Italia Italia Italia.
Dice: il Che mi è caro e non è morto mai.
Dice: in tanti lo fischiano io continuo a cantarlo.
È il mio eroe di Alamo
e la vita è battaglia all’ultimo sangue
alle volte capita di dover fare
di potere rischiare e di dover cadere.
Hanno memorie rapide e leggere
i mandarini di casa nostra.
[…]
Le miserie d’Italia maledizione d’Italia numero otto
una volta gli aranci oggi una nuvola nera
dove il mare ora l’onda si ferma nel rosso del fuoco tramonto
dove la speranza intera e uomini pescatori di spade
oggi pervade la landa un’idea di miseria dolore
ho visto molte ombre nel corso di questa giornata
ho potuto contare le orme
ricordo in Italia minuetti sui piedi danzanti
ariette napoletane in un cielo di Giove
oggi crateri a Palermo vulcani a Milano
con voli improvvisi di morte
inesorabile fato questa antichissima Esperia
nel fango non ha destino il futuro.
Ammanettati con piccole catene d’oro
simulacri di uomini tomba ridono liberi a Roma.
Sono difesi da pietre porte di una città devastata.
Solo il fucile d’oro è arbitro di queste contese
se canta da usignolo
sarà un nuovo mattino.
ha ragione Fenoglio: “partigiano è come poeta, parola assoluta!”
[…]
Bisogna armare d’acciaio
i canti del nostro tempo.
Anche i poeti
imparino a combattere.
Ho Chi Minh
Secondo voi, ci sarà mai un’edizione critica che metterà insieme tutti i pezzi e le varianti di L’Italia sepolta dalla neve? E (domanda seria) sarebbe giusto farlo?
Boh, io me lo auspico, ma penso che la strategia editoriale di Roberto Roversi rimarrà imprevedibile anche post mortem :-D
Quasi un anno fa moriva Andrea Zanzotto, anche lui poeta, anche lui partigiano (Giustizia e Libertà). Forse dovremo ascoltare di più i poeti e forse sarebbe bello ascoltare quello che hanno ancora da dire gli ultimi partigiani rimasti, portatori di memorie e speranze che non sono riusciti (purtroppo) a vedere realizzate.
Tristissimi 25 aprile
morti in piedi sull’attenti
al cimitero
qualche osso perso per la strada
nel sole sfacciato freddo
– o è lo stesso, tutto raggi gamma
noi sordi al 70%
sentiamo gente che parla
come da un altro mondo.
5 pianeti occorrono alla fame dei terrestri
terroristi in favore della
pletora
ma il re degli scemi governa
ma il re degl’ipocriti
da cent’anni siede avvitato al seggio degli idiotitani
SULLA STRADA DEL MURO
La stoltezza che circola si palpa
come un vento
i vecchi partigiani
si perdono col loro alzaimer
i vecchi ex internati
nel loro post-ictus
tutto è perso o
sotto malocchio
al gatto Uttino hanno
spezzato la coda
Nulla so del filmato
sulle ceneri già lontane
del ragazzo Turra / massacrato in Colombia
Non parlatemi più
Ma nelle immondizie
troverò tracce del sublime
buone per tutte le rime
da: Andrea Zanzotto, Conglomerati, 2009
da «Tutto bruciato» di Roberto Roversi
Marco appare. “Il paese bruciato.
Guarda le case, tronchi senza vita,
macerie, polvere.
La forte gioventù morta, fuggita”.
Il sole indora la campagna,
cade dai nevai;
odore di un fuoco calmo dentro al vento.
La gente ferma sulla piazza.
M’azzanna il cuore una vespa infuriata.
“I mongoli affamati
dànno alla nostra carne questi morsi.
I tedeschi li armano, li avventano
ubriacandoli; bruciati dalla grappa
cadono urlando sulla strada,
prendono le donne come cani.
Pecore siamo nell’Italia morta”.
M’avvio nella valle solcata
da un fiume, con cime fuggenti,
stormire d’alberi,
ruscelli stenti migrano, fra onde
di foglie i castelli persi nelle ombre.
Case incendiate specchiano le nubi;
dentro ai paesi occhi e ossa d’uomini
tendono la mano, pellegrini
vinti da una sciagura.
Pendono le travi delle case.
“Le donne uccise”, dicono, “o scampate
al massacro, spente di paura
giacciono nel buio delle stalle.
Da uscio a uscio per fienili e case
i mongoli cercarono, fra le balle
di paglia, carrette rovesciate;
bruciò il paese, fuggono le donne
rauche disfatte pazze di terrore”.
I vigorosi uomini lontani.
Pagarono le donne con la vita
la breve età felice
e i neri capelli.
Tornano adesso i giovani strisciando
lungo le siepi della valle.
Questo scritto di Roberto Roversi era sul manifesto di oggi:
«C’è obiettivamente questo stato (e questo sentimento) di blocco e di sconfitta nei fatti e nelle cose – dunque, fuori e dentro la gente – come conseguenza di tutta una serie prolungata di errori e di ritardi; come conseguenza di una mancanza di agilità, di comprensione, di intelligenza politica e metodologica. Quindi che a sinistra la critica sia necessaria, urgente, indispensabile; e che sia indispensabile l’autocritica in atto dura e possibilmente aggiornata alle attuali necessità, mi pare non si possa contestare; se mai alimentare. D’altra parte, l’arroccamento a difesa è nient’altro che una risoluzione disperata e cretina; se è vero che il mondo cambia ad ogni ora. Ma l’autocritica (lavaggio mentale da compiersi sempre non solo per il politico ma anche per il privato) non deve significare il lancio della spugna; né dovrebbe convalidare l’interessato e frenetico gioco al massacro che da varie parti è messo in atto per contribuire allo spappolamento di tante utili e giuste speranze politiche, di tanti gruppi di opinione, di tanti militanti e per concludere alla precipitosa liquidazione di una generazione, di una stagione della nostra vita. L’autocritica non deve portare a partecipare alla distruzione progressiva degli atti e dei fatti recenti, a partire dal Sessantotto. Dato che è a partire da lì che comincia l’operazione di scalzamento messa in atto dai principi della penna di ogni risma; i quali dicono il Sessantotto progenitore di ogni violenza e dell’attuale violenza e cominciano a dire la classe operaia ricettacolo contaminato da tale lebbra eccetera. Parte da qui la torrentizia pubblicistica autodistruttiva di molti piccoli giovani di allora che sono diventati piccoli uomini di oggi. Con buona pace dei commentatori apocalittici ristabiliamo che l’ultimo decennio ha portato sì lacrime e sangue, ma ha prodotto – dentro un mondo che consumava il vecchio e partoriva il nuovo – straordinarie novità e progetti che portano difilato al nuovo millennio. Su quelle rive, fuori dal blabla lamentoso degli sconfitti della terza Caporetto, si conteranno i reduci e si faranno i conti sul nuovo modo occorrente per cominciare a ribaltare le cose. Se è vero che la rivoluzione è sempre un punto di partenza e mai un punto di arrivo, e se è vero che questa è la tremenda bellezza della vita».
Ma la data è: 29 aprile 1980
Roberto Roberto Roberto otreboR
poeta partigiano che possedeva la musica di un sarto dentro di sè…………………………………………..
cuciva fili con note di verità atroci…………………
vestiva manichini usando metri di dolori antichiModerni….
vestisti che acquistano valore come *spiriti liberi*……………..
con la speranza di vederli indOssati da uomini ballerini…….
in una danza……………..;-:aersdbmc/ _ ….. ^!^!^!^!^!^!^!
in cui le parole si inchinano al movimento *culturale*che si fa musica…………………
dove le parole ora non *servono* più.
Grazie.
Un vestito firmato *Liberté*
PS. un’intervista e un’articolo interessanti..
http://www.rassegna.it/articoli/2012/09/17/91807/intervista-a-roberto-roversi-la-poesia-e-una-risposta-alla-realta
http://www.glialtrionline.it/2012/09/15/addio-a-roberto-roversi-poeta-combattente-fustigatore-della-sinistra-da-salotto/#comments