Anni fa, a Montréal, durante il viaggio di cui Grand River è resoconto, vidi una serie di interviste che illustravano l’esperienza di crescere in quella città. Ne usciva una topografia sentimentale, un afflato comune, e attraverso le parole si componeva una storia, un ambiente, un momento storico, una temperie. Tra i volti che dicevano la città ce n’era uno di una giovane donna che avevo conosciuto, due anni prima, in India. Raccontava l’esperienza da dentro una comunità asiatica, e la sua Montréal risuonava con le altre su una nota più acuta, più sofferta, più intensa.
Tornai a casa, in un Bologna semiaddormentata. Gli ultimi anni del berlusconismo, che cercava di perpetuare il rampantismo degli anni ottanta e il felicismo degli anni ’90 dentro un mondo segnato dalla guerra permanente, in un contesto globale distopico che preparava la Crisi. Da lì partì una riflessione che conduco ormai da anni, e che ha al centro Bologna, la Bologna di strada di trent’anni fa, la sua relazione con la mia condizione attuale, in senso esistenziale e intellettuale. Erano cose di cui si aveva agio e tempo, quando la pressione del quotidiano era meno forte che oggi. Sul versante emotivo e artistico, questa autoanalisi mi portò a tornare a suonare con la mia band storica, e raccontare brandelli della mia esperienza di crescita urbana virati in canzoni di disagio e riscatto. Un’esperienza di cui sono stato forse troppo avaro di parole.
E’ al Joe Strummer Tribute, a Parma, nel gennaio scorso (la line up comprendeva, tra gli altri, Bloody Riot e Strike), che incontro un vecchio amico di Roma. Mi parla di un libro e mi fa conoscere il suo autore, Augusto Stigi. E’ mio coetaneo, quindi vecchio. Parliamo di Roma all’inizio degli anni ’80, all’epoca in cui il Wonna Club era il luogo di ritrovo per tutte le forme di vita delle periferia, dei Centocelle City Rockers, dei Clash e della Banda Bassotti.
Quella sera riflettei sulla natura della mia musica, del così detto real punk, cioè un punto di vista classista e stradaiolo nato in un altro mondo, circa 35 anni fa. Pensai che ormai si tratta di una forma di folk urbano, del blues dei ragazzi inurbati nelle periferie di tutto il pianeta. Ci sono scene simili in Perù, in Indonesia, in Cina. Presagivo che nel libro-memoriale di Augusto Stigi avrei incontrato qualcosa di significativo per portare avanti la riflessione.
Il libro è bello. E’ una autoproduzione, avremmo detto nel gergo punk di trent’anni fa. Si intitola Ragazzi di Strada, semplicemente, ed è curato da Valerio Gentili. E’ il resoconto fedele, diretto, lirico e rabbioso di che cosa sia stata l’adolescenza per chi, provenendo dalle periferie urbane di fine anni ’70, e dalla classe operaia, abbia incontrato il punk e ne abbia fatto il veicolo di uno stile di vita, di un tentativo di liberazione o almeno di sopravvivenza. Ma non c’è solo questo. Ci sono le dinamiche profonde della vita dei quartieri romani, la scelta politica istintiva, e poi elaborata, in direzione di chi lotta per una società senza sfruttatori e sfruttati, la descrizione accorata e stoica di una traiettoria esistenziale.
Roma è una città che ha significato e significa molto nella mia storia personale e di pagina in pagina confrontavo le mie esperienze con quelle di chi le narrava. L’incontro con la violenza di strada, con le droghe. La scelta istintiva di una parte politica. L’arrivo di uno stile di vita e di una musica che non crede nel futuro ma incita alla ribellione. Le similitudini e le distanze, perché Augusto Stigi proviene da un contesto (anche) più duro del mio. Le storie di fratellanza, gli amori.
Ragazzi di Strada racconta un punto di vista e un’esperienza che è stata portata molto raramente all’attenzione di un pubblico più vasto di quello che un tempo si sarebbe detto “underground”, e lo fa con pagine di rara forza, a dispetto, o proprio per (come nel caso del punk rock) i limiti strettamente tecnici della scrittura. Chi fosse interessato a capire quale sia stata l’esperienza di crescere in una periferia alla fine del secolo scorso, e la densità e la molteplicità delle storie che hanno intessuto quella crescita, dovrebbe prestare orecchio al blues urbano di Augusto Stigi.
Spero di poter leggere il libro.
E spero di poter leggere un altro tuo libro solista, prima o poi.
Ciao, mi puoi spiegare cosa intendevi dire con “il felicismo degli anni ’90”?
Scusa, te lo chiedevo perché è la prima volta che sento parlare in questi termini degli anni ’90, e dal momento che sono stati gli anni in cui sono cresciuto mi starebbe a cuore approfondire un po’ la questione.
Suppongo la tua fosse ironia: per quel che mi riguarda, ricordo infatti ben pochi momenti di felicità negli anni ’90.
Piuttosto disillusione, smarrimento e paura del futuro – con il loro bel corollario di cervelli liquefatti “con il bip bip bip”.
Col senno di poi, la catastrofe del decennio successivo non riesce che ad apparirmi come una logica conseguenza di quel letargo collettivo.
Magari mi sbaglio.
In ogni caso, credo che una rilettura di quegli anni potrebbe rappresentare un efficace strumento di lavoro per una critica del presente.
Forse che vent’anni non bastano ancora per farci ricordare?
Un saluto.
“Felicismo” non è felicità, è ideologia della felicità. Se gli anni zero sono stati il decennio della “guerra al terrore” e sono sfociati nella crisi, e se gli anni dieci sono iniziati nel segno della crisi e sono caratterizzati da Austerity, rigore, colpa, gli anni Novanta avevano tutt’altro mood: erano iniziati con il crollo del Muro, le teorie sulla Fine della Storia, “la democrazia ha vinto”… La bolla della New Economy si gonfiava, Wired dedicava un numero al “lungo Boom economico” che ci attendeva grazie a Internet… La droga più à la page era un empatogeno, l’MDMA, che ti faceva sentire felice e in comunione con gli altri, e si consumava in megaeventi di strada con nomi tipo “Love parade”, la parata dell’ammore… C’erano alcune “macchie” nella visione (es. la guerra in Jugoslavia), ma in genere le guerre sembravano faccende lontane e tutte televisive (la prima guerra all’Iraq) e i media pompavano ottimismo farlocco. Immagino che il mio socio intendesse dire questo.
@ franzecke
Sì, è un termine che utilizza Bifo nell’analisi delle fasi economico-culturali connesse alle varie “bolle” finanziario-speculative di che si sono succedute negli ultimi decenni. Per la fase iniziale dei ’90 si usa anche il termine “economia del prozac”. Dopo, ci fu la bolla della “New Economy”, l’ultima del millennio precedente, che fu cancellata dall’11 settembre. Mi è sempre sembrato, quello di Bifo, un modo molto sensato e pratico di orientarsi nella storia degli ultimi decenni.
Ricordo gli anni 90 soprattutto per l’atmosfera di assenza di alternativa. Di epoca non riducibile e nulla di precedente. Di epoca non interpretabile se non in termini di efficientismo, economico e tecnologico. In questo senso, le tesi di Fukuyama erano un prodotto culturale perfetto. Che fosse tutto una gran balla si è dimostrato in seguito. Ma per tanti di noi, troppo giovani per aver vissuto altre stagioni, è stata una nottata che ha dovuto passare.
“È come se in Italia gli anni ’80, invece di passare, stessero invecchiando fermi al loro posto…”
http://www.carmillaonline.com/archives/2012/05/004314.html
Tutto vero.
Nello specifico dell’articolo in questione, io degli anni ’90 ricordo soprattutto la riduzione della cultura giovanile ad una sorta di eterno presente ideale e preconfezionato.
Si trattasse di MTV o dei CSOA, la realtà appariva sempre e comunque come una pappetta omogeneizzata, e l’unica alternativa praticabile sembrava essere Kurt Cobain che si faceva saltare la testa con una fucilata.
“è stata una nottata che ha dovuto passare”; sì, per i più fortunati è passata. Eppure talvolta capita ancora di sentirsi un po’ come dei reduci.
Saluti.
chiunque fosse interessato all’acquisto del libro puo andare sul seguente blog:
http://roadkidscentocelle.blogspot.it/p/road-kids.html
Lo avevamo linkato in fondo alla recensione :-)
@yamunin:eccoti accontentato, quelli di TerraNullius l’hanno messo in download gratuito proprio oggi : )))
http://www.terranullius.it/home/index.php/component/content/article/52-copyleft-releases/390-ragazzi-di-strada-augusto-stigi.html