirurgica) a WM4!
Domanda banale: lo metterete online?
Due saggi su tre (“Un giorno a Maldon” e “Da Camelot a Damasco”) erano già on line prima di essere raccolti nel libro. Il terzo saggio, “L’eroe e la dea”, per ora è solo su carta. Lo metteremo on line in futuro, magari a puntate, come stiamo facendo con “La salvezza di Euridice”. Comunque, ehi, il libro costa 10 euro, non è una cifra impossibile… :-D
Che la grande Estë vegli su di te, WM4!
Bisogna dire che pure a radio3 ogni tanto arrivano segnali inquietanti (versione eufemistica per chiamano dei coglioni), come l’sms di Sandro su Giasone ed Enea…
Ci sarebbe voluta un’ora almeno per arrivare un po’ più al nocciolo della questione. Comunque.
Complimenti a La Cecla perché “Socrate era un grande figlio di puttana” è un verso notevole.
Riguardo ad uno degli argomenti trattati, ossia “esistono eroi oggi”, mi piacerebbe sapere cosa pensate all’idea (dato l’evento clou di questa domenica) che nell’epoca contemporanea si chiamino eroi, e non tanto per dire, anche dei grandi sportivi\atleti.
Sono soltanto come i gladiatori di una volta, in abiti “leggeri”, oppure il fatto che persino lo sport abbia inglobato il concetto di eroe è un segno che merita considerazione?
No, chiaro, è che vivo in Francia e ordinare online un solo libro non mi conviene, e ordinarlo qui in libreria ha tempi che non si addicono alla mia curiosità… I primi due saggi li avevo letti e mi continuano a ronzare in testa, per questo volevo curiosare il terzo… Vedrò di trovare qualcuno che me lo porti! :-)
Io ho letto il libro e l’ho trovato molto interessante. Mi ha appassionato soprattutto la terza parte del capitolo “L’eroe e la Dea” dedicata al Signore degli Anelli.
Da comunista amante della Terra di Mezzo ho sempre detestato le letture reazionarie e tradizionaliste dell’opera di Tolkien. Per non parlare delle tante strumentalizzazioni del neofascismo italiano (I campi hobbit, ecc.).
L’analisi sulla centralità del “femminile” e dell’eroe “imperfetto” Samvise Gamgee è stata insomma una boccata d’ossigeno.
AH!
Non solo lo leggo, ma lo compro pure. ‘facciazzatua, D’Orrico!
Io l’ho comprato (ieri), lo sto leggendo e mi sta piacendo davvero tanto.
Il primo saggio è molto interessante (e richiede, come giusto, una grande attenzione) ed ora ho iniziato il secondo.
Non capisco i “bruciori di panza” di certi critici: qual è il problema? Scrittori che metariflettono sulla scrittura? Sono sempre stato molto lontano dalla critica letteraria, ed invece operazioni come questa e come NIE sono davvero preziose. Mi auguro che questo sia solo l’inizio di un vostro più ampio lavoro di ricerca sulla letteratura e sul narrare.
Complimenti e continuate!
forse lo sport ha inglobato il concetto di eroe (lo sport come settore industriale), ma che tipo di eroi produce? sono sicuramente eroi popolari, ma funzionano più o meno con le regole della “celebrità”, nel senso di personaggi famosi. cos’è un eroe popolare nel senso di folk hero? è solo una celebrità di altri tempi o possiede altre caratteristiche?
io credo che esistano oggi molti tentativi di creare celebrità che funzionano con una logica mutante e che provengono dal basso. capaci di essere globali senza essere di massa e, all’occorrenza, senza smettere di essere locali (nel senso che se sono persone ci puoi prendere una birra insieme o se sono personaggi puoi far parte anche tu in qualche modo della storia)…
se non vogliamo cercare troppo lontano, Luther Blissett “siamo stati” uno di questi esperimenti. cercando un po’ più lontano (e non necessariamente nel tempo, anzi) ne troviamo tanti altri. il primo che mi viene in mente potrebbe essere il mitico Reverendo Billy della Church of Life After Shopping….
è bene non perdere di vista la cultura (inter)nazional-popolare (lo sport, i mondiali, etc. etc.), però tutt’attorno stanno fiorendo altre culture popolari che stanno trasformando l’idea stessa di “cultura popolare”. insomma, attenzione, potremo ritrovarci presto circondati da eroi di ogni tipo…. se nel nostro piccolo saranno davvero “eroici” ci sarà da divertirsi…
(ps. non ho ancora letto tutto il libro di WM4 ma sono temi che mi appassionano….)
Poche ore fa ero sotto i ferri e ariecchime. Ho un occhio cionco, un ginocchio fuori uso, e sono alla tastiera. Più eroico di così! :-)
Grazie degli auguri. E grazie a D’Orrico, che certe medagliette a noi altri stronzi Wu Ming piace appuntarcele al petto. E’ doveroso stare sui maroni alla gente giusta, e il fatto che tutto sommato una frecciata non ce la vogliano risparmiare è un dato rivelatore. Diceva il presidente Mao: “Quando il nemico attacca è un bene…” (tanto per fare contento De Turris che ci considera “maoisti”:-)
Riguardo alla trasmissione con La Cecla, il problema è che eravamo sintonizzati su due frequenze diverse. L’unica cosa che vorrei dire è che il punto non è CHI E’ l’eroe oggi, ma COS’E’ l’eroe oggi. La funzione guerriera non c’entra un cazzo, è di narrazioni che si sta parlando… Lo so, dovrei articolare meglio tutto questo, ma ho assunto droghe che stenderebbero un bisonte: Lexotan in gocce + 2 pere di anestetico in vena + l’anestesia locale nella gamba. Credo che questo spieghi anche il perché di questo mio messaggio sopra le righe.
Datemi 24 ore e magari ritorno in palla. Adesso scusate, vado a pugnalarmi la panza con una siringa anti-emboli.
Buona scerata a tutti/e.
P.S. @ eFFe: non credo che metteremo on line la mia operazione al ginocchio. Sarebbe di estremo cattivo gusto.
*non credo che metteremo on line la mia operazione al ginocchio. Sarebbe di estremo cattivo gusto
Ma sarebbe assai eroico! ;-)
Finalmente un post su questo libro, è denso ma è agile. Ehm, ho iniziato dalla bibliografia… comunque, riuscirebbe a leggerlo anche WM4, sbilanciato e mezzo orbo com’è! Oddio, ragazzo, che dire? Auguri. Lo sto leggendo.
Cantami, o Mina, del prode Wu Ming
che quarto segue il gruppo sanza nome,
spiccando come fan del Lord ov de Ring(s).
Ora è a casa a forarsi l’addome,
ma si narra di quando, poco prima,
spinto da Varda e guidato da Oromë
molte anzi tempo all’Orrico con stima
rivolse alme d’eroi, ma fu ignorato
da critici stitici. Sulla cima
della torre antica, di cetra armato,
alto e fier come Harlock il capitano,
a lungo stette. Poi, fu speronato
al ginocchio e cadde. La fatal mano
che colpì il Nostro, si celò invidiosa
certa d’aver steso il bardo emiliano.
Che invece dalla vetta perigliosa
sui gomiti strisciò e giunse alla tela
del ragno, evitando la pur gloriosa
sorte di Fidippide. La candela
valse tanto sforzo? Ai postumi sia
la sentenza. Or il bardo quiete anela.
Si goda anche il plauso della compagnia
picciola che attende. Tanto coraggio
premiato andrà, e ‘l vino scorra tuttavia
sino alle prossime idi di maggio,
a eterna memoria. La rima stramba
or si perdoni, ché chiudo l’omaggio.
Riposi l’eroe e presto torni in gamba!
1) “Poche ore fa ero sotto i ferri e ariecchime. Ho un occhio cionco, un ginocchio fuori uso…”
Avanzo l’ipotesi di una macumba eseguita da critici detrattori.
2) Cito una nota posta in calce alle *Vite parallele* di Plutarco (ne possiedo una copia) :”La mancanza di un occhio, così come la zoppia o la mancanza di un braccio, è strettamente associata con gli dei della guerra o con lo sciamanesimo sia nella religione e nella mitologia germanica (Odino/Wotan) che nella religione e nella mitologia celtica (Lug/Cùchulainn); sia Annibale che Sertorio seppero come sfruttare la loro deturpazione come un segno di favore divino quando ebbero a che fare con Spagnoli, Celtiberi e Galli.”
Non so come la pensiate voi, ma io prevedo un ritorno di Wu Ming 4 in versione sciamanica (claudicante ma dotato del dono dell’ubiquità, parzialmente orbo ma in grado di predire il futuro) e tempi duri per i critici maldicenti… ;-)
I “mali auspici” contro di noi (in forma di invettive, stroncature, “dura ming”, sabotaggi etc.) hanno sempre avuto poderosi effetti-boomerang, e continueranno ad averli :-)
P.S. Dell’orbo e dello storpio parlano anche Deleuze & Guattari in “Mille piani”, all’inizio della sezione su macchina da guerra / apparato di stato & spazio liscio / spazio striato.
“P.S. Dell’orbo e dello storpio parlano anche Deleuze & Guattari in “Mille piani”, all’inizio della sezione su macchina da guerra / apparato di stato & spazio liscio / spazio striato.”
Ah! Non lo sapevo. Toccherà leggerlo, prima o poi, ‘sto *Mille Plateaux*: edizione consigliata?
Al momento ne esiste solo una, edita da Castelvecchi. Comunque, è la stessa traduzione della vecchia edizione La Nuova Italia. Castelvecchi ne acquistò i diritti negli anni ’90.
In realtà ho scritto “storpio” ma quello fa pensare alla zoppìa. Deleuze e Guattari parlano del “Guercio” e del “Monco”, cioè privo di una mano. L’imperatore-mago è guercio (unico occhio = simbolo della capacità di connettere i segni senza ambivalenze = vaticinio, intelligibilità del divenire), mentre il re-giurista è monco (unica mano = simbolo della capacità di decidere, atto che districa la complessità e impone la legge). Dopo aver enunciato questa potenziale dicotomia, subito la rendono relativa, ma serve a introdurre il loro discorso sullo Stato.
Il tema ricorrente del monocolo e del monco che salvano il mondo (Odino/Tyr, Lug/Nuada, Orazio Coclite/Muzio Scevola)è trattato anche da Georges Dumézil in molte sue opere.
Il buon vecchio G. Dumézil, non delude mai…
E’ da lì che prendono il riferimento Deleuze & Guattari, per introdurlo nel loro discorso. Dumézil è una delle influenze principali nella temperie francese degli anni ’60 da cui escono sia Foucault (influenzatissimo da Dumézil e suo amico personale, tanto che fu D. a fare il suo nome per il famoso incarico svedese, come responsabile della Maison de France di Uppsala) sia D&G.
Io sono un profondo estimatore di Dumézil. E mi spiace che, almeno per un certo periodo, in Italia gli sia toccata la stessa sorte di Tolkien, ossia: strumentalizzazione da destra, denigrazione da certa “sinistra” (Carlo Ginzburg, Momigliano, ecc.).
“Mi riempie di costernazione soprattutto il ragionamento per salti logici successivi di Ginzburg che si potrebbe riassumere così: il Collège (de sociologie, n.d.r.) aveva certe tendenze naziste, Caillois era uno dei fondatori del Collège, Dumézil era amico di Caillois, dunque Dumézil era più o meno nazista. Mi riempie di costernazione non per me, né per i Mani di Caillois, ma per Ginzburg e per la sua concezione, per la sua pratica, ahimé, della storia”
(G. Dumézil in “Ideologie miti massacri” a cura di C. Grottanelli, Sellerio 1993)
Dal ginocchio acciaccato di Wu Ming 4 ai denigratori di Dumézil… ammazza, ‘sta conversazione presenta sviluppi davvero inattesi!
In bocca al lupo di buona convalescenza a WM4! Ho messo il suo libro nella playlist di letture per l’estate. E mi sa che poi mi toccherà anche leggere – oops! volevo dire”acquistare” – quel gran monnezzone di Tolkien :-)
@ Salvatore Talia:“oops! volevo dire”acquistare”
Comunque, la persona che – in altra sede – ci ha definito con disprezzo “acquirenti” anziché lettori, passa il suo tempo su FB (così mi si dice, visto che non ho una pagina facebook) a scrivere status come questi:
“Cercasi bella presenza, cerebrodotato, psicosimmune, automunito, scopo scambio intellettuale o matrimonio. No stalker, perditempo, WM.”
Direi che siamo ben oltre il ridicolo. Mi fermo qui (ne ho parlato solo perché il thread faceva riferimento a certi critici, malevoli a priori) per evitare, involontariamente, di far pubblicità a gente che in fondo è meglio non considerare.
Errata corrige: in un commento sopra ho scritto che la prima edizione italiana di “Mille plateaux” uscì per le edizioni La Nuova Italia. Non so perchè mi sia venuta fuori ‘sta cosa (forse pensavo ai Grundrisse di Marx, associo 1000P e i GG. per ragioni biografiche legate alla “Pantera” e ai suoo pròdromi, li scoprii negli stessi giorni quand’ero matricola). In realtà l’edizione era Treccani, l’istituto dell’Enciclopedia Italiana.
Domanda: il tema letterario dell’eroe e della Dea non potrebbe essere in qualche modo collegato con il mito (neolitico?) della Dea, madre, sposa o amante, che fa risorgere il dio morto?
Mi riferisco al mito di Inanna e Dumuzi presso i Sumeri, di Ishtar e Tammuz presso gli Akkadi, di Iside e Osiride presso gli Egiziani, di Cibele (la Magna Mater romana) e Attis presso i Frigi, di Afrodite e Adone presso i Greci. Miti che, secondo molti studiosi, derivano dai culti agrari legati alla fine dell’inverno e alla rinascita primaverile.
Riflessione: credo che per “cambiare le cose” ci sia bisogno di tutto: movimento, organizzazione, cultura, letteratura, musica… ed eroi. Soprattutto se si aspira a un cambiamento radicale.
Che tipo di eroe può servire? Senz’altro il tipo “Samvise Gamgee” è un’ottima alternativa all’eroe tradizionale, tragico, “guerriero” e destinato alla morte. Ma, finché esiste un conflitto insanabile nel cuore di una società, io credo che la figura dell’eroe tragico non cesserà di svolgere la sua parte.
Certo, quest’ultimo è sempre un’arma a doppio taglio. Esempio: Che Guevara.
L’eroe è un ostacolo quando diventa intoccabile e non criticabile (“Chi sei tu per criticare il Che? Lui è morto per la Causa! Ecc.) O quando diventa il messiah (“Ah, qui le cose non cambiano… ci vorrebbe un Che Guevara, un Lenin…).
L’eroe tragico è invece una risorsa quando diventa simbolo di un ideale per il quale, al di là di tutti i limiti “umani” di chi lo incarna, vale la pena lottare, e anche morire.
Questo perché un ideale deve essere “mithos” oltre che “logos”. Deve basarsi su un’analisi forte, ma deve saper scaldare anche i cuori.
Scusate la lunghezza del post…
@Wu ming 1:”associo 1000P e i GG. per ragioni biografiche legate alla “Pantera” e ai suoi pròdromi, li scoprii negli stessi giorni quand’ero matricola.”
Tu ai piani bassi della facoltà a leggere Marx, D&G, e a occupare l’università, io invece ai piani alti (il dipartimento di storia antica era al quarto) a frequentare epigrafisti e papirolgi e a farmi domande fondamentali (del tipo: sono più filospartana o filoateniese?) … ero completamente scollegata dalla realtà ;-)
Per fortuna vi ho conosciuti 10 anni dopo; all’inizio dei ’90 io ero una persona molto diversa, poco cosciente di ciò che mi accadeva intorno ;-(
Ok, grazie per le indicazioni su Mille Piani.
@ Anna Luisa:
io più che altro attendo con trepidazione il preannunciato articolo sul “manifesto”, con il quale la Nostra racconterà la sua catabasi nel mondo infero degli analfabeti di ritorno… Pur di farmelo leggere, sono disposto persino a sospendere per cinque minuti l’acquisto compulsivo dei romanzi di Sophie Kinsella :-)
Régaz, non vi fate capire :-) Non è detto che chi viene qui possa cogliere le allusioni a discussioni avvenute altrove. Propongo una mozione d’ordine: ok, basta allusioni e OT, Giacomo ha dato dei begli spunti, WM4 nei prossimi giorni torna in carreggiata, insomma, in questo thread ri-focalizziamo su “L’eroe imperfetto”.
…in effetti mi è palesemente sfuggito qualche riferimento e allusione; poco importa.
Innanzitutto premetto di non aver (ancora) letto L’Eroe Imperfetto, provvederò quanto prima. Comunque ho ascoltato più (e più) volte l’mp3 di Maldon.
Quella che volevo cominciare a fare qui e ora voleva comunque essere una vaghissima introduzione ad un argomento vasto… eh parecchio direi.
Comincio dalla prima cosa che ho sotto occhio, giusto per capire e prendere alcune “misure”: Watchmen, Alan Moore. È a suo modo un lavoro sulle figure eroiche, anche per negazione volendo… tra tutti i personaggi, mi chiedo, come esempio massimo di Eroe “inutile” o comunque “inetto” perché scollegato dalla comunità, è secondo voi pertinente il Dr. Manhattan? Praticamente un Dio Onnipotente, effettivamente più (super)eroe di lui pochi se ne sono mai visti… ma non riesce a capire il *perché* si dovrebbe voler aiutare la vita a non estinguersi del tutto.
Ok, è un inizio e sono sicuro che già moltissimi ne hanno parlato, e pure parecchio. Scusate se è striminzito e sconnesso come post, sto cercando di raccogliere le idee, per approdare su una forma di narrazione piuttosto poco ortodossa e che credo sia parecchio pertinente in questo caso, il gioco di ruolo… ci vorrà un po’ :-)
Auguri di pronta guarigione a WM4 (anche io voto per l’occhio secco dei critici :-P), e complimenti a Ekerot per la ballata!
PS
Se non si fosse capito, del titolo trovo per immedesimazione assai più intrigante l'”imperfetto”… :-)
@nikitas85
questo testo di Girolamo De Michele sul “triste tropico del Dr Manhattan” lo avevi visto?
http://www.carmillaonline.com/archives/2009/11/003238.html
E’ stato incluso anche nell’antologia Pop filosofia, accanto alla mia lezione su 300 etc.
@ Giacomo: la risposta è sì… ma cum iudicio. In effetti nella terza lettura del libro faccio riferimento proprio a quella nebulosa di miti “matriarcali”. Secondo me però bisogna muoversi con i piedi di piombo (te lo dico nel caso fossi lo stesso Giacomo che ci ha spedito un paper su questo argomento). Un conto è l’ambito mitico, un altro quello storico. Ci sono alcuni archeologi, prima fra tutti la Gimbutas, che hanno sostenuto con fermezza l’ipotesi matriarcale come fase preistorica identificabile. Ora, che uno scontro/incontro tra divinità maschili e femminili sia avvenuto è altamente probabile, e che a questo scontro mitico sia corrisposto un incontro/scontro tra culture diverse lo è altrettanto. Quello su cui io sarei cauto (ad esempio più cauto di una parte del movimento femminista) è nel trarre dalle teorie della Gimbutas l’idea che l’età matriarcale sia stata un momento di egualitarismo non bellicista, una specie di età dell’oro pre-genderizzazione e gerarchizzazione dei ruoli sociali. Io da questo punto di vista resto molto più “gravesiano”, e cioè prendo l’ipotesi mitica come tale e la seguo nelle sue declinazioni poetico-narrative. Graves non ha mai sostenuto che il dominio della Dea – ammesso che l’ipotesi archeologica sia fondata – fosse un’età dell’oro. Era convinto che da esso avesse avuto origine la Poesia, ma non si spingeva oltre. Anzi, l’immagine della Dea che la sua ipotesi poetica ci restituisce è tutto sommato “neutra”. La Dea non è buona o malvagia, ovvero è capace di aiutare gli uomini come di dannarli (e di maledirli con una certa perfidia). In nome della Dea si combattevano guerre e si compivano sacrifici (il vecchio re sostituito con il nuovo). Figurarsi che per Graves perfino i realisti cattolici che combatterono contro il New Model Army di Cromwell lo facevano brandendo un’effige divina femminile, la Santa Vergine, contro il Dio Padre dei puritani, ovvero riproponevano ancora implicitamente lo scontro mitico avvenuto migliaia di anni prima.
Quanto a Samvise Gamgee, in effetti non andrebbe mai considerato separatamente da Frodo Baggins. I due sono un unicum, ovvero due volti eroici, uno dei quali “comico”, l’altro “tragico”. Senza il sacrificio, la sconfitta, la dipartita di Frodo, non si darebbero il ritorno e il trionfo di Sam. Questo per dire, che l’elemento tragico non può essere dissociato dalla figura eroica.
Ok, scusate, ma devo finirla qui per il momento, devo tornare a stendermi. Mi ricollego più tardi.
Mi pare che l’editto di D’Orrico non meriti molta attenzione – invece assai interessante mi paiono le suggestioni di Giacomo. Anche io non ho materialmente il libro tra le mani – abito all’estero, e dunque valgono le considerazioni fatte in merito da eFFe – ma ho già letto e apprezzato in forma elettronica i primi due saggi della raccolta Bompiani, per cui vorrei anch’io produrmi in un paio di riflessioni.
Innanzitutto mi pare ingenerosa la liquidazione frettolosa dei “denigratori di Dumezil” operata da Giacomo: quella di Ginzburg, in particolare, è tutt’altro che basata sul facile – e falso – paralogismo evocato dallo stesso Dumezil. Si legga il saggio “Mitologia germanica e nazismo” basato sulla monografia dumeziliana dedicata agli déi dei Germani, nelle sue due edizioni (Mythes et dieux des Germaines, 1939 e 1959): da esso appare chiaro come a Ginzburg interessi in particolar modo sottolineare in che misura Dumezil si soffermi, tra l’altro, sulle “sociétés d’hommes” cultuali e rituali tipiche delle saghe islandesi; e come questo elemento, nel 1939, richiami irresistibilmente alla mente, sia per i recensori tedeschi del tempo che per i lettori odierni, la tradizione dei Männerbünde nella sua rilettura politica contingente (leghe maschili di giovani guerrieri: non si può non pensare alle SA e alle SS). In realtà Ginzburg rimprovera a Dumezil l’acquiesciente partecipazione a un clima, a un’atmosfera spirituale (cui partecipavano anche, del tutto consapevolmente, i membri del Collége) che potremmo sbrigativamente definire “fascista” – e basterebbe rileggersi i testi del Bataille di “Acéphale” per averne prove ad abundantiam – ma che in realtà persegue un obiettivo ancor più sottile: rifunzionalizzare, attraverso un riutilizzo scandaloso, linguaggi, idee, segni e valori “di destra” in un altro senso, diciamo “di sinistra”. Il problema è che il confine è labilissimo, e i sentieri che lo percorrono strettissimi, e a volte capita di trovarsi con un piede di qua e uno di la…
Ma la questione è ancora un’altra: e cioè sottolineare come, nel tema dell’eroe, ne vada della comunità che gli sta dietro – come giustamente sottolinea WM4 – ma allo stesso tempo anche del suo carattere liminare, di ponte comunicativo tra mondo concreto e trascendenza simbolica. In una parola: l’eroe è tale perché istituisce – o dovrebbe farlo – un legame virtuoso tra il “popolo” e gli déi (e in questo senso dice bene Giacomo: “Deve basarsi su un’analisi forte, ma deve saper scaldare anche i cuori”).
Il passo successivo sta invece nell’individuare i parametri – o addirittura gli interpreti in carne e ossa – che definiscano la virtuosità di tale legame: e questo è l’elemento cruciale di una semantica tipologica dell’eroe.
Per questi motivi mi pare fondamentale la riflessione avviata da WM4 (al quale vanno anche i miei auguri di pronta guarigione!).
2 contributi video al commento di bani
– Reverend Billy
http://it.qoob.tv/video/clip_view.asp?id=13593
– Sull’ origine della cultura popolare
http://it.qoob.tv/video/clip_view.asp?id=13594
Freak-a-luja!
10 euro benedetti d’orrico
Grazie per la risposta. Sì, il paper l’ho mandato io : )
In effetti gli studi della Gimbutas sono per me un punto di riferimento. E ammetto che il rischio di idealizzare troppo un’età così antica (il Neolitico avanzato, e anche la prima Età del Bronzo presso alcuni popoli) c’è sempre, visto che non ne sapremo mai abbastanza. Ma c’è anche il rischio opposto, ossia quello di vedere il nostro lontano passato sempre con gli occhi di un’umanità che ha sempre conosciuto guerre, gerarchie e lotta di classe. Esempio. Riane Eisler, seguace della Gimbutas, si è dovuta inventare un neologismo, “gilania”, per definire quelle società arcaiche dove secondo lei non esisteva una preminenza né maschile né femminile, perché “matriarcato”, esattamente come “patriarcato”, implica ancora una volta un privilegio di genere. Questo per dire che forse ci mancano anche le parole per descrivere un mondo così distante dal nostro, non solo cronologicamente.
Queste civiltà erano davvero così migliori, matriarcali o “gilaniche” che fossero? Senz’altro erano diverse. Il primo esempio che mi viene in mente è la dicotomia Minoici-Micenei: l’arte degli uni esaltava la natura, quella degli altri le armi; i primi edificavano le proprie città senza difese, i secondi costruivano mura ciclopiche e si arroccavano sulle alture… ciò non toglie che anche i Minoici combattessero, e che i Micenei mutuassero alcune divinità proprio dai Cretesi… insomma, cerchiamo di decifrare il lineare A e il Disco di Festo, magari avremo delle sorprese, e non necessariamente delle conferme : )
mi chiedevo, prima di comprare il libro: c’è un’affinità tematica col vecchio Eco del “Superuomo di massa”?
Saltando di palo in frasca, l’articolo della Randall che parla – anche, molto – di Wu Ming non è niente male…
@ WM1 No non lo conoscevo l’articolo, grazie!
@Giacomo Non so se ti possa interessare, ma riguardo a quest’argomento personalmente ho trovato assai interessante “La grande madre” di Enirich Neumann. Allievo di Jung, si è dedicato a questo archetipo numinoso e assai più “denso” di molti altri. Anche se non avanza ipotesi di tipo storico, analizza miti diversissimi e ne estrapola una figura ovviamente ambivalente e complessa.
Il testo è ponderoso, e ci vuole un po’ di pazienza e buona volontà per finirlo, ma lo consiglio spesso.
(salto i commenti per dire una boiata – e per non rovinarmi le sorprese prima di aver ultimato la lettura)
Guercio e zoppo: Wu Ming 4, vuoi incarnare Tamerlano?
@nikitas85 grazie della segnalazione, cercherò il libro!
@gabriele io non credo proprio che Dumézil negli anni Trenta partecipasse al clima spirituale in cui germogliava il nazi-fascismo. I Mannerbunde germanici di cui parla Dumézil in “Mythes et dieux des Germaines” del 1939 ricordano alcuni aspetti delle SS e delle SA? E’ vero. Dunque? Questo significa che Dumézil in qualche modo strizzava l’occhio alle nuove “società d’uomini” di Hitler? Non vedo il nesso. Dumézil ha speso una vita a studiare l’antico mondo indoeuropeo, ma non si è mai sognato di esaltarlo o di proporlo come modello politico per l’oggi. Questo lo hanno fatto (e continuano a farlo) i neofascisti di ogni risma, sempre in cerca di appoggio intellettuale alle loro mire reazionarie.
“Ciò che posso dirvi, è che tutto ciò che intravedo del mondo indoeuropeo mi avrebbe fatto orrore. Non avrei certo amato vivere in una società nella quale c’era un Mannerbund… o c’erano dei druidi. Per quanto è possibile immaginarli, attraverso i loro eredi, gli Indoeuropei non sarebbero certo stati simpatici da frequentare. Vivere in un sistema trifunzionale mi darebbe l’impressione di una prigione. Studio dunque le tre funzioni, esploro quella prigione, ma non avrei voluto viverci. (…) No, amo di più i Greci. E se avessi voluto vivere in una certa epoca sarebbe stato piuttosto ai tempi di Pericle o di Alessandro Magno.” (G. Dumézil, intervista al “Nouvel Observateur”, 14 gennaio 1983, in “Ideologie miti massacri” a cura di C. Grottanelli)
A proposito della “questione Dumézil” segnalo anche “MITOLOGIE DEL XX SECOLO. Dumézil, Lèvi-Strauss, Eliade” di Daniel Dubuisson (Dedalo 1995). Libro in cui Dubuisson dimostra, secondo me efficacemente, come gli attacchi nei confronti di Dumézil fossero del tutto infondati, mentre rimarca certe gravi ambiguità antisemite nell’opera di Eliade.
A proposito di Dumézil “…il suo ideale era quello del sovrano illuminato, alla cui corte vengono ricevuti i Diderot o i Voltaire, che si preoccupa del bene dei suoi sudditi. Sarebbe sicuramente ingiusto vedere in quest’altra forma di utopia politica una nostalgia inconfessabile per i regimi dittatoriali e brutali che hanno insanguinato questo secolo. D’altro canto furono molti gli intellettuali di origine ebrea che protessero e portarono beneficio alla sua carriera (Michel Bréal, Sylvain Lévi, Marcel Mauss, Jules Bloch, Emile Benveniste e Claude Lévi-Strauss in particolare)” D. Dubuisson in “Mitologie del XX secolo”
ah, c’è anche sull’archetipo della “donna selvaggia” un libro di Pikola Estes, “Donne che corrono coi lupi”. Purtroppo non so dirne molto oltre che segnalare la sua esistenza, visto che non ce l’ho (è nella wish list da molto tempo, prima o poi provvederò!), però pare affascinante ed ha avuto un buon successo.
Per quanto riguarda Dumézil… non ne so molto, ma già WM1 parlò di diversi approcci al mito (contrapponendo quello reazionario di Eliade a quello di Jesi… forse si può dire a sua volta mitopoietico) nella lezione su 300. Io mi sono fatto un’idea seppur breve e non troppo approfondita in quel senso. D’altro canto, viste le citazioni qui sopra mi pare che Dumézil avesse le idee piuttosto chiare a riguardo, e aggiungo che se pure fosse stato filonazista, ciò non vorrebbe dire scartare ogni suo lavoro a proprio considerandolo propaganda!
* … scartare il suo lavoro a PRIORI (non a proprio)
scusate… mancanza di sonno ed eccessiva fiducia nel correttore automatico :-)
C’è una differenza di fondo molto importante tra l’approccio al mito di Dumézil e quello della destra mistica, tradizionale e nazista. Come scrive Jesi: “Per il Dumézil il mito è testimonianza autentica del volto della storia, ma di un volto della storia non trascendente, non metafisico.” A Dumézil piaceva Bachofen, che gli ideologi nazisti scelsero come “precursore”. Ma non a caso Benjamin, che li aveva sgamati in anticipo, scrisse negli anni Trenta proprio un’apologia di Bachofen, per scongiurare quell’appropriazione di destra della dottrina bachofeniana.
@ Giacomo: sono d’accordo con lui su Dumezil e i suoi “rapporti” col nazismo (ancor più nel distinguere l’autore da una sua scombiccherata recezione politicizzata, come si sottolinea); lo stesso sutdioso, d’altro canto, nella recensione al saggio di Ginzburg riprodotta nel volume di Grottanelli, parla del suo libro sugli déi dei Germani – ed ancor più sulla sua recezione del tempo – come di “un’utile messa a punto di un sentimento comune”. Quello che mi disturbava nel tuo primo commento, caro Giacomo, era il tono facilmente liquidatorio riguardante Ginzburg – e Momigliano! -, che invece (specie il primo) si erano prodotti in una disamina critica forse non condivisibile, ma indubbiamente ben più argomentata della parodia che ne faceva Dumezil. Non si trattava del resto ovviamente, neanche per Ginzburg, di additare alla comunità scientifica uno studioso in camicia bruna: ma certamente di denunciare una certa acquiescienza spirituale ai ralliements politici del tempo, specie in un ambito apparentemente anodino come quello degli studi antichistici, antropologici e storico-religiosi. I Männerbünde esercitavano, poi, un fascino tutto particolare, anche sul giovane Dumezil (checché ne dica, retrospettivamente, lo stesso studioso): ed era il fascino per le societá segrete di giovani guerrieri in armi (che tra l’altro spiega anche singoli tratti della mentalità totalitaria).
Il problema, lo ripeto, per me sta proprio qui: nel rapporto intracomunitario sia in senso orizzontale che in quello verticale (e qui rientra il tema dell’eroe).
Due premesse un una segnalazione e una domanda, ma veloci: non ho ancora letto il libro di WM4 e non ho alcuna esperienza accademica. Sono qui because si legge della bella roba, non troppo legnosa. E poi si “respira”. Volevo buttare my 2 cents nel post . Ho finito oggi oggi di leggere un saggio che mi era stato consigliato: “Liquid Life”, Zygmunt Bauman. Ziggybau nel libro parla anche di eroi e in particolare intitola uno dei mini saggi “Martyr to Hero, Hero to Celebrity” (inglish version). Mi ha colpito e mi ha aiutato a comprendere alcune cose. Mi chiedevo se il saggio di WM4 approfondisca esclusivamente il concetto e la storia dell’ eroe/eroismo in letteratura. Lo compro uguale, pero’ magari aspetto di essere in Italia.
10Q
Io rimango dell’idea che Ginzburg e Momigliano abbiano sicuramente altri meriti, ma che nei confronti di Dumézil si siano posti davvero male. Anche la risposta di Dumézil è ovviamente molto più argomentata delle poche righe che ho riportato io. Rispondendo al suo articolo(che se non sbaglio si trova anche in: C. Ginzburg, “Miti emblemi spie”, Einaudi 1992) Dumézil fra le altre cose diceva: “A forza di ripetere ‘equivoco’, ‘ambiguo’, se non addirittura ‘tendenza’ o ‘simpatia ideologica mal dissimulata’, Ginzburg pensa senz’altro di influenzare l’inconscio dei lettori. Si tratta di un procedimento conosciuto. D’altra parte mi sento in buona compagnia giacché mi approvano, o comunque si ritrovano assieme a me nel bizzarro commissariato di polizia dove si verifica la mia identità intellettuale, non solo Marc Bloch, ma anche Lucien Febvre e Marcel Mauss (…). Se fossi in Ginzburg comincerei a preoccuparmi del fatto di essere rimasto solo, insieme a Momigliano, contro tanti grandi – che furono, soprattutto, testimoni.”
(Ideologie miti massacri)
Riguardo agli attacchi di Momigliano, Dumézil riteneva, e io credo a ragione, che in realtà lui e altri non gli perdonassero di avere messo completamente in discussione tanti studi e teorie sulla Roma arcaica con la “pretesa di spiegare le origini di Roma attraverso l’utilizzazione di favole ossete e germaniche. Dumézil proponeva a questa vecchia filologia di incrociare a largo, mentre essa credeva soltanto alle virtù della navigazione sotto costa. Tra le due parti non c’era un malinteso facilmente superabile, bensì lo scontro decisivo fra due concezioni differenti del lavoro e dell’avventura
scientifica”(D.Dubuisson, “Mitologie del XX secolo”)
A proposito dell’eroe imperfetto: in alcune sue opere, e in particolare in “Ventura e sventura del guerriero”, Dumézil osserva che numerosi eroi tradizionali commettono tre peccati, uno per ogni “funzione” (funzione del potere/saggezza, funzione della guerra, funzione della prosperità… sintesi orrenda!). I limiti dell’eroe tradizionale riscontrati anche in letteratura, possono essere connessi in certa misura a questi “peccati”?
Intervengo tardi in questo dibattito, mi piacerebbe seguirlo meglio ma in questi giorni sono immerso nella traduzione di Stephen King, con la testa sono a Hemingford Home, Nebraska, nell’estate del 1922…
Dunque, anche se di primo acchito potrebbe sembrare OT, con quest’intervento metto in realtà “i piedi nel piatto”.
Consiglio a tutti la lettura dell’ultimo libro di Paul Veyne (uno dei più importanti storici dell’antichità “classica”), che si intitola Foucault. Il pensiero e l’uomo (Garzanti, 2010). Veyne fu allievo di Foucault all’Ecole Normale, ed è noto in Italia soprattutto per un libro molto citato da Wu Ming 2, I Greci hanno creduto ai loro miti? (1983, pubblicato dal Mulino nel 2005).
Questo libro – uno dei testi più chiari e rivelatori sul pensiero di Foucault – contiene capitoli in apparenza “digressivi”, che invece sono quelli più attinenti al tema. In essi, Veyne mostra come si possa applicare il “metodo” (d’obbligo le virgolette) foucaultiano ad alcune questioni molto spinose.
Nel cap. 5 Veyne applica il pensiero e l’approccio scettico (in senso filosofico) di Foucault alla questione dell’universalità del cristianesimo e delle “radici cristiane” dell’Europa. Il discorso lo conosciamo tutti: “non possiamo non dirci cristiani”; senza l’irruzione del cristianesimo nella storia non avremmo i nostri valori di giustizia, equità, libertà, carità; l’Europa è cristiana, ha radici cristiane, questo va “ufficializzato” etc. Da qui la battaglia di qualche anno fa perché il riferimento a tali radici fosse messo nella cosiddetta (sedicente) “Costituzione Europea”.
Il capitolo – che in realtà sintetizza anni e anni di studi – è un esempio rivelatore di quanto l’approccio foucaultiano possa essere utile: Veyne prende un tema solitamente esposto a colpi di Idealismo, Essere, Universali e Trascendenza, e riporta tutto in un quadro di materialismo, divenire, singolarità e – soprattutto – immanenze. Veyne riconosce la grandissima peculiarità del cristianesimo, ma spiega che essa non deriva principalmente da una peculiarità dell’Idea (che poi sarebbe rimasta costante nei secoli) bensì dall’interagire di dinamiche molto materiali e “dal basso”.
Tutto questo si confà a una tipica impostazione di Foucault (ma anche di Deleuze) che secondo me è forse la più utile per contestare e demolire qualunque lettura reazionaria dei tempi antichi. Taglio con l’accetta:
per Foucault e Deleuze… le origini non spiegano . Le origini non sono mai “belle”, né tantomeno chiare. Sono il momento della confusione, dell’imprecisione, della vaghezza. Sono la fase meno interessante. Ciò che oggi conosciamo di un fenomeno, di una tendenza, di un discorso, non può mai essere spiegato con il richiamo alla sua origine. I mutamenti più significativi di *qualunque cosa* avvengono ben dopo l’origine (che del resto è “prodotta” da noi retrospettivamente, con una localizzazione arbitraria). Sovente avvengono a metà percorso.
[Anche per questo continuo a pensare che quello di Foucault e Deleuze sia un pensiero dell’immanenza, totalmente immune da derive trascendenti o reazionarie, mentre altri filoni di teoria radicale – che pure possono essere utili e ispiranti – questo rischio lo corrono eccome. Per questo, come spiegavo nell’altro thread, leggo Badiou con interesse ma sospetto delle sue categorie, e ascolto Zizek cercando di separare il grano radicale dal loglio ontologico/hegeliano…]
Deriva anche da questo la violenta (non qui, ma in altri testi che ho trovato in rete) polemica di Veyne contro il concetto di “radici cristiane”.
A ben vedere, anche se questo resta implicito, per Veyne nemmeno il cristianesimo stesso (nella sua manifestazione *storica* che abbiamo oggi sotto gli occhi) ha solo radici cristiane. Veyne sostiene che non è l’Europa ad avere valori cristiani ma il cristianesimo attuale ad avere valori “europei” (moderni, post-illuministici). Alcune idee del cristianesimo attuale sono recentissime e il cristianesimo le ha prese non dal Vangelo o dalla dottrina dei Padri, bensì dalla modernità di cui pure è stato grande oppositore.
So che la notizia è abbastanza OT rispetto al topic..
ma avete letto questa?!
http://www.corriere.it/esteri/10_luglio_15/gb-ingresso-vietato-irochesi-lacrosse_79c2a55a-8ff3-11df-b54a-00144f02aabe.shtml
WTJ
Io credo che le “origini”, e in particolare i miti, possano anche aiutare a spiegare alcuni aspetti del presente. L’importante è partire dalla considerazione che le mitologie, le tradizioni (al plurale e con la “t” minuscola) non sono mai neutrali.
Si dice che i libri di storia li scrivano i vincitori. E i miti no? Se le donne di Atene recluse nei ginecei avessero potuto riscrivere l’Orestea, forse il finale sarebbe stato diverso.
Non tutti i miti sono “super partes”. Forse nessuno. A proposito di mito rovesciato e dell’eroe imperfetto Beowulf consiglio il film “Beowulf & Grendel” di Sturla Gunnarsson (2005), che cerca di capire anche le ragioni di Grendel…
E per chiudere con una citazione colta: “I miti sono racconti menzogneri che riferiscono la verità”
(Aristotele)
Ho visto quel film ed è vero quello che dici. Ma perfino la versione di Zemeckis del 2007 (sceneggiata con Neil Gaiman) contiene una riflessione non banale sull’eroe e presenta Grendel come una vittima. E a questo punto aggiungerei però agli spunti anche “La figlia di Omero” di Robert Graves, dove appunto si immagina che l’autrice dell’Odissea sia una donna e tutto il racconto è destrutturato e ricomposto in una chiave “femminile”.
@ Giacomo,
questo va bene, ma secondo me bisogna andare anche più in là.
Quello che mi preme dire è che le “origini” sono *nostre* costruzioni culturali, siamo noi che gettando all’indietro il nostro sguardo stabiliamo delle “origini” e, pur pretendendo che stiano ferme dove le abbiamo fissate, continuiamo a modificarle. Le modifichiamo ogni volta che le guardiamo, perché il passato è sempre interrogato in funzione del presente. E’ il presente a suggerirci le necessità, gli interessi, le urgenze, gli spostamenti d’accento che impostano la nostra ricerca nel passato.
Allora: Le origini sono *tutte* miti. Stabilire un qualunque punto d’origine è sempre un’operazione di (in senso stretto) “fiction”, finzione. Una finzione che ci serve euristicamente, una necessità che abbiamo per avviare narrazioni che producano senso, creino il nuovo, portino avanti la vita.
Immaginare che nel flusso del divenire vi siano dei “punti”, e che da quei punti “cominci” qualcosa, è un’operazione metaforica, mitologica e mitopoietica. In realtà anche le origini sono state originate da qualcosa, erano già conseguenze di processi precedenti, non c’è mai un… inizio puro.
Nel flusso del divenire non vi sono veri “inizi”, ad esempio le dinamiche dell’evoluzione ci dicono che non c’è stato alcun “primo uomo”.
Altro esempio: le città non sono quasi mai state “fondate” con un atto intelligibile, semplicemente degli accampamenti da occasionali sono diventati stabili, poi sono cresciuti e a un certo punto si è capito che si erano in qualche modo distinti dall’ambiente circostante, avevano confini percepibili e così erano diventati altro, erano delle “città”, e allora se ne è creata retrospettivamente l’origine, il mito fondativo.
Per questo dico che non sono le origini a spiegare quel che viene dopo, ma è il dopo a spiegare le origini.
Mi spingo fino a dire che si basa su questo la distinzione basica (kerenyana) tra “mito genuino” (espressione che però è inadeguata, quello che descrive è in realtà un *approccio non meramente strumentale al mito*) e “mito tecnicizzato”.
Nel “mito genuino”, noi interroghiamo il mito (le origini etc.) e ne siamo ben consapevoli: vado a vedere la necropoli etrusca di Spina, percepisco una potenza e questo mi connette a un passato etc.
Nel “mito tecnicizzato”, invece, il mito esercita su di noi una pressione e un ricatto, sono le (presunte) origini a pretendere che ci adeguiamo a esse e ci mobilitiamo in loro nome.
In nome delle “origini” (il nostro passato imperiale romano), mobilitatevi a sostegno della guerra d’Abissinia!
In nome delle “origini” (le “radici cristiane” dell’Europa), contrastate il complotto relativista e laicista!
In nome delle “origini” (il retaggio celtico etc.), tutti alle Foci del Po a vedere Bossi con la sua ampollina!
In nome delle “origini” (la bonifica del Pontino come grande impresa del fascismo “sociale”), a Latina son tutti di destra!
Ecco, questo è il mito tecnicizzato: il mascheramento da realtà di fatto di una finzione retrospettiva.
@ WM1 sono d’accordo su tutto… meno che sui “punti”.
“Immaginare che nel flusso del divenire vi siano dei “punti”, e che da quei punti “cominci” qualcosa, è un’operazione metaforica, mitologica e mitopoietica.”
Non sempre, secondo me. Io credo che nel flusso della storia i “punti” ci siano, e sono le fratture, i balzi, le accelerazioni… le rivoluzioni. Nel bene e nel male, i cambiamenti radicali. Che, certamente, sono sempre il prodotto di qualcosa che è venuto prima. Non esiste “l’Inizio”, ma gli inizi sì.
Non sono forse proprio i “punti salienti” del cammino umano che i miti di ogni tempo cercano di spiegare, capire, giustificare?
@ WM4 l’interesse per una divinità minore del pantheon nordico – Vidar il Silenzioso – mi ha fatto incappare nella figura del “Mordicarbone”, ossia il “kolbitr” delle saghe islandesi, “un giovane pigro e svogliato che trascorre i primi anni della propria vita accanto al fuoco e che poi, all’improvviso, dimostra tutto l suo coraggio…” (Massimiliano Bampi, nota in “La saga di Gautrekr”, Iperborea 2004)
Ora, Tolkien aveva ben presente questa figura, tanto che il nome che diede al suo primo gruppo letterario fu “Kolbitar” (il gruppo che precedette gli Inklings).
Mi chiedo: Frodo, Eowyn, Aragorn… oltre a essere “eroi imperfetti”, non sono forse anche dei kolbitar (in senso lato)? Che risultano determinanti proprio perché improbabili? Il piccolo e indifeso hobbit che raggiunge il cuore del Male… la donna che si fa guerriera e uccide il signore dei Nazgul, Aragorn che per lungo tempo è solo un ramingo, quasi un fuorilegge, e poi diventa re?
@ Giacomo,
certo, nel tempo che ci precede esistono gli eventi, le irruzioni, le catastrofi. Non ho mica detto che il divenire è indifferenziato, penso anzi l’esatto opposto, che sia fatto di singolarità, complessità, elementi eterogenei che interagiscono in modi inattesi. Gli eventi ci sono. Tuttavia, è comunque la nostra percezione, la nostra prospettiva di posteri, la nostra attività cognitiva e interpretativa a “isolarli”, staccarli dal resto e inserirli in una narrazione che li ha come momenti-chiave. In questo senso costruiamo sempre “miti”.
Spesso gli eventi diventano… eventi non mentre hanno luogo, ma dopo, anche molto dopo che sono avvenuti. E’ questione di scontro di interpretazioni, di nuove esigenze, di mutamento dei rapporti di forza…
Fuori da un territorio molto ristretto, quasi nessuno seppe della predicazione e morte di Gesù. Come vicenda si svolse ai margini della società e della religione ebraica e in una provincia alla periferia dell’Impero romano. Occorsero decenni perché la sua storia iniziasse a diventare, retrospettivamente, un evento determinante fuori da cerchie ristrette, e secoli perché diventasse, guardando all’indietro, uno dei più grandi eventi della storia umana. Se noi guardiamo alla vicenda narrata nei Vangeli come a un’Origine, e ci concentriamo su quella, in realtà spostiamo lo sguardo dalle trasformazioni che diedero vita al cristianesimo, che appunto avvennero molto dopo la morte di Gesù. C’è, per dirla con Deleuze (in realtà estrapolo da un testo dove parla d’altro), “un’illusione che colpisce ogni cosa ai suoi inizi […] L’essenza di una cosa non appare mai all’inizio, ma in mezzo, nel corso del suo sviluppo, quando le sue forze sono consolidate”.
P.S. Pur sapendolo razionalmente, tendiamo a dimenticarci che Gesù – il Gesù personaggio storico che predicò agli ebrei (e non al mondo intero), fu ucciso e ovviamente non risorse perché, ehm, spiace dirlo ma non è mai risorto nessuno – morì senza conoscere il concetto di “cristianesimo”, di cui non è in alcun modo fondatore. Infatti quando in “Mistero buffo” Dario Fo gli fa incontrare Bonifacio VIII, l’incomprensione è totale e l’incontro finisce con un calcio in culo! :-D
@ WM1 Sono d’accordo.
A proposito di fatti “sospesi dal tempo storico”, successivamente “mitizzati” e importanti non per il domani ma per il dopodomani, per usare le parole dell’autore, pesco dallo scaffale “SPARTAKUS. Simbologia della rivolta” di Furio Jesi (Bollati Boringhieri 2000).
Diverse cose non le condivido, ma è un libro molto interessante.
E a proposito di rivolte, miti ed eroi: “La rivolta continuava a sospendere il tempo storico: durante la primavera del 1919 nei quartieri operai di Berlino circolò la leggenda che Rosa Luxemburg non era stata uccisa, che era sfuggita alle truppe, e che sarebbe tornata – allo scadere dell’ora – di nuovo alla testa dei combattenti per guidarli alla vittoria.” (F. Jesi)
Rosa come Artù : )
E ora al cinema… c’è Solomon Kane!
@ Giacomo,
ci siamo intesi perfettamente! Quel che scrive Jesi intorno alla rivoluzione spartachista (es. la “propaganda genuina” come forma che, per quanto tragicamente, sfugge alla tecnicizzazione e mostrificazione del mito) non smette di ispirarmi. “Spartakus” è un libro per me molto importante. Il prossimo numero della rivista “Riga” sarà interamente dedicato a Jesi, e ci sarà un mio racconto ispirato proprio alla lettura jesiana di “Tamburi nella notte” di Brecht.
Ho appena finito anch’io il libro.
Mi è piaciuto tantissimo il modo in cui le vicende raccontate (in particolare quelle sulla battaglia di Maldon – che bel finale! – e su Henry Morgan) abbiano mantenuto le loro qualità affabulatorie pur all’interno del percorso analitico seguito dal saggio. Magari la critica fosse sempre così ben scritta!
Mi rimangono, tuttavia, alcuni dubbi, che elencherò in maniera totalmente casuale:
1) Non ho capito se lo scopo del libro sia “imporre” un modello di eroe (contraddizioni vs. rigidità al “codice”; rispetto della Dea vs. presunzione di poterne fare a meno, ecc.) oppure dare semplicemente una lettura di alcune figure eroiche del passato;
2) Se fosse vera la prima ipotesi, ho l’impressione che proprio l’esiguità degli esempi riportati renda la tesi del saggio parziale, per questa serie di ragioni:
a) scusa (WM5) la banalità, ma se il discorso eroe-Dea vale per gli uomini, come funziona per le donne? Bradamante, nell’Orlando Furioso, a chi si sarebbe dovuta appellare? Inoltre (ovviamente so che non è così – frequentiamo tutti Lipperatura!) questa dicotomia, questo legare a una figura femminile valori magici-primordiali-irrazionali (certo, per Atena è diverso, ma in fondo il modo in cui ella interviene appartiene comunque all’irrazionale, vedi la follia di Aiace) da contrapporre alla forza bruta del vir/eroe, mi dà l’impressione di ingessare i personaggi in discutibili stereotipi di genere (ripeto, so che non è così che la pensi, ma chiedo solo per capire meglio).
b) Ciò che mi ha più sorpreso in questo saggio, soprattutto conoscendo la poetica dei Wu Ming, è l’assenza degli eroi dei fumetti e della narrativa “di consumo” in genere, che in fondo è la principale fonte mitopoietica del ‘900 e del 2000. A maggior ragione perché i grandi eroi nati da essa, anche quelli considerati più “tutti di un pezzo”, minano le fondamenta del dualismo guerriero-cocciuto-peccatore-di-hybris/eroe-imperfetto-devoto-alla-dea. Tanto per fare i primi, stupidi, esempi che mi vengono in mente, Superman, pur essendo il supereroe per eccellenza, non pecca mai di hybris (molti critici e autori lo descrivono come una specie di umile vigile del fuoco che “whenever you need it, call me”); il nostro Tex appartiene a un universo in cui le donne praticamente sembrano non esistere, men che meno Dee, eppure è caratterizzato da un pragmatismo e da una freddezza che esclude totalmente errori di “ofermod”, e lo stesso potrebbe dirsi più o meno di personaggi come Philip Marlowe, Mike Hammer, Nicholas Eymerich (ammesso di volerlo considerare un eroe!).
A proposito di supereroi, c’è da aggiungere che essi assumono quasi sempre una seconda identità che, guarda caso, li fa agire come persone comuni (o addirittura come individui deboli, come per Superman/Clark Kent e Thor/Donald Blake.
c) Ci sarebbe, secondo me, ancora un altro capitolo da aprire riguardante gli eroi popolari dell’estremo oriente, di Cina e Giappone, soprattutto quelli dei film o dei fumetti cosidetti “di arti marziali”. Lasciando da parte i discorsi sul bushido ecc., la peculiarità del loro eroismo è quella di non fondarsi né sulla forza virile né sull’astuzia, ma sulla tecnica di combattimento, sull’approfondimento e l’interpretazione di un complesso di regole pratiche, etiche ed estetiche codificate da scuole antichissime che li rende quasi degli artisti. Da questo punto di vista, sarebbe interessante indagare il nesso tra eroe e arte.
Per concludere, mi sarebbe piaciuto un approfondimento maggiore su Rolando e sul ciclo Carolingio, confrontandolo magari con il ciclo arturiano di cui si è più ampiamente discusso, ma non vorrei fare ulteriormente la figura del nerd brufoloso che rimbrotta col ditino gli autori dal fondo della sala (anzi, chiedo scusa per il post/pilotto)!
P.S.: mi permetto di dissentire da WM1 sulla non esistenza di “inizi” nella storia. Trovo troppo generico dire che è tutto un divenire, che è tutto un trasformarsi. In molti casi può essere così, ma non in tutti. Ogni evento fa storia a sé, con le sue dinamiche. E’ vero che il cristianesimo, soprattutto nella sua struttura “burocratica”, ha preso forma solo molto tempo dopo la morte di Gesù. Ciò non toglie che questi, in un certo periodo della storia, si sia manifestato, abbia predicato e abbia dato corpo al nucleo dottrinale di ciò che chiamiamo cristianesimo. E’ qualcosa che è avvenuto, punto. Prima non c’era. Che poi nella storia religione e laicità abbiano avuto un rapporto culturale osmotico, è un altro discorso.
Wu Ming 1:P.S. Pur sapendolo razionalmente, tendiamo a dimenticarci che Gesù – il Gesù personaggio storico che predicò agli ebrei (e non al mondo intero), fu ucciso e ovviamente non risorse perché, ehm, spiace dirlo ma non è mai risorto nessuno – morì senza conoscere il concetto di “cristianesimo”, di cui non è in alcun modo fondatore. Infatti quando in “Mistero buffo” Dario Fo gli fa incontrare Bonifacio VIII, l’incomprensione è totale e l’incontro finisce con un calcio in culo! :-D
Leggo solo ora.
Il personaggio storico ha predicato eccome ai non ebrei, i farisei se la prendevano con lui proprio per questo motivo!
Sulla resurrezione ognuno fa il suo atto di fede, e sarebbe più corretto, umile e… rispettoso, considerarlo tale.
E’ ovvio, poi, che Gesù non volesse creare il “cristianesimo”. In teoria lui era il Messia, ma gli ebrei non lo riconobbero come tale. La nascita della setta ebraica chiamata Cristianesimo deriva da questo. (ovviamente sto illustrando un punto di vista – lungi da me pensare che gli ebrei debbano convertirsi per forza al Cristianesimo).
@ The Daxman
“Ciò non toglie che questi, in un certo periodo della storia, si sia manifestato, abbia predicato e abbia dato corpo al nucleo dottrinale di ciò che chiamiamo cristianesimo”
Che Gesù sia esistito è poco ma sicuro, non è questo in discussione. Gesù è un personaggio storico. Che gli eventi esistano, è altrettanto scontato. Ma non mi troverai mai d’accordo sul fatto che:
1) l’importanza di un evento sia comunque già data al suo manifestarsi, a prescindere da quel che ne faranno i posteri, ovvero indipendentemente dal *nostro* lavoro di individuazione, decodifica e narrazione. Cioè di re-invenzione.
Non confondiamo gli eventi coi meri “fatti”. Che io ieri mattina abbia trovato chiusa la biblioteca del Centro Scandellara è un fatto, e nella mia giornata è stato senz’altro un “punto”, da cui sono partiti certi sviluppi. Ma ben difficilmente potrò dire che si è trattato di un “evento”.
Se però negli anni questo fatto verrà ripreso, ri-raccontato, ri-tematizzato, trasformato in aneddoto emblematico o posto all’origine di qualcosa di grosso (onestamente ne dubito), allora i posteri potranno anche definirlo un “evento” senza mettersi a ridere :-D
2) non mi troverai nemmeno d’accordo sul fatto che Gesù abbia dato corpo al nucleo dottrinale di quello che chiamiamo “cristianesimo”. Forse il Gesù mitico, reinventato retrospettivamente e frutto di infinite addizioni e letture retrospettive, ma non certo il personaggio storico, per quel poco che sappiamo di lui dalle fonti.
Dei quattro vangeli canonici, ormai c’è consenso nel dire che il più antico è quello di Marco, che fu la fonte di quelli di Matteo e Luca (quello di Giovanni fa storia a sé).
N.B. Questo vangelo è comunque di trent’anni successivo agli eventi che racconta, ed è noto che li racconta *come minimo* di seconda mano. Alcuni sostengono che Marco, allora poco più che un bambino, fosse presente all’arresto di Gesù (sarebbe il ragazzino avvolto nel lenzuolo), ma è un unico episodio e non fa di lui un testimone affidabile dell’intera vicenda.
Nonostante queste innegabili pecche, è comunque il vangelo più antico e il più breve e quindi, secondo logica, il meno manipolato. E’ la fonte più vicina ai fatti che riferisce.
Bene, in esso:
– non c’è il Natale (la storia inizia con Gesù adulto);
– non c’è la Vergine Maria, niente immacolata concezione, niente annuncio dell’Arcangelo, niente (!);
– Gesù non fa la predica al tempio;
– non c’è il Padre Nostro;
– non c’è alcun universalismo della predicazione; al contrario, Gesù dice che il suo messaggio è comprensibile soltanto ai suoi iniziati, mentre le parabole servono a nascondere la verità agli esterni. Marco, 4, 11-12:
“A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole, perché guardino ma non vedano; ascoltino ma non intendano, perché non si convertano e non venga loro perdonato“.
Ora, in tutto questo dove sarebbe il cristianesimo? Gesù non è nato da vergine, non insegna il Padre nostro, non predica per tutti quanti ma sviluppa una dottrina segreta comprensibile solo ai pochi ebrei che lo seguono… Mancano un bel po’ di basi dottrinali, mi sembra.
Il cristianesimo è molto successivo alla predicazione di Gesù, è una costruzione storica immanente che prende forma nel tempo, sintetizzando tantissimi elementi giudaici, greci, romani, pagani (basti dire che nelle Scritture non c’è l’anima, concetto importato dal platonismo). La presunta origine non spiega il cristianesimo; è il cristianesimo storico che spiega a ritroso la nostra percezione (in gran parte distorta) dell’origine.
@ The Daxman
“Sulla resurrezione ognuno fa il suo atto di fede, e sarebbe più corretto, umile e… rispettoso, considerarlo tale.”
Certo, ma qui stiamo parlando di storia e di personaggi storici. Siamo su un piano di immanenza. Quello della trascendenza è un altro gioco, su un altro livello, con altre regole. Il Gesù personaggio storico immanente è più che lecito dubitare che sia risorto, come è più che lecito dubitare che i Re Taumaturghi raccontati da Marc Bloch guarissero dalla scrofola col tocco delle mani. Dopodiché, la credenza nelle loro doti taumaturgiche è nella storicità ed è oggetto di studio storico, proprio come la fede nella resurrezione di Gesù. Ci sarà una storia della fede. Quest’ultima va rispettata nel singolo individuo, ma non può essere una strategia d’interdizione verso il fastidioso eppure necessario dubbio dello storico. Sul resto ti ho risposto sopra (Vangelo di Marco etc.)
P.S. Ultima cosa poi lascio il campo al mio socio WM4, questo è il thread sull’Eroe imperfetto e il mio riferimento al Guercio e al Monco (D&G che riprendono Dumézil) ci ha trascinati molto lontano, mea culpa.
Ho ordinato questo libro:
John P. Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, Queriniana, Brescia 2002 [Ho ordinato il primo volume. E’ una serie e sono tutti piuttosto voluminosi].
Lo cita moltissimo Paul Veyne. Del quale vorrei presto leggere Quando l’Europa è diventata cristiana (Garzanti, 2008).
Invece un’analisi intertestuale dei Vangeli, imperniata sulla “priorità marciana”, molto stimolante e spiazzante e intessuta di riferimenti ad altre opere letterarie anche contemporanee, si trova in:
Frank Kermode, Il segreto nella Parola, Il Mulino, Bologna, 1993.
A proposito di ri-costruzioni.
Nella casa paterna avevo e tuttora ho due libri di storia per i licei, a cura di Bontempelli-Bruni (di impianto fondamentalmente marxista).
I volumi dedicati all’età antica erano formidabili.
Tranne lo scivolone pazzesco su Gesù.
C’è un tentativo di spiegazione razionale di tutta la vicenda evangelica che manco Sherlock Holmes, come se i Vangeli fossero effettivamente delle fonti storiche impeccabili.
Ma si ingegnarono tanto – i due sopra – che ne venne fuori una storia avvincente…
Cerco di rispondere per punti, perché leggo diverse inesattezze:
1) secondo quanto dice Marco, quindi, Gesù avrebbe diretto la sua “buona novella” ai soli ebrei? Vediamo…
“Andate per tutto il mondo e annunciate il Vangelo a tutte le creature. Chi crederà e si farà battezzare sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato” 16,15
“Dopo che Giovanni fu arrestato Gesù venne in Galilea, predicando il vangelo di Dio. Diceva: . 1, 14 – 15
2) Dei Vangeli canonici il primo a essere stato scritto è quello di Matteo (il suo, sì, diretto principalmente agli ebrei) di cui Marco è stato discepolo, e sulla base del quale egli ha scritto molto del suo. Inoltre, saprai bene che i Vangeli non sono stati scritti di prima mano dagli apostoli (Giovanni e Matteo) o da discepoli (Luca e Marco), ma dalle comunità cristiane intorno a loro raccolte che decisero di mettere per iscritto ciò che si era già diffuso e tramandato oralmente. Ciò significa non solo che una Chiesa (intesa come comunità di cristiani) preesisteva ai Vangeli (al punto che essi furono ritenuti fin da subito come gli unici attendibili), ma che ciò che disse e fece Cristo si espanse a macchia d’olio e in tempi brevissimi.
L’unica opinabilità sui vangeli sta, ovviamente, nel fatto che gli evangelisti potrebbero essersi inventati tutto, ma infatti è da qui che nasce l’atto di Fede. Ma che i Vangeli siano ciò che siano e che già i primissimi Cristiani avrebbero preferito farsi ammazzare piuttosto che abdicare alla loro fede riconosciuto in quelle Scritture, è un dato di fatto. Vere o false che siano le scritture stesse.
A proposito di Fede, permettimi una critica: trovo la tua posizione non molto corretta verso gli altri. E’ come se tu dicessi “voi credete quello che vi pare, tanto è sbagliato”. Nemmeno il più feroce degli atei manterrebbe una posizione del genere, ma a quanto pare alla ferocia non c’è limite! :-P
(E dire che in Manituana trovavo una così bella sensibilità spirituale)
Ad ogni modo, chiudiamo l’OT. Anche perché ci terrei molto a ricevere risposte al mio post precedente! :-)
Oltre che per la dotta e molto stimolante dissertazione che va sviluppandosi in questo thread, invio un sentito ringraziamento ai partecipanti per la meravigliosa immagine, direi vera e propria ‘visione’, di Dolce e Gabbana che ‘riprendono’ Dumezil….
Sulla questione vangeli, resurrezioni, rispetto, vorrei solo dire una cosa. Da buon convertito irochese, faccio riferimento alla Grande Tartaruga che regge sul suo dorso l’intero universo.
Il rispetto a me dovuto, e ancor di più a tutti gli irochesi, consiste nel considerare quel Sacro Guscio un fatto?
L.
@ luca: boh, io non so se parlo in sumero. Ho detto che i “fatti” sono che intorno alla figura di Gesù si è da subito formata una comunità preesistente alla redazione dei Vangeli, che questi sono stati riconosciuti (a ragione o a torto) come tali proprio perché riportavano fedelmente quanto detto dal personaggio di cui è narrata la vita, e che chi si è fatto uccidere durante le persecuzione, lo ha fatto in nome di uno che si credeva figlio di Dio.
L’atto di Fede avviene nel riconoscere o meno la veridicità di quanto detto dagli apostoli e dai primi Cristiani. Nessuno avrà mai la prova scientifica per dimostrare l’una o l’altra teoria. Ognuno “crede” a ciò cui si sente di dover credere.
Tanto per precisare, a proposito della Grande Tartaruga (spero che non sia la “magic turtle” di Lost! :-D), ciò che mi dà la conferma dell’esistenza di Dio è proprio il fatto che altre popolazioni, distanti nel tempo e nello spazio da me, di culture assai diverse dalla mia, abbiano avuto o abbiano la stessa percezione di Dio che ho io, anche se chiamandolo con nomi diversi.
Leggo solo ora tutti i vostri commenti e mi permetto di andare per un attimo OT (appena ho tempo magari torno sull’eroe imperfetto).
@The Daxman :“ciò che disse e fece Cristo si espanse a macchia d’olio e in tempi brevissimi.”
Inizialmente si diffuse in modo graduale e spesso tra le classi colte e ricche. Una domanda: il cristianesimo si sarebbe diffuso ugualmente se S. Paolo non avesse eliminato la circoncisione ? L’impero di quei tempi era greco-romano. Le culture dominanti erano quella greca (ossessionata dalla bellezza per il corpo umano) e quella romana (culto della virilità, del cittadino romano dominatore, etc…). Greci e Romani provavano un vero e proprio orrore nei confronti delle deturpazioni corporali. La trovata di S. Paolo (che guarda caso aveva sia la cittadinanza romana che quella greca, cioè era immerso nella cultura di quel tempo) fu una mossa geniale.
Alla lista di “miti tecnicizzati” elencati da Wu ming 1, aggiungo il mito di Masada (visto che siamo in ambito ebraico) che non è nato all’epoca dell’assedio ma è un mito moderno di stampo sionista costruito a posteriori.
@ The Daxman
scusami, ma qui tocca ribatterti punto per punto perché di equivoci, inesattezze, assunzioni superate e stereotipi ereditati ce ne sono davvero troppi. Però prima di far questo vorrei chiarire in generale.
Quello che scrivi nel tuo commento mi fa capire che ti sei un po’ “inalberato” sul piano personale/confessionale e quindi non hai colto il punto di quel che stavo dicendo, altrimenti non mi ribatteresti con la bellezza morale del sacrificio dei primi cristiani, (ancora) con la fede, con il fatto che intorno a Gesù c’era già una comunità (che però, scusami, era “chiesa” in un’accezione radicalmente diversa da quella impostasi successivamente), con il rispetto che gli atei devono ai credenti etc.
Tu stai “battagliando” con un interlocutore immaginario che secondo te ha scritto: il cristianesimo è falso perché è falsa la sua origine. Assurdità. Io ho fatto tutt’altro ragionamento, cioè che non è l’origine (la vicenda del Gesù storico) a spiegare noi (l’universalismo cristiano), ma siamo “noi” (l’universalismo cristiano) a modificare retrospettivamente l’origine. E questo vale per *tutte* le narrazioni nel cui flusso ci percepiamo.
Un esempio altrettanto “forte” è il mito della democrazia, che sarebbe nata ad Atene etc. Se guardiamo a com’era la democrazia ateniese reale, vediamo che non ha nulla a che fare con l’uso moderno del termine. Non è l’origine a spiegare noi, siamo noi (democratici, liberali, post-illuministici, post-Rivoluzione francese e presa del potere della borghesia) a modificare l’origine ogni volta che la ri-evochiamo. E’ il Settecento riformatore e rivoluzionario a guardare alla classicità greca e ad Atene come modelli. La narrazione che porterebbe dalla Grecia a oggi è un’invenzione recente, per secoli e secoli – ovviamente – non era mai esistito alcun flusso di questo genere.
Ho usato la vicenda del Gesù storico come esempio (uno dei tanti esempi possibili) del fatto che noi, guardando alle origini, incessantemente modifichiamo *narrazioni mitiche*. L’origine è stabilita in base alle esigenze di poi. Ho scritto che ciò è male? No. Ho scritto anzi che è inevitabile e necessario *euristicamente*, cioè per creare il nuovo e continuare a vivere. Se avessi seguito bene la discussione invece di impuntarti sull’esempio (il dito, la luna etc.) avresti colto anche il riferimento di Giacomo a una nostra lettura comune, “Spartakus” di Jesi, dove si dice che alcune vicende “sospendono il tempo storico” e ci forniscono materiale mitico da usare “dopodomani”. E avresti colto i riferimenti al “mito genuino” che dobbiamo interrogare.
Ma quando si tira fuori il Gesù storico, c’è sempre una sovra-reazione.
Ora, la nostra narrazione del passato e, soprattutto, delle origini è sempre mitica. Non se ne può fare a meno, noi pensiamo così, filtriamo la realtà attraverso narrazioni.
Quello che dobbiamo evitare non è il mito, ma la sua “tecnicizzazione”, cioè la strumentalizzazione contingente, il suo essere temprato da qualcuno per farne arma, il suo farsi autonomo e rivolgersi contro di noi. E su questo, la vicenda del cristianesimo storico ha molto da dire, dato che il cristianesimo è stato più volte e in più parti del mondo giustificazione dello statu quo, base ideologica di società che negavano l’universalismo in modi plateali e riprovevoli. Veniamo ai dettagli:
1. Mi spiace, ma dei Vangeli canonici pare proprio che il primo a essere scritto fu quello “secondo Marco”. Questo oggi è dato per inteso dalla comunità internazionale degli studiosi. Io mi fido, eh, mica sono un esperto! Loro dicono che fu quello di Matteo a essere scritto sul modello di Marco.
E *ovviamente* (dai, oh, non stai mica parlando con un pirletta!), quando parliamo di “Marco” ci riferiamo per convenzione all’autore del testo, che secondo una tradizione *posteriore* (iniziata due secoli dopo) è Marco Barnaba, discepolo di Pietro, ma in realtà non sappiamo come si chiamasse davvero (e devo dire che nemmeno me ne frega).
Di “Marco” sappiamo che, secondo alcuni studiosi del testo, a un certo punto costui si infila nel testo stesso, fa una sorta di “apparizione hitchcockiana” il cui significato potrebbe essere: quella sera c’era anche chi sta scrivendo. E’ un aspetto affascinante, ma sia chiaro: tutto ciò di cui stiamo parlando pertiene alla sfera della letteratura e dell’analisi intertestuale della medesima. “Marco” come funzione-autore potrebbe anche corrispondere a più persone, una delle quali (forse) si inserisce auto-fictionalmente nel testo. Poco importa. Il vero dato concreto, da tenere fermo, è che il Vangelo di “Marco” (a questo punto uso le virgolette così è chiaro l’uso che faccio del nome) è il più vecchio dei canonici, il più vicino alla figura del Gesù storico, e non contiene un sacco di cose poi aggiunte da “Matteo” e “Luca”. Non contiene un sacco di cose *determinanti* per il “corpo dottrinale” del cristianesimo. Del resto, Daxman, come si può negare il fatto che la “trinità” di Padre, Figlio e Spirito Santo è una creazione dottrinale di oltre tre secoli dopo, che il crocifisso non compare nelle arti figurative prima del V secolo etc. etc.? Tu dimmi un elemento importante del corpo dottrinale e liturgico della Chiesa, e nella maggior parte dei casi si potrà dimostrare che è di molto posteriore alla predicazione di Gesù.
2) In Marco 10,45, Gesù dice che “il figlio dell’uomo […] è venuto per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (corsivo mio). Questa è l’espressione usata, e ad esempio secondo Meier quest’espressione vaga e non molto universalistica può sì includere pagani e gentili, ma un’analisi del testo rivelerebbe che (solo) per ( alcuni di) essi la salvezza sarà al banchetto della Resurrezione, quindi in una dimensione altra, mentre la predicazione agli ebrei è una necessità hic et nunc. L’esortazione agli Apostoli noi oggi la leggiamo – in retrospecto, dopo S. Paolo e quel che ne è seguito – *universalisticamente*, ma in realtà pare proprio che Gesù (il Gesù storico) si riferisse strettamente alla casa d’Israele. Questo si ricaverebbe da una lettura filologica e incrociata (appunto, intertestuale) delle metafore usate nel Vangelo, nell’Antico Testamento e in testi coevi alla predicazione di Gesù. I riferimenti alla “conversione” oggi li leggiamo in un’accezione a noi più familiare, d’istinto pensiamo: “Convertirsi al cristianesimo”, ma il cristianesimo non c’era: c’era Gesù con la sua setta formatasi nell’alveo della religione ebraica, e c’era un invito rivolto principalmente agli ebrei perché abbracciassero quella nuova versione della loro religione.
3) L’Atto di fede non c’entra niente con l’indagine storiografica, antropologica e di mitologia comparata. Ripeto: rispetto, ok, ma il piano è diverso. Se il rispetto per la fede altrui diventa un interdetto e serve a chiudere con il lucchetto interi campi di ricerca perché potrebbero “offendere i credenti”, vuol dire che siamo ancora a Galileo.
mmm… quindi il Cristianesimo sarebbe un mito tecnicizzato… mah…
… e poi sarebbe grazie a S. Paolo che il Cristianesimo si è diffuso nel mondo antico, e questo solo… per aver eliminato la circoncisione, perché ai greci non piacevano le mutilazioni del corpo?!
E allora che motivo avrebbero avuto i Romani per perseguitare i cristiani nei secoli a venire, se questi facevano tutti parte di classi abbienti?
Scusate se ve lo dico, ma mi aspetterei un po’ più di rispetto da intellettuali che si definiscono democratici.
@ The Daxman
“E allora che motivo avrebbero avuto i Romani per perseguitare i cristiani nei secoli a venire, se questi facevano tutti parte di classi abbienti?”
Daxman, scusami davvero, ma questo è un modo di argomentare e ribattere che non porta da nessuna parte. Se permetti, queste scorciatoie le vai a prendere altrove, ok? Dal tuo primo intervento stai ribattendo a posizioni e argomentazioni che non sono quelle dell’interlocutore bensì quelle che ricostruisci a tuo comodo a partire da un’opposizione noi/voi (atei/credenti etc.). Usi la tua fede come un cartello “DIVIETO D’ACCESSO” e fai da avvocato difensore a cause che qui nessuno ha attaccato. Datti una calmata, rileggi tutto con pazienza e solo *dopo* torna a rispondere.
P.S. Certo che il cristianesimo è *anche* mito tecnicizzato. Come tutte le religioni. Chiedilo a qualunque cappellano militare durante una guerra. Pensa a qualunque guerra di religione. Pensa alle Crociate (liberazione della Terrasanta dagli infedeli etc.) Ma questa è una banalità di base su cui sono d’accordo anche moltissimi cristiani.
@The Daxman
Neanche a me è piaciuta la frase di WM1 sulla non verità della Risurrezione, e grazie perché glielo hai fatto notare. Però, mi sa che io devo farmi crescere un po’di pelo sullo stomaco e la prossima volta lasciare cadere le (poche) “stupidaggini” (secondo me, e pure OT e marginali! ;-) che dice e concentrarmi sulla marea di riflessioni serie che fa.
In altre cose WM1 ha ragione: il Vangelo secondo Mc è il primo che è stato scritto e Marco era discepolo di Pietro(comunità di Roma) e non di “Matteo”(Gerusalemme).
Inoltre, dal punto di vista filologico, il passo che tu citi è successivo al testo più antico che si fermava al versetto [8]: “Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura.” Quindi l’universalismo non è così presente nella prima tradizione, come invece sembra a te.
Non si può negare che, all’inizio, la predicazione del kerygma (annuncio) fosse principalmente rivolta agli ebrei ((vedi At cap 1-10. C’è l’annunzio al centurione Cornelio solo al cap. 11) inoltre vedi il comportamento di S.Paolo At 13,14. 46 [46] “Allora Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono: “Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani.” ) , poi si è rivolta anche ai “gentili”.
Gesù stesso ha fatto, una volta, un miracolo per una donna non ebrea ( Mc 7,24-30 , ma per lo più è rimasto in Palestina.
@luca
Caro Irochese, siccome nessuno ha ancora visto la fine dell’universo nessuno può dire se la tartaruga c’è o no e io rispetto la tua credenza, non nego che c’è la tartaruga, come ha fatto WM1 (ma , ripeto, è un problema mio che mi sono inalberato, non suo)
E comunque siamo su due piani diversi: Tu riferisci di una cosa che non hai visto,
e che, penso, nessuno abbia mai visto. Invece dopo che è stato risuscitato Gesù è apparso, ha incontrato, ha mangiato con molti testimoni e sulla fiducia alla loro parola noi basiamo la nostra fede.
@Anna Luisa
Sì, nella diffusione del cristianesimo è stato fondamentale l’apporto di S.Paolo e della sua teologia della sintesi/commistione/inculturazione del kerygma nella ‘cultura’ in senso lato greco-romana. Non solo la non obbligatorietà della circoncisione, ma -credo- soprattutto dell’obbedienza alla miriade dei precetti della legge mosaica, tranne le carni offerte agli idoli.
@ Giovanni Ridolfi,
la cosa più affascinante del Vangelo di Marco è proprio il finale aperto, *sconcertante*. Nel testo originale, non vi è alcuna apparizione di Gesù successiva alla Pasqua!
Sulla battuta della resurrezione: hai ragione, era marginale e OT. Era appunto una battuta e c’era l’emoticon, ma secondo me un cristiano cattolico post-Concilio 2 non dovrebbe avere motivo di offendersi. Sono i fondamentalisti USA a pretendere che le Scritture siano interpretate *alla lettera* e che tutto quel che c’è scritto sia dato di fatto.
Le Scritture contengono un’affascinante mistura di storia e mito. Alcuni libri dell’Antico Testamento sono cronache dettagliate di eventi che trovano riscontro, altri invece (come la Genesi) sono mito cosmogonico puro, la cui verità è allegorica. Oppure c’è qualche anti-evoluzionista tra i presenti, secondo cui il pianeta sarebbe vecchio solo di pochi millenni anziché di miliardi di anni, e Adamo ed Eva calcarono davvero la Terra?
Quindi: se io penso che il Gesù storico non resuscitò, ciò non dovrebbe intaccare nulla del potente messaggio simbolico che trasmette ai credenti la Resurrezione. Al massimo mi si biasimi perché ne faccio una battuta en passant, ma niente più di questo. Non c’è bisogno di gridare all’oltraggio. A risorgere è il Gesù mitico, e – questo va ribadito sempre! – mito non equivale a menzogna. Il mito è una narrazione che ha un suo regime di verità. Come diceva Aristotele citato da Giacomo, è una storia “falsa” che racconta cose vere [alla comunità che lo assume come fondamento]. Ha una verità diversa da quella dei “dati di fatto”, ma non meno veritativa. Solo diversa. Quindi la Resurrezione può essere un “evento” (potentissimo, fondativo etc.), anche un evento storico (nel senso che ha avuto grandissima influenza nella storia) senza essere in sé “dato di fatto” incontrovertibile. Anche questa distinzione tra fatto ed evento è importante, secondo me.
@ Wu Ming 1: scusami, ma credo tu abbia frainteso la mia risposta ad Anna Luisa, credendola diretta a te. Chiedo scusa, comunque, se ho frainteso ciò che volevi dire (anche se certe frecciatine le hai tirate, come fa notare Giovani Ridolfi, ma mi sembra di capire che tu le abbia ritrattate, o quantomeno abbia messo la questione su altri termini).
A proposito di “Marco”, leggo da a un’introduzione di Mons. Pietro Rossano a un’edizione del Vangelo del 1990, che è vero (impreciso io, lo ammetto) che il suo Vangelo sia stato il primo a essere redatto, ma che questo si rifacesse a un testo in aramaico che riassumeva i principali eventi della vita di Gesù, attribuito a Matteo.
Ad ogni modo, guarda che ho già detto (e lo ripeto) che c’è stata nei secoli un’osmosi culturale tra cristianesimo, paganesimo e cultura classica. Hai citato il crocifisso e la Trinità, io aggiungo il Natale e l’immacolata concezione.
Ciò non toglie che ci sia stata un’origine, vera o no, creduta o non creduta: la Resurrezione e un Gesù che ha fondato la propria predicazione sull’Amore, e che la Chiesa (che pur essendo cambiata nei secoli, sempre “ecclesia” rimane) ha ritenuto concetti fondanti, prima dell’oggetto Crocifisso in quanto tale o della formazione della sua struttura gerarchica.
@ The Daxman,
non è un fraintendimento, è proprio che da quel che ha scritto Anna Luisa *non* si poteva inferire la posizione che tu le contesti. Cerchiamo di leggere con attenzione.
Se non piace l’esempio di Gesù, ne ho offerti diversi altri. Questa questione delle origini si è sviluppata nel thread quando si è iniziato a parlare di Dumézil, della Gimbutas, e del fatto che più si va indietro nel tempo in cerca di conferme, più ambiguo e strumentalizzabile rischia di diventare il discorso. E’ facile che sorgano miti tecnicizzati. I nazisti strumentalizzarono Bachofen e fecero dei suoi studi materiali per dare all’immaginario una torsione mostruosa.
Quello che ho cercato di dire è che secondo me un possibile antidoto a queste intossicazioni è l’impostazione che studiosi come Paul Veyne hanno messo a punto partendo dallo scetticismo e dall’immanentismo di Foucault e altri pensatori suoi compagni di strada (a loro volta influenzati da strutturalismo, storiografia delle “Annales”, Nietzsche e chi più ne ha più ne metta): tutto è singolare nella storia “universale”; non si dà a priori che non sia storico; in ogni enunciazione di trascendenza va cercato quel che è immanente; ogni Verità va rapportata al discorso della sua epoca etc. Ne consegue, tra le altre cose, che le origini vanno sempre messe in discussione.
Io cerco di far “giocare” questa prassi con altre cose, come la riflessione di Jesi sul mito. Quest’ultima cosa è necessaria altrimenti il rischio è quello di “svalutare” la dimensione mitica e mitopoietica, che invece è fondamentale.
Nel momento in cui si è fatta la battaglia per includere nel trattato dell’UE un riferimento alle “radici cristiane” (cosa che veniva presentata come neutra e innocente, mera ammissione di un dato di fatto, e invece era un’affermazione identitaria che mirava a differenziare ed escludere), l’origine cristiana dello spazio europeo (narrazione semplicistica ed ex-post di come tale spazio si è formato) è stata usata come mito tecnicizzato, cioè come arma mitologica in uno scontro politico e ideologico. Ogni narrazione dell’origine si presta a quest’uso. Dobbiamo sempre stare attenti, e agire per disinnescarlo.
P.S. @ Daxman,
una cosa che avevo sulla punta della lingua e che riesco a formulare solo adesso.
A un certo punto mi hai rimproverato di tenere la posizione: “Tu puoi credere quello che vuoi, tanto non è vero”.
Lasciando perdere l’avverbio “tanto”, e teniamo per fermo quanto dicevo sopra, cioè che il mito ha una verità, che non è quella dei fatti etc. Proviamo a metterla così:
“Tu puoi credere quello che vuoi; gli elementi che ho a disposizione mi dicono che non è vero sul piano storico e fattuale”.
Beh, questa è effettivamente la mia posizione. Gli elementi che ho a disposizione sul piano di immanenza (storico, scientifico etc.) mi dicono che gli esseri viventi non resuscitano. Poiché non credo alla trascendenza, io mi fermo qui, ma dico: tu sei libero di andare oltre, sei libero di crederlo.
Il rispetto della fede altrui non consiste nel pensare che ciò che crede sia vero; altrimenti non sarebbe… fede altrui. Sarebbe anche mia. E questo “rispetto” dovrebbe valere per tutte le fedi, cioè dovrei… abbracciarle tutte quante. Dovrei prendere come dogma che Maometto scrisse il Corano sotto dettatura di Dio, e se invece dicessi che Maometto è un *autore*, un poeta e scrittore, un personaggio storico, mancherei di rispetto ai musulmani etc.
Invece no, il rispetto consiste nel dire: “Hai diritto di crederlo e di professare questa credenza”. E io, dal canto mio, ho il diritto di dire quali elementi mettono in questione e relativizzano il quadro. Se faccio questo, non manco di rispetto a chi crede. La mancanza di rispetto potrebbe essere nel tono che adotto, nelle parole che scelgo, ma non nel contenuto stesso. Se dico che fino a prova contraria (e su questo piano di immanenza non vale l’atto di fede) il Gesù storico non è risorto, perché nel vivente nulla nega la termodinamica, non credo di mancare di rispetto a chi invece lo crede. Perché la sua fede sta su un altro piano.
Ok, WM1, su questo siamo d’accordissimo, anche se in questo caso, permettimi, preferisco dire “Pensa quello che vuoi, [tanto] io non sono d’accordo”.
A me sembra che i toni da te usati precedentemente, invece, sostituiscano la seconda parte dell’affermazione con “[tanto] non è vero”, e non sono l’unico ad averlo notato.
Poi, oh, se ho capito fischi per fiaschi è un altro discorso.
Certo, credo che con tutto ‘sto po’po’ di post, le mie domande sul libro passeranno inosservate… (che sia un bene?) :-P
Mea culpa.
Ma io sono effettivamente convinto che non sia vero. Non nella biografia del Gesù storico. Penso che il contenuto veritativo della resurrezione stia altrove, anche per il credente. E’ nella narrazione dell’universalismo: Gesù è morto e risorto per tutti noi. Purché ci si renda conto che tale universalismo nella vicenda di Gesù e nella prima tradizione non ha molto peso, è in gran parte successivo. In Gesù si può vedere al massimo una potenzialità, un tratto molto in nuce che poteva – ma anche no – evolversi dal suo rifiuto dello stretto legalitarismo giudaico, del conformismo religioso etc. C’è voluto Paolo (che non conobbe mai Gesù né ebbe mai modo di ascoltarlo predicare) perché si iniziasse a trasformare la resurrezione in narrazione universalistica. Quindi è una verità successiva. Vabbe’, però basta adesso! :-D
No, no, è importante tornare sul libro. Al massimo ci inventeremo un altro post e un altro thread, ma questo è ancora praticabile. In fondo, non siamo poi andati tanto OT. Gesù è una figura (lato sensu) eroica che dubita, vacilla, si dispera… Ed è in rapporto col divino femminile (sua madre). Etc.
@ The Daxman
scusa se rispondo solo ora, ma ho una certa difficoltà a stare seduto al computer. Adesso mi sono ricavato una postazione sul divano, vediamo se riesco a tenerla.
Provo a riprendere le tue osservazioni.
Lo scopo del libro non è imporre un diverso modello eroico (lo enuncio già nella premessa), ma casomai suggerire che esiste già una “tradizione” eroica diversa, più o meno sottotraccia, riscontrabile in tutta la storia della letteratura. Il saggio è per sua natura, e per mia ammissione, parziale. E’ piuttosto l’approccio quello che si vuole proporre, cioè appunto frugare nel patrimonio narrativo per rintracciare punti di fuga da una certa immagine virile e guerresca dell’eroe. Io ho fatto alcuni esempi, un breve percorso, che ovviamente potrebbe essere protratto a lungo.
Giustamente chiedi: e l’eroina? La protagonista femminile? Come si relaziona alla Dea?
Parlando in termini gravesiani (è l’approccio che ho scelto nel saggio) l’eroina incarna il divino femminile, assume cioè uno dei volti della Dea. Non si relaziona al divino femminile come a qualcosa di altro da sé – che è ciò che fa l’eroe maschio – ma gioca un ruolo proprio in quanto donna. L’esempio che traggo nella mia lettura infatti è quello di Eowyn nel Signore degli Anelli. Eowyn non ha bisogno – come invece Aragorn, Frodo, Sam, etc. – di un viatico femminile, poiché già lo tiene in sé. Infatti proprio in quanto donna sconfigge il Capo dei Nazgul avverando la profezia. Non c’è altra qualità intrinseca se non questa sua appartenenza di genere a metterla in condizione di farlo (eccetto ovvviamente il coraggio e l’abnegazione), e lo rivela proprio il fatto che lei riesca a “trafiggere” il Capo dei Nazgul, che è uno spettro, privo di una vera consistenza corporea. Eppure la sua stoccata lo distrugge.
Attenzione però: non si tratta di legare a una figura femminile “valori magici-primordiali-irrazionali”. Anche la forza bruta espressa da Aiace o Achille è un fattore primordiale. Tanto meno avrebbe senso associare al femminile il bene e al maschile il male. Si tratta invece di capire che solo la complementarietà tra i due generi produce un giro rigenerativo della ruota della vita e della morte, un avanzamento, un’evoluzione, solo la gestione complessa della relazione tra le due componenti della natura umana. Esiste un modello eroico virile vincente che pretende di negare proprio questa necessità, che si suppone autosufficiente. Ed è un’autosufficienza anche rispetto agli altri, la comunità per la quale l’eroe stesso agisce. Tutto questo produce la hybris che porta in primo piano la metà oscura dell’eroe e lo sbilancia, bloccando il giro della ruota.
Riguardo ai fumetti, ammetto di non masticarne granché. Ma lavorando sugli archetipi narrativi ci si arriva senz’altro. Alcuni di loro sono ai miei occhi ininteressanti proprio perché sono figure edulcorate che agiscono in assenza del femminile (Superman, Tex, tra quelli che citavi). Diverso è il discorso per l’hard boiled: Marlowe è un eroe che frequenta il femminile, e flirta con la Dea a più riprese. E Eymerich – per venire alle cose di casa nostra – trova la propria nemesi proprio nel femminile, in quell’alterità “stregonesca” femminea che non riesce a ridurre alle proprie categorie.
Sull’Estremo Oriente non saprei risponderti perché ne so davvero troppo poco, ma posso dirti che ho preferito occuparmi del ciclo arturiano piuttosto che di quello carolingio perché nel primo le sopravvivenze pre-cristiane e le contraddizioni feconde sono più immediatamente riconoscibili e appariscenti. Per altro, nella saga della Tavola Rotonda ho scelto un racconto molto particolare, nel quale praticamente non si combatte e l’impresa del cavaliere è davvero insolita. Mi interessava cioè proprio la peculiarità di quella storia rispetto ad altre ( che pure avrebbero potuto essere prese in esame).
@ The Daxman: “… e poi sarebbe grazie a S. Paolo che il Cristianesimo si è diffuso nel mondo antico, e questo solo… per aver eliminato la circoncisione, perché ai greci non piacevano le mutilazioni del corpo?!”
Con queste parole semplifichi e banalizzi una questione molto seria e dibattuta. Anzi, un grazie a Giovanni Ridolfi per le sue precisazioni.
Lo scontro finale tra Romani ed Ebrei (o meglio, di una parte della società ebraica, quella che optò per l’impatto frontale con Roma, non già per motivi di autodeterminazione del popolo ebraico sottomesso quanto per… accelerare i tempi della venuta del Messia e del suo regno.) porta il nome di *seconda guerra giudaica* e terminò a favore dell’impero. È forse l’unico caso di guerra condotta da Roma in cui è opportuno usare la parola genocidio.
In realtà dovresti approvare la prassi adottata da S. Paolo: l’eliminazione della circoncisione fu una strategia sottile per combattere Roma dall’interno, senza ricorrere all’uso della forza.
Sulla questione delle deturpazioni corporali (le tue parole sembrano sottovalutarla), mi preme citare un altro esempio (per farti capire quanto invece la cosa, culturalmente, avesse importanza). Si tratta del modo in cui Roma ha accolto il culto orientale di Cibele, la Magna Mater (immagino che il Wu Ming monoftalmo conosca questa divinità femminile) e il culto di Attis a lei collegato. È un rito che prevedeva forme di automutilazione (fino all’evirazione) da parte degli adepti. A Roma tale rito è sì adottato ma regolamentato da norme ben precise: “il culto trasgressivo e inquietante, soprattutto nei suoi aspetti frigi, fu sottoposto a rigide regole e confinato all’interno del tempio; in particolare qualunque cosa riguardasse l’evirazione, pratica che gli italici consideravano assolutamente abominevole, spregevole, e disgustosa. Il personale sacerdotale della dea, limitato a un sacerdote, a una sacerdotessa e ai sacerdoti eunuchi che vivevano nel tempio, continuò a essere formato da frigi e nessun cittadino romano poteva farne parte. Il culto poteva essere celebrato soltanto all’interno del santuario, tranne una volta all’anno, in occasione delle feste in onore di Cibele.”(La religione dei Romani. J. Champeaux. Il Mulino. pag. 139)
Daxman… difendi la tua religione con passione e reclami delicatezza di sguardi da parte dei tuoi interlocutori che la interrogano ma forse dovresti esercitare anche tu una forma di rispetto paritetica nei confronti di quel mondo pagano entro cui il cristianesimo ha avuto origine. Rispetto per milioni di persone che nei secoli hanno creduto a quelle liturgie e per quegli studiosi (come Dumézil) che hanno passato una vita intera a dimostrare come quei culti fossero complessi, dignitosi e soprattutto non “primitivi” (e non dimentichiamolo, conoscibili solo parzialmente: molte delle fonti sono andate perdute)
P.S.
I toni di questa mia replica sono – ci tengo a dirlo – distesi e pacati.
Io comunque il mio eroe imperfetto medievale ce l’ho. Intorno alla metà del XII secolo, nel cuore della foresta di Brocelandia, una ventina di monaci si erano riuniti sotto la direzione di un priore chiamato Éon…
“Ora, questo Éon si sarebbe persuaso di avere una missione divina da compiere. Siccome all’epoca la parola latina ‘Eum’ si pronunciava come ‘Éon’, avrebbe preso alla lettera le parole delle liturgia, in particolare ‘per Eum qui venturus est judicare vivos et mortuos’ (da Colui che verrà a giudicare i vivi e i morti). (…) Avrebbe predicato una sorta di ‘comunismo contadino’, abbandonandosi ad atti di brigantaggio contro i castelli, i priorati e le chiese dei dintorni. Avendo così raccolto grandi ricchezze, ne ridistribuiva una parte ai contadini poveri, il che gli permetteva di avere una numerosa truppa a sua disposizione. In più, sembrerebbe, se si crede alle testimonianze, che lui stesso sia stato un mago, per lo meno un ipnotizzatore notevole.
(…) Altri racconti fanno menzione della magnificenza con cui si presentava, sempre in ricchi abiti ricoperti di segni strani, spesso circondato da una luce irreale. Come stanno esattamente le cose? Non lo sappiamo.
(…) Siccome le attività di Éon si situavano intorno all’anno 1148 e quell’anno apparve una cometa che spaventò molto i contemporanei, Éon fu soprannominato ‘della Stella’, il che aggiunge un’aureola fantastica al suo personaggio. E questa eresia, poiché in fine dei conti è tale, guadagnò terreno intorno al priorato di Moinet, intorno a Brocéliande e in Bretagna. Ebbe addirittura discepoli fino in Guascogna. Le dottrine che egli propagava cominciarono a diventare pericolose per la Chiesa come per l’ordine costituito. Mentre in partenza sembra che non sia stato preso veramente sul serio, la repressione si organizzò nel 1148 (…). Éon della Stella fu arrestato per ordine del duca di Bretagna, che era allora Konan III.
(…) …la storia di Éon della Stella, nettamente localizzata intorno a Barenton, ha alimentato in modo decisivo la storia di Merlino, la quale è ugualmente localizzata in quel posto.”
(Jean Markale, da “MERLINO, o l’eterna ricerca magica”, Mondadori 1999, pp. 196-198)
E da bravo abitante della Terra di Mezzo, gli ho dedicato una canzone:
Strani segni ricamati sul mantello
strani occhi intensi, colmi di bontà
cento spade e un libro, il verbo ed il metallo
Éon della Stella i forti affronterà
Dalla Francia all’Inghilterra, fino in Spagna
la sua storia i menestrelli cantan già
Éon ha sfidato il duca di Bretagna
un dominio d’oppressione e povertà
Éon, Éon
Passano i secoli e la storia è sempre quella
Éon, Éon
ma sui ribelli brilla ora la tua stella
Sulla landa pesa l’ombra del castello
delle offese che anche oggi spargerà
Éon guida i suoi uomini a cavallo
e la grinfia dei signori spezzerà
Qui a Brocelandia, dentro la foresta
noi condividiamo pane e libertà
ma incombe delle lame la tempesta
perché il nemico tregua non ci dà
Éon, Éon
Passano i secoli e la storia è sempre quella
Éon, Éon
ma sui ribelli brilla ora la tua stella
Ciao a tutti! Non ho (ancora) letto il libro di Wu Ming 4, quindi non so se questa mia riflessione sia esattamente in tema, e mi scuso in anticipo del mio probabile fraintendimento.
Un paio di commenti più in alto Wu Ming 4 dice:
“Si tratta invece di capire che solo la complementarietà tra i due generi produce un giro rigenerativo della ruota della vita e della morte, un avanzamento, un’evoluzione, solo la gestione complessa della relazione tra le due componenti della natura umana. Esiste un modello eroico virile vincente che pretende di negare proprio questa necessità, che si suppone autosufficiente.”
Questo mi ha immediatamente riportato alla mente uno dei più importanti racconti mitologici della tradizione islamica, e in particolare sufi, la storia di Laila e Majnun. Invito a leggerne la versione che ne da Nezami, autore azero (che però scrive in persiano) dell’XI sec.
Si tratta di una storia tradizionale beduina, che narra di due innamorati osteggiati dalla famiglia di lei (costretta a sposare un altro uomo), la cui separazione forzata conduce Majnun (ovvero “pazzo”) alla follia e a una vita da eremita nel deserto. Nei secoli il racconto fu rielaborato in decine di versioni, in tutto il mondo islamico, e Majnun divenne il prototipo del sufi, che partendo da un sentimento di passione terrena, attraverso un percorso ascetico, giunge a scorgere il parallelismo tra tale amore e quello per Dio, e infine a preferire quest’ultimo (“dovrei cambiare l’oggetto dei miei desideri”, diceva Battiato).
Tuttavia la versione di Nezami (precedente alla completa appropriazione del racconto da parte del sufismo, anche se lo stesso Nezami viveva immerso in una tradizione sufi nel pieno della sua fioritura) ha una finezza psicologica e metaforica che successivamente – o almeno così dice Bausani – non si raggiunse più.
In lui la figura di Leila è importantissima, e dotata dello stesso spessore spirituale del suo innamorato. Solo che, se lui può fuggire nel deserto per vivere il suo dolore e, in questo modo, compiere il suo percorso di elevazione, lei è segregata in un matrimonio non voluto. Ogni volta che lei compare il suo dramma quasi oscura quello di Majnun, che invece è libero di cercare Dio. Alla fine (chi non conosce la storia e non vuole rovinarsi la sorpresa non legga qui ;) ) il marito di Leila muore e lei, finalmente libera dai vincoli del suo ruolo di moglie, si abbandona alla sofferenza e alla passione fino a morirne. Venuto a conoscenza dell’evento, Majnun non ha il distacco del mistico, di colui che ha ormai riversato tutto se stesso in Dio, ma inizia a girovagare nei dintorni della tomba di lei fino a che, completamente folle (non più nel senso mistico, ma psicologico), trova anche lui la morte.
Il poema di Nezami non aveva l’intento didascalico dei successivi Leila e Majnun, ma approfondisce, in particolare, le contraddizioni del personaggio maschile, che alla fine fallisce drammaticamente il suo tentativo di superare le sue passioni terrene. Al personaggio femminile non è concesso il lusso di fallire, non le è concesso neanche un tentativo, ed è questo, mi vien da dire, che fa crollare tutto il castello di pratiche sufi che vediamo compiere da Majnun.
Ringrazio Wu Ming 4 per l’encomiabile disponibilità a rispondere nonostante le condizioni fisiche!
Giusto per aggiungere, vorrei far notare che nella mitologia di Superman, a pensarci bene, un rapporto con la Dea esiste, ed è quello con Lois Lane (anche se di dee ne esistono anche altre – Lana Lang, Lori Lemaris, la madre Martha Kent unico genitore adottivo ancora in vita). Nonostante ciò, ed è questo che mi chiedevo nel post precedente, il suo non è un eroismo percepito come “imperfetto” o “fallibile”, anzi. Ciò che mi chiedo è se la letteratura e la mitologia della civilità dei consumi, a partire dagli anni ’40/’50, di pari passo con la progressiva emancipazione femminile, abbia potuto concepire un tipo di (super)eroismo che, pur se vicino alla Dea e privo di hybris, è a tutti gli effetti granitico e “tutto d’un pezzo”.
@ Anna Luisa: mi fraintendi. Con il mio post non ho voluto mancare di rispetto alla cultura dell’epoca, né tantomeno sminuire l’operato di S. Paolo. Dico semmai, come infatti ha aggiunto poco dopo Giovanni Ridolfi, che non si possono ridurre alla sola eliminazione della circoncisione le ragioni del successo del Cristianesimo tra i pagani.
@The daxman:”Dico semmai, come infatti ha aggiunto poco dopo Giovanni Ridolfi, che non si possono ridurre alla sola eliminazione della circoncisione le ragioni del successo del Cristianesimo tra i pagani.”
Mai detto che questa è stata l’UNICA causa di diffusione del cristianesimo. Su questo siamo d’accordo.
@ The Daxman
Non credo sia una questione legata alla civiltà dei consumi e all’emancipazione femminile. Non specificamente intendo, anche se l’emancipazione femminile potrebbe aver esasperato, per contrasto, una certa retorica viriloide.
La letteratura antica e moderna è piena di esempi di eroi virili e guerreschi tutti d’un pezzo che hanno successo. E’ il nostro punto di vista che muta nei loro confronti e ci spinge a cercare figure diverse.
Beowulf è senz’altro un modello tipico di eroe guerriero. L’unica sfumatura che il poeta si permette di introdurre nel suo panegirico è che Beowulf era “amante della gloria”. E’ davvero una sfumatura lieve, non palesemente negativa.
Lo stesso dicasi di Byrhtnoth (altro eroe di cui parlo nel libro), a detta di Tolkien più stigmatizzato dal poeta che ne cantò le gesta, ma pur sempre protagonista di un poema che esalta il sacrificio dei prodi guerrieri inglesi contro gli invasori vichinghi.
Il tema della devozione alla Dea è stato sepolto, va scavato fuori, cercato tra le righe della letteratura epica prodotta dopo l’avvento delle divinità patriarcali. Come scrivo ne “L’eroe imperfetto” a proposito dell’Aiace di Sofocle, volendo potremmo vedere Atena come la diretta rappresentate di Zeus (è la sua figlia prediletta) e infatti l’analisi di molti commentatori si ferma lì. E’ probabile che lo stesso Sofocle non intendesse spingersi oltre nella sua rappresentazione. Ma certi temi, appunto, sopravvivono oltre le intenzioni dell’autore e possono essere scorti dall’occhio di chi legge; ad esempio dal nostro, hic et nunc, influenzato dalle trasformazioni recenti del mondo e guidati da una sensibilità figlia delle istanze che ci premono. E’ evidente che si tratta di una lettura strumentale, ma del resto quale lettura non lo è?
Un eroe fantasy decisamente imperfetto – un anti-eroe? – che spopolò negli anni ’70/’80 nei paesi anglosassoni (da noi meno) e che andava contro tutti gli archetipi del genere, tanto da presentarsi come vero e proprio contraltare di tutti gli eroi tolkieniani, è Elric di Melniboné di Michael Moorcock, “l’eroe albino dagli occhi cremisi”, che rinuncia al trono, rifiuta la tradizione dei padri, stermina il suo popolo, si droga (sic), è succube delle sua spada malvagia (Stormbringer) la quale, fra le altre cose, lo costringe a uccidere tutte le donne che ama! Per cui ogni “dea” che si avvivina a Elric per sostenerlo/aiutarlo/amarlo, è destinata alla morte.
Elric non vorrebbe fare il male… ma neanche il bene, vorrebbe semplicemente vivere la sua vita. Ma non può, perché il destino lo ha scelto come campione per ristabilire l’equilibrio fra il Chaos e la Legge (nell’universo di Elric, infatti, il bene e il male assoluti non esistono).
Un tipo decisamente “moderno” di eroe tragico e guerriero!
Moorcock indica ne “L’opera da tre soldi” di Brecht uno dei testi che lo ha ispirato di più nello scrivere il ciclo di Elric.
Curiosità: Moorcock è uno degli scrittori fantasy preferiti da Neil Gaiman, che ha anche scritto un bellissimo fumetto dedicato all’eroe albino.
” Ciò che mi chiedo è se la letteratura e la mitologia della civilità dei consumi, a partire dagli anni ‘40/’50, di pari passo con la progressiva emancipazione femminile, abbia potuto concepire un tipo di (super)eroismo che, pur se vicino alla Dea e privo di hybris, è a tutti gli effetti granitico e “tutto d’un pezzo”
Il link video postato come contributo sopra andava in quel senso.
E’ Phineas Taylor Barnum, insieme a Coney Island, la chiave di lettura. Trai i primi eroi pop ci sono i cosidetti “freaks” (fine 1800 inizi 1900 fino quasi alla seconda guerra). Con l’esibizione dei “diversi” e dei deformi e con l’invenzione del Sideshow, Barnum, che costruiva una narrazione su ogni personaggio, mette le basi per quella che sarà la figura del Supereroe americano (anche lui un “diverso” rispetto agli umani) come la conosciamo oggi. Non è un caso, per esempio che il nome della casa editrice Marvel riprenda il titolo comune all’epoca di “Human Marvel” (Meraviglie Umane) col quale venivano introdotti i freaks nei Sidehows newyorkesi. Al contrario di quello che si crede, molti di questi personaggi divennero vere icone pop, erano richiesti, famosi e ricchissimi, diventavano eroi e simboli, pur contenendo nel personaggio, le imperfezioni. La composizione dei nomi dei Freaks coincide con quella dei Supereroi. In questo caso specifico, c’è ancora tutto da dire rispetto a quello che diceva WM1 – parlando di rielaborazione a posteriori – in questo caso è successo il contrario, abbiamo avuto un esplosione spaventosa di creatività (che ha dato il via alla pop culture) che veniva vissuta in una specie di delirio collettivo ma che poi si è autodistrutta e infine è stata soffocata. Nel caso della pop culture oggi, manca totalmente – o quasi – l’individuazione e quindi la divulgazione dell’origine pure se ci siamo dentro fino al collo….(al “pop”). Origine che invece è al quanto precisa, ma rimossa dall’alto e volontariamente (probabilmente) anche in America e a cui, come Istituto Micropunta, insieme a Dick Zigun di Coney Island USA e tanti altri che si battono “to defend the honor of popular culture” da decenni, stiamo cercando di porre rimedio, per quanto possiamo. Ovviamente è una sintesi lacunosa e tirata all’osso, stacchiamo perché è veramente troppo vasto e si rischia l’OT dal post. Grazie per l’ ospitalità.
They’re Here! They’re Real! They’re Alive!
@ Micropunta
OT per OT, mi mandi in brodo di giuggiole! P. T. Barnum è un personaggio importantissimo, nel bene e nel male grande innovatore, trisavolo di tutti noi che ci muoviamo nella pop culture, in seguito rimosso perché sconveniente (tanto che in inglese “P.T. Barnum” è spesso usato come epiteto offensivo: “Quello è un P.T. Barnum”, “Bernard-Henry Lévy è il P.T. Barnum della filosofia” etc.). Io l’ho scoperto anni fa leggendo una sua biografia illustrata, questa:
P.T. Barnum: America’s Greatest Showman
e poi scaricando da archive.org alcuni dei libri che scrisse.
L’altro avo (un “bisnonno”) su cui mi intrippai fu Harry Houdini, del quale ho divorato diverse biografie. La vulgata racconta appena l’1% di quel che Houdini intuì, teorizzò, inventò, mise in pratica, influenzò etc. Come innovatore pop, manipolatore dei nascenti mass media, artista poliedrico, poligrafo instancabile, early adopter di ogni tecnologia, Houdini è pari a Barnum se non superiore (anche perché attivo in un’epoca posteriore). Tra l’altro, ebbero in comune un’instancabile attività anti-truffe: entrambi contribuirono a smascherare ciarlatani di ogni risma, e scrissero anche delle “guide” in tal senso. Chiuso OT.
WOw! Abbiamo quei libri compresa l’autobiografia. Sorry, allora solo altre due righe OT in sua memoria; Phineas Taylor BARNUM andrebbe studiato a scuola, seriamente. Quello che ha fatto quel folle è ENORME e quasi nessuno lo sa pur vivendoci dentro al suo trip, o (bad-trip). Riguardo a Houdini… una nota, nel 2008 girando il nostro video documento su Coney Island e la popculture a NY abbiamo avuto la fortuna di video intervistare per una mattinata Joe Rollino 103 anni, classe 1905 ultimo Strongest Man In The World rimasto in circolazione e testimone unico del Golden Age Americano. Bene,per dirti che Rollino ha lavorato anche con Houdini, è stato un trillo parlarci, raccontava dell’epoca, e gli brillavano gli occhi….
che ci siamo persi!
Purtroppo, Joe Rollino è deceduto alcuni mesi fa, ma non di vecchiai! c’è voluto un VAN per abbatterlo!
http://www.corriere.it/cronache/10_gennaio_12/joe_rollino_eroe_forte_paolo_torretta_92d9a388-ff7d-11de-a791-00144f02aabe.shtml
RIP JOE ROLLINO.
ps dando del “Bernard-Henry Lévy” a BARNUM si sta insultando Barnum direi….CHIUSO OT. Sorry…
Sono e-sta-sia-to! :-D
@ Anna Luisa
“…come quei culti fossero complessi, dignitosi e soprattutto non “primitivi” (e non dimentichiamolo, conoscibili solo parzialmente: molte delle fonti sono andate perdute)”
A proposito di tutte le fonti classiche andate perdute, tempo fa avevo tirato giù questo rapido schemino:
Alla fine del III secolo a.C., nella reggia di Alessandria sorse una biblioteca che avrebbe dovuto contenere tutte le opere greche del passato. Dopo decenni di studi, compilazioni e ricerche, in essa furono raccolti cinquecentomila rotoli di papiro.
Ciò che gli alessandrini non vollero o non riuscirono a pubblicare, andò perduto.
Fra il II e il IV secolo d.C., i classici greci vennero trascritti dal papiro, scomodo e costoso, al codice, ossia la pergamena ricavata dalle pelli animali.
Ma non tutti i classici vennero trascritti. Furono operate delle scelte.
E ciò che non venne trascritto, andò perduto.
Fra l’VIII e il X secolo d.C., i classici vennero trascritti in minuscola. Però, non tutto quello che si era conservato in maiuscola venne trascritto in minuscola. Furono operate delle scelte.
E ciò che non venne trascritto, andò perduto.
Nel 357 d.C. venne fondata la biblioteca imperiale di Costantinopoli, che custodì per secoli gli esemplari unici di numerose opere classiche.
Quando la città fu conquistata dai Crociati, nel 1204, essi non salvaguardarono tutto il patrimonio classico della biblioteca imperiale. Furono operate delle scelte.
E molti altri manoscritti andarono perduti…
giusto per farmi due risate mi sarebbe piaciuto leggere l’articolo di D’Orrico completo….
@ Red Stripe
te ne faccio un riassunto: tre paginate di consigli per gli acquisti: quest’estate leggete il tal libro perchè è una figata, leggete il tal altro perchè l’autore è un grande, roba così, praticamente una sfilza di blurb da ufficio stampa. Verso la fine, a un certo punto dice: – E ora anche qualche “sconsiglio”, i libri da NON leggere quest’estate: non leggete il libro di questo perché fa cagare, non leggete il libro di quest’altro perchè è un analfabeta etc. – Tra queste ultime intimazioni, c’è anche: “Non leggete L’eroe imperfetto di Wu Ming 4: basta coi finti sperimentali”. Nient’altro. Ecco, questo era l’articolo :-)
@Giacomo: e sì, quel mondo (greco-romano) è naufragato, sopravvissuto in minima parte…
@Wu Ming: ma quanti soldi prenderà, indicativamente, D’Orrico per un articolo come quello (è una domanda seria)?
@ Wu Ming 1
In realtà è molto interessante il commento telegrafico di D’Orrico per il sottotesto che implica. Siccome gli sta sul cazzo Wu Ming sconsiglia di leggerne i libri, perché “basta coi finti sperimentali”. Cosa c’entra “L’eroe imperfetto” con lo sperimentalismo? Niente, machissenefrega, non vorremo mica farne una questione di serietà dello scrivente? :-)
Si rivela una posizione aprioristica: basta con Wu Ming. La cosa che D’Orrico trova davvero intollerabile e paradossale è che dopo dieci anni noi siamo ancora qui. Lui ed altri probabilmente pensavano che si sarebbe trattato di una vampata, di un esperimento, appunto, una trovata commerciale, e invece… passano gli anni e siamo ancora tra i maroni.
Scrivevo all’inizio di questo thread che trovo interessante il gesto di D’Orrico perché non è affatto dovuto. Avrebbe potuto tacere, non fare accenni a un libro nemmeno aperto, tra le decine che riceve ogni settimana, invece ha voluto dire “Non leggetelo”. Occhio perché la formula scelta è rivelatrice, è un imperativo. Non si tratta di uno “sconsiglio”, ma di un divieto. Sbaglierò, ma ai miei occhi è rivelatore di un certo nervosismo. Del quale, naturalmente, mi compiaccio…
Come era quella frase di Mao di cui parlavamo un po’ di tempo fa?… ah sì… quando il nemico attacca è un buon segno, significa che gli stai facendo male ;-)
Un’altra bella lettura sottotraccia del Signore degli Anelli…
“…questa distopia della civiltà industriale e di massa, seppur giocata secondo schemi e tinte scopertamente indietristi, più che tradizionalisti o conservatori, è in realtà una Spada a doppio taglio che può colpire da opposte direzioni (…).
Se infatti questa svalutazione dell’industrialismo sa di sprezzo aristocratico nutrito d’ideale eroico e del mito del valore, marziale e/o spirituale, vi si affianca però un’ispirazione che è ecologica nella forma (albero e foglia, acqua e fuoco, la marcia e il riposo sotto il tetto) e liberatoria nella sostanza. Vi si intravede infatti il vagheggiamento di un’umanità restaurata e recuperata, restituita alla pienezza delle sue potenzialità; di un uomo integrale che non conosca solo i registri bassi della tastiera della vita. In quest’opera dai forti contrasti, la civiltà industriale significa degradazione della natura e dell’anima, e ad essa si addicono le tinte negre e i toni dissonanti – neppure è degna delle note funeree.
E’ invece la civiltà altra, quella del desiderio e dell’utopia, che occupa in queste pagine uno spazio più vasto, affascinante e complesso. Le tinte arcaiche e feudali non sono il punto d’arrivo, ma di partenza: indici allusivi e inadeguati di una aspirazione al nuovo che non ha altro modo per esprimersi se non con parole e gesti arcaici pressoché scomparsi dal lessico di questo nostro mondo; segni del desiderio, accenni alla volontà di godere del mondo in altri modi, più ricchi e meno bidimensionali (“a monte” la produzione, “a valle” il consumo, e in mezzo soltanto la coscienza infelice slegata da ogni cosa che non siano i rudimentali piaceri e le ordinarie paure).
(…) Con un’ultima, improvvisa contorsione del Labirinto, con una semplice ma radicale inversione cronologica, l’utopia archeologica diviene umbra futurorum, anticipazione figurale pre-moderna con cui l’immaginazione spera il mondo post-moderno…”
(Marco Paggi, “La Spada e il Labirinto”, Ecig 1990)
@ Giacomo
Sì, la lettura “green” dell’opera di Tolkien è una di quelle più interessanti, anche se non ci ha sempre risparmiato le grossolanerie. Al di là del passo che hai citato, proprio il libro di Paggi purtroppo ne contiene una marea, alcune a dir poco imbarazzanti, come segnalava a suo tempo Franco Manni su Endòre: http://www.endore.it/Arretrati/2/Recensioni/paggi.pdf
Caspita, lo distrugge senza pietà! A suo tempo lo avevo trovato un libro faticoso, e, in effetti, piuttosto “intellettualistico”. Però questa e altre pagine mi avevano colpito positivamente.
@ Giacomo
Ma infatti, a parte certe discutibili scelte lessicali (che significa “indietristi”?) il passo di per sé riprende una lettura consolidata, diciamo così, “a sinistra”, dell’opera di Tolkien, che è appunto quella ecologista. Lettura che ha avuto momenti alti e momenti bassi (questi ultimi quando ha flirtato con la New Age), ma che ha senz’altro una sua ragione d’essere. Il problema dei saggi italiani su Tolkien scritti prima del 2005 è che consapevolemente o meno nascono a prescindere dalla letteratura secondaria più importante sull’argomento. Oggi, dopo che la collana Tolkien e Dintorni della Marietti 1820 ha iniziato (dal 2005) a pubblicare in italiano i capisaldi dell’analisi tolkieniana, non si può più far finta che non esistano e certe affermazioni cadono da sole. Insomma, prima valeva tutto, adesso c’è qualcuno che bibliografia alla mano può far notare l’incongruenza di certe asserzioni facilone. Alla luce di questa nuova situazione, molti presunti esperti di Tolkien si rivelano abbastanza inconsistenti (e alcuni di costoro hanno stampellato le proprie carriere proprio con tale fama). Le osservazioni di Manni nella recensione che ho linkato sono sacrosante (e Manni è DAVVERO un esperto di Tolkien): Aragorn “androgino” e gli Orchi “minoranza oppressa”, sono affermazioni che muovono al sorriso. Senza falsa modestia, credo sia molto più sensato e verosimile indagare invece il rapporto tra Aragorn, l’eroe regale e cavalleresco, con il femminile che sta fuori di lui, ma che ne condiziona i gesti e le scelte, come faccio ne “L’eroe imperfetto”, appunto.
In generale, come facevo notare in un post precedente sul convegno tolkieniano di Modena a cui ho partecipato, le letture simboliche lasciano sempre il tempo che trovano, perché ai simboli si può far dire tutto e il contrario di tutto. Anche su questo Manni ha ragione da vendere.
@maria luisa
mi puoi dare il riferimento bibliografico della tua citazione sule “vite parallele” di plutarco sul. vorrei citarla in modo sommario sulla mia tesi
L
@ elle. Sì, certo.
Si tratta del volume dedicato alle vite di *Sertorio-Eumene* a cura di Franca Landucci Gattinoni e Christoph F.Konrad. Nota n. 6 pag. 209.
La nota si riferisce a Sertorio ed è stata scritta da C.F.K.
Il volume fa parte delle *Vite parallele* di Plutarco, edizioni BUR (classici greci e latini).
P.S.
Buon lavoro!
Segnalo la recensione de “L’eroe imperfetto” di Valter Binaghi nel suo blog: http://valterbinaghi.wordpress.com/2010/07/20/mito-poiesi-e-mito-logia-di-valter-binaghi/
Io segnalo un apocrifo bellissimo di qualche anno fa: Noam Chomsky e il compianto Howard Zinn che discutono della guerra preventiva lanciata contro Mordor.
http://www.mcsweeneys.net/2003/04/22fellowship.html
Per difficoltà varie, arrivo solo ora. Scusatemi quindi se tiro fuori cose già dette e concluse.
Ci tenevo però a segnalare un libro secondo me molto interessante sulla questione del Gesù storico. E’ di Giorgio Jossa (www.giorgiojossa.it), che si occupa già da un po’ di questo tema (“La verità dei vangeli. Gesù di Nazaret tra storia e fede”, Carocci 2001). Il libro è “Il cristianesimo ha tradito Gesù?” (Carocci 2008). Dal sito si può scaricare il .pdf dell’Introduzione, in cui Jossa spiega il senso delle sue riflessioni su questo tema.
Riguardo all’Eroe imperfetto, sto provando a seguire l’impulso (già denunciato su Lipperatura) ad applicare la griglia di interpretazione proposta da WM4 a un romanzo che trovo semplicemente straordinario, vale a dire “Una questione privata”, di Beppe Fenoglio.
[Calvino, nella prefazione a “Il sentiero dei nidi di ragno” (altro ‘papabile’ per la lettura “imperfetta”…) paragona quella narrazione fenogliana all’Orlando Furioso (qui, per semplificare, la citazione e altre sintetiche informazioni: http://it.wikipedia.org/wiki/Una_questione_privata), quindi direi che “ci siamo”].
Sto procedendo nell’analisi, ma vorrei intanto lasciare qui qualche traccia, qualche appunto… Chiedo venia fin da ora per la lunghezza…
1. Il mito fenogliano è la Resistenza. Una Resistenza – che pure lui ha conosciuto de visu et de facto – raccontata dopo molti anni, quando nessuno più la raccontava, anzi quando queste narrazioni apparivano ormai fuori tempo, inutili, pretestuose. Una Resistenza presa come punto di partenza (a posteriori, come tutte le origini) per fare discorsi più ampi sul senso della Storia (con la maiuscola) e della storia (con la minuscola). G.Pedullà, nell’introduzione all’edizione di UQP del 2006 (Einaudi Tascabili) si riferisce in questo senso al movimento “centripeto” del racconto, in opposizione al movimento “centrifugo” della memorialistica.
2. Milton – il protagonista di questa “questione privata” che si inserisce non sullo sfondo, ma “nel fitto” della guerra civile (come Fenoglio stesso scrive a Garzanti, il suo editore) – *va in cerca*. Inutile rammentare qui il fecondissimo filone dei poemi e delle narrazioni di “queste/quete”.
2a. Nella storia della letteratura si distingue tra epica e romanzo (valori collettivi vs. valori individuali; struttura chiusa vs. struttura aperta; staticità vs. movimento). Penso che in un certo modo “L’eroe imperfetto” si sistemi ben benino su questo fossato e faccia sberleffi ai coccodrilli che vi si aggirano minacciosi.
2b. L’eroe imperfetto, nel suo stesso darsi (come direbbero i critici colti), ci mette davanti un semplice interrogativo: ma perché, c’è un eroe perfetto? “C’è”, nel senso: alla prova dei fatti, alla conta dei morti e dei feriti, può un eroe, per essere eroe, essere perfetto? O la sua “tutt’-un-pezz-itudine” (se mi passate il neologismo) in realtà non ci serve più di tanto (se non per restarne ammirati)?
3. [Avvertenza: chi non conosce “Una questione privata” non legga qui, che c’è il finale :–)].
Milton, dunque, *va in cerca*, quindi dovrebbe essere un eroe; *va in cerca* di una donna, quindi ancora meglio: è proprio un eroe romanzesco, però Milton alla fine “a un metro da quel muro crollò”.
3a. E’ vero, è vero: UQP è uscito postumo, apparentemente incompiuto. Chissà Fenoglio come lo avrebbe concluso, se avesse potuto por mano (direbbero i miei piccoli lettori…), ma insomma, anche queste considerazioni sono state ormai superate dalla filologia. Quello è proprio il finale. L’eroe muore senza aver apparentemente portato a termine la sua “quete”.
4. Milton, il nostro eroe (ecco un po’ di trama), è partigiano tra gli azzurri badogliani.
E’ brutto (p. 4 dell’ed. Einaudi 2006: “alto, scarno, curvo di spalle”, non proprio un Lancillotto!).
Dice di essere “sempre lo stesso” (p. 8: “Ho fatto tanto, ho camminato tanto… Sono scappato e ho inseguito. Mi sono sentito vivo come mai e mi son visto morto. Ho riso e ho pianto. Ho ucciso un uomo, a caldo. Ne ho visti uccidere, a freddo, moltissimi. Ma io sono sempre lo stesso”).
Ama la poesia, soprattutto quella inglese; ha studiato.
Prima della guerra ha conosciuto Fulvia e se ne è innamorato. La fanciulla volteggia di fiore in fiore e più di tanto non ha dato speranze a Milton, anche se gli chiede di scriverle, di tradurre per lei poesie.
Un giorno, durante una perlustrazione, Milton si ritrova davanti alla villa in cui il padre di Fulvia l’aveva fatta sfollare, da Torino, per trovare scampo ai bombardamenti “che in fondo in fondo la divertivano” (p. 7). Lì, alla villa, la custode racconta a Milton di Fulvia e di Giorgio, amico comune che li ha fatti conoscere, e dà a intendere che tra i due ci sia stato qualcosa. Ecco l’inizio del romanzo (nel senso proprio): Milton parte *alla ricerca* della verità su quello che lui considera un tradimento. Vuole sapere se tra la sua amata e il suo amico quel “qualcosa” c’è davvero stato.
5. Quindi, una donna mette in moto l’eroe.
Ma sono altre donne (o elementi femminili) a guidare il movimento del nostro eroe Milton:
– i personaggi femminili che incontra sul suo cammino: vecchie (di contrasto con la giovinezza di Fulvia, dotata di una bellezza che addolora) (e quindi sagge?); coraggiose (escono dalle loro case e parlano con lui, nonostante il pericolo, mentre gli eventuali parenti maschi se ne stanno rintanati in casa); portatrici di informazioni nuove, che spingono lo scoraggiato Milton a proseguire la sua ricerca di Giorgio; portatrici anche della speranza che quella situazione cambierà, che la guerra finirà.
– il cammino di Milton è determinato anche dagli elementi atmosferici, che impediscono la sua azione o determinano improvvisi cambiamenti ai quali deve fare fronte. Forse è un caso, forse dipende solo dalla grammatica italiana, ma sono elementi al femminile: la nebbia, la pioggia, la primavera (che porterà la pace, e forse anche Fulvia).
6. Il movimento circolare: il cammino di Milton si conclude lì dov’era cominciato: alla villa di Fulvia.
7. Resta da pensare (e vi pare poco!?) a cosa “ci insegna” UQP, quale visione del mondo e quale presenza dell’individuo nel mondo ci vuole proporre…
@Wu Ming 4, letto il libro. Domanda secca: come applicheresti la griglia di Eroe Imperfetto a Ettore vs Achille?
@ Paolo S:
Il rapporto tra Ettore e Andromaca ricorda abbastanza quello tra Aiace e Tecmessa. Ettore è un eroe più umano di Aiace, più combattuto e complesso, ovviamente, ma anche lui si vede costretto a obbedire al dovere impostogli dall’idea dominante di eroismo guerriero. Deve accettare la sfida di Achille, anche se la moglie cerca di dissuaderlo mostrandogli il figlio neonato. La sua umanità si manifesta subito dopo, quando la paura lo vince e scappa davanti al feroce Achille, prima di recuperare la padronanza di sé e affrontarlo sapendo che il suo destino sarà segnato. Quella fuga è ovviamente dettata dall’umanissimo istinto di sopravvivenza, è la parte paterna, maritale, amante della vita, di Ettore che si ribella al sacrificio in nome dell’onore. Se quella fuga iniziale non ci fosse il personaggio sarebbe appunto più piatto e simile ad Aiace. Il fatto che ci sia invece, gli dona profondità, contradditorietà, e ce lo avvicina moltissimo. Ettore incarna perfettamente il conflitto di cui parlo ne L’Eroe Imperfetto, perché rimane prigioniero dei valori in cui crede, ma ai quali istinitivamente, inconsciamente, vorrebbe ribellarsi.
Io lo leggo così.
Grazie per la risposta secca – e veloce! C’è questa contraddizione strana nell’Iliade, è un poema che dedica le pagine più alte e profonde agli sconfitti, ma le figure che restano impresse sono quelle dei vincitori.
Non sto dicendo nulla di nuovo, ovviamente… ma è una cosa che mi ha sempe dato da pensare. Sta già tutto lì nel titolo. È L’iliade, non la storia del testadicazzo quasi invincibile. Però, questo Achille…
@anna luisa
grazie
e scusa se ti ho chiamato maria luisa…
Sai Paolo la tua ultima affermazione mi pare assai condivisibile (anche se ho parteggiato per Ettore sino all’altroieri).
Eppure io penso che sia qualcosa di assolutamente voluto e non casuale. Molti dicono che Omero tifi spudoratamente per Ettore.
Io non lo credo.
Penso che sia equidistante. Inizia con l’ira di Achille e termina con i funerali di Ettore.
E regala ad entrambi momenti di gloria e coraggio, accompagnati da onte e vergogna (pensiamo a quando Ettore sconfigge Patroclo).
Oltretutto, considerando i 24 canti nel loro insieme, il protagonismo assoluto dei due eroi sembra assai meno assoluto.
E mi pare risalti invece la Guerra, che forse è il main character.
Il fatto quindi che Ettore abbia ricevuto in dono delle pagine straordinarie, ma sia Achille a dare il colpo di reni, dipende forse dal bisogno di equilibrio. Per non sbilanciare verso una parte o l’altra l’intera opera.
Ekerot, faccio un mini-detour via Il codice dell’anima di Hillman: dopo averla menata con la storia del Daimon che vuole la propria gloria realizzando la propria peculiarità. (spesso anche a scapito della salute o della vita dell’uman@ che lo porta), a un certo punto Hillman introduce una seconda forza, di radicamento, di completamento, quasi di integrazione nell’«ordine naturale delle cose». Queste due forze competono una con l’altra nell’individuo, ciascuna tesa a realizzare se stessa a spese dell’altra (e una anche a spese dell’individuo).
Ora, il destino che Achille sceglie è vita breve ma gloriosa, Hillman direbbe ascoltare il proprio daimon a scapito di tutto. Dal punto di vista narrativo è l’ex golden kid bello-bravo-buono diventato l’adolescente indispensabile ma incontrollabile.
Ettore invece è il massimo in tutto. Padre amorevole, sposo felice, guerriero valoroso, saggio nel consiglio, favorito dagli dei. Manco mi ricordo quale sia stata la sua hybris… da un punto di vista narrativo è quasi il perfettino fastidioso (e i commenti acidi degli Achei lo sottolineano più volte).
Dal punto di vista archetipico alla Hillman, sono portatori di «principi» (e dunque di destini) differenti, che da un punto di vista narrativo portano all’equilibrio che dici tu. Ma dal punto di vista di «cos’è un’eroe» ci dicono qualcosa di diverso. Ci torno su dopo che ora sono impegnato…
Hillman, lo stesso Hillman che ce lo dice Hillman e viene dal greco e significa saccezza? ;-)
Quello, ma credevo che Hillman venisse dall’altoatesino e significasse Highlander, o Land rover, non ricordo bene. O_o
Ma riguardo al che cos’è un eroe, Ettore e Achille ci mostrano che la volontà di grandezza esclude la compiutezza, e viceversa (un po’ come il sistema a punti di creazione del personaggio in GURPS o nell’Hero System…): le azioni che puoi compiere e le qualità che hai possono essere eccezionali, ma se ti voti alla grandezza, essa «ti compirà» in una dimensione sola.
Questa è una regola alla quale neanche Tolkien si sottrae, è il fatto che Bilbo (ne Lo hobbit) e Sam siano in più modi “piccoli eroi” o eroi piccoli, permete loro di ritornare alla contea e godersi la vita, come argomenta bene Wu Ming 4.
@ elle : prego (un po’ in ritardo. vedo solo ora il tuo commento) e in bocca al lupo per la tesi.