[Oggi, sulle pagine de L’Unità, compare un articolo di WM2 a proposito dell’instant fiction costruita sulla vicenda dei minatori di San José. L’articolo è piuttosto breve (ci avevano chiesto 4200 battute) e riesce solo ad abbozzare un discorso molto più vasto, che vorremmo invece sviluppare con voi. Intanto, eccolo qui.]
Il ritorno dagli inferi dei minatori di San José – raccontato in diretta su tutti i mezzi d’informazione del pianeta – ha prodotto un corto circuito nella memoria di molti italiani over 35. In un unico evento mediatico si sono fusi e confusi due episodi centrali per la storia della televisione italiana: Vermicino e il Grande Fratello. L’ansia vissuta davanti al teleschermo per la sorte di Alfredo Rampi dentro un pozzo artesiano e l’attesa dei fan per l’uscita dei concorrenti dalla casa di Cinecittà. Riflettori accesi e pulsione di morte: da un momento all’altro la capsula di salvataggio dei trentatré minatori cileni poteva incepparsi e trasformare “la festa in tragedia”, con il conseguente dibattito sul cinismo dei giornalisti, già sviscerato sessant’anni fa da Billy Wilder nel film L’asso nella manica.
Poi, visto che “tutto è andato per il meglio”, ci hanno informato che Florencio Avalos e compagni sono già stati contattati da diversi freak show, e che sulla loro vicenda si stanno avventando art director e sceneggiatori. Le instant fiction, infatti, sono l’ultima frontiera della produzione televisiva. Ci provò anche Canale 5, nel dicembre 2002, con Il bambino di Betlemme, ispirato all’assedio israeliano alla Basilica della Natività, occupata da decine di militanti palestinesi proprio nell’aprile di quello stesso anno. E negli Stati Uniti, già vent’anni fa, girarono il film TV su Jessica McClure, anche lei caduta in un pozzo ma estratta viva nel giro di due giorni.
Molti, allora, storcono il naso, si fanno prendere dall’inquietudine: ma come? – domandano – prima le telecamere schierate, a modificare narrativamente lo svolgersi degli eventi, poi le notizie, raccontate al mondo secondo i dettami dello storytelling, e infine la mitopoiesi istantanea, versata sulla realtà prima ancora di farla decantare: non rischiamo l’indigestione di storie, la scomparsa dei fatti? Difficile rispondere, ma intanto le neuroscienze hanno dimostrato che il nostro cervello interpreta la realtà attraverso schemi narrativi, e in fondo l’unico modo che abbiamo per far parlare i fatti è quello di raccontarli e connetterli in un’unica trama. Le storie sono un nutrimento indispensabile per la nostra specie, sembra impossibile farne indigestione. Certo tra istant fiction, infotainement e gialli da prima serata, le buone storie sono sempre più assediate da quintali di monnezza narrativa. L’unica soluzione è munirsi di guanti, naso fino e competenze per distinguere i rifiuti tossici dal cibo commestibile. In altre parole: diventare tutti cantastorie, artigiani dello storytelling, bricoleur dell’immaginario.
Da cosa si riconosce una storia avvelenata? Prima di tutto, non sa usare i congiuntivi. Non per ignoranza grammaticale, ma perché non contempla l’eventualità, lo scarto imprevisto, l’ipotesi fantastica, quel cosa succederebbe se… che Gianni Rodari considerava fondamentale in qualunque narrazione. I racconti non ci servono soltanto per capire chi siamo, ma soprattutto chi saremmo potuti essere. Una buona storia lotta con tutte le sue forze contro l’illusione retrospettiva di fatalità, l’impressione che un avvenimento non si possa pensare in maniera diversa da “com’è accaduto” e che, al contrario, lo si possa sempre dedurre dalla situazione anteriore. Le storie sono mondi alternativi che ci aiutano a comprendere la realtà e non scopiazzature della realtà stessa. Una buona storia trasforma l’ordinario in straordinario; una storia indigesta addomestica ogni stranezza.
In secondo luogo, le storie al metanolo sono totalitarie: cercano in tutti i modi di apparire neutre, trasparenti, imparziali, quando invece non è possibile raccontare senza assumere un punto di vista, e occorre ricordarlo fin dalle prime righe. Se un racconto spaccia per totalità, visione dall’alto, la sua ineludibile parzialità, allora è tossico e bisogna assumerlo solo in piccole dosi, per avere fantastiche allucinazioni e vedere le mille alternative nascoste dall’autore sotto il tappeto. Come dice Paul Ricoeur, occorre esercitarsi a “raccontare altrimenti, ma anche lasciarsi raccontare dagli altri”.
La fiction istantanea, dunque, non è velenosa di per sé, ma quantomeno sospetta, poiché la fretta, la mancanza del giusto frattempo, privano il narratore di quel distacco dagli eventi che serve a metterli in prospettiva, cioè a orientarli verso il punto di fuga del futuro.
Così che il racconto di trentatré minatori intrappolati sottoterra non si riduca a un surrogato di reality show, ma diventi metafora di una via d’uscita – collettiva – dallo sfruttamento e dalla barbarie.
[La domanda è: da quali altre caratteristiche possiamo riconoscere una storia avvelenata? E quali competenze sono necessarie per distinguerla da una narrazione commestibile? Il laboratorio è aperto, anche se è sabato e molti computer restano spenti.]
le cattive storie ti rassicurano, ti mettono a sedere, ti agganciano alla poltrona e ti cantano pure la ninnananna, le buone storie ti mettono sempre in piedi e ti aprono la porta di casa; qualcuna ti dà pure un bel calcione nel sedere, se è buona sul serio
[…] I minatori di San José e la fiction istantanea […]
Una storia mi pare tossica quando tutt* fanno a gara per raccontarne la “verita’”. Quando tutt* fanno a gara per raccontarla, semplicemente. Una storia buona — potenzialmente — e’ quella che nessuno ha voluto raccontare — prima della prima narrazione.
Aggiungo (rovesciamento della “Morte del Vecchio”):
8. Rifiuto di elaborare il lutto per la perdita del passato e del futuro.
* …se solo una su sette…
Una domanda che mi viene spontanea è se si farà altrettanta caciara per i 16 poveracci che sono rimasti sotto una miniera in Cina.
@ Simone:
Credo che l’ipotesi in via teorica non basti. Per fare una distinzione come quella che suggerisci avremmo bisogno di esempi di reality “positivo” o “non avvelenato”. A me non ne vengono in mente, ma non sono un buon osservatore della tv, magari all’estero ne esistono.
“un mondo così, insomma” è riferito al mondo narrato dal reality minerario, a scanso di equivoci
A un certo punto bisognerà riassumere questo thread, raggruppare e sintetizzare le varie “caratteristiche” proposte, e farne un nuovo post.
Insomma, tagliando i fagiolini riflettevo che comunque c’è da fare i conti, nella pratica, con un dispositivo. Ecco quel che volevo dire.
@WM1: gli appunti per una sintesi li sto prendendo io. Nel fine settimana sono assediato dai pupi e ho poco tempo per commentare attivamente. Però leggo e mi segno proposte e categorie in un file a parte.
Perfetto!
Certo un reality sul “dietro le quinte” di Fitzcarraldo, con Jagger che va nel confessionale e racconta gli scazzi tra Herzog e Kinski… Boh, forse ne verrebbe fuori una roba interessante. Voglio dire che i “making of” sono potenzialmente dei buoni reality.
@WM2
a questo proposito mi viene in mente il trailer di Dogville con le interviste agli attori che scleravano e dicevano che Von Trier era completamente pazzo… quello mi sembrò un esperimento molto interessante di decostruzione del cinema e del reality.
http://www.youtube.com/watch?v=b2RyA_7cnzg
@simone e sleepingcreep: grazie, adesso mi è più chiaro :)
Precisazione: io penso che la televisione (che oggi si è staccata dal televisore) sia il media narrativo per eccellenza.
ops, il “medium…”
Scusate i refusi, non è serata…
Ecco il docu-reality.
http://www.digital-sat.it/new.php?id=23671
Mi lascia perplesso, dovrei farmi ancora un’ idea su questo genere di reality… Si può salvare dalla sua “tossicità” il raccontare storie come queste?
@ superpu
direi proprio di no, anzi, quella porcheria mi sembra la quintessenza del “tossico”…
@ Sergio,
maybe. E comunque a Londra (e anche altrove in UK) ci torneremo nel 2011, ormai siamo degli aficionados.
[…] ragiona sui totalitarismi narrativi: «Da cosa si riconosce una storia avvelenata? Prima di tutto, non sa […]
Questo mi sembra un esperimento interessante, “24hoursBerlin”
http://moreintelligentlife.com/node/2050
80 telecamere a Berlino che girano per la città, da cui scaturisce un documentario lungo 24 ore.
Certo, come si diceva, c’è la preparazione, il montaggio, il racconto, il frattempo.
bella la direzione espansiva di questo commentario.
@simone: posso chiederti, in breve, cosa è un reality book? Per La Porta, ma non solo (ho come l’impressione che lui viva in un universo parallelo, non mi interessano le opinioni dei klingoniani)
@ Giorgio: in che senso “una storia di successo”? Noi qui si parlava di “buone storie” vs “storie tossiche”, con un’analisi che definirei est/etica. La dimensione economica in termini di vendite o di diffusione finora non l’avevamo presa in considerazione.
Solo per chiarire: non ho parlato di rottura di un dispositivo, ma, più modestamente, di un formato (nel senso proprio di format televisivo).
Noi non “ricordiamo” più l’11/09.
Ricordiamo il 12. La sua ricodificazione. E il 13. La sua soluzione. Dopo 48 ore si sapevano già nomi e cognomi di tutti i “colpevoli”.
Sacrosanto, ci sono minuti e minuti di immagini mai più mostrate. Quella diretta è stata davvero selvaggia.
L.
@Wu Ming1: generalizzazione mia (sorry).
@luca: noi ne ricordiamo una versione. Solo quella, sempre quella, anche quando ne celebriamo gli anniversari. Il cinema ha provato raccontare versioni alternative (11’09”01), e la letteratura? Avete qualche esempio di narrazioni letterarie alternative all’11/09?
@ paperinoramone,
è indubbiamente una lettura non facile, ma ti ricompensa di (quasi) tutta la fatica. Anch’io l’ho letto tempo fa, ma prima o poi voglio tornarci sopra, e in quell’occasione chissà, magari riuscirò pure a risponderti :)
ok.
david foster wallace sull’ 11 settembre:
http://www.carmillaonline.com/archives/2004/01/000560.html
Manhattan era già stata attaccata varie volte in diversi film che predatano di pochi anni l’11 Settembre. Su tutti, “Godzilla” e “Attacco al potere” (quest’ultimo anticipò nel 1998 molto di quel che accadde dopo).
Simone.
Sono d’accordo. Molto.
Butto lì una cosa sulle riflessioni precedenti.
Secondo me Annozero è un reality. Lo è diventato.
Con dinamiche anche interessanti.
L.
@paperinoramone: in effetti, i WM sul sito di Manituana rilasciarono una registrazione di una loro riunione, come esempio concreto del loro lavoro di scrittura. Però un reality non glielo auguro :D
io mi ricordo lo scazzo via mail, ma che c’è anche l’audio?
pubblicato su rolling stone il 25 ottobre 2001
http://people.virginia.edu/~jrw3k/mediamatters/readings/cult_crit/Wallace_The.View.From.Mrs.Thompsons.House.pdf
@paperinoramone: sei il benvenuto.
@luca: annozero un reality? in che senso?
@ tuco
qui c’è DFW che legge “The View from Mrs. Thompson’s House”:
http://www.sonn-d-robots.com/dfw/readings/Consider-the-Lobster.mp3
@ paperinoramone
sul “Livello 2” di manituana.com, nella sezione “Officina”, ci sono svariati mp3 coi momenti più interessanti di alcune nostre riunioni di lavoro (tutte del 2005, se non ricordo male).
@ wm1
grazie, piu’ tardi me lo ascolto con calma
a proposito della miniera di san josé, e della regione di atacama in generale:
http://www.pagina12.com.ar/diario/sociedad/3-155225-2010-10-18.html
come si vede, di storie ce n’è una quantità, a cercarle.
Lasciamo pure stare il riferimento a Bazin, che avrebbe sicuramente parlato di “pornografia”, centrando il punto.
Per chi non mastica il tedesco (non lo mastico nemmeno io ma so quattro parole in croce): “Urtext” = testo che precede tutto il resto. In tedesco il prefisso “ur” indica qualcosa di primigenio, di originario.
@WM2: occhio, che il liscio e lo striato sono forse l’inverso :D
@WM2, mi fai pensare che probabilmente il liscio e lineare sono la quintessenza dell’artefazione e al tempo stesso l’effetto di realtà supremo.
Sorry: evidentemente mi sono spiegato male: la domanda su un’eventuale differenza riguardava queste tre cose “reato di lesa maestà, narrazione irrispettosa, giornalismo di inchiesta” non i tre punti elencati. IL fatto che in entrambi i casi rientrasse il tre è una pura coincidenza… cabalistica forse, ma casuale! ;-)
Appunto lessicale: più che liscia o ruvida, gli aggettivi migliori potrebbero essere materico / anodino. L’uno esprime la pluralità di superfici, l’altro l’inconsistenza di carattere della narrazione.
[…] In questa vicenda l’attenzione dei media è stata molto importante, qualcuno ha parlato di instant fiction, in ogni caso speriamo che quando l’attenzione si spegnerà su questa specifica vicenda, […]
http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo493162.shtml
Ecco, appunto. Non era nemmeno vero che non ci fosse stata la diretta.
@dude
Le storie tossiche hanno qualcosa delle soap opera, quindi.
“le storie tossiche hanno bisogno di serialita’, devono essere continuamente riproposte”
Succede, se alla ripetizione non si associa la differenza ;)
[…] di Wu Ming, una lunga e interessantissima discussione su storytelling e instant fiction. Da leggere qui, sul post e nei commenti. […]
[…] che questi espedienti abbiano perso la loro efficacia narrativa). C’è un interessante articolo dei Wu Ming con un laboratorio nei commenti ancor più stuzzicante da questo punto di vista. Ad […]
[…] I minatori di San José e la fiction istantanea […]