Un’irreale progressione, come se l’attaccante galleggiasse su un cuscino d’aria, scarpe-hovercraft prive d’attrito. L’azione taglia l’area come un bisturi, caccia il pallone in fondo alla rete. Primo piano sul volto di un uomo assai lontano dalle misure antropometriche dei calciatori odierni. La Seleçao in festa. La nazionale che avrebbe fatto alzare in piedi Pertini raggiunta dopo un fulmineo vantaggio.
Per gli italiani è uno snodo centrale, che porta a uno dei momenti più tipizzati nell’esercizio dell’ossessione nazionale: il “come eravamo” condito in tutte le salse, meglio se dolciastre e fuori fuoco. I brasiliani invece ricordano quella partita come la “Tragedia del Sarrià”.
Al tredicesimo minuto del primo tempo, per i verdeoro, la tragedia sembra ancora lontana. E’ il due luglio 1982.
Quel gol è l’ultimo degli anni ’70. Il timbro, il colore, l’atmosfera di un decennio non svaniscono d’incanto all’avvicendarsi delle date di un calendario. E non è solo “un” evento che segna la fine dei periodi storici. Gli eventi “fine-di-tempo” sono molteplici, e non è nemmeno detto che debbano per forza essere contemporanei. Esistono, nei diversi ambiti dell’espressione e dell’interazione umana, strani e svariati paradossi in proposito. Ad esempio, il primo disco degli anni ’80 è Systems of Romance degli Ultravox, datato 8 settembre 1978, mentre l’ultimo grande disco degli anni ‘70 è ovviamente London Calling (Clash) che però esce un anno e due mesi dopo. Un criterio rigidamente cronologico, quindi, è inservibile. In tutti i casi, il dottor Socrates si staglia come un gigante in quel lungo momento di passaggio, i mesi che vanno dalla strage di Bologna del 2 agosto 1980 fino alla vittoria nel mondiale spagnolo. Ai nostri occhi la partita del Sarrià appare come un condensato, un precipitato, un percorso frattale, interzona tra decenni concentrata in 90 minuti, l’acme posto tra il gol post-lisergico del brasiliano e l’opportunismo spietato, infantile del secondo gol di Rossi.
Basterebbe la biografia fino a quel momento, a rendere Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira un personaggio memorabile.
Nei tre anni passati al Corinthians, Socrates è protagonista di uno dei momenti più interessanti e creativi nella storia del moderno football professionistico. Interessante e creativo: in una parola, rivoluzionario.
E’ la cosiddetta “democrazia corintiana”: una squadra autogestita, come i centri sociali, come la ex Jugoslavia, una squadra in cui i giocatori partecipano di tutte le decisioni tecniche e in cui ad essere mandato in ritiro, se è il caso, è l’allenatore. Quella versione del Corinthians gioca, segna, vince e colleziona successi. Nessun divieto, ognuno responsabile per se stesso: Socrates è l’anima tecnica e ideologica di quella squadra.
Definire Socrates atipico è un eufemismo, una banalità, un tentativo volgare di neutralizzazione.
Alcune foto facilmente reperibili in rete lo mostrano durante una seduta di allenamento con la Fiorentina: è la stagione 1984-1985. La figura dinoccolata stesa sull’erba, impegnata in esercizi di stretching, il volto serio, assorto. Durante la sua esperienza italiana è al centro di tutti i discorsi culturalizzanti che cercano di rendere conto del fallimento di un campione, specie se sudamericano o meglio ancora brasiliano, nel nostro calcio. E’ la saudade. E’ che non si allena. Fuma e beve. Non è abituato a difese pressanti. L’erba dei campi italiani è tagliata troppo corta. Gli mancano gli amici, le donne, il samba. Quindi è la saudade, senza dubbio.
Per noi il Brasile, all’epoca, è quello di L’allenatore nel pallone. Nel film, il pacco in arrivo dal Brasile si chiama, guardacaso, “Aristoteles”. Che però ha solo problemi sentimentali e supera la saudade, qualsiasi cosa essa sia, una volta risolte le questioni con la fidanzata. La squadra si salva, l’allenatore Oronzo Canà viene portato in trionfo dalla folla (“Mi avete preso per un coglione” “No, sei il nostro eroe…” “Mi avete preso per un coglione” “No, sei il nostro eroe”).
Il bilancio della vicenda fiorentina, invece, per Socrates, è magro. 25 partite e 6 gol, con la squadra che arriva nona. Gli si rimprovera nell’ordine: 1) di fumare un pacchetto di sigarette al giorno; 2) di non allenarsi; 3) di stare sveglio fino a tardi a parlare di politica. Nell’Italia resa periferia della Milano da Bere, quest’ultimo tratto è particolarmente inaccettabile, del tutto fuori moda.
Ciò di cui spesso noi italiani non ci rendiamo conto è la natura sperimentale e prefigurante di quel che ci accade sul piano politico e sociale, e quindi anche culturale e sportivo. L’arretrato paese a forma di stivale è una paradossale avanguardia.
Il disagio di Socrates non ha nulla a che fare con la saudade. Socrates qui da noi vede e vive il futuro, quello che porta dove siamo oggi.
L’anno dopo arriva Agroppi, che lo silura dopo due soli giorni di ritiro. Non c’è bisogno di una personalità come Socrates, specie in un calcio che sta sviluppando, a proposito degli allenatori, un fumoso e oscurantista discorso del maestro in cui il tecnico sarebbe a contatto con verità ineffabili, spesso controevidenti, che solo pochi iniziati riuscirebbero a cogliere e decifrare.
Altro che democrazia corintiana, da noi.
E’ una storia comune: lo straniero scacciato dal suolo patrio perché indegno, inadatto al sedicente campionato più bello del mondo, che riprende la carriera alla grande. Appena tornato in patria, vince il campionato con il Flamengo. Continua a giocare ad alto livello fino al 1988. A fine carriera, si specializza in medicina sportiva, diventa giornalista e compositore. Scrive un musical sul calcio come metafora della vita. Chissà come è rappresentata la vicenda con la Fiorentina dei Pontello, nell’Italia di metà anni ’80.
Mah… aldilà dei ragionamenti, seppure affascinanti:
1) Se si sceglie di essere professionisti, bisogna anche comportarsi come tali. Nel caso dello sport (quindi il calcio), fare una vita sana, senza fumare o fare tardi la sera, e seguendo gli allenamenti con disciplina.
2) Il campionato brasiliano è storicamente più “leggero” non solo di quello italiano, ma di qualunque massima serie europea. Come voi stessi fate notare, Scorates non è l’unico brasiliano a non aver brillato in Serie A.
3) Non vedo cosa ci sia di male, nell’ambito dello sport, nell’avere una guida tecnica o, per usare il termine usato nel testo, un “maestro”. E allora le arti marziali?
Va bene lo sguardo obliquo, però l’accostamento tra la vicenda italiana di Socrates e il “cambio d’epoca” non mi pare pertinentissimo. IMHO.
@Daxman
1) Per me un buon calciatore è quello che va in campo e fa quel che deve fare: gol, passaggi o difesa. Il resto mi pare gossip & moralismo.
2) “storicamente più leggero” non capisco cosa significhi. Certo il campionato brasiliano è “diverso” da quello italiano, ma questa mi pare una tautologia. Anzi: ci piacciono i giocatori brasiliani proprio perché sono “diversi”, fantasiosi, poi però vorremmo che s’integrassero. Un po’ come i lavoratori stranieri, dei quali rispettiamo l’alterità, purché siano pronti a negarla. Sarebbe interessante vedere i risultati di calciatori europei nella massima serie carioca: purtroppo, non conosco esempi importanti.
3) Nel pezzo non si critica la figura del maestro, bensì il discorso del maestro, ovvero la pretesa della guida tecnica di essere in contatto con verità che lui solo può comprendere e che i giocatori devono soltanto applicare. Mi pare l’esatto contrario di quanto avviene nelle arti marziali, se vogliamo andare oltre le macchiette hollywoodiane e i kung fu panda.
Sempre punto per punto :-P
1) Non è una questione di moralismo, ma di fisiologia. Se fumi hai capacità polmonari inferiori, quindi meno fiato. Sei dormi poco, il fisico non recupera sufficientemente dall’affaticamento e subisci, per forza di cose, cali di prestazione. Passaggi, gol, difesa, si fanno prima di tutto col corpo. Non solo nel caso dei giocatori brasiliani, ma in qualunque campo di calcio agonistico, i giocolieri che puntano tutto sul fregare l’avversario con i “tocchetti”, sono i primi a finire per terra.
2) Qui non si tratta di “integrazione”, ma di vita d’atleta. Tanto per dire, il grande difensore della Roma Aldair non ha mai avuto problemi di integrazione tecnica. Probabilmente non è nemmeno una questione che si è mai posto.
3) Nelle arti marziali se il maestro decide, per qualunque motivo, che te devi fa’ cinquanta flessioni, cinquanta flessioni ti fai e senza fiatare.
@Daxman
1) La vita degli atleti, la vita di chiunque abbia un ruolo sociale contiene sempre un doppio osceno, una trasgressione inerente. Tutti noi amiamo l’idea del calciatore, o di qualsiasi altro atleta, che è serio come un monaco, che si allena meticolosamente eccetera eccetera. Poi capita spesso di leggere di festini, di vite private non ineccepibili eccetera. La figura di Socrates taglia corto le aspettative culturali che generiamo sulle nostre figure di riferimento: Socrates portava se stesso sulla scena senza ipocrisie. Non teneva a dare di se’ un’immagine rassicurante, a misura di Domenica Sportiva. Tutti i rilievi tecnico fisiologici che fai sono giusti, ma resta il fatto che sono esistiti grandi campioni letteralmente dipendenti da sostanze. Sulle figure che rompono il quadro, che eccedono, che contraddicono assunti generalmente condivisi è molto difficile fare discorsi generali.
2) Quello che citi è uno dei motivi per cui solo i tifosi della Roma si ricordano di Aldair. Gran giocatore, ma la sua vicenda era contenuta nel campo da gioco, mentre quella di Socrates la eccedeva in mille modi. E’ il medesimo discorso del punto precedente.
3) Faccio arti marziali da una vita e rifletto da anni sul ruolo del maestro. Sono spesso, e da anni, quello che decide che devi fare 50 flessioni. Ma questo non ha a che fare con il discorso del maestro. Ha a che fare con un modo consolidato di far andare avanti una scuola. Per dire, tutti ‘sti metodi disciplinari-militari erano sconosciuti prima della nipponizzazione del Karate da opera di Gichin Funakoshi. Molti trasfericono la propia caserma mentale sul tatami, o sul ring. Per me questa gente è ridicola. La figura del maestro-sergente, per me sempre esecrabile, non c’entra nulla con la figura del maestro.detentore-di-verità. Spesso poi il maestro-sergente assume modi da guida spirituale, ed è proprio in quel momento che è necessario ridergli in faccia, IMHO. Ma questa è davvero un’altra faccenda.
@ Daxman
Dimenticavo :-)
La vicenda di Socrates non è “accostata” a un mutamento epocale nella società italiana. E che la vicenda di Socrates “accade”, “ha luogo” proprio in quel cambio di fase storica. Mi pare differente.
Anch’io per punti, ma ti prego di non scambiare la “sintesi da commento” per sicumera o scortesia ;-)
1) D’accordo sul legame fisiologia/prestazione atletica, ma è proprio quella la materia del contendere. Il fallimento di Socrates in Italia, secondo me, non è tanto dovuto alla classica e stucchevole contrapposizione tra saudade e professionalità, si tratta piuttosto della crisi d’adattamento di un giocatore anni 70 (anche sul piano “antropometrico”) al calcio più fisico, muscolare e prestazionale degli anni 80. In fondo anche Rossi, opportunista ma mingherlino, dopo il Mundial fece poco – a parte la stagione 83-84: era sempre rotto, aveva male alle ginocchia, sembrava che pure lui soffrisse di saudade…
2) Di contro-esempi se ne possono sempre fare, anche perché io non voglio certo sostenere la tesi che i brasiliani sono tutti uguali tra loro: tra Aldair e Socrates c’è forse più differenza che tra Socrates e Pablito. Detto questo: l’integrazione c’entra eccome, perché se prendi un giocatore con certe caratteristiche, poi non puoi pretendere che rimanga allo stesso livello in una squadra che non è fatta per lui. Solo grandissimi campioni, come Maradona, riescono a trasformare un’intera squadra, qualunque essa sia. E forse nemmeno loro. Il tema è sempre quello del rapporto tra genio individuale e intelligenza collettiva…
3) Se il discorso del maestro è esoterico e incomprensibile anche per i discepoli, che diavolo di maestro è? I discepoli sono appunto coloro che, grazie al maestro, accedono a una conoscenza, non soltanto a una pratica svuotata di senso.
Riguardo il genio sportivo e la vita privata degli atleti ho appena finito di leggere “Come Tracy Austen mi ha spezzato il cuore”, un pezzo geniale di D.F. Wallace in “Considera l’aragosta”.
Dà un taglio diverso dal vostro su Socrates, ma osserva il rapporto tra spettatore/atleta in maniera davvero “obliqua”.
“Socrates qui da noi vede e vive il futuro, quello che porta dove siamo oggi”
mi sembra che il focus del discorso sia questo. Socrates, per le ragioni descritte da WM2, non poteva che essere un corpo estraneo nel nostro calcio. Negli anni ’80 iniziano a prendere corpo tutte quelle condizioni che hanno portato il calcio italiano ad essere quello che è adesso (e che continua ad essere anche dopo “calciopoli”): campionati truccati, Moggi, Tanzi, Cragnotti, Gaucci…qualche altro Presidente di cui mi sfugge il nome ma che credo ricopra un qualche incarico di governo….etc.
Prendiamo Maradona come caso paradigmatico: 1)non faceva una vita sana e si allenava molto poco e molto indisciplinatamente, eppure è stato il più grande al mondo
2) anche lui era destinato ad essere un corpo estraneo al mondo del calcio che si stava prefigurando, ed è stato fatto fuori.
La cosa bella è che, come scriveva WM3 nella prefazione alla biografia di Maradona, il calcio scegliendo Diego come nemico pubblico, ha semplicemente scelto di suicidarsi. “Dichiarando incompatibili alle «esigenze del calendario del mercato» i suoi numi tutelari, gli artisti del talento cristallino, Maradona in testa, l’azienda calcio ha optato con cieca voracità verso l’alleanza che la trascinerà sul fondo. Vedrete, non durerà a lungo”
http://riotact.splinder.com/post/3173840
Mai previsione fu più azzeccata. Vale per il calcio in generale, e per quello italiano in particolare.
Cerco di rispondere un po’ a tutti, riassumendo nei soliti 3 punti:
1) Rispondendo a WM2 e WM5, con tutto il rispetto, la vostra posizione mi sembra a quella di Baricco ne “I barbari”, secondo cui la calata delle orde neo barbariche è rappresentata, tra le altre, dalla metafora calcistica per cui i Roberto Baggio vengono sostituiti dai Zambrotta.
Ecco, non è che Socrates era l’ultimo dei Mohicani (o il Philip Lacroix, nel vostro caso!) in un mondo di fabbri ipertrofici controllati dal Calcio S.p.a., e lo stesso vale per Maradona. Semplicemente, il loro modo di giocare è invecchiato con loro, ed è stato sostituito, semmai, dai Messi, dai Totti, dai Romario, dai Kakà e dai Ronaldo (quello brasiliano, quello ancora immenso, prima che infortuni e – appunto – vita privata, lo rovinassero).
Aggiungo pure che, per molti, è ancora il disciplinatissimo Pelè il più grande giocatore di sempre, e non Maradona (ma, ovviamente, la disputa è infinita).
2) A proposito di Aldair, non voglio sembrare il tipico romanista piagnone, ma Aldair è ricordato solo dai romanisti perché ha praticamente giocato solo con la Roma. Le cose sarebbero cambiate molto se avesse vestito una casacca strisciata o bianca.
3) Se come “discorso del maestro” si intende non il principio di “autorità” dell’esperienza, ma dell’incontestabilità esoterica degli allievi rispetto alla “conoscienza” sono d’accordo. Ma, onestamente, non mi pare di trovare tutti questi esempi nel calcio odierno. Al contrario, molti tra gli ultimi allenatori di una certa fama, da Mourinho a… Ranieri, puntano al contrario alla collaborazione con la squadra.
@Daxman, solo sul punto 1).
Nessuno dei miei commenti è pervaso da nostalgia per il bel tempo che fu, quando i campioni si chiamavano Socrates e non Zambrotta.
Dico solo quel che dici anche tu: Socrates apparteneva al passato, agli anni ’70, e fu per questo che non s’adattò, non per saudade o altre scemenze culturaleggianti. Il fotbal anni ’70 non posso certo rimpiangerlo: sono nato biologicamente nel ’74 e calcisticamente proprio nell’82.
Roberto Rivelino.
Ci mancava poco scendesse in campo con la sigaretta in bocca.
Accesa.
Un genio assoluto del pallone. Forse migliore di Maradona e Pelè. Maradona l’ha anche detto.
Sapeva fare tutto. Sinistro devastante, da fermo e in corsa. Lanci al millimetro, ma anche rincorsa, fase difensiva, tempi dettati alla squadra. Aveva la pancetta e un fisico da postale.
Grandissimo campione.
Il calcio ancora oggi, nonostante l’iperatletismo, è uno sport un po’ diverso dagli altri. Non è un caso che Messi sia il miglior giocatore al mondo.
Nessun ragazzino bianco alto 1,68m. potrebbe mai saltare in lungo nove metri e vincere le olimpiadi, o fare il record dei cento stile libero.
Fare vita d’atleta vuol dire prima di tutto imparare a conoscere sè stessi, il proprio battito, il punto di equilibrio necessario tra mente e corpo per provare a dare il meglio nel momento che conta.
Se vai a letto presto, non fumi e non bevi, e ti strafai di steroidi, vinci le gare, guadagni soldi, sei un campione ma sei anche un tossico, e la tua vita, non solo sportiva, dura la metà.
Quando Rijnus Micheels, ct. dell’Ajax e dell’Olanda permise di portare le mogli in ritiro, fece impazzire il 90% degli addetti ai lavori del tempo. Lo avrebbero fatto volentieri arrestare. E non solo scopavano prima delle partite, ma quei freak coi basettoni, le camicie hawaiane e le zampe d’elefante, si facevano anche le canne! Non tutti, ma più d’uno. E in campo volavano, e gli allenamenti erano durissimi.
Il Dott. Socrates era un gran giocatore, e avrebbe potuto fare benissimo in Italia se avesse trovato meno coglioni intorno a sè.
Il conformismo uccide lo sport, come la vita.
Maestro è chi conosce gli uomini che ha davanti e il tempo che vive, e sa mescolare bene il mazzo.
L.
@Daxman
C’è una componente nostalgica-crepuscolare nel mio modo di vedere le cose? Forse sì, ne convengo. Io, a differenza di WM2, ho affinato il mio gusto calcistico nei ’70, magari è proprio solo una faccenda di storia personale… anzi proprio di età.
Ma la tua tesi di fondo sembra essere quella che ci sia un’evoluzione fisiologica, naturale delle cose del calcio. Una volta c’era il Sistema e il WM, poi si è giocato a uomo, c’é stato il calcio totale eccetera eccetera. C’è un livello per il quale il calcio, come pratica, è destinato ad affinare i propri mezzi tecnico-tattici e atletici man mano che generazioni successive continuano a giocarlo e finchè lo giocheranno. A tipi di calcio diversi, giocatori diversi.
Ma la direzione del mutamento, a determinare quella il Calcio S.P.A contribuisce decisamente. O no?
Che lo faccia in maniera acefala, senza un “piano” preciso, è una discussione tutta da fare. Il gusto, come disposizione ideologica generale di una società, cambia. Il calcio è e deve essere diverso oggi da venti trent’anni fa, come la musica, come tutto il resto. Sin qui tutti d’accordo.
Per me è giusto interrogarsi in modo critico su questi mutamenti, cercare di capire che significano, cosa indicano, che cosa eventualmente prefigurano. Isolare figure emblematiche, che sottolinenao i passaggi. Interrogarsi sulle loro vicende.
Si rischia altrimenti la tautologia. Il calcio come logica interna non è che il calcio, i suoi mutamenti si spiegano, appunto, nei termini di una “evoluzione naturale”: ecco, è proprio questo tipo di approccio che non mi soddisfa, e non solo nel calcio.
concordo con la vostra visione della differenza (anche nel calcio) tra anni Settanta e Ottanta
la squadra simbolo dei primi è l’Olanda di Cruyff che rivoluzionò il modo di giocare partendo dal fatto che il destino aveva messo 6-7 campionissimi nella stessa nazione e nella stessa generazione
negli Ottanta invece l’apice fu il Milan di Sacchi dove appunto un auto-proclamato guru organizza tutto e tutti e teorizza la predominanza dello schema rispetto ai giocatori (tanto da dire a Bruscoline di vendere pure Van Basten in cambio di Riedle o Lineker, più disciplinati tatticamente)
Lo ripetiamo spesso: i “bei tempi” non ci sono mai stati. Ma dovremmo sempre aggiungere: non ci sono nemmeno adesso. Non tutto il “nuovo” è meglio di quel che c’era prima. L’eccessivo timore di apparire “nostalgici” o “apocalittici” (e quindi di finire in compagnia di noti e meno noti scorreggioni) può far cadere nella ributtante narrazione del tutto-procede-verso-il-meglio (madama la marchesa).
A me il calcio di oggi fa in generale abbastanza schifo, lo dico senza problemi né paura di sembrare un reazionario. Registro una forte carenza di mito e di epos. Oggi non c’è un nuovo Soriano o un nuovo Galeano a raccontare il calcio perché è il calcio a non ispirare sguardi di quel tipo. Non è più possibile il “guevarismo sportivo”, lo stesso Minà non parla quasi più di questo sport.
Un giornalista sportivo (e non solo) che conosco dice che nel calcio è finita l’epica perché non ci sono più i “brocchi”, i Calloni… i Blissett. Nessuno ha più tempo di farsi la reputazione da “brocco”: ti silurano subito. Il “Principio di prestazione” è ai massimi.
In fondo, il brocco è l’altra faccia del campione “larger than life”. Dove manca uno, manca anche l’altro, e per gli stessi motivi.
Oggi, soprattutto nel calcio italiano, domina un conformismo tecnocratico (da un lato) e para-mafioso (dall’altro), e questo non permette “scarti”, non c’è più margine di tolleranza perché emergano tra i giocatori grandi “irregolari”, poeti del pallone, elementi estrosi e difformi, platealmente privi dei requisiti che il conformismo indica come imprescindibili nel kit di un campione etc. Giocatori “devianti” e “politicizzati”, per quanto possibile in un ambiente sommamente “impolitico” come il calcio. “Politicizzati” magari in modo confuso, come Maradona che dedica la sua biografia a Fidel e a Carlos Menem! Ma quanti giocatori di oggi sfiderebbero l’impopolarità nel modo in cui l’ha sfidata Maradona col suo appoggio a Cuba?
Anche negli anni ’70 questi calciatori erano l’eccezione, non la regola. Anche allora c’erano gli yes-men. Non erano “bei tempi”, c’era un doping forsennato e oggi vediamo i risultati. Della Fiorentina del 1975-76 non rimane quasi più nessuno, son tutti morti. Qualcosa vorrà pur dire. C’era il calcio-scommesse. C’erano già i prodromi dello schifo odierno.
Tuttavia, c’erano spazi vuoti, sacche di resistenza. E questo permetteva l’occasionale “devianza”. Devianza che però ridefiniva tutto, ricaricava di senso tutto quanto.
Un calciatore “deviante” alla Maradona è – per usare un’espressione di Foucault – un “fondatore di discorsività”. Col suo giocare e ancor più col suo comportarsi, cambia tutto il territorio intorno. Nessun futuro discorso sul calcio potrà prescindere da lui. E infatti, tre lustri dopo il suo ritiro, ancora parliamo di Maradona, ancora facciamo riferimento a lui. Maradona è stato l’ultimo calciatore a esercitare in modo dirompente una “funzione-autore”, a creare opere davvero fondative.
[Sì, anche Pelè è stato un “autore”. Anche di lui parliamo ancora. Ma non è stato un fondatore di discorsività nel modo in cui lo è stato Maradona. Non c’è un discorso Pelè, mentre c’è un discorso Maradona. E poi, se vogliamo dirla tutta, Pelè non ha mai giocato in un campionato europeo, non ha mai raccolto le sfide che ha raccolto Maradona. Ed è diventato quasi subito uomo d’apparato.]
Essere “fondatore di discorsività” non significa avere un’influenza riscontrabile sul piano tecnico, tattico etc. L’Olanda degli anni Settanta fu una “fondatrice di discorsività”, ma il “calcio totale” non ha avuto eredi. E’ su un altro piano, quello dell’epos, che quello stile ha lasciato il segno. La sua influenza eccede i limiti del campo da gioco. L’Olanda, poi, esercitò una “funzione-autore” collettivamente. Per questo noi WM la sentiamo tanto vicina e la nominiamo così spesso nelle interviste.
Uno che andrebbe nominato più spesso è lui:
http://it.wikipedia.org/wiki/Ezio_Vendrame
Parlare di calcio è parlare di vita. È senza dubbio passione irrazionale, moltitudine di sentimenti.
Per noi italiani è una parte non troppo indifferente della cultura stessa: ci accompagna costantemente da quando siamo bambini, è vita reale per le milioni di persone che lo praticano, è immaginario per tutti gli altri. Sono grazie a dio infinite le figure attorno a cui la storia del calcio ha creato leggende, epopee fantastiche di uomini comuni assunti a divinità. Fra le “storie” del calcio già citate vorrei solo aggiungere un personaggio, incredibile, come Gigi Meroni, la farfalla granata che portava a spasso una gallina e che non si tagliava i capelli neanche per la nazionale.
Ma quale che sia l’idolo di ognuno la riflessione è proprio il fatto che dal calcio, amato o odiato, esplodono le contraddizioni della nostra società, i moralismi più biechi o i gesti rivoluzionari,che il calcio è forse uno dei terreni Biopolitici per antonomasia.
@ WM1: cercando ancora una volta di non passare per il solito romanista piagnone e provinciale, un esempio attuale di deviante, di fondatore di discorsività, di epos, a mio parere c’è, anche se avviato ormai (ma spero nel maggior lasso di tempo possibile) al tramonto. E’ Francesco Totti.
Con questo, e rispondo anche a WM5, non voglio fare un discorso meramente “evoluzionistico”. Non dico solo che “i tempi cambiano”. A mio parere, anzi, proprio “nonostante” i tempi, “nonostante” l’iperliberismo delle società e delle federazioni, il calcio giocato si rivelerà più forte. Ho fiducia che continueranno a esistere i fuoriclasse che si infiltrano nelle crepe del Sistema (sia nell’accezione organica che in quella “criminale”), continueranno a nascere i Messi, i Totti, gli Ibrahimovic, che nella sterilità del calcio-performance riusciranno a fare da agenti di “crisi”, perché, alla fine, il campo è sempre un’altra cosa.
…e a mio parere, continuano pure a esistere (purtroppo) i brocchi di fama (ne ho in mente uno fra tutti, sempre nella Roma: Loria).
@ The Daxman,
no, Totti no! fondatore di discorsività e di epos?!
(scusa, sai, ma ho già i miei bei problemi a essere laziale, la provocazione di sabato mattina no, eh!) ;-)
Recuperando un po’ di aplomb: mi sembra che su Totti si voglia costruire un epos (meglio: una campagna stampa favorevole), non che sia lui a generarlo..
Ma non è un discorso che sta tutto all’interno del mondo mediatico?
Non è che le telecamere tendono a spegnersi quando incrociano lo sguardo di un’eccezione, di un deviante? Il sospetto che il conformismo di cui parla Wu Ming 1 sia più l’effetto di un controllo forte a monte che tende ad appiattire le marginalità io ce l’ho, pur non seguendo il calcio. In questo senso le eventuali doti tecnico-atletiche possono risultare disturbanti, possono essere viste con fastidio (una specie di cavallo di troia, mentre scrivo ho in mente la copertina di “New Thing”).
E’ plausibile, o almeno lo spero, che un qualche Socrates nostrano (a modo suo) stia calcando i campi di calcio odierni e, fra il serio e lo scherzoso, mi verrebbe di chiedergli di aprire un blog… :-)
Entro a gamba tesa. Finora non è MAI stato citato Lui. E’ da anni che lavoro alla sua Agiografia. Manca poco, qui a Roma, perché ritorni. Il luogo di apparizione dovrebbe (se la Tessera del Tifoso e l’apparato tutto di M* lo permetteranno) il Flaminio. Signori romanisti, laziali, bolognesi (wm venite?) il 24 ottobre si gioca Atletico Roma- FOGGIA: ZZ comes to town!
@ Radio Suburra,
non si può mancare, proprio no!
“un esempio attuale di deviante, di fondatore di discorsività, di epos, a mio parere c’è, anche se avviato ormai (ma spero nel maggior lasso di tempo possibile) al tramonto. E’ Francesco Totti.”
Devo proprio essermi spiegato male, se mi tiri in ballo Totti. Totti non mi sembra “ecceda” in alcun modo i dettami della sua epoca, anzi, mi pare che la sua figura aderisca al presente in modo esemplare. E’ stato il calciatore di questi anni, il surrogato di “mito” su cui l’industria mediatica ha puntato in un’epoca calcisticamente demitizzata (ma sempre più feticizzata; sono due cose diverse). Uno che è diventato pop grazie alle barzellette sul suo analfabetismo (e all’autoironia che diventa *apologia* del proprio analfabetismo), uno su cui i pubblicitari hanno puntato facendogli dire centinaia di volte “Pepsi al melone” anziché “Pepsi al limone”, uno che è la quintessenza del cliché del calciatore che sposa la velina rifatta etc. In cosa “eccede” Totti? Se c’è un “discorso Totti”, è un discorso che non si scosta *in nulla* da quello dominante, dall’andazzo generale, dal coattume descritto in Videocracy, dalla generale insofferenza per tutto ciò che ricorda gli “intellettuali” e la “cultura”.
A proposito dei “fondatori di discorsività” (che egli identifica, ad esempio, in Marx, Freud e Nietzsche), Foucault scrive:
“essi non hanno reso semplicemente possibile un certo numero di analogie, ma hanno reso possibile… un certo numero di differenze. Essi hanno aperto lo spazio per qualcosa d’altro che per se stessi.”
Grazie per la segnalazione su Ezio Vendrame. E sì, andrebbe nominato più spesso! :-)
davvero, Totti come fondatore di discorsività ed epos fa ridere
per usare un’espressione vostra, è mito tecnicizzato allo stato puro
allora diciamo anche che Avril Lavigne è punk, tanto tra prodotto naturale e OGM non c’è differenza, vero?
@ Sir Robin
certo che è un discorso che non può prescindere dai media. Un “fondatore di discorsività” calcistica, un grande campione irregolare che accende la fantasia, è tale se solo arriva al pubblico, se penetra la cultura popolare. Nei campetti di periferia gli irregolari certamente esistono ancora (potenziali Socrates, potenziali Garrincha, potenziali George Best), ma se non “sfondano” non… fondano un bel niente. E oggi uno così ha meno possibilità di sfondare di quante ne avesse quarant’anni fa, perché il sistema-calcio è più tecnocratico, il gioco è iper-atletizzato, i giocatori sono manzi da allevamento intensivo, le aspettative di sponsor, investitori e televisioni sono più che mai pressanti e quindi si incentiva il conformismo: all’input X corrisponde la scelta Y etc. Mi sembra che l’eccedenza del singolo sia stata sempre più normata, incanalata in poche sequenze di gesti, ad esempio ogni campione ha la propria mini-coreografia post-goal, che comunque ripeterà uguale partita dopo partita, più un’esecuzione robotica che una manifestazione di estro individuale.
sì, il calcio ormai è una delle manifestazioni del sistema mediatico: partite che si giocano a mezzogiorno per poter essere viste in Asia (?!), con giocatori che collassano in campo per il troppo caldo, stadi vuoti, tessera del tifoso, moviola anche per vivisezionare gli starnuti del massaggiatore… Il calcio è uno *spettacolo*, cioè ognuno ha il suo ruolo, la sua parte, le sue dichiarazioni post-gara, le sue dichiarazioni pre-gara, la sua divisa…
L’estro, la voce fuori coro, la genialità, la diversità: davvero sembrano assurdità, astrazioni inconcepibili, e quindi irricevibili…
Non credete che uno degli ultimi “fondatore di discorsività” nel mondo calcistico italiano possa essere considerato Roberto Baggio, per le sue alterne vicende, l’ appassionato sostegno popolare e la “diversità”, anche se non necessariamente inquadrabile nel facile binomio genio-sregolatezza? Scusate il razzismo, ma per fare un esempio, quanti giocatori attuali hanno quel minimo di curiosità intellettuale e profondità necessari per affrontare una conversione religiosa al buddismo? :D
No, Wu Ming 1, questa non te la lascio passare, e non hai nemmeno la scusante laziale di Danae (mi dispiace, davvero, sono cose che succedono!). Su Totti hai tirato fuori dei luoghi comuni e nient’altro. Perché, aldilà degli spot e delle barzellette (verso le quali a Roma c’è da tempo allergia), Totti all’industria mediatica/calcistica si è proprio ribellato, e non è un caso se praticamente ce l’abbia con lui mezza Italia, che non fa altro che aspettarlo al varco al minimo errore per lapidarlo, salvo rimangiarsi (malvolentieri) tutto quando si tratta di salvare le italiche terga in qualche torneo internazionale.
Totti è un ignorante, verissimo. Maradona non lo era? E comunque sappi che non ha mai rivendicato alcun orgoglio coatto, né manifestato insofferenza per un mondo intellettuale che, semplicemente, per suoi limiti forse, gli è estraneo.
Ha sposato una letterina, probabilmente soprattutto per la sua avvenenza fisica. Vogliamo parlare della vita privata del Pibe de Oro?
E anche a proposito del confine tra epos e feticismo avrei qualcosa da ridire. Basta passare, anche oggi, un giorno a Napoli.
Totti rappresenta e forse rappresenterà ancora, almeno a Roma, il calcio vissuto con genuinità proprio in contrapposizione con lo showbuisness e il footballbuisness, alla faccia del potere economico delle squadre del nord e degli intrallazzi nelle oscure stanze della Federazione.
Cerchiamo di mettere da parte i pregiudizi pseudo-ideologici e radical chic.
@ macondo,
non so se sia stato un “fondatore di discorsività” (è una definizione che riserverei a ben pochi calciatori, in primis a Maradona, e a pochi team), ma credo che sia stato un giocatore irregolare (che non vuol dire “sregolato”), una personalità eccedente la routine e i dettami del sistema-calcio.
@ The Daxman,
io rimango della mia idea, anche se mi inimicherò tutti i lettori romanisti. Amen. A me Totti non è antipatico, ma non mi sembra faccia in alcun modo parte dell’insieme di cui stiamo parlando. Aggiungo che la martellante e ossessiva presenza di Totti nella pubblicità (Pepsi, Vodafone e, massima abiezione, i siti di poker on line!) non mi sembra indice di ribellione ad alcunché, né al sistema mediatico né allo show business. Molti grandi calciatori hanno fatto da testimonial a prodotti, ma nessuno, mi sembra, con la sistematicità e l’invadenza di Totti.
Tu dici che non ha mai “rivendicato” la sua ignoranza. A me sembra abbia fatto anche di più: ci ha fatto sopra il simpaticone, ci si è crogiolato dentro. Questo è il messaggio che ha dato (non da solo, certo): l’ignorante non ha più bisogno di superare la sua condizione, tanto per fare i miliardi e diventare un idolo non serve la conoscenza. E quindi vai con la Pepsi al melone, ridi anche tu delle barzellette che ti dipingono come un coglione etc. L’autoironia ha valenza auto-critica se serve a rendersi conto di difetti da correggere, altrimenti è solo menefreghismo e incistamento nell’identità: io sono così e basta, che me frega? Vedi? Ce rido pure sopra.
Certo, Maradona è uno zoticone, un grezzo, ma sono fatti suoi, non ne ha fatto uno status, non ci ha marciato, non è quella la connotazione principale del nome “Maradona”. Quando lo nomini, non pensi per prima cosa al fatto che è ignorante ma al suo essere troppo grande e incontrollabile per il sistema-calcio. La sua figura *eccede* la dimensione della burinaggine perché lui stesso si è costantemente sforzato di eccederla, facendo mosse contro-intuitive rispetto a essa, dall’appoggio a Cuba e a Chavez agli incontri con grandi scrittori e artisti, dal condurre trasmissioni televisive *non sportive* (questo è importante) al conio autogestito di espressioni poetiche e mitopoietiche come “il goal della mano di Dio” etc.
La “feticizzazione” a cui mi riferivo non è la mitizzazione dal basso dei madonnari/maradonari, dei gadget da bancarella e delle scritte sui muri dei rioni napoletani. Mi riferivo alla proposta mediatica di sempre nuovi oggetti di desiderio da scartare in fretta e furia per passare a quelli successivi. Questo ritmo forsennato impedisce la sedimentazione nel tempo necessaria alla creazione positiva di mito. Il calcio di oggi è “feticistico” in quel senso.
Premessa:
1) bell’articolo (come sempre :-)
2) a me Socrates sta simpatico (specialmente dopo il il ritratto che ne fa la Audisio in Bambini Infiniti).
Detto questo, io a Firenze a vedere Socrates in curva c’ero.
E non e’ che gli si rimproverava:
” 1) di fumare un pacchetto di sigarette al giorno; 2) di non allenarsi; 3) di stare sveglio fino a tardi a parlare di politica. ”
gli si rimproverava di giocare male al calcio, cioe’ di non segnare (o fare segnare), senza citare il difendere.
Perche’ Socrates, a parte qualche spezzone, a Firenze ha giocato proprio male.
Ogni tanto provava qualche colpo improbabile, ed il commento non era “e’ perche’ fuma/parla di politica” ma piuttosto, “o’ i’cche fa? i’che l’e’ grullo?”…
Poi perche’ giocasse male, se ne puo’ parlare, ma alla fine quando gioca la tua squadra quello che conta e’ aiutare a far fare alla tua squadra un gol piu’ dell’avversario, ed in mancanza di questo almeno mostrare di averci messo l’anima. Ecco Socrates, un grande per tante cose, a Firenze questo non l’ha mostrato. E la curva, giustamente, fischiava (oltre a riderci/piangerci un po’ sopra).
Dimenticavo: non ho scritto che Totti ha personalmente manifestato insofferenza per la cultura, ma che la sua immagine e il modo in cui si è imposta nei media non si discosta in nulla dal “gusto” dell’epoca, che è fatto anche di avversione populistica per tutto ciò che è “intellettuale”. Totti era l’icona perfetta per questi tempi, non li ha ecceduti né sfidati.
Mah, non mi sembra proprio.
Non mi sembra che di Maradona si pensi solo a quanto è più grande del calcio. Sono ancora molti quelli che, pensando a Maradona, pensano alla cocaina e all’amicizia con i camorristi (e se permetti, questo mi sembra più grave dell’ignoranza di Totti).
Comunque, anche volendo riferirci alla sola realtà televisiva degli spot (di cui lui, pur cercando di non farlo sapere in giro, non ha mai preso una lira), a me sembra che l’autoironia sulla sua ignoranza sia tutt’altro che tracotante nei confronti del mondo intellettuale. Non è, per capirci, il Fabrizio Corona o il Mondomarcio che dice che la sua vera scuola è stata la “vita”, e che con la faccia tosta e l’ignoranza ha fatto i soldi. Basta vedere gli spot con l’insegnate di inglese o con l’ologramma del i-phone. Il meccanismo “comico” si fonda sulla figuraccia di Totti, non su quanto, nonostante tutto, sia ricco e famoso (anzi, le location sono praticamente dei monolocali, quindi accusarlo di sfarzo mi pare proprio fuoriluogo!).
Poi, è chiaro, Totti non ha un tatuaggio del Che sul braccio (anche se ha dichiarato più volte di votare a sinistra), per cui non raccoglie le simpatie degli ultrà della controcultura.
Meglio. Significa che è, davvero, “altro”.
Mi sembra che parliamo due lingue diverse, oppure che tu ragioni prima da tifoso e poi da osservatore, oppure entrambe le cose. Ripeto, non ho parlato di “tracotanza” personale di Totti; ho detto che la sua figura si inserisce molto bene nel gusto dell’epoca, che è un gusto anti-intellettuale e anti-cultura. Tra l’altro, la macchietta dell’ignorante simpaticone che fa la figuraccia è “arci-italiana” ed è sempre stata consolatoria. E poi, questa cosa si può anche capire se la fai una volta o due, ma la sua reiterazione, il suo divenire tormentone nazionale, lo trovo non solo stucchevole ma addirittura vomitevole e reazionario. Perfetto per questi tempi, appunto. Poi, certo, c’è anche di peggio. C’è sempre di peggio. Ma siccome di Totti volevi parlare, io di Totti ho parlato.
Che qualcuno, al sentir nominare Maradona, pensi prima di tutto ai fratelli Giuliano è possibile, tutto può essere. Ma dubito sia la prima associazione mentale che si fa nel mondo.
Dopodiché, chi se ne frega di difendere la condotta di Maradona, scusa? Mica devo votare per lui alle elezioni. Il punto mi sembrava chiaro: Maradona è stato un fondatore di discorsività, Totti no. Di questo rimango fermamente convinto. E il fatto che Totti voti PD e abbia fatto endorsement per Veltroni, almeno da queste parti, non è giudicato una grande pezza d’appoggio.
Socrates galleggia tra mito e sport, anche perché negli anni della democrazia Corintiana in Brasile vigeva ancora la dittatura militare; il suo essere diverso era un gesto di ribellione ben oltre i costumi sportivi, ma sconfinante in quelli civili e politici.
Sul fumare e far tardi se ne potrebbero dire tantissime, mi limito solo a far notare che tutto l’entourage di una grande squadra (giornalisti, dirigenti, procuratori e lecchini vari) conosce a menadito vizi e virtù degli eroi in calzoncini e l’accentuare i primi o i secondi è solo ad uso e consumo dei media e delle esigenze dirigenziali.
Anche Gigi Riva fumava come un turco, ma dubito che lo chiamassero Rombo di Tuono perché soffriva di aerofagia.
Ma si potrebbe citare Del Piero, il prototipo moderno del calciatore modello che non si è mai fatto mancare la sigaretta e chissà quanti altri.
Vero, molti sudamericani hanno reso meno di quanto sperato, ma i motivi sono innumerevoli ed anche tanti che hanno incendiato le folle in A hanno poi lasciato pochi ricordi indelebili all’estero.
Uno su tutti Veron, amatissimo in Italia e considerato uno dei più grandi bidoni in Premier: Chelsea e United.
Per quanto ormai livellate le differenze calcistico-culturali, alcune resistenze persistono inspiegabilmente ed è uno dei motivi irripetibili di fascino delle nazionali.
Visti i paralleli, potrei dire che le conoscenze camorristiche stanno a Maradona come le pubblicità a Totti.
Totti nel calcio non verrà ricordato per “il fesso delle pubblicità”, ma perché è stato uno dei più grandi giocatori italiani di sempre (e anche perché ultima bandiera di una squadra che non ha certo la forza politico/economica di una delle tre del nord). Il suo personaggio, poi, aldilà degli spot (collaterali al calcio come la cocaina per Maradona), è secondo me quello proprio del leader, quello del giocatore che viene dalle strade di Roma e da quelle strade si porta pregi e difetti (il carattere, ma anche i “colpi di testa” in campo).
La condotta nemmeno io l’ho tirata fuori, ma, se permetti, l’immagine dell’attiguità con un certo tipo di mondo e della vicinanza poi con quello specifico tipo di eccessi, mi sembra, in questo caso, davvero reazionario. Cioè, è da reazionari essere ignoranti ma non lo è frequentare criminali maschilisti, fascisti e legati a un mondo politico quasi sempre di destra? Tanto per capirci, eh…
Nemmeno a me il PD piace, ma non è come essere legati al PDL (o a Forza Nuova, come fa De Rossi). Che vada o no a genio alla contro cultura.
@ The Daxman,
no, il parallelo non rende. E non rende perché tu continui a ragionare sul piano della “censurabilità” della condotta (il drogarsi etc.), mentre io parlo di cosa in una vicenda umana eccede o meno le aspettative di un’epoca.
Da una parte abbiamo frequentazioni private (discutibilissime, anzi, repellenti) rimaste limitate nel tempo e nello spazio (il periodo trascorso a Napoli), da valutare senza alcuna indulgenza ma nell’arco di una vicenda sportiva ed esistenziale molto più lunga, complessa e planetaria. Maradona è molto più di “un bravissimo calciatore che però si drogava”, su questo sarai d’accordo, spero.
Dall’altra parte abbiamo una macro-campagna d’immagine pubblica, ormai pluridecennale, con investimenti massicci da parte di grandi multinazionali, campagna che ha scientemente e pesantemente connotato la figura di un personaggio. Ovvio che i tifosi della Roma ricorderanno Totti per altri motivi, perché sono altre le connotazioni a cui tengono, connotazioni molto importanti sul piano locale. Ma ci siamo anche noialtri, cioè tutti i non-romani e non-romanisti, e Totti è un personaggio che si rivolge anche a noi. Lo pagano profumatamente per rivolgersi anche a noi. Non credo che Vodafone voglia clienti solo a Roma.
Ricapitolando: se si parla delle frequentazioni di Maradona, si parla di episodi che restano marginali rispetto alla sua figura e all’essere stato un fondatore di discorsività. Cioè: si fa gossip o poco più. Può essere di qualche interesse, perché anche il gossip è testimonianza di un’epoca, ma insomma, ci siamo capiti. Invece, mi sembra perfettamente lecito analizzare le pubblicità e gli atti comunicativi di cui Totti è protagonista, e mi pare legittimo concludere che non si discostano in nulla (come potrebbero?) dall’andazzo dell’Italia e del calcio italiano.
Totti non mi è antipatico. Calciatore molto forte, bandiera di una città, ha vinto meno di quanto avrebbe potuto con altre scelte. Unico limite evidente: poco incisivo in nazionale.
Detto questo.
La realtà sta nelle cose.
Folk ballads, brani rock, racconti, romanzi, saggi, piece teatrali, film, leggende calcistiche sessuali e criminali. E dimentico molto.
Qua non si tratta di seguire un esempio. Ma di capire chi ha segnato il proprio tempo e quello successivo ‘ben oltre’ lo specifico di ciò che faceva, in questo caso sul campo di calcio.
Durante il ‘cacerolazo’ argentino con un popolo intero in mutande per strada, la maglia col numero dieci sulla schiena era di gran lunga maggioritaria. Questo non potrebbe avvenire con nessun altro che con Diego. Non è lui che lo ha deciso. E’ stato il mondo.
Dall’Indonesia alla Cina, dal Giappone all’Europa, in ogni continente in ogni buco di culo c’è un bambino che insegue una palla e grida maradonagoool!
E’ la plebe che per un attimo ha accesso al paradiso, prima di essere scaraventata di nuovo di sotto. E’ quell’urlo dentro la telecamera. ‘Merde. Sono tornato.’
Che ogni diseredato del pianeta vorrebbe gridare, una volta nella vita.
C’è solo un altro, che ha sprigionato una simile potenza.
Si chiama Muhammad Alì.
L.
p.s.
Sì, mi piacerebbe andare a salutare e applaudire Zeman.
L’esempio di Zeman mi fa venire in mente una cosa: oggi, in proporzione, sembrano esserci più *allenatori* irregolari (a volte persino “maudits”) che calciatori. Non sembra anche a voi? E’ per questioni di anagrafe? E’ perché gli allenatori di oggi si sono formati in un altro calcio?
I bei tempi andati non esistono, ma tempi migliori di questo sì, e anche nel calcio.
Da milanista non posso che rimpiangere i tempi di Farina, quando si tifava Milan NONOSTANTE il presidente e non PER il presidente.
Che gioia quando Blissett segnava… era un evento!
Ma il mio eroe era Hateley, capellone dinoccolato, genio e sregolatezza…
Terraneo, Baresi, Galli, Battistini, Di Bartolomei, Tassotti, Verza, Wilkins, Hateley, Evani, Virdis… ecco il mio Milan, che lottava fino all’ultimo per entrare in UEFA!
E andando ancora più indietro, volete mettere le maglie senza sponsor? Molto più belle… oggi la merce trionfa più di ieri.
Il discorso degli allenatori è interessante. Bisogna tener conto che spesso (almeno quelli più “maudits”) non sono stati calciatori (o lo sono stati in serie minori). Penso, almeno per l’Italia, allo stesso Zeman, a Galeone, a Scoglio. Se poi si pensa che il primo dirigente di Zeman è stato Marcello Dell’Utri…
I calciatori di oggi (di cui Totti è un prototipo) sono un segno ulteriore della “dittatura della classe media”: non sbagliano più i congiuntivi, cantano Fratelli d’Italia, mandano i figli alle scuole private.
Maradona eccede tutto ciò. Eccede pure come allenatore, poteva vincere il mondiale e invece ci ritroviamo la Spagna. La cui vittoria è stata rappresentata dal bacio di un giocatore alla moglie giornalista di fronte alle telecamere: bha?
Socrates l’ha scampata bella: la società italiana conformista del XXI l’ha potuta solo immaginare. Poi, fortunato lui, è scappato tornando a casa. Era facile, sulle gradinate in cemento degli anni ’70, trovare tanti tifosi (!) che se la prendevano coi calciatori capelloni, così come, fuori dallo stadio, coi rocker, la contestazione, ecc. “Eccedere” ha sempre dato fastidio e scatenato repressione, foss’anche verbale allo stadio. E frustrazione, dietro una rete di recinzione.
@ WM1: ti sbagli. Non parlo di condotta, ma proprio di ciò per cui un calciatore è ricordato, di tutto l’immaginario che lo rappresenta.
L’immagine di Maradona è stata legata da subito, e da un certo momento in poi in maniera costante, alla droga e alle frequentazioni. La rappresentazione iconica prevedeva, sì, la grandezza del fuoriclasse, ma anche quella del cocainomane e del “camorrista” (semplifico). Sappiamo tutti che Maradona era soprattutto altro. Ma questo lo sappiamo anche di Totti, perché le pubblicità sono collaterali all’icona sportiva tanto quanto lo è la coca.
Totti è stato la ribellione contro il potere politico/economico del nord, l’agente simbolico dello scatto d’orgoglio di una parte del paese che rifiuta di “leghizzarsi”, il rifiuto delle logiche proprio del calcio moderno. Anche i suoi gesti più eclatanti, dalle dichiarazioni sulla nazionale al fallo su Balotelli, sono il tentativo impulsivo, non teorizzato, ma certamente genuino di alzare la testa in rappresentanza di una buona porzione di società italiana, compresa di quella che in lui dovrebbe riconoscersi e non lo fa (nemo profeta in patria).
Semmai, la domanda da porsi dovrebbe essere il mutamento dei media televisivi e giornalistici negli anni, il loro progressivo asservimento verso potentati economico/politici e verso le loro narrazioni unilaterali (che sono, appunto, quelle che trasformano Totti o in uno scemotto ignorante o nel nemico numero uno del calcio italiano). Tutti i discorsi che sono stati fatti qui, in effetti, mi pare abbiano escluso proprio coloro che della narrazione, dell’epos, dovrebbero essere veicolo.
Articolo interessante, e anche i successivi commenti. Mi trovo d’accordo con Wu Ming 1 che individua in Maradona un “fondatore di discorsività” e fuori dal calcio l’esempio più lampante lo individua altrettanto bene Luca con Alì. Se ho capito bene di cosa si parla. In quel caso Totti è quanto di più conformista ci possa essere. Anche l’esempio del grande Ezio Vendrame rientra nella logica solo in quanto a stranezze dei suoi comportamenti, ma poi non è stato coadiuvato dai successi personali nel proprio ambito sportivo come è stato per Maradona e Alì. Un nome che mi viene in mente è Paul Gascoisgne, forse ultimo ribelle di questo calcio, la cui parabola, purtroppo discendente, continua anche dopo che ha smesso di giocare. Ma anche per lui forse vale lo stesso discorso di Vendrame, non è riuscito a imporsi nella memoria. E’ un calcio terribilmente adatto ai tempi, il discorso sugli allenatori credo c’entri più di quanto si pensi, il grimaldello che ha portato il gioco del calcio a ritenere più importante lo schema di gioco fatto da tanti “mediocri ma ubbidienti” rispetto a una squadra di talenti magari fuori delle righe (l’olanda) è stato proprio Sacchi col suo Milan, a livello europeo. E anche Zeman, visto che è stato citato, anche se ha allenato praticamente solo qui da noi. (da laziale gli vorrò sempre bene, soprattutto per l’anno che fece alla roma, dove ci fece vincere quattro derby su quattro, eheh)
Salve a tutti, innanzitutto volevo ringraziare Dax per avermi fatto scoprire questo blog davvero una piacevole sorpresa per una domenica mattina “diversa”.
Detto questo, volevo introdurre il mio pensiero sull’argomento. Premetto che sono romanista e nato nel 1975 (un anno prima di Totti) e per questo non posso essere obiettivo sul Totti calciatore perché rappresenta esattamente quello che avrei sempre sognato di essere, ovvero il simbolo indiscusso della mia squadra del cuore. Tuttavia non posso e non voglio sottrarmi dal dire qualcosa su di lui e su quello che io considero il simbolo del calcio al di là di ogni fede, ovvero Maradona. Nella mia vita lo stadio ha avuto una parte molto rilevante, se non altro per il tempo che ci ho passato e sono ancora romanticamente legato a quel calcio che un po’ tutti rimpiangiamo, con le maglie dall’1 all’11, con giocatori dal fisico un po’ improbabile che oggi anche a 25 anni potrebbero giocare solo con i dopolavoristi ferroviari, ecc… Nella mia lunga militanza di curva ho insultato Maradona in ogni modo, chiamandolo “rotolo di coppa” (intesa come l’insaccato ottenuto con i ritagli del maiale) e mentre lo facevo sentivo di essere indifendibile perché offendevo quello che ho sempre considerato come l’essenza stessa del calcio, ma lo facevo per gettargli addosso le mie paure, sapendo che con un suo tocco da fermo, senza guardare e senza probabilmente neanche pensare, avrebbe potuto indirizzare la partita contro i miei colori e per questo ne ero terrorizzato. Maradona per me non è mai stato il cocainomane alcolizzato amico dei camorristi (o dei “barras bravas” argentini), ma un simbolo di quel calcio che vedevo esaurirsi al 90% sul rettangolo verde e molto meno usato come veicolo commerciale a tutti i costi. Oggi i calciatori sono tutti un prodotto delle palestre e dei vari “Milan Lab”, hanno masse muscolari da mister universo e rispondono tutti ai canoni estetici dominanti nella società: belli, molto curati nell’aspetto, “ultra-fighetti”, gente di successo perché ha i soldi punto e basta. E quindi vengo a Totti che, come calciatore, è la personificazione dei miei desideri di bambino e per questo mi dispiace che venga così vituperato da tanta parte dei miei connazionali. Vivo da anni in Toscana e so bene che di lui viene tollerato quasi solo il lato scanzonato che viene messo in risalto dagli innumerevoli spot cui partecipa. Il problema però è stabilire perché nell’Italia di oggi il romano per essere “tollerato” debba comunque apparire ignorante e gaudente, simpatico certamente, ma mai inteso come “minaccia” rispetto all’andazzo culturale dominante che è, ora più che mai, con la barra puntata a Nord. Altri calciatori che fanno spot da anni, come Del Piero, non vengono certo “crocifissi” come lui, perché nessuno sembra tenerli in alcuna considerazione da questo punto di vista, mentre qualsiasi cosa faccia Totti la fa perché è romano e in questo si tenta di racchiudere un giudizio il più delle volte negativo sulla città e i suoi abitanti. A me questo fa male, non per Totti, ma perché mi rendo conto quanto poco trainante sia oggi Roma dal punto di vista culturale rispetto ai decenni passati. Oggi il romano viene usato solo per il “cine-panettone” come simbolo di un’Italia piccola piccola che vive all’ombra del cuore pulsante della nazione sempre più leghizzata e per questo non vedo con particolare favore la figura di Totti negli spot, perché mi rendo conto che non possa far altro che far crescere questo sentimento che vedo sempre più radicato. Prendo atto che lui sia lo strumento di tutto ciò e non gliene faccio colpa (forse per eccesso di affetto), ma mi rattrista vedere il romano sempre più relegato al ruolo di giullare che può essere sostituito con un batter d’ali appena si trova uno più giullare di lui. E mi rattrista pensare che una città come Roma oggi sia così indissolubilmente legata a un calciatore come ambasciatore di se stessa nel mondo. Mi piacerebbe che Roma fosse di nuovo qualcosa di più e Totti considerato di più per quello che è: un ottimo ragazzo, generoso e altruista e grande campione di sport. Chiedo scusa a tutti per l’esposizione raffazzonata e leggerò con vivo interesse le vostre critiche.
Ragazzi, il discorso che fate ha un fondamento, ma vi invito a non scivolare nel vittimismo del “romano vilipeso da tutti”, perché è un discorso esattamente speculare a quello del “nordista che lavora anche per i terùn”. Esiste una consistente fetta di Paese che non ne può più di entrambe le retoriche, lo sapete? Perché sono retoriche che si alimentano a vicenda.
Lo strapotere del calcio “del nord”, ok, innegabile. Ma perché, il calcio della capitale è un nido di angeli? A Roma il calcio è meno industrializzato, meno mediatizzato, meno feticizzato, meno disonesto?
Il romano rappresentato come macchietta, come frescone, come burino da Cinepanettone, come “trapolèr” velleitario, ok. Ma:
1) chi conosce la storia dello spettacolo sa che non è affatto una rappresentazione recente, la troviamo nell’avanspettacolo e poi nella “commedia all’italiana” (il “Sordismo”), e si rafforza con il roma-centrismo del cinema italiano (Cinecittà sta a Roma, attrezzisti e comparse sono romani, gli aneddoti circolano in romanesco, la mitopoiesi è fortemente “romanizzata”);
2) il nostro è il paese dei mille campanili e *tutte* le provenienze sono ridotte a macchietta: la donna bolognese è sempre godereccia e mezza troia (la scena del night ne Il sorpasso è paradigmatica), il milanese è sempre arrogante (un caratterista morto da poco, Guido Nicheli, ci ha costruito sopra l’intera carriera), il siciliano è geloso, chiuso e omertoso (Ferribotte!), il napoletano ti venderebbe ogni giorno la Fontana di Trevi, il genovese è tirchio, il bergamasco è coglione e parla in modo incomprensibile (“Da dove vengono, dalla Val Brembana?”, chiede il vigile a Totò e Peppino in una delle scene più famose del cinema italiano) etc.
Detto questo:
noi, per far capire come la pensiamo, nella nostra pagina biografica abbiamo caricato l’mp3 di Mario Brega che grida: “Io nun so’ comunista così… So’ comunista COSIIII’!!!” Quindi non è che la “romanità” ci susciti ostilità.
Tuttavia, c’è un discorso “romano” un poco piagnone, un “ce l’hanno tutti con noi” che, almeno secondo me, non aiuta nella lotta culturale contro il leghismo. Perché non affronta le ragioni di una certa insofferenza non per Roma e la sua gente, ma per poteri che a Roma sono insediati e sembrano inestirpabili, da quello politico a quello religioso, passando per quello televisivo e per quello cinematografico (trovatemi una società di doppiaggio che non sia “dinastica”, che non sia romana e le cui voci non siano romane).
@ amstaff
ne avrei dette quattro a Del Piero, se qualche juventino fosse venuto qui a proporlo come “fondatore di discorsività”. Il discorso si è concentrato su Totti perché è venuto fuori lui, e io ho spiegato perché, almeno ai miei occhi, non rientra in quella definizione. Tutta questa “ribellione” al sistema che voi romanisti vedete nel suo comportamento, io non la percepisco. Come ho detto, può darsi che queste connotazioni siano molto importanti sul piano locale, cioè a Roma e per i romanisti, e non “arrivino” nel resto del Paese. La mia è un’ipotesi, sia chiaro. Ma già questo sarebbe un motivo per non includerlo tra i “fondatori di discorsività” alla Maradona, la cui “rottura” deve poter essere percepita su vasta scala. Ad esempio, la “democrazia corintiana” di Socrates e compagni, l’Olanda del “calcio totale”… sono momenti-chiave della storia e del mito del calcio, rotture con gli standard di quell’industria ricordate ancora oggi e anche qui da noi, non soltanto in loco.
@ Alessandro Ansuini,
sì, ci siamo capiti benissimo. Vendrame fu un magnifico irregolare ma non un fondatore di discorsività, perché non riuscì a “sfondare” nel calcio che conta, quindi il suo culto – almeno fino a pochi anni fa – è rimasto confinato in nicchie locali. Però il processo va avanti, non si ferma a fine carriera. Vendrame ha scritto dei libri autobiografici, e oggi le sue performances sono note anche a chi non lo vide giocare o non ha un padre o un fratello maggiore che lo vide giocare. Magari non diventerà ex post un Maradona, ma è già qualcosa di più e di diverso da una “promessa mancata”.
La Garbatella, ad esempio.
C’è quella di Renato Zero:
“Andavo a trovarlo nella sua casa sull’Ostiense. Ricordo una piccola stanza foderata di libri, questo ragazzo più vecchio dei suoi anni; ero così fiero di lui. Per me il partito comunista era questo: un padre che torna a casa stanco dal lavoro, mette in tavola un pane, un bicchiere di vino e un fiasco d’olio, e con quel che ha risparmiato compra un libro a suo figlio.”
E c’è quella dei Cesaroni che, rima facilissima, ha rotto i c*.
Noi con quale stiamo? Cari concittadini, WM1 ha iper-ragione: cerchiamo Roma (e il suo Geist) lontano dai Cesaroni, dai Totti, dai Sordi…
@ Alessandro Ansuini. Zeman è molto, molto diverso da Sacchi. E comunque (anch’io laziale) dovresti ricordati che le partite dell’epoca ZZ sono state le più belle mai viste all’Olimpico.
Da laziale considero anche io Totti un bravissimo ragazzo, nonostante sia “nemico” di fede sportiva. Il discorso di Amstaff lo capisco, ma Totti un po’ s’è fatto strumentalizzare e ci ha marciato su questo suo aspetto. Adesso non si possono fare lacrime di coccodrillo. Fermo restando che, secondo me, è assolutamente coerente e integrato al sistema. Piuttosto, maggiormente fondante di una discorsività è Paolo Di Canio, e non lo dico solo perché è, tra virgolette, la bandiera della mia squadra. Di Canio a modo suo (che non condivido) ha in qualche modo “rotto” il prototipo di calciatore “Pollo da allevamento” (per dirla alla Wu Ming 1 che immagino parafrasasse le parole di Gazza Gascoisgne) e non mi riferisco solo al lato più politicizzato (anche se evidentemente lo considero) ma anche a quando interruppe il gioco, in Inghilterra, per permettere di soccorrere il portiere della squadra avversaria che era rimasto infortunato. Lì, l’uomo va sopra allo spettacolo che sta offrendo da giocatore, mette in secondo piano il lato sportivo, veramente andando contro a quello che sono le regole del calcio che sono vincere a ogni costo, anche con un autogol all’ultimo minuto o con un fallo di mano. Di Canio, allo stesso modo di Totti, incarna per la curva il tratto ruspante e maggiormente identificativo dei tifosi. Totti tutto core romano e bonaccione, Di Canio portatore di valori di destra. In entrambi i casi però, a mio modo di vedere, vi è una strumentalizzazione dei personaggi (in parte data dall’ignoranza dei due calciatori) che non portano avanti una propria idea al di fuori del calcio ma si fanno portatori di sentimenti più generalizzati e popolari.
Concordo Radio, la Lazio zemaniana fu l’apice di Zeman, dove riuscì a far correre fior di campioni adattandoli alle sue idee. Ma fu quasi un’eccezione. Con la Roma non funzionò. E in generale, parole sue, il gioco e l’applicazione e l’allenamento contano più dei singoli. E io su questo non sono d’accordo.
P.S.
Tu considera che io sono della Garbatella, nato e cresciuto, famiglia tutta di romanisti, e sono diventato laziale! Bastian contrario dalla nascita ;)
Ho dimenticato di mettere il link di Di Canio, magari vi interessa:
http://www.youtube.com/watch?v=Xjv2-pws1fw
Non voglio parlare di Totti, e neanche di Di Canio (trovo intollerabile il saluto fascista e ho smesso di guardare la partite in curva proprio per questo). Non ne voglio parlare qui proprio perché non vedo in loro giocatori portatori di una qualche forma di carica narrativa. Possono aver significato qualcosa per i tifosi, per le loro squadre, ma è proprio come dice Wu Ming 1: al di fuori “non sono nessuno”; nel senso che lì, al di fuori, ci sono altri giocatori che magari a noi non dicono niente e per i loro tifosi sono dei “miti”. Va bene così, ci sta, è il calcio.
Gli allenatori? Credo che siano diventati più importanti con l’avvento di un calcio tattico, organizzato, maggiormente ragionato. Zeman è la quintessenza di questo nuovo tipo di calcio, in cui a contare davvero sono (dovrebbero essere) le idee del mister/generale, gli schemi, e i giocatori invece sono esecutori/soldati. La “palla” quindi ora sta agli allenatori, e quindi è più facile trovare tra di loro gli “eversivi”, piuttosto che tra i calciatori.
Di passaggio, segnalo un bel libro sull’epica sportiva di brocchi, ribelli, non allineati ed eterni secondi. Si chiama “Io ce la potevo fare”, l’ha scritto Fabio De Santis, e dentro ci sono 15 storie ben scelte e ben scritte: Zigoni, Poulidor, Pat Cash, Irvine, Cassano, Jacopucci, Wepner…
Uno di quelli che non ce l’ha fatta a introdursi nel “calcio moderno” è il grande Di Bartolomei, morto suicida nel 1994.
Epica fu la sua militanza nella Roma e poi nel Milan, venduto – non a caso – nel 1987 da quello stronzo di Sacchi.
Ricordo quando andai a vedere Milan-Roma nel 1986 (avevo dodici anni) ed entrambe le curve dedicarono una lunghissima ovazione al grande Agostino.
“I motivi del suicidio inizialmente ignoti – si parlò di alcuni investimenti andati male – divennero chiari quando venne trovato un biglietto strappato in cui il calciatore spiegava i motivi del gesto: non la presunta crisi economica – si disse che gli era appena stato rifiutato un prestito – bensì le porte chiuse che il calcio serrava di fronte a lui: ‘mi sento chiuso in un buco’, scrisse.” (da wikipedia)
Agostino, sempre nel cuore.
A proposito di Di Bartolomei e porte sbattute in faccia (ma anche, secondo me, di personaggi “epici”…) segnalo per chi non lo conoscesse il primo film di Paolo Sorrentino: “L’uomo in più”
http://www.youtube.com/watch?v=2t_0QgD4muc
http://it.wikipedia.org/wiki/L%27uomo_in_pi%C3%B9
Alla faccia della democrazia corintiana! :-D
A proposito di giocatori “portatori di una qualche forma di carica narrativa” come dice Danae (temo che lo scenario attuale ne proponga pochi, forse nessuno), ecco un personaggio la cui storia sarebbe bello “dissotterrare”
Arthur Friedenreich, detto El Tigre (1892-1969) brasiliano
http://it.wikipedia.org/wiki/Arthur_Friedenreich
http://www.netvasco.com.br/mauroprais/futbr/fried.html
http://www.theenglishmall.com/bios/index.php?bio=arthur-friedenreich
Il più grande talento del suo tempo, ha (forse) segnato più gol di Pelè, conduceva una vita bohémien, combatté nella rivoluzione costituzionalista del 1932, per la cui causa vendette i suoi trofei e le medaglie, si oppose alla professionalizzazione del calcio brasiliano e morì povero nel 1969.
Sulla differenza tra Del Piero e Totti si potrebbe citare un episodio lampante.
I due si sono sposati nello stesso periodo. Il primo, discreto e sommesso, l’ha fatto quasi di nascosto e ha scelto come cerimoniere don Luigi Ciotti [che a Torino giù una scelta di campo].
Totti, che pure mi è simpatico, ha fatto quel matrimonio coatto in Campidoglio con dirette tv, veltroni gongolanti e compagnia tifante…
Meditate gente… :)
@ Bocio,
A proposito di “carica narrativa” dei calciatori, quando Sorrentino ha deciso che era giunta per lui l’ora di scrivere un libro, ha deciso di seguire le vicende di Tony Pisapia, che in “Hanno tutti ragione” è diventato Tony Pagoda, un simpatico cantante di night, mattacchione, cocainomane (!?). Che geniale trovata…
Su Di Bartolomei è uscito da poco un libro. L’Unità ha pubblicato qualche giorno fa la prefazione, scritta dal figlio:
http://www.unita.it/news/103147/caro_ago_volevo_solo_dirti_che_mi_manchi
Sorrentino ha deciso di seguire le vicende del cantante, non del calciatore, insomma…
@Danae
la vicenda calcistica e umana di Agostino Di Bartolomei è toccante e significativa. Sono tutt’altro che rari infatti i casi di calciatori che non sono sopravvissuto alla fine della propria carriera agonistica. Sono invece rari i casi di grandi calciatori che sono riusciti a mantenere la loro “grandezza”, la loro “carica narrativa” se vuoi, anche fuori dai campi da gioco. Maradona, di nuovo, su tutti. Non è un caso che al ritorno da un mondiale che ha visto l’Argentina, alla viglia una delle favorite, uscire ai quarti bastonata dalla Germania, la squadra e il suo allenatore siano stati accolti in modo trionfale dalla gente.
Pelè e Platini sono forse altri esempi, anche se entrambi hanno avuto percorsi più “istituzionalizzati” e sicuramente meno “epici” del pibe de oro.
Ancora su Arthur Friedenreich, segnalo un’interessante tesi (pdf) sul ruolo del calcio come elemento fondativo nella formazione dell’identità urbana, argomento sul quale ci sarebbe molto da discutere…
Lo scritto di Luca Di Bartolomei è bellissimo. E’ un parere banale, ma dopo averlo letto non so che altro dire.
@Bocio,
mi leggerò senz’altro la tesi. La cultura brasiliana ha ricchezze inesplorate (solo di recente ho incrociato il modernismo brasiliano e il concetto di “antropofagia culturale” su cui devo proprio ritornare…)
Sulla “carica narrativa”, direi che non deve necessariamente scaturire da un calciatore “vincente” sul campo e anche fuori, “grande” in campo e anche fuori; anzi, è proprio lo scarto, la non-prevedibilità, il non-conformismo a garantire quelle crepe nelle quali potersi infilare per raccontare. Lo dimostra proprio il testo di Luca Di Bartolomei (sì, WM1, è bellissimo): la vicenda di suo padre mi sembra fortemente narrativa, densa…
@Wu Ming 1
le tue parole mi fanno enormemente piacere
quelle poche righe sono semplicemente esplose
grazie luca
Anch’io ho trovato belle, semplici e toccanti le righe di luca di bartolomei, sull’assenza e, in particolare, su quel sottile e maligno senso di colpa, capisco quanto dure e difficili.
E trovo importante anche che intervenga qui con un cenno.
Penso che se lo sport, e il calcio in particolare, trovassero un filone di racconto autentico, non convenzionale, si aprirebbero valigie di memoria, tesori di storie del Paese e non solo, capaci di percorrere in filigrana il passato prossimo e il presente. Qualcosa di molto ricco, proficuo e coinvolgente.
L’eccidio della Fiorentina, i traffici criminali di molte società del sud a capitale mafioso, la miriade di storie personali di ogni sfumatura e colore, sono solo alcuni esempi di una ‘storia sociale’ del calcio, narrazione epica, nera, appassionata e collettiva che andrebbe davvero composta, tassello dopo tassello.
L.
Ho letto il post e i commenti tutto d’un fiato, non mi succedeva da molto. Adesso io ESIGO un romanzo sullo sport scritto da voi. :-)
Alcune considerazioni. Sulla querelle Maradona / Totti ritengo non ci sia nulla da aggiungere a quanto ha già scritto Luca, più volte. Io che non tifo Napoli, che non tifavo manco la nazionale Argentina agli ultimi mondiali [questo è un outing pesante, lo so], ogni tanto cerco QUEL gol di Diego Maradona contro l’Inghilterra ai Mondiali dell’86, con la telecronaca in spagnolo sottotitolata, col telecronista che non ci sta raccontando un gol ma un periodo storico. Si può fare qualcosa di simile per Totti? No.
@The Daxman: accidenti, ma sei il prototipo del romanista eh! Non intendo offendere, è solo che con alcuni di voi proprio non si può parlare. Ci provo ogni tanto, ma la tentazione di ricordare i Rolex, i debiti, il fatto che siate ancora in Serie A per questioni di piazza e che in Francia avreste fatto la fine del Bordeaux (vi piacerebbe, visto come son tornati grandi) a volte, come ora, salta fuori. Seriamente, non avrete i soldi di Moratti, ma il potere politico della Roma e pure della Lazio è evidente. E Totti FA parte del sistema. Cioè la Roma non è il Chievo Verona o l’Albinoleffe, cazzo. Faccina per sdrammatizzare :-)
@tutti
Non è stato fatto, o sbaglio?, il nome di Mourinho. Forse l’unico personaggio realmente interessante transitato per l’Italia ultimamente. Consiglio il libro “L’alieno Mourinho” scritto da Nonricordo Chi e pubblicato per ISBN edizioni. Molto molto molto interessante. E già che ci sono anche un paio di romanzi che ho letto e che parlano di calcio: “Un’ultima stagione da esordienti” di Cavina (Marcos y Marcos), e “Un fuoriclasse vero”, di Unrusso Chenonricordo sempre pubblicato da ISBN.
Manca un Soriano che ci racconti il calcio, ma in Italia, perché nel mondo qualcuno c’è. E qui si ritorna al discorso più generale sul nostro paese.
ciao,
JG
Maradona oggi ha chiesto il Nobel per la Pace per le madri/nonne di Plaza de Mayo.
http://lastampa.it/sport/cmsSezioni/calcio/201010articoli/29687girata.asp
Inarrivabile.
@ Luca Di Bartolomei
grazie a te per esserti lasciato dilaniare dall’esplosione. Quand’ero ragazzino e giocavamo sui prati, se si tirava un rigore “di potenza”, con una gran castagna, lo si chiamava “alla Di Bartolomei”. Quel tiro di tuo padre era “la bomba”. I nostri palloni, calciati così, facevano un grande schiocco. Un’esplosione, appunto. Il tuo testo l’ho sentito come l’estremo rigore tirato da tuo padre.
Confermo, come è ovvio, dal fronte sud. Anche a napoli, e oltre, rigori e punizioni dritto per dritto, pura potenza, erano, solo e sempre ” alla diba”.
Sono da sempre convinto che la macchina del tempo esiste, ed è una sfera. Di cuoio.
L.
@ Luca Di Bartolomei
grazie anche da parte mia, Luca.
Parte laziale, ma per tuo padre questo e altro… :-)
@ Luca,
sì, e c’è da meditare sulla ragione per cui in Italia il calcio non è spunto e materia di narrazione. Neppure la musica, in realtà, a pensarci bene…
@Luca:”Penso che se lo sport, e il calcio in particolare, trovassero un filone di racconto autentico, non convenzionale, si aprirebbero valigie di memoria, tesori di storie del Paese e non solo, capaci di percorrere in filigrana il passato prossimo e il presente. Qualcosa di molto ricco, proficuo e coinvolgente.
L’eccidio della Fiorentina, i traffici criminali di molte società del sud a capitale mafioso, la miriade di storie personali di ogni sfumatura e colore, sono solo alcuni esempi di una ‘storia sociale’ del calcio, narrazione epica, nera, appassionata e collettiva che andrebbe davvero composta, tassello dopo tassello.”
Cosa aspetti a scriverlo? Fila! ;-)
M’è capitato più d’una volta, in ambiente editoriale, di sentir dire che “i romanzi sul calcio non vendono”. Sono quelle affermazioni demenziali, da Bignami dell’Editore di Successo, che però finiscono per circolare e fare parecchi danni. Molti alla fine ci credono e diventano il corrispettivo teorico di certe ricette apotropaiche sul genere “Masini porta sfiga”. Sono abbastanza sicuro che manchi un Soriano, dalle nostre parti, anche a causa di questo dictat, che quasi certamente deriva dal fallimento di un qualche romanzo di scarpette e pelota, magari una ventina d’anni fa.
Quando scrivemmo Q, una delle regolette più gettonate diceva che “i romanzi lunghi non si vendono più”. Forse allora ‘sto romanzo epico sul calcio è il caso di pensarlo davvero….
Why not? Magari tra il secondo e il terzo episodio del Trittico Atlantico… :-)
In Italia non avremo un Soriano o un Galeano, ma (ad esempio) Darwin Pastorin ha scritto cose molto buone, narrazioni di calcio e mitologia che meritano senz’altro di essere ricordate. E come lui altri.
E nel calcio li abbiamo avuti, dei “mitopoeti”. Pensate a quanto il nostro vocabolario sportivo debba a Gianni Brera:
http://it.wikipedia.org/wiki/Gianni_Brera#Lo_stile
Anche “Sfide”, la trasmissione RAI, ha fatto alcune puntate di ottima costruzione narrativa. Però un conto è la mitopoiesi e la narrazione prestata al calcio, un conto sono i romanzi e il calcio prestato alla narrazione. In quest’ultima, non vedo brillare stelle nel firmamento italico. Almeno finora.
“Azzurro tenebra” di Arpino (1977) è un gran bel romanzo. Certo, è l’eccezione che conferma la regola.
Chissà come andò, a livello di vendite. Fosse andato male, peggio di altri romanzi di Arpino, potrebbe essere l’eccezione che la conferma, la regola. Il caso di scuola che ha fatto nascere la diceria sulla scarsa fortuna dei romanzi di cuoio.
Non ho letto il romanzo di Arpino. Ho letto Pastorin, e mi piacciono le sue cose.
Credo che l’ipotesi di Wu Ming 2 sia altamente probabile: qualche grande mente editoriale deve aver pensato che in Italia libri “sul calcio” non venderebbero. Troppo ‘da bar’, il calcio? Troppo da tifosi? Troppo da manichei della domenica (o con noi o contro di noi)?
E forse c’entra, anche, una letteratura (dei narratori, anzi) che se la tira(no) un po’, che si dà(nno) arie, ma poi non tira(no) fuori niente, se non grandi sguardi sul proprio ombelico…
Wu Ming, mi sa che tocca a voi!
Ho un file che ogni tanto aggiorno con frasi su/per il calcio. Potrebbe essere un spunto di partenza e prima o poi lo “libero” in rete. Fra i calciatori ci siamo scordati Eric Cantona (e il film di Loach), Veron (che ha una sua grazia e perle di saggezza), Messi (raccontato da Saviano: l’avete letto? Io no).
Rimango convinto, comunque, che l’agiografia di Zeman potrebbe avere esiti (anche commerciali) potenti. Di oggi è la notizia dell’esonero del figlio allenatore del Manfredonia.
Chiudo con una frase di Osama Bin Laden: “Sognò che giocavamo una partita di calcio contro gli americani e quando le squadre scendevano in campo i nostri erano tutti vestiti da piloti”…Per il trittico atlantico?
Qualche spunto:
Manuel Vazquez Montalban ha scritto un bellissimo saggio sul calcio: “Calcio, una religione alla ricerca del suo Dio”, traduzione di Hado Lyria, Frassinelli, 1998.
Secondo me interessantissima questa sua intervista, tifare Real o Barca era una scelta politica: http://www.vespito.net/mvm/calcio1.html
Articolo su Maradona:
http://www.vespito.net/mvm/maradona.html
Prefazione al libro “Política y deporte” di Luis Dávila:
http://www.vespito.net/mvm/prolpoldep.html
Come dimenticare poi il romanzo “Il centravanti è stato assassinato verso sera”, (El delantero centro fue asesinado al atardecer, 1988), traduzione di Hado Lyria, 200 pagine, Feltrinelli “I canguri” 23 (1991, ISBN: 88-07-70023-9) e “Universale economica” 1249 (1993, ISBN: 88-07-81249-5). Beh, il calcio così come il “giallo” gli serve per descrivere d’altro, ma se si parla di romanzi sul calcio, nella mia ignoranza, dopo Soriano mi viene in mente questo.
http://www.vespito.net/mvm/delcen.html
innanzitutto vi odio a tutti per aver allungato in maniera scandalosa la mia già kilometrica wish list :)
@wm1
su del piero hai stuzzicato la mia curiosità, da buon juventino che si ricorda ancora certe parabole tracciate negli stadi nella seconda metà degli anni ’90 (una su tutte il terzo gol in una rimonta epica contro la fiorentina). l’ho sempre considerato un calciatore che non faceva parlare di sé fuori dal campo di gioco, come è stato già ricordato in paragone con il matrimonio di totti in esclusiva televisiva. lungi da me considerarlo un “fondatore di discorsività” ma vorrei sentire le quattro che volevi dire :)
e volevo sottolineare, senza polemica alcuna, sia chiaro, come nell’ambiente calcistico romano (soprattutto giallorosso), si vivano sentimenti troppo contrastanti, dal trionfalismo per due vittorie consecutive alla tragicità di due sconfitte in serie. una caratteristica molto italiana direi.
Chiarisco: ne avrei dette quattro se qualcuno lo avesse proposto come “fondatore di discorsività”, perché, almeno per me, Del Piero ha carica narrativa pari a zero. E poi ci ha sfranto le balle a tutti quanti con ‘sta cazzo di acqua Uliveto, il fringuello (non ci vuole Freud per capire cos’è), la Chiabotto e la suora farfugliante. Infine, è recentissimo il suo accorato appello: “Ridateci gli scudetti di Calciopoli”. Il colpo di spugna postumo sul sistema Moggi. Ma sì, in fondo non è successo niente. Anche questa è una caratteristica molto italiana, direi :-)
dimenticavo una cosa.
non mancano assolutamente i brocchi nel nostro panorama.
me ne vengono in mente due, Fausto Rossini e Bernardo Corradi; mi ha sempre incuriosito come sia stato possibile che abbiano sempre trovato qualche contratto in serie A. Anche Gresko era un ottimo candidato, sembrava uno spettatore sorteggiato a caso, ma purtroppo lo trombarono subito.
Su calciopoli non mi pronuncio, prima, a furia di sentirmi ripetere che rubavamo e basta, ero arrivato a crederci anch’io. ora, leggendo qualcosa qui e là, ho parecchi dubbi in più. ma sicuramente non ho mai pensato che dal giorno della sentenza sia tutto pulito e lindo.
Nel cinema ha discretamente funzionato commercialmente “Amore, bugie e calcetto”, commedia IMO godibile.
Certo non è una storia sul calcio, ma ricordo a suo tempo che il film tv su Pozzo e l’Italia del 34 andò bene e poi c’è stato “L’ultimo rigore”.
Non sto parlando di capolavori, ma di lavori discreti nel loro genere e ad ogni modo destinati ad un grande pubblico.
Per cui non vedo come non possa funzionare commercialmente un buon libro sul calcio e da chi un tempo si chiamava Luther Blissett è quasi un dovere morale :)
Ah, sempre sul calcio consiglio Dimitrijevic – La vita è un pallone rotondo.
Riflessioni di un letterato sul gioco che tanto ci appassiona e ci fa innamorare.
@ Stefano
certamente no, dopo la sentenza non è tutto lindo e pinto, anzi! Anche perché non si è andati davvero a fondo. L’importante è non spingersi a dire che andava tutto bene *prima* :-)
Ah, ma nessuno ha citato Brian Clough, l’allenatore del Nottingham Forest campione d’Europa?
In Italia non so se è uscito “The Damned United” storia sulla sua brevissima (44 giorni) e ingloriosa esperienza al Leeds, ma libro e film meritano attenzione.
Clough è stato un allenatore fortemente innovatore sia sul piano tecnico che su quello mediatico, con dichiarazioni spesso fuori dalle righe, offensive se non peggio, a suo modo un Mourinho ante litteram, ma ha saputo costruire squadroni partendo dal nulla.
Sopratutto era un allenatore ossessionato dal suo grande avversario, Don Revie; ossessione che lo portò a rovinarsi il fegato (letteralmente) e ad un passo dal baratro.
Personaggio molto complesso, certamente difficilmente replicabile di questi tempi così omogeneizzati.
@Ataru
Sono usciti sia il libro di David Peace che il film. Il libro sto aspettando che me lo prestino, il film l’ho scaricato e devo dire che mi è piaciuto abbastanza [da ragazzino mi piaceva l’idea del Leeds Utd, che vinse il campionato da neopromossa, cosa per noi italiani inconcepibile!]
Dopo questi commenti, mi viene da dire che bei libri sul calcio [e di calcio, e intorno al calcio ecc.] se ne trovano abbastanza, forse è il film *definitivo* che manca.
ciao,
JG
Mi correggo:
Il Leeds a cui faccio riferimento vinse la Premiership nel 1991-92 ma non da neopromossa, era stata promossa l’anno prima. Inizio a perdere colpi! :-(
Ma di bei libri sul tema ne esistono tanti, il problema è che in Italia siamo carenti, proprio perché nessuno tenta “l’impresa”, il romanzone epico sul calcio.
@Wu Ming 1
già… Ma su quale calcio? E quanto epico? Un “azzurro tenebra” aggiornato al dopo-calciopoli? Un “The Damned United” ambientato quando in Coppa dei Campioni andavano ancora esclusivamente le squadre campioni del proprio paese? A me piacerebbe partire dal locale, quando i calciatori non erano per forza i bei milionari attuali e al massimo diventavano [dopo il calcio e grazie al calcio] impiegati comunali, muratori ecc. Al paese di mio padre ce ne sono un sacco di storie così, come credo in tutti i paesi.
Poi c’è il discorso che fa Wu Ming 2 sugli editori e sull’incapacità di rischiare basata sulla credenza che “i romanzi sul calcio non vendono”. O magari molti scrittori ed editori non amano il calcio, e quindi non ne scrivono.
Boh, oggi molti input. Bene!
ciao,
JG
@john grady
facile, troppo facile
un romanzo sul grande torino, secondo me
forse la letteratura sportiva è considerata di serie B, come qualche anno fa quella gialla e noir?
Bello il libro di Cavina sugli esordienti, soprattutto per chi lo è stato. Io segnalerei anche “E’ finito il nostro carnevale” di Fabio Stassi, che ripercorre i Mondiali fin dalle prime edizioni, e di mezzo ci sono storie di guerre e di musica. Poi scusate ma a me Gianni Mura piace da morire, la sua rubrica dei cattivi pensieri etc.
Menzione a parte per Luca Di Bartolomei, me lo ricordo in qualche puntata di Goal di Notte, bella trasmissione che va in onda da una marea di anni su T9, tv locale del lazio e dintorni. L’ideatore si chiama Michele Plastino, e fa anche un’altra bella trasmissione Goal senza frontiere, un laboratorio per formare nuovi giornalisti sportivi. Mi ricordo le sue storie ( di Plastino ) raccontate con The End dei Doors sullo sfondo. Ecco, via, anche per gli sbarbatelli di oggi non tutto va male, se poi la Wuming factory ci piazza pure il gollonzo libresco…
Per quel che ne so tra gli ultimi romanzi sul calcio, che partano dal campetto per svariare in altri argomenti c’è “L’inattesa piega degli eventi” in cui c’è un bel fondatore di discorsvità come Cumani, ma non solo.
In effetti all’estero escono più romanzi sul calcio “reale”, qua in Italia sembra che si deva mascherarlo di ucronia e invenzione l’argomento, per poterne parlare.
Grazie a tutti per gli ottimi spunti ;-)
Ma c’e’ un calciatore che e’ fondante di una discorsivita’ moderna (e imvho starebbe bene in un romanzo di wuming o di decataldo), ed e’ romano e romanista ma non e’ Totti, e’ Daniele De Rossi (a.k.a. Capitan Futuro), leggete pure al sua biografia “Il mare di Roma” ce n’e’ di spunti…
A me pare che in questa discussione l’espressione “fondatore di discorsività” sia usata per dire cose diverse, dentro ci sta un po’ di tutto, compresa la pura e semplice celebrità mediatica. In parole molto povere mi pare che citando esempi come Totti (giusto perché è saltato fuori per primo…) stiamo appiattendo il discorso sulla semplice capacità di alcuni personaggi di trasformarsi in metonimie di qualcosa (dell’autenticità, del senso dell’onore, etc.). Una specie di processo di intellettualizzazione…
Invece la cosa più interessante è che alcuni “eroi” o antieroi del calcio resistono nella memoria e addirittura hanno condizionato il corso di eventi collettivi grazie a gesti concreti, a fatti precisi di cui sono stati protagonisti. Momenti culminanti di storie che a loro volta si agganciano ad altre storie.
Molti dei gesti di cui stiamo parlando non sono solo gesta sportive (che ne so, una tripletta di schillaci o di gigi riva), ma sono gesti carichi di eccesso simbolico, capaci direttamente o indirettamente di rompere all’improvviso non solo le regole, ma allo stesso tempo anche il codice (implicito) della trasgressione alla regola!
Mi viene in mente a proposito il caso di Ezio Vendrame, la storia di una partita in forte odore di combine, lui a un certo punto prende palla e comincia a scartare tutti i suoi compagni fino ad entrare in area e a fingere di tirare contro il proprio portiere, che cade inerme alla finta di Vendrame… il pubblico ammutolisce, il mito vuole che addirittura uno spettatore sia morto d’infarto…
Gesto + eccesso simbolico. Proprio Vendrame è un calciatore/allenatore e scrittore. Nato nello stesso paese e praticamente nello stesso anno in cui Pasolini veniva processato per atti osceni in luogo pubblico. Amico di Piero Ciampi (cantautore e poeta capace di insultare e scatenare la rissa con Aldo Savoldello (in arte Mago Silvan), senza conoscerlo, per il puro gusto di prendere a pugni un simbolo della ciarlataneria…)
Ricordo certi passaggi di SMV (Stile Maschio Violento) di Valerio Marchi (e altri suoi scritti) in cui raccontava/analizzava il gioco del calcio con uno sguardo poco convenzionale, una narrazione intensa dal taglio spiazzante -sorretta da una prosa invidiabile- capace di coinvolgere pure me che di calcio proprio non mi intendo.
Quella di VM era una produzione saggistica connotata da una forte, non so come dire, impronta narrativa.
Ecco, mi sembrava giusto ricordare pure lui, aggiungerlo alla lista dei nomi e dei titoli che avete elencato.
Quasi perfettamente d’accordo con Bani.
Il “quasi” è dovuto al fatto che per me la fondazione di discorsività da parte di un calciatore è: gesto + eccesso simbolico + grande notorietà nella popular culture. In Maradona quest’ultimo tratto è indubitabile, in Vendrame (come si diceva sopra) molto meno. Purtroppo, aggiungo. Perché a me Vendrame piace, penso si fosse capito :-)
Casualmente “Destini incrociati” di Radio 24 parla di George Best.
http://www.radio24.ilsole24ore.com/main.php?articolo=bus-babes-belfast-boy-george-best-matt-busby-calcio-irlanda
Una riflessione (amarognola) che trae spunto da questo thread:
http://www.hyperbros.com/rubriche/il-fuorigioco-e-una-linea/735-da-socrates-al-campetto-dietro-casa
Non condivido fino in fondo la tesi del Maradona fondatore di discorsività, di character che eccede i confini dell’intreccio nel quale si trova a muoversi.
Pur essendo innamorato della poetica calcistica di Maradona, ho più di un dubbio sulla ridefinizione dei confini tracciati dal mito Maradona nell’immaginario collettivo.
Mi spiego. Mi pare – anche da molti interessanti commenti qui sopra – che non si consideri fino in fondo l’estetica calcistica maradoniana impastata di dribbling danzeggianti, incantevoli geometrie balistiche, tocchi mozzafiato da latitudini impossibili del campo ma anche del riprodottissimo gesto antisportivo contro l’Inghilterra.
Quel gol fatto con la “mano di Dio” è ancora oggi acriticamente accettato (se non beatificato) da una grossissima fetta di quello stesso mondo intellettuale (scrittori, registi, giornalisti) che snobba (giustamente, aggiungo io) il calcio contemporaneo rintracciandone la deriva nella deleteria “onda” edonistica degli anni Ottanta. Quel gesto – non a caso – è ancora oggi una delle immagini più riproposte di Maradona, forse ancor più del magnifico gol fatto nella stessa partita (11 tocchi, tutti di sinistro, prima di mettere il portiere a sedere).
Mi chiedo e vi chiedo: non credete che anche quel gol di mano abbia contribuito a costruire quell’etica del sè ipertrofico secondo la quale “tutto è lecito, tutto è consentito se è utile alla mia causa” – o per dirla alla Kissinger (mi pare) “Right or wrong, my country”.
Insomma, vi confesso un certo fastidio per l’entusiasmo nei confronti della poetica del Pibe de oro paladino degli oppressi, degli ultimi e via dicendo… Che durante il ‘cacerolazo’ argentino ci fosse “un popolo intero in mutande per strada, la maglia col numero dieci sulla schiena” (come durante il commercialissimo show di presentazione di Maradona al San Paolo) mi sembra testimoniare una scarsa capacità di comprensione dell’esistente.
p.s. Fra i fondatori della discorsività, mi permetto di aggiungere anche Paolo Pulici, bandiera granata degli anni Settanta che alla Juve degli Agnelli segnò in tutti modi.
Le maglie di Maradona nel cacerolazo argentino sono solo la testimonianza che il personaggio è “larger than football”, eccede e modifica il suo terreno di riferimento. Da qui a farne un paladino degli oppressi ce ne passa, ma non mi sembra sia il caso di questo thread. Sono convinto che l’antipatia per Maradona sia spesso e volentieri un’antipatia borghese, molto simile al disprezzo per il parvenu non integrato e strafottente, che si porta dietro modi ed eccessi da poveraccio: uno che non sta al suo posto e all’occasione segna con le mani. Un ego grande come una casa, sicuro, ma alla fine troppo grande per la sua stessa causa, incapace di elaborare una strategia precisa, di stare al gioco fino in fondo, di cedere sul proprio desiderio. Per questo non mi riesce proprio di schierarlo con la maglia cangiante del “right or wrong, my country”.
Oggi è stato il giorno dell’Apparizione di Zeman a Roma. Stadio pieno, cori e 6 gol. Fra gli spettatori: Nicola Piovani, musicista, Antonello Venditti, compagno di scuola, e Bobo Craxi, figlio di.
Esultare con Bobo ai 3 gol del Foggia: potenza di Zeman.
Intervengo solo adesso perché ho notato ora la piega della discussione nei commenti.
In realtà qualcuno ci ha provato, a fare “il” romanzo sul calcio (italiano). Santoni & Salimbeni, “La maledizione di Roberto Baggio”, 2007-2008. Romanzo a “quest”, con due tifosi su e giù per l’Italia alla ricerca delle tracce di Roberto Baggio e della sua vicenda, grande rimosso della coscienza calcistica italiana, e con lei della storia di questi vent’anni, vista attraverso la lente del mondo del pallone. Venti incontri tra Coverciano, Milano, Brescia, Caldogno e Torino, venti “guardiani” ognuno con la sua storia, fino allo showdown argentino con il mito (o con la sua assenza, o con il suo riverbero).
Risultato? Quando ci capitava di parlarne con altri scrittori, dovevamo *specificare* che era una cosa vera (dialogo tipo: “e su cosa state lavorando?” “un libro su Baggio” “ah ah dai dico seriamente!”) e più di una volta mi è capitato di dover sottolineare che stavo lavorando ANCHE a un romanzo “serio”, ovvero non a tema calcistico.
Da altri impegni affaccendati (io la SIC e il nuovo romanzo “serio”, Salimbeni la sua carriera di drammaturgo in Milano), non ci siamo dedicati troppo al proporlo in giro, tuttavia è passato tra le mani di tre editor di tre importanti case editrici: bon, tutti per loro stessa ammissione non avevano mai visto una partita di calcio, quindi non potevano cogliere le centinaia di riferimenti a questo o quel personaggio, questo o quel mito, questo o quell’episodio della storia del calcio – fattori su cui ovviamente si fonda il romanzo – e in generale, tra pregiudizi anticalcistici da intellettuale-italiano-di-sinistra, vaghi riferimenti alla poca vendibilità di libri a quattro mani (?) o alla “non letterarietà” del tema (???), lo bollavano chi come oscuro (e ti credo, se non sai chi è Taribo West o Sacchi o Van Basten o Ulivieri, non potrai godere del capitolo con Taribo West o Sacchi o Van Basten o Ulivieri) chi come “troppo atipico”. Alla fine gli altri impegni ci hanno sommerso e il romanzo sul calcio italiano è rimasto in un cassetto :)