«- Salve, Anatrino. Finalmente si può parlare da persone civili.
– Io non sono una persona civile. Almeno non secondo i vostri canoni borghesi di civiltà. Io sono il prodotto di decenni di sfruttamento e abbrutimento a cui voi mi avete condannato. Sono incazzato nero e non ho intenzione di farmi leccare il culo. Sappiatelo.»
In alcune librerie arriva oggi, in tutte le altre domani. Anatra all’arancia meccanica (Einaudi Stile libero big), quattrocento pagine di “Cura Ludovico” per l’Italia († 1861-2011) e per i vostri cari. Dal testo introduttivo di Tommaso De Lorenzis:
[…] Anatra all’arancia meccanica è una selezione di racconti redatti dal collettivo Wu Ming durante il primo decennio del secolo. Testo babelico che mischia surreali cronistorie dell’anno Duemila e visioni negative, ruvidità degli slang e reminiscenze dialettali, derive oniriche e quadri d’un realismo secchissimo, quest’antologia garantisce un’immersione negli abissi di un’epoca ineffabile. Troppo controversa per essere passata. Troppo fulminea per dirsi pienamente contemporanea. Troppo incerta per valere da anticipazione d’un qualche futuro.
Con la Nona del “Ludovico Van” in sottofondo, il libro va gustato freddo come la peggiore vendetta, così da esaltare i sapori di una comicità grassa, a tratti greve, sovente manesca e facinorosa. C’è molto da ridere al principio di queste storie. E tuttavia, mentre ci si avventura verso il fondo del Doppio Zero, emerge l’acido retrogusto della tragedia. Si consiglia di accompagnare il tutto con una buona bottiglia di “Latte Più”. Annata 1962. Cantine Burgess, ovviamente.
Grottesca e amatissima, la violenza iperbolica dei primi racconti trasmuta in una brutalità pervasiva. Introdotta come ludico attributo di protagonisti d’eccezione, lo scorrere delle pagine la rovescia nell’apposizione di una realtà opprimente e nella quintessenza d’una «società marcia e malata», per dirla con il “Compagno Sir” di A Clockwork Orange. Tanto è cara al Mickey Mouse depravato, razzista e misogino di Pantegane e sangue, l’apocrifo disneyano in chiave hardboiled-splatter che apre il volume, quanto è estranea al protagonista di Gap99, il buttafuori d’una balera che – in una città del centro-nord – deve fronteggiare un gruppo di turbolenti “spaccia” nordafricani.
Mutano gli stili. Si confondono i generi. Dove montava la caustica giovialità della caricatura o si praticava la più spudorata contraffazione, non tarderanno a scorrere i frammenti d’un decennio munito di licenza d’uccidere. Dalla tavolozza dei registri espressivi, dal carnet delle chiavi narrative non manca niente. E in linea con le attitudini dell’atelier Wu Ming, ritroviamo i principali filoni della letteratura popolare: le metafore della fiaba e le lugubri previsioni della distopia, l’azione del poliziesco sporco e la detection d’argomento storiografico. Con In like Flynn c’imbattiamo in un esempio di crook story, glorioso genere del pop dedicato a frodi e raggiri, all’artistica astuzia dei truffatori e alla tronfia stupidità del “Merlo”. E se di mezzo ci sono due oppiomani nazisti puttanieri come Hermann Erben e il suo amico australiano, il divertimento è assicurato. Le diverse soluzioni letterarie sono soggette a contaminazioni e riscritture lungo una gamma di toni in cui la farsa volge in tragedia prima di liberare le tetre, futuristiche proiezioni del finale. Proprio nella mutevolezza di schemi e linguaggi pulsa lo spirito dei tempi. E in questo senso la scelta di antologizzare i materiali secondo un criterio cronologico è la maniera più consona per restituire l’essenza di un decennio.
Le short stories di Anatra toccano – senza eccezioni – i grandi temi che hanno segnato una stagione catastrofica durante la quale New Orleans è stata cancellata, dopo che le sirene della contraerea erano risuonate nelle strade di Kabul e Baghdad. Questo tempo ha chiamato a raccolta nuovi crociati sotto i vessilli del dio di guerra. Ha prima ignorato, poi braccato, le donne e gli uomini che marciavano contro il neoliberismo. Ha fomentato le passioni tristi dell’intolleranza, della paura, dell’odio, glorificando i vincoli di appartenenze esclusive. Inaugurato dalla caduta dei Signori del Nasdaq, ha covato una crisi gigantesca, annegato vite nella merda dei subprime, saldato il conto alle promesse d’uno sviluppo progressivo e illimitato.
Davanti a un simile catalogo di lutti e miserie, devastazioni e fallimenti, pare impossibile atteggiare il viso all’espressione della risata. Allora è bene non lasciarsi ingannare dal tono picaresco d’una certa scrittura. Le parole custodiscono significati molteplici. E così anche la bizzarra odissea in una Roma cinematografara e pecoreccia, perfino l’incredibile traversia negli ambienti editoriali d’una Milano più bevuta che da bere, hanno molto da dire. A zonzo con Wu Ming per la città eterna, all’ombra d’una Madonnina fatta e strafatta, innanzi alla cosmica cialtroneria dell’industria culturale di casa nostra, c’è da ghignarsela alla grande […]
Ripensando al tempo compreso tra la “battaglia di Seattle” e le 08.46 dell’11 settembre 2001, a quei venti mesi che sconvolsero il mondo, è difficile non farsi prendere da un acuto senso di sospensione, come se – per un istante – il genere umano si fosse trovato a un bivio, incerto sulla via da prendere. E l’indecisione dell’attimo nutre l’esercizio del what if.
Cosa sarebbe accaduto se nelle strade genovesi non si fosse consumata la tonnara d’uomini? Come sarebbe andata a finire se, cinquanta giorni più tardi, due aerei di linea non avessero solcato il cielo newyorkese a una quota troppo bassa?
Quante volte abbiamo formulato queste domande, immaginando un diverso concatenarsi dei fatti e un differente scorrere delle vite.
Saremmo esattamente come siamo? Oppure sarebbe tutto diverso? Che cosa sarebbe cambiato davvero?
[…] Nelle pagine di questo libro […] i tragici eventi che hanno tenuto a battesimo gli anni Zero non sono mai inquadrati in primo piano. E nemmeno restituiti in presa diretta. Al contrario, figurano sempre e solo di sfuggita. È una debole eco a risuonare tra le figure della fiction letteraria. Il movimento alterglobalista, con le sue scadenze di lotta e le sue assemblee organizzative, viene menzionato in una sola occasione: e per giunta in chiave comica. Nessun cenno alla sanguinaria conclusione della tregiorni ligure, alle cariche di via Tolemaide o al piombo di piazza Alimonda. Niente neppure sulle Twin Towers, ad eccezione d’un fugace richiamo in uno dei dialoghi di Gap99. E lo sceicco saudita, l’Arcimaestro del Terrore, compare esclusivamente nell’esilarante parodia di Canard à l’orange mécanique, sotto le mentite spoglie dell’alterego Osama Net Laden.
«- [Sei] un papero che non ha ancora visto la luce. Ti offro la possibilità di salvarti, abbracciando la fede nell’unico Dio, prima che per te e per i tuoi amici sia troppo tardi. A me interessa colpire al cuore la Grande Puttana che chiamano America. Se tu e i tuoi accettate di passare dalla nostra parte, potremo avere ragione dei nostri nemici.
– Anche tu sei mio nemico, ruminante!»
L’obliquità della narrazione si riflette in una geografia di confine dove la provincia domina sulla città e le contraddizioni di quest’ultima prevalgono sui conflitti metropolitani. Perfino quando il racconto attraversa l’Atlantico, nelle pieghe investigative di American Parmigiano, veniamo catapultati in un paesino del New Jersey a sciogliere un mistero che rimanda al Settecento americano.
Anatra percorre free ways e strade blu. Si aggira in località sperdute, mantenendosi a rigorosa distanza dalle arterie principali. Allorché s’appropinqua ai bordi dell’Autostrada del Sole, nell’autogrill del Cantagallo, presso Bologna, scorrono le ore di un day after, ipotetico e post-idrocarburico, che ha provveduto – tra le altre cose – a cancellare il traffico veicolare. E al termine del vagabondaggio le ambientazioni sono ancora distanti e appartate. Prima, lo spazio separato d’una clinica nei versi liberi de L’istituzione-branco. E poi la piazzetta del borgo di Roccaserena dove si sperimentano le goffe tecniche della videosorveglianza.
I luoghi documentano la compiuta estinzione della differenza tra centro e periferia, interno ed esterno, immagine e riflesso. E i personaggi che li attraversano finiscono per assorbirne l’illusoria perifericità, componendo una sghemba geometria di punti di vista. In apparenza occupano posizioni liminari. Paiono relegati in territori secondari o in ambienti isolati. Si collocano ai bordi dei contesti, sulla linea sottile che separa “dentro” e “fuori”. Sembrano lontani dai disastrosi processi che segnano il loro tempo. Eppure ne subiscono gli effetti senza risparmiarsi nulla. A volte, neppure la morte.
[…] All’inizio si rimane spiazzati. Ancor di più se si pensa alle coordinate spazio-temporali di quei monumentali romanzi che hanno fatto la fortuna di Wu Ming. Che si tratti della Riforma protestante o del secondo dopoguerra, dell’indipendenza americana o del Mediterraneo cinquecentesco, non fa differenza. Ognuno di questi scenari coincide con un passaggio decisivo della modernità d’Occidente. E in quelle congiunture, nel plastico movimento della buona affabulazione, fuori dalla rigidità allegorica, rivivono miti e archetipi del narrare. Nel corso degli ultimi dieci anni, negli intrecci di Q e Altai, di 54 e Manituana, abbiamo incrociato il Guerrigliero multiforme che combatte la guerra di sempre, la Spia che custodisce gli arcana imperii, “Telemaco” impegnato nell’antica ricerca, il Meticcio che istituisce legami di nuove comunità. Sulla scala della short story questa tensione epica sembrerebbe sfatata, esorcizzata dalla comicità, intralciata da una topografia fuori mano, appannata da un tempo che non lascia scampo. E stavolta non ci sono le passioni eroiche delle grandi battaglie e la concitazione frenetica dello showdown.
Ciò nonostante, i protagonisti di queste pagine sono dentro le cose, immersi fino al collo nel disastro collettivo, concentrati per far bene quello che devono fare, testardamente indisponibili ad assecondare le inique, rovinose meccaniche dello status quo. Si guardano intorno per rimediare il granello di sabbia da inserire nel congegno distruttivo, il brandello di vita da opporre all’entropia, il percorso che li allontani da luoghi divenuti prigioni a cielo aperto. In fondo, malgrado tutto, rimangono nomadi e narratori. Più o meno consapevolmente, hanno fatto tesoro di lezioni pesanti e cocenti débâcles. Il deserto che gli è toccato in sorte è la landa degli anni Zero e riescono ad attraversarla fino in fondo. Dopo vicissitudini e traversie, trovano sempre la forza per continuare a calcare la strada e il fiato per raccontare un’altra storia. Sono ancora capaci di gesti inaspettati e scarti improvvisi. Risolvono problemi. Sciolgono enigmi. Si cavano dai guai. L’obliquità dei loro punti di vista diventa la risorsa d’un punto di fuga, mentre la capacità di guardare trasmuta nella possibilità di sottrarsi.
A considerarli con calma, soppesando le ambivalenze dei significati, cogliendo corrispondenze sottili e tenui metafore, ti scopri meno disilluso e fatalista di quando hai iniziato la lettura. E alla fine ti sorprendi a pensare che – con gente così – sarebbe potuta andare diversamente. O addirittura che potrebbe andare in un’altra maniera.
Le traiettorie controfattuali e le deviazioni ipotetiche sono ben presenti nell’ordito di questa miscellanea. Nella conclusione del volume, con l’apocalittico futuro anteriore di Arzèstula, si manifestano esplicitamente. I racconti dell’Anatra coltivano tutti – più o meno in segreto – la congettura, l’inclinazione condizionale, l’allusione a ciò che non è stato. In questo modo scacciano il senso d’inevitabilità imposto dal corso della Storia e dalla constatazione del reale, dal documento istantaneo e dalla mimesi più banale: o – ancora peggio – didascalica e “a tesi”. Anche quando sembrano prevalere i motivi della cupa predestinazione e della feroce ineluttabilità, come nel caso di Momodou, la tecnica narrativa d’un montaggio à rebours svela l’insieme delle variabili e il processo aperto che concorrono a produrre una data conseguenza. L’impressione è che, un giorno o l’altro, su quella regressiva dinamica si potrà intervenire. Del resto, in letteratura, come nella vita, la logica del sillogismo non serve a un bel niente.
Muovendo dal dubbio latente del what if, tutte le narrazioni sono – in una certa misura – utopiche, distopiche e perfino ucroniche. Parlano di luoghi e tempi altri. Se dicono dell’oggi, finiscono per tradire il desiderio della mutazione. Quando ricordano il passato, stimolano il sospetto che il concatenarsi dei fatti sia solo una delle tante versioni a disposizione: e nemmeno la migliore. Se anticipano il futuro, è per indicare che niente è già scritto. I conflitti drammatici alla base del raccontare non sono altro che promesse di cambiamento e presupposti di alternative. Le storie premono sulla linea retta del continuum per curvarla, deviarla, interromperla. Rifiutano le cesure cristallizzate del periodizzare e approfondiscono altri solchi. Evitano il gesto scontato e muovono in maniera anomala. Praticano la “mossa del cavallo” e sanno compiere un passo indietro per farne due avanti. Soprattutto: devono disorientare e non farsi trovare mai dove ci si aspetterebbe. Altrimenti non sono buone storie. Oppure sono il latrato dei cani da guardia del dominio esistente.
Insieme alla politica, la letteratura è una delle “arti del possibile”. Ed è bene ricordare che – nelle sue finzioni – “verità” e “realtà” non sono mai feticci assoluti, ma solo gradazioni primarie e relative dell’eventuale. All’infinito spettro delle possibilità corrisponde una gamma altrettanto articolata di percezioni e forme espressive. Ecco perché quest’antologia combina onirismo e realismo, visione e rappresentazione, ricordo e profezia, lucidità e alterazione, capacità intuitiva e raziocinio deduttivo. In questo modo riesce a raccontare un’epoca altrimenti irraccontabile. Se avesse formulato un solo gergo e incrociato lo sguardo del Doppio Zero, arrischiando il faccia a faccia con la coreografica tempestività dell’Orrore, non ci sarebbe stata partita. La soluzione formale in grado di collegare i vari punti di vista è la pluridiscorsività dialogica che combina schegge di mondo. Così nell’ambito della narrativa breve ritroviamo la migliore lezione del romanzo, capace di amministrare il plurale pirotecnico di tutti i carnevali. Una volta, questa polifonia si sollevò contro le tendenze monocordi, centripete, accentratrici, uniformanti del parterre letterario. Contro la lingua invariata del Signore e del Poeta, liberò il motteggio del popolo in festa, l’esibizione del Saltimbanco, lo sghignazzo del Buffone. Oggi fornisce le parole in grado di abbozzare nuove temporalità, sabotando la dittatura del tempo-reale, della diretta infinita e di un «eterno presente che capire non sai», come cantava Giovanni Lindo Ferretti quando c’erano ancora i CCCP.
Dunque, Anatra all’arancia meccanica non fa sconti. A distanza dalla rappresentazione più ovvia, ostentando un plurilinguismo scoppiettante, procedendo da osservatori inusuali, battendo percorsi indiretti, affronta le questioni cruciali del nostro tempo. Racconta il disordine ambientale, il transito dei migranti, l’eccedenza delle storie, l’isteria securitaria, l’intolleranza microfisica, la «micromegalomania» narcisistica, la condizione del lavoro intellettuale. Presenta il decesso di un’epoca marchiata a fuoco da guerre e disastri. Assume con elegante riserbo ciascuna delle sconfitte maturate nel corso di questo decennio e ha lo stile di non vendere la consolazione a buon mercato dell’“avevamo ragione”.
Lo diciamo chiaramente per evitare equivoci: questi racconti non sono redatti con l’inchiostro del pessimismo. E la risata non è un sogghigno disincantato, la cinica colonna sonora della disfatta. Magari non sarà sufficiente a seppellirli, come minacciava un epico slogan del movimento libertario. Eppure far ridere è un’insopprimibile necessità come sostiene Elio. La vita può diventare un noioso déjà-vu. E dalla noia alla morte il passo è breve.
«Qui, nel 1972, i dipendenti entrarono in sciopero improvviso e spontaneo, per non dover fare il pieno e servire il caffè a un politico di allora, Giorgio Almirante. Ne nacque una canzone popolare, forse una delle ultime, ancora la ricordo…»
E poi, anche tra le rovine del mondo, la protagonista di Arzèstula, la veggente del Cantagallo che vaga tra il delta del Po e la collina felsinea, non rinuncia a esercitare il potere taumaturgico delle parole e la forza rigeneratrice delle narrazioni. Sul confine tra passato e futuro, rimembra le parole di un idioma disperso e, attraverso il racconto, rinsalda i vincoli di libere comunità.
È poco? Ad alcuni continuerà a sembrare poco, ma è l’unica cosa che ha senso chiedere a dei narratori.
N.B. Questo è il thread di riferimento per AaAM. I vostri commenti lasciateli qui, grazie.
[…] This post was mentioned on Twitter by Sio, Dinamo, andrea gasperin, Francesco Pomona, Giovanna Tinunin and others. Giovanna Tinunin said: RT @Wu_Ming_Foundt: Anatra all’arancia meccanica. L’ultraviolenza è in libreria, quack!: Illustrazione di Carlo… http://goo.gl/fb/h5oH2 […]
Proprio oggi ho letto su l’Unità l’anticipazione del vostro racconto dove Anatrino alias Paperino fa la lotta di classe contro lo zione Anatrone alias Paperone. Siete forti.
Toglietemi una curiosità: avete cambiato i nomi per evitare di pagare i diritti alla Disney?
@ paolo1984
No. Per evitare di pagargli il risarcimento danni.
E anche, va detto, per potenziare l’effetto comico. Quando leggerai i racconti, vedrai che alcuni nuovi nomi sono molto più belli di quelli originali :-)
Su einaudi.it, la “Postilla” di ANATRA ALL’ARANCIA MECCANICA, ove si narra la genesi di ciascun racconto:
http://www.einaudi.it/speciali/Wu-Ming-Anatra-all-arancia-meccanica
La questione è proprio “quando” lo leggerò..ho la stanza piena di romanzi non ancora letti, e devo sempre finire Isabel Allende (non sono il tipo che legge due libri per volta anche se mi piace comprare un libro quando ancora non ho finito quello che sto leggendo).
vabbè…oggi stesso vedo se è uscito a Prato!
Per prima cosa, un caloroso saluto a tutta la carovana WM..
Un felice augurio di successo anche per quest’ultima fatica editoriale, che siamo certi riscuoterà il giusto favore che merita..a partire da noi, che siamo in trepidante e febbrile attesa che si materializzi sugli scaffali di Roma! ;)
Non vediamo l’ora di farne oggetto di discussione sul blog; recensire e consigliare le vostre pagine è sempre un piacere.
saluti
Ricambiamo il saluto, e preconizziamo che troverete il libro molto “nelle vostre corde” :-)
Comunque siete infidi, eh? Uno non può aspettare l’uscita tranquillo (oltretutto conoscendone già alcune storie) e tirate fuori un post che crea urgenza di avere la raccolta tra le mani. Ma al benessere di chi vi legge non ci pensate? ;-)
Il pezzo su Almirante è fenomenale, come al solito tirate fuori delle chicche uniche.
Eh! Eh! :-)
Per i non bolognesi, ecco la traduzione degli ultimi versi di “Almirante al Cantagallo” (che sono cantati in dialetto):
«C’è poco da fare, ché qui a Bologna
per i fascisti…
per i fascisti…
per i fascisti…
…per i fascisti nemmeno un panino!»
Gia’ letto “benvenuti a sti’ frocioni 3” e da romano mi ha fatto spaccare dalle risate, (poi che cosa e’ successo ai diritti di “q” ?) Ma sabato a Milano presentate il ll nuovo libro oltre al reading di “altai” ?
I diritti di Q adesso li ha opzionati la Fandango, due sceneggiatori sono al lavoro, staremo a vedere. Noi non siamo direttamente coinvolti nel progetto.
Su sabato al Leoncavallo:la data è stata fissata prima di sapere che AaAM sarebbe uscito a fine febbraio anziché a marzo. Se ci fosse dibattito, non ci sarebbe problema, ma è un reading/concerto. Va da sé che se qualcuno vuole venire e, a latere, fare domande sull’Anatra, io rispondo :-)
@castorp
Q è stato opzionato molte altre volte, da molti altri produttori. Nessuno di loro ci ha fatto alcunché, salvo versarci i soldi dell’opzione. La proposta più articolata ci arrivò tempo fa dalla BBC, che voleva trarne una serie TV in tre o sei puntate. Poi non trovarono i fondi e il progetto sfumò. Adesso i diritti li ha Fandango e dalla semplice opzione si è passati a una sceneggiatura, cosa mai accaduta prima. Stiamo a vedere che succede.
Ho letto sul blog che thom york dei Radiohead e’ impazzito per q , “you and whose army” secondo me sarebbe perfetta come colonna sonora x il film. l’hanno gia’ usata x “la donna che canta” film bellissimo che consiglio a todos. A presto al leoncavallo
Quoto ub, diciamo che ci tenete sempre attenti… ;-)
Il reading/concerto al leoncavallo me lo stavo perdendo, ma per fortuna sono ancora in tempo per organizzarmi e vedere di esserci… anche senza domande su Anatra all’arancia meccanica.
Visto che amazon.it mette il libro disponibile dal primo maggio??
Hola
Come scordare l’ispirazione per Tomahawk…diciamo che ho ancora in brividi! Di sicuro ci si vede al Leoncavallo.
@ mr mills
non so dire di cosa si tratti esattamente, ma c’è qualcosa nel modus operandi di Amazon che, almeno al momento, risulta incompatibile con le scadenze del sistema editoriale/librario italiano. Su Amazon.it, il più delle volte, le informazioni su data d’uscita e disponibilità sono sballate. Andrebbero ignorate. Mi dà davvero l’impressione che ci sia un “algoritmo americano” (inteso in senso lato) impostato di default anche in Italia, senza alcuna ricontestualizzazione. Il libro, ça va sans dire, si può ordinare lo stesso, senza problemi.
Domani mattina si corre in libreria!
“All’armi siam digiuni” è un vero spettacolo! :)
Ciao a tutti. Sono felicissima che abbiate incluso la “trilogia” Benvenuti a ‘sti frocioni 3, Tomahawk e Bologna Social Enclave…sono dei veri capolavori (specie i primi due), ma temevo li consideraste solo dei divertissement :)
Riproponiamo dalla nostra audioteca quattro racconti inclusi in Anatra all’arancia meccanica:
– Bologna Social Enclave (voci: Compagnia Fantasma)
– La ballata del Corazza (voce: Wu Ming 2)
– In Like Flynn (voci: Compagnia Fantasma)
– L’istituzione-branco (voce: Wu Ming 1)
http://feeds.feedburner.com/WuMingAudiotheque
Mi aggiungo ai complimenti (anche per il nuovo sito della foundation). E Chapeau! al testo introduttivo di Tommaso De Lorenzis.
Sto risparmiando sulle sigarette per andare in libreria. Fate pure bene alla salute, oh!
Apartetutto, quoto fortissimamente i complimenti vari di sopra.
@EveB. e tutti i risparmiatori:
Io ho comprato oggi il libro alla Feltrinelli Village di Cagliari (Centro Commerciale Le Vele) col 25% di sconto. Non capisco se si tratti di offerte della catena di librerie o dell’editore, non ho controllato in altri posti!
Mi permetto di segnalarlo perché il prezzo di copertina non è esattamente basso (anche se in linea con le recenti produzioni…)
Ora mi ci butto pure io :-)
@ John Grady
Anatra è lungo quanto Altai, che un anno fa costava 19,50. Già era troppo, soprattutto se pensi che poco meno di tre anni fa, Stella del Mattino, appena venti pagine più corto, ne costava 16,80.
In tempi di crisi questa corsa al rincaro è folle e noi non smettiamo di farlo notare all’Einaudi. Se continua così, prima o poi bisognerà inventarsi qualcosa per rallentare la tendenza.
Anche da Feltrinelli a Torino (Piazza Cln) è scontato del 25%.
Mi unisco al coro dei (meritatissimi) complimenti.
Grazie per il lavoro che fate :-)
@Wu Ming 4
suggerisco la rivoluzione!
Ho appena finito di ascoltarmi la ballata del Corazza.
Complimenti!
Dato che mettete in rete gratis i racconti, corro a comperarvi il libro.
(PS: ottima questa cosa del podcast con i racconti, potreste estenderla anche mettendoci le letture ad alta voce che fate prima di dare i libri alle stampe… così me li potrei riascoltare quando vado in giro in bici…)
io l’avevo pre-ordinato…l’altro ieri me lo “spupazzavo” già in auto… :)
complimenti!
Io ho appena terminato la parte di racconti più antichi (fino a “Bologna Social Enclave”), e devo per forza dire 2 cose.
1) più che sguardi obliqui sugli anni zero, per me sono istantanee di “fine anni ’90” (nel senso: mi fanno scattare ricordi e assonanze che riportano alla fine del decennio precedente)
2) a pag.13, la tirata del produttore sugli americani che si conclude con “accattàteve ‘o niro!” fa il paio col monologo dello sceneggiatore nell’ultima puntata di Boris!!! (solo 10 anni prima:-))
i miei 2 cents, direttamente sgraffignati dal deposito di Anatrone.
Se tutto è divertente anche solo la metà della parodia di Paperopoli (a me Paperone è sempre stato sul cazzo) siete dopo la fine della trilogia di K. e “operazione massacro” di Rodolfo Walsh! ;)
Quindi.. a presto!
[…] Alla serata interverrà Wu Ming 1, che oltre a recitare brani da Altai, leggerà frammenti arroventati di Anatra all’arancia meccanica. A proposito di AaAM (ma non solo), segnaliamo […]
Aggiunta al podcast un’altra versione audio di L’istituzione-branco:
http://feeds.feedburner.com/WuMingAudiotheque
Il 25 febbraio 2009, in occasione del secondo compleanno del suo blog, il mediattivista Mario Badino organizzò una festa al circolo ARCI “Espace Populaire” di Aosta. In quell’occasione, lesse il nostro racconto in versi, accompagnato al pianoforte dal musicista e compositore Beppe Barbera.
Qui il post su quella serata.
In 5 giorni di presenza nelle librerie (settimana dal 21 al 26 febbraio 2011), Anatra all’arancia meccanica 23° assoluto nelle Feltrinelli d’Italia e 9° nella narrativa italiana.
Arrivata alle 12.41, riuscita ad entrare nelle terre venete nonostante i controlli alla frontiera, l’Anatra è salva e gode di buona salute. Ora, poichè sarei più in età da amorosi, e noiosi, rapporti con l’inps che da tormentati corteggiamenti con un libretto universitario, epperò mi ritrovo ancora nella seconda condizione, e vista la sessione tuttora in corso, mi son concesso la lettura dei soli Bologna Social Enclave, Gap99 e Benvenuti a ‘sti frocioni 3. Brevemente:
– quando frequentai il Social Enclave del mio paese, avevo appena quindic’anni. Non sapevo niente, e ne capivo ancora meno. Però, c’ho rivisto molto della mia esperienza, nel racconto. Il che fa pensare ad almeno un paio di cose.
– Gap99 è molto bello, e in effetti quando l’ho finito mi è dispiaciuto un po’. Ne è rimasto dell’altro, per caso?.
– Benvenuti a ‘sti frocioni 3 mi ha fatto ridere davvero, sembra di sentirselo raccontare in diretta e immaginarsi le espressioni di presa per il culo è molto divertente. Non so se l’abbiate anche in formato audio, se dovesse mancare io ci penserei :)
La tentazione di andare avanti subito e di lasciar perdere la Bioetica (per carità, importante eh, ma cheppalle!) c’è, eccome, ma siccome “con la cultura non si mangia”, son costretto a fermarmi qui, per ora.
Grazie ancora
I miei complimenti
[…] La Repubblica di oggi, il collega Giorgio Vasta recensisce Anatra all’arancia meccanica. Parla di “corroborante, vitale visionarietà”. Na li, na li (“troppo […]
Intervengo qui perché mi sembra il post più frequentato su #AaAM
Mi fa piacere segnalare le pagine su aNobii http://bit.ly/gLY4IT?r=bb e Goodreads http://bit.ly/ecYwNM?r=bb con le recensioni dei lettori (compresi i soliti noti! JohnGrasy Sweepsy ecc.).
Ho fatto inoltre un bit.ly bundle (nome ganzo per elenco modificabile e riordinabile di link) con tutto quello che sono riuscito a trovare su #AaAM qui: http://bit.ly/eVNz51
Cercherò di tenerlo aggiornato.
[…] materiali che danno forma alla nostra contemporaneità. Ognuno dei sedici racconti che compongono Anatra all’arancia meccanica (Einaudi Stile Libero, con un testo introduttivo di Tommaso De Lorenzis) può essere considerato […]
[…] segnalarlo da un po’, Anatra all’arancia meccanica di Wu Ming, uscito per Einaudi Stile Libero, che raccoglie alcuni racconti del collettivo. Qui, […]
SIC intervista Wu Ming su Anatra all’arancia meccanica:
http://bit.ly/gjPZi3
Se mi passate la metafora, considero questa raccolta di racconti come il filo di Arianna che mi permette di uscire dal labirinto del primo decennio del XXI secolo. Un appiglio e, insieme, un file rouge. Già, perché non so neanche come chiamarlo questo decennio: gli anni zero? Gli anni duemila? Non so come chiamarli perché non riesco a inquadrarli, a connotarli, come invece sembra venire naturale con i decenni passati, quelli di cui non ho esperienza diretta, (gli anni ’60, i ’70) e quelli che ho vissuto – gli ’80, i ’90. Troppi cambiamenti, troppo in fretta. Nel febbraio del 2001 ero uno studente universitario e, insieme al mio amico Bunne (http://bit.ly/hVZmgW) andai al Bulk a sentire Vitaliano Ravagli e Wu Ming (quella volta c’erano tutti e cinque, mi sembra di ricordare) presentare Asce di Guerra. Qualche mese dopo stampai una copia di *Dalle moltitudini d’Europa in marcia contro l’Impero verso Genova*, me la misi in uno zaino e mi misi in marcia contro l’impero verso Genova. A Genova eravamo effettivamente una moltitudine, ma l’impero ci fece molto male. Nel 2002 partecipai a una decina di assemblee tipo BSE. A marzo eravamo di nuovo una moltitudine, la più grande mai vista, questa volta nella capitale, ma il magister che seguivamo si rivelò ben presto peggio di Lutero. Poi, il tempo a iniziato a correre ed io ad arrancargli dietro, incespicando. Nel 2009, alla chiusura del decennio, come il protagonista di American Parmigiano mi trovo a barcamenarmi fra il lavoro (precario) all’università, la famiglia e figli. Ora il tempo devo soppesarlo, letteralmente. Scrivo abstracts, macino papers, rispondo a calls for application, ricevo assegni. Devo anch’io entrare piano in casa, sgattaiolare nello studio e sperare di riuscire a ritagliarmi un’ora di lavoro. Un’ora di tempo libero significa scegliere fra mettersi a leggere o recuperare il sonno arretrato. Ora la festa è finita, la gente è tornata a casa, dobbiamo essere noi i genitori.
O forse, invece, le cose non sono cambiate abbastanza. All’inizio del decennio lottavamo perché un altro modo fosse possibile e per toglierci dalle palle un governo di ladri e mafiosi. Oggi le lotte ci affaticano un po’ di più e quelli son sempre li, come un corpo incancrenito, anzi no, la cancrena la puoi amputare, fa male ma te ne liberi per sempre, questi invece sono un cancro in metastasi, l’istituzione branco, il branco istituzionalizzato. A volte, mi sembra che questi anni Zero siano stati una decada perdida. Penso a quante menti abbiamo perso. FDA (era il ’99 ma va beh), Il signor G., Manuel Vazquez Montalban, Andrè Gorz, Sbancor, David Foster Wallace, Saramago…tanti altri.
Insomma, la strada è in salita, la direzione sconosciuta, da un momento all’altro può mettersi a piovere e non abbiamo ombrelli, ma avervi come compagni di viaggio è bello. Grazie.
@ Bocio
Sì, secondo me è proprio come scrivi. Infatti si può fare un gioco: scomporre e ricomporre gli elementi di alcuni racconti. Se allineiamo il “visto” dei “Fantastici Quattro” nella partita a poker con l’industria culturale, lo stranito partecipare del protagonista di *BSE*, la questione ineludibile dello “scontro campale” in *Gap99*, la tenacia di Carlo in *American Parmigiano*, le traversie abitative e l’insofferenza urbana dell’io narrante di *Come il guano…*, alla fine quasi viene fuori un unico personaggio. E ci pare di conoscerlo, visto che è il riflesso su carta di… Come potremmo dire? Di una “generazione”? Se non fosse un termine orrendo, si potrebbe dire così. Di certo l’*Anatra* funziona ANCHE come “biografia collettiva” snodata lungo le tappe che indicavi.
Questo personaggio ipotetico, ottenuto dalla ricombinazione di elementi, reggerebbe la struttura di un romanzo? Sarebbe un buon punto di vista per una “vita agra” o per *Gli invisibili* degli anni Zero? Non lo so.
Fino a quando non mi capiterà tra le mani, il romanzo, rimango convinto che la scelta del racconto non sia occasionale, o dovuta a esigenze editoriali, bensì strutturale e necessaria. Così come, in attesa dell’epocale soggettiva cinematografica di Mohamed Atta che si avvicina all’obiettivo, preferisco prospettive sghembe.
[Amo molto *Asce di guerra* anche se non mi ha mai convinto il personaggio che regge la detection storiografica: l’avvocato Zani. Eppure potrebbe essere parente di alcuni personaggi dell’*Anatra*. Si occupa perfino di temi sensibili che ritornano in queste pagine. Forse era un po’ troppo in prima linea. Sfacciatamente, intendo. Forse era un po’ troppo didascalico. A me sembra che i personaggi dell’antologia siano liberi dai difetti di Daniele e infatti mi hanno convinto].
Ad ogni modo, pur funzionando parzialmente come racconto di ciò che è stato, la mimesi deve preparare un’apertura. E non corroborare una tesi.
Tanto per essere chiari: rapportata a eventi di altra natura, la preveggenza di Franz in *Gap99* è una metafora di ciò che non è stato. Infatti il possibile non si dà solo in avanti ma si rovescia all’indietro. La liberazione dal “lutto” della possibilità mancata per me è uno degli effetti terapeutici della letteratura.
Un’altra cosa.
«All’inizio del decennio lottavamo perché un altro modo fosse possibile»
C’è una scritta nera su un muro vicino al Verano. Dice: “Un altro mondo non è possibile INSORGI”
Colgo il rovesciamento semantico dello slogan. L’effetto disperatamente reattivo di una formulazione figlia degli anni Zero. Continuare a lottare sul fondamento ribaltato della parola d’ordine per eccellenza.
Mi sto chiedendo quali narrazioni – e quella “insorgenze” – possono procedere da questa frase che chiude l’orizzonte di tutte le scelte mancate (o sbagliate) e di tutte le scelte possibili. Credo che procederebbe una narrazione assertiva tutta al presente indicativo e piena di imperativi. Senza i “se” del discorso ipotetico.
Sull’argomento, tanto per finire con il vecchio gioco delle citazioni, penso che – rispetto al viaggio che continua e all’azione che prosegue – le storie dell’*Anatra* siano raccolte bene dalle ultime frasi de *La ballata del Corazza*: «Al momento, tutto sembra possibile. “Dentro” e “fuori” sono soltanto un modo di dire».
Solo su una cosa non sono d’accordo. Quando scrivi: «Ora la festa è finita, la gente è tornata a casa, dobbiamo essere noi i genitori»
Ma poi, è stata davvero una festa?
Tommaso
Confesso di essere sempre stato molto incuriosito (e affascinato) da una frase pronunciata da Mr Fantastic in “Benvenuti a ‘sti frocioni 3”, questa:
«E se mé in t’l’ardûsrés par lavurèr a cminzipìéva a dscårrer in ptrugnàn?»
(versione web, perché mi sono accorto che sul libro cartaceo è diversa, manca “in t’l’ardûsrés” (a proposito: come mai?))
Cosa vuol dire di preciso? E’ bolognese doc? E come si pronuncia?
E’ bolognese. Vuol dire, più o meno:
“E se io sul lavoro avessi cominciato a parlare petroniano?”
(petroniano = bolognese)
La versione del 2000 era involuta, si trattava di racconti scritti di getto e messi on line quasi senza rileggerli. Quella del libro è più diretta.
Quanto alla pronuncia, dovrai sforzare un po’ l’immaginazione :-)
Comunque, su Anobii circola l’elenco delle traduzioni di tutte le frasi di Mr. Fantastic. Lo trovi nel thread dedicato al libro nel gruppo “Wu Ming”.
@ Tommaso
Grazie per l’intervento, denso di spunti e stimoli alla riflesisone, come anche la prefazione. Provo, intempestivamente, a raccoglierne qualcuno, in maniera abbozzata e parziale.
“la mimesi deve preparare un’apertura. E non corroborare una tesi. […] il possibile non si dà solo in avanti ma si rovescia all’indietro. La liberazione dal “lutto” della possibilità mancata per me è uno degli effetti terapeutici della letteratura”.
Anche per me. Nella prefazione al suo libro più memorabile, PIT II scriveva: “Non si può raccontare la storia risalendo dalle conseguenze alle origini: in questo modo si vizia la prospettiva […]I personaggi si costruiscono attraverso atti le cui conseguenze non possono arrivare a scoprire. La storia che mi interessa non funziona come una spiegazione a partire dall’esito, ma come una pro-
vocazione che viene dal passato.
Sarà per questo che adoro allo stesso modo i romanzi storici e le ucronie [ho a proposito un sogno segreto: un romanzone del collettivo a carattere ucronico e/o fantascientifico …]. Mi affascinano i momenti di biforcazione, i punti di non ritorno. In questo senso, pur non considerandolo il racconto migliore di AaAM, trovo magistrale la tecnica adottata in Momodou, la concatenazione degli eventi a ritroso, a ricordarci che ad ogni salto di fase qualcosa avrebbe potuto andare diversamente. Il punto più alto del racconto è a mio avviso il finale, lo spiazzamento improvviso dovuto al cambio di punto di vista, a ricordarci che questo vale anche per sbirro cattivo.
Il “what if” dischiude un potenziale narrativo enorme. E però, d’altra parte, presuppone già un certo distacco dagli eventi. È possibile per 9/11 (anzi lo stanno già facendo, come ricordi nella prefazione), mentre dobbiamo ancora capire e metabolizzare molti eventi della seconda metà degli anni Zero: per questi, più che al what if? le narrazioni sono ancora improntate al “what is?”.
L’embrione dell’ipotetico personaggio “ricombinante” di un ipotetico romanzo sugli anni Zero ha bisogno di ancora un po’ di incubazione. Al momento, i Donoughts non possono che essere narrati in maniera poliedrica, sfaccettata, “scattered”. La pluralità e l’obliquità dei punti di vista, prima ancora che una cifra stilistica, è una necessità epistemologica. Del resto, a parte il dato meramente anagrafico, questa frammentazione è forse l’elemento che può farmi riconoscere come appartenente a una qualche “generazione” Zero. Mi (ci) ritroviamo letteralmente frantumati in tante identità: qual è la condizione che più mi caratterizza, l’essere padre o ricercatore precario (fra le tante)? E perché mi sembra che queste invece che essere due tessere di un mosaico complessivo, siano pezzi di due puzzle diversi, che non si incastrano l’uno con l’altro?
E poi, siamo sicuri che i fatti che individuiamo come snodi cruciali, siano davvero eventi fondamentali, o la nostra prospettiva è troppo schiacciata? A volte mi sembra di provare a disegnare una mappa di una città percorrendone le strade a piedi quando invece avrei bisogno di salire sull’edificio più alto per cogliere il tutto con uno sguardo. Qualche tempo fa, qualcuno del collettivo, forse Wu Ming 1, scriveva che gli storici del futuro considereranno eventi quali il crollo dell’URSS come degli epifenomeni. Probabile. Probabile che il motivo per il quale saranno ricordati degli anni zero sarà rappresentato dall’espansione smisurata dell’infosfera e da come questa ha riconfigurato le modalità comunicative e, ancor più, cognitive. Se così fosse, e se non si rischiasse di apparire un po’ egocentrici, si potrebbe dire che la nostra generazione ha avuto il privilegio di aver assistito ad una transizione senza precedenti, forse a un cambiamento a livello evolutivo, neurale. Del resto, io che mi considero (relativamente alla media nazionale) un “lettore forte”, non mi sono sorpreso più volte negli ultimi anni a provare qualcosa di troppo pericolosamente prossimo a una certa difficoltà a mantenere l’attenzione su un singolo testo, a provare un irrefrenabile impulso all’iperlettura anche di fronte a un caro vecchio libro di carta?
O a provare quel fastidioso senso di impotenza nel constare l’ineluttabile, che il cyberspazio è infinito mentre il cyber tempo no, e che quindi non potrò mai assimilare neanche una frazione dell’insieme degli stimoli che mi giungono quotidianamente tramite twitter, giap, etc. etc?
Forse sto divagando, ma credo che tutto questo abbia a che fare con le possibilità e le forme della narrazione.
Mi fermo qui, ma rifletto sulla tua domanda finale (è stata davvero una festa?). Forse no, col senno di poi no.
@ Bocio
Allora, aggiungo ancora qualcosa su what if e… noir perché le sollecitazioni mi sembrano davvero interessanti e non più limitate all’*Anatra*.
E quindi “Momodou”: croce e delizia, quel racconto lì. Perché è verissimo che ci ricorda come “ad ogni salto di fase qualcosa avrebbe potuto andare diversamente”, ma sul momento devo confessare che è sorto il dubbio. Cioè mi sono chiesto se la rappresentazione dell’inevitabile non falsificasse il discorso sul movimento delle possibilità.
In effetti – come scrivi – il legame che connette romanzo storico (o uso romanzesco della Storia) e scenari ucronici tiene alla perfezione: Philip K. Dick e Taibo Segundo uniti nella lotta, per intenderci. Ma come funziona con il noir, irriducibile antagonista di tutti i what if del mondo?
Alla fine, credo che il ragionamento tenga: anche se per contrasto. Proprio per contrasto, direi. Quando si legge della rapina che va male per un soffio e della spietata caccia all’uomo, dell’*amour fou* foriero di sciagure a ripetizione o – come nel caso di “Momodou” – dell’incontro (casuale o necessario?) che annienta la vita, di riflesso aumenta la percezione della plasticità delle alternative. Forse, più che nelle “conclusioni” (non a caso WM le “spara” all’inizio del racconto e amen), il noir come tragedia moderna o come teologia negativa della modernità sta nel processo di rigorosa esclusione delle chance. È chiaro che, in questa maniera, la realtà finisce per essere un tessuto compatto di tutte (ma proprio tutte) le mancate possibilità di salvezza o redenzione. Ma quella compattezza restituisce al rovescio l’insieme di elementi mutabili (costume, immaginario, narrazioni, fatti di cronaca, elementi psichici, rapporti di produzione, contesto familiare e sociale) che definiscono una data conseguenza. E anche se il genere in questione esclude a priori – dal suo statuto – l’appellabilità della condanna (siamo tutti colpevoli), l’effetto sul lettore può essere quello opposto. Alla fine, in controluce la filigrana del noir continua a rimandare al possibile.
Forse…
Quanto alla tecnica narrativa, convengo sulla valutazione che il rovesciamento della linearità è la chiave. Il tema riguarda l’insieme di strumenti con cui, in un periodo più o meno recente, cinema, televisione e letteratura hanno messo in scena bivi, crocevia e punti di (non) ritorno. Va be’, il discorso è lungo.
A me, tanto per dire, non m’ha mai convinto la soluzione alla *Sliding Doors*, che trovo borghesuccia e sentimentale. Del tipo: se sali o meno sul vagone della metro, le cose alla fine non cambiano perché l’ottimistica, corroborante predestinazione amorosa trionfa comunque. Stesso problema che ha afflitto l’equivoco finale di *Lost* tutto all’insegna di *All You Need Is Love*.
Roba da denuncia penale o class action ai danni di Mr. Abrams.
La struttura di “Momodou” mi fa pensare a due film d’inizio anni Zero: *Memento* di Chris Nolan e *Irréversible*. Il secondo più del primo, perché la pellicola di Nolan, se non sbaglio, alternava l’ultima scena alla prima, la penultima alla seconda, la terzultima alla terza, in modo che il punto mediano del tempo narrativo fosse il finale del plot. *Irréversible*, invece, è costruito proprio come “Momodou”.
In realtà, il ragionamento procede su un limite sottilissimo, perché se da un alto l’incastro di accadimenti sembra ferreo, immutabile, dall’altro ci si rende conto che basta un niente, un attimo, un gesto, un’altra storia, un diverso mito o un elemento apparentemente insensato per modificare la traiettoria della parabola. La progressione *à rebours* – come dici tu – ci colloca ogni volta sulla biforcazione e visualizza il punto critico.
Più in generale: i meccanismi narrativi della simultaneità (nel cinema e nella televisione, soprattutto) insistono su soluzioni capaci di alterare la linea del tempo o di moltiplicare i piani della realtà. Da un uso sapiente e innovativo del flashback si è passati all’introduzione su larga scala del flashforward, strumento che fino a qualche anno fa non aveva particolare diritto di cittadinanza. Così come la scomposizione o l’inversione della consequenzialità temporale sono ormai dati acquisiti. E questo, a mio avviso, indica una grande assunzione di responsabilità da parte dei narratori contemporanei che cercano di misurarsi con interrogativi complessivi.
Un’ultima cosa sulla questione della frammentarietà e dell’obliquità del punto di vista fondata in termini epistemologici, non solo stilistici. Rimango sui più eclatanti eventi di inizio secolo. Parlo del conflitto in Iraq anche se tu invitavi a prendere in considerazione la seconda metà del decennio passato e a riflettere sulla parzialità percettiva insita in ogni prospettiva. (Dalle parti di Baghdad la riflessione è più facile).
L’anno scorso sono usciti due film sul conflitto iracheno. Di *Green Zone* e se n’è parlato. C’è il “Big Jim” sullo scenario di guerra a caccia delle armi di distruzione di massa. E ovviamente non le trova. Siamo al centro della scena che più non si può. E c’è pure un intento critico e di denuncia delle porcate neocon.
L’altro è *Buried – Sepolto* e racconta di un civile impegnato come camionista in Iraq che, dopo un attacco dei ribelli, si ritrova seppellito vivo in una barra. Nel deserto? Forse. In realtà, potrebbe essere ovunque. Pure a Central Park, per quanto mi riguarda. A qualche chilometro da Ground Zero. Ha un telefono cellulare, carta e penne. E poco tempo per uscirne.
Ecco. Al di là della qualità delle pellicole, la seconda assume un punto di vista talmente obliquo da sprofondare – letteralmente – sottoterra. È potentissima e i significati metaforici della condizione claustrofobica (l’essere sepolti vivi in questo tempo) sono davvero pressanti.
Ok, basta. Sull’eventuale equazione romanzesca che dovrebbe stabilire la traducibilità del what is in what if ci devo pensare. Diciamo che *The Man in the High Castle * è stato scritto nel 1962, quasi vent’anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale. (Dick è molto amato da Sergio Cofferati, l’individuo più cosa-sarebbe-successo-se del tempo umano).
T
[…] dell’anno CCXIX, offriamo ai nostri lettori una panoramica di recensioni e commenti su Anatra all’arancia meccanica. Nelle prime settimane di avvistamenti in cielo e nei fiumi, i più disparati soggetti hanno […]
[…] però us recomano el seu recent recull de contes que he començat fa poc i que encara no he acabat: Anatra all’arancia meccanica (Ànec a la taronja mecànica). […]
[…] Domenica 15 maggio
BOLOGNA
h. 19, Bartleby
via S. Petronio vecchio 30/a
“Wu Ming Nabat Ensemble” (ibrido di due band)
Presentazione + reading musicale
Anatra all’arancia meccanica […]
[…] Racconti tratti da: Wu Ming, Anatra all’arancia meccanica, Einaudi, Torino 2011. […]
[…] da tutti i loro lettori: romanzi e racconti (La ballata del Corazza ad esempio, ora pubblicato in AaAM) sono nati così, da discussioni continue e costanti interazioni. Una forma più compiuta e […]