1. Esempio di narrazione intossicante
2. Esempio di intervento curativo
Per riprendere questo discorso, e comunque vada a finire a Mirafiori. O a cominciare.
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Incredibile come a volte si creino inaspettate connessioni tra fatti apparentemente distanti. Non faccio in tempo a chiudere l’ottimo libro di Luca Malavasi Racconti di corpi, decdicato allo studio delle dimensioni affettive, emozionali e passionali nella teoria contemporanea del cinema, in rapporto alla struttura corporale dell’esperienza di visione, che il feed reader mi notifica questo post, occasiona straordinaria di mettere alla prova i concetti appena acquisiti.
Ciò che trovo velenoso, adulterato, nella narrazione messa in scena per pubblicizzare la 500, non è tanto il montaggio audiovisivo che impone alle immagini una lettura obbligata, che indica con la dextera dei(la mano del Dio Creatore che è un tema ricorrente nell’arte ebraica e cristiana) cosa è bene e cose è male, giusto o sbagliato, desiderabile o indesiderabile (il montaggio virale messo in atto nel secondo video decostruisce e ribalta la costruzione assiologica in maniera tanto efficace quanto semplice, in questo risiede la sua forza), quanto piuttosto il modello di relazione che unisce lo spettatore (il bambino) a quanto vede, o si suppone stia vedendo, sullo schermo.
Secondo Malavasi, nell’esperienza cinematografica il soggetto costruisce l’oggetto della propria visione attraverso un rapporto di contiguità tra il proprio corpo come centro percettivo, e lo schermo, come immagine di un corpo o immagine di una “percezione di percezione”.
In pratica, come accade nell’esperienza reale, il rapporto tra il soggetto ed il mondo, in questo caso il mondo “finzionale del film, è un rapporto di creazione reciproca. Quanto viene messo in scena nel filmato pubblicitario della 500 è, a mio parere, proprio un modello di relazione tra due corpi, uno soggettivo, l’altro sociale e valoriale; questo a partire dall’esplicito riferimento a “Nuovo cinema paradiso”, film di formazione e scoperta del mondo attraverso il cinema (nel senso dei film e della sala). Se si presta attenzione al crescendo emozionale che si delinea sul volto del bambino si noterà che: la sua prima espressione, che coincide con l’avviarsi del proiettore, è un espressione di stupore misto a curiosità: stupore per un mondo che si dispiega davanti ai suoi occhi. La seconda espressione, che segue le immagini di quelle esperienze descritto come capaci di definirci, “che formano il nostro carattere”, è un’espressione di ammirazione. La terza, che segua la lista delle persone che dovremmo voler diventare, è un’espressione stupita e meravigliata. L’ultima espressione, che chiude il crescendo, è la risata gioiosa che sottolinea come il complesso di valori sia stato trasmesso con successo.
Insomma lo spot implica un rapporto passivo e acritico tra il soggetto individuale ed il soggetto sociale-valoriale. Una potente metafora di quanto, in queste ore, viene perpetrato dalla FIAT, dai sindacati e dalla classe politica italiana tutta, ai danni dei lavoratori di Mirafiori, l’imposizione di una non-scelta e l’obbligo di accettare questa imposizione come se fosse la migliore possibile.
E’ il sistema di pensiero occidentale, una falsa ed inesistente dicotomia (bene/male, verita’/apparenza, maschio/femmina, inferno/paradiso) che si trasforma presto in rigida, assoluta singolarita’ (una scelta sola, una narrazione sola, una via sola, un dio solo) a scapito del molteplice (la condizione piu’ difficile da assimilare, comprendere, e dunque lasciar essere). Non si puo’ dire: “X e’ buono, anche se non per chiunque poiche’ implica alcune dolorose ricadute e prevaricazioni e sacrifica y and z, etc.”. Chi mai accetterebbe, nel nostro universo razionalizzato, tale prospettiva incerta, chi riuscirebbe a sopravvivere se messo di fronte non alla semplice alternativa giusto/sbagliato ma alle variabili che il suo/la sua propria personalita’ indica e intuisce? Appunto, tutt* coloro che non si accontentano di una sola narrazione.
Della serie: chi di storie colpisce, di storie perisce. Le narrazioni sono un’arma potente – perché sono seduttive e rispondono a molti bisogni degli esseri umani (cognitivi, psicologici, relazionali) – ma sono anche un’arma debole, perché è sempre possibile rovesciare una storia e raccontare altrimenti. E’ più difficile fare una parodia efficace, alla Adbusters, di un cartellone pubblicitario immagine + logo + slogan che farla di un video narrativo da 90 secondi. Con buona pace di chi sostiene che con lo storytelling, i mercanti e il potere ci hanno ormai irretito in modo inestricabile.
Aggiungo però che la parodia non basta, in questa civiltà del cliché. Non basta modificare i contenuti, se si lascia intatta la forma. “Raccontare altrimenti” non significa soltanto raccontare “altre cose” (come fa il secondo video “terapeutico”) significa anche raccontare “in un altro modo”, rompere le strutture narrative dominanti, gli schemi che impediscono la comprensione – e questo il secondo video non lo fa, non era sua intenzione farlo e tuttavia è bene riflettere su questo: che cos’è più tossico nel primo video, il contenuto “politico” o la forma manichea, il tono melenso (parodiato ma alla fine non superato)? Io direi tutti e due e dunque tutti e due, insieme, andrebbero rovesciati.
Il video originale vuole imporci l’Uno: l’Italianità, l’Unanimismo perbenista, il melenso metter-tutti-d’accordo, la ricerca del minimo comune denominatore. Sordi, il Papa, gli eroi dell’antimafia trasformati in santini… La sequenza di immagini definisce una grande comunità nazionale, Una Cosa Sola che rimuove il conflitto, lo spinge via, lo relega ai propri margini. Chi non fa parte di questa comunità nazionale, è schierato con l’orrore.
Le fugaci immagini del Male, i simboli dell’orrore, vengono – fateci caso – dagli anni Settanta e immediati dintorni. Da quel “decennio lungo” si prendono due simboli: il primo è l’orologio infranto della strage del 2 Agosto 1980 (ciò che non si può non esecrare), l’altro è la celebre foto di tre militanti dell’Autonomia milanese in una manifestazione del 1977 (ciò che si deve esecrare, “senza se e senza ma”).
Il secondo video propone tutt’altro modello, tutt’altro frame. Per questo mi sembra riduttiva la parola “parodia”. Il nuovo montaggio disvela, disperde la cortina fumogena dell’Uno che nascondeva il molteplice, e mostra le lotte, le forze in conflitto, gli interessi contrapposti, il fatto che ci sono ricchi e poveri, oppressori e oppressi, sfruttatori e sfruttati, e COL CAZZO che siamo tutti d’accordo, che siamo Una Cosa Sola. Siamo Molti e Diversi. Siamo in contrasto tra noi. La società è divisa in classi.
Quando il primo video mostra una folla di persone, la mostra *intruppata*: Carabinieri in uniforme, schierati, tutti uguali. Il secondo video invece mostra delle (lo so, il termine è abusato) moltitudini, mostra più soggetti differenti.
Quindi, non so se il secondo video possa essere detto una “parodia”. Certo, è più brillante del primo, è anche ben più divertente (almeno per noi che la pensiamo in un certo modo), ma è anche *ben più serio* e più dignitoso del primo, cosa che nelle parodie è raro.
Forse dovremmo usare una delle parole inventate da Alfio Rotunno, il coniatore di neologismi. Rotunno si impegna a “battezzare” cose che esistono e di cui abbiamo esperienza, ma per le quali nessuno aveva ancora trovato un vocabolo, almeno non in italiano (Es. “ESSALEMME. Punto esatto in cui piantare un chiodo affinché un quadro risulti equidistante da due finestre”).
Una delle parole più interessanti create da Rotunno è “smarodia”, che è l’opposto di “parodia”. La smarodia è il rifacimento triste e noioso di un’opera che nella versione originale era vivida e coinvolgente.
Ecco, forse il video ufficiale della Nuova 500 era la smarodia anticipata del video realizzato dal CSA Sisma.
@WM1
smarodia deriva da parodia con aggiunta di “(di)s” ribaltante e “maroni” contratti (per la noia?) o da pa-rodia con “(di)s” e cambio di genitore? Nel secondo caso segnalo mia feroce opposiziona antimaschilista.
@WM2
il secondo commento è importantissimo. E, tra parentesi, è quello che viene fuori con Guerra agli umani che riesce anche, nell’ulteriore impresa, di “comunicare a ‘tutti'”, pur “raccontando altre cose” e “in altro modo”.
@ Jumpinshark
la prima che hai detto. La radice del neologismo è scrotale. “Smaronarsi” = rompersi le balle :-)
Link al “Premiato mirabolario del cavalier Alfio Rotunno”:
http://www.nicolalombardi.com/Prefazione%20MIRABOLARIO.htm
(scheda del libro)
Sono di Torino, ero alla fiaccolata. Una roba da togliere il fiato.
Una premessa doverosa: pensavo al fatto che tempo fa mi sono infilato in un discorso con Wu Ming 1 in un altro post, in cui si finì a parlare del ruolo degli operai nelle proteste. Beh, ho preso una cantonata spaventosa, e anziché tacerne suppongo sia giusto ammettere l’errore (anche se non nella sede giusta, abbiate pazienza) e continuare a partecipare alla discussione in modo costruttivo, sempre non sussistano problemi.
La mia città soffre di una malattia sindacale, la marcia dei quarantamila. Airaudo facendo il verso ha detto: “non diremo che siamo 40mila”.
Quella è una narrazione che sembra quasi inequivocabile, tuttavia il modo in cui fu raccontata era altrettanto poco chiaro. Sarebbe carino anche capire che storia sia stata raccontata quella volta lì. Il fantasma continua ad aleggiare.
@ Giorgio, ecco come Marco Revelli, nel suo libro Lavorare in Fiat (1989) descrive la marcia dei “quarantamila”, fornendone un’interpretazione che contrasta con la storiella (tossica) ripetuta fino al vomito dai media, dagli “storici” d’accatto e dagli opinionisti filo-padronali. Grassetti miei:
«[…] Una massa grigia e pervasiva incomincia silenziosamente a dilagare verso le vie del centro, cancellando segni e ricordi delle mille rumorose manifestazioni operaie, ripristinando le regolari geometrie dell’ordine di fabbrica e della quiete sabauda. Non un colore rompe l’uniformità cromatica, solo i cartelli tutti uguali del Coordinamento: “Il lavoro si difende lavorando”, “Diritto al lavoro”. Non un grido, uno slogan, una voce che non sia quella metallica dell’altoparlante. Solo lo scalpiccio sordo dei piedi sul selciato e quel brusio basso che esce dalle folle in attesa, dagli assembramenti casuali.
Sono l’altra faccia della fabbrica, l’incarnazione del lavoro privo di soggettività ribelle, a tal punto identificato con l’organizzazione produttiva da divenirne parte integrante, da farne la fonte della propria identità ed esistenza. «Non siamo – proclama il loro leader, Luigi Arisio – il partito dei capi. Siamo il ben più grande partito della voglia di lavorare, di produrre, di competere con la concorrenza». Interrogato, il giorno dopo, sulla sensazione provata davanti ai picchetti che sbarrano i cancelli, uno di loro risponderà, con calma, senza rabbia nè calore, con solo un lieve accento di disprezzo nella voce: «Una sensazione di grande pena nel vedere un impianto così perfezionato in tutte le sue parti, immobile per colpa di quella gente».
La lineare perfezione della tecnica e la rumorosa imperfezione degli uomini, la compatta efficienza della macchina e l’anarchica soggettività del lavoro vivo: ora sono lì, appunto, per dichiararne lo scandalo. Per rivendicare che la contraddizione sia sanata. Marciano, e strappano agli operai i luoghi tradizionali d’espressione: Piazza San Carlo, la Prefettura, Piazza del Municipio. In un’ora cancellano, con il loro silenzio, trentatré giorni di rumore operaio. Marciano, e con un semplice gesto conquistano il centro della scena: 15.000 dirà il telegiornale, 30.000 titolerà “La Stampa”, 40.000 sparerà infine “Repubblica”. E tali rimarranno, nella storia e nell’immaginario collettivo. Sono loro i “vincitori”: d’ora in poi incarneranno lo “spirito del mondo”. Rappresentano “la notizia”, il novum che un sistema dei media ormai annoiato dalla ripetitività operaia attende. La loro manifestazione è “nuova” sotto molti punti di vista. Nelle forme: non più scandita, come gli obsoleti cortei operai, dai tradizionali “cordoni” ma strutturata per centri concentrici secondo la catena gerarchica, con al centro il capo ufficio, il capo reparto, il capo officina, e intorno via via, i subalterni.
Nelle tecniche di comunicazione: la prima grande mobilitazione telematica, il cui strumento di convocazione principale è stato il telefono. Nuova soprattutto nei volti, nelle espressioni, nei “soggetti”. La prima grande mobilitazione di massa del “capitale”, uscito finalmente dalla sua dimensione di “oggetto” e trasformato, per una sorta di feticismo della merce alla rovescia, in “movimento”.
Cosa abbia permesso a quel pezzo di fabbrica di animarsi; cosa abbia portato a un effimero e recalcitrante protagonismo quello strato abituato solitamente a comandare e tacere, è difficile dirlo. All’origine deve aver pesato certamente l’esasperazione, dopo oltre un mese d’immobilità coatta e di assenza di salario.
Così come presente, e centrale, è stata senza dubbio, per un’ampia parte, la preoccupazione per la situazione di mercato dell’azienda. L’identificazione con le ragioni della proprietà e con le leggi ferree della competizione economica (molti di loro erano, effettivamente, come dirà Agnelli, «gente la cui unica gratificazione è il successo dell’azienda e la soddisfazione nel proprio lavoro»). L’intenzione, quindi, di denunciare alla città i gusti temuti; di comunicare il proprio senso di pericolo. Nè deve essere stato estraneo a quella mobilitazione un certo “spirito di vendetta”; la voglia di rifarsi di dieci anni di umiliazioni e di sconfitte esistenziali. Ma un ruolo di rilievo deve averlo giocato anche, e forse soprattutto, la paura. Il timore non solo e non tanto della perdita del posto, del fallimento dell’impresa, quanto piuttosto del declassamento, della ricaduta nell’universo anonimo e seriale del lavoro manuale.
L’orrore, in sostanza, per una condizione operaia vissuta come regno dell’irrilevanza individuale e dell’invisibilità sociale, da cui erano usciti proprio in forza del loro ruolo di comando – dell’accesso al mondo di chi esiste perché dirige -, e in cui rischiavano di essere ricacciati da un processo di innovazione tecnologica e di riorganizzazione aziendale che andava erodendo le basi stesse del loro micropotere.
La maggior parte dei capi Fiat era stata formata per esercitare funzioni di comando sugli uomini. Scarsamente qualificata sul piano strettamente tecnico, ignorava quasi del tutto le nuove tecnologie. Di esse sapeva soltanto che avrebbero ridimensionato decisamente il “fattore umano” nel processo lavorativo, e che avrebbero assorbito molti di quei compiti di coordinamento e gestione della forza lavoro che fino ad allora avevano giustificato buona parte delle posizioni gerarchiche a livello di officina. Gli altri, i quadri intermedi burocratici, gli impiegati, intuivano che quello stesso processo tecnologico dal quale erano stati resi “esuberanti” decine di migliaia di operai, se applicato al lavoro d’ufficio, avrebbe aperto vuoti ben più devastanti. La mobilitazione contro i picchetti, la “piazza”, devono essere sembrate a molti un’occasione insperata per proporre e stringere con la direzione d’impresa un tacito patto. Per tentare di scambiare fedeltà contro sicurezza, sostegno politico all’operazione di selezione e bonifica della componente operaia contro la garanzia del mantenimento di uno status e di un ruolo gerarchico non più giustificati sul piano tecnico.
La frase bisbigliata al passaggio del corteo da un anziano saldatore delle Carrozzerie – “Questi non vogliono il diritto di lavorare, ma di farci lavorare” -, coglie lo spirito di quella “marcia” più di cento ricerche sociologiche.»
A lui pensavo e al meccanismo che spiega molto bene in “Poveri noi”: un racconto soverchiante di una immagine che non ci rispecchia mai, proprio il tema del video qui sopra. Un altro buon esempio è Hobsbawm e il trionfo della borghesia: “accettare nuove sfide”, “il sì contro chi dice sempre no” è una riproposizione tono su tono.
Comunque vada, esatto.
Comunque vada lo scrutinio di queste ore, qualcosa accadrà. Accadrà ciò che il sig. Marchionne ha prospettato, la morte dolce di Fiat Auto sul suolo italiano. D’altronde ha ripetuto più volte questo frame, e noi dovremmo credergli. Quando si va a toccare il lavoro vivo degli operai Fiat( misurabile in un 8% del costo del singolo prodotto finito) senza chiedersi se forse si è perdenti sul mercato mondiale per colpa del restante 92% (progettazione, design, commercializzazione, finanza), allora vuol dire che non si ha una strategia. E che dunque, si spremono coloro che non hanno alcuna responsabilità nell’inconsistente mercato di Fiat Auto in Italia e nel mondo. Se ne stanno andando altrove. E senza uno straccio di strategia di riconversione industriale, operazione che altre case automobilistiche -europee e non- svolgono da decenni ormai. Lungi da me augurarmi ancora nuove auto in giro sul pianeta, ma l’errore padronale è mastodontico. C’era l’occasione per ripensare daccapo la produzione, e di conseguenza il consumo (vedi riflessioni di Guido Viale in proposito), ma il cervello italico è veramente piccolo, e dotato di miopia.
[…]
Stanotte siamo andati alla Porta 2. C’era solo la Fiom a volantinare, a dialogare con lavoratori ad ingresso turno e con alcuni come noi che operai Fiat non sono, ma sono precari ugualmente, oppure studiano senza uno straccio di futuro. Un’immagine: il sorriso dei delegati ed operai Fiom, un sorriso accennato e forse un pò triste, ma con tanta disponibilità al racconto, alla spiegazione delle dinamiche perverse che li hanno condotti fin qui. E’ la coscienza di essere nel giusto, è anche il capire, dolorosamente, il “si de panza” che arriverà da qualcuno che adesso pensa a mutui e indebitamenti, e tra un anno o due ( quando entrerà in vigore l’accordo) dovrà ripensarsi comunque daccapo.
Dicevamo, tutto succederà nonostante il risultato. Quel che conta sarà il dato politico: mi auguro una vittoria del No perchè le lotte della Fiom siano pedana per una nuova fondazione dalle macerie italiane. Perchè, e questo mi pare bellissimo in un momento tragico per il mondo del lavoro nel nostro paese, vuol dire che saremo sempre uno di più a resistere.
Forse da qui può ripartire la ricerca di quel collante che finalmente può mettere assieme le lotte, che come spesso ci ripetiamo, ci sono, son tante e diverse, ma comunicano poco.
Questa notte referendaria ci dirà questo, e mi aspetto questo. Voglio crederci.
Quanto alla marcia dei 40.000 fasulli, invito alla lettura di ” Restaurazione italiana”, libro intenso e documentativo scritto da Gabriele Polo in collaborazione con Claudio Sabattini, di recente riedito da L’ancora del Mediterraneo nel 2010.
Buona lotta a chi attende questa notte,
D.
Favorevoli 54%, Contrari 46%. da Repubblica online “Il risultato è decisamente al di sotto di quello di Pomigliano. Decisivo, per la vittoria del sì a Mirafiori, l’apporto degli impiegati, che hanno votato in massa a favore: su 441 voti espressi, solo 20 tra i colletti bianchi hanno respinto l’intesa, mentre 421 l’hanno approvata. Il peso degli impiegati alla fine è stato risolutivo per far pendere la bilancia a favore del sì, anche se il voto favorevole è prevalso di un soffio, solo 9 schede su oltre 4mila 500 anche tra le tute blu.”
Si immaginavano percentuali bulgare e ne è uscito il solito paese spaccato in due, molto italiano e molto diviso in classi.
Notevole anche che questa notizia, pur ridefinendo in modo fondamentale i rapporti di lavoro in Italia (Revelli ha parlato, giustamente, di valore “costituente”), sia la seconda sui quotidiani online. La prima riguarda prestazioni sessuali in cambio di denaro tra una persona di 17 anni e il capo del governo di 73 (all’epoca), per festeggiare degnamente il 25 Aprile (insieme al novello zar…)
probabilmente era scontato che avrebbe vinto il si’. ma con una prevalenza per soli nove voti nella componente operaia, si puo’ dire che “l’ ordine non regna a torino”.
e’ solo l’ inizio. la settimana scorsa fincantieri a monfalcone ha annunciato l’ uscita da confindustria. significa che il modello marchionne sta facendo scuola molto in fretta. i prossimi mesi saranno durissimi.
Sì, Tuco, saranno durissimi. Si profila uno scenario davvero tosto, con il potere politico all’ultimo atto del suo disfacimento (intendo dire tutto il potere politico, non solo quello governativo, ovviamente), la rottura del quadro delle relazioni nel mondo del lavoro, e la cassa integrazione che sta per finire. Poi dice “Perché leggi Tolkien…?”
C’è davvero di che rimboccarsi le maniche e serrare gli scudi (metaforicamente e “bookblocamente” parlando).
Piccola rassegna di primi commenti a caldo:
Gad Lerner: “Alzata d’orgoglio degli operai, brutta grana per la Fiat”
http://bit.ly/eSLqRZ
Militant: “La vittoria di Pirro dei padroni e dei loro servi”
http://bit.ly/fb8Brz
Il Manifesto: “Io non ho paura”
http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2011/mese/01/articolo/3996/
USB: “Nonostante il ricatto, c’è ancora il movimento dei lavoratori
http://bit.ly/fVWuJf
Altri commenti a caldo e aggiornamenti:
Meletti sul Fatto quotidiano: “La FIOM è la sola ad aver capito?”
http://bit.ly/fJedSS
***
PAR CONDICIO
Stasera “Che tempo che fa” ospita Landini.
Per il fronte del SÌ ci sarà Giacobbo.
In quest’articolo del FQ il commento di Cremaschi:
http://bit.ly/ePb23e
E’ un dato di fatto che a Mirafiori, con il referendum di ieri, la FIOM ha raddoppiato i suoi consensi, rovesciando le proporzioni che c’erano “sulla carta” e migliorando di molto il risultato di Pomigliano. In teoria il “fronte del sì” aveva il 70%. E’ evidente che molti iscritti a FIM e UILM hanno votato contro i loro sindacati, i cui leader ora sorridono, ma sono sorrisi tirati. Da luglio a oggi, l’azienda (cioè Marchionne) ha perso “presa” tra i lavoratori, e con essa il sindacalismo giallo.
Persino Giannini di Repubblica va a vedere le carte di Marchionne e svela il bluff… “Produrre di più per fare cosa?”
http://bit.ly/gJrzFW
La FIAT non ha un problema di scarsa produttività: ha – come tutto il capitalismo in questa fase – un problema di sovrapproduzione. E la sovrapproduzione è aggravata e resa stagnante dalla mancanza di idee, di progettualità, di piani di innovazione e riconversione. Dietro tutte le cazzate sulla “modernizzazione”, sul Marchionne che ci porta in “tempi nuovi” e ci mostra cieli nuovi, la realtà ci mostra un quadro opposto: un management che non ha nulla di originale, nel contesto di una FIAT che è un preclaro esempio di capitalismo parassitario e inerziale.
L’unica cosa che ha saputo fare l’uomo col maglioncino è creare l’ennesima “bolla” finanziaria, un successo in Borsa mentre l’azienda arretra e vende sempre meno auto. E l’innovazione starebbe nel produrre a Torino SUV destinati al mercato americano. Veicoli energivori, lussi insensati da orlo-del-precipizio. Il contrario della progettualità, della sperimentazione e conversione, della ricerca di nuovi sentieri. Il vecchiume, l’inerzia.
Prendersela con il lavoro operaio, vessarlo, usarlo come capro espiatorio della propria insipidezza, inventarsi panzane sugli “assenteisti” quando la maggior parte della forza-lavoro è in cassa integrazione… Tutto ciò rispecchia l’ideologia del padrone, è una manifestazione di odio di classe, getta scompiglio sul piano simbolico, è volto a riaffermare un comando, ma non “tocca il reale”, non affronta il vero problema nemmeno alla lontana. Il coro dei servi e dei leccaculi alimenta un discorso sempre più lontano e miope, sempre più sganciato dalla realtà.
Gli unici che hanno davvero capito come stanno le cose sono proprio quegli operai accusati di essere “superati”, “nostalgici”, “residuali” etc. etc. In realtà sono loro, con il loro cocciuto opporsi al tran tran dello sfruttamento, alle serie ripetitive disumanizzanti, alla Legge del liberismo che divide et impera, sono loro, con la loro fermezza e dignità, quelli che potrebbero davvero far irrompere qualcosa di nuovo, produrre un Evento.
[…] This post was mentioned on Twitter by Emanuele Tartuferi. Emanuele Tartuferi said: RT @yamunin: A proposito di veleni e antidoti: la nuova FIAT : http://tinyurl.com/4zmaeuu (via @Wu_Ming_Foundt) […]
Sicuramente sono loro i più “moderni”, a fronte delle legioni di ragazzi che subiscono angherie di ogni tipo nei call center perché non pensano che andare al gabinetto sia un loro diritto. Ma resistono anche perché hanno ancora un sindacato, bene o male: se anche quest’ultimo baluardo di costituzione verrà meno, diventeranno atomizzati e ricattabili come il resto della società. Lapalissiano, direi.
Nel primo video, anche a me ha colpito la citazione, totalmente decontestualizzata, dell’orologio della stazione di Bologna. Grazie a quel montaggio, l’orologio viene subito associato al “terrorismo rosso”, secondo una semplificazione purtroppo assai diffusa anche tra le nuove generazioni, totalmente dimentiche della vicenda dello stragismo nero in Italia. Insomma, un modo in più per dimostrare che la reductio ad unum è parte di una vera e propria strategia di comunicazione eversiva, quella che sta intossicando la nostra politica.
Sull’uso politico della parola “terrorismo”, del resto, si potrebbe discettare per ore. Mi limito a rimandare a questo commento del Guardian, una delle cose più intelligenti che ho letto a proposito dei fatti d’Arizona:
http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2011/jan/13/jared-lee-loughner-loner-muslim-terrorists
Se al posto di “islamico”, metti “anarco-insurrezionalista”, il teorema funziona anche in Italia, più o meno.
[…] alternative che destabilizzino questo frame imperante. Prendo spunto, come accade spesso, da Giap (a onor del vero il video è stato diffuso prima su Twitter da @SleepingCreep, cui va un sentito […]
IL MARCHIONNE DEL GRILLO
Il video postato sopra è di qualche tempo fa, credo risalga a poco dopo il referendum di Pomigliano. Non poteva, com’è più che ovvio, tenere conto di quel che è accaduto ieri a Mirafiori. Il voto di fabbrica operaio è un segnale in controtendenza con la “normalizzazione” di quel mondo (espansione dei consensi al centrodestra e alla Lega etc.) che l’ultima didascalia denunciava. C’è più “coscienza di classe” di quel che spesso ci si attenderebbe in condizioni tanto difficili.
Ecco, questo – diversamente da quello del Sisma – è un classico esempio di parodia. Parodia che però va nella stessa direzione dell’opera parodiata: un film di Monicelli che mostrava il carattere sempiternamente irresponsabile di certe figure del potere italico.
sara’ datato, come dicono, ma per me e’ un pugno nello stomaco ogni volta che lo rivedo (“la classe operaia va in paradiso”)
http://www.youtube.com/watch?v=nE59NDKC7TY
http://www.youtube.com/watch?v=9QNLBrfP6TM
@ tuco,
a proposito di quel film:
http://jumpinshark.blogspot.com/2011/01/sopra-un-vecchio-film-di-elio-petri.html
@WM1 e tuco
l’avevo scritto ieri proprio in pudico personale omaggio agli operai. Manco citavo il titolo ed esageravo nella cinefilia, sperando che così sarebbe sfuggito a tutti :)
Perché ognuno di noi – come Petri e Pirro 40 anni fa e quelli di QPiacentini che li criticavano e pensavano a Negri davanti ai cancelli alle 5 del mattino per anni prima di andare in univ – cerca come può (con una sottoscrizione, un post, un filmato, una marcia, un abbraccio) di essere vicino a quegli operai.
Ma molti di noi non sono operai, e stanno o “meglio” o “peggio”, impiegati e/o precari; e il rischio da parte nostra del “romanticismo anticapitalista”, dell'”estremismo di chi le spara sempre più grosse”, persino dell'”estetizzazione della violenza”, è, secondo me, sempre forte (e spesso in buona fede, che come si sa non garantisce niente).
E’ difficile unire il pudore che secondo me è oggi più che mai necessario nell’accostarsi alla condizione operaia con la necessità di raccontare a voce alta e chiara quello che sta accadendo. E che gli altri non raccontano (ma da ieri sera, a urne chiuse, chissà come mai si son svegliati in tanti).
eh, la cosa peggiore sarebbe quella di delegare ancora una volta a Gli Operai la tenuta del “fronte”. anche perche’ non esistono Gli Operai, esistono gli operai, persone di carne, non di acciaio.
Scrive WM1:
«PAR CONDICIO. Stasera “Che tempo che fa” ospita Landini. Per il fronte del SÌ ci sarà Giacobbo.»
La sintesi politica, però, la fa alla fine Cristiano De Andrè con questo:
http://www.youtube.com/watch?v=NhwtJmEgVig&feature=fvw
(in culo a chi crede a un Faber buono per tutte le stagioni)
difficile che Giacobbo possa essere più paranormale di Chiarle (Fim) che giovedì sera ad Annozero è riuscito a dire (testuale) “anche se con questo accordo gli operai perdono qualche diritto il loro salario aumenterà”
ecco come si esce dalla crisi, ripristinando la schiavitù :-D
“la piramide di Cheope
volle essere ricostruita in quel giorno di festa
masso per masso
schiavo per schiavo
comunista per comunista “
Ho notato che nei vari dibattiti spesso i sostenitori di Marchionne si limitano a fare paragoni con la situazione in altri Paesi senza entrare nemmeno nel merito delle questioni. Un po’ come se si dicesse: “Ma in Cina e in Vietnam i bambini iniziano a lavorare a 5 anni, QUINDI facciamolo anche qui per poter competere!”
Quella gran bella persona di Ichino ha sostenuto in un’intervista a Repubblica che non pagare i primi 3 giorni di malattia è assolutamente normale… Succede già negli altri Paesi no? Sei cagionevole? Stipendio decurtato. Beh certo hai sempre l’opzione di andare a lavorare con la febbre.
Insomma E’ GIUSTO O NO pagare chi si ammala? Fossimo anche l’ultimo Stato del pianeta a garantire questo diritto.
Tuco scrive: “la cosa peggiore sarebbe quella di delegare ancora una volta a Gli Operai la tenuta del “fronte”. anche perche’ non esistono Gli Operai, esistono gli operai, persone di carne, non di acciaio”.
Condivido la sua preoccupazione. In un paese in cui la sinistra ha perso la rappresentanza parlamentare e in cui perfino la rappresentanza sindacale viene messa in discussione, la Fiom si erge come un pilastro. E’ rischioso però affidarle in toto la tenuta del fronte, accodarsi dietro il sindacato. Perché significherebbe al contempo deresponsabilizzare noi stessi e sovraresponsabilizzare una sola singola forza, che invece ha un gran bisogno di essere affiancata, connessa ad altre lotte (gli studenti in primis, ovviamente) e di “aprirsi” ad esse.
P.S. Tosto Landini stasera.
Appunti linguistici: le parole subiscono processi di lavaggio e pressurizzazione. Produttività è lavaggio del sudore tiepido provocato dal lavoro, competitività è il deodorante contro il puzzo del sudore freddo causato dalla paura di perdere un lavoro che dia da mangiare, quella per cui lavori anche con la febbre a quaranta. Io ho 27 anni, non ho mai avuto un giorno di malattia. Semplicemente, non mi pagano.
Ma ripeto il rischio di riprendere il concetto di classe operaia sta proprio nell’uso deteriore che ne è stato fatto a lungo, e non da chi l’ha teorizzata, ma da chi l’ha combattuta. Siamo classe in bilico e precaria, unita dall’incertezza, non dalla prole. Non siamo proletari. Siamo classe di lavoratori “di concetto” e manuali, uniti dall’incertezza. Siamo classe precaria.
E’ vero che siamo classe precaria, ma il problema è che noi non abbiamo la malattia pagata, non che gli operai ce l’abbiano. E se la perdono anche loro, è una sconfitta anche per noi che lottiamo per averla.
Come insegnano i WM, dobbiamo puntare al Massimo Comun Denominatore, non il minimo comune multiplo. Magari sembra scontato, però ne ho sentiti troppi in giro di discorsi sugli operai paraculati.
Bravissimo Landini a “Che tempo che fa”. Ha bellamente *ignorato* il consueto frame della trasmissione. Non ha cercato in alcun modo di adeguarsi, di adattarsi, di mediare al ribasso. Al contrario, si è mantenuto *alieno*, a partire dal linguaggio del corpo. Alieno perché proveniente dalla realtà. Ha imposto tutt’altro tono, ha detto quello che andava detto, ha toccato il reale. Cazzeggio zero, niente ironia ridacchiante, Fazio in evidente difficoltà e soggezione. Landini ha aperto di forza uno spazio discorsivo, lo ha usato padroneggiandolo, poi se n’è andato. Ripeto, bravissimo. Bravissimo perché stridente. Bravissimo perché serio. Non fintamente compìto, come tutti gli ospiti “seri” di Fazio, guitti indossanti la maschera di quella pseudo-serietà che, come disse Pasolini, è “la virtù di chi non ne ha altre”. No, Landini era serio davvero, senza compiacimenti.
E ha anche smerdato il “capra-e-cavolismo” buonista della trasmissione. Quando Fazio alla fine gli ha chiesto se non ci fosse almeno qualcosina dell’accordo Mirafiori che avrebbe salvato, Landini ha risposto secco: “No.”
Aggiungo in seconda battuta, ma è forse la cosa più importante: serio perché non era lì come “personaggio”, non era lì “perchè è lui”, non era in mera rappresentanza di se stesso. E non era lì come esponente di un apparato, benché ovviamente Landini sia anche questo. Era lì come emissario di una forza collettiva reale, di un agire collettivo concreto e di un atto di coraggio e dignità: il voto di Mirafiori contro il diktat. Insomma, Landini non era “il Sindacalista”, una delle tante maschere dei talk-show. Era gli operai in carne e ossa, quelli che si sono espressi ieri. Da qui anche la soggezione di Fazio (esplicitamente dichiarata). Insomma: efficacissimo.
Gli operai non sono paraculati, ma (erano) protetti. Io sono senza protezione. Sono a rischio costante di fame. Io voglio la malattia, voglio uno stipendio decente e voglio, esigo dei contratti decenti.
Io VOGLIO rispetto e riconoscimento del mio lavoro, e non solo del mio, ma anche di quello di chi si fa il culo.
Ed ero a manifestare perché se li fottono a loro, come farò a pretenderli io? Salvarsi il culo più collettivamente possibile, appunto. Il mio era un appunto sul modo di lotta. Ora tocca allargare il campo, giocare al rialzo, puntare al cielo. Non gli operai e basta, ma pure i cococo, i cocopro, gli stagisti schiavi, gli apprendistati fuffa, le formazioni a costo zero. A prendere a calci nel culo chi si vuole fregare la vità in nome delle parole pulite. Sono brutto, sporco e cattivo. Ma mangio e cago come te, quindi pagami e tutelami.
Intervengo, con una certa emozione e per la prima volta, in questo blog. Luogo che adoro per la semplicità, la passione, la serietà e l’umiltà di chi vi scrive…grazie Wu Ming, grazie del modo che avete di raccontare, di analizzare, di riflettere, di mettere in discussione, di farvi domande, di aprirvi agli altri.
In secondo luogo…bravo Landini! Dico la verità, quando guardo il programma di Fazio lo faccio con un grande scetticismo, ma stasera ne sono stata felice.
Appartengo alla generazione dei “giovani” trentenni, cresciuti in provincia con i buoni vecchi ideali dei padri…buttati, dopo l’università, in un mondo privo di scrupoli e di rispetto. Un tipo di mondo a cui non eravamo affatto pronti. Abbiamo un tremendo bisogno di ascoltare discorsi come quello di Landini stasera. Concreto, chiaro, serio. Rispettoso della serietà e dell’intelligenza dei suoi ascolatori. Abbiamo bisogno di persone che abbiano ancora il coraggio di prendere posizioni decise. Di dire no con forza. Nessuna sterile dietrologia, nessuna retorica di parte, nessuno slogan politichese. Spero davvero che ci siano i presupposti per riaprire la trattativa in Fiat. Darebbe vigore e speranza a tante altre lotte.
OT. chiedo scusa se intervengo qui, ma nel post precedente non c’erano i commenti. Possibile che su Carmilla on line non ci sia nè la possibilità di commentare, nè di mandare uno straccio di e-mail?
Landini ha dimostrato che la televisione, finché il rapporto è 1-1 (faccia a faccia o intervistatore-intervistato) può essere ancora usata in modo attivo. Quando non c’è la telerissa, il bailamme, il caos dei 12 interventi tra una cosa che dici e l’altra, c’è ancora la possibilità di imporre i tuoi tempi alla trasmissione. Micidiali i suoi “dico ancora una cosa e poi smetto, davvero” con cui scardinava la scaletta: a giusta ragione, che non sono argomenti da potersi riassumere in un minuto a risposta, per poi lasciare spazio alla domanda sulla ribollita o la Reggiana. Maglionazzo, parlata operaia con qualche sgrammaticatura da accaloramento: non sembrava il solito burocrate sindacale allevato nei centri studi. Da rivedere alla moviola.
Poi, certo, il problema è di non lasciarlo solo: lui ha dimostrato di avere con sé gli operai, sta a tutto il resto del movimento non lasciarlo in prima posizione, non farne “IL” leader, la personificazione dell’Opposizione con la O maiuscola, come invece accadde otto anni fa. Pensarci su, da qui al 28.
Infatti, Giro, il rischio è proprio quello. Oggi una sinistra in larga parte obnubilata è in preda a una vera ossessione: la questione del “leader”, della “mancanza di un vero leader”, del “carisma” del capo. Ha cioè introiettato e ri-propone un frame di destra (quello del Führerprinzip), per giunta in una versione degradata, quella della gazzarra mediatica. Come se il problema non fosse la necessità di ritrovare e riaffermare una visione del mondo e un progetto di mondo, ma l’assenza di un “caudillo fico” che nei talk-show rissaioli non si faccia mettere i piedi in testa, che sappia fare le battute.
La sovra-personalizzazione (forse sarebbe più corretto “personaggificazione”, ma è un neologismo che nemmeno Rotunno azzarderebbe!) porta inevitabilmente al culto della personalità, che è sempre populistico e reazionario, poco importa se maligno in partenza (Berlusconi), maligno nel suo sviluppo (Grillo) o “benigno”. A un grande investimento emotivo su un leader salvifico seguirà sempre, ineluttabile, la delusione. Lo scornamento. Effetto Obama. Effetto Cofferati.
Io, per dire, inorridisco anche per l’investimento emotivo e sub-mediatico (cioè: subalternamente mediatico) su Vendola, inorridisco per l’ammiccante culto carismatico che c’è intorno a lui (e questo prescindendo totalmente da quel che lui propone come politico o che fa come amministratore). Sovra-personalizzazione: le “Fabbriche di Nichi”??? Ma che vuol dire? Vuole essere una cosa… “simpatica”? Io non la trovo simpatica, la trovo ridicola e raggelante. Sono d’accordo con Tronti, fosse per me toglierei anche le facce dei candidati dai manifesti elettorali.
La forza della comunicazione della FIOM, in questa fase, è che non c’è IL leader, nessuno è stato ancora incorniciato come tale. E’ una forza che è cresciuta fuori dai radar del cazzeggio, “sottotraccia” rispetto ai media, dato che la presenza operaia era stata rimossa, gli operai erano scomparsi dai media e parlarne era considerato “da barbogi”.
Landini è stato bravo non perché è Landini, o non soltanto perché è bravo lui, ma perché portava lì, con pochissima mediazione, le istanze degli operai, a seggi di Mirafiori ancora roventi. In effetti, ora che la TV lo ha “scoperto” definitivamente, potrebbe scattare il solito meccanismo del cazzo, assecondato dal “popolo di sinistra” (ma non da lui, almeno non credo: mi sembra all’opposto del piacione, si vede benissimo che lui sotto i riflettori *non* si diverte). Facciamone IL leader, continuiamo in questa masochistica ricerca del leader, continuiamo a porci questo falso problema del leader, e saremo fottuti.
@ amaryllide
è la specificità di Carmilla, è così dal 2002, ogni sito ha una sua fisionomia.
Il tanto vituperato (anche dalla sinistra odierna) Partito Comunista, non ci metteva la faccia sui manifesti, ma il simbolo, che stava a rappresentare le idee del partito. La politica del leader carismatico è sempre fallimentare, tanto più a sinistra.
Per chi non l’ha visto o per chi vuole rivederlo, ecco l’intervento di Landini a “Che tempo che fa” (diviso in due parti):
http://www.youtube.com/watch?v=dN0vsIm4llY
Bravo Landini. Come dicevamo, lui non deve diventare un “leader”, ma l’esempio per tutti gli altri sindacalisti. È così che si fa. Capito Cisl?
[…] Via Giap […]
Abbassando un po’ il livello, io sono grata a Landini perché ha esaudito il mio desiderio di ieri sera: far scomparire Fazio e sentire solo lui. Alle 8 pensavo fosse impossibile e volevo tenere spenta la TV. Ho avuto coraggio, e sono stata esaudita. :-)
Però non dobbiamo cedere alla tentazione intellettualistica di fare l’analisi filologica, fisiognomica, posturologica dell’intervento di Landini (era compiaciuto, non lo era, era seduto così o cosà). Solo una parola: no, non era compiaciuto, ma nell’istante in cui Fazio ha letto i numeri del referendum, lì il sorriso, una frazione di secondo, è stato più che istintivo. E vivaddio!
Abbassando ancora, quando vedo Landini (e gli altri della FIOM) non riesco a togliermi dalla testa “La Locomotiva”: “gli eroi son tutti giovani e belli”. Me ne vergogno…non scordiamoci il passamontagna di Marcos.
Una nota sul PCI e sulle facce sui manifesti, il PCI sui manifesti non aveva mai le facce, solo la falce e martello, come a dire: tu voti il partito, oppure, nella degenerazione che ha poi prodotto “cose” come D’Alema: il partito sa cosa è bene per te.
2 parole fuori tema :
Il ragionamento sul leader, sul corpo del capo etc è davvero lunga e complessa, ma mi appassiona. Condivido però con WM1 l’irritazione (per me disagio) per cose come le “fabbriche di Nichi”. Ma siamo poveri esseri umani, e viviamo in un tempo strano con piccoli orizzonti e un senso di sconfitta (fino a ieri) sul groppone, per cui preferiamo la scorciatoia mentale di identificare con un corpo le nostre speranze ed aspettative, inoltre il carisma è una cosa che sarebbe sciocco negare. Quello che a me preoccupa di più, invece è come questa personificazione sia così radicata che, in un comizio proprio ieri, l’applauso più forte (ma forte davvero) è stato quando si è attaccato Berlusconi, non quando si è parlato di FIOM. E questo è un problema. Abbiamo aderito talmente al modello del leader della destra che ci siamo ridotti all’ossessione della ricerca del contro-leader (ormai alcuni sembrano una cane abbandonato che segue chiunque gli faccia una carezza).
n.b. l’uso della prima persona plurale è solo a fini stilistici :-)
ho visto ora Landini a Che tempo che fa (grazie per averlo messo su youtube!).
Condivido quanto dici, WM1, a proposito della collettività che parla attraverso Landini. Sì, proprio lì è la sua efficacia, e la ragionevolezza del suo discorso: Landini non parla per sé, secondo ragionamenti astratti, ma parla guardando da vicino la realtà dei lavoratori. E ci conferma, tutto questo, che a stare da soli non si fa molta strada…
Un fronte importante, ora, è quello dei precari. Come già ci siamo detti altre volte, la difficoltà vera per i precari è l’incapacità di sentirsi parte di una “comunità”. Pesci rossi in una bolla di vetro, come già ho scritto.
Lì dove lavoro siamo (proviamo a essere) in lotta, ma ci tocca ripartire dall’ABC, ad esempio per spiegare ai più giovani che no, il contratto a progetto non garantisce più diritti di un contratto a tempo indeterminato; e che no, se la dirigenza ti dice che intanto dobbiamo cambiare mansioni e luogo di lavoro, e poi vedremo che tutto migliorerà, non si deve accettare supinamente il ricatto; e che no, i dirigenti non sono benefattori illuminati che sanno meglio dei lavoratori cosa è bene fare…
(ogni luogo di lavoro ha il suo marchionne)
@ WM1
Il fatto è che c’è in giro un gran bisogno del “Nome del Padre”, come direbbe Lacan. C’è il Grande Padre nelle narrazioni egemoniche della destra, ma anche in quelle che, ritenendosi di opposizione, hanno interiorizzato il principio di un grande Altro come fonte dei propri desideri, del proprio linguaggio, del proprio simbolico. Una concezione negativa, passiva, triste, impotente della propria soggettività, che si annida anche in proposte politiche resistenziali o reattive (che agiscono sempre sul terreno imposto dall’avversario). Il rischio, parlando di nomi e facce invece che di politiche e contenuti, è di favorire la messa in secondo piano dei contenuti, creando il terreno adatto per futuri compromessi, pastette, retromarce.
Mi chiedo che bisogno ci fosse di “intervento curativo”? Così com’è potrebbe essere benissimo il promo di un nuovo programma con Santoro, Travaglio, Fazio e Saviano…
bellissimo l’intervento curativo…mucha suerte col nuovo sito e grazie per “tener botta” ragazzi ;-)
E’ troppo semplice sminuire il lavoro di Marchionne, troppo banale vedere nell’imprenditore il male.
Sono di sinistra, ma questa volta sto con la Fiat. I diritti dei lavoratori fanno un passo indietro. I metodi dell’a.d. sono rudi, anche se è forse meglio dire non democratici. Ma bisogna guardare più lontano, e vedere che Fiat è sofferente, l’industria dell’auto è morente, il mondo è in crisi. E allora cosa si fa? si decide di essere più stretti, si fanno meno pause, meno diritti. Questa è la strada giusta? No. Ma non è Marchionne ad averla scelta, ma semplicemente il mercato. Quando si gioca con delle regole sbagliate è semplice prendersela col singolo giocatore. Il mondo ha preso una strada sbagliata, il lavoro deve essere nobilitato. Non è facile accontentare tutti .
Per risolvere il problema della tendenza all’impoverimento del diritto al lavoro, precariato, contratti Pomigliano e Mirafiori, C’è bisogno di uno sforzo globale, che non miri a premiare le industrie dove i lavoro è ridotto in schiavitù, dovo sono i bambini sono costretti a lavorare. I politici devono pensare ad una svolta, diversa :”fondata sul lavoro”.
In Italia in più abbiamo singoli problemi che ci fanno stare dietro le altre grandi realtà industriali europee .Si paga per il settore industriale, un eccesso di politiche errate a livello centrale, mancano infrastrutture, i costi dell’energia sono troppo alti, e tanto altro.
Nel frattempo che le cose cambino, meglio un uomo come Marchionne, che sta realmente cercando -in ciò che può- di migliorare la Fiat. Sta nel suo ruolo. La rivoluzione spetta ad altri e verso le persone giuste.
Scusate lo sfogo …
@ wfm_83
Questa linea di pensiero è il segno di come l’ideologia capitalista spacciata per realismo abbia vinto anche nelle menti di chi si definisce (o si crede) di sinistra e di quanta confusione ci alberghi dentro. Cosa vuol dire essere di sinistra se si afferma che le ragioni del capitale globale – di cui Marchionne è soltanto un portavoce, un agente – sono le uniche possibili? Se si ritiene che la Fiat e Marchionne abbiano ragione e che i diritti dei lavoratori conquistati con oltre un secolo di lotte operaie debbano essere smantellati o contratti, allora semplicemente non si è (più) di sinistra. Se si ritiene invece che il mondo abbia preso una strada sbagliata, allora perché bisognerebbe assecondare la logica di Marchionne? Per andare ancora di più in quella direzione?
La legge pura del capitale è perpetrare e incrementare se stesso. Per questo servono forze sociali e politiche che lo arginino, avanzando una logica diversa. Ogni conquista sociale dell’ultimo secolo è stata ottenuta in questo modo. Marchionne appunto fa il suo lavoro. Sono gli altri – quelli che dovrebbero essere di sinistra – che invece hanno smesso di farlo e in certi casi addirittura “stanno” con lui.
A costoro noi diciamo con Brancaleone da Norcia: “Ite, ite, senza una meta… ma da un’altra parte!”
Ti pregherei di risparmiarci ulteriori sfoghi.
La FIAT non ha un problema di scarsa produttività. Al contrario, ha un problema di sovrapproduzione. Le macchine le fa, ma non riesce a venderle. E questa non è certo colpa degli operai, ma di chi investe, di chi progetta, del management e del marketing. E’ una cosa che spiega molto bene Giannini nel pezzo che linkavo sopra, e Giannini non è un operaista sovversivo, come non lo è Gad Lerner, un altro che ha cercato più volte di spiegare queste cose che dovrebbero essere banalità e invece sono occultate dall’ideologia. Forse prima di “fare il tifo” e dire “Io sono di sinistra ma”, prima ci si dovrebbe documentare.
Prendersela con gli operai Fiat, additandoli all’indignazione pilotata, vessandoli, accusandoli di essere “lavativi” o (somma demenzialità!) “assenteisti” quando la forza-lavoro è quasi tutta in cassa integrazione salari (e questo particolare “assenteismo” è una decisione della Fiat, non certo degli operai medesimi), è una condotta truffaldina.
Quella che sta portando avanti Marchionne è una truffa:
– ha trovato nel soggetto più debole il capro espiatorio delle défaillances Fiat;
– ci ha montato sopra un’operazione mediatica che lo ha dipinto (del tutto infondatamente) come “grande innovatore”;
– con questo risultato puramente virtuale è andato all’incasso a Piazza Affari e ci ha guadagnato personalmente qualche bel centinaio di milioni, alla faccia di quei morti di fame degli operai.
In questo modo ha inteso prendere due piccioni con una fava, regolando anche i conti con il nemico storico, cioè la rappresentanza organizzata dei lavoratori, soggetto collettivo per il quale – è evidente da ogni sua dichiarazione e nel suo stesso linguaggio del corpo – prova quella forma di ribrezzo ideologico che una volta si chiamava “odio di classe”. Gli operai gli fanno proprio schifo, per loro non ha mai avuto parole meno che sprezzanti.
E così, con questo bluff:
– i problemi di sovrapproduzione non vengono risolti;
– il corto respiro rimane corto e a innovare (cioè riconvertire, perché in futuro un mezzo inquinante e letale come l’auto dovrà cambiare per amore o per forza) non ci si pensa nemmeno;
– si gonfia un’ennesima “bolla” (tanto, quando si sgonfierà, Marchionne sarà già altrove col suo bottino e i cocci dovremo raccoglierli e pagarli noi contribuenti);
– si privano i lavoratori di diritti conquistati con le lotte di generazioni;
– si confondono ulteriormente le idee di quelli che io-sono-di-sinistra-ma, e si inquina il discorso pubblico.
E questo “bussolottaro” da imbocco di vicolo, questo prestigiatore da feste di compleanno, quest’uomo a cui in Germania hanno sbattuto la porta in faccia dopo che (loro sì, al contrario di quel che fa la politica italiana) sono andati a vedere il suo bluff, qui è riverito come un genio, un pioniere, uno che rappresenta il “nuovo” dell’atomizzazione e del divide et impera contro il presunto “vecchio” dell’azione collettiva organizzata. Viene soltanto da vomitare.
Non è facile uscire da una logica capitalista quando il mondo ti spinge dentro questa, e se non ci sta sei fuori. Sono d’accordo con chi dice che il capitalismo è un male. Una sola impresa non può combattere contro ciò, il rischio è quello di vedere una fabbrica fallita e operi senza lavoro. Penso che il responsabile di questo non sia Marchionne, ma penso che lui ne sia più semplicemente un esecutore.
Credo che sia più utile aprire una nuova fase di pensiero dove si metta al primo posto il lavoro, ma dove tutti questa regola la rispettino. Non solo Fiat, ma tutti. La concorrenza andrebbe fatta sul prodotto e non sugli operai.
La sovrapproduzione nell’auto è un problema di tutti, dall’America come a Termini Imerese. Solo che da qualche altra parte lo stato aiuta e prova a risolvere i problemi da noi no(o non più)!
Ammetto di avere un pensiero strano. Sono una voce fuori dal coro. Non voglio far cambiare idea a nessuno. Porto un forte rispetto per chi ha scritto libri mi hanno più che emozionato. E capisco tutta la vostra rabbia, che in parte è anche mia.
Una… voce fuori dal coro??! :-O
Bah.
Un saluto agli amici di Wu Ming…
Io veramente non capisco questa cosa di essere “fuori dal coro”. Cioè insomma, essere dalla parte della FIAT, dunque dei padroni, dunque del governo e anche dell’opposizione, insieme al corriere della sera (tralascio gli altri giornaletti, che cmq fanno opinione), e poi al tg1, tg2, tg4, tg5, studio aperto, più CISL e UIL, più UGL e FISMIC…insomma, questi fuori dal coro non solo sono un pò troppi, ma mi sembrano a occhio piuttosto ingombranti…
La verità è che essere con la “politica industriale” della FIAT significa essere parte di quel coro che da sempre ci governa. Ma non è una colpa di chi ci casca, per carità. Anzi, credo fortemente nella buona fede di wfm_83.
Il problema credo sia che questo coro assordante a cui ha tenuto testa la FIOM abbia fatto passare un messaggio silenzioso ma che ormai è assodato: se la FIAT produce poco e male la colpa è dei lavoratori. Cioè, si può essere anche d’accordo con la FIOM, appoggiarla, capirne le ragioni, però un modo dev’essere trovato per adeguare la produzione alle capacità lavorative dell’impresa.
E sta proprio qui l’inganno. E si perchè in tutta questa vicenda i lavoratori non c’entrano proprio nulla. Ma non perchè noi dobbiamo per forza difendere i lavoratori e il lavoro, no no.
Allora, non starò qui a ripetere che il costo del lavoro per l’azienda risulta il 7% a fronte del 93% di costi che si potrebbero ridurre, e dunque scaricare il peso di una ristrutturazione su quel 7% è una scelta politica dell’azienda e non una necessità.
Però vorrei dire questa cosa: prima della crisi la FIAT già viaggiava in perenne regime di cassaintegrazione. Nella bufera della crisi ha praticamente annullato la produzione nei suoi maggiori stabilimenti vendendo solo le scorte immagazzinate. Nel periodo post-crisi che stiamo vivendo, continuerà a far fare cassaintegrazione per un altro anno e mezzo a tutti i suoi operai. Dunque, sono gli operai che non vogliono produrre, o che producono male, oppure è la FIAT che a) non riesce più a vendere b) non riesce più a innovare e c) non riesce più ad economizzare la sua produzione? E se tutte queste cose sono vere, è colpa dei lavoratori che non producono o della politica aziendale che non funziona? Che mi venga in soccorso monsieur de Lapalisse…
Detto ciò, il Marchionne non dice che nel suo modello perfetto, la Germania, i lavoratori lavorano in media 10 ore in meno a settimana, guadagnano il 100% in più, e non vengono licenziati.
Più in generale, come stiamo vedendo, marchionne sta fungendo da apripista. Subito dopo il referendum il suo contratto tipo-mirafiori sta già prendendo piede in altre aziende (vedi carrefur..). E già si parla di abolire il contratto nazionale a favore di quello aziendale. Vabbè, non mi dilungo, mi sembra che il concetto sia chiaro: far pagare i costi di ristrutturazione prodotti dalla crisi da sovrapproduzione unicamente sul costo dela capitale variabile, cioè sui lavoratori. Solo che non sono stati loro ad essere le cause di questa crisi della produzione. E siccome non c’entra nulla il modo in cui questi lavoratori producono, ristrutturare il lavoro non servirà ad uscire dalla crisi. O meglio, magari si tornerà a produrre a minori costi, e quindi a recpuerare competitività per qualche anno, diciamo una decina d’anni, per poi ripiombare in un altra crisi. Da cui i padroni ne usciranno cercando nuovamente di togliere diritti e tagliare stipendi e chi lavora. E così via…
Quindi sarebbe Marchionne quello che innova? Ma per favore…
Alessandro – Militant Roma
Dieci anni?
Nel 2021 la Fiat sarà un ricordo già sbiadito, più o meno come il paese dove nacque.
Nel mondo c’è posto per non più di sei o sette multinazionali dell’auto. In Europa la soglia massima è due. Diciamo quattro anni e già stiamo belli larghi.
Tra Fiat Renault e Volkswagen chi è che va a fare in culo ?
L.
Caro Alessandro non sto assolutamente con nessuno, ne con Fiat (in passato ero sempre contro le sue scelte) ne con i Tg (in tv vedo il TG di La7, Ballarò ed Annozero) e tanto meno con nessuna parte politica. Giudico di fatto in fatto.
Cercavo solo di esporre un pensiero che ti posso assicurare è molto fuori. Io nel mio piccolo cerco di riflettere solo con la mia testa, lasciando da parte anche le ideologie.
Non mi piace vedere le cose in modo semplice ma cerco i dettagli. E’ facile sparare a zero su Fiat, come è anche facile stare dalla parte del “padrone”.
Ribadisco il concetto il problema non è Marchionne (che non fa i miracoli, ma fa bene il suo lavoro), ci saremmo mai aspettati che in un momento di forte crisi Fiat solo grazie alle sue tecnologie conquistasse la Chrysler? …, se non ci fosse stata la cura Marchionne ora Fiat non ci sarebbe più (acquisita da GM, che poi è fallita), altro che problema sui contratti. Invece adesso a Mirafiori si potrebbero produrre anche Jeep, non mi sembra tutto nero.
Quello che io vorrei ora è che si discutesse di introdurre: sui salari una quota parte degli utili, ed una sempre crescente ergonomia in catena di montaggio.
@ wfm_83
davvero, col cuore in mano: ti sei bevuto troppa propaganda. Marchionne fa bene il suo lavoro, certo. Tutto sta a mettersi d’accordo su quale sia il suo lavoro. Che non è certo “salvare la Fiat” (leggi: i suoi posti di lavoro), bensì – al limite – *gestirne lo smantellamento* alle migliori condizioni di mercato possibili (ipotizzo: una fabbrica “addomesticata” dove non si può più scioperare si vende senz’altro più facilmente), aiutare gli eredi Agnelli a separare sempre più il loro nome (come già si sta vedendo con la vicenda Newco) dal business del vendere auto, trarre in Borsa un profitto gigantesco da una falsa battaglia… e andarsene dopo avere sfasciato migliaia di esistenze. Anche sulla questione Fiat-Chrysler mi sa che non ti sei informato abbastanza, se dici che Fiat “grazie alle sue tecnologie” ha “conquistato” la Chrysler. E’ sempre più evidente che, di fatto, è accaduto il contrario, e c’è stata una “chryslerizzazione” della Fiat. Quanto alla produzione dei SUV a Mirafiori, io la ritengo una cosa abominevole. Per il pianeta, per noi e per i nostri figli.
L’obiettivo di Marchionne è massimizzare i profitti. Gli strumenti con cui sta perseguendo questa sua politica personale e familiare sono la divisione in due della società e dunque una nuova società quotata in borsa e l’aumento dei ritmi di lavoro a parità di stipendio, dunque un abbassamento degli stipendi.
Per quanto riguarda la Chrysler, la FIAT non ha sborsato un euro. E’ stato il governo americano a mettere tutti i soldi, motivo per cui nel corso di questi anni la FIAT il debito cell’ha con gli USA e non con la Chrysler. La FIAT è stata solo una soluzione a buon mercato, l’altra era far dichiarare bancarotta alla casa automobilistica e svendere il patrimonio a qualcun’altro. Che la presenza di FIAT in Chrysler sia un affare è tutto da vedere, per il momento l’amministrazione americana ha regalato alla FIAT uno dei suoi pezzi pregiati perchè non poteva fare altrimenti. C’è arrivata la FIAT prima di altri? E’ vero, ma soltanto perchè gli “altri” da anni giudicano inutile investire nel settore automobilistico nord-americano, puntando piuttosto al mercato asiatico e latinoamericano.
Che tutto questo significa “innovazione”, o “modernità”, o qualcos’altro di buono, è tutto da vedere. Per il momento, si tratta solo di spericolate operazioni finanziarie senza nessuna conseguenza “industriale”.
Ma, come sempre, il tempo sarà gentiluomo. Anche se, purtroppo, anche qui come sempre, non insegnerà niente a chi non vuol vedere…
Non sono sicuro di avere ragione, la mia è solo una piccola opinione. Ma di una cosa sono sicuro non mi sono bevuto nessuna propaganda. Non mi sorprende il fatto che la pensi in questo modo di me, oggi è difficile trovare persone con cui affrontare una discussione, molti se ne fregano o si fidano dei tg (che sono un po’ tutti di parte).
Il tempo farà da giudice supremo, io intanto tifo per il lavoro, per un italia nuova dove si pensi agli italiani, e non solo all’abitante di Arcore.
Mi sembra che stiamo portando avanti una discussione…
[…] riprendere in questo post alcune idee che avevo elaborato in calce ad una discussione su Giap, il blog di Wu Ming. Nel post, pubblicato pochi giorni prima del referendum di Mirafiori, […]
[…] riprendere in questo post alcune idee che avevo elaborato in calce ad una discussione su Giap, il blog di Wu Ming. Nel post, pubblicato pochi giorni prima del referendum di Mirafiori, […]