Sabato 11 dicembre abbiamo presentato al Modo Infoshop di Bologna, insieme all’autrice e alla semiologa Giovanna Cosenza, il libro di Loredana Lipperini Non è un paese per vecchie (Feltrinelli, 2010).
La discussione, durata un paio d’ore, ha collegato fra loro tre tabù, tre interdizioni, tre rimozioni che oggi orientano il discorso pubblico. Tre cose di cui si deve parlare il meno possibile: la vecchiaia, il morire e la divisione della società in classi. Per questa “griglia” sono passati molti argomenti: l’omologazione dei corpi e delle facce, l’obbligo sociale a fingersi giovani e a essere stronzi, la demitizzazione dei “fantastici anni ’60”, la raffigurazione (o l’assenza) delle donne anziane nella letteratura, la necessità di ritrovare rituali del morire e del lutto etc. Numerosi i riferimenti, diretti e indiretti, alle lotte in corso, a cominciare – com’è ovvio – da quella degli studenti.
Ecco l’audio della serata, diviso in cinque capitoli, ciascuno con il suo abstract.
Per ascoltare in streaming senza abbandonare questa pagina, cliccare sul logogramma “play”. Per scaricare l’mp3, cliccare sulla freccia rivolta in basso. Buon ascolto.
JEUNISME – 21’17”
JEUNISME – 21’17”
Introduce Giovanna Cosenza: allargate i locali – L’apparente scomparsa dei vecchi – Loredana Lipperini: come è nato questo libro – Comincio sempre con le cifre – “Pantere d’argento” – I tre casi: truffa, morte solitaria ed emergenza-caldo – Il “nonno” come non-persona – Le over 55 in televisione – Le donne della generazione-sandwich, spina dorsale del welfare in Italia – Cito troppo spesso la Svezia – Il titolo del libro è stato imposto – Giovanni Rana e Tonino Guerra – Ammazza la vecchia sulla Linea B – La fila alla mensa dei poveri – Le “velone” di Antonio Ricci – Giuseppe De Rita non è Che Guevara.
MEMENTO MORI – 14’53”
MEMENTO MORI – 14’53”
Wu Ming 1: a proposito di Ricci – Aznavour – Catalogo di solitudini – Femminicidio nella terza età – La rimozione della morte – Death metal – Le invasioni barbariche e La prima cosa bella – Philippe Ariès, Storia della morte in occidente – Il consumatore non va turbato – De-ritualizzazione, via le manifestazioni del lutto (non c’è niente da elaborare!) – Di cosa puzzano i vecchi? – Il consumatore è immortale – Loredana Lipperini: sui venditori di casse da morto – Twilight e la fighettizzazione del vampiro – Revenant – Gli oggetti non si riparano più – La mia lotta – La maschera della donna liftata – Assunta Almirante (!) – Senza un mito della fine – I libri “non-preoccuparti” per le donne cinquantenni – “Io sono immortale” – Wu Ming 1: non è immortale, è un non-morto – Feltrinelli antifrastica – Loredana Lipperini: “diversamente giovani”.
MILLENOVECENTOQUARANTADUE – 19’06”
MILLENOVECENTOQUARANTADUE – 19’06”
Giovanna Cosenza: la copertina di Time del 1967 – “La generazione che ha inventato i giovani” – Dai 68 in giù siamo tutti giovani: la mono-generazione – I vecchi sono quelli che mostrano l’età – I poveri sono vecchi – La ruga maschile e quel che ne verrà – Obama pre e post – Se hai sbagliato chirurgo… – Loredana Lipperini: esiste la generazione vampira? – Matteo Renzi, il giovane più vecchio d’Italia – Ageism – La “Big Map” e i suoi quadranti – Donne over 50 sui social network: “Porelle…”
EDUCATION FOR THE MASSES, NOT THE FUCKING RULING CLASSES – 33’09”
EDUCATION FOR THE MASSES, NOT THE FUCKING RULING CLASSES – 33’09”
Wu Ming 1: il tabù della divisione in classi – Lo slogan che dice tutto – Un esempio di superamento del gap generazionale: l’ANPI – Giovanna Cosenza: moltiplicare le rappresentazioni – A proposito di nativi digitali e migranti digitali – Loredana Lipperini: il manager della Marzotto – Fuori dalle cerchie, il mondo di Minzolini e Mimun – Saramago – Le ultime cinque Miss Italia – Pippi Calzelunghe – Prima domanda: le donne anziane nella letteratura italiana – Tentativi di risposta da parte di tutti – Seconda domanda: neoliberismo ed entropia – Loredana Lipperini: una nota sulla destra xenofoba in Svezia – Terza domanda: “io vengo da esperienze politiche femministe pesanti” – La prima differenza è quella di genere – Contro l’universalismo neutro, il corpo – Loredana Lipperini: attenzione alla “deriva” delle differenze, attenzione all’ossessione del corpo – Giovanna Cosenza: lo spot “Sorelle d’Italia” di Calzedonia – Parlare della morte per re-imparare a viverla – Quel che è successo alla mia più cara amica – Wu Ming 1: non c’è niente di sbagliato nel rituale – Loredana Lipperini: ricordiamoci del caso Englaro – Giovanna Cosenza: funerali, risate, bambini.
L’ESSENZA DI UNA COSA NON APPARE MAI ALL’INIZIO, MA IN MEZZO * – 32’07”
L’ESSENZA DI UNA COSA NON APPARE MAI ALL’INIZIO, MA IN MEZZO * – 32’07”
Domanda: sindacati, precari, età dei precari – Loredana Lipperini: rifiutare le contrapposizioni di categoria e/o generazionali, no al risentimento – “Quella dei trentenni non è una generazione” – Giovanna Cosenza: gli anni Ottanta e gli anni Sessanta – La famiglia nucleare del Boom – Wu Ming 1: il vero inizio è a metà – Giovanna Cosenza: “Non ti amo più” – Intervento sugli anni Sessanta – Precisazione di Wu Ming 1 – Intervento su estrogeni, testosterone e co-housing – Wu Ming 4: due consigli di visione (cinematografica): Rapunzel e Up – Da qui in avanti è rimbalzo continuo, varie voci – Saluti e ringraziamenti.
Non è un paese per vecchie su Amazon.it e su libreriauniversitaria
Che bella questa conversazione, c’è un sacco di cose dentro.
Dico una cosa sui vampiri, che mi è venuta in mente proprio leggendo il libro di Loredana, e proprio quella rassegna di agghiaccianti commenti presi dalla Rete o da altrove, dove i giovani parlano dei vecchi come di qualcosa da eliminare fisicamente, gente inutile che succhia sangue alla società.
Eccolo il vampiro: il mai morto (nel senso che non si decide a morire una volta per tutte), che si nutre a spese di chi è vitalmente produttivo. Capisco che si possa leggere in modi diversi (il simbolo è sempre polimorfo e pluridirezionale), ma qui io ci vedo proprio il conflitto generazionale indotto dalla penuria, una volta passato il concetto che il Welfare è una coperta troppo corta per tutti. Altro che negare la divisione in classi: qui la lotta di classe rischia di pervertirsi in una versione grottesca della biopolitica.
Il giovane che citava lo slogan thatcheriano non si è ricordato che lo slogan era “esistono solo gli individui e le famiglie”…scusate l’intervento un po’ da maestrino ma mi sembra una correzione importante. Domani mi ascolto tutto comunque quello che ho ascoltato è come al solito interessantissimo.
Non ho sentito l’ultimo pezzo, e mi scuso se le cose che scrivo sotto sono gia’ state ricordate:
Anziane protagoniste:
L’Agnese va a morire
Arzestula
Morte e riso: In Dona Flor e i suoi due mariti (Jorge Amado) si ride e ci si diverte al funerale del primo marito di Dona Flor.
sto finendo di ascoltare la presentazione, vi ringrazio per averla messa online.. Volevo notare una cosa riguardo il conflitto intergenerazionale, perché mi pare che nessuno l’abbia fatto. In realtà, mentre si dice che i vecchi impediscono ai giovani di costruire il loro futuro, sono proprio le pensioni, nonostante il basso livello medio, a mantenere moltissimi studenti, precari e disoccupati. Ed è un meccanismo che funziona ora, ma che inevitabilmente cadrà in futuro, con conseguenze immaginabili.
[…] Giap: l’audio della presentazione di “Non è un paese per vecchie”, con Wu Ming 1 e […]
A proposito di classi sociali c’è da dire che per molti anni il tabù della lotta di classe ha dominato anche in buona parte della cosiddetta area antagonista (centri sociali, ecc.).
Negli anni Novanta era quasi una bestemmia. Ora le cose stanno un po’ cambiando. Sarà la crisi che morde il culo anche al ceto medio…
Mi ricordo nitidamente un’assemblea del movimento studentesco a Bologna (al 38) nell’autunno del 1994. Io feci un intervento dicendo che bisognava portare la lotta su un terreno di classe, ecc. Intervenne allora un certo [cancellato dagli amministratori] che mi sbeffeggiò allegramente con solidi argomenti come: “Proletari? Borghesi? Padroni? Lotta di classe? Ahahah! Tu sei rimasto all’Ottocento!”
Replicai che negare la lotta di classe è la base dell’anti-comunismo e che parte del movimento stava andando in quella direzione. La risposta fu:
“Stai attento a quello che dici! Perché io ti spacco la testa!”
Destino volle che io mi presentai all’assemblea con la testa già rotta. Alcuni giorni prima, infatti, c’era stata la grande manifestazione del 12 novembre 1994, che fece cadere il governo Berlusconi, e ai margini del corteo alcuni neofascisti mi spaccarono la testa con una catena, punti di sutura, ecc.
A destra mi spaccavano la testa, e a sinistra minacciavano di rispaccarmela. Capii che stavano iniziando tempi abbastanza difficili. Almeno per me : )
Ah, i bei ricordi di gioventù…
@ Giacomo
però, dai, almeno i nomi (o i nomignoli riconoscibilissimi) dei compagni non facciamoli, l’aneddoto si poteva raccontare benissimo anche tralasciando quel dettaglio. Nessuno è qui per sputtanare retroattivamente nessuno…
ancora non ho ascoltato niente, faccio una brevissima considerazione che magari non c’entra niente.
in televisione mi sembra di vedere una contrapposizione netta della rappresentazione dei “giovani” contro i “vecchi”. Lasciando perdere le cavolate alla amici/mtv ecc.. Negli spazi concessi dalla tv “seria” (tg, santoro, floris, vieni via con me, che tempo che fa, …) così come in quelli della politica, i “vecchi” egemonizzano tutto con la loro presenza fisica e i loro discorsi . i “giovani” sono sempre relegati a contrappunto macchiettistico e ridotti al silenzio all’interno di categorie svuotate e insiemi inventati dalle parole (“quelli dei centri sociali”, i “violenti”, “l’assemblea (al singolare! come se tutto ciò che è accaduto nei giorni scorsi fosse diretto da una regia univoca) degli studenti”).
penso che non ci sia prova migliore di questa: http://www.youtube.com/watch?v=7_4nM-CynJ4&feature=player_embedded#!
prima di tutto, la domanda della giovane giornalista (chiamata in causa appositamente, come se Santoro non potesse rivolgersi in modo altrettanto “serio” (non trovo la parola giusta) a qualcuno appartenente ad una generazione diversa) gli chiede di esprimersi su quello che è diventato il fenomeno mediatico della “violenza dei manifestanti” (argomento “facile” su cui anche chi prende il caffé al bar può velocemente dire qualcosa sfogliando i titoli dei giornali) e non sul motivo per cui tante persone decidono di protestare (argomento che presuppone l’approfondimento e la riflessione; uno sguardo dall’alto che comprenda studenti, operai, e magari i poliziotti stessi che avevano protestato il giorno precedente).
In secondo luogo, appena lo studente, intelligentemente, scarta la semplicità della domanda iniziale e denuncia il disagio che prova assieme a tanti coetanei, la russa si inventa una scenata ad hoc per impedirgli di continuare a parlare e lo accusa completamente a vanvera (riascoltare le parole dette in 60 secondi dal giovane che inizia, appellandosi ad un “fatto concreto” quasi a difendersi da quello che gli verrà somministrato di lì a poco) di apologia di reato.
anche lui evidenzia il modo in cui i “giovani” vengono trattati: “battute”, “insulti”, mai un dialogo vero.
trovo piuttosto interessante anche la prima frase che la russa utilizza per interrompere: “quanto dura il comizio?” Il ministro non potrebbe permettersi di interrompere allo stesso modo (“apologia di reato”, “comizio”, un tentativo di fuga) un collega della parte avversaria. Mi sembra di rilevare la volontà di escludere dai giochi della politica una parte della società che è indesiderabile per chi detiene i fili del potere, da una parte e dall’altra. Una volontà che è assolutamente paradossale per qualsiasi accezione della parola “politica”.
@ WM1
hai ragione, mi è scappato.
@ giacomo m.
La tua riflessione è solo relativamente OT. Faccio notare che Annozero è un programma in cui le dinamiche che tu descrivi – al netto dello show di La Russa che era con ogni evidenza premeditato – sono agevolate. I “giovani” sono sempre in piccionaia, mentre i grandi attori della politica sono al centro dell’arena. Ovvero: i giovani sono spettatori della scena politica ai quali ogni tanto viene data la parola per pochi minuti.
Comunque il libro di Loredana Lipperini è sui vecchi… :-)
E’ da qualche tempo che con la mia compagna si discute di questi argomenti e vi garantisco che parlare di anzianita’ e sopratutto di morte con una donna richiede livelli di prudenza ALTISSIMI, sopratutto nella scelta dei termini usati (certe pizze a mano larga ai primi tentativi!). Le mie guance ringraziano organizzatrici/ori e partecipanti per gli ottimi spunti e il ricchissimo vocabolario che provero’ ora a tradurmi in inglish, nonche’ ovviamente I WuMing per aver messo a disposizione l’audio.
Da “vecchio” mi auguro che il “discorso pensioni” possa attivare le menti di molti dei lavoratori che al momento si sentono “il culo parato” ; farli riflettere sull’importanza del supporto alle proteste di questi giorni, fosse anche solo, come diceva Luca “dare fiducia, e nel caso fornire un riparo, se e quando sarà necessario.”
Un paio di segnalazioni. C’e’ un piccolo film/docu Italiano di qualche mese fa (non so se sia stato menzionato durante la serata, l’audio alla fine era molto confuso):
http://www.youtube.com/watch?v=3AkosFliKG8
In tema memento mori, sicuramente:
http://it.wikipedia.org/wiki/Mare_dentro
Stiamo cercando di recuperare tramite the local library (a noleggio) questo:
http://www.wmm.com/filmcatalog/pages/c129.shtml
Qualsiasi cosa aiuti a frenare il regresso.
Night.
In veste di “responsabile” dell’intervento sugli anni ’60, intervengo per una piccola precisazione :-)
La mia non voleva essere una difesa dei “fantastici anni ’60”. Semplicemente, la mia intenzione era di sottolineare il fatto che gli anni ’80 hanno effettivamente rappresentato un momento di rottura su tutti i piani, spazzando via molto di quello che aveva caratterizzato i decenni precedenti.
La necessità di questo intervento era nata da un briciolo di scetticismo sui “limiti di applicazione” dell’idea deleuziana secondo cui “l’essenza di una cosa non appare mai all’inizio, ma in mezzo”. Il riferimento fatto da Wu Ming 1 è sicuramente molto suggestivo, e ci ho riflettuto molto dopo quella sera. Però, come tutti gli “insight” filosofici più illuminati, secondo me soffre di alcuni limiti.
Se non ricordo male (non ho ancora riascoltato l’audio della serata), l’idea espressa da WM1 ricorrendo a Deleuze era che già negli anni ’60 avevano preso il via le tendenze che si sono poi appalesate negli anni ’80 sull’onda del motto tatcheriano.
Sicuramente c’è del vero in questa affermazione… però allora perché non far risalire “l’inizio” alla Rivoluzione Inglese (e quindi alle prime affermazioni dell’idea liberale), o alle politiche liberiste degli Stati europei nel XIX secolo? Perché proprio gli anni ’60 e non i ’40-’50, che con il Piano Marshall e l’affermarsi del modello economico-culturale statunitense rappresentano forse il momento di massima trasformazione nelle abitudini di vita e consumo di tutta la storia europea?
A fronte quindi delle indubbie continuità – che possono essere forse riscontrate in qualsiasi intervallo storico, a prescindere dalla sua durata (anni, decenni, secoli…) – la mia intenzione era quella di sottolineare le discontinuità. Come sempre, è una questione di prospettiva… il fatto che si sottolineino le une o le altre non genera per forza due modi incompatibili di “ritagliare” quello che accade.
Ora, l’elemento che irrompe sulla scena fra gli anni ’70 e gli ’80, segnando una rottura rispetto ai decenni precedenti secondo me c’è, ed è ben identificabile: il tramonto dell’idea di Stato Sociale. Questa affermazione non comporta per forza di cose un giudizio univocamente positivo sul periodo 1945-1973 (dalla fine della II Guerra Mondiale allo schock petrolifero). Non è mia intenzione, cioè, adottare una prospettiva “nostalgica” su quei decenni.
Rimane il fatto che dalla metà degli anni ’70 comincia il grande arrembaggio della “superclass” (a proposito di classi…). Da quel periodo la forbice fra i redditi più alti e quelli più bassi torna ad allargarsi, mentre i membri delle classi lavoratrici vengono sempre più cooptati nella mentalità “yuppie” del successo individuale… nel frattempo, si fa largo l’idea che l’Unione Sovietica abbia i giorni contati e che basti solo qualche spallata qui e lì per far crollare il blocco comunista (magari facendo eleggere un papa polacco e supportando i movimenti cattolici di opposizione oltre la Cortina di Ferro). Le idee monetariste e neoliberali cominciano a conquistare le classi dirigenti occidentali e a plasmare le loro politiche economiche, fino a “colonizzare” istituzioni come Fmi e Banca Mondiale…
Per farla breve: secondo me quel frangente storico ha davvero rappresentato un momento “unico”, di forte rottura. Il terreno era pronto. Ma quello che è accaduto è stato qualcosa di veramente radicale.
Francamente, non vedo nelle politiche welfaristiche degli anni ’60, o in un “grande ritorno” dello Stato nazionale (come molti invece auspicano) la soluzione a questi problemi… e, per citare “pro domo mea” l’affermazione di Deleuze, forse proprio in questi anni – a metà del cammino – si sta svelando l’essenza di quanto cominciato ormai trent’anni fa.
Proprio per questo, distruggere pezzo per pezzo l’immaginario sociale – centrato sull’individualismo e sul rifiuto di categorie come “classe” – creato a partire da quel periodo, e sostituirlo con un nuovo “frame”, è secondo me una priorità. Ecco la ragione per cui volevo sottolineare quella discontinuità…
Mi dispiace tantissimo che, in una curiosa eterogenesi dei fini, e in larga parte per la mia scarsa capacità di sintesi e precisione, questo sia stato letto come una difesa nostalgica di un’idea di stato e di società dalla quale mi sento invece molto lontano :-)
@ Don Cave,
no, tranquillo, non credo che il tuo intervento sia stato letto come temi :-)
Secondo me negli anni ’60 si palesa un elemento di discontinuità, ed è nel “Boom” (convenzionalmente, lo si fa iniziare nel 1958), nel benessere, nel tumultuoso sviluppo che cambia la faccia al Paese nel bene e nel male. Grandi Opere, industrializzazione, inurbazione, asfalto, amianto, l’auto che diventa bene di massa, inizio della secolarizzazione della società (in pochi anni cala drasticamente il numero di persone che vanno a messa). E’ l’affermazione di quel che nel linguaggio dell’epoca si chiamava “neocapitalismo”, in contrapposizione al “paleocapitalismo” dell’Italia liberale e poi fascista e poi dell’immediato dopoguerra. Quel tumultuoso sviluppo innesca una trasformazione antropologica, che infatti molti descrivono, con variare di accenti. L’analisi di Pasolini era fortemente viziata da un’idealizzazione del mondo contadino, che invece era un mondo di miseria, di soprusi e di orrori, ma è innegabile che avesse colto le discontinuità. E (a dispetto del cliché di un Pasolini pienamente apocalittico), in quegli anni colse anche i contrasti e le contraddizioni, le novità positive. Nel ’68 scrisse che il movimento studentesco, dopo la Resistenza, era l’unico momento di “democrazia reale” mai vissuto dagli italiani. Per riprendere la suggestione deleuziana, il neocapitalismo sorge in un insieme “che ancora non lo implicava”, e deve combattere per imporsi. E’ solo negli anni Ottanta, una volta sconfitti i suoi nemici, che consolida le proprie forze.
Chiaramente, queste sono suggestioni, narrazioni metaforiche, non analisi serrate a colpi di dati e tabelle. Stiamo parlando dell’immaginario. Negli anni Sessanta l’immaginario neocapitalistico conviveva con altro. Dagli anni Ottanta in poi, almeno in Europa, ha spadroneggiato con pochi contrasti.
@ Wu Ming
Condivido assolutamente le tue considerazioni. Il nocciolo delle mie riflessioni rimandava all’analisi di David Harvey, e ad un altro libro che ho letto di recente, “L’impero irresistibile” di Victoria de Grazia (ed. Einaudi).
Azzardo una sintesi estemporanea: lo sviluppo del capitalismo nel secondo dopoguerra era ancora “informato” dall’idea modernista di Progresso.
Il nesso fra produzione di massa di tipo fordista, politiche keynesiane, democrazia, boom dei consumi, sembra implicare una visione progressista, con un background mitologico centrato sulla tecnica – applicata ai diversi ambiti della vita, dalla produzione industriale alla pianificazione urbana, dall’amministrazione burocratica alle condizioni materiali di vita – come strumento di avanzamento dell’umanità verso un maggior benessere.
Ovviamente, criticare i limiti di questa ideologia e contestarne gli stessi presupposti è più che doveroso. Si tratta pur sempre di una narrativa funzionale all’esercizio del potere…
A partire dagli anni ’70, però, tecnica sembra non essere più vista come strumento di emancipazione collettiva, bensì come mezzo di auto-realizzazione del singolo. Tutto è personalizzato, relativizzato alla dimensione individuale… spariscono i “miti” su cui si reggeva l’identificazione con una classe sociale, con una comunità, e passa in primo piano l’individuo, che può esercitare la sua “libertà” di consumatore in un insieme pressoché illimitato di possibilità.
Secondo Harvey, questa nuova cornice mitologica è stata creata ed assecondata per traghettare l’accumulazione capitalistica verso una nuova fase, per cucirle su misura un nuovo assetto globale.
Lo “spadroneggiamento” di cui parli, quindi, mi sembra sia stato supportato da una narrativa molto potente, che domina tuttora la dimensione sociale… concetti come quello di “classe” continuano ad essere banditi, l’individualismo è l’unica vera religione ufficiale di milioni di persone, la politica si è completamente piegata alle logiche del marketing.
Nessuna nostalgia, quindi… solo tanta voglia di smantellare questa narrativa, questa cornice mitologica, che ha avuto come unico effetto quello di rendere accettabile lo smantellamento di quel poco (o tanto) che si era fatto in materia di diritti e di miglioramento generale nella “fase” precedente…
Per come la vedo io, la fine del vecchio “ordine” era un’opportunità. Peccato che, a fronte del fallimento dei movimenti di contestazione, a coglierla siano state solo le classi in cima alla gerarchia sociale, mentre il resto del pianeta ne subiva le peggiori conseguenze.
Io vivo in Svezia da più di quattro anni, e sinceramente farei un po’ di fatica a prenderlo come esempio di paese in cui è facile essere vecchi. O meglio: è più facile che in Italia, ma non credo sia un’esistenza molto felice.
E’ vero che rispetto all’Italia c’è meno ossessione verso l’apparire giovani (e di conseguenza c’è più dignità nell’essere anziani), ed è vero che il welfare supporta meglio i bisogni primari dei vecchi.
Tuttavia è anche una società in cui i vecchi vengono abbandonati. L’avere i propri genitori anziani in casa – come è in Italia – sarà pure un retaggio della struttura patriarcale o un semplice bisogno dettato dai costi degli appartamenti. Però in Italia i vecchi SONO parte della società e della famiglia. Li vedi per strada che parlano fra di loro. In Svezia li vedi soli. Sempre.
Per carità, si tratta di osservazioni soggettive, e ho visto felici eccezioni. Però, visto che ho tutta l’intenzione di rimanere e invecchiare qui, è qualcosa che mi dà da pensare.
Riguardo i quartieri per anziani… non ho proprio idea da dove venga questa teoria. Non li ho mai visti e non ne ho mai sentito parlare. A meno che non si riferisse agli appartamenti del centro di Stoccolma, in cui vivono molti vecchi e pochi giovani ultraricchi. Le case di riposo ci sono eccome. Ne ho una di fronte casa.
Ferruccio, dalle informazioni in mio possesso, confrontate anche con altri italiani che vivono in Svezia, quando si costruiscono quartieri nuovi, una certa percentuale degli appartamenti viene costruita e riservata agli over 55 . Non per creare un ghetto, ma per far sì che gli anziani si continuino a sentire parte della comunità. Quale la differenza? Che gli appartamenti sono costruiti senza barriere architettoniche e che vengono offerti numerosi servizi agli anziani che vi abitano.
Quanto al fatto che gli anziani, in Italia, sono parte della società e della famiglia…forse questo valeva fino a qualche tempo fa. Ora, anche camminando in paesi e non solo nelle metropoli, i vecchi camminano non da soli, ma in compagnia delle badanti. Diventa sempre più raro avere un genitore anziano in casa, anche da noi. Con la differenza che non esistono supporti dello stato, che le barriere architettoniche ci sono, e che i fondi per gli anziani non autosufficienti sono appena stati azzerati.
Beh, sì, dal punto di vista pratico la Svezia è un esempio splendido di società in cui tutte le cose si fanno tenendo a mente che verrano usate non solo da uomini giovani e in forma, ma da persone in carrozzina, genitori coi passeggini, anziani etc. etc.
Diciamo che c’è un rispetto generalizzato per le persone, qui.
E tuttavia la rimozione della morte c’è anche qui. La rimozione della morte (e della malattia) è forse LA cosa che accomuna di più il mondo Occidentale moderno. La malattia e la morte sono vergogna, sono cose da nascondere. Se ne parla poco e le si rappresenta ancora meno. Mi viene in mente un articolo che lessi qualche tempo fa, in cui l’autore analizzava il modo in cui una famosa tennista aveva annunciato di avere un tumore. Era quasi come se si scusasse, come se dicesse “nonostante io abbia sempre tenuto uno stile di vita sano, ho un tumore”. Come se la malattia fosse una colpa, sottolineava l’autore dell’articolo, una punizione per stili di vita sbagliati.
La mia consorte, che ha perso una persona cara dopo una lunga malattia, mi diceva di alcuni membri della sua famiglia che non sono stati capaci di stare vicini a quel parente che stava morendo perché era come se si vergognassero per lui. Credo che ci siano poche cose più dolorose da subire in punto di morte.
Chiudo con un “modello positivo”: Up, di Pixar, oltre ad essere un bellissimo film, è uno dei pochi, pochissimi film mainstream capaci di tratta la vecchiaia e la morte con grazia, in un senso positivo e non consolatorio.
Perfettamente d’accordo, Ferruccio. Anche nelle società organizzate in modo avanzato, la questione della morte, oggi, resta uno spaventoso tabù.
(e Up! è un film davvero bello e coraggioso. Sarebbe interessante sapere com’è andato al botteghino rispetto agli altri prodotti da Pixar)
Lippa, guardando il sito di imdb.com “Up” è andato straordinariamente bene. Secondo solo a “Finding Nemo” per quanto riguarda i film Pixar.
Piccolo commento a latere. Il film sì è coraggioso, ma trovo che escluso il geniale “prologo” di 10 minuti sia molto scontato e prevedibile. Non buonista necessariamente, ma la Pixar ha sfornato – secondo me – ben altri capolavori.
p.s. Anche in Italia il film è andato bene. Circa 16 milioni di incasso. Meno di “Ratatouille” e “Alla ricerca di Nemo”, ma meglio di “Wall-E” e “Gli incredibili”.
Mah, io non credo che sia scontato.
SPOILER (non leggete se non volete sapere la fine di Up)
Non mi sembra per nulla scontato che il protagonista superi l’impasse in cui si trova tramite l’amicizia col bambino. Karl supera il lutto – e la vecchiaia intesa come “parcheggio in attesa della morte” – accettando la fine della vita di sua moglie e dedicando la propria vita al bambino. Non trovo per niente banale l’affermazione che si può trovare senso nella vita dedicandosi a un’altra(/e) persona(/e). Anzi, è un tale capovolgimento del marcissimo concetto di “diritto alla felicità” che mi sembra un messaggio fortemente originale.
Poi bisogna dire che Pixar non fa trame originali. Fa soggetti originali e mette una tale umanità nei propri film che a questo punto è una casa di produzione con pochi eguali nel cinema moderno. Però come struttura narrativa Pixar fa cose classicissime: i colpi di scena sono telefonati, conflitti e risoluzioni sono più o meno tradizionali.
Come incassi Up è terzo fra i film Pixar, dopo Toy Story 3 (che ha incassato più di un miliardo di dollari) e Finding Nemo.
Sì, Toy Story 3 è attualmente in testa ma credo che per via dell’inflazione sia indietro.
Diciamo che non valuto troppo i “sensi” delle storie quando guardo un film. Ovvero: difficile che mi ritrovi in un cartone americano della roba innovativa dal punto di vista della narrazione.
Con la Pixar è differente. Il primo tempo di “Wall-E” è strepitoso. Praticamente un mediometraggio muto.
“Up” colpisce perché il protagonista è un vecchietto scorbutico ma con fascino.
Però. Primo il 3D era orribile. Secondo, dopo quei primi strepitosi 10 minuti (non m’aspettavo di vedermi riassunta la storia d’amore con morte di lei così rapidamente) sono entrato nel “loop” di anticipazione: ora succede questo, ora succede quest’altro. E via dicendo, il che mi ha ammosciato parecchio la tensione.
“Il castello errante di Howl” lo trovo assolutamente meno scontato di “Up”. E la protagonista in versione anziana è secondo me molto più interessante del protagonista Pixar.
Già. Quella del Castello Errante di Howl è un’altra bella rappresentazione della vecchiaia, più “contadina” e meno moderna (e paradossalmente più astratta).
Ma è anche una bellissima rappresentazione della femminilità e della bellezza del “prendersi cura” di qualcosa o qualcuno. Della forza incredibile che ha la spinta costruttiva. E’ una specie di inno a chi rassetta, rammenda, guarisce e fa crescere. Ed è qualcosa di davvero originale in un panorama narrativo in cui la distruzione (poco importa che sia distruzione “rivoluzionaria” o “reazionaria”) e il predominio sulle difficoltà sono il punto verso cui le narrazioni tendono.
Nonostante non sia il miglior Miyazaki, probabilmente Howl è sicuramente meno prevedibile di Up. Però non cadiamo nell’errore di glorificare sempre l’originalità. La grandezza della Pixar, per esempio, secondo me non sta solo nella qualità eccelsa dei loro film, ma nel fatto che siano accessibili a così tanti tipi di pubblico.
“bellissima rappresentazione… della bellezza”
“probabilmente è sicuramente”
Ma cosa dico? (/Moretti)
Cerchiamo però di mantenere il focus.
@ La Lipperini: l’altro giorno, durante la presentazione, quando abbiamo cercato un po’ tutti quanti di rammentare un romanzo con protagonista anziana, mi è venuto in mente questo libro, ma avendolo letto circa 20 anni fa (e quindi rimosso parzialmente) non mi sono sentita di segnalartelo. Lo faccio ora: magari potrebbe esserti utile. Non so. Insomma, vedi tu.
http://www.my-libraryblog.com/2008/02/09/il-diario-di-jane-somers-doris-lessing/
Si parla giustamente delle donne che tengono in mano il welfare del nostro Paese. Credo che questa vocazione al “sacrificio” per gli altri, questo farsi carico dei problemi di tutta la famiglia, atteggiamento tipicamente femminile, dovrebbe essere messo in discussione dalle donne stesse.
Fino a che punto è la società a chiedercelo, e quanto siamo noi stesse ad imporcelo? Non lo so, ma sarebbe interessante discuterne.
Privato del mio sonno, nel mezzo della notte, dal vicino di casa, 80enne, affetto da malattia degenerativa, da qualche mese ha preso ad urlare di notte. Bestemmia. E’ pure solo.
Sono le tante (troppe?) letture SF che mi incitano a proporre cio’ che suonera’ magari assurdo e spero non troppo “Off Track”: e se provassimo a mettere in discussione il presupposto base della condizione umana secondo il quale invecchiare e’ inevitabile? Smarcandosi dall’estetica e spostando l’attenzione verso la biologia/biotecnologia si scoprono cose che, se da un lato possono intimorire, perche’ appunto quasi fantascientifiche, dall’altro aprono prospettive nuove, di futuri possibili e non necessariamente temibili. Giustissimo discutere su ruoli/situazioni/soluzioni dei e per i vecchi nella societa’, magari intanto, cogliere pure l’occasione per ampliare, revisionare ed espandere sinapse, analizzare in chiave anche scientifica il discorso vecchiaia. Scusate. Deliri notturni extra(terrestri?).
http://en.wikipedia.org/wiki/Aubrey_de_Grey
Night.
Sarò di parte, ma il problema più che essere l’opposizione vecchi/giovani è la lotta tra differenza/omologazione. La guerra alla vecchiaia è una delle conseguenze della diffusione della chirurgia estetica. Quest’ultima non entra in gioco come fenomeno accessorio, bensì come causa spettrale. È questa tecnica (e la sua diffusione) ad orientare la nostra percezione. Diffusione che si aggiunge ad altre diffusioni di tecniche e oggetti. Nel discorso che ho ascoltato mi sembra che non venga fatta menzione della proliferazione degli oggetti (specchi, foto, schermi, design industriale) e dei perfezionamenti delle tecniche cosmetiche. Questi rendono possibile una visione di se stessi senza precedenti e l’instaurazione di un’adolescenza perenne. L’adolescenza è inanzitutto il confronto con l’immagine del proprio corpo, che ora viene resa possibile in modo inedito.
@ Tommaso
intanto, benvenuto su Giap.
Dopodiché, la mia impressione della serata è diversa dalla tua, tanto che, riascoltando l’mp3, mi sei più volte venuto in mente. Mi sembrava che Giovanna Cosenza avesse impostato la sua riflessione proprio su omologazione e differenza, facendo un discorso molto vicino a quello del tuo pamphlet sulla chirurgia estetica e contro la “falsa bellezza”, che io ho letto, apprezzato e annotato fittamente. Perché non ti ritrovi in quello che è stato detto?
Io non penso che la questione omologazione/differenza venga “prima” o “dopo” (sia “più problema” o “meno problema” di) quella gioventù/vecchiaia. Penso che siano due modi di articolare la stessa questione, dato che l’omologazione coincide con l’adesione al modello egemone di un’adolescenza perenne.
[Ad ogni modo, lo sfondo è quello di una trasformazione epocale del rapporto con la morte. Che a sua volta, pardon my being so hopelessly marxist :-), ha cause socio-economiche.]
Sullo specchio, hai presente gli studi che sta facendo Maddalena Mapelli? Lo specchio come dispositivo, lo specchio come antenato del virtuale… Qui trovi il video della sua relazione al seminario Bidieffe:
http://bidieffe.net/?page_id=529
@Wu Ming 1: Innanzitutto sono davvero contento che il mio libro sulla chirurgia estetica ti sia piaciuto. Altre ricerche sono in corso. Ho apprezzato molto la vostra discussione e non dissento su nessun punto. Notavo soltanto, dal mio punto di vista, una mancata focalizzazzione del problema della chirurgia estetica, spesso citato ma mai posto a tema. Perché credo sia il problema centrale. Che ridefinisce la questione non più in termini giovane/vecchio, ma, in primo luogo, di giovane versus giovane (ciò che accade nell’adolescenza). L’opposizione giovane/vecchio è troppo semplice, qualcosa ha già avuto luogo: 1) l’imposizione di modelli 0) la possibilità di vedersi e di trasformare il proprio corpo in modo inedito. In questo senso il problema diventa, per me, in primo luogo, tecnologico e non solo sociologico. Mi spiego meglio: l’omologazione crescente è figlia di un rapporto contagioso con oggetti e tecniche. Noi ci vergognamo di non essere cose. Non tanto di non essere giovani, quanto di non essere design-ati in un certo modo. La chirurgia estetica oggi viene chiamata anche “body design”.
Non conosco gli studi sullo specchio che citi, approfondirò.
Il problema della chirurgia estetica merita un’analisi approfondita e spero di aver dato, con le mie ricerche, un piccolo contributo soprattutto al suo esame filosofico. Le strategie politiche contemporanee, l’ingegneria genetica, Hollywood, il mondo così come lo conosciamo, conducono a questa tecnica e alla sua diffusione. Nel mio libro, vedo nella Prima Guerra Mondiale un punto di svolta, nel momento in cui la chirurgia estetica si separa dalla chirurgia ricostruttiva. Dalla cura di mutilati di guerra alla produzione di mutilati simbolici. Oggi viviamo un malessere senza precedenti. Secondo l’opposizione giovani/vecchi, i primi dovrebbero sentirsi bene, ritenersi fortunati, imporsi come nella citata copertina del Time. Ma non è affatto vero e sono proprio i più giovani a desiderare maggiormente l’intervento chirurgico. Viviamo in un’epoca di mutilazione simbolica, per lo più ci si sente rivoltanti. Termine quest’ultimo che invece potrebbe dischiudere una grande verità: ognuno è principio di rivolta.
Comunque riascolterò con più attenzione il tutto (la distrazione è sempre in agguato) e vi faccio ancora i complimenti
@ Tommaso
più che di opposizione giovane/vecchio, credo si dovrebbe parlare di obbligo alla gioventù e odio per la vecchiaia. Quest’obbligo e quest’odio sono “mappati” nel libro di Loredana in modo impietoso. La casistica è impressionante, esempio dopo esempio, fiotto di bile dopo fiotto di bile. Un lavoro da giornalista d’inchiesta, quale l’autrice in effetti è.
Ed è una classica guerra tra poveri, un risentimento pilotato sul terreno – come diceva Binaghi – della biopolitica. No, quei giovani che odiano i vecchi non sono affatto felici. Sono precari a cui hanno insegnato a prendersela coi pensionati, visti assurdamente come “garantiti”. E il loro odio li disumanizza, i vecchi sono descritti quasi come una specie a parte.
Dopodiché, sì, c’è anche odio “intraspecifico”, guerra tra poveri dentro la “specie” dei giovani: se “siamo tutti giovani” (tranne chi non ha i mezzi per sembrarlo), questo è inevitabile.
“I mezzi per sembrarlo”, dicevo nella parentesi. Intesi come disponibilità economiche e come strumenti. Appunto: le tecnologie di “visione di sé”, la chirurgia estetica… E qui il tuo lavoro è prezioso. Perché la proliferazione dei “mezzi” retroagisce sulle cause, diventa una concausa, alimenta il circolo vizioso e porta l’infelicità a un livello più alto.
@ Wu ming 1: Credo anch’io che il lavoro di Loredana Lipperini sia importante (non so se lei ha letto il mio libro sulla chirurgia). Soltanto, da inguaribile filosofo, mi piace mettere in relazione le cose più diverse. Ampliare lo spettro (in tutti i sensi) d’indagine. L’opposizione giovani/vecchi va vista come una questione “formale”. Ovvero ci si riferisce alla forma del corpo e alla sua presa visione. Se si pensa all’accumulo di esperienze, di relazioni, notiamo invece una tendenza singolare: tutti vorrebbero essere “vecchi” (Facebook risponde per ceti versi a questa esisgenza). Cioè la negazione del vecchio avviene soprattutto (la cosa è più complessa ma taglio con l’accetta) sul piano estetico. Su altri piani, si vuole essere “vecchi”. Berlusconi docet. Tra le altre cose, non è un caso che il mio studio prenda di mira proprio il grande Papi. Se l’opposizione avviene soprattutto sul piano estetico (in senso formale) allora l’opposizione giovane/vecchio non è originaria e sono piuttosto le tecnologie cosmetiche ad essere il problema. L’opposizione è piuttosto cosmo/caos, cosmesi/caosi. Dove per caos, e nelle mie ricerche lo sottolineo, non si deve intendere il disordine, ma l’incidenza del singolare. La nostra società odia il caos (e la vecchiaia è un suo effetto).
Ti ringrazio per gli innumerevoli spunti che la discussione mi sta dando.
@ Tommaso
Due appunti di ordine lessicale:
1) anziché una questione “formale” (aggettivo che genera equivoci), non sarebbe meglio dire che è una questione morfologica?
2) non credo che “vecchio” sia la parola giusta per definire quel che descrivi. In realtà nessuno vorrebbe essere “vecchio”, nessuno “posa da vecchio“, bensì posa da… “scafato”, “navigato”, non-ingenuo. Ecco, “non-ingenuo” credo che renda bene. E’ una posa indispensabile, tanto più indispensabile nel momento in cui, in realtà, si viene fregati tutti i giorni (fregati nel consumo, fregati nel lavoro etc.) E’ una corazza caratteriale (in realtà penetrabilissima, ma indossarla è comunque consolatorio). Anche il circondarsi di “amici”, come su FB, è corazza caratteriale. Ma nessuno vorrebbe essere “vecchio”, la casistica dice l’opposto: l’odio per il termine stesso, la sua rimozione in quanto memento mori…
L’utopia dell’adolescente perenne sta proprio nel voler sembrare al tempo stesso giovane e navigato. “Così giovane e già così cool”.
@ Wu ming 1: Hai perfettamente ragione. Ma ancora una volta sottolineo che la questione è estetica. Tutte le rimozioni della vecchiaia (il termine, l’aspetto, etc.) sono di ordine estetico. Alcune caratteristiche della vecchiaia, però, vengono mantenute e desiderate (esperienza, non ingenuità, numero di relazioni). Non c’è pertanto una rimozione “integrale”. Ecco perchè l’opposizione giovani/vecchi non funziona del tutto. Perchè si regge solo sull’ordine estetico.
Ho visto che è stata citata la figura del vampiro. Non ricordo bene cosa si diceva nell’audio. Ma secondo me questa figura la dice lunga. Il vampiro è insieme giovane e vecchio (molto vecchio), è vivo ma il suo cuore non batte. Ha tutti i pregi e zero difetti (per citare il film Blade). Il vampiro è esteticamente giovane, ma, dal punto di vista dell’esperienza vissuta, molto vecchio, più vecchio di ogni vecchio normale.
Citi l’essere cool e anche qui hai ragione. Ma l’essere cool dal punto di vista termoestetico (scusa il termine, ma lo uso di recente nei miei studi sulle atmosfere sociali) è più vicino all’essere giovani o all’essere vecchi? Vicino più alla vita o al brivido in vista della morte? Anche qui ricordo che un’analisi delle ricadute esistenziali del design industriale sarebbe preziosa. Non ci sono solo vecchi e giovani. Il nostro mondo è popolato da migrazioni di cose, strumenti, che suggeriscono pensieri e spesso “pensano” per noi. Io sposo tutto il vostro discorso, ma voglio approfondirlo, vedere altre forze in campo. Rendere problematiche le opposizioni, magari pensandone altre.
@ Tommaso
siamo sicuri che il numero di relazioni sia un elemento dell’età più avanzata? Elemento della vecchiaia che verrebbe mantenuto e desiderato dai più giovani? Secondo me questi ultimi non associano affatto il numero di relazioni all’essere più vecchi. Al contrario, io penso che lo associno alla propria gioventù. Invece la vecchiaia è più frequentemente associata alla solitudine (all’ospizio, o all’unica compagnia della badante).
Infatti:
– i giovani hanno mediamente tantissime relazioni. I molto giovani, cioè i bambini, hanno un numero *enorme* di relazioni, perché vanno a scuola, vanno in piscina, vanno negli scout.
– i vecchi invece sono mediamente più soli, perché le loro conoscenze muoiono o diventano senili, poi loro stessi vengono ricoverati, oppure sono fermi a letto etc. etc.
@ Wu ming 1: Mi riferivo in senso ampio al “numero di relazioni”, ma mi rendo conto di aver usato un’espressione infelice. Per me era in stretto contatto con “l’esperienza”, ma mi sono espresso male. Le relazioni giovanili, tuttavia, solo forse più numerose, ma sostanzialmente “liquide” rispetto a quelle cementate dal vissuto. Per non parlare di Fb, che è piuttosto la parodia dei “contatti” e degli amici. Alla fine le vere relazioni sono pochissime, anche se apparentemente numerose. È vero che spesso, sempre più spesso, il vecchio è vittima della solitudine, ma le relazioni maturate sono comunque più consistenti di quelle volatili del giovane. Comunque ammetto che il mio discorso da questo punto di vista presenta qualche crepa.
Ciò non toglie che resta in piedi la questione: l’opposizione non è integrale e il problema estetico è centrale. Gli estetologi, soprattutto in Italia, tuttavia sembrano occuparsi di altro e, appena è stato pubblicato, il mio libro è stato accolto spesso o con il silenzio (come se la chirurgia estetica fosse inessenziale) o con un certo sorriso (“anche tu ora fai queste cose..”).
Ritornando al punto: per molti versi i giovani, oggi, non desiderano essere tali. Quella che viene creata è una “gioventù sintetica” immune (non opposta) dalla vecchiaia e ostile nei confronti delle differenze. È piuttosto il (non)giovane. Mi viene in mente una scena del film di Fincher su Facebook dove Parker, fondatore di Napster, dice che non veniva preso in considerazione adeguatamente perchè era un ragazzo e che la sua esperienza ora poteva essere utile al giovanissimo fondatore di Fb.
La negazione del vecchio secondo me parte più che dall’elemento estetico da quello culturale. Da un certo momento in poi il capitalismo industriale impone la rivoluzione permanente delle tecnologie e l’obsolescenza dei saperi relativi, quindi elimina il valore dell’esperienza sedimentata e lo sostituisce con la “formazione permanente”. Quanto alle relazioni, non è tanto il numero ma la lunghezza e la profondità che il vecchio potrebbe insegnare al giovane: per esempio come si mantengono amicizie e rapporti di coppia per decenni nonostante la tirannia degli umori e il trauma delle e-venienze. Mancando questa trasmissione, i giovani sono esposti a uno stile isterico e fallimenti ripetuti prima di sedimentare un minimo di stabilità.
Buon Natale a Wu Ming e commentarium
– o voi giacobini impenitenti aspettate piuttosto il compleanno della Dea Ragione? :-)
Per me la Dea Ragione si festeggia tutti i giorni.
Comunque Buon Sol Invictus, Binaghi!!
Scherzo…buone feste ai Wu Ming e a tutti!
Provo a inserirmi nella conversazione. Spero di non dire ca***te. Questa disperata rimozione dalla vecchiaia e’ a mio parere un comprtamento schizoide, una negazione della realta’, principio di malattia mentale a venire; mica robetta. Azzarderei anche ad ipotizzare che sia il mercato, l’economia capitalistica, diabolicamente e consapevolmente, a stimolare il manifestarsi di questi sintomi (per poi offrire rimedi/servizi a pagamento). All’ eta’ di 40/50 anni desiderare una pelle elastica, sperare che la meno/nandropausa non si manifesti, illudersi che il parruccone non si sfoltira’ significa ritirarsi pericolosamente dalla realta’. Pericolosamente perche’ nel momento in cui la realta’ si manifestera’ in tutta la sua drammatica concretezza, il rischio e’ quello appunto, essendo incapaci di accetarla/affrontarla, di sentirsi intrappolati in essa e, nel peggiore dei casi, di cadere in malattia, leggi schizofrenia. Per quanto riguarda i piu’ giovani e FB credo che anche in quel caso si possa parlare di comportamenti schizoidi-affettivi. Un neverending daydreaming, dove nulla accade/tutto puo’ accadere e la realta’ e’ tenuta ben lontana. Terreno fertile per lo sviluppo di fobie e, sopratutto, totale incapacita’ di relazionarsi con gli altri e la realta’ che ci circonda.
Sono d’accordo con Binaghi sulla questione culturale, ma aggiungo che il continuo aggiornamento delle tecnologie non è la sola componente in gioco: il capitalismo non si accontenta di aspettare una nuova tecnologia per invadere il mercato con una nuova generazione di prodotti. E’ sufficiente una nuova moda, nel senso più esteso possibile del termine, a riempire i negozi o a creare nuovi stili di vita e i conseguenti “bisogni”. E tutto questo ha molto a che fare con l’estetica.
Nel dibattito Loredana Lipperini – mi pare – nota come anche gli oggetti non si riparino più, ma sia più conveniente comprarne di nuovi (e parla di ombrelli, dove l’innovazione tecnologica è nulla): anche questo aspetto, del tutto pratico, rafforza l’estetica del nuovo.
I vecchi sono “vecchi” sia perchè sempre meno capaci di muoversi nel mondo tecnologico sia perchè soccombono sotto questa estetica del nuovo.
@ Valter Binaghi
In ritardo (causa lontananza da internet)… quella che festeggio io è la Dea Bianca :-) Auguri a tutti.
@ V.Binaghi, WM & Company
In ritardo pure io, ché nel mitreo dove ho festeggiato il solstizio la connessione non prende… Auguri!
[…] Audio su Giap! […]
a proposito di tabu’ e di “political correctness”: leggo oggi su repubblica che negli USA hanno “riscritto” “The adventures of Huckleberry Finn” sostituendo la parola “nigger” con “slave”. opla’, risolta la questione razziale!
(e ammazzato un romanzo)
appena letto anch’io…
interessante, no?, che “nigger” sia sostituito con “slave”: con quanti slittamenti di piano?