O captain! Our captain! Emilio Salgari, 1911 – 2011

Il 25 settembre 1885, alla periferia di Verona, due giornalisti incrociarono le sciabole per ottenere soddisfazione delle offese che si erano lanciati dalle colonne di quotidiani concorrenti: L’Adige e L’Arena. In particolare uno dei due era stato accusato di millantare il grado di “Capitano di grande cabotaggio” senza averlo mai conseguito. Costui, un tipetto basso e agile, con ispidi mustacchi a manubrio, inflisse al rivale una lieve ferita alla tempia, che spinse i padrini a sospendere l’assalto. Il suo nome era Emilio Salgari, già noto ai lettori dei giornali veronesi come l’Ammiragliador, anche se, oltre a non essere certo ammiraglio, non era nemmeno mai stato capitano.
E’ risaputo infatti che il papà di Sandokan e del Corsaro Nero, bocciato all’Istituto Nautico di Venezia, più che lupo di mare fu topo di biblioteca, specializzato nella consultazione di atlanti e memoriali di viaggio. Meno noto è che prima di trasformarsi in una delle più prolifiche macchine narrative di tutti i tempi, Salgari fu molto altro. Trovata chiusa la via del mare, si era rivolto alla campagna, diventando schermidore, ginnasta, ciclista. Bisogna immaginarselo in giro per le strade della Valpolicella sull’alto biciclo, o in tenuta sportiva mentre partecipa a una corsa campestre. Un’immagine in contrasto con l’ultima che lascerà ai posteri: quella di un samurai che commette harakiri. Tra l’una e l’altra c’è la figura di un geniale autopromotore letterario, che realizzò colossali burle giornalistiche e sperimentò tecniche pubblicitarie all’avanguardia.
Come quando sui muri di Verona comparve un manifesto che raffigurava una tigre inferocita, con l’annuncio: “La Tigre sta per arrivare…”, mentre il quotidiano La Nuova Arena lanciava la notizia della fuga di una tigre da un serraglio nelle vicinanze e le pasticcerie cittadine mettevano in vetrina torte decorate con la “Tigre della Malesia”… il romanzo d’appendice di Emilio Salgari.
In seguito i giornali veronesi congetturarono per settimane su una misteriosa dama velata (ma certo bellissima), che sarebbe giunta in città. La versione accreditata da certi cronisti dall’orecchio lungo fu che si trattasse nientemeno che della favorita del Mahdi, il leader della rivolta anticoloniale sudanese. Solo quando la curiosità fu alle stelle il velo venne sollevato sull’abile campagna orchestrata per lanciare il secondo romanzo di Salgari: La Favorita del Mahdi, appunto.
Con il trasferimento a Torino e l’incontro con la grande editoria, Salgari raggiunse la fama nazionale. Innovò il canone della letteratura per ragazzi (di tutte le età), tenendosi lontano dal pedagogismo di Collodi e De Amicis, in favore del fascino per l’avventura esotica e gli amori romantici. Gli anni a cavallo del secolo lo videro intento a scrivere a un tavolo sommerso da mappe, pugnali, statuette di divinità indiane, collane di conchiglie, pistole ad acciarino, giornali illustrati, bussole, planisferi… I mondi più lontani presero vita così.
Il numero di emuli e di lettori parla chiaro: Salgari fu uno scrittore importante. Non già per lo stile, spesso frettoloso e poco curato (anche a causa della quantità di pagine che era costretto a produrre a getto continuo) e che già allora scontentava i critici puristi, ma per la vulcanica capacità immaginativa e affabulatoria. Salgari seppe importare nell’Italietta post-unitaria il gusto per la letteratura avventurosa, rubando gli ingredienti al feuilleton francese e l’aroma all’epos coloniale britannico. Il tutto mescolato al melodramma risorgimentale (era anche un recensore lirico e teatrale) e ai favolosi resoconti di esplorazioni ai confini del mondo. Salgari tracciò la via italiana al romance, come scrive Claudio Gallo nella nuova, brillante biografia fresca di stampa: C. Gallo – G. Bonomi, Emilio Salgari, La Macchina dei Sogni, BUR, 2011. In Italia non abbiamo avuto un Dumas né un Verne, tanto meno un Conrad. Abbiamo avuto Salgari: uno scrittore un po’ guascone, abile costruttore del proprio personaggio (si fece sempre chiamare “capitano”), avventuriero mancato, romantico scapigliato e conservatore sui generis, che credeva nel destino coloniale dell’Italia in terra d’Africa, e al contempo seppe raccontare il colonialismo dalla parte di chi lo subiva. Uno i cui eroi ed eroine letterari erano spesso coppie miste ante litteram, in barba al razzismo dell’epoca. Un signore convinto, a ragione o a torto, che “nulla nell’arte ci è di assoluto e (…) il bello è ciò che piace, malgrado ogni pedagogia di critici più o meno sentimentali”. Uno che senz’altro fece la differenza. E che finì male, malissimo.
Stretto nel ruolo di gallina dalle uova d’oro; pressato dalle continue richieste degli editori – che non poteva rifiutare, dovendo mantenere una famiglia numerosa -; afflitto dal dramma di una moglie psicolabile; dopo l’internamento di quest’ultima in manicomio, Salgari gettò la spugna.
L’annuncio del suicidio, nella lettera lasciata ai figli, lo diede con le celebri parole “spezzo la penna”, che sanciscono, insieme alla resa, l’indissolubilità del legame tra vita e scrittura.
Nell’uscita di scena il “Capitano” non mancò di essere melodrammatico e truculento, fedele allo stile dei suoi romanzi: si appartò in campagna e con un rasoio si squarciò l’addome e la gola.
Era il 25 aprile 1911. Giusto un secolo fa.
In tempi di retoriche celebrazioni per l’unità d’Italia, chi fa il nostro mestiere dovrebbe ricordare il piccolo grande padre della letteratura popolare e avventurosa italiana. Un pioniere che non attraversò ghiacciai, deserti, o giungle a colpi di machete, ma aprì senz’altro una nuova pista a colpi di penna.

Articolo uscito su QQ – Italia, aprile 2011

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36 commenti su “O captain! Our captain! Emilio Salgari, 1911 – 2011

  1. Bravi, è una sintesi esemplare.
    La cosa, anche se l’avete già scritta, che mi preme sottolineare è che sebbene Salgari si trovasse in un frame eurocentrico, colonialista e razzista, seppe in qualche modo forzare le giunture di quella cornice e dar la possibilità, esotica e romantica, di guardare all’altro con occhi diversi.
    Michele Mari nello scritto introduttivo all’edizione Einaudi de Le Tigri Mompracem riferisce che nell’italietta giolittiana si sconsigliava la lettura di Salgari perché “mette la febbre” e “scalda la testa”. Un po’ di quelle febbre che gli scritti di Salgari seppero accendere fu febbre fertile, di quella che allunga le ossa e fa crescere.
    Un esempio su tutti:
    So per certo che nelle valli piemontesi furono diversi i partigiani che assunsero nomi di battaglia salgariani, non voglio dire che senza Salgari non avrebbero partecipato alla resistenza, ma che che alcuni dei suoi personaggi abbiano una forte attitudine resistente sì, questo sì.

  2. @ filosottile

    Quello che dici è talmente vero che infatti negli anni Settanta la Rai produsse il famoso sceneggiato con Kabir Bedi e Philippe Leroy, nel quale la lotta anticoloniale delle Tirgri della Malesia riecheggiava quella dell’Algeria, di Cuba, del Vietnam, dei paesi africani. Sandokan è forse il primo grande eroe letterario anti-imperialista “made in Italy”. Quello sceneggiato contribuì non poco alla costruzione di un immaginario di lotta “terzomondista” nella cultura pop italiana di quegli anni.

  3. @ Wu Ming,
    da autori Einaudi, avete potuto spulciare in anteprima il libro di Ernesto Ferrero su Salgari? è in uscita…

    http://www.einaudi.it/libri/libro/ernesto-ferrero/disegnare-il-vento/978880620728

  4. La “burla” pubblicitaria di Verona – “La tigre sta arrivando” – è stata replicata (consapevolmente? sarebbe bello saperlo!) per pubblicizzare “L’esercito delle dodici scimmie” di Terry Gilliam: manifesti che sembravano scritti a mano, con la scritta “stanno arrivando”.
    Leopardi, nel suo “Saggio sui costumi degli italiani”, parla della curiosità per i costumi stranieri favorita dai viaggi e dalla letteratura come una delle soglie della modernità, che la Francia e l’Europa illuministica avevano attraversato, e l’Italia del primo Ottocento ancora no: Salgari è l’espressione letteraria di questo attraversamento della soglia, negli anni della rivoluzione industriale giolittiana. Ma anche, dello spirito di evasione che il piccolo borghese matura sognando mondi esotici mai visti, se non nella collezione di francobolli (Simmel). C’è, insomma, una compressione dei tempi e della società che colma (non del tutto) un secolo di ritardo in pochi decenni, e Salgari è al centro di questa compressione. E questo spiega il suo radicamento nella mente degli italiani, generazione dopo generazione: ma anche, la sua plasticità. La lettura che WM4 ricordava (Sandokan=Che Guevara) esprimeva lo “spirito del tempo”, tanto quanto la lettura comune ai tempi di mio padre (Sandokan Vs la perfida Albione): lettura sulla quale il regime cannò di brutto, non cogliendo nei fumetti di Rino Albertarelli un’eccedenza (filologicamente corretta, peraltro) rispetto ai limiti che l’ideologia concedeva alla “lotta” e alla “avventura”.
    [NB: secondo Wikipedia, Che Guevara avrebbe dichiarato di aver letto 62 romanzi di Salgari: risulta a qualcuno la fonte?]

  5. @ girolamo,
    ricordavo vagamente qualcosa, a proposito del Che e di Salgari, e poi ho trovato questo articolo

    http://archiviostorico.corriere.it/2011/gennaio/31/grande_Salgari_Certo_non_sarebbe_co_7_110131038.shtml

    Paco Ignacio Taibo II parla (e scrive) di Salgari e di Che Guevara (sostenendo che il Che aveva un taccuino di lettura e quindi il numero dei libri di Salgari letti dovrebbe essere esatto)

  6. @ danae

    Non so come sia il libro di Ferrero. Ho letto in anteprima la biografia di Gallo e Bonomi e quello che posso dire è che, a differenza di altre già uscite, non è “romanzata”. Le riflessioni generali sul peso e il ruolo di Salgari sono affidate a un lungo saggio finale di Claudio Gallo (bibliotecario veronese che studia Salgari da una vita, uno di quegli studiosi non accademici e non quotati che però alla fine ne sanno più di tutti), mentre la biografia è ricomposta sulla base di una documentazione davvero certosina. Tanto per fare un esempio, gli autori sono andati a spulciarsi i contratti editoriali firmati da Salgari e dimostrano come non fosse affatto un autore sottopagato rispetto ai canoni dell’epoca. Anzi, era uno di quelli più quotati e tra i pochissimi ad essere tradotto all’estero. Dalla scrittura guadagnava bene. Le difficoltà economiche erano dovute più che altro alle cure necessarie per la figlia malata di tisi e per la moglie; ma probabilmente anche al fatto che la famiglia da mantenere era assai più allargata del suo nucleo (a Torino vivevano i parenti della moglie). Anche l’attività di recensore teatrale e lirico è molto ben ricostruita, articoli alla mano (da lì è tratta la dichiarazione di poetica tra virgolette che riporto nel pezzo per GQ), e perfino il suo ruolo di promotore sportivo. Insomma, anche se non sono in grado di dire se sia la biografia “definitiva”, mi pare comunque che si tratti di un lavoro senza precedenti per quantità di materiale consultato.

  7. Una lettura salgariana che consiglio urbi et orbi è Le meraviglie del 2000, del 1907.
    Salgari immagina che i due protagonisti, uno scienziato e il suo amico scavezzacollo, grazie a un preparato chimico si addormentino a inizio ‘900 e si risveglino cento anni dopo. Il tutto potrebbe ridursi alla celebrazioni delle magnifiche sorti e progressive del futuro, meraviglie tecnologiche e pace sociale. E, in effetti, almeno in un primo tempo, Salgari rispetta il clichè delle aspettative positiviste, ma mano a mano va inserendo aspetti sempre più inquietanti, dal confino nel circolo polare artico per i dissidenti, alle “malattie da inquinamento”. Io l’ho trovato per certi versi illuminante. http://bit.ly/gqBh3h

    @Wu Ming 4
    A proposito di quello sceneggiato, ritengo interessante questa sequenza: http://bit.ly/gfqekG (a partire dal minuto 6.15) con Yanez nelle vesti di mediatore culturale.

  8. @ girolamo

    Un paio d’anni prima del film di Gilliam, i muri di tutto il centro di Bologna vennero “imbrattati” con una misteriosa sigla: “R. Ph.”
    Pochi giorni dopo – era la primavera del 1994 – veniva pubblicato il primo numero della fanzine metropolitana “River Phoenix”. E credo che gli esempi potrebbero continuare…

  9. @ WM4,
    grazie!
    sì, da come si presentano, e da quanto scrivi, quella di Gallo e Bonomi è proprio una biografia “con i fiocchi” (dove per “fiocchi” intendo le ricerche d’archivio), da leggere.

  10. Nel 2007 sono stato Cuba per volontariato un paio di mesi, passavo molto tempo nelle piccole librerie e nelle bancarelle di libri, e mi colpì come avessero tutte almeno un paio di racconti di Salgari. Ne comprai anche alcune vecchie edizioni degli anni Sessanta, e chi mi vedeva con quei libri iniziava sempre a parlare di Iolanda o delle Tigri di Mompracen, come se fossero parte del “loro” bagaglio culturale. Avete scritto di come “Sandokan è forse il primo grande eroe letterario anti-imperialista made in Italy”, l’ho constatato di persona in un ambiente che non si è lasciato sfuggire un solo esempio culturale di questo tipo.
    All’università ho poi seguito due corsi in cui si parlava di Salgari, in uno veniva semplicemente inserito nel contesto pedagogico di fine Ottocento tra un Giornalino di GianBurrasca e un racconto di DeAmicis, nell’altro ci si concentrava sul gossip della sua vita privata, tra malattia della moglie e dispute degli eredi. Nessuno che abbia mai evidenziato la novità del punto di vista scelto da Salgari, assolutamente privo di finto buonismo e facile morale, e forse per questo così interessante.

  11. @ elzap

    aneddoto per aneddoto cubano, allora ne racconto uno anch’io. In uno dei miei viaggi a Cuba (non ricordo quale, ma penso fosse alla fine degli anni Novanta), mi ritrovai in un capannello di persone che guardavano in casa di qualcuno da una finestra al piano terra e facevano un gran tifo. Pensai che nell’appartamento la tv stesse trasmettendo qualche incontro sportivo, invece sbirciando mi accorsi che tutti stavano guardando lo sceneggiato italiano su Sandokan. Gli spettatori “esterni” sembravano particolarmente coinvolti dal duello in cui la Tigre della Malesia si stava cimentando. Lanciavano incitamenti ad ogni colpo di scimitarra. Alla fine chiesi auno di loro se era la prima volta che lo vedeva. No, rispose, era almeno la quarta (la tv cubana trasmetteva lo sceneggiato molto spesso).
    In quell’occasione ebbi la piena percezione di come la difesa insulare dei tigrotti della Malesia contro gli imperialisti inglesi parlasse alla pancia dei cubani e rievocasse la loro storia.
    La passione di Taibo per i romanzi di Salgari nasce nel contesto latinoamericano, dove in effetti le avventure di Sandokan e del Corsaro Nero (che agisce appunto nei Caraibi) hanno sempre trovato un grande seguito e una fertile ricontestualizzazione mitopoietica.

  12. @ elzap

    Dimenticavo: credo che la biografia di Gallo e Bonomi dovrebbe interessarti. Lì il contesto culturale, letterario e pedagogico in cui si inserì l’opera di Salgari è ricostruito bene e si sottolinea lo scarto che rappresentò per il canone narrativo dell’epoca. Gli autori dicono una cosa interessante anche riguardo allo stile molto semplice e poco “letterario” di Salgari: si trattò di una scelta dovuta non solo alla rapidità con cui doveva produrre testi, ma anche alla volontà di scrivere una narrativa popolare, accessibile a tutti, che prediligesse il plot avventuroso e la ricostruzione delle atmosfere esotiche rispetto alla bella pagina. L’impatto sulla cultura popolare e sul consumo letterario in Italia fu enorme e ancora oggi – a quanto dici – molto sottovalutato dalla critica.

  13. @WM4
    Il Sandokan Rai è un prodotto già tardo, va in onda nel gennaio e febbraio del 1976 (credo una delle prime trasmissioni a colori), ed è una continuazione dello spaghetti western “messicano-rivoluzionario” e più o meno apertamente guevarista terzomondista in voga a cavallo del ’68. E naturalmente l’esempio più alto di quell’importante sottogenere è dato dalla trilogia con Milian (La resa dei conti, Faccia a faccia, Corri uomo corri), diretta da Sergio Sollima, regista anche di Sandokan.

    Riguardo a Salgari il suo ritorno nel salotto buono della letteratura data almeno dal recupero del romanzesco di nuovo a metà anni ’70. Eco in una stessa mossa, nell’interpretazione progressiva e “gramsciana” del superuomo di massa, ci salvava Montecristo e Sandokan (pur facendo le debite proporzioni).
    E’ curioso infine vedere come oggi Salgari sia conteso da molti, ad es. gli scrittori di spionaggio italiani (noti come Segretissimo Foreign Legion), costretti contrattualmente all’esotismo e alle capriole avventurose, se lo immortalano come piccolo padre.

  14. @ jumpinshark

    Sì, ok, ma dopo gli anni Settanta come è proseguito il recupero? Io non ne so abbastanza. So che da qualche anno esiste un Premio Salgari (che WM ha perfino vinto, un paio d’anni fa) per la letteratura avventurosa, a giuria popolare, che vive (in bilico) grazie allo sforzo di alcuni studiosi appassionati e amministratori locali della Valpolicella sempre più isolati. E certo di Salgari si sente parlare eccome, ma la mia sensazione personalissima – che potrebbe anche essere errata – è che non abbia poi molto spazio nel pantheon delle patrie lettere, se mi passi il termine. In fondo questo è l’anno del centenario della morte e ci si sarebbe potuto aspettare qualcosa in più di qualche seminario o mostra e un paio di nuove biografie: ad esempio uno sceneggiato che provasse a rinverdire i fasti di un tempo. Tra l’altro proprio la vita di Salgari si presterebbe allo scopo. Alla fine l’omaggio più originale mi sembra l’abbia fatto un messicano: il solito Paco Taibo II, che ha prodotto un romanzo di fan fiction (non l’ho ancora letto, però).

  15. Segnalo un omaggio/recupero in forte chiave pop:
    Almanacco del Mistero 2010

    http://www.sergiobonellieditore.it/auto/scheda_speciale?collana=33&numero=24&subnum=

    Oltre alla storia a fumetti vera e propria (che, per esigenze di trama, prende in considerazione il Salgari “privato”) contiene un dossier sulla produzione del Capitano. Alcune cose uscite fra i commenti (dalle intenzioni “popolari” dello scrittore ai suoi comportamenti sopra le righe) compaiono.
    Non mi pare venga preso in considerazione l’aspetto guevarista del telefilm ’70 (però, avendolo solo leggiucchiato, potrei sbagliarmi, dovrò riguardare)
    mentre, la storia a fumetti, alcuni riferimenti ad una visione critica di Salgari nei confronti del colonialismo europeo li contiene.

  16. @jumpinshark — Se si vogliono cercare antecedenti allo sceneggiato TV (anche se, va detto, non proprio in chiave anti-imperialista), ci sono esempi salgariani in senso stretto: l’adattamento radiofonico del 1969 (“Con Salgari nel cuore”) e soprattutto lo storico adattamento teatrale del 1972 a firma Trionfo-Conte, che al contrario denunciavail “proto-fascismo salgariano”. Lo spettacolo peraltro è stato ripreso proprio quest’anno al genovese Teatro della Tosse. Poi, ovviamente, si può citare l’adattamento fumettistico di Milani-Pratt, che tuttavia non circolava (perduto, ristampato solo ora) e quindi non può aver avuto grande impatto sugli immaginari.
    Sono comunque del parere che la trasposizione televisiva abbia appiattito un fermento, allora molto diffuso, di riletture salgariane ben più interessanti e rivelatrici. Sarebbe davvero interessante fare un raffronto tra quelle interpretazioni (in cui prevaleva la lettura ribellistica, che fosse in chiave ‘anticolonialista’ o in chiave di rivolta ai modelli educativi dominanti), e quelle odierne, in cui si enfatizza il potere liberatorio dell’immaginazione popolare letteraria.

    Il libro di Taibo II lo sto leggendo in questi giorni, sono a metà, è ovviamente molto interessante e pieno di finezze, detto questo è un’operazione di letteratura al quadrato, forse anche al cubo, e una riflessione su tutta la narrativa popolare (Karl May), ibridata di marxismo (Engels) e anti-imperialismo (il cui portavoce diventa proprio l’europeo Yañez, con un’inversione voluta e cercata) e in cui la riflessione meta-letteraria ha totalmente sostituito la letteratura. Navi di carta che hanno il nome della menzogna.

  17. @valentina
    Il Sandokan di Sollima secondo la Garzantina di Grasso fece 27.3 milioni di spettatori di media, e di certo segnò l’immaginario di una generazione. Basta guardare qualche foto di Carnevale 1976-78 per rendersi conto della forza mitologica (con bellissimi costumi ancora, almeno in parte, artigianali). Che poi fosse meno interessante e “profondo” ad es. di Faccia a Faccia è verissimo e in un certo senso inevitabile. Sull’eventuale effetto di banalizzazione indiretta per le successive interpretazioni non mi pronuncio perché non esperto; posso solo dire che l’edizione delle opere presso Mondadori a cura di Mario Spagnol (Il primo ciclo della Giungla esce nel 1969) segnò un rinnovamento di interesse che poi, come notava WM4, a fine ’70 sembra spegnersi.
    Notevole, non solo per Salgari, è il tuo punto su lettura ribellista e lettura liberal-letteraria.

  18. Salgari è stato per me un autore fondamentale. L’ho conosciuto a 8 anni quando un mio compagno di classe mi regalò “Le due tigri” e da lì partì un grandissimo e bellissimo viaggio tra i mari d’Oriente e i Caraibi, appresso a Sandokan e il Corsaro Nero (nel film “C’eravamo tanto amati”, peraltro, c’è una canzone riarrangiata da Trovajoli, in cui il partigiano si fa chiamare proprio Sandokan). Credo la mia passione per l’avventura sia dipesa da lui. E Verne.

    [Se vi capitasse, vi consiglio uno dei pochi libri autobiografici di Salgari, “La bohème italiana”, in cui affiora un Salgari umorista e perfettamente inserito nell’Italia di allora – pur se con toni e personaggi assolutamente sui generis.]

    In tutte le prefazioni dei romanzi di Salgari si sottolinea quanto sia difficile scrivere per “letteratura per ragazzi”. E quanto sia stato sottostimata la sua inventiva e la sua capacità di sviluppare trame accattivanti. Purtroppo non so se oggi si legga ancora Salgari. A differenza degli anni ’80, negli ultimi tempi la letteratura si è molto più occupata di ragazz* e ragazzin*, con una produzione enorme. Anche qui in Italia si è smosso qualcosa.
    Non so neanche se l’orma del Veronese sia davvero ancora presente nella mente degli autori e dei lettori contemporanei. Ma almeno io posso dire che mi ha fatto sognare da bambino e da adolescente. Non leggo i suoi romanzi da 15 anni o più, ci metto la mano sul fuoco che mi gaserei come allora.

  19. @ Ekerot

    A proposito de “La Boheme italiana” gli autori della biografia che segnalavo fanno notare come quel romanzo probabilmente rappresentasse un’originale adesione di Salgari alla Scapigliatura (in una chiave tutta sua). Come a dire: Salgari non era affatto avulso dalle tendenze letterarie della propria epoca. L’altra cosa che dicono è che Salgari non intendeva affatto scrivere letteratura “per ragazzi”. Anche se i suoi romanzi finirono spesso in format di quel tipo, la sua idea era quella di scrivere romanzi d’avventura per ogni età. E comunque anche in quel genere letterario il fatto che abbandonasse il pedagogismo moraleggiante dei Collodi e dei De Amicis rappresentò un rinnovamento radicale.
    By the way, al contrario di te io ho ripreso in mano i romanzi salgariani in tempi più recenti. Qualche anno fa ho ripercorso il ciclo indo-malese, e durante la stesura di Altai ho letto “Capitan Tempesta” e “Il Leone di Damasco”, che si svolgono durante la guerra di Cipro.

  20. @ Ekerot
    Io credo che Salgari si legga ancora, e con grande godimento, quando incontro le mie cuginette di 10 e 14 anni non parliamo d’altro!

    @ WM4
    Anche io ho letto La Boheme italiana come un contributo scapigliato, gli elementi per suffragare la tesi abbondano: caustici calembour, blasfemia, dissolutezza e soprattutto vino, vino per quanto non si può immaginare.

    Nel corso delle mie letture ho cominciato ad abbozzare una piccola e modesta ipotesi – tutta da verificare – sul modo di scrivere di Salgari: ritengo che sia errato, come spesso si fa, definirlo “scrittore di trama”, e che sia più corretto utilizzare l’espressione “scrittore di situazione”. Non è raro, infatti, che Salgari si disinteressi delle connessioni fra gli avvenimenti e della loro consecutio. Sono diversi i romanzi che si presentano come una sequela di situazioni e “scene forti” legate solo dalla presenza dei protagonisti. Le due tigri, con tutte le sue scene di caccia, è un romanzo che si presta bene alla verifica di ciò.
    Ammettendo che quanto ho appena affermato sia vero, si potrebbe spiegare il fenomeno con la furia con cui Salgari scriveva (in certi periodi sei romanzi l’anno), ma io invece credo che ci sia anche una scelta di poetica. Scelta che per altro si inscrive in una tradizione: quella del teatro del Grande Attore ottocentesco, quel filo rosso che da Gustavo Modena conduce fino a Zacconi e la Duse. In quel teatro, gli attori/capocomici isolavano le situazioni spettacolari (l’agonia di Zacconi ne La morte civile pare durasse dieci minuti d’orologio), i monologhi più drammatici e “tiravano via” il resto. Ho l’impressione che Salgari lavori allo stesso modo: su un inseguimento, una battaglia (quelle de I pirati della Malesia con una felice intuizione sono scritte tutte al presente), una caccia, un exploit buffo di Yanez, si sofferma per pagine e pagine e liquida in poche righe il resto.

  21. @ filosottile

    Non ho studiato abbastanza l’opera e la poetica salgariana per dire se questa tua ipotesi sia più o meno fondata, ma certo è suffragata da quanto affermano Gallo e Bonomi nella biografia appena uscita, e cioè che l’attività di critico teatrale di Salgari abbia avuto una parte non indifferente nella sua formazione di romanziere.
    Nel mio piccolo ho notato che Salgari non è solo costruttore di situazioni narrative “romantiche” e scene madri d’azione, ma è anche capace di produrre improvvisi anticlimax ironici, quasi volesse ogni tanto prendere in giro il proprio stesso stile.
    Mi viene in mente un esempio che trovo indicativo, tratto dalla scena finale de “Il Re del Mare” (1906), nella quale Sandokan e Yanez, dopo una battaglia, decidono di affondare con la nave:

    “- Ed ora, – disse Sandokan con un gesto superbo, – lassù, avvolto nella mia bandiera. Vieni, Yanez: tutto è finito.
    – Bah! – fece il portoghese, gettando in aria una boccata di fumo. – Non si può mica vivere all’infinito.
    Attraversarono il ponte ingombro di frammenti di palle e di granate e salirono sulle griselle dell’albero militare, arrestandosi sulle piattaforme.
    In lontananza, Tremal-Naik, Darma e Surama facevano cenno a loro di gettarsi in acqua. Risposero con un saluto della mano ed un sorriso.
    Poi Sandokan, strappando la sua rossa bandiera che gli sventolava sopra la testa, si avvolse fra le sue pieghe, dicendo:
    – E’ così che muore la Tigre della Malesia.
    Sotto di loro, gli ultimi Tigrotti di Mompracem, un centinaio circa, per maggior parte feriti, aspettavano, impassibili e silenziosi, che il gran gorgo li aspirasse, tenendo gli sguardi fissi sui loro due capi.
    Il Re del Mare affondava lentamente, vibrando e si udivano le acque muggire cupamente, entro la stiva.
    Le scialuppe degli incrociatori facevano sforzi disperati per giungere in tempo a raccogliere quei naufraghi, votatisi volontariamente alla morte. […]
    Sandokan, sempre avvolto nella sua bandiera, li guardava impassibile, con un superbo sorriso sulle labbra. Yanez, con la fronte un po’ corrugata, fumava la sua ultima sigaretta con la calma abituale.
    Quando le acque cominciarono ad invadere la coperta, il portoghese lasciò cadere la sigaretta quasi finita, dicendo:
    – Va’ ad aspettarmi in fondo al mare!
    Ad un tratto, quando pareva che lo scafo dovesse tutto sommergersi, la discesa di quella enorme massa cessò bruscamente. Il flusso che aveva spinto la nave verso l’est, doveva averla portata addosso al banco di Vernon, più di quanto l’equipaggio supponeva e la chiglia doveva essersi indubbiamente posata sul fondo.
    Ed infatti […] lo scafo s’inclinava dolcemente a tribordo coricandosi sul fianco. […]
    Yanez si era voltato verso Sandokan, la cui faccia appariva assai rabbuiata.
    – Nemmeno la morte ci vuole, – gli disse. – Che ci vuoi fare?”

    :-)

  22. Concordo sull’idea di Salgari “situazionista”. Possiamo prendere esempio anche dalla lirica che fino a Rossini, con punte verdiane, consisteva in arie eccezionali e pallosi recitativi di rilegatura.
    In effetti dei suoi romanzi restano impresse molte scene “madri”.
    Detto questo, penso che comunque la lezione del romanzo ottocentesco abbia segnato anche il nostro scrittore.
    Anche riferendomi a “Le due tigri” analizzato sopra, senz’altro la caccia alla tigre è uno dei picchi del romanzo, ma di per sé anche la storia-trama che si sviluppa tra le Sunderbands coi Thugs, Kali, e via discorrendo scorre via con una facilità quasi irritante. Sullo sfondo, se non ricordo male, della rivolta dei sepoy.
    Quindi, certamente non siamo di fronte a “Il conte di Montecristo”, ma le fabule secondo me hanno la loro importanza e valore.

    p.s. Postando quel brano, WM4 (a proposito con lo shift, sei WM$) ha risolto il dubbio…vedrò di recuperare i newton con il ciclo completo delle tigri della Malesia – e pure il Corsaro Nero, Emilio di Roccanera, signora di Ventimiglia e di Valpenta, era memorabile.

  23. @WM4
    a mio parere il passaggio che citi è un esempio di grottesco scapigliato, a me vengono in mente certi racconti di Tarchetti e persino (post-scapigliatura e post-salgari) certe struggenti ironie di Gozzano… esagero?
    Mi sono avventurato di rado al di fuori del ciclo dei Pirati della Malesia, e negli ultimi tre anni, per questioni di “lavoro”, ho spesso ripreso in mano Le Tigri di Mompracem e I pirati della Malesia, non so quindi dire con esattezza quanto esteso sia il fenomeno nell’intera produzione salgariana, ma è certo che nel ciclo indo-malese è presente un registro comico/grottesco (la linea comica per dirla alla Boris) avente funzione demistificatoria, e il personaggio di Yanez ne è senza dubbio il più importante portavoce.

    @ Ekerot
    dai uno sguardo a questa pagina: http://www.liberliber.it/biblioteca/s/salgari/index.htm

  24. a Valentina…

    il libro di Taibo II a cui ti riferisci è forse “Eroi convocati”?
    E’ un romanzo breve che è stato pubblicato anni fa, credo da Tropea, in una raccolta intitolata “La banda dei Quattro”, nella quale compaiono anche Leonardo Padura Fuentes, Daniel Chavarria e il semisconosciuto genio Rolo Diez.

  25. @ Slot Barr

    No, il libro di cui stiamo parlando è appena uscito (anche se Paco ci lavorava da diversi anni). Si intitola “Ritornano le Tigri della Malesia”, pubblicato da Tropea.

  26. Grazie della notizia,
    appena mi sarò rimesso volerò in libreria a prenderlo.
    Paco è un grande appassionato di Salgari. Lo si nota anche dal raccontino onirico a cui mi riferivo.

  27. @ Slot Barr

    Gran bel racconto, tra l’altro, “Eroi convocati”, anche se un po’ datato :-)

  28. Sì, se avessi idea di dove ho messo quel libro, lo rileggerei.
    Ti consiglio “La lontananza del tesoro”.

  29. @ Slot Barr

    Letto. Per la verità di Paco ho letto parecchio. Non proprio tutto, ma quasi. :-)

  30. @tutti
    di paco ho letto “Senza perdere la tenerezza”. fantastico racconto della vita del Che. qualcun altro l’ha letto e mi dice la sua? sarei curioso.

  31. @lulu

    L’ho letto molto tempo fa. Trovo che sia un’ottima biografia, nettamente migliore di quella uscita nello stesso periodo di Jon Lee Anderson (Baldini e Castoldi credo).
    Prova a leggere “Arcangeli” se ti è piaciuta la biografia del Che. Sono dodici storie di eretici del socialismo a metà strada tra narrativa e saggio storico.

  32. @slot barr
    io invece avevo letto quella di kalfon, ma non mi era piaciuta. comunque grazie per la dritta, appena posso lo leggo.

  33. @lulumassa

    personalmente, trovo che la biografia del Che di Taibo sia quella definitiva. Lo dico avendo letto anche quelle di Anderson, Kalfon e Castañeda.

    Se non l’hai letta, quella di Castañeda te la consiglierei. il taglio è molto diverso da quello di Taibo, così come lo stile, la vicinanza emotiva del narratore al personaggio e, in generale, il grado di coinvolgimento emotivo che la lettura suscita. (Gli stessi Taibo e Castañeda avevano inizialmente pensato ad un lavoro a quattro mani, per accorgerso quasi subito che le loro differenze di vedute erano troppo grandi). Tuttavia la base documentale – riportata in nota – è notevole.

    http://bit.ly/fmUlVR

    Per non andare troppo OT, dato che il post è su Salgari, segnalo quest’altro aneddoto: pare che anche Tony Guiteras, uno dei protagonisti della rivoluzione cubana del 1933 a cui Paco ha dedicato il suo ultimo lavoro bibliografico (http://bit.ly/e2Hinx), fosse un vorace lettore dei romanzi del nostro.

  34. A proposito della letteratura “per l’infanzia”.
    Sicuramente il genere non era in voga allora come adesso.
    Ma proprio per questo, l’opera di Salgari merita un premio in più. Un applauso extra alla fine.

    Se a cavallo dei due secoli, l’idea di letteratura per ragazzi corrispondeva soprattutto a propositi pedagogici\educativi, Salgari (non solo lui, ovviamente) è riuscito in un autentico miracolo: essere educativo nella migliore delle prospettive, quella che ti lascia libertà di scegliere.

    Ripensando ai romanzi che ho letto durante l’infanzia con maggiore passione, ritrovo senz’altro “Cuore”, “I ragazzi della Via Pal” e il ciclo dei “Pirati della Malesia”. A distanza di vent’anni, il primo dopo un’iniziale simbiosi, si è staccato da me anno dopo anno. Il bravo bambino risorgimentale che De Amicis voleva mitizzare non mi appartiene più. E questo perché “Cuore” fa di te una locomotiva e non un bufalo.
    Salgari e Molnar hanno invece radicato in me degli ideali di amicizia e avventura che – senza troppa retorica – posso dire ancora potentemente presenti nel mio modo di affrontare la vita. Certo sarebbe stupido credere che dietro ai loro romanzi non vi fossero degli intenti educativi (pensiamo alla critica ecologica nel libro magiaro), ma stanno dietro “la storia”. Non sono imposti.

    Oggi, penso, la letteratura per l’infanzia o per ragazzi è passata alla sponda opposta del fiume. Storie sostanzialmente vuote (di idee e di valori) affidate a scrittori che – per la maggiorparte – non si pongono alcun problema educativo. E’ una conquista? E’ giusto così?
    A prescindere da come la si pensi, la televisione ha risolto il problema.

  35. http://www.radio2.rai.it/dl/Radio2/sito/PublishingBlock-40070aaf-25cc-4d75-833e-bd1f06d93f83-podcast.html

    se vi interessa, da qui si dovrebbe riuscire a scaricare il podcast della trasmissione di sabato scorso (24 aprile) di “tutti i colori del giallo”, ospite Paco Ignacio Taibo, che parla (anche) dei libri di Salgari letti dal Che (e da lui)

  36. Mi permetto di segnalare questa cosa: http://bit.ly/kbTGHN