Oggi esce nelle sale italiane il primo episodio della trilogia cinematografica tratta dal romanzo Lo Hobbit di J.R.R.Tolkien. Questo nostro post però non parlerà del film, e inizierà invece ricordando che oggi cade l’anniversario della strage di Firenze, nella quale Gianluca Casseri, armato di una 357 magnum, ha ucciso a sangue freddo i cittadini senegalesi Samb Modou e Diop Mor, e ha ferito gravemente Sougou Mor, Mbenghe Cheike e Mustapha Dieng (quest’ultimo rimasto tetraplegico e afono a vita). Dopodiché, una volta circondato dalla polizia, l’assassino ha rivolto l’arma contro se stesso e si è suicidato.
La coincidenza è due volte triste, se si pensa che l’omicida, oltre a essere un simpatizzante di Casa Pound Italia, era anche un fan di Tolkien e faceva parte di quella cerchia di commentatori di destra che per decenni hanno imposto all’opera del professore di Oxford le più bislacche letture tradizionaliste (WM4 se n’è occupato dettagliatamente qui). Casseri era stato uno degli autori inclusi nella collettanea ‘Albero’ di Tolkien (Bompiani, 2007), curata da Gianfranco De Turris – già segretario della Fondazione intestata al pensatore razzista e antisemita Julius Evola – nella quale sono raccolti i contributi di svariati esponenti della suddetta cerchia (insieme ad alcuni sparuti “esterni”).
Nel giorno in cui Lo Hobbit, a tre quarti di secolo dalla sua pubblicazione, diventa un prodotto cinematografico destinato all’intrattenimento delle platee mondiali, con tutto il portato di glamour, merchandising, e penetrazione nell’immaginario collettivo, noi vogliamo ricordare le vittime dell’odio razzista e al tempo stesso sostenere ancora una volta la liberazione di Tolkien dalla presa di certi suoi ammiratori.
Per farlo citiamo il saggio di Verlyn Flieger (Università del Maryland) dal titolo “Ci sarà sempre una fiaba”: J.R.R.Tolkien e la controversia sul folklore, contenuto nella collettanea fresca di stampa “C’era una volta Lo Hobbit”: alle origini del Signore degli Anelli, Marietti 1820 (€ 22).
Flieger spiega che nella celebre conferenza Sulle Fiabe (1939), Tolkien non solo traccia una guida operativa per la sua attività di narratore messa in atto ne Lo Hobbit, ma risponde anche alle maggiori teorie sul folklore ancora in auge a quell’epoca. Nella controversia tra teoria indo-ariana e teoria primitivista/evolutiva che aveva connotato il secolo d’oro degli studi sul folklore e sulle fiabe, Tolkien ribatte a entrambe piuttosto nettamente e lo fa forse più da narratore che da filologo. Tra gli studiosi che affronta c’è Sir George Dasent (1817-1896), sostenitore dell’origine ariana del folklore e delle fiabe nordiche, il quale parlava di queste in termini di «letteratura popolare della razza» e «racconti che l’Inghilterra aveva un tempo in comune con tutte le razze ariane». Tolkien definisce l’impostazione di Dasent «un guazzabuglio di preistoria fasulla, basata sulle prime supposizioni della filologia comparata», e contesta la futilità dell’ossessiva ricerca delle origini, che porta a scarnificare le storie fino a ridurle all’osso, sacrificando ogni stratificazione, ogni elemento inventivo, creativo, originale, alla pretesa di scovarne il nocciolo duro (e, nella fattispecie, ariano). Questa ossessione fa perdere per strada «l’effetto letterario» e la «significanza letteraria», i veri responsabili del perdurare delle fiabe nella nostra cultura. Nel 1939 il mitopoeta Tolkien teneva a marcare la propria distanza da un certo approccio, in un momento in cui era ormai palese dove fosse andato a parare, grazie all’uso che ne avevano fatto i nazisti in Germania.
Per Tolkien «chiedere quale sia l’origine delle storie è chiedere quale sia l’origine del linguaggio e della mente»: le storie nascono con noi e sono più importanti della loro presunta radice primigenia. Insomma, non c’è trippa per gatti con gli stivali di cuoio lucidato. Tanto meno per i pistoleri di oggi e per i loro sodali, che ancora vorrebbero arruolare a forza il sottotenente Tolkien nella loro nefasta battaglia.
Mi associo e condivido il merito e il metodo del post.
Colgo anche l’occasione per una domanda: ma la famosa conferenza dal titolo “Tolkien e la filosofia” tenutasi a Modena il 22 maggio 2010, questa:
http://www.istitutotomistico.it/attivita/2009_convegno_tolkien_filosofia.html
fu registrata in audio o in video? E se sì, si trova pubblicata in qualche angolo della grande rete?
Gli atti del convegno sono stati pubblicati l’anno scorso:
http://www.ibs.it/code/9788821191664/zzz1k1456/tolkien-e-la-filosofia.html
E saranno pubblicati in inglese nel 2013.
«Nelle ossa porto l’odio per l’apartheid”.
Dal discorso di commiato dall’Università di Oxford tenuto da J.R.R.Tolkien (nato a Bloemfontein, Sudafrica, il 3 gennaio 1892)
Suvvia allora anche Tolkien qualche riferimento al fatto di essere nato in Sudafrica lo ha pur esplicitato!
Se ripenso alle belle discussioni su Tolkien che abbiamo avuto un anno fa, sentirmi costretto ad associarle ad un anniversario tanto triste mi fa venire il voltastomaco..
“le storie nascono con noi e sono più importanti della loro presunta natura primigenia”
grazie per essere sempre lì a ricordarcelo.
Un saluto
[…] e le orribili letture che ne fanno dalle parti di Casa Pound (per un’analisi su questo tema cliccate su queste magiche parole blu), il rapporto con la trilogia de Il signore degli anelli, le vicissitudini nella realizzazione del […]
[…] (due sono morti – Samb Modou e Diop Mor – mentre un altro – Mustapha Dieng – è rimasto tetraplegico e afono a vita) da parte di un uomo simpatizzante di Casa Pound ed esperto a suo modo di Tolkien, eventi di cui parla compiutamente il collettivo Wu Ming in questo pezzo uscito sul loro blog Giap. […]
Sul sito dell’Unità, pezzo di Monica Mazzitelli sul film “Lo Hobbit”, con intervista al sottoscritto e a Roberto Arduini:
http://tuquore.comunita.unita.it/2012/12/20/lo-hobbit-eroe-delle-piccole-cose/
Tutto giusto secondo me. Tranne una cosa. Non è vero che il film mantiene il tono epico per 3 ore. La prima parte, a mio parere di gran lunga la più bella ed emozionante, riesce a cogliere lo spirito de “Lo Hobbit” decisamente meglio della seconda. Una seconda parte dove, eccezion fatta per la scena degli indovinelli, Bilbo resta – e non è un caso – in disparte.
Il vero cruccio sta nella parte di Gran Burrone che stilisticamente e narrativamente è una discreta cantonata.
Ma alla fine sono anche io uno tra i soddisfatti.
Sai cosa? Credo che questo film sia stato un compromesso tra l’essere “sincero” come il Grande Cocomero e fare un film che per quello che è costato come produzione riuscisse anche a fare incassi. Credo che sia riuscito nell’intento (la qual cosa si applica pedissequamente anche a Skyfall, di cui se vuoi puoi leggere la mia recensione sempre su “Tu, quore”) e che i due diversi tipi di pubblico possibile (i “tolkieniani” e i videogiochisti) siano rimasti entrambi soddisfatti con riserva. I primi hanno amato la lentezza, i secondi si sono annoiati per tutta la prima ora, i primi hanno visto il film in 2D, i secondi in 3D, e così via :o)
L’altra sera a Modena, presentando il film insieme ad Arduini e ad altri autori della raccolta Marietti, si diceva che il maggiore – ancorché inevitabile – tradimento da parte del film rispetto al romanzo riguarda proprio il tono. Ovviamente Jackson ha dovuto equalizzarre il tono con quello della prima trilogia, dato che questa si presenta a tutti gli effetti come il prequel. E’ vero che all’inizio ha utilizzato molto il tono comico, almeno fino alla lotta con i troll di montagna che fa essenzialmente ridere, ma ciò che lo distingue completamente dal romanzo è che il tono epico e horror aleggia sulla storia fin dal prologo (con le bellissime scene a Erebor, e poi la battaglia di Azanulbizar: carneficina, decapitazione, apparizione di Azog, etc.).
Il romanzo invece è un lento slittamento dalla fiaba al romanzo d’avventura e al romanzo epico: i nani a casa di Bilbo sembrano quasi quelli di Biancaneve, con i cappucci di colori diversi e i nomi buffi, mentre alla fine sono dei coriacei guerrieri e qualcuno ci lascia pure le penne. Quindi il romanzo rimane una cosa particolare, e giustamente diversa dal film, che è sempre un prodotto a sé stante.
Secondo me Jackson ha fatto quello che Tolkien non era riuscito a fare: per decenni Tolkien si pose il problema di come incastonare Lo Hobbit nel suo legendarium, nel ’51 modificò la scena degli indovinelli per renderla coerente con Il Signore degli Anelli, poi scrisse La Cerca di Erebor per spiegare come il viaggio verso la Montagna Solitaria rientrasse in un quadro strategico più ampio di Gandalf, etc. All’inizio degli anni Sessanta provò perfino a riscrivere Lo Hobbit equalizzando il tono al suo sequel più epico. Ma inevitabimente lasciò perdere, perché non si può scrivere due volte lo stesso romanzo, e perché la particolarità de Lo Hobbit, la sua unicità, è proprio il suo essere un ibrido straniante, con un anacronistico narratore semi-onnisciente e un protagonista che sembra uscito dagli scenari agresti vittoriani e invece è un personaggio di una complessità da romanzo contemporaneo.
Jackson ha riscritto Lo Hobbit. E già che c’era ha aggiustato alcune cose, per meglio ammiccare ai giocatori di videogame, come dice Monica, e agli executives della Warner. Ma ha salvaguardato lo spirito della narrazione e dei personaggi nel suo complesso. Poi, siccome è bravo a entrare in questa storia, ha anche prodotto una scena magistrale, che già da sola varrebbe tutto il film: gli indovinelli nell’oscurità, dove Gollum riesce a essere addirittura più inquietante che nel Signore degli Anelli e tutta la scena appare come un dialogo beckettiano, metafisico (va detto che Jackson e Serkis ormai sono in completa simbiosi, Serkis ha perfino diretto la seconda unità di regia).
Quanto a Gran Burrone, aspetto il dvd ad aprile, che dovrebbe contenere venticinque minuti di girato in più, perché credo che nella versione per le sale manchino diverse scene in quell’ambientazione (una almeno si vedeva nel trailer e poi è sparita).
Dopodiché c’è in effetti un’incongruenza rispetto al romanzo che sono curioso di vedere come Jackson ha risolto nel secondo film e riguarda la chiave e la mappa consegnate a Gandalf da Thrain. Ma queste sono seghe per noi altri infoiati… :-)
Questa prospettiva di Jackson che ha riscritto Lo Hobbit come non era riuscito a fare Tolkien dà una luce molto emozionante, anzi emotiva, alla cosa. Bello, molto.
Roberto Arduini sostiene che Peter Jackson è il “terzo Tolkien”: dopo John Ronald e Christopher, abbiamo Peter.
Molto probabilmente Christopher non sarebbe d’accordo, ma in un certo senso è proprio così, almeno per quanto riguarda il rimettere mano all’opera originaria per presentarla al mondo.
Devo dire che non amo molto il Jackson demiurgo al 100% quando, cioè, inventa anche narrativamente. Di solito allunga il brodo e spezza il ritmo.
Stavolta, rispetto al SDA, ne comprendo le motivazioni ma la sensazione di spettatore mi è rimasta.
Detto questo, possibile che con 500 milioni di dollari di budget abbiano fatto dei piedi a Bilbo così orrendi? e gli effetti di ringiovanimento sugli attori assolutamente poco credibili?
Ragionando in termini più cinematografici, la seconda parte del film risente del confronto con il SDA. Nel senso: abbiamo visto tutto questo durante Moria. Lo stupore visivo è appena stimolato dalle scenografie della tribù orchesca – così in antitesi con il regno sotto la montagna visto all’inizio. Le scene d’azione pur spettacolari non hanno niente di originale, e ammosciano la tensione.
Da questo punto di vista il prossimo film, che dovrebbe narrare la parte centrale de “Lo Hobbit”, ha le più alte potenzialità di differenziarsi ed emergere.
Riassumendo la mia recensione, direi che quando Jackson si perde Bilbo perde anche la matassa del film. Finché c’è lui nelle vicinanze, lo spirito de “Lo Hobbit” resta pulsante e vivo.
E’ il rischio che si corre quando si traduce un’opera prima incentrata su un solo personaggio in una storia policentrica che deve ammiccare di continuo alla trilogia già realizzata.
Le scene rocambolesche nelle caverne dei Goblin sono realizzate apposta per il 3D a 48 fotogrammi (che in Italia hanno solo poche sale). Chi l’ha visto mi ha detto che l’effetto è quello di essere sulle montagne russe. Però qui dal narrativo si passa al sensoriale, e personalmente mi interessa meno (anche per handicap visivi che mi impediscono di apprezzare il salto tecnologico).
Venerdì 11 gennaio Tom Shippey a Modena. A seguire, ogni martedì di gennaio e febbraio, un corso su Tolkien, al quale partecipa anche WM4 (19 febbraio). Il programma:
http://www.jrrtolkien.it/2012/12/23/tom-shippey-a-modenae-un-corso-tutto-su-tolkien/
Ciao ragazzi, intervengo qui perché questo è il primo post tolkieniano che mi è capitato sotto mano.
Volevo segnalare che sul numero di gennaio della rivista francese Le Magazine Littéraire ci sono una quarantina di pagine di dossier dedicate a Tolkien.
Non ho ancora trovato il tempo di leggerlo, l’ho solo sfogliato, ma mi sembra fatto molto bene.
Questo è il sito:
http://www.magazine-litteraire.com/
e qui c’è il sommario del dossier
http://www.magazine-litteraire.com/mensuel/527#sommaire
A me l’ha regalata la befana :)
ma magari voi la conoscete già.
Sembra una bella pubblicazione.
Ciao