.[L’ultima volta che abbiamo riflettuto in pubblico sulla “questione Mondadori” è stata nell’aprile scorso. L’occasione era lo scambio epistolare Saviano – Marina Berlusconi.
Quel post e la discussione in calce sono tuttora il miglior compendio della nostra posizione.
Pensavamo di non aggiungere altro, anche quando la lettera del teologo Mancuso a Repubblica ha riattizzato la querelle. Sono anni che discutiamo, rispondiamo, spieghiamo, e forse la nostra disponibilità a farlo è servita ai colleghi scrittori per evitare di esprimersi. Vadano pure avanti i Wu Ming.
Poi abbiamo ricevuto una telefonata da un “fantasma del passato”: Luca Casarini. Non lo sentivamo dall’ormai lontano 2002. Scazzi pesanti nella fase post-Genova, fine di ogni rapporto politico e personale. All’improvviso si rifà vivo: “Solo per dirvi che ho scritto una cosetta sulla questione Mondadori. Leggetela, se vi va”. L’abbiamo letta, e tocca dire che non è male. E’ pure divertente. Succede anche questo.
Nel frattempo, alcuni lanciavano in rete campagne di boicottaggio, “Mondadori no grazie”, “Convinci un autore ad abbandonare Einaudi” e altre populistiche amenità. La rete, al solito, si riempiva di ciarpame, obiezioni prive di senso, induzioni e deduzioni strampalate. Un sacco di gente ci tirava in ballo a sproposito, contestando affermazioni spacciate per nostre ma inventate ad hoc.
Una pulce è entrata nell’orecchio: ci siamo resi conto che molte nostre osservazioni e risposte erano sepolte in discussioni chilometriche su questo o altri blog, oramai irrintracciabili o quasi. Le abbiamo raccolte, risistemate, ne abbiamo tratto un nuovo testo che integra e aggiorna quello di aprile.
Non ci illudiamo, non sarà la mitologica “volta per tutte”: la volta per tutte non esiste.
Esiste però la “volta per molte”.
Buona lettura.]
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1. Serve a qualcosa porre ossessivamente la stessa questione, come se il problema fosse “farci aprire gli occhi”, “farci ragionare”? E’ tanto difficile rendersi conto che sulla «Questione Mondadori», nodo strategico che riguarda direttamente il nostro lavoro e il nostro stesso esistere, noi abbiamo ragionato, ragioniamo e continueremo a ragionare molto più di qualunque nostro interlocutore? Ed è tanto difficile accettare il fatto che abbiamo tratto conclusioni 1) chiare e 2) diverse da quelle di chi vorrebbe il boicottaggio?
2. Sì, a quanto pare è difficile. E’ più facile (e comodo) pensare che siamo… disinformati, che non abbiamo riflettuto abbastanza, che non ci rendiamo conto. Ecco quindi che si tenta di convincerci, di “aprirci gli occhi”, come se i Boycott Boys avessero la Verità in saccoccia e noi fossimo anime erranti nel Grande Errore.
La differenza tra noi e loro è che noi abbiamo dubbi, perché stare nella contraddizione riconoscendola come tale implica il dubbio (altrimenti non la vivremmo come contraddizione); loro invece dichiarano solo certezze: dobbiamo – fare – come – dicono – loro.
3. Le nostre valutazioni sono, appunto, le nostre valutazioni. Lo abbiamo sempre detto: le nostre scelte e strategie potrebbero essere sbagliate. Se concludessimo di avere sbagliato, lo riconosceremmo come sempre abbiamo riconosciuto i nostri errori (anche gravi e drammatici, come quelli compiuti nei mesi precedenti il G8 di Genova).
Ci stranisce la sicumera, l’approccio fideistico di chi è sicuro che deprivare l’Einaudi di tutti gli autori che non la pensano come Berlusconi sarebbe un colpo inferto a quest’ultimo etc. Sinceramente, di simili certezze non abbiamo affatto invidia e ci fanno anche un po’ spavento.
4. Da anni gli apostoli del boicottaggio ci inoltrano le stesse richieste, ci pongono le stesse questioni, ci mandano mail tutte uguali nel tentativo di “convertirci”. Quando non ci riescono, alcuni saltano all’ovvia conclusione: “Se non si convertono benché la Verità sia evidente, allora sono cattivi. Sono intenzionalmente organici al regime. Sono nemici anche loro.” E oplà! Il salto logico è fatto. Ragion per cui: dal tentativo di conversione si passa all’anatema.
5. Immancabilmente, l’anatema rivela una totale ignoranza dei meccanismi basilari dell’editoria. Ad esempio, in rete veniamo descritti come “stipendiati da Berlusconi”, si fa riferimento ai “soldi di Berlusconi” etc. Si ignora del tutto che uno scrittore è un lavoratore autonomo e il suo reddito proviene direttamente dai lettori che comprano i suoi libri. Le royalties sono una percentuale del prezzo di copertina del libro. Tolta la percentuale dell’autore, il resto viene diviso tra libraio, distributore e casa editrice. Sono dunque i lettori a “stipendiarci”. Noi accordiamo all’editore l’uso commerciale esclusivo e limitato nel tempo delle nostre opere, di cui siamo proprietari.
6. La «Annosa questione Mondadori» (espressione coniata nel 2002 dal collega Alessandro Bertante) va avanti da almeno un decennio, da quando Giorgio Bocca troncò i suoi rapporti con Segrate.
Nel corso degli anni, tutte le posizioni sono state sviscerate.
La nostra non piace, non convince? Sbagliamo?
Beh, chi lo pensa ha il dovere della coerenza. Chi pensa che sbagliamo a non boicottare, ci boicotti a sua volta. Ma lo faccia subito, senza ulteriori tentennamenti, basta coi parolai! In fondo è semplice: basta non comprare i nostri libri. Non comprateli più, è un vostro diritto e lo esercita già molta gente. Siate coerenti e boicottateci. L’importante è che non ci rompiate più le balle.
Chi poi volesse boicottare l’Einaudi senza boicottare noi, può scaricare i nostri libri gratis e non dare un ghello all’Einaudi. E’ una possibilità che diamo da oltre dieci anni. Lo rammentiamo nel caso qualcuno se lo fosse scordato.
7. Quello che più irrita: la deresponsabilizzazione legata alla trasformazione dell’autore in simbolo. In altre parole: la “delega morale”. Chi da anni ci chiede a gran voce (e spesso ci intima) di “abbandonare l’Einaudi” per motivi di “coerenza”, e ci chiede di farlo anche se lì riusciamo a lavorare bene e ottenere risultati, intende pulirsi la coscienza con un’azione compiuta da altri, rischiando pochissimo in proprio. Chiede a noi un lavacro purificatore. Vuole che lo togliamo dall’incomodo e dall’onta (signora mia!) di acquistare libri con il logo dello Struzzo.
Noi invece intendiamo fare i conti ogni giorno con la nostra coscienza “sporca”, con le nostre mani “sporche”. Non vogliamo sollievo, niente facili rilasci di endorfine. Anzi, noi crediamo che la contraddizione debba acuirsi, per questo seguiteremo a lavorare con l’Einaudi, finché questo sarà possibile. Noi apparteniamo alla medesima tradizione a cui faceva riferimento Alberto Asor Rosa qualche giorno fa: «Una tradizione che preferisce essere cacciata, piuttosto che rinunciare spontaneamente alla battaglia culturale […] Ci sono case editrici che per tradizione e libertà delle persone hanno resistito alla proprietà. Bisogna resistere con loro, aiutarli anziché complicare le cose.»
“Uscire” sarebbe una scappatoia, equivarrebbe a rimuovere la contraddizione, o quantomeno a sdilinquirla, a farla passare in secondo piano. Da anni noi adottiamo la strategia opposta: non perdiamo un’occasione per sottolineare la contraddizione, per dire che esiste ed è stridente, che questa posizione non è per nulla confortevole e a un certo livello ci lacera, ma crediamo ne valga la pena.
8. Sì, in questi anni pubblicare con Einaudi è stata la condotta più facile da additare e biasimare, la strategia più impopolare. Qualunque mentecatto ha avuto buon gioco ad attaccarci “da sinistra”. Chiunque di noi “reprobi” ha vissuto esperienze simili a quella riportata da Sandrone Dazieri sul suo blog:
«…se fosse solo una questione di soldi… bé, dalla Mondadori sarei andato via da un pezzo. Sai quante rotture di palle in meno? Tutte le volte che presento, ci sono quelli che mi guardano e si aspettano che chieda scusa perché pubblico a Segrate. e poi mi dicono “Tu sei simpatico, ma la tua casa editrice…” “Guarda, mi tocca rispondergli, a me di essere simpatico non mi frega un cazzo. Mi frega che tu legga quello che scrivo e che ti piaccia”. Ecco, quello che succede. Mi ricordo che a Ischia c’era ‘sto tizio, chiaramente un villeggiante granosissimo firmato anche nelle ciabatte, che mi ha dato del venduto. Tu che eri dei Centri Sociali, mi ha detto, come se lui ci avesse mai messo piede in vita sua. O avesse mai letto un mio libro. E chissà che fa lui nella vita? Il pastore valdese?»
9. Ad ogni modo, tutto serve. Da questa postazione (ripetiamo: scomoda ed esposta a fuoco amico) abbiamo visto molte cose che altrimenti non avremmo visto, pensato molte cose che altrimenti non avremmo pensato, imparato molte cose che altrimenti non avremmo imparato. Una delle quali è che noi non vogliamo né dobbiamo confortare nessuno. Per quello, per sgravare le coscienze altrui, ci sono i preti. Quanto alle battaglie vicarie, al giorno d’oggi esistono raffinatissimi videogiochi.
10. Lasciare armi e bagagli l’Einaudi per accasarsi con Feltrinelli – anche ipotizzando che sia possibile far adottare le nostre pratiche a Feltrinelli (e non lo è) – o col gruppo RCS – con il quale pure lavoriamo – non ci farebbe sentire meglio nemmeno per un minuto. Mandare all’aria oltre dieci anni di lavoro e di posizioni guadagnate (non concesse) dentro l’Einaudi per divenire facili paladini del boicottaggio contro Berlusconi, gioverebbe forse alla considerazione di Wu Ming presso il «Popolo Viola» o i «comitati BoBi» o qualunque altro network del controberlusconismo, ma molto più di questo non accadrebbe. In soldoni, significherebbe soltanto mettersi sotto l’ala protettrice di un’altra famiglia della grande borghesia italiana, o magari di un altro partito-azienda, esistente o in fieri.
11. Smettere di collaborare con l’Einaudi non è un tabù. Chi sente di avere ragioni per farlo lo faccia. Ma è una scelta da valutare in modo laico, come dovrebbe essere per tutte le scelte. Invece le polemiche dei Boycott Boys la stanno trasformando nella Scelta (altrui) per eccellenza, quella che divide il mondo tra Bene e Male.
Negli ultimi anni alcuni autori italiani hanno troncato i rapporti con l’Einaudi, e lo hanno fatto per i loro buoni motivi, laddove “buoni” non esiste senza “loro” (e viceversa). C’è stata una crisi del loro rapporto con l’editore. Questo è diverso dal boicottare. Anche noi abbiamo sempre detto che, se cambierà la situazione, faremo la nostra scelta senza titubanze. Ce ne andremo quando ci sarà reso impossibile lavorare. Resistere un minuto più del padrone.
12. Resistere un minuto più del padrone significa essere in Einaudi (ribadiamo: se sarà possibile) il giorno in cui cambierà proprietà.
E sia chiaro che non è il nostro padrone: noi non siamo dipendenti della casa editrice. Resistere un minuto più del proprietario della casa editrice, questa è la scommessa. O essere cacciati prima.
13. L’Einaudi non è un luogo dove tutto va bene, bensì un campo di battaglia. E’ così che l’abbiamo sempre descritta, e non è un’espressione scelta a caso: è in corso una guerra. Lì dentro c’è chi combatte ogni giorno per difendere degli spazi, per difendere il proprio lavoro. E noi vogliamo continuare a dare un contributo. Conosciamo la casa editrice, da anni la viviamo nella sua complessità (benché a relativa distanza), conosciamo le pressioni che vengono fatte e subite, conosciamo i conflitti interni, i contrasti, le difficoltà, sappiamo quali errori vengono commessi e perché, sappiamo quali tendenze intervengono a compensare alcuni di questi errori, abbiamo un’idea di massima ma abbastanza buona dei “paletti” e degli sconfinamenti. Sappiamo anche che alcuni “scandali” degli ultimi anni e mesi erano poco più che montature mediatiche, ma su questo non intendiamo dilungarci. Ci sono interessi di bottega. C’è gente che ha il dentino avvelenato contro la casa editrice. Insomma, le cose non sono semplici come vengono descritte.
14. Una cosa che ci si rifiuta ostinatamente di capire è che per noi, in qualunque momento, andarcene dall’Einaudi sulla base di un imperativo morale (peraltro facile da spiegare, e che avrebbe pungolato applausi) sarebbe stato vantaggioso, tanto in termini economici quanto in termini di risonanza della scelta. Il Gran Rifiuto. Le beau geste. Anticipi alti. Congratulazioni. Pacche sulle spalle. Plauso per la nostra scelta “difficile” e in realtà facilissima (= populistica).
E si continua a sorvolare sul fatto che noi pubblichiamo già con altri grossi editori, es. Rizzoli e Bompiani, entrambi del gruppo RCS. Se abbiamo continuato a lavorare con l’Einaudi, non è per la “stazza” dell’editore che garantisce successo e gratifiche. Lavoriamo già con altri editori e “stazze” paragonabili a quella dell’Einaudi. Se abbiamo continuato a lavorare con l’Einaudi è perché pensiamo sia differente, sotto molti punti di vista, lavorare con via Biancamano o non lavorarci più, perché l’Einaudi non è un editore qualsiasi, e i motivi li abbiamo spiegati fin troppe volte.
15. In rete pullulano caricature della nostra posizione, frasi virgolettate che non abbiamo mai detto né scritto (“Fottere il potere dall’interno” etc.) Ci si rinfaccia di voler fare i rivoluzionari “coi soldi di Berlusconi” (e su questo abbiamo già detto).
Noi facciamo quel che sentiamo giusto. Sì, una decina d’anni fa eravamo più arroganti, pensavamo effettivamente di avere un ruolo di un certo tipo, ma ci siamo resi conto di avere torto e abbiamo fatto un’autocritica pubblica che non è stata meno lacerante dello stare nella contraddizione.
A ben vedere, noi Wu Ming veniamo da una pesante sequela di fallimenti. C’è forse un altro modo di descriverli? Undici anni dopo il nostro esordio, siamo ancora una “bizzarria”. Nessuna nostra prassi è diventata esempio contagioso. La scrittura collettiva resta una bestia rara. Il copyleft è fermo ai blocchi di partenza. La carta riciclata l’adottano in pochissimi. La letteratura italiana è ancora in gran parte fatta da scorreggioni. La grande maggioranza degli «addetti ai lavori» ci detesta e passa sotto silenzio il nostro lavoro. A conti fatti, abbiamo “inciso” molto, molto meno di quanto avremmo voluto.
Il nostro rimanere in Einaudi non ha nulla di “universale”, né stiamo indicando la Via (o dando la linea) ad alcuno. Non siamo apostoli né “cavalli di Troia” per niente e per nessuno. Facciamo, nella nostra singolarità, ciò che riteniamo giusto, punto. Se c’è chi, al contrario, lo ritiene ingiusto, vale il punto 6 di questo stesso testo.
Boicotta Wu Ming.
That’s the message for today and tomorrow.
Purtroppo non ho tempo di lasciare un commento articolato ma solo due righe per dire che questo pezzo è molto bello, umile, coerente, stimolante e soprattutto molto molto giusto. Chi non capisce è perché non VUOLE capire, non cerca di farlo e non persegue un confronto ma cerca una spada da brandire sulla sua ideologia da bar, una sciarpetta da sventolare nella curva, il carro a cui attaccarsi.
Restiamo invece critici e vigili, continuiamo a esporci, restiamo umani.
Credo che ognuno faccia la sua scelta umana e professionale in piena libertà, e probabilmente rimanere all’Einaudi è anche un tentativo di salvarla dalla proprietà. I messaggi pubblici degli autori che restano sono imbarazzanti, perché si tratta di decisioni intime prese dopo lunghe riflessioni. Ci sono di mezzo le persone con cui si lavora da tempo, le dinamiche acquisite negli anni, l’affetto, l’orgoglio e tanto altro. Ognuna di queste decisioni è un caso a sé.
L’arroganza dei boicottatori a tutti i costi va stigmatizzata, non c’è dubbio, anche se non la ridurrei a chiacchiera da bar come appare in questo post. Mi pare un poco snob come atteggiamento, sebbene i contenuti siano più che condivisibili.
Quel che va detto, forse, è che il caso del gruppo Mondadori si è rinnovato con la faccenda delle tasse non pagate e della legge ad aziendam: non si tratta più di lavorare con una casa editrice di proprietà di Berlusconi, ma con una casa editrice che domina il mercato grazie al fatto che non paga 350 milioni di tasse che rientrerebbero nei soldi pubblici. E lo può fare perché è di proprietà del presidente del consiglio il quale, per permetterlo, ha varato una apposita legge.
C’è una bella differenza rispetto a prima.
Con stima, Paolo
[…] i vuming tornano sulla questione mondadori, rianimata da repubblica con un dibattito che non sta né in cielo né in […]
[…] a leggere su Giap Lascia un […]
1) Come ho già scritto altrove, le posizioni astratte dal contesto non rivelano alcun senso della libertà decisionale. Il contesto è che in Italia la casa editrice col catalogo più poeticamente eversivo è di proprietà del Caimano, il quale comunque non ha cambiato i connotati alla casa editrice medesima (certo più per convenienza o per indifferenza alla cultura che non per amore di essa).
2) In Einaudi qualunque scrittore italiano (me compreso) ci verrebbe di corsa, se ambisse non alla semplice pubblicabilità o remunerazione, ma proprio ad una sua collocazione nella tradizione culturale che la casa editrice rappresenta.
3) Quello che non si chiederebbe all’operaio Fiat che lavora in un contesto dove si prepara la peggior contro-riforma del lavoro degli ultimi cinquant’anni, lo si chiede allo scrittore, che comunque si serve dell’editore per amplificare le proprie idee, in molti casi portatrici di valore etico indiscutibile. Questo mi pare assurdo.
4) Dove non sono daccordo con voi è su un altro punto. Dite giustamente di non eludere la contraddizione ma parlarne, “per dire che c’è ed è stridente”, ma non siete abbastanza conseguenti su questo. La contraddizione è che non ci sono rivoluzionari senza rivoluzione, e l’unica posizione coerentemente concessa all’intellettuale in questo contesto è quella della testimonianza con la propria arte: politicamente parlando, prendere atto del fatto che non esiste un predellino rivoluzionario quando il medesimo è fornito dal potere mediatico dominante. Smettere di dividere il mondo in rivoluzionari e reazionari e cominciare ad usare categorie come onesti e disonesti (detto degli uomini), complessi e grossolani (detto dei testi), umani e disumani (detto dei comportamenti). Rinunciare a quel manicheismo che per altri versi vi urta ma che la categoria di cui sopra non manca di perpetuare. Si tratta di rinunciare a un potere che non è quello del denaro o delle armi ma di un credito che eccede quello dell’arte e che oggi e in questo contesto risulta equivoco.
la vostra posizione è: ragionevole, stimabile, condivisibile. (e dunque anche criticabile, evidentemente). non siamo tra quelli che lanciano boicottaggi, né tra quelli che non collaborerebbero con Mondadori e così via perchè riteniamo che si individui in questo un falso problema. il ragionamento che abbiamo lanciato sul nostro sito a gestione familiare è leggermente diverso, e cioè: perché non si comincia a ragionare sui meccanismi della distribuzione in Italia? perché i grandi autori non si propongono, criticamente e per contestare una gestione assurda dell’editoria in Italia, di sostenere per il loro prossimo libro una piccola casa editrice, per dare un colpo al sistema che impedisce ai piccoli di diventare grandi?
forse è una cazzata e forse è naif. ma non è una proposta populista, perché l’idea non è quella di mollare né boicottare nessuno. è solo che, chi se lo può permettere, potrebbe fare un ragionamento di questo genere (per una volta), e continuare per il resto a pubblicare con chi gli pare. ci pare doveroso, questo sì, che gli intellettuali ragionino fattivamente anche sul meccanismo grazie al quale essi possono essere letti, e magari altri no – il che ha poco a che fare con la qualità dei contributi. incidere sugli ingranaggi della macchina fa parte della strategia di lotta, e non di quella dell’abbandono (per come la vediamo noi). (ma non era una critica rivolta a voi, sia perché ognuno fa come gli pare, sia perché il nostro era un appello generale in risposta a Mancuso che si poneva falsi problemi etici).
Questo post casca a fagiolo. Seguendovi da parecchio avevo già assistito ad alcune delle querelle che si erano sviluppate intorno al discorso, la mia posizione nei vostri confronti era, al massimo, giustificazionista se non apertamente menefreghista. Voglio dire pubblichi con uno o pubblichi con l’altro alla fine è sempre la stessa storia, non credo che tutto sommato, Feltrinelli sia meglio di Mondadori.
Il punto però è un altro. La questione fondamentale per voi è il fatto di poter continuare a pubblicare e di avere un editore, di conseguenza, un contratto che vi garantisce la possibilità di esercitare il vostro mestiere, di continuare a scrivere.
Io ho 29 anni ho finito l’università da tre anni e per me è un inferno. Di “mestiere” cerco di fare il reporter, sono un freelance, prendo il mio zaino e parto, di solito fuori dall’Italia e quando torno scrivo, da qualche tempo ho iniziato anche a portarmi una camcorder (un vidocamera piccola) così da cercare di proporre anche dei videoreportage (altra mia passione). Bello vero?
No è una merda. Per poter fare così lavoro dove cazzo mi capita, bar, fabbriche, stage in aziende di settore (figuriamoci se i giornali di questi tempi ti danno un contratto), mi è capitato di fare l’imbianchino e anche il beccamorto. Quando metto insieme qualche spicciolo, parte il mio progetto. Ho contatti con tutti i più grossi quotidiani nazionali online (vabbè si sono due ma gli altri manco ti cagano!!) e pure stranieri, ma di contratti manco a parlarne. La maggior parte delle volte mi sento dire che “il lavoro è bello ma lo paghiamo troppo poco” il che vuol dire che non ci vado nemmeno in pari!!
Perchè lo faccio? perchè nn credo che la mia unica strada, l’unica strada che mi viene concessa è quella dell’azienda. C’è un’intera generazione, la mia, che è stritolata in un sitema in cui o ti fai assumere, stage+contratto a progetto+altro contratto a progetto+impiego(forse) o sei tagliato fuori. Io personalmente “non ci sto dentro” ad adattarmi a questo sistema dell’informazione “aziendale”, ma il problema è che non c’è nessuno allo stato attuale delle cose, che sostenga ECONOMICAMENTE un modo di lavorare diverso.
Quindi se trovate le risorse per continuare nei vostri progetti, fotte sega, va bene così. In fondo è tutta qui la questione.
La lotta è bella, ma bisogna trovare sempre qualcuno che la paghi.
Il manicheismo è sempre spaventoso. “O con noi o traditore” gridato bavosamente fa sempre paura.
Detto questo, non sarei così cattivo con (alcuni) boicottatori. In fin dei conti, secondo me, la rabbia che vi lanciano contro è un attestato di stima. Di amore.
Nel campo dell’arte, c’è sempre difficoltà a scindere l’uomo dall’artista, e ammetto che anche io spesso e volentieri annullo questa differenza. Proprio perchè l’artista e l’intellettuale sono visti come persone che rivestono un ruolo importante nella società, ci si aspetta che quegli artisti e quegli intellettuali che più apprezziamo facciano gesti in sintonia col nostro sentire. Siano attivi culturalmente non solo con le opere d’arte, ma con le discussioni, con gli interventi, con le decisioni.
In una certa parte, sono convinto che sia giusto. Ma non perchè gli artisti debbono qualcosa di più rispetto agli altri: la coerenza andrebbe richiesta a tutti perchè, in quanto uomini, siamo tutti (a livelli e importanza diversi) coinvolti nella società ed ognuno dovrebbe impegnarsi laddove può con esempi concreti.
Certo, dire che ritengo che sia umanamente comprensibile, e spesso giusto, che i lettori si aspettino dagli scrittori gesti extra-letterari coerenti con la visione che trasuda dai loro scritti, non significa dire che sia giusto pretendere che gli scrittori si adeguino a queste richieste. Per come la vedo io, non è scandaloso che si decida di rimanere alla Mondadori, non farò mai proteste per boicottare Saviano, ma ritengo anche che se uno scrittore che scrive di mafia decidesse di uscire dalla casa editrice perchè il suo proprietario ha rapporti oscuri con la criminalità organizzata, sarebbe un gesto molto forte, che apprezzerei. Ripeto: non voglio forzare Saviano, ma quel gesto mi troverebbe concorde, rafforzerebbe quel rapporto lettore-scrittore che, purtroppo o per fortuna, vive non solo di ciò che lo scrittore scrive.
Voi dite che le cose sono più complicate di come sembrano, e che avete sempre palesato la contraddizione che vi lacera: sono sicuro che sia vero, ma ammetto anche che, per mancanze mie, per la difficoltà d’informarsi, per mille altri motivi, non ho la minima idea di come siano queste cose più complicate in Einaudi (e quindi mi è difficile capire molti meccanismi) e non ho mai avuto modo di sapere la vostra opinione sulla contraddizione (frequento il blog da veramente poco): questo non per dirvi che non avete fatto abbastanza, ma per precisare che alcuni di quelli che incitano al boicotaggio non sono dei pazzi esaltati, ma semplicemente magari non hanno mai avuto la possibilità di sentire le vostre opinioni, di conoscere il mondo dell’editoria. Non bolliamoli tutti come sanfedisti, alcuni sono in totale buona fede e senza un grammo di cattiveria.
Insomma: secondo me discutere dell’argomento è ancora utile, a patto ovviamente che sia una vera discussione e non una caccia agli scrittori organici al regime, con tanto di roghi in piazza. Per fortuna, voi siete sempre chiari nell’esposizione e quindi mi è possibile “aggiornarmi” e chiarirmi sempre di più le idee.
Circa il ‘pubblicare con Mondadori’ Pino Corrias ha fatto riflessioni simili
nel suo blog .
Poi ha anche risposto ai commentatori .
Mi piace la frase:”continuerò a farlo [pubblicare per Mondadori] fino a quando mi sarà garantita la libertà di cui la sua storia e i suoi dipendenti costituiscono una garanzia.
Allo stesso modo non credo che un professore di liceo debba dimettersi dalla scuola per non diventare un collaborazionista della ministra Maria Stella Gelmini.”
Anzi, ho visto tanti dipendenti del Min.Istruzione (dirigenti e maestri) resistere, resistere, resistere, contro la riforma che li colpisce. In mezzo alla contraddizione tra le direttive e il costituzionale diritto all’istruzione degli studenti.
Di corsa, perché sono in partenza e tornerò solo stanotte. Rispondo solo su due punti facili facili:
@pamarasca,
mah. Due sentenze della magistratura dicono che quell’accusa è falsa. Questo è l’unico dato certo che sta sul tavolo. Allo stato attuale, c’è ben poco di nuovo nella querelle, che si trascina con le stesse argomentazioni e contro-argomentazioni di sempre. Intendiamoci: noi non siamo tra quelli che feticizzano le sentenze, che hanno una visione acritica della magistratura etc. Anzi, l’eroicizzazione dei magistrati è una cosa che abbiamo criticato con durezza nel corso degli anni. E abbiamo addirittura fatto la campagna contro l’estradizione in Italia di Cesare Battisti! Insomma, non abbiamo nelle nostre stanze i poster di Armando Spataro (o di Caselli).
Il paradosso è che molti di quanti agitano le acque della “Questione Einaudi” (e ci chiedono “coerenza”) sono gli stessi che, in altre occasioni, dicono che le sentenze non si discutono, si riempiono la bocca con la “autonomia della magistratura”, viva i magistrati etc. Dovrebbero precisare: le sentenze che ci piacciono non si discutono, autonomia della magistratura solo quando non contraddice i nostri discorsi, viva i magistrati quando lo vogliamo noi.
@ viarigattieri,
scrivete: ” perché i grandi autori non si propongono, criticamente e per contestare una gestione assurda dell’editoria in Italia, di sostenere per il loro prossimo libro una piccola casa editrice, per dare un colpo al sistema che impedisce ai piccoli di diventare grandi?”
ma guarda che la stragrande maggioranza degli autori che mi vengono in mente su due piedi, a cominciare ovviamente da noi, pubblicano già anche per piccole case editrici. Da sempre alterniamo uscite per grandi editori con uscite per editori “di nicchia”, corsari, a volte anche esordienti etc. Noi abbiamo pubblicato per Bacchilega, Ediciclo e altri (Il sentiero degli dei è appena uscito per Ediciclo), Evangelisti ha pubblicato con l’Ancora del Mediterraneo, De Cataldo ha pubblicato con Manni, e (davvero) chi più ne ha più ne metta. Eppure, non ho visto grandi “colpi al sistema”. Non basta l’apporto di una “firma”, di un autore più o meno famoso, per superare la strozzatura della distribuzione. Lo stesso Camilleri, quando pubblica per piccoli editori, non “fa la differenza”. Dalle strozzature del sistema distributivo può salvarci un uso intelligente della rete, può salvarci una strategia intelligente sugli e-book, non il fatto di pubblicare per piccoli editori, cosa che già avviene a tutto spiano.
Chiedo scusa a tutti gli altri commentatori, devo proprio andare, ci si risente domani.
… estremamente condivisibile …
@ Wu Ming 1
e infatti non mi riferivo a voi, perché non conosco nel dettaglio la vostra storia. ma il ragionamento è: se, a partire da questa polemica che sta coinvolgendo diversi soggetti (da Scalfari a Prosperi ad altri), un folto gruppo di autori dei grandi gruppi editoriali (Mondadori, RCS, Feltrinelli) decidesse, pubblicamente e collettivamente, di adottare questa strategia come critica nei confronti di un determinato sistema di distribuzione, la cosa forse non inciderebbe (non troveremmo i piccoli editori nei supermercati) in maniera da sovvertire il sistema, ma magari avrebbe un peso reale sui meccanismi di distribuzione di qui in futuro. Se, e solo se, questa decisione venisse adottata come strategia, da un folto gruppo di grandi autori, e dichiarata pubblicamente come forma di lotta. Che Paolo Nori pubblichi un libro sulle biciclette con una piccola casa editrice di Bologna è una cosa che a me fa piacere ma che attiene alla sensibilità dell’autore e del lettore, e non a una strategia politica – e dunque evidentemente non cambia niente. Lo stesso valga per gli altri tuoi esempi.
Non vorrei semplificare, ma nemmeno essere semplificato. Camilleri non avrà fatto la differenza, ma è anche grazie a Camilleri che oggi continuiamo a trovare i libri Sellerio nelle librerie.
Confesso che ho dovuto rileggere due volte il vostro post perché non è proprio facile facile da comprendere, però – alla fine di ogni paragrafo – mi dicevo: ok, ci sono, capisco e condivido.
Ho una cosa da chiarire. Capisco che la “contraddizione” vi procuri una profonda consapevolezza del vostro ruolo tramite la riflessioni sui dubbi che sorgono, però io non colgo una cosa.
Volete dire che senza la vostra presenza (come quella di altri colleghi vostri) in Einaudi mancherebbe la contraddizione e quindi il problema della “proprietà” della casa editrice verrebbe meno? E quindi? Non avreste meno grattacapi? L’assenza di “contraddizione” cosa provocherebbe di negativo?
Ma Pasolini avrebbe pubblicato per il Caimano ?
Lo so che non è colpa sua e che ha tante altre rogne a cui pensare, ma non è scomodo scrivere di camorra per la casa editrice di uno che ha l’amico-amico condannato per mafia (anche se in secondo grado)?
Il padrone di Mondadori è l’avvelenatore del clima culturale di questo paese (se non è l’artefice è almeno il simbolo di questo degrado), un vecchio trombone come Asor Rosa non si accorge di niente e aspetta di essere cacciato (cosa che non avverrà mai) per gongolare e dire che la situazione è grave? Se non ci tiene lui, chi ci deve tenere le massaie che vanno al mercato a fare la spesa ?
Giuro che voglio solo capire, sono sicuro della vostra onestà intellettuale, ammetto di essermene interessato solo ora e dopo che ho letto l’articolo di Mancuso, sono ignorante, tendo al manicheo, non pretendo che boicottiate niente e nessuno, continuerò a comprare libri Mondadori ed Einaudi (come del resto a vedere Simpson e Futurama su Italia 1), non vi posso boicottare perchè non voglio e anche perchè Q sta li nella mia libreria e lo devo ancora leggere da quando me lo hanno regalato.
Segnalazione estemporanea,
spero non sia troppo ‘a cazzo’.
saluti :)
http://tabagista1986.splinder.com/post/23069207/la-mission
<blockquote><p>“Due sentenze della magistratura dicono che quell’accusa è falsa”
*
“[…] si riempiono la bocca con la “autonomia della magistratura”, viva i magistrati etc.[…]”</p></blockquote>
Attenzione, però: la magistratura non è un blocco unico che agisce come un sol’uomo e con una coerenza (discutibile o meno) univoca. C’è magistratura e magistratura; dunque non trovo nulla di errato (a posteriori) nel perplimermi per una decisione presa da un magistrato e essere contento per un’altra decisione presa da un altro magistrato. Dipende. Le biografie contano. Per motivi diversi posso avere il poster di Caselli o quello di Carbone o di Scarpinato o di De Cataldo.
Per dire, fra le tante cose c’è il fatto che a difendere gli interessi di Mondadori “contro” lo Stato a partire dal ’91 c’è lo studio tributario di Tremonti e che nel 2008 quando Tremonti diventa ministro dell’economia da difensore diventa accusatore. Ennesima declinazione di un conflitto onnipervasivo, non c’è che dire. Dunque?
Il metodo in sé, poi, è fra i più irritanti (e, ahinoi, praticati): scagliare la freccia sull’albero e dipingerci intorno il bersaglio: si fa sempre centro: «Quell’azienda che abbia una pendenza così e così e che abbia sostenuto due gradi di giudizio così e così etc …»
L’entità della cifra, poi, è di assoluta rilevanza: sono 350 milioni di euro, non sono pochi. E, per inciso, avrebbero potuto essere “nostri”. Più di un terzo di miliardo di euro.
C’è un articolo di Lirio Abbate sull’Espresso datato 2 luglio 2010 che dice:
“[…]E la causa verrà discussa dai giudici supremi in autunno, a meno che Mondadori non decida di avvalersi della nuova legge e chiudere tutto pagando il 5 per cento della contestazione: un’ipotesi che al momento non sembrerebbe contemplata, visti i risultati positivi ottenuti dall’azienda nei precedenti giudizi.”
E’ possibile che, nel frattempo, sia successo qualcosa … “C’è del marcio in Danimarca”, e l’estate ancora in corso è stata fra le più hot.
Il fatto c’è: sarebbe il caso (avendo tempo) di andarsi a rileggere le motivazioni delle sentenze che hanno dato ragione a Mondadori nel Maggio del 1996 e nel Luglio del 1999. Sarà materia per gli storici (innocuità), visto che non lo è stata, fino in fondo, per i giudici. Cioè: mi rendo conto che sto basando la mia lettura su una fonte sola (più o meno) quella di Repubblica. Però si tratta di argomenti che hanno il loro bel peso specifico: è un fatto che sono stati sborsati quasi 9 milioni di euro (non proprio nulla e con questi chiari di luna) avendo praticamente in tasca la “ragione”. O no?
Insomma: più passa il tempo e più Mondadori aumenta la sua quota di impresentabilità agli occhi del suo pubblico, dei suoi lettori. Anzi, no. Non è il suo pubblico, è il pubblico dei suoi tanti tantissimi autori.
Sono rientrato prima del previsto, eccomi qui a rispondere.
Considerazione generale: quasi tutte le questioni su cui veniamo sollecitati le abbiamo già affrontate molte volte. Per questo abbiamo scritto che il presente post “integra” quello di aprile (e la discussione in calce). A sua volta, il post di aprile riprendeva i fili di altre discussioni, e le linkava. So che ci vuole pazienza, ma invito ad andare a leggere, per non costringere noi a ripartire sempre dall’ABC. Per il resto:
@ Valter,
certamente non esiste un “predellino rivoluzionario”, un punto elevato da cui il Soggetto (quale?) possa far passare il Messaggio dei Messaggi e cambiare il reale con la semplice forza di questa Verità. Come non saranno il capitale e lo sviluppo a fornirci automaticamente predellini, o addirittura a portarci il comunismo. Anni fa ci allontanammo dal “negrismo”, dall’Autonomia, dal post-operaismo proprio perché non credevamo più a quest’impostazione escatologica. Siamo più “catecontici” :-)
Però concederai che esistono dei punti (Badiou direbbe dei “siti”) in cui il conflitto è più acuto e anche più significativo che altrove. Noi crediamo che, nell’industria culturale, la “Questione Mondadori” sia uno di quei siti. Lì possono prodursi eventi rilevanti. Se non fosse così, se quel che accade là dentro non fosse significativo, non scoppierebbero nemmeno tutte queste querelles. Il nostro background marxiano, a suo tempo, ci suggerì di stare in quel sito. Siamo ancora convinti che sia giusto starci.
@ viarigattieri,
quando si parla di piccoli editori, non mi viene in mente Sellerio. Sellerio è un editore medio-grande, a mio modo di vedere. Il riferimento era a libri che Camilleri ha pubblicato e pubblica per editori più piccoli, come le Edizioni dell’Altana (Gocce di Sicilia) o Derive Approdi (l’Abecedario).
Una micropremessa: “piccolo editore” non significa per forza “editore virtuoso”, come “grosso editore” non significa per forza “mascalzone”. Noi abbiamo avuto a che fare con piccoli editori (non quelli nominati sopra) che erano cialtroni all’ennesima potenza, sciatti e truffaldini.
Detto questo: per quella che è la mia esperienza ultradecennale, la vostra proposta mi appare irrealizzabile. Non ho mai visto una vasta mobilitazione di scrittori che andasse oltre le solite firme in calce ai soliti appelli. Ho visto iniziative costruite da *alcuni* scrittori uniti da un comune sentire (sovente temporaneo, se non addirittura effimero), iniziative limitate nel tempo e/o nell’impatto. La maggior parte dei colleghi vuole, molto semplicemente, farsi i cazzi propri.
@ dreand,
la contraddizione, da noi sviscerata soprattutto nella discussione di aprile, è quella che riassumeva Valter nel suo commento: “in Italia la casa editrice col catalogo più poeticamente eversivo è di proprietà del Caimano”. La contraddizione è che la famiglia Berlusconi si sia appropriata (qui la storia sarebbe lunga) del catalogo più prestigioso (e anche radicale) che esista in lingua italiana, della casa editrice che più simboleggia la cultura antifascista e di sinistra, del soggetto più affascinante che si sia manifestato in campo editoriale durante il XX secolo. Questa è la contraddizione. Andarcene la risolverebbe *per noi*, cioè la rimuoverebbe dalle nostre vite. Ma la contraddizione rimarrebbe, e resterebbe stridente anche se tutti gli autori non-berlusconiani decidessero di uscire, perché l’Einaudi non appartiene solo a chi è vivente oggi. L’Einaudi è il suo catalogo dal 1930 a oggi. L’Einaudi è la vastissima “nebulosa” di opere di Marx, Adorno, Primo Levi, Deleuze, Guattari, Badiou, Mila, Fenoglio, Pavese, Calvino, Ginzburg, Montaldi, Lussu, Rodari, Zeri, Colorni, Ingrao, Rossanda, Vittorini, Luzzatto, Morante, D’Elia, Pasternak, De Luca, Evangelisti, De Cataldo, Ripellino e tantissimi altri. Ma su questo rimando alla discussione di aprile e agli “Appunti 2004” colà linkati.
@ cacioman,
sul caso Saviano abbiamo scritto tanto, guarda qui a fianco e clicca sulla tag “Roberto Saviano”, e troverai tutto quello che pensiamo della sua posizione etc.
Quanto a Pasolini, negli “Scritti corsari” affronta una questione abbastanza simile, in un breve testo (lui la chiama “noterella”) sul “pubblicare o no per Rusconi”. E’ nella sezione che conclude il volume, “Documenti e allegati”.
@ Sir Robin,
a noi lo dici? :-) Noi siamo quelli secondo cui le sentenze si possono (e si debbono) discutere e anche contestare. Sono altri quelli secondo cui “non si discutono”. Cioè: non quando li trovano concordi. Rimane che, al di là di tutte le interpretazioni, le ipotesi, l’antipatia di Tremonti, il marcio accertato e quello soltanto ipotizzato, finora nessuno ha provato che il gruppo Mondadori debba effettivamente quei soldi al fisco. Ragion per cui, fatico a registrare la grande “novità” e il grande “peggioramento” del dilemma etico per chi lavora con quel gruppo editoriale, che fino a prova contraria è lo stesso di due mesi fa, di sei mesi fa, dell’anno scorso, di cinque anni fa e via andare. Quale sarebbe la novità degli ultimi giorni? Che c’è il conflitto d’interessi?
Mi viene in mente una cosa: le due assoluzioni sono del 1996 e del 1999. Roba non nuovissima, insomma. Bene, quello era il periodo in cui B. era all’opposizione e a sinistra molti lo davano, assurdamente, per “finito”. Tanto finito che non c’era nemmeno bisogno di fare la legge sul conflitto d’interessi. E’ colpa di quelli là se ci ritroviamo in questa situazione. La croce andrebbe gettata addosso a loro, non a chi dentro il gruppo editoriale Mondadori (e, nella nostra fattispecie, dentro l’Einaudi) si ritrova ad affrontare la contraddizione e a cercare di valorizzare le resistenze.
Un bellissimo intervento della collega Michela Murgia:
http://www.michelamurgia.com/di-cultura/melting-pop/la-sostenibile-leggerezza-dellesserci
Non comprerò più i vostri libri, né qualsiasi altro “edito da”, poi brucerò quelli che mi restano, infine comincerò a percuotermi il capo sperando di dimenticare tutto quello che ho imparato, fino a che mi domanderò “perché sto facendomi del male?”.
Giusto per darvi testimonianza che ho letto quello che avete scritto. Mancuso mi è apparso sincero, ma lui è un credente e quindi sta in difficoltà: vorrebbe che qualcuno lo illuminasse sulla giusta direzione da prendere. Solo che non c’è.
Comunque la posa da “Eroi imperfetti” vi dona!
[…] letto questo lungo ed interessante post dei Wu Ming sul loro rapporto con Einaudi. Mi sento di dar loro ragione, soprattutto quando dicono che […]
@cacioman,
mi e’ venuto in mente leggendoti, e poi ho visto la stessa opinione nell’intervento di Michela Murgia: l’unico a essere fuori posto in Mondadori e’ Berlusconi. Non gli altri, non Saviano, non gli autori ai quali si chiede di uscire da Mondadori & co.
Sulla questione, in generale, sono anch’io dell’opinione che Mondadori, e soprattutto Einaudi, così come ogni casa editrice, siano un patrimonio che appartiene ai lettori e agli autori (quanto meno a quelli che scrivono per stare *nella società* e non *in società*). Anzi, è più di un’opinione: è la realtà, il *midollo* – per dirla con Calvino – di molto del mio pensare e agire.
Boicottare, a mio parere, significherebbe abbandonare quel patrimonio, tradirlo, lasciarlo in mani sconosciute. E invece no. Abbandonare le librerie, rescindere contratti significa fare il gioco di chi vuole rimanere unica voce a parlare.
In questo sta – per come l’ho capito – il senso della presenza di WM e degli altri in Einaudi e Mondadori. E questa presenza appoggio e sostengo, “fino a un minuto in più”…
Due esempi per gli aedi del boicottaggio (ormai invecchiati come me, almeno spero).
Il primo.
Io.
Non compro quasi più niente. Dunque, boicotto quasi tutto. Al netto di affitto e bollette, mi resta un po’ meno di dieci euro al giorno. Mezzo pacchetto di sigarette (meno non riesco), un quotidiano, ma ormai non tutti i giorni, poi solo generi di primissima necessità. I risultati di questa dirompente azione politica non mi sono ancora noti, ma appena saranno in mio possesso ve lo farò sapere.
Secondo.
Vi bastano quaranta milioni di adesioni all’appello a non comprare le orride pubblicazioni di B.?
Ce le avete già. Sono all’incirca tanti quelli che NON comprano nemmeno un libro all’anno, e dunque boicottano mondadori e tutta la madonna santissima da sempre. Sono pochi? A che numeri ci si può dichiarare soddisfatti?
Quando l’analfabetismo toccherà il 100%, saremo perfetti. E liberi. Berlusconi finalmente sarà morto e al governo ci sarà l’alieno buffo e cattivissimo di Mars Attacks.
Non manca molto. Abbiate solo ancora un po’ di pazienza.
L.
Il commento di Luca mi ha fatto cambiare idea: sono per il boicottaggio! Solo per vedere come se la cava l’omino buffo e cattivissimo di Mars Attacks! :-)
@ Wu Ming 1:
scusa l’ignoranza, ma che cazzo vuol dire “catecontici”?
In un altro post un complimento rivolto ai Wu Ming ringraziava per stimolare la curiosità e la voglia di ricerca, non posso far a meno che condividere a pieno. Devo ammettere la mia ignoranza sulla questione, o meglio avevo un idea molto semplicistica delle case editrici della Mondadori e quindi dell’Einaudi considerando la prima di destra essendo di Berlusconi e la seconda di sinistra avendo numerosi libri non solo di WM nella mia libreria raffiguranti lo struzzo (a cui ormai son troppo affezionato). Se fossi venuto a conoscenza che l’Einaudi fosse di proprietà della Mondadori dal 1994 prima di leggere il vostro articolo e quest’altro http://www.nazioneindiana.com/2010/01/20/pubblicare-per-berlusconi/ di Helena Janeczek sul sito ‘Nazione Indiana’ l’effetto sarebbe stato per me molto simile a quello di ricevere una botta in testa. I Wu Ming non sono i soli ad opporsi al boicottaggio, nel suddetto articolo ho avuto il piacere di trovare frasi molto significative come ‘Se Mondadori si riducesse a una serie di autori stramorti in edizione economica, Bruno Vespa, Filippo Facci, “Amici”, libri di comici e calciatori, rievocazioni più o meno apologetiche del fascismo, ci saremmo epurati noi da soli. E’ questo ciò che vogliamo? Vogliamo anche noi dare un contributo al perfezionamento del modello culturale unico?’ che ben si accomuna al voler resistere un minuto in più più volte citato in questo blog. Per finire posso dire con sicurezza di esser d’accordo con i Wu Ming e il loro rifiuto di boicottare la propria casa editrice, continuerò a comprare libri Einaudi e Mondadori, ad odorare le pagine del libro ogni qualvolta inizi un nuovo capitolo (mia piccola mania.. e non solo mia!) e ad apprezzare il lavoro dello scrittore No dell’editore perchè come dice HJ :’ Non regge neppure l’accusa ribadita continuamente dalla destra che uno scrittore di sinistra pubblicando con Mondadori “si fa pagare da Silvio” o addirittura che sia “uno suo stipendiato” come ha detto recentemente Vittorio Feltri paragonando se stesso a Saviano. Semmai è il contrario. Eppure è un’idea tipica, una concezione padronale dei rapporti di potere, anche e soprattutto aziendali.’
Finchè potete scrivere quel che volete, pubblicate con chi preferite, potete o ritenete giusto. Una ritirata può essere una cosa necessaria e sensata, ma i “bei gesti” vanno fatti per guadagnare terreno, non per lasciarlo al nemico.
Nessun passo indietro! ;)
per catecontico http://www.behemoth.it/index.php?pag=news&id=1235499015_7
Fino a quando la linea editoriale di una società editrice o di una azienda molto attenta al profitto economico (come la Mondadori, è sempre stata) sarà quella di pubblicare qualsiasi cosa i suoi autori importanti scrivano liberamente, credo che questo sia, per quegli autori, il modo migliore di usare le regole peggiori del capitalismo anche per combatterlo.
Con buona pace di Marx o Hegel la critica del capitale oggi, in un “quaternario” industrializzato e mediatico, è diventata sovrastruttura portante del capitale stesso.
Chi è in grado di avere lettori che leggono, apprezzano e comprano i suoi libri non deve mai nascondere la sua forza. Sopratutto se egli produce un bene immateriale importantissimo per soddisfare il bisogno del proprio mercato.
Il suo editore, in questo caso, diventa solo un canale distributivo. Importante fin quanto si vuole, ma solo un mezzo. Mai un fine in grado di corrompere l’opera…
E non sarà certo l’editore corrotto o i suoi affari sporchi il messaggio.
Così come non è mai lo scrittore a sbagliare se decide di farsi pubblicare.
Solo chi critica lo scrittore, senza entrare nel merito del reale valore letterario della sua opera, sbaglia bersaglio. Perché così facendo usa i meccanismi del sistema, proprio come il sistema si aspetta farebbe.
E ogni critico che guarda all’editoria contemporanea come luogo di contenuti e non come un mezzo o un banale magazzino di distribuzione di merci, si ferma al codice a barre ISBN e dimentica accuratamente di parlare dell’opera di produzione e del prodotto. Dimentica il reale messaggio sotteso da quello che lo scrittore scrive.
E parlando delle sempre più frequenti contraddizioni del mezzo il critico poco accorto si sottomette, lui si da buon servo, al gioco mediatico del sistema di cui l’editore conosce bene le regole e le leve di manovra….
Bisogna mandare a quel paese i critici e smettere di “parlare” del senso che ha fare letteratura per farla e basta…
Altrimenti se si prosegue su questa logica si dovrebbe affermare che per un cinese o un iraniano dissidenti non avrebbe senso cercare di usare un blog su internet perchè, nei loro paesi, quello è un canale corrotto e controllato dal potere che loro dicono di voler combattere.
E’ necessario, che voi scrittori che avete qualcosa da dire lo facciate ovunque.
E ve ne freghiate del resto.
Se poi questo qualcosa è anche contro il sistema berlusconiano corrotto ovvio che è ancora meglio.
Ma fino a quando proprio quel sistema vi permette di farlo SENZA CENSURE è necessario continuare a scrivere DENTRO quel sistema.
Anche per conoscerlo meglio e riuscire a scardinarlo.
Quella su “catecontico”/Katechon era una battuta auto-ironica comprensibile a pochissimi, e certamente a Binaghi, a cui mi rivolgevo. Avevo appena usato il termine “escatologico” e così mi sono auto-preso per i fondelli, per stigmatizzare il facile ricorso a termini teologici nella filosofia politica o anche nel cazzeggio “teorico” (a volte scapperebbe anche a me, ma poi nessun capirebbe niente e allora mi controllo). Comunque:
http://en.wikipedia.org/wiki/Katechon
Purtroppo non c’è analoga voce WP in italiano…
In Italiano qualcosa si trova <a href=”http://www.lsr-projekt.de/poly/itkat3.html” target=”_blank”>qui</a> e <a href=”http://www.behemoth.it/index.php?pag=news&id=1235499015_7″ target=”_blank”>qui</a> .
Comunque dall’alto della mia ignoranza vi preferivo autonomi. :-P
Riposto:
in italiano qualcosa qui:
http://www.lsr-projekt.de/poly/itkat3.html
e qui:
http://www.behemoth.it/index.php?pag=news&id=1235499015_7
E ribadisco che vi preferivo autonomi! :-)
@danae
Il post di Michela Murgia è molto bello e interessante. L’idea che Berlusconi sia un corpo estraneo è però un po’ quello che dice anche lui di sé stesso: sono un editore che lascia grande libertà di espressione. Ci sarebbe quasi da ringraziarlo di conservare le riserve indiane di Mondadori ed Einaudi !
Sposterei l’attenzione dal personale (Mondadori/Einaudi) a generale (tristissimo panorama italiano): quest’uomo ammorba e mortifica la libera espressione culturale e politica. Perché bisogna far parte della sua squadra (anche se pur sempre nel gratificante ruolo di rompiballe) se si finisce col giustificare così la sua pretesa imagine di principe libertario e illuminato ?
@wu ming 1
Ok, leggo Scritti Corsari ma Rusconi non era Berlusconi. Conflitto di interessi (e conseguenti bla bla bla) a parte, i modelli culturali oggi sono quelli imposti dal Caimano e noi gli si arranca dietro petulanti a dire “non siamo d’accordo!” mentre all’epoca di Rusconi era esattamente il contrario. Berlusconi voglio dire è più che un semplice editore potente: incarna e impone modelli a noi contrari con una forza e una efficacia che nessuno ha mai avuto (in Italia). Rusconi non era certo il caimano, al più un iguana.
Ciao
@ Cacioman,
credo che NESSUNO dei lettori forti Einaudi consideri Berlusconi un editore “aperto”, “liberale” o “illuminato”. Nessuno. Semplicemente, non lo ritengono un editore. NESSUNO lo ritiene un editore, tuttalpiù un proprietario (o, per dirla più negativa, un accaparratore). Quando Saviano chiese pubblicamente spiegazioni alla casa editrice e rispose Marina Berlusconi, la risposta di Saviano fu: non ho chiesto a te, ho chiesto alla casa editrice. Nell’immaginario di tutti quelli che hanno a che fare coi libri, esiste una scissione netta tra questi ultimi e Berlusconi.
Quella del Berlusconi editore illuminato è una narrazione che non ha fatto breccia in alcun modo. Il mondo dei libri e degli scrittori è ancora piuttosto diverso da quello della TV.
La presenza in Einaudi di autori, editor e capi-collana che pensano di Berlusconi tutto il male immaginabile l’ho vista interpretata in tanti modi (incoerenza, contraddizione, realpolitik, male necessario etc.), ma mai come un effettivo merito della proprietà o riconoscimento della magnanimità di quest’ultima.
La sopravvivenza del catalogo Einaudi l’ho vista spiegata in tanti modi (il “peso” storico del catalogo o, al contrario, la sua “scarsa rilevanza” in un paese di non-lettori), ma mai come una dimostrazione della mentalità aperta del magnate.
La famiglia Berlusconi ci ha provato in tutti i modi a imporre quel frame, ma non ci è riuscita.
Detto questo, lo vedi che ci caschi anche tu: ci ri-poni la stessa domanda. Riparti dall’ABC. Ma noi abbiamo già risposto decine di volte, e abbiamo spiegato e ri-spiegato la nostra posizione. Se non ti convince, pace, ma NON rifarci la domanda.
@ Punco
tocca andare sul difficile :-) Noi non siamo mai stati “autonomi”. Quando abbiamo raggiunto l’età della ragione l’Autonomia Operaia non esisteva più se non come tradizione sfrangiata, lascito eterogeneo, pulviscolo di piccoli gruppi sparso per l’Italia. C’era però un “discorso” definito “marxismo autonomo”, “marxismo composizionista”, “post-operaismo” e in vari altri modi. Parte del Luther Blissett Project, soprattutto a Roma e a Bologna, ha dialogato in modo fecondo con quel discorso, si è appropriata in modi imprevedibili di alcuni concetti (li si vede ancora all’opera nel saggio introduttivo a Totò, Peppino e la guerra psichica 2.0) etc. Ma gli anni Novanta sono lontani, io penso che molte formulazioni post-operaiste (non tutte, ma molte sì) si siano dimostrate… formulaiche (appunto), velleitarie, astratte, sovente grossolane. Già nel 2002-2003 l’impostazione di un libro come Impero di Negri & Hardt mostrava la corda in modo sconsolante. Il gergo del post-operaismo, poi, era diventato una nuova “lingua di legno” teorica. Inoltre, le ricadute di quel discorso nella prassi si dimostravano insufficienti quando non evanescenti. Alcuni concetti-chiave nessuno è mai riuscito a spiegarmeli in modo chiaro, o comunque a indicarne una possibile applicazione concreta. Insomma, detta come va detta: quelli di noi che avevano attraversato quell’esperienza si ruppero i coglioni, e senza troppe teorizzazioni si distaccarono da quegli ambiti. Affaticamento, ecco, lo chiamerei così. Angustia, claustrofobia. Voglia di ricerca ulteriore, di altri discorsi, di punti di vista differenti etc. Oggi, io non ho un filone teorico di riferimento. Conservo il mio forte interesse per Foucault e Deleuze & Guattari (la cui immagine ho dovuto “de-negrizzare” per poterli rileggere senza zavorre), leggo criticamente Zizek, Badiou e altri, ma non mi colloco in alcun trend.
mi dispiace moltissimo di non avere oggi tempo e tranquillità per partecipare a questa discussione che mi interessa moltissimo.
Brevemente, @ cacioman,
ribadisco quanto già scritto da WM1, e aggiungo che nessuno ha mai creduto a quell’immagine, a quello slogan, ma soprattutto è abbastanza chiaro dalle ultime “uscite” di Berlusconi che non solo non ci crede lui, ma neppure è più in grado di sostenere la “facciata” di quell’immagine.
In linea generale, credo che non sia efficace combattere il tiranno, il padrone, il capo negandone l’esistenza, sottraendosi al confronto, lasciando perdere perché “tanto si sa com’è, chi è”, “tanto è inutile”. Un tiranno, un padrone, un capo inetto si combatte mettendolo nella condizione di doversene andare lui, cioè mettendolo nella condizione di sentirsi inadeguato, fuori posto.
E’ un lavoro lungo, lento, paziente, a volte logorante, ma l’unico possibile, credo.
Riguardo ancora il boicottaggio, non mi sembra un’arma utile per l’editoria per la natura specifica dei libri. Mi spiego: se voglio boicottare il sistema bancario, posso aprire un conto alla Banca Etica, se voglio boicottare la Esso, faccio benzina altrove, ecc. Ma se voglio boicottare Mondadori, dove lo trovo un altro “Hitler” di Genna, ad esempio? Dove un altro “La luna e i falò” di Pavese? ecc. Boicottare una casa editrice significa rinunciare a leggere quel testo lì (almeno fino a quando il copyleft non avrà preso piede…).
@wu ming 1
Non so di lettori forti Einaudi, ma noi lettori di metropolitana non si fa tanti distinguo editore-padrone. Senza ironia, è un elemento di cui non avevo consapevolezza e utile a capire la vostra percezione. Da fuori non si va così per il sottile, si vede una gram pappa TV-film-libri-giornali-calcio-veline e voi ci siete dentro (e se ce lo rispiegate taaante volte è perché si ha una gran difficoltà a capirvi; probabilmente non conosciamo la materia).
Non TI ho rifatto la domanda. Ti ho solo detto che Rusconi non è Berlusconi. Mi leggerò Scritti Corsari e cercherò di evitare di ricicciarci sopra.
@danae
NON sono per il boicottaggio (dovrei incominciare coi Simson su Italia1 e non tengo la forza morale per farlo). Voglio solo capire (e ora c’ho le idee confuse).
@ cacioman,
se in metropolitana chiedi a chiunque cos’è Berlusconi rispetto alle sue aziende e alla “pappa” di cui parli e della quale secondo te facciamo parte, ti risponderanno certamente che è padrone di questa e quella cosa e anche di quell’altra, ma nessuno ti risponderà che è “un editore di libri”. Non è certo la cosa che viene in mente. Di tutte le personalità che manifesta o cerca di manifestare, quella dell’editore davvero non ha mai attecchito, perché Berlusconi non è un editore: è un proprietario, un azionista di maggioranza, quello che vuoi, ma non è un editore. Non ne ha la cultura, le competenze, il know-how, la curiosità, il particolare slancio vitale etc. Anzi, il mondo della cultura lo mette a disagio (sai com’è, quando dici “Romolo e Remolo”…), quindi preferisce non uscire dalla sua “comfort zone”, e si occupa di tutt’altro. Figurarsi se, presso chi legge, può passare come editore “illuminato”! Siccome tu hai detto che dal nostro lavoro emerge quella figura, io te l’ho contestato: no, non emerge. Chi segue il nostro lavoro non pensa a Berlusconi in quel modo; chi non segue il nostro lavoro o non ci conosce per niente non si pone nemmeno il problema. Dubito esista davvero qualcuno che in buonafede ci veda come parte della pappa di calcio e veline etc. Chi vive di quella pappa di solito non ci conosce, chi ci legge di solito non vive di quella pappa.
Se poi alcuni interlocutori non ci capiscono, può essere per vari motivi. Siccome abbiamo sperimentato vari registri, e abbiamo detto le cose anche in modo facile facile e papale papale, può anche essere che a quegli interlocutori capire non interessi. Può darsi che abbiano già la loro posizione pre-costituita (quella ad esempio espressa nelle vignette sul tuo blog). In ogni caso, noi non vogliamo tornare sempre alle due o tre banalità di base.
Perché continui a smentire che Rusconi fosse Berlusconi? Qualcuno ha affermato il contrario? Tu hai chiesto cosa farebbe oggi Pasolini. E’ una domanda senza risposte, perché Pasolini vivo oggi avrebbe novant’anni, sarebbe un’altra persona rispetto a quella degli anni Settanta, in un mondo molto diverso da quello di allora. Il massimo che potevo fare per risponderti era dire che negli “Scritti corsari” c’è una noterella che affronta un problema simile (e simile non significa uguale).
@wu ming 1
Le mie vignette (che sono solo vignette) sono state forvianti, togliamole di mezzo (ne soffriranno solo 10 contatti). Lasciamo perdere Rusconi, che riposi in pace. Chiudo per non trasformarmi in un troll.
@wuming1
forse è un po fuori tema, ma il discorso è finito lì.. in che modo il pensiero di Deleuze e Guattari è letto in ottica negriana? (oppure intendi dire che solo in tua chiave personale che che tale pensiero è stato “negrizzato”)
riformulo la domanda per essere più chiaro possibile: Secondo te, in che modo le tesi di deleuze e guattari ( dei quali conosco solo “mille piani”) possono essere fuorviato dal pensiero di negrii? (una tematica fra le tante la immagino da me)
Nel caso fossi costretto ad aprire una parentesi troppo grande è inutile dire che puoi glissare sulla domanda.
Su un altro punto del dibattito vero e proprio vorrei altresì intervenire. comincio col dire che comprendo (e condivido) le cause (vostre, di Dazieri, di Casarini etc) sul non-boicotaggio di Mondadori-Einaudi.
Vorrei però che si iniziasse a vedere berlusconi sotto una luce differente: in primis affermare che non ha cultura, know-how etc o che egli sia un capo inetto (scritto da danae) non sono argomentazioni convincenti per analizzare la sua figura a mio parere. Vedere Berlusconi come un macchietta (così come i suoi fedeli alleati Tremonti e Brunetta che si prestano alla parodia in maniera quasi naturale) è terribilmente fuorviante. Se infatti Berlusconi non è un editore, il suo ruolo nel campo della cultura dovrebbe essere studiato in maniera più profonda, ovviamente legata al resto dell’editoria di sua pertinenza (anche televisiva). Non credo si possa sostenere la tesi che egli abbia la proprietà della casa editrice solo per aumentare la sua rendita economica (al contrario l’ultima legge che ha scatenato la querelle ha solo lo scopo di aumentare i profitti e non pagare le tasse).In altri termini la questione è: perchè Berlusconi ha comprato la Mondadori? già si leggono ovviamente alcune risposte a tale quesito ma penso che porre direttamente la questione sulle intenzioni berlusconiane su mondadori ed editoria può sciogliere alcuni nodi fra gli autori che non vogliono boicottare e i lettori pro-boicottaggio.
credo.
@ elle,
sì, almeno in questa sede permettimi di “glissare”, si aprirebbe un OT gigantesco e poco comprensibile a chi non avesse letto i filosofi di cui parliamo.
Sull’altra questione: no, Berlusconi non si può ridurre a semplice macchietta “arci-italiana”, cuménda da barzellette etc. Quello è senz’altro uno degli aspetti, ma c’è chiaramente molto altro. Scrivendo che non ha la competenza, la passione e la curiosità dell’editore di libri, ho fatto un’affermazione molto, molto specifica, e non vorrei che fosse estesa ad altri ambiti o all’intera sua figura o – peggio ancora – all’intero fenomeno del berlusconismo.
Ad ogni modo, ritengo sempre più fuorviante focalizzare l’analisi o l’invettiva su Berlusconi come singolo-individuo-Berlusconi-Silvio, certamente peculiare ma non eccezionale né trascendente. Berlusconi Silvio è figlio del suo e nostro tempo, è come tutti calato in una realtà sociale che lo determina. E’ un soggetto prodotto da determinati dispositivi. Dire “Berlusconi” mi sta bene se il cognome è usato come una metonimia, cioè un sistema di potere, una rete di alleanze, un blocco sociale che ha trovato una rappresentanza, una strategia seguita dalla classe dominante per uscire dalla crisi della Prima Repubblica, e tante altre cose. I miasmi di questa lunga stagione politica, sociale e culturale rimarranno anche con l’uscita di scena del personaggio, il cui dominio è principalmente conseguenza dello stato del Paese, non causa. Poi, certo, le conseguenze “retroagiscono”, diventano concause, aggravano ulteriormente la situazione iniziale. Ma il sistema-di-alleanze-Berlusconi, ormai di lungo corso, è “solo” quello che approfittato meglio e prima di altri del degrado del Paese. E vedrete che avremo un “berlusconismo” senza Berlusconi Silvio in regime post-berlusconiano, come abbiamo avuto un fascismo strisciante senza Duce e in regime di democrazia. Insomma, Berlusconi è solo la forma contingente che ha assunto il problema.
Sul perché abbia comprato il gruppo Mondadori: in primis, a me sembra che fosse (anzi, che sia stato) un affare COLOSSALE, non a caso ci si erano gettati a pesce in diversi, e sono ancora in corso le cause legali scaturite da quell’acquisizione. Un impero di pubblicazioni: libri, giornali, riviste, rotocalchi. Profitti. Denaro a fiumi. E un soggetto culturale e imprenditoriale storico, un logo importantissimo che avrebbe assegnato a chiunque grande prestigio, soprattutto a un parvenu quale egli era. Col senno di poi, possiamo parlare anche di un arricchimento dell’arsenale del consenso, basti vedere il ruolo che ha un rotocalco come Chi, ma non vorrei cadere in un errore di prospettiva. Stiamo parlando del 1987-89. Berlusconi era un imprenditore che godeva di appoggi e favori politici, ma era ancora lungi dallo scendere in campo. E’ chiaro che quando un imprenditore che è già proprietario di TV nazionali e/o giornali si muove per acquisire altre proprietà mediatiche lo fa *anche* per avere ulteriori mezzi per influenzare la pubblica opinione. Vale per Murdoch, vale per chiunque altro. Ma è difficile pensare che nel 1987 Berlusconi volesse la Mondadori per gli scopi *precisi* che oggi, ventitre anni dopo, verrebbe spontaneo attribuirgli. Secondo me una delle cose che più lo hanno aiutato, nella sua ascesa e nella costruzione della sua immagine, è stata proprio la tendenza a dipingerlo come più abile, mefistofelico e prefigurante di quanto non sia. Tendenza contraria ma speculare all’altra: la sottovalutazione.
Ad ogni modo, le dinamiche sono riassunte qui:
http://it.wikipedia.org/wiki/Lodo_Mondadori
Sul fatto che pubblichiate per mondadori ho sempre avuto un groppone, a dirla tutta, giusto perché non so come funzioni la casa editrice, non so quale sia il rapporto mondadori/berlusconi, tantomeno il rapporto mondadori/pdl, e ancora meno chiaro è ai miei occhi il rapporto mondadori/einaudi.
Ovviamente il fatto che voi facciate parte della pappa è escluso, tuttavia ho una critica: se si volesse davvero chiarire una volta per tutte la questione, qualcuno della casa editrice einaudi dovrebbe spiegarci quali siano i rapporti di produzione (un termine a caso, insomma) nella macchina editoriale mondadori e specificamente einaudi, e capisco che questo non si possa chiedere solo a voi, ma ad altri che con voi lavorano e subiscono gli attriti (forse).
Infine, una osservazione: un collaboratore indipendente è pur sempre un collaboratore, e collabora. Voi come collettivo remate molto contro la logica culturale neofascista (perché il germe di queste cose nasce lontano, e gelli e i suoi coetanei, che a berlusconi hanno dato le chiavi del paese, erano luridi fascisti). E a coloro che vi criticano senza chiedervi come funziona chiedo: ma l’Aventino vi piace così tanto? Per lottare, ci si deve sempre isolare? Ci va sempre una resistenza per rimediare ai danni di coloro che non si sporcano le mani?
Detto questo, io ho lanciato il mio sasso: spiegateci i rapporti di produzione, con calma e senza glissare, non mi sembra tanto OT, e anche se in parte lo avete già fatto qua e là, forse una sonora ripassata farebbe bene a tutti, me compreso.
Si, si!!!
Vai OT, vai OT. Ti prego!
Anche perché non sarebbe poi così off topic.
E sarebbe anche una buona ragione per cominciare a leggere quello che non si è letto, o per comprenderlo meglio.
@ Giorgio,
glissare no, ma certo il peso delle richieste aumenta a dismisura, tutto diventa molto, molto faticoso e divora tempo ed energie… Intendi i rapporti di proprietà o i rapporti di produzione? Sono due cose diverse: i primi riguardano cosa appartiene a chi (pacchetti azionari etc.) e si possono riassumere in alcune cifre disponibili anche in rete. I secondi sono molto più complessi, riguardano l’interazione dei tanti soggetti che nella casa editrice o in collaborazione con essa concorrono a decidere quali libri vadano pubblicati, quando e come, e come vengono investiti i soldi, e ovviamente come vengono divisi i proventi etc.
“Rapporti di produzione” significa capire quanto lavoro ci sia in un libro, quanto plusvalore venga estratto, quale sia il margine di profitto. Cosa che varia da progetto a progetto, da libro a libro, di anno in anno, e che c’entra relativamente con la “Questione Mondadori” in senso stretto.
Ma se capisco bene, tu vuoi sapere se e in quale modo l’Einaudi conserva la propria autonomia e se deve rendere conto alla proprietà delle scelte di catalogo, è così? Beh, spero che ti rispondano anche altri, perché compendiare una cosa del genere è uno sforzo titanico. Posso descriverti cosa accade dal nostro punto d’osservazione. Sempre tenendo conto che l’Einaudi è anche la nostra controparte. Noi con la casa editrice abbiamo rapporti anche duri, alla bisogna.
Allora, noi pubblichiamo i nostri libri (quelli che decidiamo di fare con Einaudi) nella collana “Stile Libero” di Giulio Einaudi Editore, che dal 1993 è una delle case editrici del Gruppo Mondadori, il cui azionista di maggioranza è chi sappiamo noi.
Zoom out: la storia dell’Einaudi precede di oltre sessant’anni quell’acquisizione, e il gruppo che la manda avanti si è formato a una “scuola” molto peculiare e caratterizzata, per cui la casa editrice conserva un’identità e un profilo che è dato dal catalogo e dall’eredità di alcuni grossi nomi, a cominciare dal suo fondatore e capostipite (e dal primo gruppo dirigente, che subì la repressione fascista, con redattori torturati e uccisi come Leone Ginzburg e altri mandati al confino come Pavese), passando per la plètora di autori importanti che ci hanno lavorato dentro. Questo ha ancora un peso e finora ha dato forma alle “resistenze” (anche solo inerziali) che tra mille problemi permettono ancora di distinguere tra Einaudi e il resto del gruppo editoriale.
Il “garante” simbolico della contrastata e difficile continuità tra passato e presente è Roberto Cerati, per decenni strettissimo collaboratore di Giulio Einaudi, oggi presidente della casa editrice.
Torniamo a noi: a differenza delle altre collane della casa editrice, “Stile Libero” ha la sua sede a Roma, non a Torino. La collana è diretta da Paolo Repetti e Severino Cesari. E’ a loro che noi proponiamo i libri che vogliamo pubblicare con Einaudi, in triangolazione con il nostro agente, Roberto Santachiara.
Repetti e Cesari, se la nostra proposta di libro li convince, inseriscono il futuro titolo nel calendario (ciò avviene in linea di massima: noi non concordiamo mai subito una scadenza). Col nostro e con altri libri, prende forma il piano della collana, che viene comunicato e discusso a Torino, in una di quelle riunioni “del mercoledì” che mantengono un certo alone mitico. Intanto viene fatta la trattativa con Santachiara, tra scazzi e controcazzi si arriva a firmare il contratto etc.
Nella fase in cui lavoriamo al libro, noi non sentiamo nessuno a parte Repetti e Cesari. Non abbiamo mai avuto rapporti diretti con il gruppo editoriale nel suo complesso, mai fatto riunioni con la dirigenza Mondadori.
A Segrate ci siamo stati un paio di volte, perché là si svolgono gli incontri in cui si presentano le future uscite agli agenti Einaudi operanti sul territorio, ma non ci abbiamo mai fatto una riunione. Intendiamoci: mica ci sarebbe stato qualcosa di male! Ma noi lavoriamo con Einaudi, non con Mondadori, e le geografie sono diverse.
A Torino, in via Biancamano, ci passiamo più spesso. Quando siamo in città, incontriamo soprattutto Paola Novarese dell’ufficio stampa e, qualche volta, Ernesto Franco, il direttore editoriale. Memorabile una riunione chiesta da noi in cui illustrammo a Franco e al gotha della casa editrice le potenzialità di Internet, parlammo di transmedialità e spiegammo il progetto di manituana.com.
Attualmente, a livello di management c’è una strana asimmetria nei vertici. La divisione libri di Mondadori è infine divisa in due aree: Editoria Trade (cioè la narrativa e la saggistica che ci ritroviamo più comunemente tra le mani) e Education (che sono ad esempio i libri “progettati” come quelli d’arte della Electa, ma anche manuali etc.). Ciascuna di queste ha un direttore generale. Il direttore generale Trade è Riccardo Cavallero. Il direttore generale Educational è Antonio Baravalle, che però è anche amministratore delegato Einaudi. Quindi Baravalle è pari grado di Cavallero, in quanto come lui direttore generale di una delle due divisioni, ma al tempo stesso, in quanto amministratore delegato di *una* delle società del gruppo (Einaudi), è anche… non direi un “sottoposto”, perché è fortemente improprio, ma certo amministra una casa editrice la cui produzione ricade in gran parte nella categoria Trade che è diretta da Cavallero. Questo cosa comporta esattamente? Ancora non lo so, perché gli autori Einaudi hanno rapporti diretti coi capi-collana e col direttore editoriale, molto meno o quasi niente con questi livelli di dirigenza.
Io non so se questa ricostruzione ti sarà utile. Spero, nel tagliare con l’accetta, di non aver scritto castronerie :-P
Comunque, va bene la disponibilità, la trasparenza, il dovere di comunicare etc., ma cerchiamo di non esagerare, siate comprensivi…
Credo comunque che la lettura di questo libro sia fon-da-men-ta-le. Fornisce il contesto, racconta da dove viene la casa editrice e quale sia il particolare “profilo” a cui tutti gli autori stanno facendo riferimento.
Io pur di boicottare Mondadori non vado a fare spesa neppure alla COOP, mettono in vendita anche i libri Einaudi infatti (mai visti i Wu Ming a dire il vero).
Solo per ringraziare, stupefatto, dell’ennesima glasnost…..
@Wm1,
nonostante la fatica, le informazioni che dai sulla struttura di Einaudi in sè e in rapporto a Mondadori, sui rapporti e gli equilibri, sui funzionamenti e il rapporto con gli autori – sono tutte informazioni importantissime.
Anzi, presumo che una spiegazione particolareggiata di tutte quelle cose – naturalmente nei limiti di circostanza: tempo, fatica, privacy, opportunità… – possa davvero aiutare a chiarire, a chi non l’avesse ancora capita ma ci stesse provando, la vostra scomoda posizione di “dentro e contro”. In fondo il potere si nasconde nelle procedure, negli ingranaggi, nelle reti di relazioni, e allora perchè non raccontarli questi funzionamenti? Non avrebbe un forte valore di trasparenza? Raccontare a modo vostro gli arcana imperi non aiuterebbe i lettori a meglio situare la vostra posizione?
PS: condivido l’entusiasmo di Punco per l’OT e attendo fiducioso un post intero sulla de-negrizzazione di D&G! :-)
@ eFFe,
è che, davvero, le energie sono limitate, il tempo ancora di più e questa cosa è difficile, molto difficile. Volete che continuiamo a scriverli i libri? O ci volete principalmente come, chessò, blogger? Cercheremo di valutare i tempi e le forme. Magari torneremo ai racconti come “Benvenuti a ‘sti frocioni” o “Tomahawk”, che raccontavano non pochi arcana imperii in una forma immediata e non pallosa… Insomma, si vedrà.
Solo un poco più serio.
Una cosa che mi sconvolge, in questa diatriba infinita, è come essa sia esemplare di un fenomeno più ampio e devastante, il ‘voyeurismo’ d’opposizione. Si tratta di un’ansia, un’ossessione, una richiesta compulsiva di assistere al “Gesto”, finale e definitivo, che archivi una fase storica, che termini un incantesimo. Chiunque venga identificato, per un momento e senza basi concrete, come ipoteticamente in grado di agirlo, quel “Gesto”, viene investito, anche solo per un giorno, di questa sacra missione, e dopo poco, come è ovvio, va a rimpolpare le schiere degli stronzi e dei venduti. Siano Saviano o Fini, gli Scrittori o l’ultimo magistrato, il penultimo prete sociale o il prossimo giornalista d’inchiesta, c’è l’attesa salvifica di una ‘mossa fine di mondo’ che tagli la testa al problema.
Ecco, questo è esattamente il ‘berlusconismo’.
Ragazzi, non sarà Bresci a salvarci.
B. non è Sauron.
B. NON HA prodotto questo paese, E’ un prodotto di questo paese, dei suoi flussi profondi, sociali culturali antropologici geografici, che lo attraversano da oltre un secolo e che rimangono non solo irrisolti ma proprio inaffrontati.
Il ‘berlusconismo’ è la scorciatoia.
Che porta dritti dritti contro un muro. Noi, tutti, la stiamo percorrendo, caso mai convinti di essere su fronti opposti, e la buona fede in questi casi serve alla propria coscienza e poco altro.
il “berlusconismo” post-B. potrà essere anche molto peggio della merda di oggi, per quanto facciate fatica ad immaginarlo. Perchè sarà rimozione e archiviazione, ancora scorciatoia, a cui farà immediato seguito il conto, e vedrete che lo pagheremo, che si proverà a saldare con semplificazioni barbare di negazione della convivenza.
Il muro è più vicino di quanto crediamo. La cosa abbastanza terribile, ai miei occhi, è che B. sia l’ultimo collante virtuale che tiene un paese che già non c’è più. Già lacerato, irriducibile e diseguale, frammenti molto difficili da ricomporre.
B. non può fare a meno dell’italia. Il “berlusconismo” sì.
Il ‘dopo’ arriverà rapido, e come sempre ci troverà impreparati.
L.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento di Carlo Lucarelli. Ci siamo permessi di sottolineare una frase.
In questi giorni ho letto tante cose sul fatto di scrivere per Mondadori-Einaudi pur essendo di sinistra, ho letto articoli più o meno informati, ho letto post, opinioni e risposte come quelle di Eraldo Baldini, Eugenio Scalfari o Diego Cugia (solo per citarne qualcuna). Ho ricevuto mail con inviti a passare ad altre case editrici, appelli al boicottaggio dei libri Mondadori, critiche ed elogi. Ringrazio tutti perché mi hanno permesso di chiarire il mio pensiero al riguardo e di sciogliere anche quelle contraddizioni che mi facevano attribuire un certo “mal di pancia”.
La mia posizione al riguardo è questa:
non voglio lasciare un patrimonio di cultura, di civilità e di democrazia come è il catalogo Einaudi e in gran parte anche Mondadori nelle mani di quello che anch’io considero una delle grandi sciagure di questo paese.
Il mio posto dentro quella storia non è suo, e io intendo difenderlo con tutte le mie forze, e finché potrò scrivere al meglio e in piena libertà e sarò in compagnia di gente che si riconosce in quei valori (autori, editor e lavoratori a vario titolo) io resisterò assieme a loro.
Perché una casa editrice, non è un’azienda come un’altra. Quando è e resta libera il suo nome e la sua faccia non sono quelli del padrone ma dei suoi libri, dei suoi autori e dei suoi lettori. La proprietà culturale di quella casa editrice è questa e va difesa da quell’altra proprietà, facendo in modo –grazie anche a quei libri- che le cose possano tornare ad essere degne di un paese civile.
Combattere il sistema dall’interno, quando questo non richiede compromessi è altrettanto utile che farlo dall’esterno, soprattutto se un sistema così invasivo come quello che stiamo vivendo in Italia lascia pochissimi spazi al di fuori di se stesso.
Rispetto tutte le posizioni individuali di chi intenda fare una scelta diversa, ma per me andarmene sarebbe solo una fuga, un gesto facile, buono far bella figura e a farsi pagare meglio da un’altra parte (ho la fortuna di essere un autore appetibile), ma inutile, incoerente e per di più dannoso.
Passare in blocco, come si chiede a molti di noi, ad altre grandi case editrici significherebbe occupare lo spazio di chi già c’è e vende meno di noi (siamo in periodo di crisi e questa è la logica del mercato) oltre che lasciare il nostro posto ad autori più in linea con i desideri del padrone. Passare armi e bagagli a case editrici più piccole ma più “pure” (con le quali molti di noi comunque pubblicano particolari progetti con grandi e reciproche soddisfazioni) significherebbe caricarle di un lavoro che non potrebbero soddisfare in pieno, limitando la penetrazione del libro.
Tutto questo, assieme alla proposta di boicottaggio della Mondadori –che in un paese di non lettori come l’Italia si traduce in un boicottaggio del libro e della lettura- significa solo meno spazi, meno voci, meno libri in libreria. E meno spazio ovunque, dal momento che la coerenza chiederebbe a molti di noi di uscire anche dalla televisione. E chiederebbe anche, sia a noi che al lettore, di esercitare lo stesso boicottaggio su tutti i numerosi e spesso sconosciuti esempi di conflitto di interesse che, come fa notare Diego Cugia, sono tanti e non si limitano soltanto all’editoria.
Cosa che riporta tutto al nocciolo della questione: il conflitto di interesse, mai risolto da politici ed elettori, che adesso sembra avere l’ultimo campo di battaglia sulla pelle di un pugno di scrittori.
Un conflitto di interesse che una volta risolta l’anomalia Berlusconi si riproporrà di nuovo per altri soggetti, anche se in modo meno appariscente. Ma questa è un’altra storia.
Per cui torno all’argomento in questione e per quanto mi riguarda lo concludo: finché potrò farlo bene, liberamente e in buona compagnia continuerò a scrivere i miei libri anche per Einaudi e anche per Mondadori. Spero che un giorno –magari anche grazie a quei libri- chi ha deciso di non farlo più possa tornare a leggerli senza mal di pancia.
Carlo Lucarelli
Vorrei commentare in modo approfondito la risposta di WM1 alla mia domanda precedente su silvio e alcuni discorsi che ne sono seguiti, ma altri impegni non me lo consentono. quindi solo alcune puntualizzazioni.
sono ovviamente d’accordo che berlusconi (e ciò che rappresenta) è la conseguenza e non la causa della politica italiano; il sistema dei partiti e limiti tale sistema, sono stati già ampiamente studiati dal 1976… e come dice dici giustamente tu ne Berlusoni ne è diventato concausa, una concausa terribilmente devastante, tanto devastante che ha stancato anche il gruppo di potere di cui è la testa di ponte.
Inoltre come già tu affermi, vederlo come figura mefistolica è profondamente sbagliato e da il la alle soluzioni dipietriste o da popolo viola, che comunque catalizzano il dissenso più consistente nella politica italiana.
Ma veniamo al punto: comprare MOndadori è sicuramente una affare colossale, ma anche come accenni tu di “prestigio”, e su questo punto vale la pena cominciare ad analizzare meglio (cioè forse c’è chi lo ha fatto).
In primis può elevare la sua immagine da palazzinaro e da produttore televisivo di tv commerciale.
Inoltre permette a berlusconi di pubblicare libri di taluni personaggi che poi in seguito lo appoggeranno, siano essi imprenditori con vene artistiche o “intellettuali” che lo serviranno. La pubblicazione di libri non serve a creare un egemonia culturale (a quello ci pensa la sua tv rococo) ma assorbire nella sua orbita taluni soggetti che poi potrebbero tornargli utili. In questo senso, come dite voi, a maggior ragione si dovrebbe rimanere in Mondadori. (ricordo un vostro intervento contro gli “yes man”).
Così come ci possono essere altre conseguenze.
Non è un’intenzione “precisa” e preordinata ma un orientamento: il mestiere dell’imprenditore è spesso incredibilmente simile a quello del politico. ammetto che la mia analisi è fortemente influenzata da un’ esperienza personale lavorativa con un imprenditore: non che le due persone siano simili, tutt’altro, ma sono paragonabili alcuni atteggiamenti o metodi progettuali.
In questo senso, sebbene Berlusconi sia figlio del suo (nostro) tempo, vi sono delle caratteristiche proprio sue personali, pertanto credo che non sia possibile analizzare Berlusconi in quanto metonimia, vederlo così sarebbe per l’appunto una sottovalutazione. (è ovvio che non ha prodotto il paese, ma sicuramente è l’espressione più congruente della maggioranza, in senso deleuziano del termine, che riesce a esprimere gli interessi del suo gruppo di potere e al contempo ottenere un largo consenso; spero che non si interpreti questa affermazione come una banalità, nè vedere un berlusconi complottista)
@ wm1,
ovviamente, quello che si può leggere su internet dei pacchetti azionari riflette poco o nulla dei rapporti di produzione, che tuttavia qui si sono delineati in maniera più che onorevole (grazie per la spiegazione, anche se davvero non pretendevo i nomi e i cognomi :) ).
Mi limito a registrare: questa non è ideologia d’accatto. Se le persone si espongono così alle richieste di uno sconosciuto della rete, è evidente che anche il più feroce dei detrattori debba riconoscere l’onore delle armi. Se poi non lo fa, ce ne deve spiegare i motivi. Così come chiunque collabori con fiat non è nel cda presieduto da marchionne, i wu ming non siedono ad arcore.
@ luca,
Sul problema del voyeurismo, suppongo vi siano delle precisazioni. I wu ming sono un collettivo di scrittori che hanno fatto del loro attivismo culturale un tratto distintivo della loro personalità scrittoria (l’unica che mi interessa, io non voglio un santo o un eroe, se wu ming 1 si scaccola con i gomiti son problemi suoi e del suo naso), che non fanno mistero delle loro posizioni, del loro impegno. A loro come autori ci si riferisce poiché il loro esporsi li rende bersagli più appetibili, e insieme più insidiosi: a forza di stare in prima linea, ti vien la pelle dura. per questo a loro si chiede forse più che ad altri. Se ti esponi, non ti tiri indietro. Ovvio magari che non si chieda di arrivare a trasformare la tua vita in arte e l’arte nella tua vita, altrimenti si rischia il seppuku (Mishima ne è un esempio, le moltitudini un altro, dopo arrivo un suicidio rituale..).
Secondo me lasciare Einaudi a B. sarebbe un danno inimmaginabile, e per certi versi paragonabile a lasciarla in mani che alcuni reputano più fidate (il popolo viola? mai letto i commenti sotto i video di grillo? una puzza di fascio da star male per giorni). Quello che si chiede a chiunque in questo momento è un gesto politico, poiché coloro che dovrebbero farlo non hanno più la faccia per permetterselo. Anziché chiedere seppuku, si può chiedere conto di quello che lì dentro succede, e la risposta, se viene con un nuovo racconto, a me piace parecchio.. :) Non siete solo blogger, se non aveste scritto 54, non sarei stato qui.. e poi bloggare con wm1 è una faticaccia, basta chiedere a Cortellessa e Policastro.
Beh, sembra che si stia creando un consenso intorno alla richiesta di una narrazione/spiegazione dei meccanismi dell’industria editoriale, nella forma che poi si addice meglio a voi WM. Racconto? Perchè no? Post? Siete scrittori, nulla quaestio, ma siete *anche* blogger. Certo: le energie, la fatica, il tempo, le priorità… tutto legittimo, ci mancherebbe. Ma a me sembra che il dato interessante sia proprio l’emersione di questo bisogno. A maggior ragione in un tempo in cui il giornalismo e l’informazione in generale lasciano tanto a desiderare. Leonardo Padura Fuentes una volta mi disse che lui scriveva noir perchè era l’unico modo di raccontare degli aspetti della vita cubana senza passare dai filtri del giornalismo di regime o peggio dalla censura fisica. Non siamo forse a quei livelli, ma poco ci manca.
In un’operazione del genere io vedo molti vantaggi: in primo luogo per voi, che della trasparenza fate un segno distintivo. E più in generale per tutti, nella misura in cui la condivisione di certi meccanismi, di certi dispositivi, potrebbe suscitare una riflessione sul nostro stesso grado di immersione in quei dispositivi.
@giorgio
anni fa mio fratello mi regalò 54 dei Wu Ming, dopo andai sul loro sito e lessi ‘opachi verso i media, trasparenti verso i lettori’ e pensai fosse una cosa molto bella. Una promessa che stanno mantenendo con una coerenza paurosa.
La coerenza con cui i wm portano avanti questa prassi dovrebbe essere l’esempio, dovremmo noi, in quanto lettori fare qualcosa del genere, e in questo mi collego a quanto scritto da @luca, cioè fare nostra la battaglia, esporci a nostra volta e non stare a chiedere ai vari wm, saviano, lucarelli, etc etc di cambiare le cose per ‘Noi’. Io non rinuncio al catalogo Einuadi solo perchè se ne è appropriato B. voglio usarlo il catalogo e, esagero, renderlo incandescente. Non credo che boicottare sia furbo, per nessuno e non credo sia giusto chiedere di abbandonare la mondadori e l’einaudi all’arrembaggio degli scribacchini di destra, che già premono.
A me sembra che l’atteggiamento del delegare sia pericoloso, molto pericoloso e in questo sottoscrivo il post di luca. L’artista non può diventare l’arma da usare contro il ‘male’. Credo che la pressione che si sta facendo sugli scrittori sia filo governativa, non ci vedo niente di rivoluzionario
@ eFFe e tutti gli altri,
tenete comunque conto che, per quanto riguarda la “trafila” dei nostri libri, non c’è da “rivelare” chissà cosa, né molto altro da dire oltre a quello che già ho spiegato nel commento. Al massimo ci sono da rifinire dei particolari, c’è qualche aneddoto significativo ripescabile dalla memoria o dall’archivio della newsletter, ma nessun “mistero”, almeno non dal nostro punto d’osservazione. Sarebbe utile sapere cos’è, nello specifico, che a voi lettori risulta “opaco”, cosa vi interesserebbe approfondire del nostro rapporto con l’Einaudi (sempre, come si diceva, salvaguardando la privacy e tutto il resto). E sarebbe d’uopo se a questo genere di quesiti non rispondessimo solo noi. Ad esempio, un collega come Giulio Mozzi è sempre stato molto, molto disponibile e preciso nello spiegare come funziona l’editoria dal suo punto d’osservazione.
Una cosa che ci piacerebbe fare, nei prossimi mesi, è chiedere ai nostri interlocutori nella casa editrice (Repetti, Cesari, Franco etc.) di intervenire direttamente qui su Giap, per spiegare come intendono risolvere alcuni problemi specifici che si sono manifestati, ad esempio le pagine che si staccano perché la colla non regge la mole di libri come Q (mole aggravata dalla carta riciclata). Si tratta di persone che non hanno il tempo di scrivere post, ovviamente, ma potremmo intervistarli noi, o trovare altre formule, anche col vostro aiuto.
Io sono in pieno accordo con te, e per questo, ricalibro il tiro: il mio era un invito a chiarire una volta per tutte la storia. A me non andava giù che il tutto si risolvesse nello stare dentro il conflitto. Non è questione di curiosità, occhio: io voglio capire cosa succede, e non perché mi serva un eroe. Per quello, mi bastano le narrazioni epiche di Fenoglio, che non miravano a una mitopoiesi stanca, bensì a una riformulazione del concetto di eroe alla luce dell’impegno, non dell’assenza di macchie. Il mio groppone era non capire: non mi interessava e non mi interessa vedere i wuming andare a pubblicare per altri, era solo che non riuscivo mai a capire cosa si muovesse dentro al calderone. E’ la stessa cosa che capita a chi chiede loro, come a Saviano, Lucarelli, Evangelisti, Genna e altri, di abbandonare la nave. Solo che loro vogliono buttare via bambino, acqua sporca, vasca, mamma e rubinetteria. Io mi limiterei a capire cosa ci sia dentro, scoprendo che i rapporti di produzione sono ben diversi dai rapporti di proprietà. A me savianizzare tutti non interessa granché. Io non sono nella posizione di parlare di certe cose, non le so. Se si vuole far capire quanto distante sia einaudi dalla proprietà, ce lo devono spiegare coloro che ci lavorano, dentro e con. Io qui valgo poco, non so molto più di quel che ho letto.
Io NON voglio un eroe, però in un momento di (bis)polemica si può chiedere notizia in modo gentile, e a tale richiesta, ottenere gentile risposta.
Appunto 1: le puntate dei simpson sono su internet, quasi tutte. Perché continuare a guardarle su italia uno? Se proprio si vuole evitare il vero mostro editoriale di berlusconi, si deve lanciare il televisore giù dal balcone. E guarda un po’ in casa mia non esiste.
Appunto 2: ma perché non la si pianta di capire chi sta più lontano dal caimano fra noi altri e non si inizia a capire chi gli sta più vicino di quel che dice (per esempio uno con i baffi al copasir?)
era per yamunin, oovviamente!!!
@giorgio
d’accordo con te e dall’intervento di wm1 credo che alcuni chiarimenti su come funziona l’editoria potremo averli.
@ wm1 alla mia copia di 54 manca di un capitolo intero, cioè un capitolo è ripetuto 2 volte (nn ho la copia in casa e nn posso essere più preciso) e alla copia di manituana si stacano i fogli :)
@ yamunin,
ecco, queste sono le cose che ci stanno più sul cazzo :-P
La copia di 54 dev’essere una singola copia fallata, finita per errore tra quelle in distribuzione. Se fosse altrimenti, avremmo ricevuto altre segnalazioni.
La tua copia di Manituana, se è nell’edizione Big del 2007 anziché in quella tascabile del 2009, era certamente della famosa partita di 2000 copie circa incollate male in tipografia (ce ne occupammo nei dettagli su Giap quand’era newsletter).
Se invece è nell’edizione tascabile, quello è proprio un problema di formato.
Al telefono Severino mi ha detto che dall’autunno passeranno a una colla più forte. In realtà Stile Libero aveva chiesto a Torino di passare alla *cucitura*, che è molto, molto meglio dell’incollatura, ma pare che per questioni di bilancio non fosse possibile. Con la colla più forte, si spera di contrastare il problema. Però noi vorremmo che qualcuno dell’Einaudi venisse qui a dirlo di persona, siamo un po’ stanchi di fare gli ambasciatori che non portano pena, quando invece di pena ne *proviamo* tanta, perché ogni copia che perde i fogli è un danno anche alla nostra reputazione e affidabilità.
Io sono appena andato a controllare la mia copia di Manituana e ci ho trovato dentro 20 (venti) dollari Americani. Ho dei parenti Canadesi, ma non mi ricordavo della banconota; sarà vera?
Adesso vi mettete anche a stampare i soldi? Occhio che la colla non sia troppo forte, perché poi dà alla testa, come si può ben vedere.
Merito di Molly Brant, probabilmente.
Comunque, quando una copia è fallata, la cosa importante è conservare lo scontrino della libreria, in modo da poter restituire la copia e farla sostituire con un’altra (controllandola prima).
ho letto le vostre argomentazioni e posso capire il vostro fastidio. però non condivido fino in fondo. In qualche modo, continuare a pubblicare per un’azienda che “gioca sporco” quando sarebbe, come avete detto, fin troppo facile andarsene, è un comportamente che io vedo come un po’ incoerente. sia detto senza offesa, voi sarete sicuramente coerenti con voi stessi nel vostro intimo.
il punto è che restando in Einaudi, al di là di tutti i discorsi sulla convenienza economica e bla bla bla, passate per osmosi un po’ della vostra credibilità anche alla proprietà dell’azienda, che si può vantare pubblicamente (e non manca di farlo di frequente) di essere “liberale”.
anche sull’idea che un esodo di massa non sarebbe infine dannoso per il proprietario non sono molto d’accordo: il contraccolpo d’immagine sarebbe pesante. e comunque, si andrebbe ad arricchire qualche altra esperienza editoriale più sana, sebbene con una storia meno gloriosa. Insomma, io di motivi “nobili” per cambiare editore ne vedrei parecchi.
Detto questo, ognuno faccia come gli pare. Io mi avvarrò del punto 6, voi continuate pure a pubblicare con chi vi pare. Mi sembra la cosa più condivisibile del vostro messaggio.
[…] Ecco, io per non essere mai coerente con me stesso e nemmeno con gli altri boicotto WuMing. […]
arrivo tardi e mi scuso nuovamente del silenzio.
Solo due piccole cose: @ cacioman, nel mio commento mancava una riga per spaziare il mio testo. Quanto cioè scrivevo sul boicottaggio non era riferito a te, ma alla discussione in generale.
Poi, non ritengo “inetto” Berlusconi (o meglio: diciamo che non lo ritengo del tutto “inetto”. Nel campo editoriale la penso come WM1: Berlusconi non è editore, non sa cosa significhi fare l’editore): volevo fare un discorso più ampio, provando a spiegare come intendo io, ora, la “lotta contro il padrone”. *Capo inetto* è una delle possibili manifestazioni del padrone contro con cui combattere. Può essere Berlusconi come chiunque altro.
Poi, @ WM1, questa cosa di interloquire con i vostri interlocutori in Einaudi la trovo fantastica!!! Un’occasione unica!!! Possiamo, se ci vengono in mente, fare anche noi delle domande, anche extra wu ming?
La storia dell’editoria è un “settore” poco frequentato (spesso anche perfino da chi aspira a “lavorare nell’editoria”), e invece offre spaccati di storia culturale indispensabili per provare a capire qualcosa in più della cultura italiana. Domani provo a mettere insieme qualche testo di riferimento…
@ ReRosso,
la coerenza non riguarda “l’intimo”, mica è un paio di mutandine. Riguarda i comportamenti pubblici e i rapporti tra quel che si dice e quel che si fa. Da quel punto di vista, di noi tutto si può dire tranne che siamo incoerenti. A metà degli anni Novanta (il contratto per Q fu firmato nel 1996) decidemmo di lavorare con l’Einaudi, abbiamo continuato a farlo, abbiamo continuato a spiegare perché lo facciamo, e, toh!, continuiamo a farlo. Più coerenti di così si passa al sovrumano. Comunque, appunto, a queste obiezioni abbiamo già risposto punto per punto, argomentando nei dettagli. Su questo livello “basic” non rimane altro da dire. Chi non è d’accordo, o passa a un altro livello (es. la piega che ha preso questo thread, cioè: già che siete in Einaudi, divulgate come funziona la macchina al suo interno), o semplicemente ci lascia perdere, almeno nella veste di acquirente.
@ Danae, non è detto che “vengano qui” nel senso che si fermano a discutere, rispondere etc. E’ gente che ha un diavolo per capello (e chi ha pochi capelli, come Repetti, ha più diavoli per capello). Vedremo. Troveremo il modo.
@sì, se si trovasse un modo sarebbe fantastico! grazie!
Mi sono intanto venuti in mente…
1) Complemento del testo segnalato da WM1, è quello di Ernesto Ferrero, I migliori anni della nostra vita (Feltrinelli), qui la scheda
2) Per i volumi di lettere editoriali: Calvino; Pavese
3) Di Gian Carlo Ferretti, su Vittorio Sereni: Poeta e di poeti funzionario: il lavoro editoriale di Vittorio Sereni, Il Saggiatore, Milano 1999 (interessante anche questo articolo che parla del volume); e su Vittorini
@Wu Ming 1
la copia di 54 non la riportai in libreria sia perché era un regalo (con tanto di dedica e firma etc) sia perché mi affezionai alla copia fallata e mi promisi di comprare un’altra copia del libro, poi arrivarono altri libri, diminurirono i soldi etc etc e la promessa è ancora da mantenere :-)
Per Manituana ammetto che mi diede un po’ fastidio il fatto che appena aperto il libro si staccarono un paio di pagine, non è vostra responsabilità e non chiedo certo spiegazioni all’autore del libro (che sicuramente non sarà felice di sapere che il suo libro perde le pagine, ma non perde in credibilità), ma alla casa editrice. Spero che cambino metodo di impaginazione, cambino la colla, cambino ciò che gli pare e che faccia funzionare il bilancio il punto è che, almeno per me, se compro il libro è perché ci tengo a quel libro (può darsi che si sia fatto un piccolo sacrificio anche per poterlo comprare) magari spero di tornare a leggerlo e farlo leggere, se poi si scompone fra le mani alla prima lettura ecco questo ‘caca la minchia’ come si dice a cosenza :-P.
@ Danae
mi sa che il tuo commento è mutilo.
Curiosità: nel suo libro sul lavoro editoriale di Sereni, Ferretti racconta en passant che il poeta ebbe un ruolo nel portare Stephen King ai lettori italiani :-)
Consigliabile anche la biografia di Arnoldo Mondadori scritta da Decleva e uscita non molti anni fa per Mondadori poi ripubblicata da Garzanti.
@WM1,
hai ragione, non si tratta di “svelare”, e infatti non ho usato quel verbo, ma spiegare e raccontare. A me personalmente, per esempio, piacerebbe sapere che tipo di controllo/potere di negoziazione avete come autori sulla distribuzione. So che per esempio conservate i diritti digitali delle vostre opere, e so naturalmente che sono scaricabili sul sito. Ma per quanto riguarda il cartaceo? E sul prezzo di copertina cosa riuscite a fare? Si tratta di mere economie di scala oppure potete offrire/offrite anche una vostra politica dei prezzi, arrivando poi a una mediazione? Sono solo ipotesi le mie, curiosità sincere.
Interloquire su queste cose con la gente di Einaudi sarebbe fantastico! Anche perchè il ciclo/triangolo sarebbe completo: autori, editori, lettori! Se posso dare un suggerimento dentro quelli che immagino essere i limiti logistici, magari voi potreste raccogliere qui (o nei modi/luoghi che ritenete migliori) delle domande da parte di noi lettori, per poi accorpare quelle simili, eventualmente integrarle con domande vostre, e produrre così un mini questionario/intervista. Sarebbe già qualcosa!
L’ennesima riapertura della questione annoserrima (ormai è così) è dovuta, se capisco bene, all’intervento di Vito Mancuso. Non avendo altro da aggiungere ai punti dei Wu Ming (se non il punto 3 di Valter Binaghi: paragone con l’operaio FIAT compreso, ovvio!), mi limito a qualche considerazione poco sistematica.
1. Questa volta la questione annoserrima è stata sollevata non da un autore di nicchia (intendesi per nicchia il web, il noir, ecc.), ma da un autore “alto”, “di peso”. Uno che sta sulla fascia sinistra della classifica della serie A. Ebbene, ingenuità di Mancuso (che non ha letto, sembra chiaro, i testi di un dibattito quasi decennale) a parte, perché la stessa questione dovrebbe essere diversa, e richiedere riaperture di discussioni già fatte, ed eventuali abiure, cambi di opinioni, ecc., solo perché la solleva Mancuso invece che qualcun altro?
2. A Mancuso risponderei (e uso questa risposta come esemplificazione) che: è un nome importante nel panorama culturale italiano; che i suoi libri hanno un peso nel contrastare il tentativo di dire che se sei credente sei per forza teo-con, e se non sei teo-con (se solo problematizzi questioni come aborto, fecondazione assistita, eutanasia, ecc.) allora sei un pericoloso ateo laicista; che Mancuso è forse l’unico nome della teologia (a parte Roberta De Monticelli, che non è propriamente teologa tout court) noto al di fuori della ristretta cerchia dei lettori di cose teologiche, e i cui libri stanno in mano anche a chi non ha specifici interessi teologici; che i suoi libri (aggiungo) sono anche buoni libri (qualunque cosa io pensi delle sue singole posizioni), il che nel mare di cattivo gusto imperante non guasta. Ecco: tutto questo accadrebbe se Mancuso non avesse pubblicato per Mondadori, ma fosse edito da editori di nicchia come molta parte della teologia contemporanea? E cosa serve, oggi, per una battaglia culturale quale quella che Mancuso porta avanti: una posizione di mera testimonianza, o la possibilità di arrivare alle orecchie e agli occhi di un numero apprezzabile di lettori e uditori?
3. Gli “autori che pubblicano per Mondadori” NON ESISTONO: nel senso che non sono una corrente, un partito, una lobby, una frangia organizzata, una fazione. Non concordano una linea, neanche ce l’hanno una linea comune (tutti quanti insieme, intendo). Ciascuno risponde per quello che scrive nei propri libri: e avrebbero diritto di sentirsi porre questioni che partono dai contenuti dei libri che pubblicano per una collana che afferisce a B. Ma se questo avvenisse, molti di questi autori potrebbero, contenuti alla mano, dimostrare che quello che fanno non è aggirare un problema, ma di porre un problema al signor B.
4. Porre la questione annoserrima tradisce un’idea del narratore, o dell’autore, idealistica, barbuta e monocoluta, alla Croce o Omodeo: che i libri spostano le montagne e cambiano il mondo solo perché, esistendo, svelano la verità e sconfiggono il male. Beh, toglierselo dalla testa: i libri producono effetti sul lungo periodo, a volte sul lunghissimo (e spesso non ne producono alcuno). L’intero lavoro intellettuale (la battaglia delle idee, come si diceva una volta) dev’essere impostata come lotta di lunghissima durata, dagli esiti incerti: i narratori piantano querce che forse non vedranno crescere, mica rucola per la piadina. E quindi tutelare, finché si può, la possibilità di una buona diffusione, circolazione, visibilità, reperibilità è cosa fondamentale. Se poi tutto questo è possibile senza subire censure, né preventive né implicite, tanto meglio: se qualcuno non crede all’esistenza di nicchie di qualità e di onestà nel Sistema Editoriale Omologato, tanto peggio per lui.
A fatica e in ritardo (ma è chiaramente un mio problema) sto capendo questo discorso per voi elementare “B. non è un editore”. La pretesa (anche mia) di uno scatto d’orgoglio degli autori per manifesta immoralità del padrone-noneditore, non sarebbe quindi solo naif ma anzi tradirebbe un appeal di berlusconismo (che è per lo svaccamento, il liberi tutti, la confusione dei ruoli). Se si punta all’integrità, capisco, tocca semplicemente fare bene il proprio lavoro (difendendo ad esempio la tradizione e il patrimonio della casa editrice; standoci dentro, se non addirittura occupandola come fanno certi operai con la ditta in crisi). Va de sè che il discorso regge se l’ambiente Einaudi è “sano”. In questo senso ben venga capire come funziona e quali relazioni ci sono dentro (mi leggo i riferimenti dati da wm1 e danae); ma in questo momento (ore 1:30) mi basta sapere da wm1 che “sano” lo è.
@danae scusa tu se parto subito di capoccia
@WM1
nel pomeriggio, con calma, colmo un po’ di lacune… :-)
quanto dici di Stephen King va un po’ nella direzione che indicavo: è importante leggere qualcosa sulla storia dell’editoria italiana, anche per capire cose così, per ricostruire mosaici…
A questo proposito, visto che lo sto spulciando in questi giorni, un po’ laterale a questa discussione ma utile per completare il quadro: sempre di G.C. Ferretti, insieme a S. Guerriero, Storia dell’informazione letteraria in Italia. Dalla terza pagina a internet. 1925-2009, Feltrinelli 2010 (si occupa del *versante critica*).
Da qui l’articolo del Corriere sul volume dedicato a Sereni si dovrebbe aprire
http://archiviostorico.corriere.it/1999/gennaio/28/SERENI_battaglia_perduta_casa_Mondadori_co_0_9901282230.shtml
@WM1:
Sì, la considerazione sulla coerenza era solo un mio punto di vista. Voi siete coerenti sotto tanti aspetti, ma nel mio personale modo di vedere la coerenza, nel tuo ragionamento (esteso anche ai commenti, che ho tentato di leggere per intero, ma sono già tantissimi), ci leggo una sbavatura. Non sto dicendo che vi vedo come dei collusi, sto dicendo che io, personalmente, al posto vostro avrei fatto diversamente. Tentavo, con scarso successo (non sono bravo come te con le parole), di spiegare perché.
Sono sicuro che anche voi state tentando di capire chi, per lanciare un segnale e per sentirsi più coerente con le proprie idee, rinuncerà a comprare libri del gruppo Mondadori almeno finché qualcosa non cambierà. “A comprare”, non “a leggere”. Saremmo degli imbecilli a smettere di leggere per la bella faccia di B.
Vuoi che azzardi un pronostico? Penso che a boicottare sarà poca gente. Questa storia va avanti da tanti anni, eppure noi siamo ancora qui, a vivere grazie ai nostri lettori che comprano i libri Einaudi. Inoltre, questa campagna dei BoBi è veramente rozza e mal concepita. Cmq, staremo a vedere.
facile pronostico. comunque io boicotto soprattutto per me stesso, per stare bene con la mia coscienza. se poi dovessi riuscire nell’improbabile compito di cambiare qualcosa, tanto di guadagnato.
Coerenza e coscienza, sono il vero topic del thread, sarebbero queste cose da approfondire.
In fondo Q e Altai di cosa parlano?
Se fossimo iscritti ad un Gruppo di Acquisto Solidale tanto tanto, ma i supermarket vendono i libri Mondadori e quindi la nostra coscienza non sarà mai pulita fino in fondo.
Sotto questo aspetto, ogni nostro libro è anche un “esame di coscienza”, soprattutto Manituana, Stella del mattino e Altai.
Il concetto di coscienza dovrebbe essere inteso come quello di Democrazia: un ideale al quale ci si può solo avvicinare seguendo una (o più?) direzioni.
Se fossi coerente con le mie idee mi ritroverei dritto filato in prigione, potrei eventualmente fare l’eremita in uno sperduto villaggio in cima ad un monte a coltivare cibo biologico MA poi penso a mia figlia: quello che voglio dire è che vivere in modo coerente al 100% non è proprio il massimo per chi ti sta vicino (Q vs Altai)….anzi vi confesso una cosa: quasi quasi la porterei in quei dancing con la gente in mezzo alla pista a ballare i balli di gruppo, potrei mettermi le cuffiette con i Clash a manetta…..per rimanere coerente! Un altro aspetto della coerenza: si rischia di finire nel ridicolo.
Ammetto comunque di avere la coscienza sporca, le considerazioni di cui sopra sono una scusa morale per tirare avanti.
sulla coerenza, quello che mi sembra di poter dire è che sono d’accordo: è come un filo sul quale camminare, sempre in bilico, certamente; sempre concentrati, certamente; facendo attenzione a fare, bene, un passo dopo l’altro, pensandolo, tenendo sempre ben chiaro dove si vuole arrivare, vale a dire dall’altra parte. “Fissarsi” sulla coerenza al 100% sarebbe un po’ come bloccarsi sul filo, con le braccia spalancate, immobili, noi e le braccia: ma dopo un po’ i muscoli si stancano, e cadiamo.
Continuo a pensare che la lotta che deve impegnarci sia soprattutto una lotta antropologica, diciamo così, di cambiamento globale (anzi, no.globale :-) !).
Sulla storia dell’editoria, invece, ecco altri titoli (mi sembrano tra i più significativi).
Sono in debito con Giovanni Ragone, con il quale ho studiato sociologia della letteratura (ricordo in particolare un seminario sull’editoria del Novecento, durante il quale ho studiato i carteggi di argomento editoriale, e uno sull’editoria del Settecento). Vorrei quindi segnalare alcuni dei suoi testi:
1) Classici dietro le quinte (Laterza, 2009): è la storia editoriale di alcuni “classici” della letteratura italiana, da Dante a Pasolini (qui la scheda).
2) L’editoria in Italia. Storia e scenari per il XXI secolo (Liguori, 2005). Qui la scheda (è possibile acquistarlo anche come ebook).
3) Un secolo di libri (Einaudi, 1999). Per un orientamento sull’editoria del Novecento. Qui la scheda.
Su Calvino e l’editoria, oltre al volume di lettere che già ho segnalato, è interessante (anche se forse ormai difficile da trovare) un volume che raccoglie gli atti di un convegno sull’argomento. E’ a cura di Luca Clerici e Bruno Falcetto (il curatore dei Meridiani dedicati a Calvino) e si intitola Calvino e l’editoria (Marcos y Marcos 1993).
In generale, tutti gli epistolari di argomento editoriale sono molto interessanti, perché aiutano a cogliere le relazioni tra autori ed editori e le reti di relazioni tra i “soggetti in campo”.
Assolutamente da leggere, perché sono di Rodari e perché parlano dell’Einaudi, le lettere editoriali di Gianni Rodari, uscite abbastanza di recente.
Interessanti gli epistolari di Bompiani (completato da quello tra Bompiani e Zavattini) e di Vittorini (sul periodo del «Politecnico»). Non è un epistolario, ma è comunque interessante anche il volume autobiografico: V. Bompiani, Il mestiere dell’editore (Longanesi, 1998).
Sparse su riviste e in altre raccolte, poi, le lettere di Livio Garzanti (c’è un volume sul carteggio Gadda-Garzanti, ad esempio).
Si potrebbe andare avanti ancora molto… ma mi fermo…
Uao, quanta roba, andrò a dare una lettura! Io ho fatto sociologia economica, e nel mio corso non c’era sociologia della letteratura, quindi colmerò molte lacune!
Ho testé comprato stella del mattino, e mi si scassò a pagina 14.. :( mi sa che tutto questo parlare di colla ha portato sfiga.
Ho una domanda, forse completamente OT, che si ricollega a un post letto tempo fa, che non ritrovo: la mondadori avrà di sicuro in mente una piattaforma per la vendita di e-book, e il libero download che voi offrite creerà un conflitto di interessi con la vostra casa editrice. Leggevo, sempre nel famoso post, che potreste offrire diverse “qualità” di pdf, magari arricchendo i file a pagamento. Se (e solo se) la domanda è legittima, quali saranno le vostre strategie a riguardo? Se qualcuno ritrova il post, prego di postarlo, e se questo intervento fosse considerato OT, laq pianto subito lì. :)
@ Danae
le lettere di Rodari alla casa editrice sono fantastiche, praticamente chiedeva sempre soldi, batteva cassa, ma con uno stile meraviglioso. C’è la lettera scritta in finto rumeno per sbloccare una trattativa con una casa editrice di Bucarest che è da antologia. Ed è fenomenale la lettera indirizzata a Giulio Einaudi che reca nell’intestazione la frase: “Pregasi citare Adorno nella risposta”. E nella risposta, doverosamente, Einaudi cita Adorno (e volutamente a cazzo di cane). *Quello* è un editore!
@ Giorgio
la discussione sugli ebooks non era qui, era su Lipperatura, “dispersa” su 3 thread consecutivi:
http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2010/07/27/diritti-e-doveri-digitali/
http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2010/07/29/la-zampata-di-random-house/
http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2010/07/30/chi-legge-chi-scrive/
La nostra strategia, come spiegato da Santachiara nel primo post linkato, è di tenerci i diritti digitali. Almeno per ora. Stiamo riflettendo. Noi siam gente che riflette molto :-)
[…] giusti. Poi ho letto alcune “risposte” di altri scrittori, tra cui quelle di Sandrone Dazieri e Wu Ming, e la situazione mi è parsa, come avviene quasi sempre quando si approfondisce un argomento, meno […]
Rodari, che genio! Tutti i bambini dovrebbero crescere a pane e Rodari…!
Qui (http://www.labottegadellelefante.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1863&Itemid=37) ho visto che ci sono alcune lettere trascritte, anche quella con Adorno, ma manca la risposta. Per questo, e un altro milione di motivi, bisogna proprio leggere il libro!!!!!
E che editore, Giulio Einaudi, che editore…!
@Danae
grazie per le segnalazioni, credo che ne approfitterò, e viste le anticipazioni di WM1 inizierò da Rodari/Einaudi ;-)
bella la piega che ha preso questo Thread.
@ Danae,
pensa che qualche anno fa (mi sembra nel 2006 ma potrei sbagliare, non sono a casa mia a Bologna quindi non posso verificare) la casa editrice regalò quel libro ai suoi autori, noi compresi, in anticipo sulla pubblicazione vera e propria. Abbiamo la raccolta delle lettere di Rodari in edizione speciale limitata, copie numerate, copertina grigia, pagine intonse da aprire col tagliacarte!
Mesi fa il programma radiofonico Passioni su radio3 ha dedicato alcune puntate a Rodari, qui il link e poi scendere in basso fino a marzo 2010:
http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/PublishingBlock-fa13fa37-1286-427b-a49d-015c7c38ee06.html
@WM1,
ecco una *casa editrice*!! Che regalo meraviglioso! Con le pagine intonse… Mi par di vederlo…
Mannaggia, neanch’io sono a casa e quindi non posso andarmele a rileggere subito!
[…] Janeczek Vito Mancuso Don Gallo Sandrone Dazieri Michela Murgia Franco Cordelli Luca Casarini Wu Ming Giulio Mozzi Antonio Moresco Carlo Lucarelli Diego Cugia Giulia […]
Salve a tutti.
Sul versante delle “risposte degli autori di punta del gruppo Mondadori/Einaudi” sul livello basic della polemica BoBi vi posto questa risposta di Antonio Pennacchi pubblicata in anteprima sul forum dell’Anonima Scrittori a don Gallo. Interessante il tema della questione Mondadori vs Altre case editrici come “contraddizione in seno alla borghesia”.
DON GALLO, PENNACCHI E LA MONDADORI
Dice: “Ma questo è matto, ma come gli è saltato in mente di mandare in quel posto don Gallo?”. Be’, a parlare dopo, sono buoni tutti. Bisogna vedere prima, però, quello che ha fatto o detto don Gallo.Adesso dice che sono un tipo simpatico e lo ringrazio. Pure lui – fino a qualche giorno fa – stava simpatico a me. Ma è lui che aveva espresso di fatto un giudizio morale negativo su di me e su chiunque altro continuasse ancora a pubblicare con Mondadori. Lui in realtà – aveva detto – non se ne era accorto subito, aveva peccato anche lui, pubblicando pure lui coi reprobi. Poi però sull’avviso ce lo aveva messo un angelo – il padre spirituale suo, Beppe Grillo – telefonandogli una mattina presto: “Ma che stai a fa’?” (è così che funzionano le annunciazioni oggi). E allora lui lì se ne è accorto, s’è pentito, e con Mondadori non pubblicherà mai più, perché – dice – non paga le tasse, e lo stesso dovrebbero fare tutti quelli che ci pubblicano, se davvero hanno a cuore gli interessi del Paese. “Pensi a chi evade le tasse, Pennacchi” dice don Gallo.Ci penso, don Ga’, ci penso. Ci penso da una vita – vita che ho passato soprattutto in fabbrica – pagandole ogni mese in busta paga e pagandole adesso regolarmente sui miei diritti d’autore. Sapesse quanto ci penso e ci ho pensato, soprattutto a quelle che non paga la chiesa sull’Ici. Com’è, quando gli sconti Berlusconi li fa a voi, allora vanno bene? Quando invece se li fa a sé stesso, ci debbo pensare io? Fammi capire, don Ga’: non lo ha risolto Prodi in quattro anni di governo il conflitto d’interessi, e adesso vuoi che te lo risolva io? La Rivoluzione ve la debbono fare – da soli – gli autori Mondadori? E i Padri della Patria chi sarebbero a questo punto, Rizzoli e Feltrinelli? Paolo Mieli premier? Don Ga’, se tu non lo sai, queste a casa mia sia chiamano contraddizioni in seno alla borghesia. Io sono proletariato. E’ un’altra cosa.Io faccio lo scrittore, don Ga’. Scrivo i libri. E sono responsabile di quello che scrivo. Se non ti piace ciò che scrivo, hai tutto il diritto di dirmelo, ci mancherebbe altro. Ma solo di quello, però, non altro. Quando stavo in fabbrica non t’è mai venuto in mente di dirmi che ero responsabile anche di quello che poi faceva il padrone mio. Perché dovrei esserne responsabile solo adesso e solo io, e non magari pure l’operaio, il redattore o lo stampatore di Mondadori? Ci licenziamo tutti allora e andiamo tutti da Rizzoli, toccando ferro e facendo le corna, nel caso magari che anche lì non paghino le tasse? Ma che ti dice la capoccia, don Ga’? Io – come allora – rispondo della mia produzione e basta. Si chiama economia di mercato. Divisione del lavoro. Capitalismo. Io sto dall’altra parte. Proletariato. Porto il frutto del mio lavoro al mercato e lo vendo – derubato sempre (si chiama plusvalore) – a chi lo compra. Sono un lavoratore come gli altri. E a me tutti gli altri editori non m’hanno voluto. Rizzoli e Feltrinelli – tanto per non fare nomi – i miei libri me li hanno rifiutati più volte. Mo’ che debbo fare, don Ga’: me li debbo venire a pubblicare al ciclostile della parrocchia tua?Dice: “Vabbe’, ma che c’entra: quello è stato prima, mo’ che hai vinto lo Strega ti pubblicano di corsa tutti quanti”.Eh no, troppo comodo – oltre che a casa mia si chiamerebbe “infamità” – mo’ se ne vanno loro in quel posto, se mi permetti, e ci vanno, per me, con tutte le scarpe. A me da Mondadori – oramai – mi debbono cacciare solo con il manico della scopa. Sennò non me ne vado, don Ga’. Mi lego con le catene. E voi piangete quanto vi pare.Ciao, e amici come prima. Anzi, pure più di prima per me, se vuoi.
P.S. – Rispetto al Conte “chierichetto” di don Gallo però – che prima mi riempie d’insulti, poi dice che avrei vinto il premio Strega “solo grazie alla forza d’urto di Mondadori”, e infine ammette candidamente di non avere letto il libro, che per inciso si chiama Canale Mussolini – che cosa dire, poverino? Ma stai zitto, no? Che parli a fare? Leggiti almeno il libro, prima. Di’ che non ti piace. Come fai sennò a poter sostenere che ho “miracolato” lo Strega, senza neanche averlo letto? Poi dice che non ci sono più i chierici di una volta, e gli Strega gli tocca di vincerli agli operai. Altro che “forza d’urto di Mondadori”, beato a te. Qui al contrario, sotto l’usbergo dell’opposizione a Berlusconi – che se mi si permette è pure battaglia mia – qui è in atto una classica guerra di mercato tra gruppi editoriali contrapposti (contraddizione in seno alla borghesia, appunto), condotta attraverso una vera e propria campagna di intimidazione ai danni degli autori Mondadori. E’ questo che è ignobile, caro il mio “chierichetto”. Battiti il petto – se hai onestà intellettuale – e prega Mea culpa.
(a.p. – 28 agosto 2010)
Mah, cerco di evitare derive filosofiche (non sarei in grado di alimentarle) e di mantenermi sul facile, sperando di non banalizzare, anche perché nei post precedenti è stato praticamente detto tutto. Mi sono trovato a condividere praticamente tutti e 15 i vostri punti. Semmai dissento e mi dissocio dalla vostra decisione di dedicare tempo ed energie per puntualizzare e distinguere. Avrei preferito che aveste usato questo tempo per scrivere un racconto, ma capisco anche che le palle girano quando tutti mettono bocca a sproposito suggerendoti, senza saperne granché, cosa dovresti fare del tuo lavoro e della tua vita.
A chi si autoproclama alfiere della coerenza “ideale e senza attriti” suggerirei di dare le dimissioni dal mondo, giacché il solo fatto di vivere nel quinto di globo che consuma i quattro quinti delle risorse dovrebbe bastare a fare dei “coerenti” degli stiliti per il resto dei loro giorni.
E invece nel mondo reale ci sono gli attriti e pure il secondo principio della termodinamica: ogni cosa che facciamo, per buona che sia, produce sempre scorie inutilizzabili, se non dannose. Tutti dovremmo prenderne atto e vivere le nostre contraddizioni, reali o apparenti che siano. Non ne posso più di “extreme coherence”, di gente che si preoccupa di popolazioni a 10.000 km di distanza e poi non degna di uno sguardo quello che gli crepa sul marciapiede a un metro di distanza, così come di quelli che si danno un gran daffare per trovare una famiglia ai cani e poi invece di adottare un bambino passano da una inseminazione artificiale all’altra. Come un percorso di 1.000 km comincia con un passo, anche la “coerenza da massimi sistemi” origina dall’azione quotidiana, sporcandosi un pò le mani tutti i giorni per conquistare spazi di espressione e comunicare qualcosa.
Vi seguo dai tempi di Q e siete i miei storytellers preferiti. Che poi il punto è questo. Voi raccontate delle storie che a me e ad altri piacciono, poi ognuno utilizza le sue chiavi di lettura e tutto l’armamentario politico-fisolofico-socio-interpretativo che vuole.
Che vogliamo? Tornare ai seventies, quando il Movimento processava De Gregori sul palco perché si doveva pagare il biglietto di ingresso per il concerto? Certo che bisogna schierarsi. Gli Area ad esempio, il cui “messaggio”, sia pure con diversa forma espressiva, mi sembra consonante col vostro (è una mia visione personale ma sarebbe lungo da spiegare e off-topic) , erano senz’altro schierati. Ma credo volessero essere ricordati e apprezzati come musicisti e le loro testimonianze a posteriori lo confermano. Tofani, Capiozzo, Fariselli, Tavolazzi e Stratos volevano anzitutto “fare musica”. Io oggi comprerei la musica degli Area anche se fossero sotto contratto con Sony-BMG. Immagino che se voi volete anzitutto “fare letteratura”, vogliate essere apprezzati, come Dazieri, per quello che scrivete. A me interessa continuare a trovare i vostri libri sugli scaffali delle librerie, la presenza dello Struzzo sulla copertina è un corollario.
Uno vostro…datore di lavoro (ndr. lettore :-) )
Postilla: Berlusconi e i suoi non vengono da Marte ma riflettono, ahimé, il nostro modello di cultura e società. Berlusconi non si manda a casa spostando un’avanguardia di scrittori ad una casa editrice concorrente, chi lo pensa o è tremendamente ingenuo o tremendamente snob.
Due cose.
La prima.
E’ rivolta ai soloni, ai boycott boys duri e puri che cazzo, ogni volta, fanno i cazzi degli altri, ma non fanno un cazzo di proprio. Mica solo con voi e con Mondadori, con tutto e con tutti: passano il tempo sui blog e su feisbuc a farsi migliaia e migliaia di seghe. E fanno la predica al mondo intero, ma mai che mettano le mani nella merda come tocca fare, ad esempio, al sottoscritto. Prima spalare e dopo parlare.
L’altra cosa.
I semi che avete piantato in dieci anni, non crediate che non abbiano lasciato un segno. Non c’è solo il mondo di voi che scrivete, c’è anche quello di noi che leggiamo. Non è vostro compito esportare la rivoluzione come Fidel negli anni 60. Avete trovato un modo per produrre storie, concetti, discussioni. E da questa parte, con grande piacere, leggiamo, pensiamo, discutiamo, aspettiamo nuove letture e a volte scriviamo.
Il lavoro di chi scrive mi pare sia questo. Il resto son pippe da addetti ai lavori (di pippe).
Cari Wu Ming, non me ne frega una mazza con chi pubblicate.
Mi interessa leggervi e perdermi nelle storie che raccontate.
Va beh ho un po’ leghizzato i concetti, ma il succo è questo.
@WM1,
a proposito di S. King e Sereni, se non sbaglio a metà anni Settanta Sereni l’aveva rifiutato… ma poi cos’è successo? Tu la sai la storia?
(tra parentesi: il libro di Ferretti sul lavoro editoriale di Vittorio Sereni potrebbe essere utile a chi vuole capire il funzionamento della Mondadori fino ai primi anni ’80)
@ Danae
il libro di Ferretti l’ho letto svariati anni fa, ora non ce l’ho sotto mano, ma se non ricordo male Sereni non l’aveva rifiutato, aveva dato l’ok alla pubblicazione di Carrie. Quando torno a Bologna verifico, ma io la cosa la ricordo così.
@WM1, per non annoiare troppo sulle vicende editoriali di King in Italia… :-)
Ho ritrovato il libro di Ferretti. Carrie era stato rifiutato (dovrebbe essere stato pubblicato da Bompiani):
“In questa fase [anni Settanta] e in questo ambito, perciò, la nuova logica della grande macchina [= cercare di andare più incontro ai mutamenti di gusto e di costume] fa sentire maggiormente il suo peso anche sul lavoro di Sereni. Una macchina, va detto, che conferma tutta la sua potenza, e insieme certe sue clamorose disfunzioni, che non riguardano sempre la produzione alta, ma talora proprio gli autori destinati a vasto successo come Wilbur Smith e Stephen King rifiutati nel 1974 da Sereni e dalla Casa sulla base di vari pareri [segue fonte Archivio Mondadori], a riprova di una inadeguatezza dei lettori editoriali e dei processi decisionali, e dello stesso direttore letterario, verso i casi ormai meno prevedibili e più estranei alla tradizione mondadoriana” (p. 116).
Grazie, Danae, ricordavo male! Evidentemente all’epoca pensai: “Bompiani pubblicò Carrie grazie a Sereni [che lo rifiutò in Mondadori]”, poi il ricordo si è distorto, Bompiani è scomparso e la constatazione è diventata: “In Italia si pubblicò Carrie grazie a Sereni”. Però, che cantonata, il poeta… :-)
WM1, ci mancherebbe!!! ;-)
poi, ti capisco, quando non si hanno sotto mano i libri è terribile non poter controllare…!
[…] volete, potete cominciare da QUI e girare un po’ in rete, ad esempio QUI e QUI. Noi abbiamo trovato particolarmente interessanti QUESTE considerazioni. Sì, sono un po’ lunghe […]
Ho postato qui questa risposta, a chi proponeva di boicottare il gruppo Mondadori nelle adozioni scolastiche: “Si fa presto a dire: gruppo Mondadori. Boicottarlo significa non far leggere: Primo Levi, Mario Rigoni Stern, Cesare Pavese, Italo Calvino, Pirandello… solo per cominciare. Cos’è più utile: lavorare per una testa ben fatta nel futuro, o appiattirsi sul contingente? Cosa danneggia di più il Satrapo sorridente: mettere in mano ai ragazzi “Il sergente nella neve” o “Se questo è un uomo”, o diminuire i suoi profitti? E quando, per la bancarotta causata dal boicottaggio, dovesse andar via, chi gli succederebbe? Una generazione che non ha mai letto quegli autori che nomino qui, che di fatto facciamo leggere solo noi a scuola?”
(Col rammarico di aver scritto, per la prima volta, qualcosa in favore di Giulio Ferroni e Andrea Cortellessa)
Ciao. Segnalo che fra gli scrittori ha preso parola a proposito della querelle in questione anche Mauro Corona. Pane al pane, Corona risponde come se fosse al bar di Erto in un’intervista per il Fatto Quotidiano.
Inizia con una premessa: ““Premetto che non amo Silvio Berlusconi, non mi piace e non lo voto. Odio la sua spocchia, la camminata da conquistador e vende fumo. Ma la sinistra ha fatto peggio, dalla Tav alla base di Vicenza che ha firmato Prodi. Detto questo, i problemi del Cavaliere con il fisco sono tutti cazzi suoi”
QUI
Guarda, non so quanto ci servano prese di posizione come quella di Corona, capisco lo sfogo, so bene quanto siano (e permangano) rotti i coglioni, ma boh, non mi sembra una modalità efficace.
Segnalo una lunga intervista ad Aldo Busi su Dagospia. E’ un autore che non amiamo, ma qui, tra le solite innumerevoli e insopportabili stronzate, dice alcune cose molto consonanti a quelle che diciamo noi da tempo e che anche altri hanno detto qui. Ad esempio:
“La verità è che per i mondadoriani Berlusconi premier è una disgrazia. La recente lettera di Marina Berlusconi a Saviano in difesa della libertà d’opinione dell’editore Silvio Berlusconi di contrastare ideologicamente, quale primo ministro Berlusconi Silvio, l’eco mondiale del libro di un suo autore è un capolavoro di paradosso impensabile in ogni altra precedente epoca della storia dell’editoria, e infatti non pertiene in senso stretto all’editoria bensì all’ingenuità di una figlia che difende pubblicamente il perfetto e immacolato papà e intanto contribuisce a distruggere l’immagine di una azienda peraltro sua, un colpo terribile alla credibilità di un marchio, per l’appunto il colpo di qualcuno che non capisce niente di editoria, proprio come il padre.”
http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/articolo-18240.htm
E badate che non è facile per un autore dire cose del genere sulla proprietà Mondadori… Di certo non ci facciamo grandi amici lassù, dicendo o linkando roba del genere. Per questo diciamo che è molto più coraggioso e radicale stare dentro (finché si può) anziché fuori.
In Italia poche persone ascoltano gli scrittori, la presunta coerenza è un problema a cui tengono in pochi, e quei pochi a farsi tante pippe si danno la zappa sui piedi (me compreso, forse), poiché si richiede una falsa coerenza. Chiunque chiede reazioni perché vede un ventre molle.
Inoltre, propongo la mia visione d’insieme: la proprietà Mondadori avrebbe problemi enormi a gestire l’apparato editoriale senza coloro che già vi lavoravano e i loro secondi. Tuttavia sa che i suoi lettori sono dissimili da coloro che eleggono il partito del proprietario (un elettore medio di forza Italia non legge libri einaudi, per esempio). Berlusconi non è un politico che fa l’imprenditore sennò è fregato, è esattamente il contrario: è un capitalista entrato in politica. Sono più che convinto che tutto ciò non lo turbi. Lui non è un editore, è un capitalista, anzi è IL turbo-capitalista. Chiunque perda di vista tale questione, si infila in vicoli ciechi. Il colpo al marchio è quasi senza alcun rischio: chi compra libri alza gli occhi al cielo e li compra comunque per i motivi esposti da girolamo, chi non lo faceva prima, non lo farà adesso, chi lo elegge lo plaudirà come proprietario con la testa sulle spalle. Dove sta il danno di Aldo Busi?
Detto questo, non è compito di uno scrittore, che è l’ultima ruota del carro (con tutto il rispetto per la categoria) cambiare l’assetto.
cari Wu Ming, su Mamma! parlano di voi. In termini non proprio lusinghieri.
@ Giorgio
il danno arrecato dalla lettera di Marina Berlusconi è stato reale e sentito da tutti nel gruppo editoriale (cioè: quelli che il gruppo lo mandano avanti, tra autori, capi-collana, editor etc.), e te lo spiego in poche parole: gli autori avversi alla proprietà (in Einaudi, il 99% degli autori italiani) si sono trovati in maggiore difficoltà, perché fuori si è moltiplicato di almeno dieci volte il numero di quelli che ci rompono i coglioni, cioè che sono caduti in quella che noi (e non solo noi, vedasi il parere del distributore indipendente Massimo Roccaforte) ormai giudichiamo una vera e propria trappola, o, per dirla con Pennacchi “l’ennesima battaglia a perdere della sinistra”. Questo boicottaggio non funzionerà mai, nessuno convincerà mai chi conosce l’Einaudi, il suo specifico e la sua storia che per far fuori Berlusconi (peraltro in un paese di non-lettori) la via maestra sia *distruggere l’Einaudi*. Finora, dentro la casa editrice tutti hanno fatto questo assennatissimo ragionamento: Berlusconi passerà, mentre il catalogo resta. L’Einaudi non è di Berlusconi, quella è solo contingenza. Ma se si chiede praticamente a tutti gli autori italiani non berlusconiani di uscire dal gruppo, praticamente si sta invocando la completa distruzione dell’Einaudi. Il che, in nome della contingenza, già sul medio periodo priverebbe il paese di una delle più importanti voci nel dialogo civile e democratico. Bel risultato, si auspicano costoro. Poiché questo non è possibile, anche perché non puoi “convincere” un autore coi metodi intimidatori messi in campo negli ultimi giorni (mail bombing, insulti, accuse gratuite), il boicottaggio sarà l’ennesimo spreco di energie a risultato nullo. O meglio: un risultato ci sarà, ovvero l’ulteriore invelenimento del clima intorno a noi, e difficoltà ancora maggiori per chi in Einaudi vuole tenere duro e salvare la casa editrice.
@ ReRosso,
fossero questi i problemi.
Questa proposta del boicottaggio mi ricorda una puntata della serie “strategie fallimentari”
@ReRosso
il post su mamma.am è imbarazzante, logica d’accatto. non fa neanche ridere. è perdente, non aggiunge nulla di buono.
@WM1
sto leggendo le lettere di Rodari a ‘Don Julio Einaudi’. bellissimo.
Dopo tutti questi commenti, un supremo sforzo per riassumere la questione Einaudi e mettere dei punti fermi.
C’è una casa editrice che si chiama Einaudi, che ha una storia, che ha un profilo, che ha il miglior catalogo del mondo, che con tutte le magagne resta il miglior editore italiano (e lo diciamo per esperienza diretta), che ha pubblicato il fior fiore del marxismo, della teoria radicale, della poesia, della letteratura di tutto il mondo, e che nel ventesimo secolo è stata il soggetto editoriale e culturale più affascinante e studiato non solo in Italia.
Da un po’ più di quindici anni questa casa editrice, per errori di gestione, è finita nell’orbita mondadoriana.
La totalità degli autori italiani di quel catalogo, che si tratti di narrativa, poesia o saggistica, è ostile alla proprietà.
La stragrande maggioranza del personale (editor, capi-collana etc.) è ostile alla proprietà.
La maggioranza del gruppo dirigente è ostile alla proprietà.
Tutti costoro, noi compresi, senza nemmeno dirselo perché non ce n’era il bisogno, hanno fatto un ragionamento, che sintetizzo qui sotto.
L’Einaudi non è Berlusconi, perché quest’ultimo passa, mentre l’Einaudi resterà. Resterà il catalogo, per dirla con Valter Binaghi, “poeticamente più sovversivo del mondo”. Resterà quel soggetto, quella voce nel dibattito culturale e civile.
Quindi, proseguiva il ragionamento, bisogna TENER DURO, “resistere un minuto più del padrone”. Bisogna lottare dentro, per salvaguardare i margini e gli spazi di autonomia rispetto alla proprietà, per riequilibrare con mosse “buone” ogni concessione o cedimento, ogni eventuale “scivolone”. Date un’occhiata al catalogo e vedrete quali e quante sono le mosse “buone”. Abbiate un po’ di pazienza e vedrete, quest’autunno, alcune uscite strategicamente fondamentali.
Perché dalle pagine culturali dei giornali (e siti) berlusconiani, molti scrittorucoli di destra attaccano soprattutto gli autori di sinistra che pubblicano con Einaudi o Mondadori? Magari chi non è dentro quel mondo non se ne accorge, ma è una vera e propria grandinata di lamentele e contumelie, e dura da anni e anni.
La risposta è semplice: perché reclamano i nostri posti. Vorrebbero esserci loro al posto nostro, e si lamentano a gran voce: ma come? Quelle case editrici sono di proprietà di Berlusconi e proprio noi, autori berlusconiani, non abbiamo tappeti rossi srotolati davanti ai nostri piedi e ancelle che ci precedono gettando petali di rosa?
Questi sgomitano con violenza, da anni. Ma l’Einaudi non li pubblica e in genere non li pubblicano nemmeno le collane più prestigiose di Mondadori, perché i capi-collana come Repetti e Cesari in Einaudi o Brugnatelli in Mondadori non sono yes-men. Così si riesce, non senza sbavature ma comunque ci si riesce, a salvaguardare il catalogo.
Se chi in Mondadori non la pensa come Berlusconi uscisse dal gruppo editoriale, quei posti verrebbero presi *all’istante* da yes men. Al posto dei libri di Saviano o di Cantone, nella collana “Strade Blu” di Mondadori vedremmo quelli di svariati scalzacani.
Ma è doveroso portare la logica del boicottaggio un po’ più in là, fino alla massima coerenza.
Se tutti gli autori che osteggiano Berlusconi uscissero dall’Einaudi, come sembrano auspicarsi i Boycott Boys, significherebbe soltanto DISTRUGGERE L’EINAUDI, senza peraltro sconfiggere Berlusconi, che in un paese di non-lettori come questo non vedrebbe in alcun modo intaccato il suo consenso di massa, consenso che ha presso persone che NON leggono libri Einaudi.
E così, alla fine del ciclo berlusconiano, ci ritroveremmo senza l’Einaudi. Avremmo distrutto una delle più prestigiose case editrici di sinistra, e un pilastro storico della cultura antifascista in Italia. Bel risultato! Tutto questo perché si è presa una scorciatoia, perché si è sacrificato il lungo periodo alle pressioni della contingenza. Ma che senso ha?
Il boicottaggio è uno strumento importante, ma per metterlo in pratica servono dei requisiti. Uno dei quali è: conoscere l’industria che vuoi boicottare. Infatti chi promuove il boicottaggio alla Nike sa tutto di quest’ultima, sa dove sono gli stabilimenti, conosce gli organigrammi, segue le dichiarazioni dell’amministratore delegato, etc.
Nel caso di questo boicottaggio agli autori Mondadori ed Einaudi, questo requisito manca totalmente. In giorni e giorni di perlustrazione della rete, non ho trovato una presa di posizione una (nemmeno una!) che mi faccia pensare a una benché minima conoscenza dell’Einaudi, della sua storia, del suo catalogo, di cosa si muove là dentro, di quali siano gli equilibri. Non solo: chi promuove questo boicottaggio sembra NON SAPERE NULLA DI EDITORIA, tout court. Sfuggono i meccanismi basilari, manca l’ABC. Si dice che gli autori Einaudi sono “stipendiati da Berlusconi” (un’idiozia assoluta per chi sappia cos’è un contratto editoriale e cosa significhi la parola ‘royalties’), si schiaccia totalmente l’Einaudi sulla Mondadori e quest’ultima su Berlusconi.
Così facendo, si danneggia in primo luogo chi, come noi e tantissime altre persone, là dentro cerca di lavorare per un’Einaudi post-Mondadori e post-Berlusconi.
Credete che sia una cosa facile, soprattutto di questi tempi, ribadire che si continuerà a lavorare con l’Einaudi finché sarà possibile (finché qualcuno non ci caccerà)? Pubblicare con Einaudi sta diventando la scelta più impopolare in una fase di populismo acuto e di capi carismatici. Presso il “popolo viola”, gli autori Einaudi e Mondadori vengono ormai indicati come i primi nemici, persino più dello stesso Berlusconi, il cui essere un nemico è dato per implicito, mentre l’odio nei nostri confronti *va esplicitato*. Fatevi un giro nei forum, nei blog, nei profili Facebook che fanno riferimento a grillini, BoBi e dintorni. E’ tutta un’ingiuria contro di noi, contro Lucarelli, contro Saviano e mille altri.
Bene, noi non ci facciamo intimidire, serve anche e soprattutto il coraggio di essere impopolari. Solo che il danno sarà sistemico: aumenterà la quantità di veleni e di falsi problemi agitati come drappi rossi di fronte a masse in cerca di semplificazione delle questioni.
Anche se questo boicottaggio fallirà (perché è stupido e mal concepito), il gioco non sarà a somma zero. Ne usciremo con sempre più divisioni “a sinistra”, e con una lacerazione dei rapporti tra intellettuali e masse (e stavolta, almeno per una volta, NON sarà colpa degli intellettuali).
Riprendo uno spunto di riflessione cominciato tra me e Wu Ming su Twitter. Man mano che la questione sul boicottaggio coinvolge un numero sempre maggiore di soggetti aumenta anche “il rumore dei nemici” e la quantità di veleni presenti nello scenario sociale e culturale del paese.
Sempre più spesso mi sembra che questa attitudine “barricadera” più che essere espressione di riflessione e contenuti sia una posa che si debba giocare, più o meno consapevolmente (probabilmente inconsapevolmente), su di una scena. Mi sorprendo, perciò, a riflettere sulla natura e sulle cause di questa posa. Credo non sia sbagliato individuare proprio nel berlusconismo la radice del problema. La logica fortemente binaria che questo ha imposto al dibattito pubblico negli ultimi vent’anni ha contagiato anche quegli spazi che, da principio, erano inclini a rifiutarla come lontana ed avulsa dalle proprie pratiche.
La conseguenza principale di questo modo di pensare è che le contraddizioni, che sono la cifra principale di ogni momento storico, spariscono, cessano di assolvere alla loro funzione primaria, che è quella di stimolare il pensiero ed attivare meccanismi di problem solving, che sono alla base dello sviluppo della cultura (giacché ogni sviluppo risolve e crea problemi nello stesso tempo).
La logica del boicottaggio fine a se stessa, se portata avanti con coerenza conduce in un vicolo cieco, dato dovrebbe estendersi a quello spazio di contraddizioni che è coestensivo al nostro mondo e presupporrebbe una volontà di potenza capace di piegare questo spazio alla propria visione. Ma tale volontà di potenza è destinata a fallire, proprio perché incapace di adattarsi alle condizioni che la circondano (Deleuze e Welles sono un concatenamento illuminante al proposito)
Credo che se ci si voglia opporre concretamente alle logiche di potere dominanti sia necessario recuperare una dimensione che sia capace di oltrepassarle, piuttosto che mettere in campo una forza uguale e contraria a queste…
Il post di WM1 delle 13.57 è molto bello e convincente, anche sofferto. Ho letto con passione la querelle che si è sviluppata quest’estate, ne ho discusso di persona e su blog con amici, parenti, uomini della strada e quant’altro. Devo dire che (a parte un po’ di sindrome da accerchiamento) il post fa molta chiarezza.
Purtroppo il fatto stesso che la discussione su chi è più duro e puro stia così accendendo persone che hanno una weltanshauung non di destra, è un pessimo segnale per la sinistra italiana. Siamo tutti d’accordo, ma ognuno vuole essere più d’accordo dell’altro.
Ora, io penso: i libri vanno impugnati e mai deposti, in ogni caso. A prescindere oserei dire. Non è possibile (o quasi) in Italia essere un cittadino de-berlusconizzato. Perché i tentacoli di Mediaset o delle sue emanazioni più o meno evidenti hanno occupato ed occupano tutti i settori.
Il conflitto di interessi non si può combattere non leggendo Saviano, o Wu Ming o Lucarelli. Però dobbiamo trovare un modo per uscirne fuori, il grido di Vito Mancuso non è privo di senso e non possiamo nascondercelo.
E quindi? Non lo so, ma so che a) non mi piace l’inasprirsi dei toni; b) non mi piace l’atteggiamento “voglio aver più ragione io di te”; c) sono molto preoccupato.
Unico nel del post in questione: non mi piace per nulla la frase chi promuove questo boicottaggio sembra NON SAPERE NULLA DI EDITORIA, tout court. Sfuggono i meccanismi basilari, manca l’ABC.
Non mi piace perché – e lo dico da persona che legge molti libri all’anno – io non credo di sapere nulla di editoria. Però mi piacerebbe che – se in questo momento è importante saperne qualcosa in più – mi venisse spiegato cosa è importante sapere, altrimenti si finisce per essere esoterici e parlare solo a chi capisce, come Corrado Guzzanti quando faceva il personaggio del Massone (ve lo ricordate?).
Ovviamente unico nel del post è un refuso che stava per “unico neo del post”. Chiedo scusa. Rileggendo il commento mi accorgo anche che è molto confuso, ma questo è specchio della confusione interiore che l’intera faccenda sta lasciando dentro il mio cervello
@ Aldo,
innanzitutto, grazie per le parole di apprezzamento. Ho ringraziato poco, in questo thread, perché mi pareva imbarazzante. Facciamo che estendo questo “grazie” a tutti quelli che hanno dato un contributo.
Proviamo a farci questa domanda: chi boicotta la Nestlé, dove le ha attinte le informazioni su quest’ultima? La risposta è abbastanza semplice: ha studiato. Ha letto le pagine di economia, ha perlustrato il sito e le comunicazioni ufficiali dell’azienda, ha socializzato tra tante persone saperi parziali che, un po’ alla volta, hanno composto un quadro generale. Idem per la Nike e tutte le altre campagne di boicottaggio. Idem per i pompelmi israeliani. Un boicottaggio non si improvvisa alla carlona, mettendo su un sito in 24 ore e invitando la gente a fare mail bombing a casaccio. L’Annosa Questione esiste da quindici anni, c’era tutto il tempo, da parte di chi l’ha sollevata, di fare ricerche, compilare dossier e “libri bianchi”, leggersi libri di storia dell’editoria (in questo thread abbiamo fornito parecchi link). Con tutta evidenza, questo è un lavoro che nessuno ha fatto. Dico: “con tutta evidenza”, perché questa campagna di boicottaggio è maldestra, colpisce nel mucchio, prescinde del tutto da qualunque distinzione. L’Einaudi è nominata a vanvera da persone che non sanno nulla della sua storia e di cosa abbia rappresentato in questo Paese.
Non c’è nulla di male se tu conosci poco i dietro le quinte (che poi non sono nemmeno “dietro”, non ci sono segreti, sono tutte informazioni pubblicate e accessibili, basta Google). E’ normale e fisiologico, a un lettore importano i libri, non gli organigrammi, i pacchetti azionari, la storia delle acquisizioni.
C’è invece molto di male se i promotori di un boicottaggio dimostrano di non conoscere minimamente l’azienda o l’industria contro cui intendono mobilitarsi.
Riguardo al dovere di dire cosa gli altri non sanno: ma noi lo diciamo. Lo abbiamo detto non solo nel corso di questo thread, ma in tante altre occasioni. Il nostro viaggio nell’editoria è anche un’inchiesta, di cui rendiamo noti i risultati. “Glasnost” è una parola che abbiamo usato tante volte. Quello che non sanno i boicottatori è perché l’Einaudi sia l’Einaudi.
E’ solo apparentemente paradossale che proprio noi autori, che dell’Einaudi siamo anche controparte e non abbiamo un’appartenenza organica, siamo in prima linea nel difendere la dignità della casa editrice e del suo catalogo. In fondo, “il catalogo” significa “gli autori”.
Secondo me il punto non è se Vito Mancuso, con i suoi ostentati problemi di coscienza, ha ragione o torto. Sono d’accordo sul fatto che questo non è il modo di mettere giù la questione, e infatti noi non lo facciamo. Però Mancuso, involontariamente, si rende complice di una semplificazione di cui i “boicottatori” sono appunto inconsapevoli fautori.
Se un autore che pubblica per il gruppo Mondadori decidesse di smettere di farlo, priverebbe il gruppo stesso dei proventi derivati dalla vendita dei suoi libri? Solo parzialmente. La percentuale del prezzo di copertina che spetta all’editore in effetti finirebbe nelle tasche di un’altra casa editrice, ma questa è solo una fetta della torta. Infatti il gruppo Mondadori è anche azionista di maggioranza del principale distributore di libri italiano, nonché titolare di una delle due più grosse catene di bookstore del Belpaese. Significa che se si volesse evitare di portare soldi nelle tasche della famiglia Berlusconi bisognerebbe anche chiedere al proprio nuovo editore di non affidare la diffusione dei propri libri al suddetto distributore e di non venderli nei bookstore della catena Mondadori. Altrimenti sarebbe un boicattoggio parziale: vale a dire una contraddizione in termini.
E’ significativo che Mancuso, nella sua ingenuità, non abbia nemmeno preso in considerazione la faccenda, proprio mentre ancora oggi su Repubblica ripropone la questione mettendo al centro l’aspetto prettamente economico (“a chi faccio fare i soldi con i miei libri?”). Questo dimostra una volta di più quanto i fautori del boicottaggio alla Mondadori ignorino i meccanismi dell’industria editoriale italiana e siano piuttosto in cerca di bei gesti di delegittimazione del tiranno. Il desiderio di semplifcazione che ormai ha contagiato la società italiana è il principale sintomo della vittoria psichica del berlusconismo. Ma la realtà resta più complessa e non si può districare con i bei gesti, solo con pratiche di resistenza lenta e duratura.
Le pratiche di resistenza pertengono al modo in cui si decide di svolgere il proprio mestiere di scrittori. E questo riguarda il contenuto di ciò che si scrive; come si affronta il problema dell’estinzione dei lettori, o quello dell’impatto ecologico della propria attività, o ancora quello della fruizione dei testi letterari; insomma il tipo di cultura e di consapevolezza che si alimenta.
Mi è sembrato molto buono questo post intitolato “Dagli all’editore”:
http://comese.wordpress.com/2010/09/03/dagli-alleditore/
Ma poi… Lo sapranno i boicottatori che la famiglia Berlusconi è azionista del gruppo Rizzoli/RCS?
http://bit.ly/bgyayR
@ wm1,
proprio per il motivo che hai sottolineato, la critica di superficie all’autore, senza chiedere conto di chi vi lavori dentro, è una madornale cazzata. Di quel che succede dentro alla casa editrice la maggioranza dei boicottatori della domenica non sa neanche il poco che ci hai scritto tu, e quel che è peggio non ne vuole sapere. Chi pubblica Fenoglio, Adorno, Laing e mille altri? Einaudi. Ho studiato anni sui testi Einaudi, li frequento spesso e volentieri, e non smetterò di sicuro. Per quel che riguarda le scelte editoriali, reclamerei ancor più coraggio (per esempio, la prima a pubblicare Infinite Jest è stata Fandango), ma il catalogo è già sensazionale. La statura dell’editore è equivalente a Suhrkamp, le cui scelte felici in un paese di (molti) lettori forti hanno elevato il gusto a livelli inauditi, e aiutato insospettabili lavori: per esempio la pubblicazione degli atti di un congresso di Honneth e altri su Bob Dylan!!!
http://www.suhrkamp.de/buecher/bob_dylan-_12507.html
A Einaudi si deve riconoscere il merito di lavorare nella terra del non lettore, dove progetti ben più popular (penso al Lucarelli dell’ottava vibrazione) trovano spazio solo grazie a un gran coraggio, suppongo (e staimo parlando di Lucarelli!!)
Però trovo assurdo che nessuno di coloro che boicotta si voglia informare su come l’azienda funzioni. Sono l’equivalente umano dei classici tipi da manifestazione che ti chiedono per cosa si sciopera. Penosi.
Per il danno di immagine: suppongo non sia il termine adatto. E’ semmai un mobbing mediatico, cercano di forzarvi a migrare, i lavoratori einaudi soprattutto, gli autori poi. Il punto è si resistere, ma evitare l’ammutinamento. Un racconto che ci spieghi un po’ tutto sarebbe davvero molto bello… vogliamo benvenuti a sti frocioni per l’editoria!!
Fenomenale (e commovente) Evelina Santangelo sulla questione Einaudi, chapeau! http://bit.ly/cmx2qv
Carissimi (uso questo aggettivo perché la lunga frequentazione dei vostri libri mi vi ha resi cari )Wu Ming,
sono tra quelli che sta proponendo in rete e tra i suoi amici il boicottaggio della Mondadori e seguo con interesse il dibattito che si sta producendo in merito. Quello che noto in questi giorni è come tutti gli autori “chiamati” a lasciare Mondadori/Einaudi (ma non solo quelli) facciano inconsciamente “quadrato” adducendo ora l’una ora l’altra motivazione fino al collage di articoli postati oggi su Carmilla ( http://www.carmillaonline.com/archives/2010/09/003608.html#003608). E’ un caso che l’Italia sia la patria delle Corporativismo? Non so se questo boicottaggio riuscirà ad incidere sui bilanci della Mondadori ma sembra far paura perché si rivolge a un pubblico (gli acquirenti dei libri) che più di altri cerca di ragionare con la propria testa.
Quando ero giovane sono stato obiettore di coscienza e ho fatto la scelta di fare il servizio civile (otto mesi in più rispetto alla normale naja). Come tanti della mia generazione dopo l’università ho cominciato a lavorare nell’ informatica e nel momento in cui il mio capo-progetto mi ha prospettato di andare a lavorare presso un ‘industria d’armi, mi sono guardato intorno e ho cambiato società (sono stato fortunato, era mercato del lavoro sicuramente più dinamico di oggi). Avrei potuto tacitare la mia coscienza dicendomi che il sistema informatico di cui ero specialista era un sistema amministrativo non direttamente legato alla produzione di armamenti ma ho preferito una scelta senza ombre. Sono state scelte di coscienza e solo in parte politiche e non voglio farne vanto o bandiera, però oggi ho difficoltà a capire l’attaccamento vostro e non solo nei confronti di Mondadori/Einaudi. Ancor più mi dispiace è il vedere come la Sacra Corporazione degli Scrittori manovri compatta e mandi all’assalto la sua ala sinistra (la succitata pagina di Carmilla). In ogni caso continuerò, in qualche modo, a leggere quello che scriverete.
Un abbraccio
BertCamembert
Però, se uno interviene in un post, dovrebbe avere la decenza di andare a leggere un pochino più su di dove scrive. io ho posto una domanda a cui wm1 ha risposto coerentemente.
Inoltre B. non fabbrica armi, ma libri (in questo caso), tutta un’altra storia. Inoltre: non è “corporativismo”, gli scrittori non sono i “servi” di B. Se controlli più su, io stesso avevo perplessità sulla scelta einaudi. Però, anziché agitarmi su internet, ho chiesto lumi e mi è stato risposto in modo onesto.
Uno scrittore non è un tecnico informatico, un tecnico informatico non mette le sue creazioni in creative commons. Perché non chiedi lumi, prima di boicottare. E poi, se voglio leggere Adorno o Marx (due autori einaudi, dei sicuri berluscones) dove li leggo?
E poi: corporazione? a me non mi sembrano così corporati, visto che la questione l’ha posta un autore mondadori..
@Bert
certo che ci vuole un bel coraggio… Prima si tampinano, tormentano, incalzano, mail-bombardano (e poi si insultano) gli scrittori “reprobi”, ci si appende alle loro labbra, ovunque si *reclama* a gran voce che si esprimano (come se non lo facessero da anni, ma già, qui si riparte sempre da capo, come se il passato non esistesse), poi, quando non si tirano indietro e rispondono (come del resto sempre hanno fatto, perché anzi sono stati gli scrittori stessi, anni fa, a rimarcare per primi la contraddizione e a rivendicare la loro posizione), si straparla di “corporativismo”, di “far quadrato”. Questo perché? Perché le risposte che danno non piacciono. Se tutti insieme avessero risposto “Sì, avete ragione voi”, allora non sarebbero stati corporativi? Eeehhh, già.
Nessuno mi ha ancora spiegato perché non vengano chiamati in causa anche Feltrinelli e gli altri editori affinché non mandino i loro libri nelle librerie Mondadori.
Nessuno mi ha ancora spiegato perché non si chieda a tutte le case editrici di abbandonare la distribuzione Mondadori.
Nessuno mi ha ancora spiegato perché il boicottaggio non debba essere esteso anche a Rizzoli/RCS, di cui la famiglia Berlusconi ha di fatto il controllo azionario.
Nessuno mi ha ancora spiegato perché non vengano chiamati in causa registi e attori che fanno film con Medusa.
Chissà perché, si è deciso che l’unico soggetto da incalzare (e da insultare) siano gli autori Einaudi. Proprio quelli che con grande fatica tengono in piedi un catalogo che veicola una visione del mondo *antitetica* a quella del berlusconismo.
Finché qualcuno non mi spiegherà in modo convincente queste “aporie”, io continuerò a ritenere questo boicottaggio, semplicemente, *frutto di ignoranza e demagogia*.
Al contrario, noi le spiegazioni le abbiamo date. “L’attaccamento nostro”, come dici tu, all’Einaudi lo abbiamo spiegato in modo chiaro e netto. Basta leggere. E non c’è nessuna, proprio nessuna delle argomentazioni che poni a cui non si sia risposto decine e decine di volte. Voi siete convinti che per danneggiare Berlusconi si debba distruggere l’Einaudi (sì, perché chiedere agli autori che non la pensano come B., e cioè la *totalità* del catalogo italiano, di abbandonare l’Einaudi significa auspicarsi che l’Einaudi venga distrutta). A noi questa cosa non convince per niente. Fine. Stop. Ognuno si tiene la sua convinzione.
Questo boicottaggio non fa “paura” perché si rivolge ai lettori forti (dubito che il target sia quello, a giudicare dal livello delle discussioni). No, questo boicottaggio fa *tristezza* perché testimonia il livello bassissimo a cui si è giunti.
Ma infatti questo boicottaggio non avrà alcun successo perché semplicemente NON E’ un boicotaggio. Si tratta di una cosa diversa. Si chiede agli autori italiani di non pubblicare più per Einaudi e Mondadori. Punto. Se il problema fosse non fare guadagnare la famiglia Berlusconi con il frutto del proprio lavoro allora appunto bisognerebbe estendere la richiesta a tutti gli editori che distribuiscono i propri libri nel circuito mondadoriano, o li fanno vendere nei bookstore Mondadori; bisognerebbe estenderla a librai, redattori, capicollana; ai registi che lavorano con Medusa, a chi lavora nelle tv Mediaset, etc. etc.
Stabilito che di boicottaggio non si tratta, appunto, rimane la richiesta di un plateale gran rifiuto da parte degli scrittori. Si chiede cioè un bel gesto che dovrebbe essere dettato dall’obiezione di coscienza. Ma obiezione a cosa? A cosa dovrei sottrarmi? Al fatto che il plusvalore tratto dalla vendita del frutto del mio ingegno finisca nelle tasche del nano invece che in quelle della famiglia Feltrinelli o Rizzoli? Mi farebbe sentire meglio sapere che vengo sfruttato dalla concorrenza invece che da Mondadori? La mia risposta è no. Può non piacere, ma è così. Sarà che sono figlio di un operaio comunista e non ho mai pensato che un capitalista “buono” sia meglio di uno “cattivo”, perché il capitale non ha segno politico, perpetra soltanto se stesso. Il Berlusconi politico lo si combatte producendo senso, racconto, visione del mondo, alternativi alla sua narrazione. Nel momento in cui la sinistra italiana ha smesso di farlo si è condannata a una sconfitta reiterata e ineluttabile. Il catalogo letterario e saggistico di Einaudi è un patrimonio utile alla ricostruzione di un racconto diverso da quello imperante? Sì, senza dubbio, e occorre battersi fino all’ultimo minuto utile non solo per difendere il margine di manovra di quella casa editrice, ma anche per accentuare la contraddizione tra proprietà e linee editoriali. Si lotta là dove c’è l’attrito, non dove la via è liscia e facile da percorrere.
Sarà perché anch’io son figlio di un operaio comunista, sarà perché in Italia succedono queste cose:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/08/30/cancro-e-denari/54491/
…ma nemmeno io ho alcuna fiducia nei capitalisti “buoni”.
Un bel po’ di anni fa, almeno sei o sette direi, mi ero espresso in varie occasioni a favore di un’invasione dell’italia. Credevo che l’Unione Europea, per tutelare sè stessa e uno straccio di futuro, avesse il diritto/dovere di farlo per tamponare l’altissimo tasso di nocività del nostro paese e, in senso umanitario, difenderci da noi stessi.
Avevo ragione.
Avevo torto.
Non c’è esercito che possa compiere questa missione.
L’invasione è ancora e più che mai necessaria, ma di almeno un milione di psichiatri. Ecco, diciamo che dovrebbero imporci un TSO globale.
Il livello di demenza a cui, giorno dopo giorno, approda questa insana richiesta di fare non si capisce cosa, in un paese analfabeta dove 40milioni di persone già boicottano i libri, tutti così non ci si sbaglia, mentre intorno accade di tutto, milioni di persone non sanno di che vivere, scuola in macerie, guerra per bande e clan politico-criminali in corso, quadro sociale in frantumi e inarrestabile dissoluzione, indica che si è varcata una soglia al limite dell’immaginazione.
Un Paese con l’Alzheimer.
La cura non c’è.
La mia, modestissima e forse da non seguire, proposta agli autori vittime di questo stalking privo di senso è quella di abolire, de facto, questa discussione dal proprio orizzonte. Non rispondere più, non argomentare oltre.
Non ne vale la pena. Non c’è niente in palio.
Sono solo energie sottratte all’impegno di oggi, e alla sopravvivenza di domani. Alla quale, chi ne ha la forza, è bene cominci a prepararsi.
L.
Pur non essendo figlia di un operaio comunista, anch’io sono convinta che non esista un capitalismo buono e uno cattivo, ma che il capitalismo, semplicemente, sia “intrinsecamente” cattivo. Vada cioè combattuto. Come si fa? Entrando nel meccanismo non per farsi fagocitare ma per capirne il funzionamento e disattivarlo, sostituendolo con un altro modo di pensare e vedere i rapporti tra le persone. Semplifico molto, forse, ma credo sia importante – come abbiamo detto altrove e più volte – valutare tutta la faccenda Mondadori con uno sguardo più ampio. Meglio: chi propone il boicottaggio dovrebbe avere uno sguardo più ampio e più approfondito nel momento in cui progetta azioni di questo tipo.
La cosiddetta “ala sinistra” degli scrittori certamente “fa corporazione” (se proprio vogliamo usare questo termine…), ma per ribadire ancora una volta che allo strapotere di Berlusconi ci si oppone con idee, prassi, libri. Se si scende sul suo terreno, non c’è niente da fare, purtroppo: vince lui. Invece, bisogna costringerlo a venire a combattere su un altro terreno. E poi, vedremo chi vincerà…
Non crea problemi se uno scrittore pubblica per Feltrinelli, cioè una casa editrice che ha in Moccia il suo autore di punta? Che ha creato una rete di librerie che ha cancellato innumerevoli piccoli librai? Mi si dirà: bé, ma Feltrinelli è anche altro… Appunto, anche Einaudi è “anche altro”…
@luca: non sei il solo a pensare che l’UE ci debba invadere. Al limite dovrebbe commissariarci come si fa coi comuni mafiosi…
Sarà che anche io sono figlio di un operaio comunista (e nipote di un partigiano), e la fola del capitalista buono e cattivo mi pare stucchevole.
Sarà che il catalogo Einaudi è obiettivamente pieno zeppo di gente che non la pensa come il nano e non fa nulla per nasconderlo. Anzi.
Sarà che in questo paese è tutto suo, e se devi boicottare tutto quello che è suo, partire proprio dai libri mi sembra – sia detto con rispetto – una scelta idiota.
Sarà che condivido, da persona che lavora in campo educativo, l’idea che per provare ad uscire da questo pantano culturale l’unica maniera è abituare bambin* e ragazz* a giocare e a costruire narrazioni alternative (Rodari ci ha insegnato quanto sia evocativo far diventare cappuccetto rosso cattivo e il lupo buono… ah, ma già, Rodari è – era- un corporativista: è nel catalogo Einaudi!).
Sarà che di problemi seri questo paese ne ha già abbastanza senza crearne di nuovi.
Ma allora, se questa gente ha la fregola del boicottaggio, mi permetto qualche timida proposta/domanda.
Perché non boicottiamo la carne (che fa anche bene alla salute… crescere e macellare una vacca costa come un suv… )?
Perché non boicottiamo la TV (sai quanto tempo libero…), o almeno quella del nano?
Sono solo alcuni esempi, naturalmente. Se boicottaggio dev’essere, almeno si scelga di andare alla radice di un sistema che ha prodotto il nano. Il boicottaggio nasce per cambiare le regole del sistema, non per costruire dei piccoli, piccolissimi campi di battaglia dove imporre o subire piccole, piccolissime prove di forza.
Vabbè, me ne torno al mio libro, Duri a Marsiglia, di Gian Carlo Fusco. Anarchico. Einaudi :-)
In occasione del Festival di Mantova l’Archivio Olivetti ha pensato a degli incontri per riascoltare le conferenze organizzate nella fabbrica di Ivrea nell’arco di trent’anni (pochi minuti delle conferenze di Pasolini, Dolci, Parise, qui). Nella fabbrica Olivetti c’era una biblioteca di 90.000 volumi…
Sempre a proposito della storia dell’editoria, potrebbe essere interessante leggere il quaderno della Fondazione Olivetti dedicato all’esperienza delle Edizioni di Comunità.
[in nota: è l’8 settembre, e qualcuno stamattina ha davvero straparlato (Alemanno e La Russa a Roma, a Porta S. Paolo). Ricordo questo giorno, in onore del nonno di cristianfabbi e di tutte le sue compagne e i suoi compagni partigiani].
Stamattina su Radio Città del Capo (nodo bolognese del network di Radio Popolare) è andato in onda uno speciale sull’annosa questione. Poco pregnante, in pratica sempre gli stessi due o tre clichés. Molto fuori fuoco anche il solitamente ottimo Loriano Macchiavelli.
C’era anche una mia breve intervista telefonica. In realtà avevo dichiarato cose molto dure sul boicottaggio, spiegando per filo e per segno i motivi per cui considero raffazzonata, insensata e basata sulla disinformazione la campagna “Mondadori no grazie” (*) ma quella parte non è stata trasmessa, verosimilmente per ragioni di tempo.
Ecco il link alla pagina della trasmissione, con gli mp3 degli interventi:
http://radio.rcdc.it/archives/il-25-settembre-sara-no-mondadori-day-59489/
* Strano, il sito di quella campagna langue da più di dieci giorni, mentre la fan page su Facebook segnala “No recent updates”. Mascia comunque dichiara che hanno sempre più adesioni, talmente tante che l’iniziativa di domani (il “No Mondadori Day”) è slittata al 25 settembre “perché vogliamo fare una cosa più grande”. Così ha detto Mascia. Sul sito, però, non hanno ancora messo la notizia. Il No Mondadori Day risulta ancora per domani. Boh.
http://www.wumingfoundation.com/images/7_magazineHomeImage.jpg
L’Espresso dedica a Marchionne una copertina adorante + pagine su pagine di anilingus. Un grande innovatore, un sovversivo, una speranza… Il post-berlusconismo farà schifo e orrore quanto il berlusconismo. Ci entreremo una cazzata dopo l’altra, agli ordini di padroni “buoni”.
Grandi Wu Ming.
Per descrivere quanto Einaudi non sia proprio la pecora del padrone, bastava citare la citazione di Bobbio sul loro sito: “E’ uno struzzo, quello di Einaudi, che non ha mai messo la testa sotto la sabbia”
@WM1,
da corollario, ombrello, preludio, conclusione, chiosa al panegirico di Marchionne, direi che non si puo’ non ricordare “il lusso della legge 626” che a dire del ministro Tremonti le aziende italiane non possono permettersi…
La legge 626 è GIA’ un lusso. Se la gente crepa sui ponteggi, nelle vasche dei silos, dentro alle fonderie è perché il vero lusso è un lavoro, e le persone accettano qualunque condizione pur di averlo. Se la lotta nel Novecento era una lotta NEL lavoro, nel nostro tempo la lotta è PER il lavoro.Chiunque sottovaluti questa enorme differenza non vede l’obiettivo della precarizzazione: infiacchire la lotta di classe.
Rompi le palle? e io ti caccio. Marchionne docet. Secondo me wm1, Marchionne è un innovatore, anche se non troppo originale. Però è un innovatore capitalista. Ora si devono rinnovare i modi della lotta, e le teorie a cui essa si rifà. Un lavoro tutto da fare, non soltanto dal punto di vista culturale.
@ Giorgio,
infatti l’innovazione non è un valore in sé, non è per forza una cosa buona. Esistono un movimento verso il meglio e un movimento verso il peggio. Ad ogni modo, io credo che Marchionne possa sembrare un grande innovatore solo a chi non sa o non ricorda com’erano le relazioni sindacali cinquant’anni addietro. “Se rompi le palle io ti caccio” non è precisamente questa grande novità :)
[…] In particolare interessante l’intervento di Wu Ming, a partire da una discussione molto vitale sul loro blog. […]
Ora che ci penso, una differenza c’è: lì si trattava di arrivare a essere riconosciuti come lavoratori con dei diritti, qui si tratta di non arretrare. La stessa differenza che sussiste fra guerriglia e trincea. E stavolta la cornice entro cui si vuole iscrivere il conflitto è: noi sovversivi (marchionne, il sovversivo) e voi tenete la posizione il castello. Così assaltano il castello di stracci a cannonate, e noi si rimane con il cerino in mano, e con l’etichetta di reazionari (!). Non male come differenza, no? L’alternativa è rivitalizzare la lotta attraverso nuove modalità, altrimenti si rimane nella malefica cornice di qui sopra.
Ma questo post è troppo OT. :)
manca una virgola fra “posizione” e “il castello”.
@ Giorgio
non è OT per niente. Comunque, anche il frame che descrivi non è una novità, è quello dominante fin dai tempi di Reagan e della Thatcher. E’ dai tardi anni ’70 – inizio anni ’80 che lo scontro viene presentato in quel modo, con tutta una neo-lingua. La controrivoluzione rispetto alle lotte degli anni ’60-’70 l’hanno ribattezzata “innovazione”; l’attacco ai diritti acquisiti ha il nome più contro-intuitivo e antifrastico: “le riforme”; la precarietà è “flessibilità”; la restaurazione dei privilegi è detta “modernizzazione”; i condizionamenti internazionali sono chiamati “mercati” (e descritti come fossero eventi atmosferici, di cui non è responsabile nessuno), per non dire di tutto il brutto inglese tecnocratico e aziendalistico che serve a mascherare la realtà: il “rating” (cioè la lavagnetta dei paesi capitalisticamente “buoni” o “cattivi”), il “default” (cioè un paese va sul lastrico perché i padroni si sono accaparrati e hanno sperperato tutto)… E anche sul posto di lavoro: un caporeparto viene chiamato “team leader” etc. etc. E la foresta di sigle che hanno allontanato la percezione del potere: FMI, OCSE, OPEC, OMC… Così loro passano per quelli “nuovi” anche se (mi sembra che l’abbiamo già detto da qualche parte :-)) sono “quelli di sempre”, i padroni che ci tartassano attraverso i secoli.
sì, infatti, non è OT.
E bisogna stare in guardia: non è un lusso lavorare, non è un lusso una legge che obbliga a proteggere i lavoratori. Sì, certo, le condizioni storiche ed economiche in cui ci troviamo non sono delle migliori, ma quando lo sono state? Quindi, lavorare non è un lusso. E’ un dovere, un piacere, una necessità, un modo per contribuire al progresso della comunità nella quale ci troviamo a vivere… (ognuno di noi può declinarlo secondo le proprie inclinazioni e i propri desideri). E la 626 è una legge che i lavoratori per primi devono pretendere e rispettare. Solo così potremo continuare a guardare i “padroni del vapore” per quello che sono: altro che innovatori!
Non è OT perché anche la “questione Mondadori/lavorare in Mondadori/pubblicare con Mondadori/comprare libri Mondadori” deve essere inserita in questa grande cornice: il sistema di produzione, e il pensiero critico che tenta di leggere quel sistema di produzione e di elaborare prassi per disattivarlo…
Hai voglia a stare in guardia … Non c’è un altrove politico.
Siamo immersi in un pensiero che si spaccia per liberista e libertario ma se lo si dovesse chiamare col proprio nome sarebbe semplicemente cultura della prevaricazione.
E’ la barzelletta dell’energumeno che entra al bar e dice: <<Cappuccino e cornetto! E non pago perchè so’ grosso!!>>
E’ Mondadori che si fa fare le leggi dal sarto, è la Tirreno Power che usa la messa a norma di una centrale a carbone come un ricatto.
A chi spetterebbe il compito di elaborare e imporre un contro-frame? E attraverso quali canali?
Penso che proprio perché manca un *altrove* politico sia necessario stare in guardia, non accontentarsi delle definizioni belle e pronte. Resistere, come Ulisse davanti alle sirene, con i tappi di cera. Non arrendersi al “tanto ormai è così”. Intanto, resistere, poi provare a vedere se tra tutti i resistenti qualche filo si comincia a capire, quale canale si comincia ad aprire… (ma mica è facile, eh! :-))
WU MING 2 – RESISTERE INSIEME AL CANTO DELLE SIRENE
(20 minuti, mp3 160k)
Orfeo, il narratore. Tre diverse strategie per non farsi irretire dal racconto dominante. Cosa non mi piace del mito di Orfeo ed Euridice. Come propongo di riscriverne il finale.
Festival Scrittorincittà, Cuneo, 16 novembre 2008.
ma no! stupida fretta! volevo dire il contrario di quello che ho scritto: NON resistere come Ulisse (legati), NON resistere (come i suoi marinai) con i tappi di cera. Certamente sì, sono d’accordo con WM2: la strategia di Orfeo è decisamente la migliore. Narrare altre storie, distogliere dall’ascolto di “quel” canto. Certo, certo!
@Danae
beh, se sul momento non c’è nessuno che canti, i tappi di cera sono l’extrema ratio :)
Proviamo a ricollocare le questioni: loro sono quelli di sempre, eppure sono sempre diversi: perché? Perché il capitalismo è la costante rivoluzione dei mezzi di produzione.
Il punto è interrompere la catena della produzione (il creative commons è una strada nobile, per esempio).
Se loro cambiano gli assetti sociali, la lotta cambia con loro. Il frame dominante della lotta anticapitalistica ha perso una ideologia fortissima (ed è lì che Reagan e Thatcher hanno avuto buon gioco, hanno riempito un vuoto). Prima di lottare, si deve studiare il nemico che si ha di fronte. Combattere una guerra senza conoscere il nemico è fare il suo gioco, cioè perdere.
I sindacati sono diventati punti di assistenza nel caso di contenziosi, gli scioperi sono illegali se non concordati (e che cazzo di sciopero è se lo concordo?!?). Nel giro di dieci anni quello che viene chiamato diritto del lavoro sarà obsoleto, semplicemente perché quel tipo di lavoro non esisterà più. La precarizzazione del lavoro è in tal senso geniale, se ci pensate bene. Le regole ci sono, ma valgono per quelli vecchi. Per i nuovi, anche se la regola esiste, si è creato un nuovo regime legale entro cui tali diritti non sono di fatto riconosciuti semplicemente. Penso alla mutua: i miei contratti interinali prevedono un monte ore che deve essere completato. Se sto male, non vengo pagato. Se non vado a lavoro perché mi sono rotto una gamba, sto a secco per un mese. Non è questione di farsi irretire, il problema è ascoltare chi sta dall’altra. Il parresiasta di Foucault mirava bene in faccia, mica sputava a caso.
Sono del 1983, come si legge nel nick, e a Genova ero un diciottenne lanciato nel vuoto, entrai nel mondo post-adolescenziale con una sporta di mazzate e l’epoca del terrore alle porte: il teatrino della guerra di civiltà, e tutto il corollario a seguire. Anche se all’epoca le moltitudini mi esaltò, riascoltandolo adesso mi chiedo: e se li avessimo ascoltati prima di urlar loro addosso??? Non ne avremmo capito di più? E’ per quello che frequento spesso i siti merdosi di Casa Pound, Forza Nuova, eccetera. A me quelli fanno ribrezzo. Però se non li capisco, come faccio a pensare alla reazione? Io sono sicuro che tu li abbia ascoltati a lungo wm1, non sono così idiota da pensare che tu sia uno che urla senza informarti, ovvio.
Marx non mise i tappi, ascoltò chi c’era da ascoltare, affrontò quella che definiva la “merda economica”, i vari Ricardo, Smith. Li odiava a morte, ma li capì, e solo allora cominciò a criticare. Il concetto di critica parte da una comprensione profonda, che non deve fermarsi al “questa è la solita merda”. E’ sempre nuova, e puzza sempre di roba diversa, digerita male. Persino il Sessantotto si sono digeriti.
Io credo che ci sia sempre da fare un doppio movimento di macchina. Come la carrellata all’indietro + zoomata in avanti ne La donna che visse due volte di Hitchcock. Bisogna capire che cambiano le condizioni ma la lotta è quella di sempre, e – spostando l’accento – che la lotta è quella di sempre ma cambiano le condizioni. Troppa enfasi sul nuovo, e si fa il gioco del capitale ipermoderno che crea nuove soggettività ma le brucia immediatamente; troppa enfasi sull’invarianza e si rimane scalzati. Però il nostro problema, ora come ora, non è l’eccesso di conservazione, ma il cratere lasciato dai “nuovismi”. Il periodo da cui veniamo, il ventennio appena finito, è stato caratterizzato dalla fregola di liberarsi del passato, di buttare via tutto, senza peraltro sapere come. Deresponsabilizzazione, sbaraccamento indiscriminato, noi con quella storia non c’entriamo più. Ad esempio, nei movimenti si provava fastidio (non lo si ammetteva ma era così) a sentir parlare di operai (“Ancora?”), perché, si diceva persino in certa estrema sinistra, “gli operai non ci sono più”, “è cambiato tutto”.
E la voglia di rifarsi il look, il “nuovo” a tutti i costi (ovviamente un nuovo finto, fatuo e vacuo)? Si pensi a tutta la poubelle-vague del bertinottismo, alle paillettes di quella stagione, le serate con Leo Gullotta e Valeria Marini etc., fase ignominiosamente culminata in politica con la catastrofe (ma direi l’eucatastrofe) delle politiche 2008 e nella cultura con l’entusiasmo di Sansonetti e compari per la vittoria di Luxuria all’Isola dei famosi (!). Dove ha portato tutto quel nuovismo? In alcuni casi, addirittura a fare pappa e ciccia coi fascisti.
A me interessa molto la riflessione che porta avanti Mario Tronti:
«Gli operai hanno agito nella crisi dell’età moderna come i monaci nella crisi dell’età antica: conservatori della civiltà, contestatori del mondo. Hanno salvato i manoscritti di tutte le lotte passate delle classi subalterne e hanno affermato che erano “nella” società ma non “della” società. Le moderne fabbriche dismesse, come gli antichi monasteri decaduti, sono luoghi di storia della cultura umana, cultura appunto come civiltà, depositata nelle città del passato, incompatibile con la barbarie del presente. Lì c’è un giacimento di materiale politico da sottoporre a uno scavo di ritrovamento, di risistemazione, di riuso. C’è il patrimonio di un’eredità storica da recuperare e reinvestire in un altro agire per quel medesimo fine.»
[…]
«So per certo che non si dà lotta vera, seria, in grado di fare conquiste, senza organizzazione. Non si dà conflitto sociale capace di battere l’avversario di classe senza forza politica. Questo è quello che abbiamo imparato dal passato. Se i nuovi movimenti non raccolgono l’eredità della grande storia del movimento operaio per portarla avanti in forme nuove, per essi non c’è futuro. Nuove pratiche, nuove idee, ma dentro una storia lunga.
Guardate, ai capitalisti fa paura la storia degli operai, non fa paura la politica delle sinistre. La prima l’hanno spedita tra i demoni dell’inferno, la seconda l’hanno accolta nei palazzi di governo. E ai capitalisti bisogna fare paura.»
[…]
«Con l’idea che tutto è cambiato, si fa passare l’idea che nulla d’altro è più possibile.»
[…]
«La differenza tra me e Toni Negri non è tanto riconducibile a Spinoza o Hobbes, è piuttosto di altro tipo. Toni mantiene il paradigma escatologico, io invece assumo il paradigma katecontico. Penso che noi non possiamo più dire o credere che ci sia un’idea lineare della storia, quindi che comunque sia dobbiamo andare avanti nello sviluppo poiché esso comporterà contraddizioni nuove. Credo che bisogna trattenere, non lasciar scorrere il fiume della storia. Bisogna rallentare l’accelerazione della modernità. Perché questo tempo più lento permette di ricomporre le nostre forze. Assumere come nostro il “frattempo”: solo lì puoi riscoprire le tue forze, ritrovare le soggettività alternative e comporle in forme organizzate, storicamente nuove. L’accelerazione produce sì moltitudini potenzialmente alternative, ma queste si bruciano immediatamente. Non reggi l’accelerazione, se non hai ancora la forza per organizzarle nell’immediato e sulla durata.»
[…]
«Come Plotino che, secondo Porfirio, si vergognava di avere un corpo, così mi pare questa sinistra nei confronti degli operai. Si va alla ricerca, magari a parole, di valori, mentre basterebbe farsi carico di una storia. Una sinistra che non ha il coraggio di dichiararsi erede della storia del movimento operaio non merita di esistere.»
Citazioni tratte da: M. Tronti, Noi operaisti, Deriva Approdi, Roma 2010
Secondo me Tolkien si sta rivoltando nella tomba a sentire usare il suo neologismo “eucatastrofe” per definire la debacle del bertinottismo alle elezioni politiche del 2008!
Immagino anch’io, era per dire che ritengo quella catastrofe positiva :-D
[…] collettivo Wu Ming sul proprio sito, nel post del 27 agosto dal titolo paradossale “Boicotta Wu Ming”, nota: “Ci stranisce la sicumera, l’approccio fideistico di chi è sicuro che deprivare […]
Grazie del link, leggerò (fra tutto questo post mi sta portando pezzi importanti di biblioteca da consultare).
Due osservazioni brevi.
Sono di Torino, si è da poco concluso il festival dell’unità light, ovvero quella bestemmia chiamata festa democratica. E voi direte: “e che ci frega?”. Niente. Solo, a circa un chilometro, in via Tarino 11, questa targa giaceva e giace in stato pietoso. Non resterà in stato di abbandono, mi sono riproposto di darle una lucidata e metterle dei fiori, a breve foto.
http://www.flickr.com/photos/lennepark/4988180496/
La foto non è granché, ma abbiate pazienza. Sono convinto che questa sia l’altra stampella che ha sorretto la sinistra italiana (parlamentare e non) e ancora lascia molti a fiato sospeso leggendone, e ascoltando i pochi che l’han fatta, e sono ancora vivi e riescono a parlarcene. Voi lo avete fatto più volte (razza partigiana fa venire i brividi ogni volta che l’ascolto), il resto della sinistra la reputa roba da sfigato, più o meno come il parlare di operai. Io sono convinto che parte della colpa risieda nella mancata rielaborazione del messaggio, e anzi nelle difese stentoree di certa sinistra da governo fetente. Nella memoria l’esempio, nella lotta la pratica.
Parlare di operai di sinistra è una gran scommessa ultimamente, almeno come blocco unitario:
http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/politica/elezioni-2008-quattro/operai-fiom/operai-fiom.html
Pensare agli operai degli operaisti è come essersi fermati ai proletari eslege, per quel che mi riguarda. Se la storia parla di tinte accese e carminie, per il futuro virano al verde, al viola e persino al blu e al nero (sic). Altro che opera al rosso. Rivolgersi a sinistra e pensare operaio è impossibile in modo univoco. La base sociale è cambiata, così come è cambiato l’orizzonte: la richiesta di operai specializzati operata dal capitale li rende più forti contrattualmente, meno disposti all’esportazione dei legame sindacale nella prassi politica. lo avevano intuito i francofortesi (Horkheimer) più di 50 anni fa. Il problema delle roccaforti di sinistra che virano al verde è dato da una serie di intuizioni proprie del partito comunista delle vostre parti: gli italiani adorano i campanili. Alla presentazione di Altai avete detto una frase che mi ha colpito moltissimo: abbiamo lasciato il locale in mano alla lega, e questi sono gli atroci risultati. Con l’idea che tutto è cambiato, si deve rendere la lotta ancora possibile, e per farlo si deve rielaborare il passato e declinarlo al futuro. E gli operai non sembrano più (nel nostro paese, nel nostro tempo, nelle nostre condizioni di lavoro) una forza propulsiva per il cambiamento. Si dovrebbe guardare altrove: persone a cui non è riconosciuto il diritto di esistere (“lavori, ma sei sempre negro, ricordati” l’ho sentito oggi nel mio palazzo detto a un povero cristo su un ponteggio 4 piani più su), persone che non hanno contratti da brandire come scudi (al posto dei tre vs Marchionne, quanti si sono trovati un contratto non rinnovato? Quanti hanno potuto ricorrere?). Se hai tempi di Q si guardava ai contadini e ai tempi di Negri e Tronti agli operai (così come Marx) i mezzi di lotta erano simili, eppur diversi, rieditati. Se oggi il nervo scoperto sono i “senza futuro”, è da loro che ci si aspetta reazione e sono loro il futuro della lotta. Non dimenticare gli operai, ma annoverarli fra una delle componenti storiche, di cui magari alcuni pezzi ancora resistono, grazie al cielo. Quelli freschi sono i Co.Co.Pro, e tutti gli altri adepti forzati alle sigle esoteriche per i nuovi sfigati, così come i quindicenni che subiscono l’onta delle classi separate, futuri uomini italiani (ma anche no, sempre meno degli italiani per qualcuno, che sta al governo e fa leggi fasciste, rinchiude persone in carceri fuori dal controllo legale). Sono loro la classe che non ha quasi nulla da perdere, e può, deve tentare l’assalto al cielo.
Rileggo, e correggo imprecisioni: il resto della sinistra non vi sottende come partito politico lobby o altro, solo come una voce autoriale che si colloca in un’area di pensiero così denominata.
Per quel che riguarda il concetto di classe, è ovvio che si tratta di componenti distinte, e quindi di classi distinte, che però auspico si saldino assieme.
quello che scrivi Giorgio, credo si completi bene con quello che sta succedendo all’universita’ di Bologna : ma chi saranno quelli chiamati in sostituzione dei ricercatori che, in lotta, si astengono dalla didattica (che NON è un loro compito: i ricercatori, per definizione, ricercano)? Dei precari ancora più precari, dei *disperati* che come quelli che affollano le “carrette del mare” sono disposti a prendersi qualche ora di insegnamento perché così, magari, “almeno un piede dentro l’università ce l’ho messo”…
scusate! ecco il link
[ATTENZIONE: SPOT PROMOZIONALE NON AUTORIZZATO!!!]
Mi rendo conto di essere forse io – a questo punto della discussione l’OT qua dentro – però volevo segnalare il punto di vista Anonimo sulla questione…
Non lo so, ci ho pensato parecchio.
A me ‘sta storia di essere catecontici non mi convince del tutto.
Tronti dice che per ricomporre le forze bisogna trattenere, e non assecondare, far scorrere, il fiume della storia.
Ma anche la resistenza, il fare da argine, presuppone una forza di base. E mi chiedo: ma per arginare il fiume non potrebbe essere necessaria una forza maggiore rispetto a quella che serve per deviarne il corso?
Credo che il problema sia ancora più a monte.
A noi quella forza manca proprio o, se c’è, è indirizzata male.
L’essere catecontici non penso sia utile a ricomporre le forze. Ne presuppone già una ricomposizione.
Sono d’accordo: il problema della “sinistra” è stato un eccessivo rincorrere il nuovo. Ma, dall’altro lato, c’è stato anche un eccessivo “feticismo” per il vecchio: il mito della classe operaia, la bandiera rossa, le masse, ecc.
Si è pensato più a difendere questi feticci che a cercare di farsi carico della propria storia e di darle un seguito in un mondo che, oggettivamente, è cambiato.
Non dico che gli operai non esistono più, però sono convinto che nel nuovo ordine che il capitale si sta dando non siano più gli unici protagonisti del cambiamento. Lo sono solo se inseriti all’interno di una classe più ampia, che non può più chiamarsi proletariato. E non può più chiamarsi così perché i figli non rappresentano più per nessuno una ricchezza materiale. Magari torneranno a esserlo, magari i bambini torneranno a lavorare anche nei paesi a “capitalismo avanzato”.
Ma per ora non è così.
Tronti è il primo a dire che la “centralità operaia” è diventata “marginalità operaia”, non si sogna nemmeno di dire che gli operai siano gli unici protagonisti del cambiamento. Ma dice che senza guardare a quella storia di lungo corso, non si può capire l’oggi.
Sul momento catecontico: senza di esso, noi (come dice Badiou) diventiamo “topi” che corrono di qua e di là, in preda all’anomia perché in perenne balia di tempi che ci vengono imposti; topi sempre più drogati di emergenze, sempre più portati a credere che quel che succede in questo preciso istante sia più degno di nota di quel che è successo un minuto fa, che a sua volta è più degno di nota di quel che è successo un anno fa, che a sua volta è più degno di nota di quel che è successo dieci anni fa; topi pressati a inventarsi pseudo-soggettività a cazzo di cane, senza mai una creazione di tempo proprio che serva a riflettere. Il grande dissidio tra Negri da una parte e (ciascuno con la sua impostazione) Tronti, Zizek e Badiou dall’altra mi sembra stia principalmente in questa concezione del tempo: Negri si sdraia con goduria sul tempo capitalistico, perché sarà lo sviluppo sfrenato a portare il comunismo, anzi, il comunismo è già qui, non lo vedete? E così chiede sempre più nuovo, perché “la modernità è un’intossicazione e ci sono solo due modi per affrontare un’intossicazione: o si aumenta la dose o si cambia veleno.” (Paul Valéry). E così considera retrogradi gli operai che lottano per non finire in mezzo alla strada. E così lascia fuori dal suo discorso euforico tutto ciò che è dolore.
Ci possono essere tanti piccoli ambiti “catecontici”, di “rallentamento” tattico e strategico, non c’è (non può esserci) un urto molare. Per quello, hai ragione, servirebbe una forte soggettività collettiva. Ma non c’è. Possiamo creare noi, nel nostro piccolo, dei momenti di resistenza alla fretta e all’anomia. Ad esempio, non coltivando l’ossessione di essere early adopters di qualunque gadget tecnologico; non sposando immediatamente qualunque nuova teoria che suoni più cool di quelle precedenti; ritrovando momenti di (usiamole, queste parole!) raccoglimento e meditazione. Etc.
@ Wu Ming 1
Non mi riferivo a Tronti quando parlavo del ruolo degli operai oggi, ma a una parte della sinistra che ha idealizzato quel ruolo e quell’idea di classe, precludendosi ogni interpretazione del presente.
Che la storia del movimento operaio sia fondamentale per comprendere il presente ne sono convinto.
Ne sono convinto a tal punto da pensare che l’organizzazione capitalistica che si va definendo sia per la maggior parte frutto di una reazione (in tutti i sensi) a eventi che di quella storia sono parte.
Sono sicuro che Negri abbia commesso degli errori ma, dall’altro lato, credo anche che il capitalismo abbia in se il germe del proprio superamento oltre che quello della propria autodistruzione (non penso che le due cose coincidano).
Il problema è non farci sommergere dal flusso di informazioni. Informazioni che spesso sono irrilevanti ma ammantate di importanza (è infelice come espressione ma ora, e a quest’ora, non me ne vengono altre).
Ecco, se proprio catecontici bisogna essere, io lo sarei nel prendermi il tempo di meditare sui fattori del cambiamento che ritengo più importanti di altri.
Il modello produttivo per esempio.
Marx sosteneva che era una delle colonne portanti della struttura, quella sul quale si modella tutto il resto del sistema.
E’ ancora così?
Quello che ha sostituito il fordismo che implicazioni ha, quali contraddizioni apre?
Secondo me apre contraddizioni immense, perché è vero che precarizza i rapporti di lavoro (ma riesce a farlo perché non ci sono i rapporti di forza affinché ciò sia impedito), ma è anche vero che limita la capacità di accumulazione. Se produco in base alla domanda tendo a produrre il necessario. Devo inventarmi altri stratagemmi affinché il processo di accumulazione continui.
Un altro ambito potrebbe essere la composizione di classe.
Negri scambia la moltitudine per classe. La moltitudine potrebbe invece essere solo il modo in cui la classe si manifesta, si autorappresenta.
O l’Impero. Secondo Negri è l’unico orizzonte possibile, ma non tiene conto dei conflitti interni al capitale stesso. Non considera che è solo una delle opzioni.
Ma sui tempi del cambiamento, credo che si possa fare poco per incidere. Penso siano esogeni, almeno dal nostro punto di vista.