Partigiani, esuli e ribelli, la nostra storia in una donna
“Timira”, il nuovo romanzo di Wu Ming 2, racconta la vita di Isabella Marincola
di Massimo Vincenzi, La Repubblica, 01/06/2012
Gli oggetti che vedete negli specchietti retrovisori sono più vicini di quanto appaiano. Così recita l’apposita scritta di sicurezza. E così deve pensarla Wu Ming 2, tessera dell’omonimo mosaico creativo “senza nome”, che girando lo sguardo al passato cattura un frammento di verità tanto vicina da essere incollata alle nostre vite, al nostro presente. Parlano di noi le vicende, i personaggi e le persone che riempiono le oltre cinquecento pagine di Timira (Einaudi Stile libero). Ovvero la rivelazione al pubblico di una vita così particolare, come solo le terre di confine e di migranti (Italia compresa), sanno custodire negli angoli più remoti della propria anima.
Storia inzuppata di cose. Occhi accecati da mille immagini. Quasi da non afferrarne subito la visione di insieme, ma solo schegge di bellezza.
Timira è Isabella Marincola, di mamma somala e padre italiano, come avveniva spesso ai suoi tempi, quelli delle colonie (parola quasi rimossa nel nostro vocabolario). Modella, attrice (sorpresa nella sorpresa: è la mondina nera che appare in Riso Amaro), esule, ribelle rabbiosa e sconsolata, poi ancora profuga di due patrie. Sorella di Giorgio, giovane martire partigiano. Madre di Antar, emigrato in Italia dalla dittatura di Siad Barre, studente, attore, scrittore, volontario e mille altre cose ancora. Materiale infinito, quasi troppo, a cui Wu Ming 2 ha messo ordine con il rigore dello storico e un’abilità quasi ottocentesca (nel senso del romanzo). Amante della verità, tanto da infilare nel libro documenti ufficiali, ma amante ancora più appassionato della forza narrativa, che richiede spruzzate di invenzioni, laddove la vicenda si inceppa o perde respiro, come accade con la realtà (ahimè sempre più lenta della nostra fantasia).
Un romanzo “meticcio”, lo definisce Wu Ming 2: «L’abbiamo scritto in tre, io Isabella e Antar. Abbiamo realizzato in concreto un esperimento di convivenza, di società multietnica. Che a parole sembra sempre bellissima ma invece è figlia di un duro lavoro, di tanta pazienza e impegno. E così è stato anche per creare questo romanzo. Io pensavo di intervistare Isabella, come per altro ho fatto per 20 ore, e poi di sbobinare il tutto, condirlo con le mie invenzioni stilistiche e via: il libro era pronto. Niente di più sbagliato: lei voleva essere protagonista sino in fondo, aveva voglia di ripercorrere la sua vita e così è stato. Mi consegnava fogli scritti a mano frutto dei suoi ricordi e del diario che aveva tenuto negli anni di Mogadiscio. Poi alla sua morte, una volta che con Antar abbiamo deciso di proseguire, è subentrato lui e ancora una volta abbiamo cambiato modo di procedere. Ci siamo parlati, ci siamo capiti, ci siamo rispettati: quello che serve per unire culture e punti di vista diversi».
Una moltitudine di parole, dove il lettore, preso il ritmo, non capisce più (e quel che più conta, meno che mai gli importa) quali sono fatti veri, quali sono quelli inventati e persino il tempo (il romanzo vive in più epoche, accese da continui flashback) si mischia, come a sovrapporsi in un inevitabile oggi. Ora e sempre. «È l’effetto che volevo: mi interessa il senso generale della storia, il suo significato più profondo. Volevo aprire una porta su nuovi universi, unire passato e presente». Porta che si spalanca, come già con Q (dei Wu Ming) o con Asce di guerra scritto insieme a Vitaliano Ravagli (di cui Timira è in qualche modo la diretta conseguenza): libri che poi ti stimolano una fame insaziabile di sapere, di leggere saggi per conoscere più a fondo le vicende narrate.
Libri pieni di punti interrogativi, di salutari curiosità liberate: «In Timira volevo riuscire a ragionare sul concetto di profughi, su quanto noi ci rendiamo così poco conto della nostra precarietà in questi tempi. Di quanto sia importante essere cittadini e di quanto sia difficile invece la condizione di profugo, il non avere uno Stato, una casa. La vita di Isabella certo è eccezionale, ma invece alla fine diventa esemplare, l’eccezione si fa regola e ci serve per capire meglio questa condizione. Prendiamo i terremotati di questi giorni, sconvolti dal lutto scoprono che lo Stato per la prima volta non rimborserà i danni e subito si sentono abbandonati. Diventano profughi. È questo che vorrei rimanesse: una consapevolezza».
Per questo la storia, mescolata, maneggiata con le parole serve a mettere a fuoco meglio il profilo del nuovo orizzonte: «Guardarsi indietro è utile, raccontare i fatti passati aiuta, è una buona palestra per capire la complessità del presente. A condizione che non si facciano sconti: Timira per esempio non è un romanzo comodo, rovescia molti stereotipi, la stessa Isabella emerge con le sue contraddizioni e tutto questo contribuisce a costruire una mappa per orientarsi». La storia e le parole, la voglia di raccontare: «Perché la narrazione è importante, è un mattone decisivo nella costruzione di una comunità. Bisogna raccontare sempre verità nuove, ridire le stesse cose con parole diverse. E per riuscirci bisogna avere un’etica, una deontologia professionale: arrivare a colpire il cuore della verità narrativa».
E si arriva alla fine del libro stremati. Quasi una fatica fisica. Stanchi ma con una bella sensazione dentro. Felici per aver esplorato questo mondo sconosciuto così lontano da noi: l’Italia che siamo diventati e che troppo spesso, per pigrizia e comodità, facciamo finta di ignorare.
***
Di Timira si è occupato anche “Tuttolibri”, supplemento settimanale de La Stampa. Sul numero del 2 giugno scorso, il decano della critica Renato Barilli firmava una recensione intitolata “Isabella di Somalia, com’è amaro il riso”.
QUI LA RECENSIONE – QUI LA COPIA CACHE DI GOOGLE
Barilli ha apprezzato il libro, e questo ci fa piacere, ma nel parlarne infila uno dietro l’altro diversi strafalcioni sul nostro conto (nonché sul libro stesso). Inoltre, dall’inizio alla fine, il titolo del romanzo è costantemente scritto con refuso (“Tamira” al posto di “Timira”). Una defaillance del genere, ovviamente, non può essere addebitata al solo recensore. Se a TTL esiste una redazione, in teoria il suo compito sarebbe leggere e vagliare gli articoli che riceve.
CONTRIBUTI ALLA RIFLESSIONE SUL LIBRO
WM2 e Antar Mohamed presentano (e leggono da) Timira a Radio Città Fujiko
La trasmissione era “La forma dell’acqua”, puntata del 25/05/2012. Durata: 59 minuti.
– Chi era quel cretino?
– Indro Montanelli.
Timira e i cazzotti anticoloniali – di Giuliano Santoro
Angelo Ricci recensisce Timira sul suo blog “Notte di nebbia in pianura”
Audio della puntata di Fahrenheit (Radio 3) del 31 maggio 2012
WM2, Antar e Carlo D’Amicis parlano di Timira. Durata: 27 minuti.
Un romanzo meticcio, profugo, senza fissa dimora – di Maurizio Vito
Il “board” di Timira su Pinterest, bacheca di immagini e filmati curata da @Einaudieditore e WM2.
N.B. Ricordiamo che il calendario delle presentazioni di Timira si trova qui.
( Ragazzi, il link ” Angelo Ricci recensisce Timira sul suo blog “Notte di nebbia in pianura” ” è sbagliato. )
Grazie, corretto al volo!
Su #Timira dal blog Nero:
http://nero.noblogs.org/post/2012/06/04/timira/
“Ecco perché anche Timira è un romanzo epico, nella sua assenza di una conclusione epica, nella sua assenza di una dimensione eroica nell’accezione più romantica e meno realistica del termine: perché è la storia di un eroismo infinito, di una battaglia lunga una vita contro la normalità (del male). E’ un romanzo (post?) coloniale per un paese e genti che pensano di non averne nessun bisogno, perché ignorare i propri fallimenti è il modo più sicuro per vivere sereni e sbagliati”
Non è un granché ma è meglio che un calcio in culo come dicono dalle mie parti :)
Però se non spieghi che Nero e Blicero sono la stessa persona (mica tutti lo sanno!), non si capisce *cosa* sia meglio di un calcio in culo :-)
Chiedo venia :)
Poi al limite non era mica male la polemica con me stesso :)
Ma sembrava parlassi del libro, visto il post qui sopra :-)
Grazie.
Rientrando dal mio ultimo viaggio in Italia, ho portato Timira con me a Bruxelles. Ho letto le pagine in dialetto trentino, il mio dialetto, e mi sono emozionato ancor più di quanto non mi emozionassero già tutte le altre pagine. Ho dovuto condividere l’estasi con un’innocente e sconosciuta compagna di viaggio. Forse ne venderete una copia in più. Oppure ho perso una potenziale nuova amica.
Sappiate che riusciro’ a trascinarvi fin quassù per la presentazione del libro. Non so come ne quando, ma ci riusciro’.
Mia sorella lavora a Bruxelles, quindi per trascinarci in Belgio non dovrai fare troppa fatica…
Sono molto felice che la nostra resa del dialetto di Stramentizzo sia riuscita ad emozionare un parlante autoctono.
Come spieghiamo nei Titoli di coda, la scena in questione non è realmente accaduta, per questo abbiamo cercato di costruire un dialetto che “suonasse” della Val di Fiemme senza esserlo davvero. Per ottenere l’effetto, abbiamo evitato di rivolgerci a qualcuno che lo parlasse e abbiamo provato a costruire la lingua che ci serviva, senza conoscerla minimamente, a partire da due dizionari. Uno on-line (cembrano) e uno molto raro (fiemmese di Ziano) custodito nella biblioteca di Faenza. Non che sia una grande impresa andare da Bologna a Faenza per rintracciare qualche modo di dire, qualche parola utile a un dialogo, ma se lo fai e qualcuno ti dice che non era un inutile puntiglio, beh, diciamo che fa piacere.
Ah, le coincidenze. A Bruxelles non servono 5 gradi di separazione, ne bastano molti meno. Quindi sarà meno faticoso del previsto, ottimo!
Sul dialetto, le valli trentine hanno tutte sfumature diverse ed onestamente neppure io, seppur indigeno, saprei tradurre la fonetica in modo perfetto. Quello che avete usato voi è davvero molto verosimile, soprattutto certe espressioni: “S’ciopetade” e “Madonega”, sono delle perle gergali ancora in uso. “Carodadio” e “chén ados al galon” invece confesso di non averle mai sentite ma potrebbero far parte di qualche parlata valigiana sconosciuta a noi metropolitani. Ad ogni modo, avete reso benissimo l’atmosfera dei nostri bar di paese, questo è l’importante.
una presentazione a bruxelles mi pare un’ottima idea. ho appena finito timira e ne sono rimasto come ‘impegnato’.
cosa poss(iam)o fare per rendere possibile questa presentazione?
Se si trovano i fondi per pagare un viaggio A/R Bologna – Bruxelles, il più è fatto… Dopo si tratta solo di trovare le date giuste, magari provando a organizzare almeno un paio di incontri, tra la capitale e i dintorni.
Aspettando l’ormai leggendaria recensione su Cosmopolitan!
Ho scritto alcune righe su “Timira” sul sito della nostra libreria, la Claudiana di Torre Pellice… http://www.libreriatorrepellice.it/2012/06/04/timira-di-wu-ming-2-e-antar-mohamed/
#Timira e la soggettiva libera indiretta:
http://nexusmoves.blogspot.it/2012/06/timira-e-la-soggettiva-libera.html
Una bella recensione di #Timira sul blog “Il caso S.”
http://www.casoesse.org/2012/06/05/timira-romanzo-meticcio/
In questa (bella) recensione mi ha stupito leggere che è difficile entrare nel personaggio, quando a me invece è sembrato a tratti di sentire proprio fisicamente le emozioni di Isabella. Forse perché l’autore del post è uomo e io donna; in effetti se c’è una cosa che distingue nettamente questo romanzo dagli altri del collettivo Wu Ming fase 2 (ahah) è che è pervaso di femminilità dalla prima all’ultima pagina. Isabella è un personaggio al di fuori di tutti gli stereotipi femminili pur essendo molto molto donna, nel bene e nel male; una persona/personaggio che vuole fortemente sentirsi protagonista, nella vita come nel romanzo, che “pensa di avere un credito col mondo e pretende di riscuoterlo da chiunque”, come la accusa Antar in un momento di rabbia. Anche quando cambia il punto di vista e si passa alla terza o alla seconda persona, la sensazione è infatti che sia sempre e comunque Isabella a raccontare e a condurre il gioco.
Non c’è mai pietismo né buonismo, e di questo sono profondamente grata agli autori, che questa storia narrata da qualcun altro correva il rischio di diventare un patetico polpettone da leggere durante la pubblicità di Verissimo; il che non significa che non ci siano passaggi che possono strappare una lacrima, la lettera intermittente ad esempio è poetica e commovente.
Mi è piaciuta molto anche l’intermittenza tra presente e passato, penso che sia il modo migliore e più autentico di scrivere una biografia e di capire una persona; d’altronde non si vive mai solo oggi, il passato ce l’abbiamo in testa in ogni momento no? tipo i trafalmadoriani.
E poi c’è Antar, la cui storia e personalità meriterebbero forse un libro a parte; apprezzo moltissimo il suo coraggio di mettersi a nudo e di raccontare anche con ironia fatti che probabilmente gli hanno causato molta sofferenza. (Mi permetto di chiamarlo per nome, come se ci conoscessimo, perché è personaggio oltre che autore, e i personaggi riusciti alla fine del libro è un po’ come conoscerli di persona :-))
Per il resto, è un libro che ha contribuito a colmare un po’ la mia personale voragine di ignoranza sul passato coloniale italiano e sicuramente ora ho voglia di saperne di più. Insomma, spero che si sia capito che mi è piaciuto una cifra :-)
La femminilità di cui tu parli, pur essendo «uomo», l’ho sentita forte e ne sono rimasto piacevolmente colpito. Credo sia proprio l’elemento in più di questo romanzo meticcio. La scrittura risalta lo sguardo obliquo di genere e come scrivo nella recensione i meriti non sono da attribuire alla sola presenza di Isabella in regia.
Quando lascio intendere, con il condizionale «sembrerebbe» che è difficile immedesimarsi nel personaggio Isabella Marincola, intendo che è difficile sostituirsi a lei, non che non si provino emozioni forti grazie a lei. Mi spiego meglio: il gran merito di questo libro sta proprio nel riuscire, come dici tu, a farti «sentire proprio fisicamente le emozioni di Isabella» ma attenzione, non imponendoti il suo punto di vista, non sostituendoti a lei. Il punto di vista di Isabella come sostengono anche gli autori è chiaro, ma lascia spazio al tuo. Per questo ho usato la metafora del camminarle accanto, perché mi sono sentito con lei nel romanzo, libero di emozionarmi, di sentirmi in lei ma anche di gettare il mio sguardo, dissentire, condividere o no il suo punto di vista.
Se ti va Francesca3176 potresti riportare il tuo commento anche qui, in calce alla recensione: http://bit.ly/M3GSaA
Grazie per il «bella» a tutti e due.
fatto!
(ma ci conosciamo mi sa, sono @punto_fra su twitter)
Ho segnalato il tuo commento anche ad Antar, che con le discussioni telematiche fa un po’ fatica, ma spero riesca a intervenire anche qui.
Sono molto contento di quel che dici a proposito della femminilità del personaggio, chi ci segue da un po’ sa che siamo da sempre alle prese con questo elemento, cerchiamo di far meglio ad ogni prova, e ogni volta è una specie di test.
Potrebbe sembrare che in questo caso la “sfida” fosse più facile, perché parte del lavoro è stato fatto con una donna in carne ed ossa, e poi anche dopo la sua scomparsa ci è rimasta quantomeno la sua voce, i video, svariate pagine scritte. Eppure tutto questo non è comunque una garanzia, chiunque scriva fa riferimento a modelli in carne ed ossa, ma non è scontato riuscire a farli vivere anche sulla pagina. Di sicuro ci ha aiutato, in questo, l’irriducibile vitalità di Isabella, la sua schiettezza di parole. Spesso ci siamo ritrovati a ricostruire un’intera scena, un’intera riflessione, a partire da due frasi, rintracciate in una registrazione o su un foglio volante, ma era come aver a che fare con un frattale, o uno di quei cavoli auto-similari, dove ogni pezzetto ha la stessa struttura dell’intero.
Sulla natura tralfamadoriana dell’intreccio, la scelta è nata dalla necessità di far uscire il colonialismo italiano dalla gabbia di parentesi dove l’abbiamo chiuso. Mostrare che quel periodo della nostra storia è debordante, ripetto ai confini che siamo soliti attribuirgli, e proprio per questo ha contribuito a definire gli italiani (in particolare: maschi) molto più di quanto non siamo disposti ad ammettere.
(Nota: I Tralfamadoriani compaiono nel romanzo di K.Vonnegut “Mattatoio n. 5”. La loro principale caratteristica è la vista in quattro dimensioni. Vedono passato, presente e futuro in simultanea, “come noi guardiamo un tratto delle Montagne Rocciose”.)
L’altra sera, trovandomi con un amico, una bottiglia di Chablis e zero cavatappi ho provato il metodo Merushe… oh niente, non si è smosso di un millimetro :-(
E’ dai tempi di Q che non amavo così tanto un romanzo. Timira mi ha letteralmente rapita. Personaggio politically uncorrect dal primo all’ultimo respiro. Si fa amare e odiare al tempo stesso, un po’ come una madre, un po’ come una sorella. Ti entusiasma nei suoi impeti di femminismo e ti fa incazzare quando rinuncia ai propri sogni per poi rivendicare il suo “credito col mondo”. In un capitolo ti ci identifichi per poi allontanartene con spirito polemico nel successivo. Madre o figlia, sposa o puttana, profuga, rifugiata o sfollata, qualunque cosa sia e comunque la si voglia vedere travalica ogni tempo, riassume ogni sfumatura, ogni contraddizione. Paradigma di ogni migrante, di ieri e di oggi, e non solo di ogni donna. Paradigma del risultato di una società neocoloniale, gretta e xenofoba, ieri come oggi. E che il diverso sia donna, anziano, straniero o omosessuale poco importa. Il risultato è sempre lo stesso. E non ci salveremo se non impareremo a leggere, assorbire ed amare storie come questa. GRAZIE!
Nella primavera del 1997, se non ricordo male, Noi Quattro ci recammo a Roma per incontrare Salman & Renato, della casa editrice Heynoughty. Obiettivo della riunione: discutere del nostro romanzo d’esordio, firmato con il nome collettivo Joe Jordan. Il titolo di lavoro non era ancora “Uh?”, bensì “I Guerrieri di Qumran”. Dopo l’esposizione della lunga trama che avevamo scalettato, ricordo che Salman, con l’aria di chi vuole stringere sulle cose importanti, ci domandò: “Ma insomma, fatemi capire, questo Gerets “Ti Sgozzo”, il protagonista, è simpatico?”. L’Uomo Invisibile stava già prendendo la rincorsa per assestargli una delle sue famose capate in faccia, quando Mr. Fantastic sciolse la tensione con una battuta in dialetto.
– Mo sì, l’è simpatic, e l a l giudezzi in dal bus dal cul.
Da allora, in fase di scalettatura dei nostri romanzi, ci domandiamo sempre se il protagonista è simpatico. E se la risposta è incerta, ne usciamo rassicurati.
La risposta è sempre incerta perché non c’è mai spazio per la Banalità. Non ci sono mai atteggiamenti-risposte-caratteri-dinamiche prevedibili o scontati. Come nella vita reale, si riscopre la straordinarietà dell’ordinarietà – o l’ordinarietà della straordinarietà, se preferite. Entusiasmante, sempre e comunque. Ed in fondo vi amo per questo!
Visti i commenti, anche dei lettori, non vedo l’ora di leggere “Timira”. Lo acquisterò appena di ritorno dal mio esilio ceutí!
Questa sera, #Timira è a Torino, ore 21.30, Porticato del museo diffuso della Resistenza, Cso Valdocco 4/a.
Per chi fosse interessato: livetweet della presentazione torinese in corso ora, seguire hashtag #Timira.
Parlando di #Timira, cominciano a diventare interessanti anche i commenti su Anobii.
Buttando un occhio alle recensioni del libro su Anobii, ho visto che Nexus paragona #Timira al personaggio di “Modesta” ne “L’arte della gioia” di Goliarda Sapienza. Inutile dire che Isabella e Goliarda si conoscevano. S’erano incontrate sul set di “Fabiola”, il peplum “pallosissimo” diretto da Blasetti nel 1948…
Ho letto solo ora questo post. Bella notizia! Peccato che L’arte della Gioia uscì negli anni 90 e credo che Isabella non l’abbia letto. In comune con Modesta hanno quell’attitudine divergente tra senso della famiglia e autonomia morale che un lettore come me stenta continuamente ad inquadrare in un disegno coerente e proprio per questo acquista verosimiglianza e problematicità.
***
Nel frattempo ho prestato il romanzo alla mamma della mia ragazza che a sua volta l’ha girato a suo figlio. Aspetto il confronto fra generazioni ;-)
ma qui, secondo me, siamo “nel cuore del cuore” della questione femminile. Le donne vivono un andirivieni continuo tra senso della famiglia e autonomia: alcune in modo consapevole, altre no. Non c’è molta coerenza, forse, a guardare da fuori le scelte che facciamo, i gesti che ripetiamo, i pensieri che inventiamo… Non c’è una coerenza ordinata, anzi! E questi personaggi femminili – che sono belli e intriganti perché non sono personaggi letterari ma persone – possono “aiutarci”, con carne e ossa, a capire che va bene così: la coerenza è interna, non esterna.
“L’arte della gioia” era sul tavolo di Isabella quando cominciammo a ragionare sul romanzo da scrivere insieme. Io glielo portai ad esempio, lei mi rispose: “Macché, questo è una pizza”. Erano le sue famose recensioni lampo, uno dei tanti libri sui quali non ci trovavamo d’accordo.
Marilù Oliva compila il “bugiardino” del farmaco #Timira su unita.it, e Club Dante ospita una recensione del libro.
Oggi, a Milano, doppio appuntamento con #Timira.
H. 18, libreria Azalai, Via Mora 15, con Itala Vivan, una delle massime esperte italiane di letteratura africana.
H.21, Piano Terra, Via Confalonieri, 3 – Q.re Isola.
Dice: oh, ma siete pazzi, fate la presentazione in contemporanea con Italia – EIRE? Certo, tanto il risultato lo sappiamo, basta andare su Futbologia: http://bit.ly/M2SeiP
E per chi ci tiene a vedere lo scontro tra PIIGS, appuntamento alle 18 da Azalai.
Ma la storia del “Partigiano Nero”, potrà mai diventare un film?
Dagli autori di “Razza Partigiana”, un ponte ideale tra “Benvenuti a ‘sti frocioni 3” e il progetto transmediale multiautore sui Marincolas.
«Si parlava del Produttore X o Y con cui il giovane dada diceva di avere entrature; di Denzel Washington nella parte del Partigiano (“anche se un po’ in là con gli anni, è ben felice di apparire ringiovanito”); “Oppure ho pensato al Miglior Attore Italiano, il Capo dell’Okkupazione del Teatro Montagna, Idrogeno Tedesco”. “Ma è bianco!” fece il Sorcio deciso. “Ma oggi il digitale fa miracoli e poi si potrebbe usare del lucido da scarpe, come richiamo rizomatico alle pellicole della Hollywood degli anni Venti, anche perché noi siamo ideologicamente contrari al digitale”»
Il resto qui: http://www.razzapartigiana.it/?p=1395
Buona lettura.
Il collega Vanni Santoni intervista gli autori di #Timira sul blog SIC (Scrittura Industriale Collettiva)
http://www.scritturacollettiva.org/blog/timira-intervista-wu-ming-2-antar-mohamed
Questa recensione di #Timira è molto bella:
http://www.ilgiocodeglispecchi.it/libri/scheda/timira-romanzo-meticcio
Oggi gli autori presentano #Timira a #Pavia alle 21 al circolo Via d’Acqua in viale Bligny 83.
Segnalazione all’incrocio tra i post su #Timira (perché c’è Antar che fa un reading e perché si parla di dominio post-coloniale), quelli sul feticismo delle merci digitali (perché riguarda il business del coltan) e quelli sul camminare (perché si tratta di una marcia di 1600 km. attraverso l’Europa centrale).
DAL CONGO ALL’EUROPA
Sabato 30 giugno, nel parco della Scuola di musica “Ivan Illich”, via Giuriolo 7, Bologna, a partire dalle h. 19 serata di musica e teatro per finanziare la camminata fino a Bruxelles del congolese John Mpaliza.
Locandina (PDF) – Approfondimento (PDF)
A proposito di coltan, ri-segnaliamo il videogame controinformativo e politico di Molle Industria, Phone Story, messo al bando dall’App Store della mela ma disponibile per i furbòfoni Android.
Da #Timira al jazz etiope di Mulatu Astatke. Siamo tutti meticci:
http://dariodemarco.wordpress.com/2012/06/25/da-wu-ming-al-jazz-etiope-siamo-tutti-meticci-2/
Per tutto il mese di luglio #Timira costerà 15 euro anziché 20. Come ogni estate ormai da diversi anni, i libri Einaudi Stile Libero hanno il 25% di sconto.
[…] di Silvana Mangano in ‘Riso amaro’ e dopo il 1991 si e’ ritrovata profuga nel proprio paese sito wu ming […]