[Una delle più farsesche “narrazioni tossiche” degli ultimi tempi è senz’altro quella dei “due Marò” accusati di duplice omicidio in India. Fin dall’inizio della trista vicenda, le destre politiche e mediatiche di questo Paese si sono adoperate a seminare frottole e irrigare il campo con la solita miscela di vittimismo nazionale, provincialismo arrogante e luoghi comuni razzisti.
Il giornalista Matteo Miavaldi è uno dei pochissimi che nei mesi scorsi hanno fatto informazione vera sulla storiaccia. Miavaldi vive in Bengala ed è caporedattore per l’India del sito China Files, specializzato in notizie dal continente asiatico. A ben vedere, non ha fatto nulla di sovrumano: ha seguito gli sviluppi del caso leggendo in parallelo i resoconti giornalistici italiani e indiani, verificando e approfondendo ogni volta che notava forti discrepanze, cioè sempre. C’è da chiedersi perché quasi nessun altro l’abbia fatto: in fondo, con Internet, non c’è nemmeno bisogno di vivere in India!
Verso Natale, la narrazione tossica ha oltrepassato la soglia dello stomachevole, col presidente della repubblica intento a onorare due persone che comunque sono imputate di aver ammazzato due poveracci (vabbe’, di colore…), ma erano e sono celebrate come… eroi nazionali. “Eroi” per aver fatto cosa, esattamente?
Insomma, abbiamo chiesto a Miavaldi di scrivere per Giap una sintesi ragionata e aggiornata dei suoi interventi. L’articolo che segue – corredato da numerosi link che permettono di risalire alle fonti utilizzate – è il più completo scritto sinora sull’argomento.
Ricordiamo che in calce a ogni post di Giap ci sono due link molto utili: uno apre l’impaginazione ottimizzata per la stampa, l’altro converte il post in formato ePub. Buona lettura, su carta o su qualunque dispositivo.
N.B. Cercate di commentare senza fornire appigli per querele. Se dovete parlar male di un politico, un giornalista, un militare, un presidente di qualcosa, fatelo con intelligenza, grazie.
P.S. Grazie a Christian Raimo per la sporcatura romanaccia, cfr. didascalia su casa pau.]
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di Matteo Miavaldi
Il 22 dicembre scorso Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due marò arrestati in Kerala quasi 11 mesi fa per l’omicidio di due pescatori indiani, erano in volo verso Ciampino grazie ad un permesso speciale accordato dalle autorità indiane. L’aereo non era ancora atterrato su suolo italiano che già i motori della propaganda sciovinista nostrana giravano a pieno regime, in fibrillazione per il ritorno a casa dei «nostri ragazzi”, promossi in meno di un anno al grado di eroi della patria.
La vicenda dell’Enrica Lexie, la petroliera italiana sulla quale i due militari del battaglione San Marco erano in servizio anti-pirateria, ha calcato insistentemente le pagine dei giornali italiani e occupato saltuariamente i telegiornali nazionali.
E a seguirla da qui, in un villaggio a tre ore da Calcutta, la narrazione dell’incidente diplomatico tra Italia e India iniziato a metà febbraio è stata – andiamo di eufemismi – parziale e unilaterale, piegata a una ricostruzione dei fatti distante non solo dalla realtà ma, a tratti, anche dalla verosimiglianza.
In un articolo pubblicato l’11 novembre scorso su China Files ho ricostruito il caso Enrica Lexie sfatando una serie di fandonie che una parte consistente dell’opinione pubblica italiana reputa verità assolute, prove della malafede indiana e tasselli del complotto indiano. Riprendo da lì il sunto dei fatti.
E’ il 15 febbraio 2012 e la petroliera italiana Enrica Lexie viaggia al largo della costa del Kerala, India sud occidentale, in rotta verso l’Egitto. A bordo ci sono 34 persone, tra cui sei marò del Reggimento San Marco col compito di proteggere l’imbarcazione dagli assalti dei pirati, un rischio concreto lungo la rotta che passa per le acque della Somalia. Poco lontano, il peschereccio indiano St. Antony trasporta 11 persone.
Intorno alle 16:30 locali si verifica l’incidente: l’Enrica Lexie è convinta di essere sotto un attacco pirata, i marò sparano contro la St. Antony ed uccidono Ajesh Pinky (25 anni) e Selestian Valentine (45 anni), due membri dell’equipaggio.
La St. Antony riporta l’incidente alla guardia costiera del distretto di Kollam che subito contatta via radio l’Enrica Lexie, chiedendo se fosse stata coinvolta in un attacco pirata. Dall’Enrica Lexie confermano e viene chiesto loro di attraccare al porto di Kochi.
La Marina Italiana ordina ad Umberto Vitelli, capitano della Enrica Lexie, di non dirigersi verso il porto e di non far scendere a terra i militari italiani. Il capitano – che è un civile e risponde agli ordini dell’armatore, non dell’Esercito – asseconda invece le richieste delle autorità indiane.
La notte del 15 febbraio, sui corpi delle due vittime viene effettuata l’autopsia. Il 17 mattina vengono entrambi sepolti.
Il 19 febbraio Massimiliano Latorre e Salvatore Girone vengono arrestati con l’accusa di omicidio. La Corte di Kollam dispone che i due militari siano tenuti in custodia presso una guesthouse della CISF (Central Industrial Security Force, il corpo di polizia indiano dedito alla protezione di infrastrutture industriali e potenziali obiettivi terroristici) invece che in un normale centro di detenzione.
Questi i fatti nudi e crudi. Da quel momento è partita una vergognosa campagna agiografica fascistoide, portata avanti in particolare da Il Giornale, quotidiano che, citando un’amica, «mi vergognerei di leggere anche se fossi di destra».
Che Il Giornale si sia lanciato in questa missione non stupisce, per almeno due motivi:
1) La fidelizzazione dei suoi (e)lettori passa obbligatoriamente per l’esaltazione acritica delle nostre – stavolta sì, nostre – forze armate, impegnate a «difendere la patria e rappresentare l’Italia nel mondo» anche quando, sotto contratto con armatori privati, prestano i loro servizi a difesa di interessi privati.
Anomalia, quest’ultima, per la quale dobbiamo ringraziare l’ex governo Berlusconi e in particolare l’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa, che nell’agosto 2011 ha legalizzato la presenza di militari a difesa di imbarcazioni private. In teoria la legge prevede l’uso dell’esercito o di milizie private, senonché le regole di ingaggio di queste ultime sono ancora da ultimare, lasciando il monopolio all’Esercito italiano. Ma questa è – parzialmente – un’altra storia.
2) Il secondo motivo ha a che fare col governo Monti, per il quale il caso dei due marò ha rappresentato il primo grosso banco di prova davanti alla comunità internazionale, escludendo la missione impossibile di cancellare il ricordo dell’abbronzatura di Obama, della culona inchiavabile, letto di Putin, della nipote di Mubarak, dell’harem libico nel centro di Roma e tutto il resto del repertorio degli ultimi 20 anni.
Troppo presto per togliere l’appoggio a Monti per questioni interne, da marzo in poi Latorre e Girone sono stati l’occasione provvidenziale per attaccare l’esecutivo dei tecnici, mantenendo vivo il rapporto con un elettorato che tra poco sarà di nuovo chiamato alle urne. E’ il tritacarne elettorale preannunciato da Emanuele Giordana al quale i due marò, dopo la visita ufficiale al Quirinale del 22 dicembre, sono riusciti a sottrarsi chiudendosi letteralmente nelle loro case fino al 10 gennaio quando, secondo i patti, torneranno in Kerala in attesa del giudizio della Corte Suprema di Delhi.
Qualche esempio di strumentalizzazione?
Margherita Boniver, senatrice Pdl, il 19 dicembre riesce finalmente a fare notizia offrendosi come ostaggio per permettere a Latorre e Girone di tornare in Italia per Natale.
Ignazio La Russa, Pdl, il 21 dicembre annuncia di voler candidare i due marò nelle liste del suo nuovo partito Fratelli d’Italia (sic!).
L’escamotage, che serve a blindare i due militari entro i confini italiani, è rimandato al mittente dagli stessi Latorre e Girone, irremovibili nel mantenere la parola data alle autorità indiane.
LA QUERELLE SULLA POSIZIONE DELLA NAVE E UNA CURIOSA “CONTROPERIZIA”
La prima tesi portata avanti maldestramente dalla diplomazia italiana, puntellata dagli organi d’informazione, sosteneva che l’Enrica Lexie si trovasse in acque internazionali e, di conseguenza, la giurisdizione dovesse essere italiana. Ma le cose pare siano andate diversamente.
Il governo italiano ha sostenuto che l’Enrica Lexie si trovasse a 33 miglia nautiche dalla costa del Kerala, ovvero in acque internazionali, il che avrebbe dato diritto ai due marò ad un processo in Italia. La tesi è stata sviluppata basandosi sulle dichiarazioni dei marò e su non meglio specificate «rilevazioni satellitari”.
Secondo l’accusa indiana l’incidente si era invece verificato entro il limite delle acque nazionali: Girone e Latorre dovevano essere processati in India.
Nonostante la confusione causata dal campanilismo della stampa indiana ed italiana, la posizione della Enrica Lexie non è più un mistero ed è ufficialmente da considerare valida la perizia indiana.
La squadra d’investigazione speciale che si è occupata del caso lo scorso 18 maggio ha depositato presso il tribunale di Kollam l’elenco dei dati a sostegno dell’accusa di omicidio, citando i risultati dell’esame balistico e la posizione della petroliera italiana durante la sparatoria.
Secondo i dati recuperati dal GPS della petroliera italiana e le immagini satellitari raccolte dal Maritime Rescue Center di Mumbai, l’Enrica Lexie si trovava a 20,5 miglia nautiche dalla costa del Kerala, nella cosiddetta «zona contigua».
Il diritto marittimo internazionale considera «zona contigua» il tratto di mare che si estende fino alle 24 miglia nautiche dalla costa, entro le quali è diritto di uno Stato far valere la propria giurisdizione.
[ UPDATE 19 GENNAIO: il capoverso qui sopra è stato molto criticato, ma nella sostanza riassume la posizione dell’India sulla «zona contigua», posizione ribadita ieri dalla Corte suprema di New Delhi: «The incident of firing from the Italian vessel on the Indian shipping vessel having occurred within the Contiguous Zone, the Union of India is entitled to prosecute the two Italian marines under the criminal justice system prevalent in the country.» Quest’aspetto verrà approfondito nel prossimo post di Miavaldi. Anche in quest’occasione, i media italiani hanno disinformato pesantemente, ripetendo a tamburo che secondo l’India l’incidente “non è avvenuto in acque territoriali”, senza però dire come proseguiva il discorso, e quindi cosa significhi. Secondo la Corte suprema l’incidente non è avvenuto nelle acque territoriali e perciò non è competenza dello stato del Kerala, ma è avvenuto nella “zona contigua”, sulla quale l’India – intesa come nazione tutta – rivendica la giurisdizione. Per questo il processo è stato spostato dal livello statale a quello federale. ]
A contrastare la versione ufficiale delle autorità indiane – che, ricordiamo, è stata accettata anche dai legali dei due marò e sarà la base sulla quale la Corte suprema indiana si pronuncerà – è apparsa in rete la ricca controperizia dell’ingegner Luigi di Stefano, già perito di parte civile per l’incidente di Ustica.
Di Stefano presenta una serie di dati ed analisi tecniche a supporto dell’innocenza dei due marò. Chi scrive non è esperto di balistica né perito legale – non è il mio mestiere – e davanti alla mole di dati sciorinati da Di Stefano rimane abbastanza impassibile. Tuttavia, è importante precisare che Di Stefano basa gran parte della sua controperizia su una porzione minima dei dati, quelli cioè divulgati alla stampa a poche settimane dall’incidente. Dati che, sappiamo ora, sono stati totalmente sbugiardati dalle rilevazioni satellitari del Maritime Rescue Center di Mumbai e dall’esame balistico effettuato dai periti indiani.
Nella perizia troviamo stralci di interviste tratti dal settimanale Oggi, fotogrammi ripresi da Youtube, fermi immagine di documenti mandati in onda da Tg1 e Tg2 (sui quali Di Stefano costruisce la sua teoria della falsificazione dei dati da parte della Marina indiana), altre foto estrapolate da un video della Bbc e una serie di complicatissimi calcoli vettoriali e simulazioni 3d.
Non si menziona mai, in tutta la perizia, nessuna fonte ufficiale dei tecnici indiani che, come abbiamo visto, hanno depositato in tribunale l’esito delle loro indagini il 18 maggio. Di Stefano aveva addirittura presentato il suo lavoro durante un convegno alla Camera dei deputati il 16 aprile, un mese prima che fossero disponibili i risultati delle perizie indiane!
In quell’occasione i Radicali hanno avanzato un’interrogazione parlamentare al ministro degli Esteri Terzi, chiedendo sostanzialmente: «Ma se abbiamo mandato i nostri tecnici in India e loro non hanno detto nulla, perché dobbiamo stare a sentire Di Stefano?»
Il lavoro di Di Stefano, in definitiva, è viziato sin dal principio dall’analisi di dati clamorosamente incompleti, costruito su dichiarazioni inattendibili e animato dal buon vecchio sentimento di superiorità occidentale nei confronti del cosiddetto Terzo mondo.
Se qualcuno ancora oggi ritiene che una simile perizia artigianale sia più attendibile di quella ufficiale indiana, cercare di spiegare perché non lo è potrebbe essere un inutile dispendio di energie.
[ UPDATE 8 gennaio 2013: Di Stefano in persona è intervenuto nei commenti qui sotto… e mal gliene incolse. Oltre a ulteriori, serissimi dubbi sulla sua “analisi tecnica” (ricapitolati qui), ne sono emersi anche sul suo buffo curriculum, sulla sua laurea (si fa chiamare “ingegnere” ma non risulta lo sia), sui suoi trascorsi e su precedenti, non meno raccogliticce “perizie”. Dulcis in fundo: presentato come tecnico super partes, in realtà Di Stefano è un dirigente del partitino neofascista Casapound. Suo figlio Simone è il candidato di Casapound alla presidenza della regione Lazio. Con Casapound, Di Stefano anima un “comitato pro-Marò”.
Dopo che la discussione/inchiesta ha portato alla luce queste cose, Di Stefano è stato raggiunto dal Fatto quotidiano e ha ammesso di non essere andato molto più in là di una ricerca sul web, di non aver mai avuto contatti diretti con fonti indiane e di aver ricevuto alcuni dati da analizzare da giornalisti italiani suoi amici, omettendo di verificarli alla fonte primaria.
Costui si aggirava da anni al centro o alla periferia di inchieste cruciali (Ustica, Ilva etc.), presentato dai media mainstream e dalle destre (fascisti e berluscones) come “esperto”, senza che nessuno avesse mai pensato di verificarne i titoli, la reale competenza, i metodi impiegati e chi gli dava copertura politica. Eppure non sarebbe stata un’inchiesta difficile, tant’è che per scoprire certi altarini sono bastati due giorni di discussione seria su un blog.
Naturalmente, sia Di Stefano sia i suoi amici di estrema destra, dopo aver accusato il colpo, han cercato di rispondere facendo il free climbing sugli specchi e gridando al complotto internazionale ai loro danni. — WM ]
UNGHIE SUI VETRI: «NON SONO STATI LORO A SPARARE!»
Altra tesi particolarmente in voga: non sono stati i marò a sparare, c’era un’altra nave di pirati nelle vicinanze, sono stati loro.
Nel rapporto consegnato in un primo momento dai membri dell’equipaggio dell’Enrica Lexie alle autorità indiane e italiane (entrambi i Paesi hanno aperto un’inchiesta) si specifica che Latorre e Girone hanno sparato tre raffiche in acqua, come da protocollo, man mano che l’imbarcazione sospetta si avvicinava all’Enrica Lexie. Gli indiani sostengono invece che i colpi erano stati esplosi con l’intenzione di uccidere, come si vede dai 16 fori di proiettile sulla St. Antony.
Il 28 febbraio il governo italiano chiede che al momento dell’analisi delle armi da fuoco siano presenti anche degli esperti italiani. La Corte di Kollam respinge la richiesta, accordando però che un team di italiani possa presenziare agli esami balistici condotti da tecnici indiani.
Gli esami confermano che a sparare contro la St. Antony furono due fucili Beretta in dotazione ai marò, fatto supportato anche dalle dichiarazioni degli altri militari italiani e dei membri dell’equipaggio a bordo sia dell’Enrica Lexie che della St. Antony.
Staffan De Mistura, sottosegretario agli Esteri italiano, il 18 maggio ha dichiarato alla stampa indiana: «La morte dei due pescatori è stato un incidente fortuito, un omicidio colposo. I nostri marò non hanno mai voluto che ciò accadesse, ma purtroppo è successo».
I più cocciuti, pur davanti all’ammissione di colpa di De Mistura, citano ora il mistero della Olympic Flair, una nave mercantile greca attaccata dai pirati il 15 febbraio, sempre al largo delle coste del Kerala. La notizia, curiosamente, è stata pubblicata esclusivamente dalla stampa italiana, citando un comunicato della Camera di commercio internazionale inviato alla Marina militare italiana. Il 21 febbraio la Marina mercantile greca ha categoricamente escluso qualsiasi attacco subito dalla Olympic Flair.
A questo punto possiamo tranquillamente sostenere che: 1) l’Enrica Lexie non si trovava in acque internazionali; 2) i due marò hanno sparato. Sono due fatti supportati da prove consistenti e accettati anche dalla difesa italiana, che ora attende la sentenza della Corte suprema circa la giurisdizione.
Secondo la legge italiana ed i suoi protocolli extraterritoriali, in accordo con le risoluzioni dell’Onu che regolano la lotta alla pirateria internazionale, i marò a bordo della Enrica Lexie devono essere considerati personale militare in servizio su territorio italiano (la petroliera batteva bandiera italiana) e dovrebbero godere quindi dell’immunità giurisdizionale nei confronti di altri Stati.
La legge indiana dice invece che qualsiasi crimine commesso contro un cittadino indiano su una nave indiana – come la St. Antony – deve essere giudicato in territorio indiano, anche qualora gli accusati si fossero trovati in acque internazionali.
A livello internazionale vige la Convention for the Suppression of Unlawful Acts Against the Safety of Maritime Navigation (SUA Convention), adottata dall’International Maritime Organization (Imo) nel 1988, che a seconda delle interpretazioni, indicano gli esperti, potrebbe dare ragione sia all’Italia sia all’India.
La sentenza della Corte Suprema di New Delhi, prevista per l’8 novembre ma rimandata nuovamente a data da destinarsi, dovrebbe appunto regolare questa ambiguità, segnando un precedente legale per tutti i casi analoghi che dovessero verificarsi in futuro.
Il caso dei due marò, che dal mese di giugno sono in regime di libertà condizionata e non possono lasciare il Paese prima della sentenza, sarà una pietra miliare del diritto marittimo internazionale.
IMPRECISIONI, DIMENTICANZE, SAGRESTIE E ROMBI DI MOTORI
In oltre 10 mesi di copertura mediatica, la cronaca a macchie di leopardo di gran parte della stampa nazionale ha omesso dettagli significativi sul regime di detenzione dei marò, si è persa per strada alcuni passaggi della diplomazia italiana in India e ha glissato su una serie di comportamenti “al limite della legalità” che hanno contraddistinto gli sforzi ufficiali per «riportare a casa i nostri marò». In un altro articolo pubblicato su China Files il 7 novembre, avevo collezionato le mancanze più eclatanti. Riprendo qui quell’esposizione.
Descritti come «prigionieri di guerra in terra straniera» o militari italiani «dietro le sbarre», Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in realtà non hanno speso un solo giorno nelle famigerate carceri indiane.
I due militari del Reggimento San Marco, in libertà condizionata dal mese di giugno, come scrive Paolo Cagnan su L’Espresso, in India sono trattati col massimo riguardo e, in oltre otto mesi, non hanno passato un solo giorno nelle famigerate celle indiane, alloggiando sempre in guesthouse o hotel di lusso con tanto di tv satellitare e cibo italiano in tavola. Tecnicamente, «dietro le sbarre» non ci sono stati mai.
Un trattamento di lusso accordato fin dall’inizio dalle autorità indiane che, come ricordava Carola Lorea su China Files il 23 febbraio, si sono assicurate che il soggiorno dei marò fosse il meno doloroso possibile:
«I due marò del Battaglione San Marco sospettati di aver erroneamente sparato a due pescatori disarmati al largo delle coste del Kerala, sono alloggiati presso il confortevole CISF Guest House di Cochin per meglio godere delle bellezze cittadine.
Secondo l’intervista rilasciata da un alto funzionario della polizia indiana al Times of India, i due sfortunati membri della marina militare italiana sarebbero trattati con grande rispetto e con tutti gli onori di casa, seppure accusati di omicidio.
La diplomazia italiana avrebbe infatti fornito alla polizia locale una lista di pietanze italiane da recapitare all’hotel per il periodo di fermo: pizza, pane, cappuccino e succhi di frutta fanno parte del menu finanziato dalla polizia regionale. Il danno e la beffa.»
Intanto, l’Italia cercava in ogni modo di evitare la sentenza dei giudici indiani, ricorrendo anche all’intercessione della Chiesa. Alcune iniziative discutibili portate avanti dalla diplomazia italiana, o da chi ne ha fatto tristemente le veci, hanno innervosito molto l’opinione pubblica indiana. Due di queste sono direttamente imputabili alle istituzioni italiane.
In primis, aver coinvolto il prelato cattolico locale nella mediazione con le famiglie delle due vittime, entrambe di fede cattolica. Il sottosegretario agli Esteri De Mistura si è più volte consultato con cardinali ed arcivescovi della Chiesa cattolica siro-malabarese, nel tentativo di aprire anche un canale “spirituale” con i parenti di Ajesh Pinky e Selestian Valentine, i due pescatori morti il pomeriggio del 15 febbraio.
L’ingerenza della Chiesa di Roma non è stata apprezzata dalla comunità locale che, secondo il quotidiano Tehelka, ha accusato i ministri della fede di «immischiarsi in un caso penale», convincendoli a dismettere il loro ruolo di mediatori.
Il 24 aprile, inoltre, il governo italiano e i legali dei parenti delle vittime hanno raggiunto un accordo economico extra-giudiziario. O meglio, secondo il ministro della Difesa Di Paola si è trattato di «una donazione», di «un atto di generosità slegato dal processo».
Alle due famiglie, col consenso dell’Alta Corte del Kerala, vanno 10 milioni di rupie ciascuna, in totale quasi 300mila euro. Dopo la firma, entrambe le famiglie hanno ritirato la propria denuncia contro Latorre e Girone, lasciando solo lo Stato del Kerala dalla parte dell’accusa.
Raccontata dalla stampa italiana come un’azione caritatevole, la transazione economica è stata interpretata in India non solo come un’implicita ammissione di colpa, ma come un tentativo, nemmeno troppo velato, di comprarsi il silenzio delle famiglie dei pescatori.
Tanto che il 30 aprile la Corte Suprema di Delhi ha criticato la scelta del tribunale del Kerala di avallare un simile accordo tra le parti, dichiarando che la vicenda «va contro il sistema legale indiano, è inammissibile.»
Ma il vero capolavoro di sciovinismo è arrivato lo scorso mese di ottobre durante il Gran Premio di Formula 1 in India. In un’inedita liaison governo-Il Giornale-Ferrari, in poco più di una settimana l’Italia è riuscita a far tornare in prima pagina il non-caso dei marò che in India, dopo 8 mesi dall’incidente, era stato ampiamente relegato nel dimenticatoio mediatico.
Rispondendo all’appello de Il Giornale ed alle «migliaia di lettere» che i lettori hanno inviato alla redazione del direttore Sallusti, la Ferrari ha accettato di correre il gran premio indiano di Greater Noida mostrando in bella vista sulle monoposto la bandiera della Marina Militare Italiana. Il primo comunicato ufficiale di Maranello recitava:
«[…] La Ferrari vuole così rendere omaggio a una delle migliori eccellenze del nostro Paese auspicando anche che le autorità indiane e italiane trovino presto una soluzione per la vicenda che vede coinvolti i due militari della Marina Italiana.»
La replica seccata del Ministero degli Esteri indiano non si fa attendere: «Utilizzare eventi sportivi per promuovere cause che non sono di quella natura significa non essere coerenti con lo spirito sportivo.»
Pur avendo incassato il plauso del ministro degli Esteri Terzi, che su Twitter ha gioito dell’iniziativa che «testimonia il sostegno di tutto il Paese ai nostri marò», la Scuderia Ferrari opta per un secondo comunicato. Sfidando ogni logica e l’intelligenza di italiani ed indiani, l’ufficio stampa della casa automobilistica specifica che esporre la bandiera della Marina «non ha e non vuole avere alcuna valenza politica.»
In mezzo al tira e molla di una strategia diplomatica improvvisata, così impegnata a non scontentare l’Italia più sciovinista al punto da appoggiare la pessima operazione d’immagine del duo Maranello-Il Giornale, accolta in India da polemiche ampiamente giustificabili, il racconto dei marò – precedentemente «dietro le sbarre» – è continuato imperterrito con toni a metà tra un romanzo di Dickens e una sagra di paese.
Il Giornale, ad esempio, esaltando la vittoria morale dell’endorsement Ferrari, confida ai propri lettori che
«i famigliari di Massimiliano Latorre, tutti con una piccola coccarda di colore giallo e il simbolo della Marina Militare al centro appuntata sugli abiti, hanno pensato di portare a Massimiliano e a Salvatore alcuni tipici prodotti locali della Puglia: dalle focacce ai dolci d’Altamura per proseguire poi con le orecchiette, le friselle di grano duro.»
L’operazione, qui in India, ha raggiunto esclusivamente un obiettivo: far inviperire ancora di più le schiere di fanatici nazionalisti indiani sparse in tutto il Paese.
Ma è lecito pensare che la mossa mediatica, ancora una volta, non sia stata messa a punto per il bene di Latorre e Girone, bensì per strizzare l’occhiolino a quell’Italia abbruttita dalla provincialità imposta dai propri politici di riferimento, maltrattata da un’informazione colpevolmente parziale che da tempo ha smesso di “informare” preferendo istruire, depistare, ammansire e rintuzzare gli istinti peggiori di una popolazione alla quale si rifiuta di dare gli strumenti e i dati per provare a capire e pensare con la propria testa.
PARLARE A CHI SI TAPPA LE ORECCHIE
In questi mesi, quando provavamo a raccontare la storia dei marò facendo due passi indietro e includendo doverosamente anche le fonti indiane, ci sono piovuti addosso decine di insulti. Quando citavamo fonti dai giornali indiani, ci accusavano di essere «come un fogliaccio del Kerala»; quando abbiamo provato a spiegare il problema della giurisdizione, ci hanno risposto «L’India è un paese di pezzenti appena meno pezzenti di prima che cerca di accreditarsi come potenza, ma sempre pezzenti restano. E un pezzente con soldi diventa arrogante. Da nuclearizzare!»; quando abbiamo cercato di smentire le falsità pubblicate in Italia (come la memorabile bufala di Latorre che salva un fotografo fermando una macchina con le mani e si guadagna le copertine indiane come “Eroe”) ci hanno dato degli anti-italiani, augurandoci di andare a vivere in India e vedere se là stavamo meglio. Ignorando il fatto che, a differenza di molti, noi in India ci abitiamo davvero.
Quando tutta questa vicenda verrà archiviata e i marò saranno sottoposti a un giusto processo – in Italia o in India, speriamo che sia giusto – sarà bene ricordarci come non fare del cattivo giornalismo, come non condurre un confronto diplomatico con una potenza mondiale e, soprattutto, come non strumentalizzare le nostre forze armate per fini politici. Una cosa della quale, anche se fossi di destra, mi sarei vergognato.
[ Update 5 gennaio 2013: dopo mesi e mesi di propaganda a senso unico e rintocchi assordanti di una sola campana, quest’articolo è stato un sasso nello stagno. E’ il più “socializzato” della storia di Giap ed è stato ripreso in lungo e in largo per la rete. La discussione qui sotto è partecipata e ricchissima di spunti, approfondimenti, correzioni, precisazioni, conferme, rilanci, rivelazioni, scoperte. “Pare un film di 007”, ha scritto un commentatore sbigottito, riferendosi ai colpi di scena che si susseguivano rapidi. Mentre scriviamo, si sfiorano ormai i 300 commenti, con decine di sotto-discussioni ramificate, compresa la vera e propria inchiesta collettiva su metodi e titoli del dicentesi ingegner Di Stefano. Leggere tutto quanto è appassionante, ma anche impegnativo e non tutti hanno il tempo di farlo. Ci ripromettiamo, noi e Matteo Miavaldi, di preparare e pubblicare un secondo post, che aggiorni, faccia il sunto della discussione, affronti i punti critici, tenga accese le braci di un’informazione diversa sul caso. — WM ]
Noblesse oblige, è giusto ricordare che l’identico pattern è stato visto all’opera nel confronto con il Brasile per il caso di Cesare Battisti. Anche lì gli stessi comportamenti, che prima di essere intimamente cretini si sono rivelati particolarmente lesivi dell’interesse e dell’immagine nazionale, che pure i rodomonti si dicevano intenti a difendere, esponendo il fiero petto e insultando frustrati i nemici.
Che peraltro nemici non sono, come non sono anti-italiani quanti hanno suggerito di trattare la questione con misura e serietà, come richiedono faccende del genere. Purtroppo per i pescatori indiani e per i “nostri ragazzi” mandati allo sbaraglio, nessuno degli sciacalli che si sono sporcati le mani in occasioni come questa ha mai dimostrato di avere in mente niente che non sia l’eccitare gli animi del fiero guerriero da poltrona, interpretando i loro non molto reconditi pensieri.
Grazie dell’esauriente racconto. Paradossalmente ne escono meglio i due che non i loro pretesi sostenitori :-p
Senz’altro i due marò, almeno in questo frangente, si sono comportati in modo più serio dei tifosi in camicia nera e delle majorettes dal trucco sfatto che li circondano.
E’ tutto molto vero, ma la mia domanda è :
Possiamo lasciare che questi 2 militari vengano lasciati partre verso un paese che prevede ancora la pena di morte ?
Possiamo responsabilmente guardarci in faccia e lasciarli partire senza pensare che li stiamo abbandonando?
Mi pare che lo Stato italiano stia tutt’altro che abbandonando quelle persone (valga come esempio il milione e 300 mila euro pagati per le cauzioni), che in un paese straniero stanno affrontando un processo per un crimine grave.
Lasciarli partire significa assumersi di fronte all’India e al mondo intero le proprie responsabilità.
Il fatto che in India viga la pena di morte non cambia nulla, chi commette un crimine all’estero va processato e deve affrontare le conseguenze delle sue azioni.
La solidarietà dello Stato va tributata a questi imputati solo perché sono militari? Altri connazionali detenuti in paesi stranieri per reati minori (possesso di modiche quantità di droga, ad esempio) hanno ricevuto lo stesso trattamento? Mi pare di no, perché?
El_Pinta scrive:
“Altri connazionali detenuti in paesi stranieri per reati minori (possesso di modiche quantità di droga, ad esempio) hanno ricevuto lo stesso trattamento? Mi pare di no, perché?”
Perché i Marò su quella nave ci son stati comandati di servizio. Cioè ce li ha messi lo Stato, che pertanto li deve tutelare. Che non vuol dire “proteggerli se hanno torto”
Secondo me.
Norbert, è un piano inclinato scivolosissimo. Anche per le strade di Genova c’era gente che era lì comandata di servizio, anche a Bolzaneto, anche nelle caserme e galere dove sono morti Cucchi, Bianzino, Uva, anche in quella via di Ferrara dove è stato picchiato a morte Aldrovandi. Gli spettacolini di omertà di stato e depistaggi istituzionali a cui abbiamo assistito negli anni mi portano a dire questo: è molto difficile stabilire il confine oltre il quale “lo Stato li deve tutelare” (e in che modo “deve”?) diventa “proteggerli se hanno torto”. Il dubbio di El_Pinta è lecito: per quanti altri imputati italiani all’estero l’erario avrebbe speso centinaia di migliaia di euro… per dieci giorni di ferie di natale? Mah.
Scusami Norbert, facciamo chiarezza su una cosa. Se non capisco male quei militari su quella nave non erano stati comandati dallo Stato, bensì assoldati da un imprenditore grazie a una legge dello Stato che consente alle nostre forze armate di prestare servizi, dietro compenso, a soggetti privati.
Per cui su quella nave i due fucilieri non rappresentavano la Stato italiano ma un armatore privato.
Il comportamento delle istituzioni, poi ha ampiamente oltrepassato la tutela ed è scivolato in quella che tu chiami “protezione a torto”. Lo ha fatto nel momento in cui queste due persone sono state dipinte come qualcosa che non sono (eroi) e trattate in modo preferenziale (con consistenti investimenti in denaro).
Detto questo cominciamo a farci qualche domanda, tipo perché mai una forza armata che può mantenersi da sola vendendo i suoi servizi sul libero mercato deve essere finanziata coi soldi delle nostre tasse?
E ancora, se anche fosse vero che su quella nave i due militari rappresentavano lo Stato impegnato in un’azione di guerra (alla pirateria), come in molti sostengono, cosa impedisce che quel crimine venga considerato un crimine di guerra?
Sul resto ti ha risposto WM1 qui sotto e il suo commento rappresenta anche il mio pensiero…
Aggiungo ancora una domanda: non pensi che sia un diritto dei due militari quello di provare la loro innocenza nelle sedi deputate? Non credi che sia molto più umiliante per loro nascondersi sotto le lenzuola piuttosto che affrontare quello che hanno fatto?
Io credo che se la nazione fosse stata Irak, ora li staremo chiamando ostaggi …tutti.
Se fossero stati gli Stati Uniti staremo parlando di sopprusi.
La realtà è che qui tra la politica e gli accordi internazionali ci dimentichiamo che possiamo sempre processarli, in Italia secondo leggi eque per la dignità umana.
La costituzione Italiana ripudia la pena di morte e non voglio neppure pensare che un concittadino possa essere giudicato colpevole a Morte in un altro paese nè nel mio. Per questo e solo per questo spero non li rimandino in India. Anche se pare ormai scontato il contrario. Non entro poi in altre questioni tutte lodevolissime ma che secondo me non centrano il problema profondo della dignità dell’uomo.
Se la nazione si fosse chiamata Irak e due soldati fossero stati rapiti li avremmo chiamati ostaggi, se avessero ucciso due civili disarmati, invece, criminali di guerra. Resta il fatto che, come è scritto nel post, queste persone non sono state trattate da ostaggi, anzi le autorità indiane hanno predisposto per loro un trattamento più che benevolo e indulgente. Dunque, di cosa stiamo parlando?
Se fossero detenuti negli usa staremmo parlando di criminali, non si soprusi.
Su quanto sia inconsistente la tua argomenta rispetto alla pena di morte e alla dignità umana ti ha risposto in modo esauriente Mauro Vanetti qui sotto, ti consiglio di rileggerlo.
Quanto alla possibilità di processarli in Italia è una stupidaggine e lo sappiamo tutti. Quanto possano valere processi per fatti di questo tipo celebrati nei paesi di provenienza degli imputati ce lo ha insegnato la strage del Cermis, di cui ricorre tra un mese l’anniversario.
Strage i cui autori, processati negli Usa sono stati assolti e reintergrati in servizio nonostante avessero violato palesemente qualsiasi regola anche di buonsenso (e se qualcuno avesse ancora dubbi in proposito lo invito a farsi un giro in Val di Fiemme e farsi mostrare da un valligiano dove correvano i cavi della funivia), cosa che probabilmente non sarebbe accaduta se fossero stati processati in Italia…
Quello che dici è tutto vero in linea di massima… infatti la mia questione non è politica ne legale ma umanitaria e civile(diritti umani). Purtroppo mi sembri troppo impegnato a dire come la pensi per leggere quello che scrivono gli interlocutori arrivando addirittura a darmi dello stupido.
Tranquillo non me la prendo :)
Per la pena di morte…per me se esiste ed è stata pure applicata anche solo una volta basta…2 è già tantissimo. Se una di quelle 2 persone che hanno giustiziato fosse stato tuo figlio, credo il valore di quel “solo 2 volte” cambierebbe immensamente e l’arsenale della tua irruenta retorica(sembri proprio un politico) sarebbe puntata da tutt’altra parte adesso…
Io non conosco i 2 Marò…li vedo solo come persone in uno stato di diritto che non riconosco. Non li assolvo per ciò che hanno fatto, ne tanto meno li condanno dato che non sono li per poter valutare tutto con chiarezza.
Ma sembra tu sappia già tutto, quindi Amen! Bada che ho letto quello che hai scritto sui militari Usa e non voglio raccogliere quel guanto…se provi a girare al contrario la questione sai già come la penso!
Sebbene l’India non abbia ancora abolito la pena di morte, vi ricorre estremamente di rado. Nel 21° secolo solo 2 persone sono state giustiziate in India – due di troppo, secondo me, ma è giusto dare alle cose la loro giusta proporzione. Gli Stati Uniti con un quarto degli abitanti dell’India hanno applicato la pena di morte 43 volte soltanto nel 2012.
La pena di morte non viene applicata a casi come quello dei due marò, ma solo a delitti particolarmente efferati; quest’anno è stato impiccato il fondamentalista pakistano Mohammed Ajmal Amir Kasab, accusato di aver compiuto l’attentato terroristico del 2008 a Mumbai in cui morirono oltre 150 innocenti. L’altro impiccato post-2000 aveva, secondo l’accusa, stuprato e ucciso una ragazzina minorenne. Considerato il trattamento di favore di cui hanno goduto finora Girone e Latorre, è del tutto inverosimile credere che possano essere condannati a morte per un omicidio colposo.
Questa bufala dei “marò che rischiano la morte” fa parte dell’apparato propagandistico nazionalista.
@sito-wordpress
Da un po’ di tempo cerco di pormi domande come la tua in modi un po’ diversi:
“Possiamo lasciare che imprese e organismi italiani mantengano traffici con paesi che prevedono ancora la pena di morte?”
Ma allora anche:
“Possiamo lasciare che una nostra impresa assuma manodopera in paesi che non garantiscono diritti minimi sindacali? Possiamo responsabilmente guardarci in faccia e lasciarla partire senza pensare che sta abbandonando i suoi dipendenti italiani per andare a spremere dipendenti altrove?”
Penso che siamo d’accordo sul rispetto della vita, ma quella di tutti, a prescindere da dove nascono. Quindi, per non rischiare di far intendere che quella degli italiani vale di più (posizione già affollatissima), dovremmo fare lo stesso *identico* sforzo per non abbandonare ogni singolo individuo che rischia la morte in qualsiasi buco di culo del mondo. E invece.
Io sono un singolo e posso solo avere un opinione.
Non posso fare nulla da solo
Certo se potessi salverei tutti dappertutto ma è piuttosto improbabile.
Non ritengo gli italiani superiori a nessuno.
Gli Italiani sono un popolo che nel tempo ha raggiunto conquiste civili importanti e io come Italiano, non credo dovrebbero essere estradati ma giudicati secondo una legge che sia civile.
Giudicati e non assolti!
Se non riteniamo la dignità di un essere umano rispettata dalla legge di un altro stato, abbiamo il diritto di non rimandarli indietro… Non c’e’ politica qui, solo senso civile.
Bada bene se non fossero stati italiani o le parti fossero invertite…sarebbe stato uguale per me!
@mazzetta: giusto l’esempio del caso Battisti, perché anche lì la destra ha mostrato di non mirare all’obiettivo dichiarato (l’estradizione) ma solo a sfruttare il caso a fini di politica interna. Sul caso, per chi ancora fosse interessato: http://alvearecontento.blogspot.pt/2011/07/nao-queremos-battisti-de-volta_29.html
Volevo farvi un appunto riguardante la questione della giurisdizione.
Come avete riportato anche voi nell’articolo, è confermato che la nave si trovasse a 20.5 miglia marine.
Come avete riportato anche voi nell’articolo, questo la farebbe rientrare nella zona contigua.
A questo punto avete dichiarato che questo la farebbe ricadere automaticamente nella giurisdizione indiana, senza possibilità d’appello alcuna.
Ma è una conclusione errata, poiché stando a quanto riportato dall’art. 33 della convenzione di Montego Bay e al diritto internazionale, l’estensione della giurisdizione nella zona contigua è limitata a certe fattispecie esclusive.
Scusatemi, basterebbe un minimo di logica e rispondere alla domanda: avrebbe senso d’esistere la divisione tra la zona contigua e le acque territoriali se nelle medesime lo Stato esercitasse la stessa giurisdizione, godendo degli stessi diritti?
Ovviamente no, perché altrimenti basterebbe parlare di acque territoriali estese fino a 24 miglia e tanti saluti alla divisione di 12+12.
Voglio farvi poi notare che questo è stato affermato anche da Harin Ravel, che è un additional solicitor general indiano (http://en.wikipedia.org/wiki/Solicitor_General_of_India), che ha appunto sostenuto questo:
“I have the coordinates of the ship. The vessel carried an Italian flag and was found to be at 20.5 nautical miles from the coast. Our territorial waters end at 12 nautical miles. Beyond it the international law would apply”
Qui l’articolo (Times of India): http://articles.timesofindia.indiatimes.com/2012-04-21/india/31378543_1_italian-ship-ship-owners-indian-vessel
Esprimendo la sua opinione per quanto riguardava la detenzione della nave (e le corti hanno confermato la sua idea, per quanto non condivisa in linea ufficiale dal governo, perché hanno rilasciato la nave).
Qui un altro articolo: http://articles.timesofindia.indiatimes.com/2012-04-23/india/31386478_1_enrica-lexie-italian-ship-ship-owners
Il governo indiano poi, come si può leggere nel secondo articolo, ha sostenuto che la giurisdizione spettava all’India indipendentemente dal fatto che la nave fosse o meno in acque internazionali, spostando quindi su altre basi la loro legittimazione (in barba al diritto internazionale).
Per concludere, io concordo con quanto sostenete in riferimento ai pennivendoli italiani, al voler fare di questi due uomini degli “eroi” quando non lo sono, ma se si parla di diritto c’è poco da fare, quella nave era a 20.5 miglia marittime con tutto quello che ne consegue.
Un saluto da un vostro accanito lettore.
Sbagli, l’articolo dice testualmente che
per cui il pezzo non dice che la nave ricade automaticamente nella giurisdizione indiana, ma che l’India ha diritto a far valere la propria giurisdizione…
Il punto è che la giurisdizione indiana, nella zona contigua, è legata esclusivamente a determinate fattispecie e cioè quelle che si possono trovare elencate nell’art. 33 della Convenzione di Montego Bay:
Article 33. Contiguous zone
1. In a zone contiguous to its territorial sea, described as the contiguous zone, the coastal State may exercise the control necessary to:
(a) prevent infringement of its customs, fiscal, immigration or sanitary laws and regulations within its territory or territorial sea;
(b) punish infringement of the above laws and regulations committed within its territory or territorial sea.
http://www.admiraltylawguide.com/conven/unclospart2.html
Ora, ti faccio una domanda, questo caso ti pare rientrare in uno dei citati punti dell’articolo?
No, non lo è.
L’India avrebbe diritto di far valere la propria giurisdizione solamente nel caso in cui il caso in questione ricadesse in una delle citate fattispecie.
Questo caso, mi pare evidente, non ricade sotto quelle elencate.
L’articolo fa comunque intendere che l’India è legittimata ad avere giurisdizione nel caso proprio perché la nave si trovava nella zona contigua, questo è quello che ho dedotto leggendolo.
Poi chiariamo, la cosa (forse non hai letto), l’ha sostenuta anche un funzionario indiano dell’avvocatura di Stato (quello che ho già citato sopra, Harin Ravel additional general solicitor).
Non l’ha detto La Russa o “Il Giornale” o qualche altro incompetente a caso.
Quindi io un paio di dubbi me li farei venire (se proprio non ti bastano le osservazioni che ho fatto).
Premesso che i dubbi che esponi mi sembrano anche plausibili, tuttavia mi pare che il caso potrebbe rientrare nel punto a) alle seguenti condizioni:
1. per territorio indiano si intenda il peschereccio (e tale deve intendersi, come si evince dal post)
2. se tra le “sanitary laws” rientri il fatto che uno venga ucciso (e questo non lo posso sapere, ma forse nemmeno tu?).
Eh, non c’è dubbio che essere uccisi sia qualcosa che fa male alla salute :-) Dubito però che “sanitary laws” possa essere interpretato in modo tanto esteso…
Grazie del contributo e dei preziosi link. Senz’altro Miavaldi ti risponderà appena potrà collegarsi. Non mi sembra però che la sua conclusione sia così unilaterale, riguardo a tutta la faccenda parla esplicitamente (più estesamente nel suo articolo linkato) di ambiguità giuridiche e scrive che in base alle convenzioni internazionali potrebbero avere ragione tanto l’Italia quanto l’India.
A me la sua conclusione *fattuale* sembra corretta: ripetendo a ogni pie’ sospinto (anche dopo le perizie) che l’Enrica Lexie era in acque internazionali, i media italiani hanno semplificato la faccenda e fatto cattivo giornalismo, perché la zona contigua non è semplicemente acque internazionali, esiste perché si è riconosciuto che uno stato debba avere una “fascia di protezione” che sfumi il confine tra acque territoriali e internazionali, fascia dove può tutelare i propri interessi e agire per prevenire reati. Poi, come giustamente dici tu, è una giurisdizione limitata (si parla di contrabbando, evasione fiscale, violazione delle leggi sanitarie etc.) e la legge indiana prevede comunque che un reato contro indiani vada giudicato in India *a prescindere*… Però io faccio notare una cosa, la evidenzio perché la ritengo importante:
se degli italiani fossero stati uccisi da militari indiani nella *nostra* zona contigua (che se non sbaglio resta da fissare in via definitiva), i nostri politici e i giornali di destra (e non solo quelli) avrebbero fatto il FINIMONDO per poter processare in Italia i “baluba”.
L’ambiguità giuridica, a mio avviso, risiede maggiormente nella citata SUA Convention piuttosto che nella questione riguardante la posizione della nave nella zona contigua e sul concetto della stessa, piuttosto chiaro.
Sotto quel punto di vista, avendo l’India ratificato il trattato, dovrebbe attenersi a quanto stabilito dallo stesso, indipendentemente da quanto stabilito dal proprio diritto nazionale e lì ha ben poco margine di manovra (ovvio che la cosa porterebbe ad una perdita del valore dei trattati se tutti potessero disattenderli quando fa loro comodo).
Infatti, come ho scritto prima, hanno “accantonato” la questione legata alla posizione della nave puntando a far valere il loro diritto su altre basi (e cioè su quello di cui hai scritto anche tu, reato contro indiani va giudicato in India e forte presa di posizione del governo su questo punto, per limitare gli attriti con il Kerala e azzittire eventuali opinioni interne discordanti –come quella di Harin Ravel-).
Quindi per me, ambedue gli Stati si sono comportati in maniera alquanto equivoca su quel punto, cercando ognuno di portare l’acqua al suo mulino.
Poi certo, la disciplina riguardante il diritto internazionale marittimo è in continua evoluzione e si complica sempre con elementi nuovi, riconosciuti magari da certi Stati e disconosciuti da altri (a titolo d’esempio potrei citare la questione del mare “presenziale”).
Tornando alla zona contigua, la dottrina sull’esercizio dei poteri di vigilanza doganale, sanitaria e di immigrazione in una zona appunto contigua venne già recepita nell’art. 24 della Convezione di Ginevra del 1958 e poi nella già citata Convenzione di Montego Bay.
Quindi è un concetto radicato nella consuetudine prima e nella normativa internazionale poi, restando però da sempre legato a quelle fattispecie elencate. La distanza delle 24 miglia è fissata dalla Convenzione (bada che il limite delle 12 miglia del mare territoriale non viene messo in discussione). Ci può essere una certa elasticità nell’estenderlo ulteriormente, incontrando però un limite funzionale e non prettamente spaziale, ritenendo che lo Stato possa fare tutto ciò (e solo ciò) che è necessario per prevenire e reprimere condotte illecite doganali/sanitarie/etc. in contatto tra costa e territorio dello Stato costiero. È comunque una questione alquanto delicata, la cosa però rende chiaro come la giurisdizione nella zona contigua incontri evidenti limiti riconosciuti da Stati e trattati internazionali da sempre, quindi la pretesa indiana di trattarla come se fosse mare territoriale non è debole, di più (cosa di cui anche loro sono consapevoli, infatti hanno mollato il colpo spostandosi su altro).
Quello che è certo è la strumentalizzazione da parte dei media italiani, che hanno invece dato per scontata la ragione italiana esclusivamente per spirito nazionalista.
Concordo poi assolutamente quando dici che le trombe avrebbero suonato in maniera diversa a parti invertite, di sicuro ci sarebbe stato un finimondo giornalistico in un caso simile, costellato da rigurgiti nazionalisti ben peggiori di quanto visto ora. Ho visioni di folle armate di fiaccole e forconi unite nell’urlo di “dagli all’indiano”.
Preciso in ultimo che il mio voleva essere solo un appunto riguardante la questione legata alla zona contigua e portarvi a conoscenza anche dell’opinione discorde del funzionario dell’avvocatura di stato indiana.
Per il resto concordo con la vostra visione sul come la vicenda è stata trattata barbaramente dai media italiani.
Segnalo un articolo tecnico che mi ha chiarito molte cose: http://djilp.org/1816/revisiting-jurisdiction-over-the-enrica-lexie-incident/
Sembra incredibile ma la giurisdizione potrebbe essere… di chi arriva per primo. Perciò la questione diventa semmai una questione di immunità ma questo solleva problemi ancora più grossi perché vuol dire che insieme alla privatizzazione di fatto dell’esercito si arriverebbe addirittura all’immunità dei soldati usati come mercenari da flotte commerciali private.
Dietro questa storia si gioca forse una partita più grande di quel sembra.
Grazie maurovanetti, volevo segnalare anch’io lo stesso articolo.
Come si nota da tutte le diverse fonti la questione della giurisdizione non è affatto semplice.
Per quanto possa capirne io leggendo gli articoli ed approfondendo sulle varie fonti allo stato attuale sembra che “entrambi” gli stati (Italiano ed Indiano) abbiano diritto a processare Girone e Latorre.
Un buon riassunto di tutte queste posizioni secondo me è anche sulla versione inglese di wikipedia:
http://en.wikipedia.org/wiki/2012_Italian_shooting_in_the_Arabian_Sea#Legal_jurisdiction
Articolo interessante, che si concentra appunto sulla SUA Convention, dove è sicuramente riscontrabile la maggiore ambiguità.
Tra l’altro questo commento l’ho già scritto tre volte nel corso della giornata ma il server del sito mi odia e non me lo pubblica.
Se può consolarti, oggi il server odia tutti, perché lo costringiamo al superlavoro :-)
Eheh lo immaginavo :)
Volevo chiedervi una cosa, avete mai pensato d’aprire un forum di discussione online?
A che pro? Replicheremmo lo spazio che abbiamo a disposizione qui, senza il valore che ha farlo qui, dove negli anni si è consolidato un modo di discutere che in tutta onestà fatico a ritrovare in altri blog apparentemente simili.
Sì, vero, sono giuste osservazioni.
La domanda è nata solo perché sono stato colto da un momento di confusione per via dell’incredibile mole di commenti, che mi ha disorientato per un attimo!
Ero rimasto intorno alla cinquantina di messaggi all’ultima visita e mi son ritrovato ad averne un centinaio in più da leggere: non sapevo più dove girarmi!
Mi abituerò :-P
Non so chi sei ma 6 in gamba!
Prova a mandare tutto qui: ambasciata.newdelhi@esteri.it
A Taranto Massimiliano Latorre è noto per la sua vicinanza politica all’ex sindaco fascistoide Giancarlo Cito, oggi detenuto per corruzione. Fu candidato nella sua lista nel 2007: http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2012/20-febbraio-2012/latorre-amico-cito-sue-impreseun-ragazzo-d-oro-me-consigliere-1903358653936.shtml
Anche se non è quello il motivo principale per cui la destra ha preso così a cuore i due marò, pure in questo caso si può ben dire che “tutto si tiene”.
Complimenti a Matteo Miavaldi per l’ottimo post, quel che ci voleva per rispondere in un colpo solo alla montagna di boiate scioviniste con cui ci vogliono sommergere. Forse sarebbe opportuno tradurre questo post in inglese per far vedere agli indiani che non tutti gli italiani hanno bisogno di eroi a buon mercato.
vero. e a conferma la loro amichetta parla di “beduini”. tempo fa, nelle prime ore dopo l’incidente, ho cercato di capire cosa fosse successo e andai a cercare se esisteva una traccia su facebook dei 2 militari… per sapere cosa dicevavno amici e familiari…
nel profilo di uno dei 2 c’era un discorso fascistoide che inneggiava ad una Lega Nord nel Sud.
la strafottenza con cui la destra li ha poi difesi è segno inequivocabile di un’incapacità dell’Italia di percepirsi come nazione equilibrata.
A margine, ma nemmeno troppo, un mio semplicissimo esercizio di ricerca su Wikipedia dei dati ONU sulle violenze sessuali. Mentre ogni giorno arriva chissà perché notizia di un nuovo stupro in India, guarda caso.
http://soulfood.blogspot.it/2013/01/natale-in-india.html
In Italia si stupra più del quadruplo che in India. Qualcuno doveva pur dirlo, e tu l’hai detto. Grazie.
So che questa cosa è già stata detta su Twitter, ma visto che lì tutto dopo un po’ sparisce, è meglio ribadirla anche qui. I dati che citi si riferiscono alle denunce di stupro riportate alle forze dell’ordine. Denunce che, inutile dirlo, dipendono dal sistema giuridico di un paese, dalla fiducia che le donne hanno nei confronti delle forze dell’ordine e via dicendo. Dire che in Italia si stupra di più che in India è sbagliato. Quei dati dimostrano semplicemente che in Italia si denuncia di più che in India.
Il rilievo è eticamente e metodologicamente sacrosanto.
Facciamo allora un passo indietro e riformuliamo senza statistiche: è alquanto sospetto che i media italiani, che hanno una visuale ristrettissima e copertura internazionale ridicola e operano in un paese dove gli stupri abbondano e c’è un femminicidio al giorno, da un dì all’altro (e non un dì qualsiasi, ma quello del ritorno dei marò in Italia per Natale) si indignino e si straccino le vesti sugli stupri che avvengono in India, fenomeno che dimenticheranno in fretta e furia quando la contingenza non renderà più necessario denunciarlo strumentalmente.
Certo, è chiaro. La violenza contro le donne è uno strumento nelle mani di chi la compie, ma può essere usata anche in altri modi. Questo è uno.
esatto. anche senza statistiche (facciamo finta che non le abbia citate), la cosa resta sospetta.
da un giorno all’altro, e *che* giorno, il problema degli stupri in india è notizia da prima pagina.
@ Wu Ming 1 @ Puma
non credo che si possa stabilire su basi razionali una relazione strumentale tra l’esigenza di tenere il punto a difesa dei marò e le proteste per lo stupro di New Dehli.
Dire che questa risonanza è avvenuta solo in Italia non è verissimo. Infatti oggi il Wall Street Journal riportava i dati degli stupri oggi in prima pagina e nella pagina sull’Asia ha addirittura 2 titoli sugli stupri e una “rape map”. http://blogs.wsj.com/indiarealtime/2013/01/03/a-rape-map-of-india/
Piuttosto, secondo me, quello che accomuna i due casi è l’approccio razzista con cui i media italiani trattano entrambe le vicende.
Avanti un altro: http://www.repubblica.it/esteri/2013/01/06/news/violenze_in_india_in_un_distretto_obbligo_di_soprabito_per_le_ragazze-49980289/
E’ la stessa ONU a dire che i suoi dati sulla violenza contro le donne danno solo informazioni limitate sul fenomeno.
post “aggiustato”
http://soulfood.blogspot.it/2013/01/natale-in-india.html
Verissimo, un giornalista con una solida etica dovrebbe assolutamente tacere un caso come quello del 16 dicembre a New Dheli (http://en.wikipedia.org/wiki/2012_Delhi_gang_rape_case) che per altro non ha avuto nemmeno l’onore di una traduzione italiana su wikipedia, e limitarsi a considerazioni puramente statystiche, per rispetto alla querelle locale che sta avvenendo in questo preciso momento tra fascistoidi e comunistoidi locali.
Mi sa che il corto-cicuito mentale sta mandando tutto OT
Finalmente sono riuscito a leggere il vostro post. La domanda che continuo a pormi è sempre la stessa: in questo paese, chiunque abbia idea di fare un lavoro per bene è estromesso dal giro di quelli che lo potrebbero fare su testate di livello nazionale (un inviato in Asia su Repubblica, per esempio), e va a finire che lo fa per un importante sito straniero. Un ragionamento in perfetto stile neoliberista imporrebbe una riflessione: se i giornali scrivono un sacco di inesattezze, sarà mica per quello che nessuno (o quasi) li legge in questo paese? Un po’ di semplice razionalità economica li farebbe lasciare a casa, ma qui si sa, si è sempre economici e razionali solo quando si devono licenziare gli operai, non quando ci si chiede perché l’industria culturale di questo paese fa acqua.
In ogni caso grazie wuminghi, fino ad ora di questa storia non ci avevo capito molto, e non avevo avuto il tempo di capire che diavolo succedesse. Adesso spargo, ma mi sembra (dalla difficoltà a pervenire qui) che non ce ne sia un gran bisogno. :)
“Un ragionamento in perfetto stile neoliberista … li farebbe lasciare a casa”
Bè, non proprio. In perfettto stile neoliberista, quello che conta non sono i lettori, ma i guadagni, che per i grandi quotidiani nazionali dipendono dalle vendite per un 20-30% (ho dati un po’ vecchi, forse ora anche meno), mentre più del 50% viene dalla pubblicità. Quindi, in perfetto stile neoliberista, non devi assumere un giornalista che ti fa guadagnare lettori, ma uno che ti fa guadagnare pubblicità. E la scelta di fare pubblicità sul giornale x piuttosto che su un giornale y non è detto che dipenda dal rapporto costo/lettori, molto spesso l’azienda può trovare più importante sostenere un giornale che contribuisce a creare il clima più favorevole a chi compra lo spazio pubblicitario. Quindi, ragionando in perfetto stile neoliberista, i direttori di giornale fanno la scelta migliore.
si cmq Matteo lavora con China Files (www.china-files.com) che non è un’agenzia straniera, ma tutta italiana (e sud americana) composta da italiani, cinesi e sudamericani in Cina, India, Giappone e altri postacci asiatici. fyi. Dopodiché noi sta ricostruzione sono mesi che la proponiam e al mainstream non interessa, come tante altre cose che poi noi piazziamo uguale sul sito. ciao :-)
Ma sai, la vendita degli spazi pubblicitari è fatta a un pubblico pagante di imprenditori che vuole la propria pubblicità esposta a un buon numero di lettori (la pubblicità dei giornali a bassa tiratura costa pochino, in termini pubblicitari). In Italia il clima lo fa la tv, i giornali creano il clima solo per chi li legge, una sparuta minoranza, rispetto alla popolazione italiana totale. In altri paesi il giornale è davvero fonte di notizie, e infatti viene acquistato. Qui è un atto di fede, e infatti non se lo compra nessuno. A mio avviso, proprio per la pubblicità, se i giornali facessero notizia e non politicassero troppo, venderebbero molto di più. Quando Repubblica lo fa (rare volte ormai da anni) le tirature crescono. Poi che i direttori percepiscano altro, forse è dovuto alla risicata capacità di guardare l’orizzonte, virtù miope dell’italica gentaglia.
Per finire, un aneddoto: al festival di Internazionale la differenza fra giornalisti stranieri e italiani era spiazzante: i primi si presentavano come professionisti appassionati, disposti a raccontare il loro mestiere e i limiti che questo pone, i secondi si autopercepivano come rappresentanti divini della verità, creduloni di twitter, fanfaroni simili al Marchese del Grillo. Siamo passati per dei tonti ancora una volta, con Randall che chiede a un giornalista italiano se è sicuro che qualcuno legga i suoi articoli. Questo forse è percepito anche da chi come me li legge, ma più per lavoro che per gioia di informarsi: tanto è vero che mi tocca leggere qui la storia dei due marò. :(
@simone.pieranni
Ma infatti va a finire che mainstream leggo , vedo e sento un sacco di boiate e qui, che è diventato un punto di approfondimento incredibile, anche dal punto di vista politico, leggo un articolo dettagliato e ben scritto.
A me piacerebbe che Matteo fosse cercato da tutti i giornali, che divenisse l’osservatore asiatico per il tg1, che la Rai cercasse di prenderselo a ogni costo.
Invece gli inviati del tg1 somigliano tutti a Antonio Caprarica, con le sue notizie – importantissime – sui cappellini della regina d’Inghilterra, sulle nozze reali o su altre amenità. E a me tocca fare la fila sul server dei wuminghi per capir qualcosa sui marò.
Quanto mi sta sulle balle Caprarica, con quell’accento insopportabile e lo stipendio che prende, invece che per informare, per diffondere una visione caricaturale e aneddotica dell’Inghilterra.
E poi vado in libreria e vedo la sua faccia odiosissima che occhieggia da un libro, questo: http://www.inmondadori.it/Ci-vorrebbe-Thatcher-Dalla-Antonio-Caprarica/eai978887339730/
“Ci vorrebbe una Thatcher. Dalla Lady di Ferro al governo dei tecnici: le ricette anticrisi che potrebbero salvare l’Italia”
E ancora una volta, tutto si tiene. Bloody Tory scum!
Rimosso commento col quale ero d’accordo al 1000% ma che avrebbe fornito a Caprarica appigli per querelarci :-)
Repetita iuvant: cercate di essere radicali nei giudizi in modo inattaccabile.
Uff, wm1 mi bacchetta sulle dita. ;) Ok, sarò più bravo, anzi braverrimo.
Molto interessante. Sbaglio o tra l’altro questi imprenditori sono poi quelli che pretendono di dettare l’agenda politica? A loro non importa di stare vendendo un prodotto visibilmente fallimentare (es. tipici: Tav, privatizzazioni, Lega), l’importante è che la loro grancassa sia battuta costantemente. Ci perdono dal punto di vista strettamente imprenditoriale, ma quello che interessa loro è il controllo della famosa agenda. Lo butto lì un po’ fumoso, lo so…
Lo stato pietoso della nostra diplomazia è da imputarsi alla nostra abitudine, di lunga data, di NON lavare i panni sporchi in casa, tradizione che ci viene tramandata sin dai tempi del colonialismo e delle stragi fasciste. Siamo i maestri del depistaggio e dell’insabbiamento e poi ci lamentiamo se riceviamo lo stesso trattamento dagli USA.
Non dimentichiamo poi da dove vengono i cosiddetti “pirati somali”. A sentire i nostri media sembra di avere a che fare con Barbanera e capitan Uncino. Invece i pirati nascono come reazione dei pescatori locali alla pesca illegale e allo scarico criminale di rifiuti tossici nelle acque somale, da parte di Paesi europei e asiatici, fra cui l’Italia. Chissà che bel giro d’affari tra istitituzioni, criminalità organizzata e potentati economici c’è dietro questa porcheria, torna in mente Ilaria Alpi.
http://wardheernews.com/Articles_09/Jan/Waldo/08_The_two_piracies_in_Somalia.html
-Siamo fuori argomento (il post è eccellente, si deve dire) ma il problema dello stupro in India, secondo me, è molto più complesso da quello che dicono le statistiche. In India, la stragande maggioranza dei stupri non sarebbero dichiarati, perché sennò la donna aggredita rischierebbe danni ulteriori, tipo quelli che subivano le donne italiane alcuni decenni fa o quello che subiscono le donne in tanti paesi musulmani : essere trattata da putana (se lo sarà cercato, ecc;), non trovare più mariti se non è ancora sposata, ecc. Il statuto tradizionale della donna indiana nelle zone rurale è ancora molto arretrato, e se le donne indiane si stano liberando sempre di più in città, questo fenomeno produce effetti di backlash come quello dello stupro da cui si è molto parlato, (ed è un bene), ma il fatto che ci siano stati queste enorme manifestazioni fa vedere che le cose stano cambiando. Bisogna anche notare che, secondo quello che ho letto e sentito, il statuto della donna è molto più egualitario nel sud de l’India (nel Kerala, per esempio!).
– Leggendo quest’ottimo post, mi è venuto in mento esattamente quello che dice il primo commento (il paragone con il delirio sciovinista sul caso Battisti in Brasile). Il sciovinismo delle vecchie “patrie” prossime alla rottamazione (tipo Francia o Italia) è come il colpo di zampe degli animali ferriti a morte: abbastanza pericoloso.
è proprio vero. la cosa che più mi ha colpito è la mobilitazione di così tanti donne (e uomini!) contro la violenza. la ricchezza fa franare o mette in luce equilibri già resi precari dall’emancipazione delle donne… ma una reazione collettiva come questa fa sperare che ad essere incinta non sia sempre e solo la madre dell’idiota.
mobilitazione collettiva che in Italia, con una violenza femminicida ben più importante -o semplicemente evidente- non vediamo, da parte della “destra” italiana. l’abbiamo vista attenta a proteggere le donne solo quando si trattava di nipoti di Mubarak.
prossimamente scriverò anche di questo, nel frattempo: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/31/stupro-di-gruppo-di-delhi/458764/ con link interno verso China Files.
Che dire della questione “elezioni a Kerala” e “caso Marò usato dai partiti indiani contro Sonia Gandhi”?
è realistica o è fasulla?
Sicuramente il BJP e altri partiti di destra, come lo Shiv Sena, fanno da sempre campagna contro Sonia Gandhi per le sue origini italiane. Ma non c’è niente di sensazionale in questo: attaccano anche i migliori attori di Bollywood perché hanno cognomi musulmani. Fa parte della loro retorica che è assimilabile ai movimenti identitari (vedi Lega nord) che sono sorti nello stesso periodo in ogni parte del mondo. E’ un gioco che comincia a stancare molti in India, e a lungo andare non paga. Mi sono occupato in parte di questo problema anni fa in un articolo su Carmilla, in un periodo in cui vivevo a Mumbai: http://www.carmillaonline.com/archives/2010/02/003357.html#003357
Per il resto ho appena iniziato a leggere l’articolo di Miavaldi. Mi pare stupendo e mi ripropongo di commentare quando avrò finito la lettura. Lancio subito l’idea, se non l’ha fatto nessuno ancora, di trovare qualcuno disposto a tradurlo in inglese (e meglio sarebbe in malayalam, la lingua del Kerala) perché possa circolare in India.
Grazie a Matteo Miavaldi si può capire qualcosa di più.
Rimane però un’incognita notevole, il motivo per cui la barca dei pescatori indiani si doveva avvicinare alla petroliera italiana (i marò avranno segnalato una sorta di alt prima di sparare). Nè si può intravvedere perché la petroliera avrebbe rincorso i pescatori , per sparare loro, senza nessun motivo.
Ehm… E’ già il quarto post di Giap più “socializzato” di sempre (vedi colonna destra).
Ehm… visto che siete pudichi e non lo fate voi, se mi permettete questo qui lo copio io (vecchio discorso in sospeso)
http://identi.ca/notice/98801624
Se va avanti così vi tocca ospitarlo anche a voi, l’unto va ovunque ci sia share, attenzione! ;)
Plausibilmente, entro mezzanotte questo post avrà ricevuto tra le 60.000 e le 70.000 visite (non semplici “contatti”: proprio 70.000 IP diversi).
C’è una riflessione da fare sulle lacune, le mancanze, i vuoti da riempire, le supplenze che tocca svolgere…
Già, da quando l’ho condiviso è stato ripreso da decine di persone, anche abbastanza “moderate” e i toni erano tutti del tipo “oh, finalmente un po’ di chiarezza sul tema”.
già, è srechato pure il sito di China-Files – nel nostro piccolo e siamo pure in vacanza fino al 7…- in generale, si tratta di un problema vasto (come mai tutta sta gente qui e poi chiudono in due mesi i giornali, ad esempio) e poi c’è un sotto insieme, che chi si occupa d’Asia ha già riscontrato e riscontra ancora oggi su Cina, Giappone ecc. Si sa molto poco di questi posti e l’informazione tende a presentarli – quasi sempre – usando l’immaginario che ci si aspetta stando dall’altra parte, ovvero in Europa, in Italia nello specifico. Quindi un po’ terzo mondo, un po’ bestie, un po’ esotici, strani, a seconda…. è sicuramente una riflessione da fare, su tutta l’informazione e ancora di più quella sugli “esteri”.
Ho seguito la vicenda attraverso il blog di Amedeo Ricucci, spesso inviato in Asia, http://www.amedeoricucci.it/; ma questo post, come al solito “enciclopedico” e ricco di fonti mi lascia due domande aperte:
– Per conto di chi Di Stefano ha condotto la sua perizia?
– L’esercito italiano svolge il ruolo di polizia a pagamento e per legge al pari dei vigilantes di periferia!??! Ecco questa sarebbe una delle prime leggi da abrogare ai primi di marzo.
Mi sfugge la corsa all’abrogazione e l’indignazione del tuo secondo punto.
L’ONU ha approvato una risoluzione per il contrasto alla pirateria, chiedendo l’attuazione di urgenti misure per limitare e contenere il fenomeno.
Indipendentemente da questa vicenda, il problema della pirateria è grave e va contrastato in maniera decisa, ed è molto diffuso nel bacino somalo ed indiano.
Una delle misure anti-pirateria promosse consiste appunto l’avere a bordo di navi che percorrono tratte problematiche, personale armato addestrato, contractors o soldati delle forze armate.
È una pratica comune, utilizzata non solo dall’Italia ma anche da altri Stati dell’Unione Europea (Italia, Francia e Belgio consentono l’uso di militari; UK, Germania e Spagna invece solo contractors).
Il ricorso a questi nuclei di protezione sembra funzionare da deterrente, stando almeno alle informazioni reperibili al momento e la riduzione di dirottamenti ed assalti.
In pratica rischiano la vita e sono pagati per difendere le petroliere private di una multinazionale?!? Mercenari.
La causa dell’indignazione è molto semplice. I soldati che proteggono queste petroliere dai pirati sono messi a tutela di interessi privati di certe aziende e poi quando succede il PATATRAC (onomatopea per danno,guaio ecc..) vengono chiamati a sistemare le cose i lavoratori e i cittadini via erario pubblico. Dove l’ho già sentita questa storia??
Quello che so sui militari di scorta dei Paesi Bassi è che quando rientrano dalle missioni li spediscono in decompressione in Grecia per un mese, assistiti da schiere di psicologi, proprio per le crisi di coscienza che gli vengono durante il servizio; loro stanno lì a scortare le petroliere e dove sta il mondo civile quando i rifiuti tossici e i megapescherecci fanno quello che gli pare nelle acque di Paesi già disastrati? insomma, alla fine i poveri soldati devono dar ragione ai pirati, e questo naturalmente non si può. Da cui la camera di decompressione.
Il perché dell’indignazione?
Prego?
Fammi capire, quando si diceva ‘servire la patria’, con tutta la vuota retorica del caso, si intendeva quindi fare da scorta alle petroliere? Ah, davvero? Quindi, mentre si smantella il welfare, impegniamo un po’ di risorse militari per garantire profitti più certi al capitale? Con soldi pubblici? Ah, già, dimenticavo, in fondo la nuova frontiera della sussunzione è proprio la leva fiscale…
Personalmente avrei forse optato per una soluzione similare a quella adottata da UK, Germania e Spagna: che comporta l’impiego di contractors e non di personale militare.
Bisogna però cercare di farsi un’idea del quadro relativo alla lotta alla pirateria.
Per esempio, in ambito europeo è ormai in corso da anni la EU-NAVFOR o “Operazione Atalanta”:
http://en.wikipedia.org/wiki/Navfor
http://www.eunavfor.eu/
Si tratta di un’operazione militare congiunta tra le forze europee per contrastare la pirateria.
Prevede l’impiego di navi militari, aerei e personale al fine di contrastare il fenomeno.
Vengono impiegate le risorse militari in operazioni di pattugliamento di tratti marittimi, scorta di vascelli (vascelli privati, quindi anche le già citate petroliere per esempio) e in generale svolgono un ruolo di prevenzione/contrasto al fenomeno.
Oltre che a livello europeo, esiste un’altra operazione dal sapore più internazionale, NATO e in collaborazione con paesi anche non appartenenti (Cina, Russia, India, etc.):
http://en.wikipedia.org/wiki/Operation_Ocean_Shield
http://www.manw.nato.int/page_operation_ocean_shield.aspx
Stesse funzionalità ed impieghi di quello europeio.
Ambedue le operazioni prevedono, in visione del contrasto alla pirateria, l’utilizzo di VPD (Vessel Protection Detachment, distaccamenti di personale armato a bordo delle navi).
Ora, il problema mi pare sorga appunto da questi militari presenti a bordo.
Presenza però giustificata in ottica di collaborazione internazionale e in ottemperanza agli accordi presi con le altre nazioni e svolgono un incarico parallelo all’impiego di navi militari per la protezione delle tratte marittime commerciali (con operazioni di scorta e pattugliamento mi pare accettabile anche la presenza di militari).
Ora, devo dedurre che sei contrario anche all’impiego di navi militari per la protezione di vascelli civili?
Navi che fanno “da scorta alla petroliere”?
Quando abbiamo la collaborazione del mondo intero (NATO, Cina, Russia, Sud Corea, Nord Corea, India, Australia) mi sembra francamente assurdo sconvolgersi a questo modo.
La scelta di personale militare italiano a bordo di navi commerciali, inscritta in questo contesto, assume un significato differente a mio avviso.
Ritengo che l’indignazione sia un sentimento fin troppo forte, alla luce di tutto questo, poiché alla fine la scelta rientra in un contesto di collaborazione internazionale per contrastare un fenomeno grave.
Forse avrei dovuto approfondire il discorso al mio primo post, proprio per evitare incomprensioni.
Poi sia chiaro, ognuno per me è libero di pensarla come vuole se le basi del suo pensiero sono solide e ragionate.
Saluti.
Mi dispiace ma lo spostare la conversazione su un piano internazionale non ti aiuta molto.
Non è che “se lo fanno tutti” deve essere giusto. Per dire, anche l’ UE è figlia di accordi internazionali tra gli stati membri ma ciò non toglie che sia poco democratica.
Eviterei poi di parlare di protezione di civili commentando un articolo che parla dell’uccisione di due pescatori.
Se questa la chiami protezione…
Mi permetto di fare una domanda che, mi pare, nessuno sulla stampa italica o indiana (che non seguo, lo ammetto) si sia posto.
Ovvero: “Ma i due Marò hanno seguito le ‘regole di ingaggio’?”
Se la risposta è “si”, per me sono innocenti anche se avessero sparato sul pescereccio. E a pagare allora dovrebbe essere (come sembra aver già fatto) lo Stato italiano.
Domanda accessoria e utile è, sempre secondo me, è “le regole d’ingaggio dei due Marò erano sostanzialmente identiche a quelle date a analoghi distaccamenti di militari su navi commerciali battenti bandiere europee”?
Se la risposta fosse “si” il processo potrebbe diventare una “patata bollente” per l’India, perché al posto dei nostri Marò gli altri stati europei potrebbero vedere i loro soldati che rischierebbero analogo processo anche seguendo le regole d’ingaggio
Grazie dell’attenzione e buon 2013
@Norbert,
La regola di ingaggio, che ben ricordi, non si applica a civili disarmati. Questi al massimo avevano le canne da pesca (dubito, magari delle reti). Sparare a un disarmato rientra comunque in reati processabili anche in zone di guerra, come insegnano una serie di processi già celebrati in moltissime occasioni dalla seconda guerra mondiale ad oggi. I due marò hanno sparato mi sembra, e nessuno ha affermato che i due malcapitati fossero armati. Quindi le regole di ingaggio contro uno senza un’arma semplicemente non ci sono. E’ come fare a pugni con piccione, piùo meno. Lui non ha le braccia e noi sì, sta a vedere chi vince. :)
Questo sarà appurato nel processo, si spera, visto che ci sono almeno due versioni opposte e incompatibili: quella dei marò e quella dei pescatori della St. Antony, che poi si ramificano e si complicano perché ci sono sotto-versioni, ipotesi, illazioni, interferenze.
Le regole d’ingaggio, da quel che ho letto, nel caso di imbarcazione sospetta che avanza prevedono segnalazioni – spari di avvertimento – spari in acqua – spari sull’imbarcazione come extrema ratio. Tutto sta a capire cosa sia successo dal momento in cui l’Enrica Lexie ha avvistato il peschereccio al momento in cui gli spari hanno raggiunto quest’ultimo.
Giorgio, attingendo ai miei (remoti) ricordi di naja, a un militare di sentinella si poteva avvicinare, seguendo specifiche procedure, solo il suo *immediato* superiore (graduato di muta o comandante della guardia, ai tempi miei).
Chiunque altro, civile o militare, compreso il generale capo di stato maggiore, avrebbe scatenato prima una reazione verbale (“procedura irregolare, girare al largo!”), poi un colpo in aria e poi un colpo addosso.
Sono ragionevolmente certo sia così anche per veicoli, velivoli e natanti si avvicinino ad uno “spazio protetto”. Gli si intima di allontanarsi, gli si spara vicino, gli si spara addosso.
Se non vuoi farti sparare, giri al largo.
Se non giri al largo, ti si spara.
Si, ma di guardia si stava dentro uno spazio che era stato sottratto permanentemente alla collettività per cederlo all’esercito. Uno spazio delimitato, recintato, sempre uguale, con intorno un sacco di avvisi che dicevano che lì non si poteva entrare: nessuna di queste condizioni si può ritrovare in mare, quindi mi pare difficile applicare lo stesso ragionamento.
@Norbert
Sembra che tu ti sia dimenticato che le navi sono oggetti che si muovono sull’acqua. Evidentemente non è pensabile che ogni volta che due navi passano una vicina all’altra si sparino addosso solo perché si trovano a meno di… 3000 km dalle coste somale!
Tra l’altro non mi risulta che la nave italiana fosse ferma e circondata da cartelli “Sciò” come il deposito di Zio Paperone: si muovevano entrambe, quindi, se tanto mi dà tanto, i pescatori indiani nella tua logica avrebbero avuto il medesimo diritto a sparare.
Quali fossero le “regole di ingaggio”, infatti, sono dei gran cazzi della Marina italiana, non certo questione di interesse della procura indiana. Evidentemente cosa abbiano stabilito come regole d’ingaggio in un remoto ufficio dell’esotica città di Roma non è affare che rivesta molto interesse dall’altra parte del globo. Se vado a fare il bagno al largo di Ponza e un balestriere cileno mi tira un dardo in una chiappa l’ultima delle mie curiosità è quali fossero le regole d’ingaggio stabilite dalla gilda dei balestrieri di Santiago.
WM1, sono completamente d’accordo con te che scrivi: ” Tutto sta a capire cosa sia successo dal momento in cui l’Enrica Lexie ha avvistato il peschereccio al momento in cui gli spari hanno raggiunto quest’ultimo”
E, giustamente, avete sbertucciato i beceri che, acriticamente, berciano “indiani selvaggi sottosviluppati! marò eroi!”
Ma la mia percezione è che ci sia *anche* chi, altrettanto acriticamente, bercia”marò assassini! bravi indiani!” senza chiedersi cosa sia successo e, cosa anche importante, chi abbia il diritto di fare un’inchiesta sull’accaduto
Ecco perché ho sottolineato che, a parte capire chi abbia il diritto di fare l’inchiesta, bisogna capire cosa è successo, se ci sia stata una violazione delle regole d’ingaggio
grazie dell’attenzione e buona serata
Ok, ma la guardia è segnalata, a naja. La caserma è segnalata. La regola di ingaggio non può valere se non hai una caserma alle spalle.
La segnaletica intorno alle caserme serve a quello, mica a far colore.
Una nave, se non è militare, non è una nave a cui devi fare attenzione perché sennò ti sparano.
Altrimenti ci sarebbero sparatorie continue vicino ai porti, dove le navi si passano molto vicine.
Suppongo che una nave non sia paragonabile alla caserma. Poi se i marò hanno sparato o meno giustamente, questo spetta ai giudici capirlo.
Ma a quanto si legge dalle perizie, hanno sparato. A me la cosa delle regole di ingaggio non va giù perché non si sta parlando di persone che si sono avvicinate a una nave militare, ma mercantile.
In Italia, se un proprietario di una attività commerciale spara a un ladro (un ladro, non un passante), se questo è disarmato rischia comunque l’arresto, e se il ladro muore anche l’incarcerazione. La regola di ingaggio vale in zone militari, quella era una barca mercantile. A me sembra ci sia una differenza. Ovvio, non conosco per bene le leggi, ma parlare di regole di ingaggio è fuorviante, a mio parere.
@ Giorgio (e, in parte rispondo @robgas69)
Come giustamente fai notare in Italia (ma non solo in Italia) se un ladro disarmato ti entra in casa non gli puoi sparare: devi chiamare la Polizia.
In mare, a 40 km dalla terra più vicina sei da solo.
Immagino (sottolineo immagino) che le autorità indiane avranno diramato (prima dell’incidente, spero) un avviso ai naviganti avvertendo che le navi mercantili in transito nella zona X avevano a bordo contingenti militari che avrebbero considerato atto ostile avvicinarsi a meno di tot (centinaia di) metri dalla nave stessa.
Visto che i Marò (e analoghi su navi di altri paesi) non son stati messi lì in un attacco di machismo neocolonialista degli stati europei ma per combattere la pirateria (e l’aumento dei costi, che si scaricherebbe comunque sui cittadini – consumatori) spero bene che tutti gli stati rivieraschi interessati abbiano informato i rispettivi naviganti
“Visto che i Marò (e analoghi su navi di altri paesi) non son stati messi lì in un attacco di machismo neocolonialista degli stati europei ”
Questo è tutto da dimostrare (e personalemente non ritengo che sia vero)
C’è una cosa che non mi è chiarissima, ma giusto per mia ignoranza. “La Marina Italiana ordina ad Umberto Vitelli, capitano della Enrica Lexie, di non dirigersi verso il porto e di non far scendere a terra i militari italiani. Il capitano – che è un civile e risponde agli ordini dell’armatore, non dell’Esercito – asseconda invece le richieste delle autorità indiane.”
Quindi è stato l’armatore a dare l’ordine? O in assenza di tale, la seconda carica è quella automatica delle autorità indiane? E poi, la questione del capitano civile che non risponde alle richieste militari italiane, è una cosa regolata dal Codice della Navigazione? Perché io, come privato cittadino, sono comunque soggetto alle eventuali richieste di identificazione di un carabiniere (militare).
Hai l’obbligo di rispondere alle richieste di un carabiniere in quanto pubblico ufficiale, non in quanto m ilitare. Ad un membro dell’esercito un civile non è tenuto ad obbedire.
Infatti, proprio per questo principio, agli alpini che sono distaccati nelle città in ausilio alle forze dell’ordine deve essere sempre affiancata una pattuglia di carabinieri, questo perché le loro regole di ingaggio sul suolo italiano prevedono la possibilità di azione civile da parte della polizia militare italiana (i carabinieri). Per lo stesso principio possono essere schierati per l’ordine pubblico. Un caso forse unico in Europa, se non ricordo male.
In questo momento su Twitter rimbalza questa “sentenza” di Oscar Giannino:
Un Paese serio i due #Marò non li rimanderebbe in #India. #nonfacciamogliindiani
Strano concetto di “serietà”. Ma parrebbe il concetto egemone in Italia.
Per tacer dell’hashtag.
Ciao.
Discussione proficua sugli elementi di diritto del caso, grazie @e1ke per le puntualizzazioni utili a inquadrarlo meglio.
E’ bene leggere in controluce gli interessi in gioco, nuove regole e rotte del caravanserraglio navale rappresentato dalle “acque internazionali”, ma rimane IL fatto.
Sono morte due persone e le dinamiche che hanno portato alla loro morte ci raccontano lo stato delle cose.
Perchè una piccola barca di pescatori si trovava a tiro di schioppo da una enorme petroliera?
Avete idea di quanto sia alta l’onda mossa da un mostro del genere?
Ecco la Enrica Lexie http://theaviationist.com/wp-content/uploads/2012/02/enrica_926323f.jpg che, ci viene raccontato, ha dovuto difendersi da un proditorio attacco di pirati che per lo scopo avrebbero usato questo popò di macchina da guerra http://newindianexpress.com/states/kerala/article546487.ece
Ci raccontano che la St. Antony era vista come una minaccia alla quale hanno reagito, sbagliando, ma che ci vuoi fare? Solo chi fa sbaglia, no?
Regole di ingaggio dei marò? In caso di presunto arrembaggio svariati avvertimenti, 3 raffiche intervallate avanti la prua “nemica” e fuoco diretto solo in caso l’azione di attacco prosegua. Questo è quello che possono fare, in teoria.
Se così fosse stato, i 15 colpi che hanno attinto la St. Antony sarebbero stati parte della quarta raffica.
Il chè implica che i pescatori indiani avrebbero ignorato le precedenti tre raffiche e avrebbero continuato la manovra di abbordaggio, magari per salire con ventose lungo le fiancate per poi, alla fin fine, presentarsi disarmati di fronte agli stessi fucili che gli stavano sparando.
Qualsiasi teoria che prenda per buone le ragioni dei marò deve necessariamente partire dal fatto che i pescatori indiani si sono comportati in modo stupido e suicidario. Non si scappa.
Non è plausibile che i pescatori indiani siano privi dell’istinto di sopravvivenza, perchè mai?
Se un pescatore si è fatto ore di mare per entrare in pesca e altrettante ne dovrà fare per tornare a casa, ha gettato le reti, le lenze o le nasse accetta malvolentieri di farsi maciullare gli strumenti che gli danno da vivere dalle eliche di una petroliera che ha deciso di andare dritta perchè così gli piace.
Quindi rimane fermo, a protezione del suo buon diritto a pescare dove lo ha sempre fatto e dei tuoi strumenti di lavoro. E segnala ovviamente la tua presenza, perchè perdere la barca è ancora più seccante che perdere le reti. Inoltre se sei ancorato o stai pescando con reti non hai possibilità di manovra per evitare possibili collisioni, a meno di non sganciarle. Il codice della navigazione prevede che tu debba segnalare questo tuo impedimento alla manovra, proprio per dar modo a chi stà arrivando a possibile collisione di scansarti, dando per scontato che starai fermo.
E’ a una situazione del genere che i marò hanno reagito probabilmente sparando direttamente, forse dopo sbrigativi avvertimenti, forse nemmeno questi.
Gli indiani erano sulla rotta sbagliata, perchè la rotta giusta è per definizione quella delle petroliere.
Che differenza fa allora se le miglia sono 20,5 o 24,1? Se il pesce è a 30 miglia il pescatori vanno a 30 miglia , anche a 100 se serve. I nostri entrano nel golfo della Sirte. I pesci non hanno passaporto.
Lo stato delle cose è che le moderne diligenze imbarcano sbrigativi Pinkerton, ai quali non fa schifo sparacchiare/uccidere a casaccio per ribadire che quando sulla LORO strada/rotta si incrociano un piccolo e un grosso, quello che si deve spostare è il piccolo.
Tutto qui, ed è troppo.
@franti e silvio232
del perché la nave da pesca indiana era li’ e del contesto possibile della risposta brutale italiana una spiegazione ipotetica, nel quadro di un’ipotesi più larga, la da il post precedente (e dello stesso autore) a quello cui si riferivano sopra maurovanetti e iliasbartolini.
secondo questa ipotesi, la nave indiana piena di pescatori addormentati sarebbe stata semplicemente a caccia di pesce, ma i militari italiani l’avrebbero scambiata per un’altra nave, presumibilmente ‘pirata’, che li avrebbe attaccati poco prima di quella.
di qui anche alcune divergenze fra i primi reports dell’incidente: la nave da pesca indiana avrebbe riportato solo quello che l’aveva riguardata ovviamente, mentre i dati nel report italiano sarebbero il risultato di un’interferenza più o meno intenzionale fra dati relativi al primo incidente e dati relativi al secondo.
(tutto questo è dichiaratamente pura speculazione dell’autore del post, ma anche solo come linea guida astratta di a cosa potrebbe assomigliare una versione plausibile degli eventi mi sembra utile)
“One compelling, though highly speculative, version occupying this middle ground is a simple case of mistaken identity. Here, both the Indians and the Italians are telling the truth, though the latter party is only telling half the truth. Under this scenario, we can assume there were two separate incidents. Armed would-be pirates carried out the first at 2:30pm, approximately 33 nautical miles at sea, and were repelled by the Italian guards’ show of force. Then, two-and-a-half hours later, 14 nautical miles off the Indian coast, a vessel full of nine fishermen had gotten quite close to the Enrica Lexie, as part of an apparently common practice where fishermen follow large crafts closely in hopes of catching fish stirred up in the larger ship’s wake. The Italian marines, still on alert from the previous attack, mistook the second vessel for the first and opened fire, killing two innocent men. If this scenario in fact took place, it is not only unacceptable, but it is also the specific reason that international law and practice has so strongly disfavored the presence of guns aboard merchant vessels.” da:
http://djilp.org/1798/armed-maritime-security-and-the-enrica-lexie/
@dzzz
Ciao, mi era sfuggito il reply, leggo ora.
E’ un quadro abbastanza plausibile.
Ma due ore e mezza e 20 miglia nautiche non sono “poco prima”, imho sono altro contesto.
Sono in una petroliera. Alle 2:30pm si avvicina una piccola barca (pirati o pescatori che vogliono sfruttare la scia della nave per pescare, non sappiamo). I marò avvertono con raffiche e questi si allontanano.
Alle 4:30pm circa e 20 miglia circa di distanza altra imbarcazione si trova nelle vicinanze della Lexie, per pescare, si scoprirà dopo. I marò sparano ancora e uccidono.
Ogni volta che una barca si avvicina loro sparano?
Essere vicini = Voler automaticamente arrembare?
Gli “avvisi” canonici sono stati ripetuti anche al secondo incontro o ritenevano alle 4.30pm di aver espletato le procedure 20 miglia prima, con le raffiche delle 2.30pm?
Vedremo la loro linea difensiva al processo.
Quello che resta è che le regole di ingaggio sono regole, si interpretano, non ci nasconde dietro.
Se ti spacci per professionista della sicurezza marina, non puoi prendere per il culo con la storia dei pirati con le barche da pesca.
Barche da pesca non vuol dire niente e barchino NON vuol dire piccola barca.
I pirati usano barchini, cioè (relativamente) piccole barche leggere con motori potenti e carena planante, in grado di raggiungere le alte velocità necessarie all’attacco e allo sganciamento. Naturalmente i barchini possono essere usati anche per andare a pesca.
Ma la St. Antony NON è un barchino, è una barca da pesca a carena dislocante e puo’ navigare solo a “basse” velocità. Grossomodo un nodo per ogni metro di lunghezza al galleggiamento, circa 15 nodi di velocità massima. La velocità di crociera della Lexie dovrebbe essere 14/16 nodi. La St. Antony fatica a star dietro alla Lexie, quando la Lexie viaggia tranquilla.
E’ veramente difficile pensare che gente che in mare ci vive non sappia distinguere da lontano un barchino planante veloce (potenzialmente sospetto) da un lento peschereccio dislocante che non potrebbe rappresentare un problema neanche volendolo con tutto il cuore.
volevo solo chiarire che io sono totalmente d’accordo coi tanti qui che insistono sul fatto che ad ogni modo due militari (di un paese post-colonizzatore di quel mare poi) hanno sparato su due pescatori, e che questa è già in sé un’infamia, a prescindere. tutto il contesto che via via si chiarisce non fa altro ovviamente che aggiungere merda a questa storia, soprattutto per quanto riguarda tutte le parti italiane.
io avevo linkato l’ipotesi dei due incidenti semplicemente perché mi pareva che nessuno l’avesse ancora citata-processata. il tuo reply è un’inizio in questo senso, grazie per lo smontaggio-rimontaggio.
Grazie a Matteo Miavaldi per l’ottimo articolo.
Dopo aver vissuto 5 mesi in India l’aspetto che più ha ferito di questa vicenda non sono solo l’orrore giornalistico e la strumentalizzazione politica. Purtroppo non avrei mai sperato il contrario.
Come segnali nel tuo penultimo paragrafo forte è la miopia o il non voler sentire di moltissimi Italiani. Chi non spende un secondo per approfondire un tema, a farsi una domanda critica su ciò che legge, a descrivere come “beduini” l’altra parte a battutine come “non facciamo gli indiani”.
e1ke giustamente scrive nei commenti “Concordo poi assolutamente quando dici che le trombe avrebbero suonato in maniera diversa a parti invertite”.
La mancanza di “etica della reciprocità” della maggior parte del popolo Italiano è la cosa che più mi ha ferito.
È un principio e valore su cui credo abbiamo bisogno di imparare molto dal popolo Indiano.
In effetti non è per niente scontata la soluzione…
L’Articolo 97 della Convenzione di Montego Bay “Giurisdizione penale in materia di abbordi o di qualunque altro incidente di navigazione” così recita al comma 1:
“In caso di abbordo o di qualunque altro incidente di navigazione nell’alto mare, che implichi la responsabilità penale o disciplinare del comandante della nave o di qualunque altro membro dell’equipaggio, non possono
essere intraprese azioni penali o disciplinari contro tali
persone, se non da parte delle autorità giurisdizionali o
amministrative dello Stato di bandiera o dello Stato di cui
tali persone hanno la cittadinanza.”
Stando alla lettera di tale disposizione ed in base alla “lex personae” la giurisdizione sembrerebbe spettare alle autorità italiane, poiché, se ho ben inteso, gli individui ai quali è imputata la responsabilità penale hanno cittadinanza italiana e sono membri dell’equipaggio di una nave che batte bandiera dello stato italiano. C’è però da rilevare che secondo la dottrina penalistica-internazionalistica italiana(e suppongo non sia di diverso avviso quella indiana):
1) la “lex personae” può riferirsi sia al soggetto attivo che a quello passivo del reato, perché se da un lato “rei pubblicae interest habere bonos subditos”(Bartolo)ovunque questi abbiano commesso il fatto criminoso, dall’altro gli stati hanno interesse a difendere i propri cittadini, ovunque essi ricevano offesa ad un bene giuridico tutelato(in questo caso la vita). Comunque dalla lettera dell’Art. 97 a me pare che la norma di diritto internazionale penale si riferisca solo ai soggetti attivi, non a quelli passivi.
2) Bisogna tenere conto anche della “lex loci”, che applicata al caso di specie si presta a diverse interpretazioni. Nell’individuare il “locus commissi delicti” infatti si può procedere per due strade: o si ritiene che tale locus sia quello dove il soggetto attivo abbia posto in essere la condotta omicida(anche solo un elemento dell’ intero iter criminis), o che sia quello dell’evento naturale, causato dalla condotta, della morte clinica del soggetto passivo. Trovandosi i soggetti attivi e i soggetti passivi su imbarcazioni battenti bandiere di diversi stati l’opzione per l’una o l’altra via porta a conclusioni opposte.
La Corte Suprema ha una bella gatta da pelare…
Mica tanto, che ci sia stato un tentativo di abbordaggio non lo sostiene proprio nessuno, nemmeno gli accusati, quindi quell’articolo non ha nulla a che vedere con il caso in questione
Ma non è che a noi italiani ci rode perchè con il caso Cermis (la funivia fatta cadere da un caccia americano) abbiamo dovuto subire l’impunità dei piloti americani mentre gli indiani non accettano queste regole?
Nel caso del Cermis era molto più semplice. Per un accordo (mi pare a livello NATO, ma potrei sbagliare) l’inchiesta poteva farla la nazione del pilota che aveva provocato l’incidente.
Mi sembra che il gravissimo l’incidente della PAN a Ramstein (Germania) fu investigato dagli italiani in forza di tale accordo.
Nel caso con l’India sembra che non ci sia univocità su quale paese abbia il diritto di procedere con una inchiesta. Forse entrambi, forse no.
Cermis, ma anche tutta la stagione stragista teleguidata da Kissinger & Nixon, e poi Ustica e fino a Calipari (senza http://www.macchianera.net non avremmo saputo assolutamente nulla dalle autorità USA). Ma possiamo andare indietro fino ai generali italiani assassini che fecero massacri in Grecia e che vennero protetti dalle autorità italiane in cambio della libertà per gli stragisti tedeschi sugli Apennini (cfr. l’armadio della vergogna).
C’è sempre una scelta politica nel voler tacere. E questa mascherata della “ragion di stato” è figlia di interessi politici.
L’italia non può certo farsi largo come un bulletto nel consesso mondiale, sia perché non è gli USA, sia perché da molti anni è uno stato pagliaccio, giustamente deriso per il livello dei suoi leader, per il livello di ingerenza delle gerarchie papiste, sia per la pervasività e forza delle organizzazioni criminali nella gestione della cosa pubblica (mafia).
Nel caso indiano sarebbe anche interessante recuperare i giudizi della stampa su Sonia Gandhi. In italia ho persino sentito telegiornali in cui la tiravano in ballo facendola velatamente passare per “traditrice” della patria (siamo in pieno fascismo giornalistico). Chiaramente dal lato indiano la sua origine non-indiana è un grosso problema politico e la costringe alla massima prudenza. Sarebbe interessante scoprire se la farnesina (boniverizzata da millenni: i craxiani sembrano presidiare l’asia dagli anni ’80 senza che nessuno riesca finalmente metterli alla porta) ha compiuto qualche clamoroso ennesimo passo falso in quella direzione.
Grazie a Giap e a Chinafiles per il lavoro e la condivisione, siete davvero preziosi.
Articolo molto molto buono. Aggiungerei che all’indomani dell’assassinio dei “nostri pescatori del Kerala”, i telegiornali italiani davano già a rischio di pena capitale i due militari italiani (ovviamente la nota patemica andava suonata fino ai toni più bassi). Al momento non è stato giustiziato neanche l’unico superstite del commando che il 28 novembre 2008 attaccò Mumbai, uccidendo decine di persone.
Un altro elemento da tener conto in questa vicenda (e fa da contraltare al provincialismo italiota) è l’orgoglio anticoloniale e la forte preparazione politica e culturale di tanti cittadini del Kerala. Io in Kerala ci sono stato solo per due settimane (ho vissuto in India quasi un anno) ma, rispetto a altre zone come Bangalore o Mumbai, colpisce la consapevolezza politica, accresciuta dalla tradizione marxista e da quella cattolica che convivono assieme e hanno come risultato un’alfabetizzazione molto elevata: a Bangalore mi è capitato che qualcuno confondesse l’Italia con la Turchia, ma a Cochi, nel 2008, un risciòwallah, un conducente di risciò, era in grado di commentare le risibili avventure politiche di Berlusconi senza che io dovessi spiegargli niente, anzi. Il paese piccolo piccolo è l’Italia, indiscutibilmente, e questa vicenda, mal gestita, mal orchestrata, lo dimostra ampiamente.
Seguo con interesse il dibattito che si è creato e vi ringrazio sia per aver subissato l’articolo di visite (mi dicono siamo oltre i 40mila IP unici) che per le ulteriori richieste di chiarimenti.
Vi chiedo solo di pazientare una decina di giorni: in questo momento mi trovo in una pseudo vacanza in Tamilnadu e vorrei prendermi una decina di giorni per ricaricare le batterie. Dal 15 gennaio in poi sarò più che felice di provare a chiarire i punti rimasti in sospeso.
Grazie di nuovo a tutti.
Pochi giorni fa ho avuto una idea da sottoporre alle agenzie di viaggi. Allestire una promozione crociera chiamata “viaggi mercenari”.
Praticamente portiamo le persone in crociera attorno l’India, e una volta che siamo in, per così dire, “acque internazionali”, le diamo un fucile in mano.
Se ammazzano qualcuno verranno accolti da eroi nel proprio paese, e li verrà offerto un posto in parlamento.
Figata, no?
(Che altro dire, l’articolo è eccelso e l’ho letto ieri sera tardissimo quando ancora non c’era nessun commento. La cosa fantastica è che la discussione che si è generata è interessante quanto il post. Saluti)
Salve, sono “l’Ing. Di Stefano” della citata “curiosa controperizia”. L’interesse è nato casualmente leggendo gli articoli sulla vicenda del Corriere della Sera, in particolare quando vi si cita il primo dato sul calibro del proiettile da parte di un certo Commissario Firoz”: calibro .54. Ma è l’archibugio di Sandokan! Esattamente il doppio del diametro dei proiettili in dotazione ai nostri militari.
Non voglio rifare la storia della “controperizia” (ognuno se la puà leggere e contestare i punti specifici che non condivide), ma accennare almeno a come si forma il dato dell’accusa: la testimonianza dei pescatori.
Il peschereccio St. Antony attracca alle ore 22:30 Locali del 15 febbraio nel porticciolo di Neendakara, i pescatori dichiarano che non sanno chi ha sparato, non hanno visto nulla di nulla.
Per loro in quel momento la Enrica Lexie non esiste, la petroliera italiana si trova ancora in mare ed attraccherà nel porto di Kochi circa alle 23, ben 64 miglia (120 km) a nord.
E’ solo il 22 febbraio (con la Enrica Lexie su tutti i giornali) che il comandante/proprietario del peschereccio Mr. Freddy Bosco dice di essere stato colpito da una nave “nera e rossa” (e potrò poi verificare che “tutte” le navi in zona sono “nere e rosse”)
Il 3 di marzo sempre Mr. Bosco in un’altra intervista dichiara la posizione del peschereccio al momento degli spari: al lago della città di Chertala.
E quindi circa 24 miglia a nord della posizione della Enrica Lexie al momento in cui Girone e Latorre sparano.
Il 21 marzo, in una intervista al settimanale italiano Oggi Mr. Bosco dichiara la posizione del peschereccio al momento degli spari: al largo della città di Kollam.
E quindi circa 27 miglia a sud della posizione della Enrica Lexie al momento in cui Girone e Latorre sparano.
Insomma abbiamo 4 versioni differenti. Quale è quella giusta?
Non lo dico io, lo dicono loro stessi che alle 16:30 del 15 febbraio stavano da tutta altra parte.
Come sono sempre le autorità indiane a dire che il calibro del proiettile repertato nell’autopsia non è nostro. Infatti è il direttore dell’istituto di medicina legale della città di Trivandrum, Prof. Sasikala, che nel referto indica un proiettile “diametro 2,4 cm” e “lunghezza 3,1 cm”, e quindi la cartuccia 7,62×54 usata dalla Guardia Costiera dell’ Sri Lanka. Non un proiettile qualsiasi, proprio calibro 7,62, al centesimo di millimetro.
Leggo che esisterebbe una “perizia ufficiale indiana”. Mandatemela che la pubblico subito su internet!
A me risulta che perfino i capi di accusa sono stati secretati e che non li possono leggere nemmeno gli avvocati difensori.
Per il resto potete vedere qui http://www.seeninside.net/piracy/ e resto a disposizione per qualsiasi chiarimento.
Caro Di Stefano, grazie per essere intervenuto nella discussione e avere riproposto il link alla sua perizia. Siamo lieti di ospitarla. Non dubito che Miavaldi e altri le risponderanno, chiarendo ulteriormente le idee a tutti noi. Mi auguro che, a partire da questo commento, si sviluppino approfondimenti, precisazioni e ulteriori “svisceramenti” della questione.
Sono curioso e vorrei farle una domanda che esula dallo specifico del suo lavoro: lei cosa ne pensa delle evidenti strumentalizzazioni politiche della vicenda e del modo – a parere di molti di noi provinciale, sciovinista e anche più di un tantinello razzista – in cui i media italiani hanno affrontato e tuttora affrontano la vicenda, nonché degli “scivoloni” diplo-mediatico-religioso-sportivi raccontati da Miavaldi? Per fare un esempio, cosa ne pensa di chi dice che i due marò sono “eroi”? Com’è ovvio, può anche rispondermi che la domanda non è pertinente.
Caro Wu Ming, ne penso tutto il male possibile. Usare questa vicenda per “fare politica” non servirà a portare un briciolo di verità sulla vicenda, ma solo a focalizzarla su posizioni preconcette.
Ho intitolato il mio contributo “Analisi tecnica”, sono uno dei maggiori esperti italiani in questo genere di di indagini, sia come perito di parte civile che come perito giudiziario (con venti anni di esperienza), e quindi scrivo “come se” dovessi presentare a un magistrato una perizia sulla questione.
Finora non è emersa nessuna prova a carico, e tutti gli indizi non reggono a una pur superficiale verifica.
La “perizia ufficiale indiana” non esiste (chi c’e l’ha me la mandi subito, la pubblico nella versione integrale) e se mi trovassi ad essere consulente tecnico della difesa e mi sentissi dire che i documenti di accusa non li posso leggere perchè secretati (devono essere pubblici in qualsiasi ordinamento democratico) farei tutti i passi necessari.
A riscontro provate voi stessi ad avere questa “perizia ufficiale indiana” dal Tribunale di Kollam, dagli avvocati difensori, o anche solo il referto dell’autopsia dal direttore dell’Istituto di Medicina Legale di Trivandrum Prof. Sasikala, e poi fatemi sapere cosa vi rispondono.
Sono colpevoli? Benissimo, deve risultare dagli atti processuali o con elementi probatori o con una somma di indizi al di la di ogni ragionevole dubbio. In questa ottica giurisdizione italiana o indiana poco conta. Conta che chi accusa abbia formato le prove a carico e ce le faccia vedere.
Se non ce le fa vedere la conseguenza è che non ce le ha.
La ringrazio della risposta e prendo atto con piacere che, pensando “tutto il male possibile” di come si stanno muovendo giornalisti e politici, la pensa come noialtri.
scusi Di Stefano avrei bisogno di due chiarimenti da parte sua
Il primo riguarda la frase qui sopra: “Conta che chi accusa abbia formato le prove a carico e ce le faccia vedere.
Se non ce le fa vedere la conseguenza è che non ce le ha.”
E mi vien da chiederle: quale parte dell’assunzione di responsabilità da parte di De Mistura lei non abbia capito: «La morte dei due pescatori è stato un incidente fortuito, un omicidio colposo. I nostri marò non hanno mai voluto che ciò accadesse, ma purtroppo è successo».
Ha capito che da parte “nostra” non si contesta -il fatto – che i marò abbiano ucciso i pescatori e anzi lo si è già amesso?
La seconda, mi perdoni la franchezza, è invece più personale: cosa la spinge a coprirsi di ridicolo “periziando” materiali di seconda mano e articoli di giornale (lol) e a battersi in maniera tanto buffa contro l’evidenza?
Chi o cosa la spinge a farlo?
Insomma abbiamo 4 versioni differenti. Quale è quella giusta?
Ing. Di Stefano, qui sotto cerco di porle nel modo più chiaro possibile alcune questioni di metodo che ritengo importanti. Spero possano esserle utili.
Ringrazio anch’io della disponibilità e il suo intervento.
Riporto un messaggio che le ho inviato anche via mail.
Mi riferisco a quelle che chiama “Falsificazioni” nella pagina “La balistica Indiana” per sollevare qualche perplessità.
http://www.seeninside.net/piracy/it-inba.htm
Lei scrive “l’estensore (che scriveva con la macchina da scrivere meccanica, non col computer)”
A mio avviso ci sono chiari segni che il documento mostrato è scritto al computer, né cito solo tre ma potrei trovarne altri:
– caratteri con sottolineature
– elenchi puntati e numerati perfettamente allineati
– i glifi hanno larghezza variabile (carattere è detto proporzionale). Per esempio la “i” è meno larga della “c”. Mentre per la stragrande maggioranza delle macchine da scrivere hanno glifi a larghezza fissa.
Gli ingrandimenti che mostra a mio avviso mostrano lo stesso tipo di carattere: stesse grazie, stesso allineamento, stessa larghezza variabile.
I caratteri hanno altezza leggermente diversa che possono essere riconducibili a tanti fattori come un foglio che scivola leggermente sul rullo trascinatore della stampante o di un fax.
Infine la qualità della copia del documento è così rovinata che ritengo impossibile dedurne il contrario.
E comunque se anche fossero state usate “due macchine da scrivere diverse” (o due stampanti diverse) da questo punto ci vuole un grosso passo per dedurne una “falsificazione”
Mi scusi, le chiedo un piccolo chiarimento.
Lei scrive, qui sopra: ‘un proiettile “diametro 2,4 cm” e “lunghezza 3,1 cm”, e quindi la cartuccia 7,62×54 usata dalla Guardia Costiera dell’ Sri Lanka.’
Forse sbaglio qualcosa, ma “2,4 cm ” sono 24 mm. Cioè circa tre volte più largo di un 7,62mm.
Se non sbaglio io.
Grazie dell’attenzione e buona giornata
Scusi l’errore, è “circonferenza 2,4 cm” e “lunghezza 3,1 cm”.
Questo è indicato nel referto dell’autopsia ottenuto dal giornalista del Corriere della Sera
http://archiviostorico.corriere.it/2012/marzo/04/Maro_doppia_verita_anche_dall_co_8_120304026.shtml
La cartuccia 7,62×54 è appunto quella che ospita il proiettile di quelle dimensioni, viene camerata dal fucile di precisione Dragunov e dalla mitragliatrice russa “PK” in dotazione alla guardia costiera dello Sri Lanka.
In primo piano nella foto, su un “Arrow Boat”
http://www.seeninside.net/piracy/foto-prov-bali/arrow1_396.jpg
Salve,
non voglio entrare nel merito della bontà o meno dell’articolo in quanto mi pare evidente che chi scrive ha già deciso che i Marò sono colpevoli – cosa che francamente trovo curiosa – ma come ha giustamente indicato l’Ing Di Stefano ci sono delle incongruenze sul DOVE e QUANDO si sono svolti i fatti specifici, indicati dai marò stessi – e dai pescatori – in zone ed ORARI diversi. Incongruenze che sono anche evidenziate in questo articolo de La Stampa del 21/02/2012 che parla anche della presenza della nave greca Olympic Flair – molto simile per dimensioni e colori alla Enrica Lexie e che questa, oltre ad essere anch’essa “vittima di un’attacco pirata” si trovava nella zona indicata dai pescatori…
http://www.lastampa.it/2012/02/21/societa/mare/societa-e-cultura/maro-india-la-prova-c-e-ma-non-e-stata-presentata-PIEhO5p2bMEZhMOoVpsJJK/pagina.html
SOCIETA & CULTURA
21/02/2012 – IL CASO DEI PESCATORI UCCISI
Marò-India: “La prova c’è, ma non è stata presentata”
Parla l’analista Usa Michael J. Frodl: con l’Ais si saprebbe se c’è stato un contatto tra nave italiana e peschereccio
Due versioni, contrastanti, sul caso degli spari dall’Enrica Lexie, dei due marò fermati dalle autorità indiane e dei due pescatori uccisi. Al di là delle questioni di competenza giuridica – acque internazionali, immunità – resta la dicotomia tra quanto sostengono gli italiani, e cioè che dalla nave sono stati sparati colpi di avvertimento contro un’imbarcazione pirata, e che il peschereccio potrebbe essere incorso in un altro scontro a fuoco, questo fatale per i due pescatori, e la versione del governo indiano, che invece sostiene l’ipotesi dell’omicidio volontario a carico dei due fuciliari del San Marco che facevano parte della scorta a bordo dell’Enrica Lexie e che hanno sparato contro i pescatori scambiandoli per pirati. Erroneamente, perché “nelle acque indiane non ci sono pirati”.
Michael J. Frodl è uno dei maggiori esperti di pirateria mondiale. Avvocato, è fondatore e presidente del consulting “C-LEVEL Maritime Risks”, un gruppo che da consigli alla communita “national security” di Washington ed all’industria delle assicurazioni di Londra da piu di dieci anni.
Avvocato, il ministro indiano della Navigazione G.K. Vasan dice che non ci sono pirati in acque indiane.
“Le acque del Sud Ovest dell’India sono sempre più bersagliate da pirati somali e da criminalità locale, i quali utilizzano pescherecci per avvicinarsi alle navi in transito. Le autorità indiane lo sanno, ma non lo ammettono perché non vogliono allarmare l’opinione pubblica già scossa da diversi attacchi terroristici, come quello di Mumbai del 2008”.
La versione italiana: è plausibile l’ipotesi di due episodi diversi?
“Sì, la petroliera italiana potrebbe essere stata avvicinata da una imbarcazione pirata intorno alle ore 16.00 e aver fatto fuoco di avvertimento per allontanarla, mentre l’imbarcazione da pesca indiana, qualche ora dopo può essere stata colpita da una unità simile alla Enrica Lexie con guardie armate a bordo. Gli orari dei due avvenimenti non coincidono. In più i pescatori indiani spesso si avvicinano alle grandi navi per calare le reti a poppa e possono essere stati scambiati per pirati”.
L’altra nave ha un nome, si chiama Olympic Flair, batte bandiera greca ed è molto simile per dimensioni e colori alla Enrica Lexie. Questa nave era più a Sud, a circa 2 miglia dalla costa, proprio alla stessa distanza citata dai pescatori sopravvissuti del peschereccio, dove hanno detto che sarebbero stati colpiti. Una distanza dalla costa incompatibile con la posizione della Enrica Lexie. Che tale Olympic Fair abbia subito un attacco lo conferma l’International Maritime Bureau Imb) della Camera di commercio internazionale (Icc). Il governo greco, però, lo smnentisce.
“Il comportamento degli inquirenti indiani è molto strano: si sarebbe potuto accertare immediatamente se vi è stato un contatto tra la Enrica Lexie e il peschereccio indiano confrontando le tracce dell’AIS, un apparecchio che segue la rotta di tutte le navi. Tale “occhio elettronico” potrebbe essere una prova lampante che mostrerebbe l’evidenza dei fatti. Perché non è stata ancora presentata? La Guardia Costiera indiana ha mostrato di non conoscere chi aveva sparato al peschereccio, diramando un dispaccio alle navi in transito in quel momento, ve ne erano ben quattro, chiedendo chi avesse avuto un incontro con i pirati. La risposta affermativa è venuta correttamente solo dalla petroliera italiana, ma non è detto che un’altra unità sia colpevolmente rimasta in silenzio”.
La Olympic Flair ha denunciato allo ICC un attacco pirata subito in rada davanti Kochi alle ore 22:20 locali dello stesso giorno.
Dopo aver evidentemente respinto l’aggressione (non dice come) la petroliera greca si allontana senza denunciare il fatto alle autorità indiane (come sarebbe suo dovere poichè avviene palesemente in acque territoriali)
Questo il report dello ICC a riguardo
http://www.seeninside.net/piracy/foto/olim-icc-report.jpg
Quando da parte italiana si è sollevata la questione dapprima la marina mercantile greca ha negato l’attacco, poi il giornalista italiano Gian Micalessin ne ha avuto conferma dall’armatore registrandosi la telefonata.
La parte interessante ai fini dell’indagine è che alle 22:20L la Enrica Lexie si trovava ormai esattamente nel punto in cui la Olympic Flair dice di essere stata attaccata.
Scortata dai cacciatorpediniere Samar e Lakashimi Bhai e da un aereo da ricognizione mattima della Marina Militare indiana.
http://www.seeninside.net/piracy/foto/olim-situazione-ani.gif
Insomma a detta dei greci sono stati attaccati mentre erano circondati dalla Enrica Lexie e da due cacciatrpediniere indiani, e sorvolati da un occhiuto aereo da ricognizione marittima.
E’ evidente che i greci della Olympic Flair (che è nera e rossa) si sono inventato tutto, e come, dove e a che ora hanno respinto l’attacco pirata è tutto da verificare.
Anche in questo caso è stata data una posizione e orario fasullo, senza poter sapere che in quel punto e a quell’ora c’era la Enrica Lexie con la scorta militare.
L’analisi degli AIS ho cercato di averla, ma mi hanno chiesto 7.000$ e non posso permettermelo.
vien da chiederlo a tutti e due ora: “quale parte dell’assunzione di responsabilità da parte di De Mistura non avete capito: «La morte dei due pescatori è stato un incidente fortuito, un omicidio colposo. I nostri marò non hanno mai voluto che ciò accadesse, ma purtroppo è successo»?
trovo abbastanza offensivo che s’intervenga scrivendo cose come “chi scrive ha già deciso che i Marò sono colpevoli” di fronte all’esistenza di una tale pubblica assunzione di responsabilità da parte del nostro governo. quasi che non avesse letto l’articolo
e trovo perfettamente conseguente che Di Stefano schivi l’argomento per continuare a giocare all’esperto contestando dettagli ramazzati in rete come se la realtà non fosse quella di una situazione che si gioca in punta di diritto partendo da -fatti- acclarati e ammessi ufficialmente dal nostro governo, ma quella fantasia nella quale i malvagi indiani stanno cercando d’incastrare i “nostri ragazzi”
chiaramente, ogni azione che abbia tanto spregio della realtà allinea chi la perpetua al tanto criticato La Russa
per me comunque una conferma delle qualità del perito in questione, che sembra perito soprattutto nel fabbricare fumo e ben poco interessato a discussioni sul piano della realtà
forse De Mistura quall’ammissione non l’ha mai fatta? Chiunque dotato di un minimo di buon senso prenderebbe con beneficio d’inventario una simile frase riportata dalla stampa indiana. Infatti la dichiarazione riportata dai media italiani è di diverso tenore: “Nella peggiore delle ipotesi in questa vicenda i nostri militari sono incorsi in uno sfortunato, non voluto, incidente, che quindi esclude totalmente la possibilità di omicidio volontario. Nel peggiore dei casi si tratterebbe di una sospetta uccisione involontaria di persone che essi avevano per errore temuto fossero pirati”. Messa così suona un po’ diversa, vero?
Sarebbe solo un segnale in più che i giornalisti italiani non si sono preoccupati di seguire la stampa indiana e non si erano accorti della cosa come invece se n’era accorto Miavaldi. L’ennesima prova di una gestione provincialistica, monoglotta e cialtrona.
Bè non resta che aspettare che Miavaldi torni dalle vacanze per avere notizie di questa perizia ufficiale indiana, visto che nel post ci sono solo link ad articoli di giornale – un po’ quello che viene contestato al sig. Di Stefano quando si dice che la sua perizia era basata su “stralci di interviste tratti dal settimanale Oggi, fotogrammi ripresi da Youtube, fermi immagine di documenti mandati in onda da Tg1 e Tg2” – buffo no?
Tralascerei le questioni balistiche che (come del resto il diritto internazionale in merito a questioni marittime) sono roba che va studiata parecchio bene prima di potersene riempire la bocca, e mi concentrerei su quel che mi pare di poter leggere tra le righe di questo pezzo, ovvero perché l’Italia ha così tanto bisogno di eroi e, per andare più nello specifico, perché ‘sti cazzo di eroi devono sempre essere A) militari B) preti e/o martiri C) militari martiri? Da questa semplice domanda credo possa scaturire un dibattito più interessante per tutti e – mi auguro – pure un filino meno retorico.
Saluti
Nella definizione comune l’Eroe è quello che si sacrifica o rischia al di la dei doveri che gli sono propri.
Vedo nel linguaggio simbolico:
– il riconoscimento che “siete innocenti” e lo sappiamo bene (gli omicidi non possono essere ricevuti in gran pompa al Quirinale con pubblico bacio sulle guance)
– il riconoscimento che stanno facendo bene comportandosi secondo gli interessi preminenti dello Stato al mantenimento dei buoni rapporti internazionali.
Al contrario se fossero colpevoli o potenzialmente colpevoli non sarebbero stati ricevuti in gran pompa.
Ottimo articolo demistificante! Mi sembra utile riportare, ai fini del dibattito, l’editoriare pubblicato su carmillaonline http://www.carmillaonline.com/archives/2012/12/004204.html#004204 . Lo ritengo interessante perché, al di lá di tutti i dubbi in buona fede che possiamo avere (in India c’é la pena di morte, regole di ingaggio… ), credo che fornisca la giusta chiave di lettura (frame) per interpretare il tutto.
Ossia, due pescatori (stra-poveri) uccisa da due soldati.
Questo é ció che conta. E questo mi fa prendere posizione.
L’editoriale su Carmilla l’ho scritto io. In realtà l’articolo è apparso due volte. La data che si legge in basso, quella del 2 dicembre, si riferisce alla seconda pubblicazione ma l’articolo fu scritto a caldo e adesso suona a tratti un po’ vecchio perché prova a demistificare il fumo che la stampa italiana alzò subito dopo il fatto, evocando navi greche che poi sono scomparse nei mari fantasiosi di Salgari che non hanno nulla a che vedere con le coste del Kerala. In passato ho scritto spesso dall’India vivendoci ma il mio ultimo soggiorno risale al 2010. Pertanto non mi sono messo a contestare episodi specifici (tipo calibri o distanze dalla costa) ma a affermare una questione di principio, come evidenzia a ragione vectorsigma: che qualcuno con una divisa ha ucciso due lavoratori del mare. Questo è innegabile, tanto che l’ha ammesso lo stesso De Mistura, tra un namastè e un altro. E ammazzare un pescatore, per giunta solo per esercizio di tiro a segno (giustificando poi quest’atto ignobile con la necessità di far guerra ai pirati e proteggere il capitalismo mercantile europeo) è una cosa che condanno subito al massimo della pena, quella del disprezzo, senza attendere le valutazioni dei periti italiani e della loro controparte indiana.
Ripeto quel che ho scritto: <>
Le doppie virgolette basse hanno ammazzato la citazione: “Io me lo auguro che i due soldati italiani non abbiano ucciso i due pescatori. Mi risulta difficile crederci, ma quasi lo vorrei. Not in my name. Ma sono scettico, perché di solito in questo mondo chi uccide porta una qualche divisa e chi muore è disarmato.”
Però sulle “navi greche” ha sbagliato. Nella risposta che ho dato a Magomerlino si chiarisce che l’attacco alla Olympic Flair c’è stato, e soprattutto che le circostanze, luogo e ora indicati dalla petroliera greca “non possono essere veri”.
In sede processuale sarà necessario rivedere in dettaglio tutta la vicenda della Olympic Flair, e verificare coi dati satellitari dove si trovasse realmente, etc. etc
Doveva avere più pazienza e cercare riscontri alle dichiarazioni fasulle della marina mercantile greca.
Scusi l’appunto, ma nell’ambito della discussione è doveroso.
@ Grifo (Ing. Di Stefano),
vorrei sottoporle una mia perplessità e chiederle un parere.
Per più di un’ora ho cercato su google “Freddy Bosco Kerala”, “Freddy Bosco fishermen”, “Freddy Bosco St. Antony”, “Freddy Bosco Enrica Lexie”, ma…
…non ho trovato *nessuna* fonte indiana che menzioni questo signore. Soltanto pagine italiane, o pagine in inglese scritte da italiani (ad esempio, da lei stesso), che presentano costui come il proprietario e comandante del peschereccio St.Antony.
Invito chiunque a rifare i miei tentativi. Ditemi se anche a voi risulta così o se sono un inetto io.
Io le domando: da dove viene l’informazione che costui si chiama Freddy Bosco? Mi permetta di presentarle alcuni elementi:
La voce di Wikipedia dedicata al “2012 Italian Shooting in the Arabian Sea” dice che il proprietario e comandante si chiama Freddie Louis e cita come fonti “Tehelka” e “Gulf Times”. Entrambi i link risultano “rotti”, così ho cercato su google e…
…effettivamente, le fonti indiane lo chiamano sempre “Freddie Louis”. Che a me sembrano due nomi di battesimo, non un nome e cognome, ma tant’è.
Ma allora da dove viene quest’altro cognome dal suono così poco indiano, “Bosco”?
Sul sito dove presenta la sua controinchiesta, lei scrive:
“Il 3 Marzo Mr. Freddy Bosco rilascia una intervista al quotidiano “Deccan Cronichle”
poi propone uno screenshot dell’intervista, ma il nome “Freddy Bosco” non si legge da nessuna parte.
Subito sotto, scrive:
“Il 21 marzo, in una intervista rilasciata alla giornalista italiana Fiamma Tinelli del settimanale “OGGI”, Mr. Freddy Bosco, capitano e proprietario del peschereccio St. Antony, nel villaggio di Poothurai dove vive, racconta quello è successo.”
poi linka il pdf dell’intervista. Ecco l’articolo con tanto di foto a colori di “Freddy Bosco, 30 anni”. C’è scritto che l’intervista a costui è avvenuta a Poothurai, nell’ufficio di padre Dyson, il sacerdote cattolico del paese, “parroco della Chiesa di San Giovanni di Turtur”.
Lei, ing. Di Stefano, si appoggia moltissimo a quest’intervista e alle dichiarazioni che contiene. E allora io cerco di leggere con attenzione, tutto, anche le didascalie.
L’intervista si è svolta “nella lingua del Kerala”, scrive Fiamma Tinelli (o forse il didascalista). Piuttosto grossolana, come definizione, perché in Kerala non si parla una lingua sola, comunque suppongo si riferisse al Malayalam. Padre Dyson faceva da interprete (non è specificato in quale lingua: in inglese?) e la giornalista a sua volta ha tradotto per noi in italiano scritto.
Faccio notare en passant che Poothurai non è in Kerala, ma nel Tamil Nadu. Stato indiano che la giornalista non menziona mai. Non dice mai in quale stato si trovi mentre fa l’intervista, parla solo, genericamente, di “estrema punta sud dell’India”.
Poi mi soffermo a pensare che, qualunque affermazione padre Dyson (prima) e Fiamma Tinelli (poi) abbiano attribuito all’intervistato, quest’ultimo non ha avuto modo né possibilità di verificare, non conoscendo l’italiano e comunque non avendo modo di acquistare una copia di “Oggi”.
Vedo anche che nell’intervista la nave, che le fonti indiane chiamano sempre “St. Antony”, è chiamata “St. Anthony”, ma in fondo è un’inezia.
Torniamo al nome-cognome che viene citato solo ed esclusivamente dagli italiani.
Mi fermo a pensare e mi dico: vista la data (tutte le altre occorrenze del cognome che ho trovato sono successive), questo potrebbe essere il “testo-matrice”, la fonte alla quale tutti gli altri commentatori italiani hanno attinto nel chiamare quest’uomo “Freddy Bosco”.
Ma torno alla mia perplessità: perché nessun giornalista indiano lo chiama così? Perché soltanto Fiamma Tinelli lo chiama così?
Allora cerco su Google “Poothurai Bosco”.
Nemmeno in questo modo trovo il benché minimo riferimento a “Freddy Bosco”… a parte – come accaduto poco prima – nelle pagine del suo sito, seeninside.net.
Detta in soldoni: per la rete non esiste alcun Freddy Bosco che vive a Poothurai.
Gli unici che parlano di un Freddy Bosco che vive a Poothurai sono:
– Fiamma Tinelli di “Oggi”;
– l’ingegner Luigi Di Stefano (che però cita la Tinelli);
– quelli che citano la Tinelli o Di Stefano.
Trovo però un’informazione interessante dentro un comunicato stampa del National Fishers’ Solidarity Movement riguardante la vicenda di cui ci stiamo occupando. E’ datato 17 febbraio 2012, cioè appena due giorni dopo la sparatoria e più di un mese prima della pubblicazione dell’intervista su “Oggi”.
In questo comunicato stampa c’è scritto:
“The boat in which 11 fishermen were operating was St. Antony Reg. No TN15 MFD 208 belongs to Fredy S/O John Bosco, Poothurai, Kannyakumari District, Tamilnadu”.
Sembra di capire che questo Fredy/Freddy/Freddie, al momento di registrare la proprietà del peschereccio, abbia indicato il proprio domicilio presso un certo “John Bosco” di Poothurai. Presumibilmente, è l’indirizzo dove voleva ricevere comunicazioni, posta etc.
Ma chi è questo John Bosco? Mi metto a cercarlo.
A volte lo chiamano “John De Bosco”, a volte “John D. Bosco”, a volte “John D’Bosco”, a volte “John Bosco”, ma dovrebbe trattarsi della stessa persona: è un prete. Ha una certa età, risulta ordinato sacerdote dal 1970.
Mi viene da pensare che Freddy/Fredy/Freddie (Freddie Louis, secondo i media indiani) abbia fatto come si faceva anche nell’Italia rurale fino a non moltissimi anni fa, cioè ha dato come indirizzo dove ricevere comunicazioni dallo stato l’indirizzo del prete.
Ma, chiaramente, è solo un’ipotesi, fondata su pochissimo, quasi niente.
Come è un’ipotesi, anzi, una mera suggestione, che qualcuno si sia sbagliato e da “Fredy presso John Bosco” abbia ricavato “Freddy Bosco”.
Eppure Fiamma Tinelli lo ha incontrato, costui. Lo ha incontrato a Poothurai. Ci sono anche le foto di lui e di “parte del suo equipaggio”, e della giornalista che prende appunti mentre padre Dyson traduce. Possibile che abbia addirittura sbagliato a scrivere il nome della persona che stava intervistando?
Insomma, io questa discrepanza non me la so spiegare. Spero me la sappia spiegare lei.
Naturalmente, può sempre darsi che io non sia bravo a fare le ricerche su google.
Però, mentre navigavo, mi si è formata in testa una riflessione.
Una riflessione che riguarda, in generale, la non-comunicazione tra i saperi e le discipline, e più nello specifico cosa mi è – sin dall’inizio – “suonato male” riguardo alla sua controinchiesta, ing. Di Stefano, o meglio, a una parte delle sue premesse metodologiche. E qui mi ricollego alle notazioni “en passant” che ho fatto sopra. Perché prima ero di passaggio, ma adesso posso soffermarmici sopra.
Ci sono le cosiddette “scienze dure”, quelle dei matematici, dei fisici, degli ingegneri, ma non sono le uniche scienze esistenti. Ad esempio, esistono le scienze del testo, del linguaggio e della comunicazione: filologia, semiotica, linguistica, psicologia cognitiva etc. Scienze che spesso gli scienziati “duri” non considerano tali, e relegano nell’ambito della cosiddetta “cultura umanistica”, così imprecisa, così sbrodolona, così con la testa per aria…
Secondo me, e lo dico da tempo, una maggiore collaborazione tra le scienze dure e le scienze… quell’altre che ho detto sarebbe molto utile a chi fa un lavoro come il suo.
Perché, vede, nella sua controperizia si vede di primo acchito che si è basato su testi di diverso statuto e di diversa natura, ciascuno col suo funzionamento, il suo linguaggio, le sue retoriche (per capirci, noi che ci occupiamo di segni e di linguaggio annoveriamo tra i “testi” anche i video di YouTube). Però sulla loro diversità di statuto non sembra essersi granché interrogato. E questo potrebbe aver generato distorsioni, che poi si sono ripercosse su tutto il suo modo di procedere.
In parole povere: un’intervista è la traduzione di un parlato nello scritto, uno scritto che contiene almeno due “voci”: quella di chi intervista, e quella di chi viene intervistato.
Mettiamo che i due provengano da culture diverse, conducano vite lontanissime l’una dall’altra, parlino lingue diverse e non si capiscano senza un interprete. Poniamo, per non farci mancare nulla, che quest’interprete in realtà non traduca nella lingua dell’intervistato ma in una lingua intermedia, una lingua franca (es. l’inglese). Lei converrà che il numero di passaggi aumenta parecchio: l’interprete come traduce le domande all’intervistato? E come traduce le risposte all’intervistatore? E cosa ne ricava quest’ultimo? Le probabilità di errore, distorsione, fraintendimento sono molto alte.
Chi si intende di testi e fonti, chi se ne occupa per lavoro (scrittore, storiografo, filologo, semiologo etc.), prende con le pinze i virgolettati di un’intervista così: un’intervista multiculturale e multilingue scritta per un rotocalco e costretta in un preciso numero di battute tipografiche. Uno che abbia la dovuta *competenza testuale* saprà come “interrogare” quei virgolettati, dando per scontato che non vi troverà l’accurata esposizione di quel che l’intervistato ha detto. Ci sono stati davvero troppi passaggi.
Freddy (Bosco?) ha sentito domande tradotte dall’inglese parlato da un’italiana al malayalam, ha risposto in malayalam, l’interprete ha tradotto in inglese e l’italiana ha tradotto per noi in italiano scritto. Anche dando per intesa la buona fede e la volontà di riportare fedelmente, nel processo può esserci stata ogni sorta d’equivoco.
E’ già un “segnale” strano, ne converrà, che quest’intervista sia cronologicamente il primo testo disponibile in rete che chiami l’intervistato “Freddy Bosco”, e che dopo di esso soltanto italiani che l’avevano letta l’abbiano chiamato così, mentre per i media indiani questo nome-cognome non esiste.
Però lei si appoggia a quest’intervista come se fosse un testo che presenta oggettivamente, univocamente, neutramente quanto dichiarato, e da quei virgolettati fa partire ragionamenti, deduzioni, comparazioni con altri testi. Testi che però hanno diverso statuto e diversa natura, oppure hanno il medesimo statuto, cioè sono interviste, ma sono stati prodotti in altre circostanze (l’intervistatore era del Kerala o del Tamil Nadu, non c’era bisogno di interprete etc.)
Naturalmente, non è affatto detto che questo infici la parte più tecnica (di “hard data”) della sua controperizia, sulla quale non posso esprimermi con sufficiente competenza. Ciononostante, già da questo primo approccio e tentativo (frustrato) di verifica di alcune informazioni che riprende e a sua volta fornisce, ho la sensazione – da scrittore di formazione storiografica e persona che professionalmente legge, interpreta e scrive testi – una certa carenza di competenza testuale (aridaje!) del “tecnico” al cospetto di fonti ibride, sbavate, opere ermeneuticamente più “aperte” di un tabulato di calcoli, espressioni intimamente e irrimediabilmente contraddittorie, proprio com’è il mondo “qui fuori”, tra noi “umanisti”.
Ho scritto questa pappardella per esortarla a scavalcare lo steccato che divide i nostri saperi.
Perché, vede, se al momento di raccogliere e vagliare le dichiarazioni che ha preso in esame si fosse rivolto a una persona dotata della competenza testuale di cui sopra, forse avrebbe preventivamente parato alcuni colpi, e un giornalista come Miavaldi non avrebbe avuto modo di far notare quello che a suo dire è un esagerato affidarsi a fonti di natura troppo variegata e labile. Perché è questa la critica principale che le ha fatto Miavaldi. E gliel’ha fatta da giornalista, cioè da uno che sa di che pasta sia fatta un’intervista, e in generale quanto “vaporoso” possa essere un testo giornalistico.
Spero di non averla tediata, e di averle posto questioni che potranno tornarle utili. Grazie dell’eventuale attenzione.
Complimenti! Per l’amor del cielo non pensi che io faccia prevalere le competenze tecniche su quelle classiche, senza Dante Alighieri non avremmo avuto l’Umanesimo e il Rinascimento. Lo steccato è già scavalcato.
La prima informazione su Freddy Bosco mi viene da un articolo del Corriere della Sera del 28 febbraio, dove fra l’altro il giornalista parla di una deposizione fatta tradurre.
http://www.corriere.it/esteri/12_febbraio_28/fori-barca-maro-india-sarcina_b1b70e78-61d5-11e1-9e7f-339fb1d47269.shtml
Da quel momento in poi prendendo per buono che si chiamasse Mr. Freddy Bosco mi sono limitato a riconoscerlo nei vari elementi che mi interessavano: le interviste, il sopralluogo su peschereccio dove indica i fori dei proiettili, etc.
Potrebbe anche essere Mister X, conta quello che dice, e non ho valutato le “sfumature” (oggettivamente impossibile proprio a causa delle diverse traduzioni) ma i dati oggettivi: la città di Kollam, la città di Kertala, Neenkadara, Poothurai… orari, effemerifi, posizioni etc. etc.
Quello che ha letto (l’analisi tecnica) tocca per ora solo la pelle superficiale dei fatti, ma crea comunque un contesto. In questo contesto dobbiamo inserire tutte le tessere del puzzle.
Ci vorrà un po di pazienza ma tutte dovranno andare a posto.
Interessante: nell’articolo del Corsera che mi linka viene attribuita all’uomo la frase: “Mi chiamo Fredy, figlio di… Bosco”. Proprio così, coi puntini di sospensione. Frase ellittica o monca, o mal tradotta (da chi? Con quanti passaggi?), o chissà che altro. Ad ogni modo, mi conferma che il nome “Fredy Bosco” o “Freddy Bosco” compare solo in fonti italiane. Non so dire perché.
Riguardo alla questione dei “dati oggettivi” isolabili dal discorso, magari fosse così facile: c’è un problema di rapporto tra “segnale” e “rumore”. Ad esempio, lei saprebbe distinguere facilmente, sentendoli pronunciare da un abitante del Kerala o del Tamil Nadu, il toponimo “Kertala” dal toponimo “Neenkadara”? Può darsi che alle orecchie di un italiano suonino entrambe qualcosa come “chedala”, “chedara”, “nchedala”, “cadala”… Anche perchè il locale parla come fa di solito, mica fa lo spelling o si preoccupa di avere di fronte un italiano.
Quel che sto cercando di dire è che secondo me, prima di comparare più asserzioni per definirle alternative tra loro (lei ha scritto “ci sono quattro versioni”), e impostare su questa contraddizione (o meglio, aporia) una ricerca di indizi che possa ricostruire un quadro solido e oggettivo, bisognerebbe capire se la diversità di quelle asserzioni c’era già all’origine o se deriva dalla diversità dei contesti in cui sono state sollecitate e raccolte, da un metodo scorretto, da traduzioni frettolose etc.
Io, al posto suo (e glielo dico da storico, da uno che lavora spesso su fonti sia scritte sia orali), avrei scartato quel genere di fonti. Troppo inaffidabili, troppa prevalenza del rumore sul segnale. Non avrei tentato di estrapolarne “dati oggettivi”. Oppure avrei cercato riscontri nel maggior numero di fonti possibili. Per dire, io mi sarei accorto subito che il nome “Freddy Bosco” non figurava negli articoli dei giornali indiani. Non perché io sia un genio, ma perché sono abituato a fare quel tipo di verifiche. Il nome può sembrare un dettaglio secondario, ma rivela una distanza tra fonti indiane e italiane che nessuno si sta preoccupando granché di colmare… a parte Miavaldi. E forse sotto quel dettaglio c’è un buco più grosso, una carie, una spelonca. Se avessi tempo di dedicarmici (e ahimé non ce l’ho), ripartirei da quell’intervista di “Oggi”, che mi suona davvero strana, e farei una vera e propria detection. Ma ne sto già facendo altre, anche più impegnative, e ho i miei limiti :-(
Intanto, di nuovo grazie per la disponibilità, e buona notte!
P.S. Naturalmente, c’è anche l’ipotesi che Freddy sia figlio… del prete, e in India non lo dicano per pudore :-D
Ing. Di Stefano, la ringrazio per essere intervenuto. Mentre dormivo Wu Ming 1 le ha spiegato con dovizia di dettagli l’errore fondamentale che, secondo me, ha commesso alla base della sua perizia: affidarsi a fonti quantomeno inaffidabili e premature.
L’esempio del fraintendimento Freddy Bosco (che mi era sfuggito, proprio perché in India Freddy Bosco non esiste), le dovrebbe dare la tara di quanto qualsiasi cosa sia stato scritto in Italia circa la questione dei marò sia da prendere assolutamente con le pinze.
Nella sua analisi, che non ho né gli strumenti né le competenze per apprezzare, io non contesto assolutamente la procedura, i calcoli, le simulazioni ed il resto dell’impianto tecnico, ma contesto la parzialità e inaffidabilità dei dati di partenza. Inaffidabilità che riconosce anche lei proprio nella presentazione della perizia, dicendo “Quindi ritengo sia utile fare una analisi tecnica degli eventi basata sulla somma dei dati disponibili e provenienti da notizie di stampa, pur nella consapevolezza che alcuni elementi potrebbero essere stati riportati sbagliati o distorti”.
Se mi passa il linguaggio, lei ha costruito una perizia scientifica basandosi su dati non scientifici, ovvero quelli riportati nell’intervista di Oggi firmata da Fiamma Tinelli (che, basta fare una ricerca su Google, per Oggi negli anni si è occupata di tutt’altro).
Il 18 maggio i periti indiani hanno depositato l’esito delle loro indagini presso il tribunale di Kollam. Il 18 maggio! Lei andava in parlamento un mese prima a sbandierare sentenze ancora prima dei dati ufficiali (già che ci siamo, chi l’ha invitata in parlamento a presentare la sua perizia? Non sono – ancora – riuscito a trovare questa informazione).
Basandosi sui resoconti della nostra stampa italiana – che, come scrivo nell’articolo, sono stati sbugiardati dalla perizia indiana – lei ha deciso che i tecnici indiani avevano sbagliato ancor prima che uscissero i dati sulle rilevazioni satellitari della Marina indiana.
Quello che non capisco, e sinceramente mi ha molto innervosito, è che lei, dall’Italia, basandosi su informazioni false, fotogrammi del Tg1 eccetera, si reputa migliore e nel giusto a discapito non solo dei periti indiani, ma anche dei tecnici italiani mandati dal nostro esercito, degli avvocati che difendono i due marò e di tutta la diplomazia italiana coinvolta nel caso.
Dice: “Leggo che esisterebbe una “perizia ufficiale indiana”. Mandatemela che la pubblico subito su internet!
A me risulta che perfino i capi di accusa sono stati secretati e che non li possono leggere nemmeno gli avvocati difensori.”
Piacerebbe molto anche a me vedere la perizia ufficiale (che esiste, come dice la stampa indiana che ho linkato, e il fatto che né io né lei l’abbiamo mai vista non ne comporta l’inesistenza.), ma temo non sia possibile. Nemmeno sui giornali indiani sono riuscito a leggerla. Ma sono ignorante, si possono pubblicare le perizie quando c’è una sentenza in attesa? Se fosse possibile in linea teorica, io ne sono impossibilitato in via pratica ed economica (ci arrivo, in fondo).
E da che fonti le risulta che i capi d’accusa non sono noti nemmeno agli avvocati difensori? (Ma si rende conto? Secondo lei è possibile che la difesa dei marò stia facendo il proprio lavoro senza nemmeno sapere i capi d’accusa?) Comunque mi ripropongo di trovarglieli – ricordo di aver letto proprio le leggi per le quali i due marò sono accusati di omicidio, intendo le parti di codice specifiche del Codice penale indiano. Rimando il link al futuro per un semplice motivo, in questo momento non riesco a reperirli tra le fonti che ho, il che mi permette anche di allargare il discorso spiegando parzialmente come ho lavorato in questi mesi.
Seguo per China Files il caso dei marò da 10 mesi: quando è scoppiato, mi trovavo in viaggio negli Usa e, non essendo sul posto e con un fuso orario sfavorevole, ho preferito non scrivere nulla e aspettare di tornare in India.
In questo momento, nei preferiti del mio browser, alla voce “marò” ho salvato 59 pagine internet: ci sono notizie da giornali italiani – poche – notizie da giornali indiani, pagine wikipedia, video di youtube e molti dei link che sono già stati citati sopra da chi discuteva la questione delle acque territoriali. E si tratta solo della scrematura, delle fonti che ho reputato potessero essermi utili in futuro. A spanne, credo di aver visionato più di 400 fonti, muovendomi a ritroso per approfondire i punti che non mi tornavano o le cose che non conosco (diritto marittimo, ad esempio).
Dopo aver valutato, incrociato, metabolizzato ed eliminato le fonti inattendibili – e anche nei giornali indiani ce ne sono a bizzeffe, di questo potremo parlare dopo il 15 gennaio in un post a parte che comprenda Sonia Gandhi e tutto il sostrato politico del caso Enrica Lexie in India – ho scritto i due pezzi di novembre che sono alla base di questo lungo articolo richiesto espressamente da Wu Ming 1.
Come hanno notato altri, sia qui che su Twitter, queste cose le avevo scritte già due mesi fa e le ho proposte ai media mainstream italiani da almeno 5 mesi, ma nessuno era interessato.
Mi sarebbe piaciuto anche andare in Kerala, provare a fare interviste sul campo, sentire i legali dei marò e indiani, ma tutto ciò non mi è possibile per motivi economici: a China Files, che fornisce al sottoscritto l’unica entrata fissa, non abbiamo i soldi per sostenere inchieste del genere. Chi li ha, o potrebbe averli, non è interessato a spendere questi soldi per provare a fare un altro tipo di informazione (che per noi di China Files è in realtà l’unica). Io non posso permettermi di spendere di tasca mia per organizzare un viaggio in Kerala, fare un articolo come si deve, e non riuscire a venderlo. Quindi, se devo decidere tra pagare l’affitto e fare buon giornalismo, nelle condizioni in cui sono, pago l’affitto (e meno male che vivo in India e non in Norvegia).
Chi lavora come giornalista freelance sa bene di cosa parli e capisce anche la nostra frustrazione, ma le cose in Italia stanno così come le vedete e, se a decine di migliaia avete letto questo articolo, è evidente che le cose non vanno molto bene.
Lo spunto per una riflessione sull’informazione l’abbiamo dato. Speriamo che qualcuno ci stia leggendo.
Ultima cosa: in questo momento mi trovo ospite di amici a Chennai, Tamilnadu. I miei amici, ironia della sorte, sono originari di Kochin, Kerala. Ho dovuto spiegare loro come mai non posso fare il turista come programmato prima che questo pezzo facesse “il botto” e, raccontando cosa ho scritto, sono rimasti molto stupiti sia dallo stato dell’informazione italiana sia dai dettagli della vicenda, che nemmeno loro conoscono a fondo.
Nei commenti precedenti qualcuno aveva proposto di tradurre il pezzo in inglese: potrebbe essere una buona idea.
La traduzione del pezzo verso l’inglese l’avevo proposta io. Secondo me potresti proporlo a settimanali indiani da edicola, tipo Frontline (che fanno impallidire le pubblicazioni omologhe italiane). Però non sarebbe male anche una traduzione verso il Tamil e il Malayalam (per intercettare come lettori i pescatori e i ceti più bassi, che comunque in Kerala sono spesso alfabetizzati – e potrebbero poi rileggerlo a chi non sa leggere).
le perizie si leggono prima della sentenza, in Italia, e si fanno anche le contro perizie (vedi il caso delle Ferrovie dello Stato- Viareggio);
la regola è che ogni individuo accusato di un reato ha diritto (come minimo) a essere informato sollecitamente e in modo circostanziato, in una lingua a lui comprensibile, della natura e dei motivi dell’accusa a lui rivolta.
Non posso esprimere giudizi perchè non conosco bene i fatti, ma conosco abbastanza bene l’India dove ho vissuto per sei anni fino al 2010 e continuo a tornarci. Miavaldi è ben conosciuto per il suo scrupolo, l’accuratezza e l’attenzione ch epone nello scrivere.
Porgo soltanto quanto spunto di riflessione:
1) S/O in India identifica come detto “son of”, ce l’ho anch’io sulla mia patente indiana, quindi quando questo signore si è registrato come Fredy figlio di John Bosco, è palese che si tratta di Fredy Bosco.
2) Bosco è un cognome possibile in Kerala, stato con molti cattolici. C’è anche un coreografo di Bollywood che si chiama così. Probabilmente deriva da qualche orfano “adottato” dai salesiani. C’è tanta gente che, trattandosi dell’unico stato marxista in India oramai, si chiama Karl Marx, Lenin o Stalin.
3) è possibile che non ci sia cognome o due nomi di battesimo. Quando feci il passaporto alla collaboratrice domestica che avevo li, sul documento c’era scritto solo il nome, senza il cognome.
4) l’uso di militari (sia statali che privati) sulle navi non è solo italiano ma di molti paesi.
5) nonostante possa sembrare strano, trovare notizie su internet in India o ricostruire storie (e quindi la storia delle persone) almeno fino a quando c’ero io era molto difficile.
6) la società armatoriale proprietaria della Lexie aveva già avuto diverse navi attaccate e due sequestrate a lungo. Parlando con persone del settore e responsabili della stessa società (non riferendomi al caso dei marò ma precedentemente), mi hanno detto che i famosi pirati non girano sui velieri con le bandiere nere, ma su barchini da pesca.
7) il 16 luglio scorso due pescatori indiani che si trovavano su un barchino dinanzi alle coste di Dubai, furono uccisi da militari americani imbarcati su una nave statunitense. Pare si trattasse di pescatori che non hanno risposto ai warning dei militari americani (almeno scrive così the hindu http://www.thehindu.com/news/national/article3646855.ece). Non ci sono state conseguenze.
Sono contro qualsiasi strumentalizzazione. Invece di accanirci troppo su questa storia, sarebbe interessante e proficuo, per non dire giusto, invece spendere le stesse risorse statali per aiutare chi ingiustamente (e sottolineo ingiustamente) è detenuto nelle carceri straniere. In India, ad esempio, a Varanasi, due italiani, Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni, scontano l’ergastolo pe run omicidio che dicono di non aver commesso e la sentenza indiana, da quello che leggo, è arrivata in maniera a dir poco strana. Non mi pare che se ne sia occupato qualcuno (forse le Iene). Ho letto qualcosa qui http://it.wikinews.org/wiki/Caso_Francesco_Montis e qui http://www.linkiesta.it/blogs/fortezza-bastiani/tomaso-ed-elisabetta-condannati-all-ergastolo-india-un-delitto-mai-commesso
Quindi sarebbe davvero il figlio del prete? Ci avevo preso nel post scriptum scritto a cazzeggio? Minchia, hai visto a fare lo scrittore, che fiuto? :-O
Molto utile e potenzialmente chiarificatore il tuo commento. Resta invariato il problema metodologico di cui parlavo. “Freddy Bosco” è il nome che mi ha portato all’intervista di “Oggi” e a constatare l’incomunicabilità tra fonti italiane e indiane (a prescindere dalla questione se siano più veridiche le prima o le seconde). Incomunicabilità che rende poco affidabile qualunque fonte utilizzata senza riscontri incrociati, e quindi molto rischioso affidarsi a fonti dubbiose come interviste realizzate non è chiaro come, dichiarazioni trasformate da chissà quanti passaggi etc.
Dopodiché, sarà certamente come dici, non è facile trovare sul web indiano le storie delle persone. Però questa persona ha avuto l’onore di svariate interviste ed è tirata in ballo in centinaia di articoli sui giornali on line. Tra l’altro, a occhio e croce il panorama web indiano non mi sembra affatto povero o poco vivace… Ma ubi maior minor cessat.
Comunque, il succo del tuo commento mi sembra l’ultima parte: ci sono italiani detenuti ingiustamente in India e altre parti del mondo che hanno il torto di non essere militari, di non girare in mimetica, e per i quali il nostro governo non ha mai speso ottocentomila euro a scopo natale in famiglia.
Dove non sono per niente d’accordo con te è sul fatto che non dovremmo “accanirci” su questa storia. Questa storia è importante, dal punto di vista dei rapporti internazionali dell’Italia e della manipolazione dell’opinione pubblica sul fronte interno. C’è uno strano sottobosco di personaggi equivoci che condiziona in molti modi il modo in cui questa storia viene narrata agli italiani. Scoperchiare la fossa di vermi è dannatamente importante.
Sul fatto del web indiano, ti assicuro che non è così vivace, ma quello che volevo spiegare è che magari lo si riesce a trovare con un nome diverso. Tu considera (scusa la banalizzazione) che in alcune tribu’, gruppi religiosi o comunità, c’è un numero infinito di persone che hanno stesso nome e cognome… Magari è il figlio del prete e questa è la notizia!
Il mio invito al non accanimento è che, purtroppo, spesso in Italia creiamo bandiere e steccati, ci dividiamo tra guelfi e ghibellini, ma perdiamo di vista la realtà. L’indignazione per la strumentalizzazione e per come è stata gestita la cosa, credo sia unanime. Come lo è la considerazione che non siamo in grado di discernere le cose. Forse perchè seguo da tempo quello che ha scritto Miavaldi già su China Files, mi sembrava tutto già noto, non considerando, sbagliando, che più se ne parla, più forse si arriva alla verità. Alla fine delle nostre speculazioni, resta il fatto che due persone sono morte, che le loro famiglie hanno perso il sostentamento (contributo italiano a parte) e che avvoltoi si dividono le carcasse. Ho letto che anche il Vattani fasciorock ha avuto da ridire sul ritorno in India dei Maro’. Per dirla alla mia: “Maro’ (invocazione alla madre del Salvatore, ndr) nun ce sta cchiu’ religione”. Complimenti per libri (che hanno attraversato i continenti con me) e sito.
Peraltro, di traduzioni che lasciavano a desiderare e interpretazioni molto libere del diritto in acque (quasi) internazionali avevamo già avuto un bell’esempio (di segno inverso rispetto a questo) con l’arresto di Mohamed Fikri per l’omicidio di Yara Gambirasio. Ma è un dettaglio rispetto a tutto quello che state tirando fuori…
sulla questione (Freddy) John Bosco, il sacerdote in questione appare qui nel video al minuto 1:36, commentando una presunta apparizione della Madonna….
http://www.thoothoor.com/v5/report_PoothuraiMaatha.asp
Niente a che fare, quindi con il Freddy intervistato da Oggi.
[…] I due Marò: quello che i media italiani non vi raccontano | Giap. […]
Ho pubblicato questo articolo sul mio blog.
Grazie per l’informazione!
Questo il link:
http://solomenevo.wordpress.com/2013/01/04/e-ci-hanno-fatto-due-maroni/
Ciao!
Visto che si continua a parlare ancora di pirateria in Kerala, ricordo a tutti che i casi di pirateria in questo stato indiano sono almeno più di 1200 nel solo 2012. Basta andare su google: http://www.google.com/search?client=aff-maxthon-newtab&channel=t2&q=kerala%20piracy#hl=it&client=aff-maxthon-newtab&tbo=d&channel=t2&sclient=psy-ab&q=kerala+piracy&oq=kerala+piracy&gs_l=serp.12…0.0.2.1007.0.0.0.0.0.0.0.0..0.0…0.0…1c.OhCm0rPlelM&psj=1&bav=on.2,or.r_gc.r_pw.r_qf.&fp=20cc9951bcf72f21&bpcl=40096503&biw=1236&bih=578 L’unica conclusione sensata è che la gente scarica gratis e illegalmente i film porno nei paesi cattolici più che in quelli hindu e musulmani. Buon dowload e speriamo che non mandino coi soldi pubblici i “loro” marò a sparare su chi scarica la musica senza pagare a giro per il mondo, eh? Maledetti pirati…
ciao a tutti,
sono nuovo di Giap quindi abbiate pietà. Vorrei sapere se ci sono aggiornamenti su questa vicenda http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=2572
Non sono riuscito a commentare nell’articolo in questione nè a capire se c’è modo tramite questo sito di contattare gli “amministratori”, commentare a sproposito qui è l’unico modo che ho trovato per fare questa richiesta. Chiunque mi sappia dare risposte utili (sia sulla richiesta specifica sia su come contattare i wu ming) avrà la mia simpatia.
Grazie
Ciao, la vicenda si è conclusa con una vittoria netta di chi si era mobilitato per fermare lo scempio. Se vai nella colonna destra in basso, dove ci sono le parole-chiave, clicca su “rogodilibri” e vedrai tutti i post su quella battaglia, fino a un documentario che la riassume tutta.
Caro Miavaldi,
conosco benissimo e apprezzo il lavoro dei giornalisti, figuriamoci. Io sono diventato “esperto” in questo genere di indagini proprio perchè dal 1987 alla fine del 1994 ho collaborato con un giornalista, il compianto Franco Scottoni di Repubblica. A lui serviva un tecnico in grado di leggere in modo professionale le varie perizie e controperizie sul caso Ustica, e per ben 7 anni ho avuto questa funzione, zitto e mosca come una talpa.
Poi, quando è uscita la perizia Taylor che concludeva “bomba nella toilette” me la sono studiata sei mesi, mi sono fatto portare da Priore con un memoriale di 12 pagine, sono stato nominato CT dalla compagnia aerea, ci ho lavorato ancora un anno, e a fine ’95 ho depositato la mia nota tecnica che ha fatto buttare nel cestino la perizia della bomba nella toilette. Quattro anni di lavoro di 11 luminari italiani e stranieri, e 45 miliardi del pubblico erario spesi, ma era viziata da tali e tante contraddizioni da essere dichiarata “inutilizzabile”. Il difficile era evidenziarle in modo oggettivo, le contraddizioni.
A ottobre ’95 sono stato chiamato da Priore a partecipare al supplemento di perizia radaristica analizzando per quattro anni i dati radar delle stazioni della NATO e del Controllo del Traffico aereo.
Poi ho fatto altre inchieste del genere, sia come perito giudiziario (Procura di Ancona, 2005) che di parte civile (incidente aereo a Genova, 2008)
Chiarito il curriculum, che direi inappuntabile, è vero che l’analisi sulla Enrica Lexie è fatta finora sui dati non ufficiali. E vorrei vedere che lo fosse! L’accusa deve dimostrare la colpevolezza al di la di ogni ragionevole dubbio, e se emergono elementi di dubbio è l’accusa che li deve chiarire, mica la difesa. E’ la base del Diritto.
Se il processo sarà fatto (Italia o India non importa) nel rispetto degli elementi del diritto allora tutti ci dovremo riconoscere nella sentenza. Altrimenti, se il tutto avverrà senza che i capi di accusa e gli elementi probatori a supporto siano stati resi pubblici fin dal principio sarà una buffonata, una caccia alle streghe dove l’accusato deve dimostrare di non essere colpevole. La strega non poteva dimostrare di non essere andata al sabba a cavallo di una scopa e di non essersi accoppiata col diavolo, per cui finiva sul rogo.
Io mi impegno finora a che qualsiasi documento ufficiale mi venga dato a pubblicarlo per intero, senza sintesi, riassunti o estrapolazioni.
Immagino che tutti vorremo fare altrettanto.
(comunque ringrazio tutti per questa possibilità di confronto e della possibilità di spiegare i dettagli della vicenda)
C’è chi si pone la domanda: li stiamo abbandonando? Francamente non credo sia serio pensare che due militari, così sovraesposti mediaticamente, si possano definire in pericolo di abbandono da parte della Patria.
I veri ABBANDONATI in India sono due italiani incarcerati per omicidio di un loro amico, con prove e un’accusa che fanno acqua da tutte le parti. (Le Iene ne parlarono tempo fa.) E questo perché? Perché i due (tre) sono tossici coglionazzi andati in India a strafarsi. Quesot basta per lasciarli marcire in quelle prigioni. E forza Italia…
Mi permetto di aprire un sottothread separato partendo da un commento fatto più sopra da @Norbert:
“Visto che i Marò (e analoghi su navi di altri paesi) non son stati messi lì in un attacco di machismo neocolonialista degli stati europei ma per combattere la pirateria (e l’aumento dei costi, che si scaricherebbe comunque sui cittadini – consumatori) spero bene che tutti gli stati rivieraschi interessati abbiano informato i rispettivi naviganti”
Si sbaglia proprio dove fa del sarcasmo: i marò *sono* stati messi lì in un attacco di “machismo neocolonialista”. E nel caso dell’Italia dire “necolonialismo” è particolarmente appropriato, perché la pirateria somala è il risultato di condizioni politiche che si sono determinate in Somalia, cioè in una ex colonia italiana che l’Italia ha continuato a “seguire” anche dopo la fine ufficiale della colonizzazione.
Per quanto riguarda i costi sui consumatori, basta consultare Wikipedia per scoprire che i danni subiti dalla marina commerciale a causa dei furti nei porti sono molto maggiori di quelli subiti a causa della pirateria, ma non per questo si mette l’esercito sulle banchine d’Europa. Il problema della pirateria non è un problema di microcriminalità, ma una gigantesca questione politico-economica; la scelta di affrontarla con lo stesso apparato militare, diplomatico e ideologico della “guerra al terrorismo” è una scelta politica e non tecnica, così come la scelta di integrare l’esercito statale nelle flotte commerciali private.
Invito tutti a leggere questa voce di Wikipedia che è straordinariamente interessante per capire di cosa stiamo parlando: http://en.wikipedia.org/wiki/Piracy_in_Somalia
Sono convinto inoltre che la guardia di merci (potrebbero essere derrate alimentari, braccialetti, calzini o qualsiasi altra cosa) non dovrebbe essere affidata a militari, ma a guardie del corpo. Io spero sempre che un giorno i wu ming si mettano a scrivere una controstoria di pirati e corsari (che spesso sono usati come sinonimi, ma sono due cose distinte e separate). Non so chi paghi i marò per la loro opera, e nemmeno ce l’ho con quei due soldati che sono in mezzo a questa storia. Mi chiedo solo come sia possibile che un esercito faccia la guardia alle merci come una qualsiasi milizia privata. Inoltre, i pirati sono un problema complesso, e di difficile soluzione, affronatato più volte dalla giurisdizione internazionale. Hanno anche reso possibile il processo a Adolf Heichmann e quello più vasto contro i criminali di guerra a Norimberga. Eppure nella storia si parla di vascelli alla ricerca di pirati nei mari, ma mai di soldati in difesa delle navi. Al massimo erano mercenari, quel che adesso si chiama milizia privata. Ma li pagava l’armatore. La giustificazione dell’innalzamento dei costi è decisamente poco logica anche dal punto di vista di una economia di mercato: mi sembra ridicolo che un impiegato dello stato protegga le merci private. È come se al p osto delle guardie private nei supermercati ci fosse un carabiniere. Non che lo reputi impossibile da qui a 10 anni, ma per ora sarebbe inaccettabile.
“Mi chiedo solo come sia possibile che un esercito faccia la guardia alle merci come una qualsiasi milizia privata”.
C’è la crisi, non sanno più dove trovare i soldi.
Ospedali: chi è esente dal ticket passa per ultimo.
Scuole medie: portatevi la carta igienica.
Università: cercatevi degli sponsor.
Militari: vi troviamo un vero lavoro.
Non è questione di fare la guardia alle merci, ma di essere merci. Perfino banale, no?
Art. 473.
Contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali.
Art. 474.
Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi.
questi due articoli del nostro codice penale puniscono come delitto contro la “fede pubblica” la produzione e il commercio di merci (private) più o meno bene contraffatte; quindi noi paghiamo le attività di polizia, procure, tribunali e penitenziari a tutela di aziende private e dei loro prodotti.
Ricordo che le navi sono manovrate da equipaggi, non vanno avanti da sole.
Ricordo che questi equipaggi sono composti da poveri diavoli che fanno una vitaccia, non da ufficiali da Love Boat (mio fratello ha lavorato come ufficiale di macchina su una portacontainer oceanica e mi ha fatto un quadro a suo tempo), e quando una nave viene sequestrata questi poveri diavoli spariscono, nessuno se li caga, non c’è un La Russa a candidarli in contumacia nei Fratelli de me coioni… ricordo l’esperienza di un mio concittadino http://ilpiccolo.gelocal.it/cronaca/2011/09/16/news/il-triestino-sequestrato-sto-morendo-salvatemi-1.819862
Personalmente non mi urta che dei lagunari difendano queste persone (e i relativi scafi con la relativa merce, è pacifico), o almeno mi urta molto meno se sono dislocati sui ponti dei mercantili piuttosto che in Afghanistan, per dire…
I pirati hanno le loro ragioni certo, ma anche chi si imbarca e fa questo mestiere le ha…
Francamente stracciarsi le vesti “sull’assioma” (come direbbe Mastandrea :) ) militari-mercenari credo sia buttar in cagnara una questione che andrebbe approfondita con più cautela… anche accanirsi sui due marò mi sembra una caduta di stile (per esempio alludere ad un loro esercizio di “tiro a segno”), finora mi pare si siano comportati in maniera inappuntabile, a qualunque sponda appartengano. Sono antimilitarista eh, ma se l’antimilitarismo serve solo ad alimentare preconcetti beceri mi chiamo fuori…
Non credo che abbia senso discutere sul loro comportamento o sul perchè fossero lì, il focus qui non è su di loro ma su noi, la nostra stampa, il nostro paese e la cagnara degli stronzi, non aggiungiamo altra cagnara – di segno opposto ok, ma pur sempre cagnara rimane
@maurovanetti
Mi permetto di stralciare un pezzo del suo commento per fare una chiosa.
lei scrive: “Il problema della pirateria non è un problema di microcriminalità, ma una gigantesca questione politico-economica; la scelta di affrontarla con lo stesso apparato militare, diplomatico e ideologico della “guerra al terrorismo” è una scelta politica e non tecnica, così come la scelta di integrare l’esercito statale nelle flotte commerciali private.”
Io rammento che già nel 1988 (Golfo Persico, quando i pasdaran attaccavano petroliere civili) i militari (in forma di navi della Marina Militare) proteggevano il naviglio civile (http://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Golfo_1). Lo fanno tutt’ora (operazione Atalanta – http://www.marina.difesa.it/attivita/operativa/Pagine/Atalanta.aspx) e operazione Ocean Shield http://www.marina.difesa.it/attivita/operativa/Pagine/OceanShield.aspx).
La scelta (che a me personalmente non piace) di mettere personale militare a bordo di navi civili *può* avere un senso economico, particolarmente in periodi di tagli ai budget, compreso quello della Difesa.
Mettere 16 marò invece di usare ulteriori navi (che si usurano, consumano carbolubrificanti e parti di ricambio) con relativi equipaggi (e parliamo di equipaggi sulle duecento persone – http://www.marina.difesa.it/uominimezzi/navi/Pagine/Fregate.aspx) può essere “cost efective”
Se sia una buona idea non lo so – ho le idee abbastanza confuse in proposito
Riguardo al se sia “meglio” imbarcare militari delle FFAA oppure contractors/guardie giurate /mercenari sui mercantili ho le idee ancora più confuse.
E spero che continuando a seguire gli interessanti interventi me le chiarirò un po’
Buon pomeriggio
Ing. Di Stefano, ora che ha detto in modo inequivocabile di pensare “tutto il male possibile” di chi sta strumentalizzando politicamente la vicenda dei due marò, mi permetta di chiederle cosa ne pensa del manifesto di Casapound che abbiamo riportato, e in generale di come i neofascisti di Casapound si stanno occupando della questione.
In realtà la domanda ne introduce un’altra, una richiesta di chiarimento:
in rete parecchie fonti, anche e soprattutto di Casapound, la danno come “dirigente nazionale” di quell’organizzazione di estrema destra, nonché suo “responsabile delle politiche energetiche”. Basta cercare “Luigi Di Stefano Casapound” o “Di Stefano Casapound”.
Leggo anche che i fratelli Di Stefano, dirigenti di Casapound, sarebbero suoi figli. Uno dei due è anche candidato governatore alla regione Lazio.
Si tratta di omonimie, come sinceramente spero?
E’ un altro “ingegner Luigi Di Stefano”?
Oppure quelle informazioni sono vere?
Naturalmente, la sua eventuale appartenenza politica neofascista, di per sé, non porterebbe a concludere nulla sull’accuratezza dei dati “duri” che ha proposto nella sua perizia. Ci mancherebbe altro.
Però indurrebbe a riflettere su quello che noialtri (noi che bazzichiamo le scienze “quell’altre”, quelle della comunicazione e del linguaggio) chiamiamo framing, ovvero: dovremmo riflettere sulla cornice concettuale e ideologica nella quale i suoi “hard data” sono inseriti. E potrebbe anche farci concludere che Miavaldi, di puro intuito, aveva visto giusto nel rinvenire nel suo modo di procedere un “senso di superiorità occidentale”.
Mi illumini su questo versante della faccenda, grazie.
Tra l’altro, vedendo le immagini che restituisce Google, sembra di poter concludere che l’ingegner Luigi Di Stefano dato per dirigente neofascista e l’ingegner Luigi Di Stefano autore della controperizia sui due marò si somigliano come due gocce d’acqua.
Non sempre i proverbi sono affidabili, e in particolare “Dove c’è fumo, c’è arrosto” è uno dei meno affidabili, ma a volte dove c’è fumo, c’è effettivamente anche l’arrosto…
http://www.wumingfoundation.com/giap/wp-content/uploads/2013/01/mar_perizia.jpg
Be’, la collaborazione con Casa Pound e col Blocco Studentesco l’ing. Di Stefano la mette addirittura nel curriculum: http://www.seeninside.net/curriculum/cpi_venergia.pdf
Consentitemi un’altra osservazione, utile a inquadrare l’ing. Di Stefano. Leggendo che è stato un importante perito nel caso Ustica, qualcuno potrebbe farsi un’idea erronea sul ruolo giocato da Di Stefano in quella vicenda. La posizione di Di Stefano al proposito è ben espressa da queste due citazioni che prendo dal suo stesso sito:
“In questo capitolo racconto come è iniziato il mio coinvolgimento nell’Affare Ustica, alla fine di Settembre del 1989.
Con una telefonata perchè non mi stava bene un articolo apparso su La Repubblica: – Ma scusi, secondo lei allora i missili ce li hanno solo gli americani?
[…]
Evidentemente c’era chi aveva i suoi interessi a suonare il trombone dell’antiamericanismo di maniera e santificare il Colonnello.”
Di più non fatemi dire. Siete tutti abbastanza cresciuti per capire. Ricordatevelo: tutto si tiene.
la prima conferenza stampa di Luigi Di Stefano per presentare la “controperizia” sui due marò si è tenuta proprio nei “locali” di Casapau a Roma: http://lucanianonconforme.files.wordpress.com/2012/04/wpid-facebook_137770937.jpg?w=595
Trovo curiosa anche questa parte del curriculum pubblicato dall’ing. Di Stefano sul suo sito:
Di Stefano scrive che ha lavorato con il “MIT (Chicago)”.
Scusate, ma il MIT non sta a Cambridge, città gemella di Boston, in Massachusetts?
Io al MIT ci ho tenuto una conferenza nel 2008, e mi tocca dire che no, non mi trovavo a Chicago.
Dice anche che l’University of California sta a “Brookhaven”. A me risultano esistere un Brookhaven College , che però sta in Texas, e un Brookhaven National Laboratory, che però sta a New York.
In tutto il sito ufficiale dell’University of California, di una sede a “Brookhaven” non c’è alcuna traccia.
Non dico che siano informazioni false, forse sono solo sviste, cose scritte in fretta, boh. Ma io la penso così: un curriculum redatto in questo modo lo respingerebbero non solo al MIT, ma anche al CEPU.
Ma le stranezze non finiscono qui. Mi ha stupito che un curriculum così dettagliato non contenesse informazioni sulla laurea di questo bravissimo Ing. e così ho cercato meglio: in effetti Luigi Di Stefano afferma di essere stato proclamato “Doctor of Science in Environmental Engineering (Ingegneria Ambientale) presso Adam Smith University of America – USA”. Oh bella, mi sono detto, si è laureato all’estero in un’università di cui non ci dice in quale città si trovi.
In effetti, la Adam Smith University non si trova in alcuna città: http://en.wikipedia.org/wiki/Adam_Smith_University Traduco: “La Adam Smith University […] è un’università per l’apprendimento *a distanza* *non accreditata* fondata nel 1991”. Compare nella “lista delle istituzioni i cui titoli è illegale utilizzare in Texas”; chissà se in Italia invece vale.
E bravo il nostro ingegnere.
Ingegnere, non risponde più? Non si sarà mica offeso…
Faccio un momento l’avvocato del diavolo: forse questa non è la sua prima laurea, ma una cosa che ha aggiunto in là con gli anni, studiando nei ritagli di tempo?
A distanza, sì, che c’è di male? A cinquant’anni e passa uno c’ha una vita da seguire, mica può prender su tutto da un giorno all’altro e andare a Brookhaven o Chicago…
Occhio, perchè sempre secondo wikipedia (http://en.wikipedia.org/wiki/Doctor_of_Science#United_States) questo Doctor of Science è equivalente (anche se più raro) al Doctor of Philosophy o Ph.D.
Per cui non è una laurea (altrimenti sarebbe un Bachelor of Science o B.S.: en.wikipedia.org/wiki/Bachelor_of_Science), ma un Dottorato di Ricerca.
A questo punto, quindi, il mistero s’infittisce (o il giallo diventa ancora più giallo…a voi la frase fatta che più vi aggrada):
In quale università l’Ing. Di Stefano ha ottenuto la sua laurea? (Perchè se si fa chiamare Ing. e ha un Dottorato di ricerca, la laurea da qualche parte la deve aver ottenuta)
e perchè non è menzionata nel CV?
Altrimenti perché si fa chiamare Ing.? (Va bhè che per quel che contano i titoli in italia…)
e come avrebbe fatto ad ottenere direttamente un dottorato di ricerca?
E possibile che ste cose sull’Ing., saltate fuori con due googolate in croce dopo che si era presentato tutto amichevole qui su Giap, nessuno le avesse nasate mentre lo stesso era coinvolto come consulente su altre questioni?
Ok, Google non c’era ancora fino a qualche tempo fa, però qualche copia del curriculum con il MIT di Chicago e UC Brookhaven (a sto punto non sarebbe stato più carino mettere UC Modesto?) l’avrà pur dovuta mandare in giro…
Da avvocato del diavolo, avevo scritto che quello dell’Adam Smith Society poteva essere un titolo in più, preso in seguito. Devo dire che a me sembra improbabile che non sia laureato. Possono essere diversi i motivi per cui non include la laurea nel CV, magari considera poco prestigioso l’ateneo, oppure si è laureato tardi, ritiene che siano più importanti le cose che ha fatto in seguito. Ciò non toglie – anzi, aggiunge! – che il curriculum sia scritto in modo strano forte, e sorprende che nessuno lo abbia mai letto con attenzione.
Ragazzi, non scherziamo. Se uno scrive su un curriculum che a 21 anni si è diplomato e poi dice solo che ha preso uno Sc.D. in un’università per corrispondenza, senza menzionare una laurea né l’esame di Stato per diventare ingegnere, non significa con matematica certezza che non si sia mai laureato, ma i dubbi vengono: http://www.seeninside.net/ilva/curriculumLDS_280912.pdf
Sempre sul suo sito c’è un commovente racconto della vicenda professionale del nostro ingegnere: http://www.seeninside.net/energia/index.html A quanto pare oltre che un genio è anche un perseguitato:
“Se si parla di ecologia sono capace di prendere cinquemila tonnellate di acqua di fogna al giorno e ridarvela più pulita dell’acqua minerale.
[…]
Ci chiuderanno a Castel Sant’Angelo. Benissimo, voglio la stessa cella di Galileo.”
Forse è per via della sua abilità nel riciclare l’acqua di fogna che ha stretto amicizia con quelli di CasaPound!
Ad ogni modo, può darsi che ci sia una validissima spiegazione per questa curiosa omissione della laurea nel suo CV; in tal caso varrà il detto “Domandare è lecito, rispondere è cortesia”. Ma pare che a Grifo si sia improvvisamente rotta l’ADSL. Resta il fatto che personalmente non ammiro chi – laureato o meno – si rivolge a università per corrispondenza e poi si fa forte dei titoli che lì ha ottenuto per dare forza alle sue ricerche, come ha fatto anche qui su Giap. Sarò snob.
Comunque, c’è una cosa che sicuramente dà meritato prestigio al nostro amico ingegnere, oltre al fatto che suo figlio potrebbe diventare presidente del Lazio se CasaPound vince le elezioni: ha fatto una doppia intervista con Domenico Scilipoti sul tema dell’usura bancaria. Googlare per credere.
Scusate se mi sono fissato con questa faccenduola, ma non siamo i primi ad aver sollevato dubbi sulla competenza di Luigi Di Stefano. Scopro che lo hanno fatto anche gli esperti che si sono occupati del caso Ustica in tribunale. Infatti lo stesso Di Stefano racconta:
“Fin da quando è cominciata la mia partecipazione all’inchiesta come CT è sorto il problema che io ‘non ero all’altezza’ degli esperti di tutte le parti.
Non ero nemmeno laureato, come facevo a cimentarmi con persone di elevato spessore scientifico?”
http://www.seeninside.net/ust27.html
Questo taglia la testa al toro, direi.
Lui stesso ammette di non essere laureato?! Ma si fa chiamare ingegnere! :-O
Attenzione alle date però.
Da quanto si apprende qui: http://www.seeninside.net/curriculum/ctbl10a.html
Ha lavorato sul caso Ustica come perito nel periodo 1995-1999.
Stando sempre a quel sito la laurea presso la Adam Smith University of America è stata presa nel 2008.
Se quelle sono memorie dei tempi di Ustica, ovviamente si tratta di anni antecedenti al conseguimento della laurea nel 2008 e quindi non poteva avvalersi del titolo di ingegnere (ma potrà farlo ora? Mancano pezzi del puzzle!).
Per quanto riguarda la questione MIT guardando qui: http://www.seeninside.net/ilva/curriculumLDS_280912.pdf
Si legge:
“Massachusset Istitute of Tecnologies (MIT, Chicago)”
Quindi si vuole riferire proprio al MIT di Cambridge.
Sarà un errore geografico? Una svista? Un razzo missile con circuiti di mille valvole? Solo lui potrà svelare i segreti nascosti nel suo particolare curriculum.
ho fatto una verifica sui siti degli Ordini degli Ingegneri del Lazio. presumibilmente, l’ingegnere dovrebbe essere iscritto all’Albo del Lazio, ma io non l’ho trovato…
http://www.ording.roma.it/albo/index.aspx
Per quanto riguarda la perizia di parte per Ustica, i siti che parlano del lavoro svolto lo citano o con il semplice nome e cognome, o con l’appellativo di “tecnico”.
(abbiate pazienza, sono figlia di un ingegnere: già ho dovuto discutere con lui per la vicenda dei marò accolti da Napolitano, non vorrei esacerbare gli animi…)
rettifico il precedente: (non) iscritto all’Albo della Provincia di Roma (gli Albi sono provinciali).
In aggiunta: Massachusset Istitute of Tecnologies (fonte: CV più volte citato) “nun se po’ sentì”. Forse intendeva Massachusetts Institute of Technology (http://www.mit.edu/)? Se così non fosse, allora quell’altro forse sta proprio a Chicago…
Anche io al MIT ci sono stato, quest’estate, segnatamente, e sono abbastanza certo che fosse appunto a Cambridge, Boston, Massachussets. In effetti a Chicago non ci ho mai messo piede, ripensandoci ulteriormente. Ingegner Di Stefano, ne vogliamo parlare, o, come da tradizione di Casa Pau, ci risponderà con un “e allora, le foibe?”
potrebbe essere il Midwest Institute of Technology?
http://www.uscollegesearch.org/midwest-institute-of-technology-inc.html
E cos’è il Midwest Institute of Technology? Non sembra nemmeno avere un sito ufficiale… Qui c’è scritto che è “Non-degree Granting”, cioè non è accreditato come università che rilascia lauree ed è nella categoria “Continuing education”, cioè fa corsi di aggiornamento e cose del genere.
Qui dice che esiste solo dal 1988 e, alla data del 2010, aveva 12 studenti iscritti! Boh.
Secondo me se uno scrive che ha collaborato col MIT, sa che sigla sta usando e che riferimenti sta evocando. Di certo uno che legge non pensa che “MIT” stia per Midwest Institute of Technology Inc., e non credo che Di Stefano si riferisse a quest’ultimo.
Giusto per chiarezza, durante i tre anni (1978/1981) passati come dipendente dello Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – Laboratori Nazionali di Frascati, mi sono specializzato, fra l’altro, nella lavorazione ottica del vetro organico (PMMA), per la realizzazione di guide di luce e rivelatori di particelle subatomiche.
Uscito dallo INFN per mettermi in proprio ho lavorato praticamente per tutti i centri di ricerca nucleare di Europa e USA proprio producendo questi strumenti. Quelli che ho citato è perchè sono i più prestigiosi o per i lavori più importanti fatti.
Stessi lavori venivano fatti per il CNR, laboratorio di Astrofisica che li imbarcava sui palloni stratosferici, etc. etc.
Questo nell’immagine è appunto uno dei circa 600 rivelatori di particelle che andarono al MIT
http://www.seeninside.net/curriculum/scint01s.jpg
Ok, ma… Al MIT di Boston o a quello di Chicago, se è lecito? Quello di Chicago è tra i più prestigiosi? E la University of California di Brookhaven? La laurea dove l’ha presa?
Ed è lei l’ingegner Di Stefano dirigente di Casapound? Immagino che lei pensi “tutto il male possibile” anche di Casapound, vista l’affermazione decisa che ha fatto in uno dei commenti sopra. Oppure pensa “tutto il male possibile” di chiunque faccia politica sui marò a parte l’organizzazione politica che candida suo figlio alla presidenza della Regione Lazio?
Grande.
Volevo dire che anch’io mi sono appena imbarcato su un pallone stratosferico.
Si sta da dio, ve lo consiglio.
Poi una volta vi racconto anche come si attribuisce il titolo di Ingegnere a Napoli.
L.
ciao, non lo dico per campanilismo ma non credo che la facoltà di ingegneria di napoli sia paragonabile ad un istituto che vende titoli. e lo stesso vale per l’esame di stato.
A Napoli i titoli non si vendono.
Vengono distribuiti, gratis.
Dai parcheggiatori, non sempre abusivi.
Dottò..Avvocà..Commendatò (un po’ in disuso)..Ngignè (eccolo là).
E’ una questione di ubicazione.
Del parcheggio.
Forza Napoli.
Gennaro Cavani a tutti.
L.
Ho amici all’INFN di Frascati, chiederò. Vediamo cosa ne vien fuori, a quest’ennesimo giro di giostra.
Ah, “ingegnere”, sorridi, sei assurto agli onori della cronaca:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/05/maro-italiani-spunta-perizia-del-finto-ingegnere-targato-casapound/461924/
Scusate, ma ho capito bene?
Si discute di “Perizie” fatte da gente che non muove il culo da casa, e copincolla un po’ di roba e frattaglie tra rete e stampa italica?
Ma che davero davero? E so’ de casapau?
Ormai siamo tutti da manicomio.
Poi dice che arrivano i marziani…
L.
P.s.
Mi piacerebbe che gli ottimi di chinafiles dicessero, en passant, se sono in possesso dei dati su quanti italiani giacciono nelle galere indiane, ad esempio, o asiatiche in generale. E del perchè non ce ne sbatte un marone.
Sono “Perizie” sufficienti a generare orgasmi a gente con scarso senso critico e/o con idee di estrema destra. Ad altri provocano invece forti movimenti rotazionali nelle zone intime. Per non parlare poi delle frasi “…i nostri… soldati..” del simbolo della Marina Militare sulla Ferrari al GP e degli striscioni e tricolori con la scritta “Liberi subito”. Come se i Marò fossero stati già processati, giudicati innocenti ma trattenuti in India per motivi incomprensibili. In un TG italiano ho sentito addirittura “…i due Marò che hanno sparato a due pescatori scambiandoli per pirati”. Ma fatelo almeno cominciare ‘sto processo. E quell’ altro li riceve pure al Quirinale. Una vergogna senza fine.
Commento solo per dire che a StrugglesInItaly (per chi non sa cos’è: https://strugglesinitaly.wordpress.com/) stiamo pensando di tradurre in inglese parti di questo post e dei commenti. Dubito faremo una traduzione integrale, date le numerose allusioni e sottintesi.
Da poco stiamo cercando di mostrare i casi di distorsione informativa (media bias) italiani, questo è un ottimo esempio. Ottimo ma intricatissimo, quindi chiunque volesse condividere fonti e/o indicazioni di qualsiasi tipo o addirittura darci una mano, può scriverci a strugglesinitaly@gmail.com .
Un ottimo articolo che chiarisce finalmente fatti che sulla stampa “normale” vengono trattati in modo superficiale e spesso ambiguo. Ma volevo aggiungere che mi ha colpito la proposta fatta dalla giornalista di Report Milena Gabanelli, per far rimanere in Italia i due militari.
Di seguito una parte dell’intervento della giornalista:
“… i nostri due marò passeranno le feste a casa a condizione che fra due settimane vengano riconsegnati all’India. Un paese dove, se saranno condannati, rischiano la pena di morte. Allora, che cosa succederà in queste due settimane? Noi non siamo stati in grado di fare una legge elettorale, ma per una campagna elettorale potremmo essere capaci di qualunque cosa. Per una volta dimostriamo di essere un Paese dove a vincere è il diritto.
E il diritto internazionale prevede che chi ha commesso reati venga processato nel suo paese. È vero che non si trattava di un’operazione militare in senso stretto, è vero che la giurisdizione è complessa, ma sono i nostri connazionali, e come paese potremmo assumerci la responsabilità di non mantenere la promessa garantendo però all’India di fare le cose seriamente e quindi di processarli qui, e se ritenuti colpevoli e condannati, incarcerati qui, perché la c’è la pena capitale. Ma bisogna pensarci subito, bisogna farlo subito, senza aspettare che finiscano in pasto alla politica che li strumentalizza, li candida, li fa diventare eroi, rischiando così ancora una volta di dimostrare al mondo intero di essere un paese pasticcione e poco credibile”.
l’appello di Gabanelli è caduto nel vuoto, e sta bene, ma mi domando il motivo che può avere spinto questa persona, che si è fatta un nome come giornalista attenta ai problemi sociali e di fustigatrice dei costumi (anche se alcune sue inchieste erano delle bufale, va detto) a proporre una simile azione destabilizzante, in un momento delicato come questo. Inoltre strano che la giornalista scriva che il diritto internazionale prevede che chi ha commesso un reato venga processato nel suo paese, dato che chi commette un reato in un altro paese viene processato lì, come se avesse dato per scontato che il fatto era avvenuto in acque internazionali e non in acque indiane, ma non lo dice espressamente.
In questo pezzo (linkato sopra, ma ripropongo qui: http://www.china-files.com/it/link/23034/india-quello-che-non-vi-hanno-detto-sul-caso-enrica-lexie) racconto che il Senato italiano ha già fatto passi in questo senso, il 25 ottobre, raggiungendo un accordo con l’India.
rientra nel tono gabbibbesco e banalizzante che tende ad avere report.
tra l’altro mi pare molto mendace quando dice “E il diritto internazionale prevede che chi ha commesso reati venga processato nel suo paese” davvero voleva sottintendere che il fatto è avvenuto in acque internazionali o, come credo, l’ha buttata lì tanto per rafforzare? (io opto per la seconda)
ps che la gabanelli abbia acquisito tutta l’autorevolezza che dici è indicativo dello stato del paese
Non esageriamo su Report e Miena Gabanelli, stiamo parlando di una trasmissione e di una giornalista che hanno molti meriti. Giustissimo non essere acritici, ma credo sia sbagliato sminuire quel percorso.
certo che meriti ci sono (non la pongo sullo stesso piano di un fede o un caprarica) credo comunque che venga incensata (certo, non nel contesto di giap) per lo stesso criterio per cui basta che una struttura assolva al proprio dovere per essere definita eccellenza.
relativamente alla banalizzazione ed ai tratti gabbibbeschi mi riferisco alle ‘soluzioni facili’ che spesso accompagnavano il programma (sono anni che non lo vedo) ed al fatto che svariate volte, specialmente quando ha affrontato temi di carattere scientifico, a furia di semplificare ha finito per dire delle corbellerie allucinanti.
Senza dubbio ha dei meriti, ma resta il fatto che il metodo Report è spesso estremamente scorretto, semplificante e spesso molto impreciso
Sottoscrivo ciò che è stato detto da figuredisfondo e El_Pinta, aggiungendo che se Report e la Gabanelli sono diventati un simbolo di informazione con la i maiuscola è dovuto in gran parte al vuoto informativo che c’è in questo Paese, senza nulla togliere al lavoro di quella squadra. Ma di sicuro non sono gli angeli custodi dell’informazione integerrima cui molti credono, le sbugiardate in merito non mancano. Comunque mi sto facendo un trip assurdo leggendo tutti i commenti su questa storia, sembra un film di 007.
Ammazza sembra diventare un film ‘sta storia!
Ci vorrà un altro post solamente per includere tutti gli sviluppi.
Dallo strano ingegnere fasciopau, alle cazzate della pubblicista Gabanelli, evidentemente risucchiata dal mainstream.
Complimentoni a Matteo Miavaldi (ed anche a tutti gli altri dell’ottimo (ot-ti-mo) China files: da Simone Pieranni a Cecilia Attanasio) e a i wuminghi per questa meritoria azione di approfondimento.
Sarà interessante vedere coma va a finire la storia dell’ingegnere del MIT di Chicago, ma intanto posso dire di aver imparato – grazie a voi – che stiamo pagando le tasse anche per remunerare dei soldati che agiscono come veri e propri contractors/mercenari: per conto di privati e a tutela di interessi privati.
Perchè dobbiamo pagarli noi?
Senza entrare nei dettagli della vicenda, vorrei commentare il taglio generale dell’articolo.
Perdonate la verve polemica, ma mi sembra che non ci sia nessuna sostanziale (forse non è questa la parola giusta, ma spero il senso sia chiaro lo stesso) differenza tra la strumentalizzazione politica dei vari La Russa e Casa Pound e la vostra. Due partiti presi, due approcci ideologici, due strumentalizzazioni simmetriche.
Combattere il nazionalismo neo-fascista (sulla cui reale forza poi ho i miei dubbi) è cosa buona e giusta, ma mi sembra che non sia utile farlo contrapponendogli un anti-nazionalismo puramente reattivo e privo di ogni valore proprio. Da un lato uno sciovinismo nazionalista un po provinciale, d’accordo. Dall’altro cosa mi proponete? Un anti-nazionalismo esterofilo (e dunque ugualmente provinciale) e puramente reattivo, privo di forza propria. Una roba che ho visto tante volte in vita mia e che conosco bene. Viene quasi il sospetto che le due tendenze siano in simbiosi.
Avrei preferito, ma questa è una mia opinione, un lavoro tranquillamente analitico.
Ma devo dire che anche la tua mi sembra una lettura del post pregiudiziale, tarata su quel che sostieni di aver visto tante volte in vita tua (avrai avuto frequentazioni”esterofile”), e dunque reattiva e carente di valore proprio. Riguardo al mettere sullo stesso piano la narrazione sciovinista dominante e il pezzo di Miavaldi, faccio solo notare che la prima intasa tutti i mezzi di informazione italiani ormai da un anno ed è portata avanti in pompa magna dalle stesse istituzioni dello Stato, il secondo è il resoconto di uno che dall’India, su un blog, cerca di ascoltare l’altra campana (peraltro criticamente visto che parla di nazionalismo e campanilismo dei media indiani), la campana che in Italia è stata silenziata. Dalla dissonanza tra le due campane parte per parlare dei troppi dettagli che non collimano. Dettagli nei quali tu, già in partenza, non vuoi entrare. E quindi non entri nemmeno nella questione, ti fermi sulla soglia. Questo, secondo me, oltre a farti perdere il senso delle proporzioni (da una parte Miavaldi e gente che viene qui su Giap perché altrove non ha trovato ricostruzioni diverse da quella ufficiale; dall’altra parte un gigantesco megafono sciovinista che amplifica senza filtri ogni asserzione inquinante fatta da propagandisti a tempo pieno e personaggi anche oscuri), non ti aiuta a capire il “taglio” di quest’intervento critico.
Per il resto, hai espresso la tua preferenza su quale articolo avresti preferito leggere. Ne prendiamo atto.
Certo, la vostra è la voce di una piccola campana che fatica a farsi sentire. L’altra è una voce più dominante.
Ma ecco, è normale che una comunità nazionale accorra a difesa dei propri, non in quanto innocenti ma in quanto “propri”. Su questo poi ci marciano i neofascisti, ed è giusto stigmatizzarli. Ma, per entrare nei dettagli un pochino, a me sembra che nell’articolo normalissime azioni di solidarietà nazionale (i soldi alle famiglie delle vittime ad esempio), quelle che penso essere prassi diplomatiche davvero standard improntate a proteggere i nostri, vengano trattate come eccessi nazionalisti. E mi dispiace che ad i vari La Russa si debba contrapporre questo atteggiamento, diciamolo, un pochino autoflagellante. O, detto meglio, mi spiace che questo atteggiamento non sia supportato da nessun valore forte, che so, l’internazionalismo.
Ma ecco, è normale che una comunità nazionale accorra a difesa dei propri, non in quanto innocenti ma in quanto “propri”
E tutti gli altri disgraziati italiani in galera e/o in attesa di giudizio in India e in altre parti del mondo?
Sono meno “propri” dei marò? Oppure, semplicemente, si prestano meno a strombazzamenti nazionalisti e neocoloniali?
Da cosa poi tu deduca che non siamo internazionalisti è un mistero, visto che su Giap l’internazionalismo (fin dal nome scelto per il blog) è uno dei valori costantemente, cocciutamente ribaditi e anteposti a ogni discorso sullo stato del mondo.
Beh, certo, sono ugualmente “propri”, e personalmente mi auguro che vengano ugualmente protetti.
Però il primo commento mi confonde un pochino.
Dal punto di vista che tu hai appena rivendicato, quello dell’internazionalismo, questa difesa dovrebbe essere illegittima tout court. Pensi che lo sia?
Perchè a me invece sembra che il problema sia solo la maggiore esposizione mediatica che un militare ha rispetto ad un civile. E le strumentalizzazioni di destra.
Faccio una domanda la cui risposta mi interessa molto. Secondo voi, ogni forma di solidarietà nazionale è sbagliata? E’ necessario fare l’italiano autoflagellatore (e dunque provinciale ) per stigmatizzare i La Russa?
Il “primo commento” serviva a dimostrare che sui marò non ci si è mossi di default perché italiani, altrimenti sarebbe successo anche in tutti gli altri casi, ma perché si prestavano a un’operazione politica sciovinista e anche alquanto scoreggiona.
La domanda che poni è astratta: “solidarietà nazionale” di chi a chi? Di quale nazione stiamo parlando? L’Italia ha una storia colonialista e imperialista, dall’Unità d’Italia a oggi ha collezionato un passato prevalentemente da paese oppressore e invasore. In varie fasi della sua storia lo stato-nazione italiano ha invaso buona parte dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo: ha invaso la Libia, l’Albania, la Francia, la Grecia, la Jugoslavia, l’Egitto… Aveva mire sulla Tunisia frustrate all’ultimo secondo. Ha mandato massicci contingenti militari a distruggere la Repubblica spagnola al fianco di Franco e Hitler. Oltre a questo, ci sono la macelleria perpetrata su larga scala nel Corno d’Africa, l’aiuto nella repressione della rivolta dei Boxer ricompensato con la concessione di Tiantsin etc.
Abbiamo una storia di merda, ma non la conosciamo, l’abbiamo rimossa, i nostri criminali di guerra non sono stati consegnati alle giustizie dei paesi offesi, non abbiamo risarcito le nostre vittime, e poi ci stupiamo quando in alcuni paesi gli italiani sono accolti male!
E non mi sono ancora spinto nei decenni più recenti, con multinazionali italiane e grandi aziende di stato e parastato italiane che sfruttano, inquinano, reprimono guerriglie (si veda il Delta del Niger).
Però secondo te quello dei periodici rigurgiti nazionalisti, sempre accompagnati da una narrazione vittimistica che risale almeno (almeno) al discorso con cui Pascoli giustificò il carnaio libico (“La grande proletaria si è mossa”) e condita col sempiterno, odioso razzismo italiota, secondo te questo non è un problema di cui valga più di tanto la pena occuparsi.
“Internazionalismo”, almeno nella tradizione da cui io provengo, significa solidarizzare con gli oppressi a ogni latitudine. Esistono stati aggressori e popoli aggrediti. Noi tendiamo a dimenticarci (anzi, non lo ricordiamo mai) di essere un paese imperialista (ancorché oggi un po’ straccione), con una società infettata di cultura razzistica.
La nostra solidarietà nazionale non può esprimersi se non in modi ambigui e fetidi, perché abbiamo scelto di non fare chiarezza su questa realtà e sul nostro passato, anzi, lo abbiamo edulcorato (“Italiani brava gente”, “Un colonialismo diverso”) per poterlo rivendicare.
Io ancora non ho visto la storia di una comunità nazionale che non sia intrisa di sangue. Anzi, mi correggo, una storia di una qualsiasi cosa che non lo sia.
Vorrei anche far notare che un tale linguaggio, che sono contento di aver tirato fuori, non solo pervade l’articolo, ma, se utilizzato per qualsiasi altro paese (Germania, Francia, India) farebbe giustamente gridare i lettori di questo blog al razzismo.
Che fregatura però! Tutti i sensi di colpa dell’Impero Britannico e nessuno dei vantaggi. Deve avere un bel gusto questo cilicio intellettuale.
Guarda, questo trucchetto non funziona.
Tu cerchi di portare il dibattito su un piano astratto e generalizzante, con espressioni come “intriso di sangue”.
Io invece ho citato fatti concreti, articolazioni storiche precise, e la peculiare *rimozione* che l’Italia ha fatto del proprio ruolo di aggressore colonialista e imperialista.
In tutto il mondo si studia questa rimozione, perché mentre i crimini coloniali e i crimini di guerra li hanno fatti tutti, soltanto in Italia il dibattito storiografico è stato fermo per decenni e il negazionismo (es. Montanelli sui gas) ha occupato i posti-chiave del sistema mediatico, e i negazionisti sono celebrati anche post mortem.
Una differenza fondamentale tra noi e l’ex-Impero britannico è che noi ci rappresentiamo sempre come vittime (fin dall’Inno nazionale: “Noi fummo sempre calpesti e derisi”), loro no, perché sanno bene di non essere stati vittime.
Per capirci: prova a cercare “Mau Mau” nelle news di Google degli ultimi tre mesi e vedrai come nel Regno Unito il dibattito sugli orrori del passato coloniale sia molto più avanzato e serio e coraggioso che da noi.
Mentre i loro media criticano il governo Cameron perché cerca di sabotare una causa civile intentata da tre Kikuyu che subirono violenze inenarrabili negli “screening camp” del Kenya durante l’Emergenza del 1952-1960, i nostri media sono silenti su una nefandezza di cui si è parlato in tutto il mondo, ovvero la costruzione di un sacrario a Rodolfo Graziani, uno dei peggiori criminali di guerra italiani, del quale l’Etiopia chiese inutilmente l’estradizione.
Prima di inoltrarti o lasciarti inoltrare in questi argomenti, forse dovresti informarti un minimo.
Non era un trucchetto, assolutamente, era solo un volerla chiudere, con una battuta, avendo capito dove sta la differenza di posizioni.
Però, se vuoi continuare, io ti dico la mia.
Non ti posso seguire in questo nazionalismo alla rovescia, anche perchè tutto quello che hai scritto nell’ultimo post è zeppo di approssimazioni e di esterofilia.
Vogliamo chiedere agli Inglesi della loro esperienza in Irlanda? Troveremo negazionisti, autoflagellatori, ed addirittura gente che sostiene che gli sia andata di lusso all’ Irlanda, ad essere per otto secoli sotto il dominio della corona. Discorsi simili valgono per l’India, tutt’ora. Io non so che Inghilterra conosci, ma oso supporre che sia abbastanza limitata, e presumibilmente filtrata dalla luce rosea che illumina gli occhi di un esterofilo quando guarda fuori dal proprio paese.
Vogliamo parlare del fatto che è stato uno storico americano a rivelare ai Francesi cosa fosse davvero Vichy (non è colonialismo, ma sempre di memoria si tratta)?
Questo per stigmatizzare questo curioso nazionalismo al contrario, secondo il quale se non possiamo essere i migliori allora saremo i peggiori.
Quello che intendo dire è che è tipico dell’esterofilo vedere solo il buono negli altri paesi. Ma ti assicuro, per prendere come esempio il Regno Unito, che ce ne sono a difendere l’impero, da cittadini comuni a personalità dei media fino agli storici. (How Britain Made the Modern World, recita il sottotitolo di un libro del più famoso storico britannico vivente).
E la fondamentale differenza tra noi ed il Regno Unito è che loro hanno dominato il mondo per un secolo buono, mentre noi no. E questo vale, in maniera diversa e forse minore, anche per la Francia.
La memoria di una nazione è una cosa complessa, ma non mi sembra strampalato supporre che la ragione per la quale la riflessione sui propri crimini passati sia più aperta altrove che da noi sia legata proprio al fatto che alcuni hanno tratto vantaggi sostanziali dai loro imperi, altri, come noi, imperi veri e propri non ne hanno mai avuti, solo tentativi falliti. La riflessione morale di un ladro che ha fallito il colpo è più difficile di chi, ormai al sicuro con un bottino che non restituirà mai, ammette “si, in effetti forse ho esagerato.”
Mi piacerebbe anche aprire una discussione su questa divisione tra aggressori e vittime, sulla quale vorrei dire un paio di cose, ma va be, forse dopo.
Tu ti sei intrippato con questa storia dell’esterofilia e vai avanti imperterrito, ma non regge. L’Inghilterra è un posto di merda come gli altri, però ha una tradizione di studi postcoloniali (anche sull’Irlanda) che noi continueremo a sognarci per chissà quanto. Anche là mettono la polvere sotto il tappeto, ma quando qualcuno il tappeto lo alza e la polvere la mostra, il dibattito non si incentra sulla negazione dell’evidenza (“Quale polvere? Io non vedo niente, anzi, questa è la casa più pulita della città!”), ma parte dalla constatazione che la polvere c’è. Nemmeno il “Daily Mail”, che è il quotidiano più a destra, osa dire che i Kikuyu non abbiano subito abusi. Qui da noi è prassi quotidiana: massacri in Etiopia? Tsk, propaganda bolscevica.
Tutto questo non dipende certo dal fatto che “gli inglesi” siano buoni e onesti: è diversa la loro storia e il posto che la maggior parte dei britannici sente di occupare nella storia. Quando vennero fuori le testimonianze sugli screening camp, dove i prigionieri Kikuyu erano addirittura castrati con tenaglie da allevatore, la reazione più diffusa fu: “Ma come? Abbiamo fatto tanto per sconfiggere Hitler, sopportato ogni sacrificio, subito mesi e mesi di bombardamenti sulle nostre città, stretto i denti, Churchill diceva alla radio che andava abbattuta la tirannia… Poi si viene a sapere che nelle nostre colonie facciamo cose che poco hanno da invidiare ai nazisti?” Il contrasto era stridente e lo shock fu fortissimo. La Gran Bretagna dovette avviare la decolonizzazione, e dieci anni dopo l’Impero non c’era più. Il che non significa che il Regno Unito non sia più una potenza imperialista, scherziamo? Ma quella storia è conosciuta e affrontata. Da noi, no.
L’Italia, per tante ragioni che da tempo cerchiamo di mettere insieme e spiegare (vedi “Patria e morte”, vedi il dialogo su zombie e colonialismo tra Giuliano Santoro e Wu Ming 2), quella reazione non l’ha potuta avere. Dal ’40 al ’43 noi combattevamo *con* Hitler, poi c’è stato l’Armistizio. Quel che è successo dall’Armistizio in avanti è stato usato come modo per dire che stavamo dalla parte giusta e quindi non dovevamo pagare il fio delle nostre scelte di prima. Inoltre, noi le colonie le abbiamo perse per mano di altri bianchi, non per rivolte e rivoluzioni dei nativi, per giunta a sconfiggerci sono stati altri colonizzatori, e così non ci siamo mai interrogati sulla legittimità che avevamo di stare in quei posti, e su come li avevamo conquistati, e sulle porcate che ci abbiamo fatto. Ci sono tanti altri fattori: i nostri criminali di guerra non furono puniti perché non vi fu una vera epurazione, negli apparati di stato l’Italia rimase profondamente fascista anche dopo il ’46, la continuità era assoluta. In cambio dei servigi resi all’atlantismo nel combattere la guerra fredda (della quale era uno dei teatri privilegiati), l’Italia ottenne che i suoi abusi non fossero processati. Ebbe persino l’ardire di chiedere l’amministrazione fiduciaria della Somalia! Grazie alla rimozione del razzismo fascista e delle nostre schifezze africane, si è anche affermata la convizione che in fondo il fascismo fosse “più buono” del nazismo, che se non avesse fatto l’errore di allearsi con Hitler in fondo non sarebbe stato malaccio, ha fatto le bonifiche etc.
Metti insieme tutto ed è un cocktail venefico, la nostra memoria pubblica è intossicata in ogni sinapsi.
Se per te dire queste concretissime cose è “esterofilia”, affari tuoi. Se per te lo stato del dibattito in Gran Bretagna (dove peraltro ho vissuto e dove mi reco abbastanza spesso) è uguale allo stato del dibattito in Italia, mi dispiace ma sei disinformato.
Penso che se avessimo un’università con più finanziamenti avremmo anche dipartimenti di postcolonial studies, probabilmente da gente che si ritrova in questo che dici.
Penso che se avessimo avuto una storia coloniale paragonabile a quella britannica, probabilmente questo tema non sarebbe cosi marginale.
E’ chiaro che lo stato del dibattito non è lo stesso, perchè loro hanno una storia coloniale enorme, noi piccola.
Può anche essere che ci sia una qualche rimozione. Ma il modo nel quale viene portato avanti il tema da voi qui mi fa pensare più a scaramucce ideologiche fra neofascisti e voi, ed al tentativo di ergersi come coscienza del paese. Un gioco che funziona solo se a questa autoflagellazione si puà contrapporre uno scemo neofascista. Scusate la durezza, ma la vedo cosi.
Comunque, tutto la discussione è piena di cose a cui pensare, ed alle quali sicuramente penserò.
Buona serata.
@ unitxx
le impressioni sono tue e non te le posso né voglio contestare. Ognuno vede le cose in base alla propria sensibilità.
Ma dire che noi abbiamo avuto una storia coloniale “piccola” è inesatto. Abbiamo avuto poche colonie, al confronto di altre potenze europee che avevano imperi enormi, ma siamo stati in Africa la bellezza di settant’anni, dall’acquisto del porto di Assab sul Mar Rosso al 1941, più altri dieci di amministrazione fiduciaria della Somalia. L’Italia aveva Libia, Eritrea, Somalia ed Etiopia, quest’ultima un paese vastissimo. Più Tiantsin, se vogliamo essere completi.
“Può anche essere che ci sia una qualche rimozione.”?
Vai a vedere per quanti decenni ha dovuto combattere Del Boca contro il negazionismo imperante sulla guerra chimica in Etiopia. Negazionismo che era nelle istituzioni: archivi non accessibili, documenti occultati. Del Boca subì valanghe di ingiurie, calunnie e minacce. Rochat testimonia reazioni simili.
Pensa alla vicenda della censura al film “Il leone del deserto”.
Pensa al documentario della BBC “Fascist Legacy” comprato dalla Rai per insabbiarlo, sepolto in magazzino e mai trasmesso.
Pensa alla querelle sull’obelisco di Axum, che trafugammo e tenemmo a Roma per settant’anni anche molto dopo che l’Italia aveva firmato l’accordo per restituirlo.
Pensa alle richieste di estradizione ignorate.
Pensa all’Armadio della vergogna, risultato di un mercanteggiamento per non punire i nostri criminali di guerra.
Pensa a ministri e sottosegretari che dicono che l’esperienza italiana in Libia ed Etiopia andrebbe “rivalutata” perché abbiamo portato la civiltà! (Mantica, Fini…)
Guarda cos’è appena successo ad Affile. In Germania lo avrebbero fatto un sacrario a Himmler?
Mi viene da ridere, perché questi sono tutti dati di fatto, eventi concreti, verità storicamente appurate e incontrovertibili, ma secondo voi ricordarle (o meglio, farle sapere, perché il 99% degli italiani non ne ha la minima cognizione) sarebbe ideologico, sarebbe un pretesto per fare metaforicamente a botte coi fascisti.
Stiamo messi male…
Possiamo essere d’accordo nel dire che ogni paragone tra la storia coloniale britannica e la nostra deve tenere conto del fatto che l’Impero Britannico fu una cosa che non abbiamo mai avuto? Che c’è una differenza enorme di dimensioni? Spero di si!
Abbiamo fatto le nostre nefandezze? Mi fido, anche perchè mi sembra del tutto verosimile. Mi sembra verosimile perchè, detta astrattamente, questa è la storia delle nazioni: chi può mena, chi deve subisce. Giusto chiamare le cose con il loro nome, e stigmatizzarle, per carità, ma questa è la storia. Ai piagnoni dell’impero che incontravo in Inghilterra, ripetevo esattamente queste cose.
Un ultimo punto. Staremo anche messi male, ma potrebbe essere che il mio dissenso è la prova che ho ragione? E cioè: voi portate avanti, mi pare di capire, una battaglia sulla memoria nazionale. Eppure la cosa a me appariva come sterile polemica, spirito di fronda ed autoflagellazione narcisistica. Non è che c’è un problema di comunicazione? Non è che parlando in un certo modo si trova la polemica con i La Russa di turno e si riscuotono gli applausi dei convertiti lasciando indifferente la stragrande maggioranza che sta in mezzo? Uno spunto di riflessione.
Se capisco bene l’argomentazione di Idtxv sul colonialismo e relativi crimini si potrebbe riassumere con “Il più pulito c’ha la rogna”…sì il problema è che mentre in Inghilterra discutono delle rogne loro quando queste vengono scoperte noi non vogliamo riconoscere di averle
@ldtxv scusa eh ma dicendo “mi fido” e “mi sembra verosimile” ammetti la tua ignoranza su fatti di fondamentale importanza che hanno riguardato l’Italia nell’ultimo secolo. Ignoranza che condividi con quasi tutta la popolazione italiana non per colpa tua ma per il semplice fatto che il nostro colonialismo, come si è ripetuto più volte qua sopra, è stato appunto rimosso, in primis dai programmi scolastici. Mentre magari sai tutto dell’Impero Britannico, di Hitler e Napoleone. Poi chiediti chi è l’esterofilo…
Io non sono esterofilo, sono solo uno che conosce molto bene l’Europa. La storia italiana non l’ho studiata neppure a scuola, penso che sia questo che determini la mia ignoranza su questi, ahem, fatti di fondamentale importanza.
@ ldtxv
tu scrivi:
“Un ultimo punto. Staremo anche messi male, ma potrebbe essere che il mio dissenso è la prova che ho ragione? E cioè: voi portate avanti, mi pare di capire, una battaglia sulla memoria nazionale. Eppure la cosa a me appariva come sterile polemica, spirito di fronda ed autoflagellazione narcisistica. Non è che c’è un problema di comunicazione?”
Ecco, ho messo in grassetto quella che secondo me è l’espressione-chiave.
Il fatto che a te apparisse come sterile polemica può solo dimostrare che c’è un problema di comunicazione tra noi e te. Ogni estensione del concetto sarebbe indebita.
Mi sembra poi molto infelice la frase “Il mio dissenso è la prova che ho ragione”, anche volta in forma di domanda. Il fatto stesso che io non sia d’accordo con te è la prova che hai torto? Su quale pianeta?
Dopodiché, un problema di comunicazione c’è eccome, e mi sembra di averlo già descritto: la maggior parte degli italiani queste cose non desidera sentirle dire. Si alza il tappeto, si mostra la polvere e la reazione più diffusa è: polvere? Io non vedo polvere. Siamo stati abituati a pensarci sempre e solo come vittime di soprusi e oscuri complotti, perché i *nostri* soprusi sugli altri sono stati cancellati. Siamo il Paese che un giorno celebra uno stragista come Graziani e il giorno dopo s’indigna per una sentenza tedesca su Sant’Anna di Stazzema. Per volere di Graziani, in Etiopia era Sant’Anna di Stazzema tutti i giorni e più volte al giorno. Cerca su google “Debra Libanos”.
E’ chiaro che c’è parecchio lavoro da fare, ma schermirsi, peraltro in modo pressapochistico, e dare dell’esagerato o dell’arruffapopolo a chi cerca di sottrarre questa storia all’oblio non è il modo migliore di cominciare.
@ldtxv
Penso di essere più vecchio di te, e nemmeno io a scuola ho studiato quel periodo della storia italiana: ai miei tempi quasi nessuno arrivava oltre la prima guerra mondiale, era una specie di convenzione non scritta: forse perché erano gli anni di piombo e si cercava di eludere fascismo e resistenza per evitare rogne. Anche il colonialismo si fermava di conseguenza. Io mi sono guadagnato la maturità portando proprio quell’argomento all’orale, per questo motivo ho passato decenni pensando di saperne almeno un po’. Mi sbagliavo, e ho continuato a sbagliarmi e a bermi il mito dei colonizzatori buoni che hanno fatto le strade, fino a non molto tempo fa.
Per riuscire ad assolvermi devo tirare in ballo il fatto che perfino mio nonno, che era di simpatie comuniste e ha attraversato il ventennio senza mai fare la tessera del fascio, è morto vecchio senza sapere ciò che davvero successe nelle colonie italiane in Africa.
Se il thread è ancora vivo…
E’ chiaro che in quello che ho scritto prima facevo l’eguaglianza io=pubblico generale, e che è un’eguaglianza problematica. Volevo anche mettere una parentesi per dirlo, e forse avrei dovuto. Quando dicevo che il mio dissenso proverebbe che ho ragione intendevo dire, basandomi su quest’uguaglianza, che il fatto che uno come me recepisca il vostro messaggio in quel modo e non come una battaglia per la memoria pubblica indica che il messaggio è espresso in maniera problematica, che c’è un problema di comunicazione. Un po’ contorto, ma era per chiarire.
Su tutto il resto, non c’è molto da aggiungere. Ripeto che secondo me a portare avanti cosi una battaglia per la memoria nazionale ci si chiude nella trappola della controcultura: una minoranza esaltata dal proprio essere minoranza che lascia indifferente tutti se non la minoranza opposta. Ed infatti, mi pare che qui, a parte me, le uniche voci critiche siano quelle dei neofascisti. Sono comunque contento di avere un pochino capito la logica dietro queste posizioni.
Per chiudere, vorrei dire una cosa su questa divisione tra oppressi ed oppressori, e lo farò con una baracconata, e cioè, un gioco ad indovinare l’autore di questa citazione:
“Senza la schiavitù niente Stato, ne arte, ne scienza greca. Senza schiavitù niente Roma. Senza la schiavitù, sulla quale riposavano la Grecia e l’impero Romano, niente Europa moderna.
Non è che ove si sono disciolte [le forme di governo tiranniche e tribali] che i popoli si sono sviluppati da se stessi… il loro primo progresso economico è consistito dall’accrescimento della produzione per mezzo del lavoro degli schiavi, il che ha condotto ad una forma superiore dell’evoluzione.”
Ora questa non è una giustificazione dello schiavismo, ma ci va vicina.. Di chi si può trattare?
Magari si riapre tutto un discorso…
E’ Engels, dall’Antiduhring, nella solita citazione fuori contesto usata dalle destre (persino il Ku Klux Klan l’ha usata, ma la matrice è antica, si usava molto nel Ventennio). In quel brano estrapolato ad minchiam, in realtà Engels sta parlando della centralità della forza-lavoro schiavile per il modo di produzione antico, polemizzando con chi esprime una critica della schiavitù superficiale e sganciata dall’economia politica, finendo per non capire perché la schiavitù si afferma. Poco più avanti spiega che tanto la schiavitù quanto il lavoro salariato sono forme di dominio di classe, ciascuna corrispondente a un modo di produzione. Ovviamente, la conclusione di Engels è che bisogna spezzare le catene e costruire un modo di produzione che non sia basato su alcuna schiavitù né dominio di classe.
Scusa ldtxv, ma le tue argomentazioni mi sembrano davvero fragili. Non abbiamo fatto il macello degli Inglesi, quindi la critica al nostro colonialismo dev’essere per forza eccessiva? E tu per primo ammetti di non essere informato sulla nostra storia in tal senso. Davvero mi sembra che il tutto si riduca al vecchio adagio “è stato sempre così, quindi finché la barca va lasciala andare”, soprattutto quando mi citi Engels e non meglio precisati inzuppamenti di sangue. Dici che questo modo di porsi (quello adottato da Wu Ming) è ininfluente, settario e reattivo, ma la tua stessa posizione è puramente reattiva, non c’è nessun vero punto di vista alternativo nei tuoi ragionamenti che induca ad affrontare il problema in modo diverso. ‘nzomma, al di là degli infiorettamenti, non c’è trippa per gatti…
Se permettete vorrei dirvi la mia esperienza. Vivo da più di un anno in Germania.
Non sono esterofila o antipatriottica (benché non abbia simpatia per il patriottismo fine a se stesso), amo il mio Paese per un sentimento, diciamo, ancestrale, amo i luoghi in cui sono nata, in cui sono cresciuta, in cui mi sono formata culturalmente e professionalmente. Per me lasciare l’Italia è sempre un piccolo trauma, credo sia un sentimento condiviso da quasi ogni emigrante e non mi piace chi per farsi bello dimentica e disprezza le proprie origini. Sono internazionalista ma sono anche in qualche modo nazionalista, perché ho a cuore le persone che sono rimaste lì a lottare, contro tutto il malaffare italiano.
Fatta questa premessa torno alla Germania. Ho visto un po’ di Europa (e perfino Israele) ma conosco abbastanza bene soprattutto questo Paese e mi colpisce sempre molto questa loro abitudine all’autocolpevolismo per i fatti legati al regime nazista. Qui siamo alla seconda se non terza generazione del dopo Hitler, siamo a più di 20 anni dal muro di Berlino e vi assicuro che pochissime volte (se non nessuna) ho incontrato una persona che si dicesse orgogliosa di essere tedesca, proprio a causa del nazismo.
Mi ha sconcertato e sorpreso, perché, almeno dai libri essendo troppo giovane per averli vissuti, conosco le nefandezze di Stati Uniti, Inghilterra, Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e chi più ne ha più ne metta, ma mai ho visto nelle popolazioni di quei Paesi (e quindi anche del mio) tanta vergogna come ne sperimento qui.
Forse addirittura esagerata, ma certamente opprimente, come se dovessero eternamente espiare la colpa (una colpa immensa, siamo d’accordo).
Buffo inoltre che torni a casa per Natale e veda che Berlusconi & co. fanno gli anti-tedeschi e mi verrebbe da dire quasi a ragione (paradossalmente). Non perché mi faccio abbindolare dal primo che passa, ma perché della presunta (e secondo me vera) egemonia tedesca nell’UE ne ho sentito parlare a più riprese proprio qui, in Germania.
Non sono migliori di noi ma pagano un senso distorto della storia, per cui loro saranno eternamente cattivi e gli alleati eternamente buoni, e pagano un conto salatissimo, quasi che la loro coscienza paghi per quella di tutti…
Per dire che una citazione è estrapolata ad minchiam bisogna sapere cosa ci vuole fare chi la cita. Ora, non mi sembra che tu neppure lo chieda, percui…
Giustissima la tua interpretazione, quello dice Engels, ma mi pare ti sfugga quello che tentavo di fare uscire. Il lavoro degli schiavi, come quello dei salariati, sono risultati di un dominio di classe, oppressivi, brutti e cattivi senza dubbio. Però contribuiscono all’esplosione (nel senso di accressimento esponenziale) delle forze produttive, senza la quale non è possibile il socialismo. Senza lo schiavismo niente modernità, senza lo sfruttamento proletario niente capitalismo, senza capitalismo niente socialismo, detta un po schematicamente. Non bisogna creare
Per dire che una citazione è estrapolata ad minchiam bisogna sapere cosa ci vuole fare chi la cita. Ora, non mi sembra che tu neppure lo chieda, percui…
Giustissima la tua interpretazione, quello dice Engels, ma mi pare ti sfugga quello che tentavo di fare uscire. Il lavoro degli schiavi, come quello dei salariati, sono risultati di un dominio di classe, oppressivi, brutti e cattivi senza dubbio. Però contribuiscono all’esplosione (nel senso di accrescimento esponenziale) delle forze produttive, senza la quale non è possibile il socialismo. Senza lo schiavismo niente modernità, senza lo sfruttamento proletario niente capitalismo, senza capitalismo niente socialismo, detta un po schematicamente. Solo grazie al capitalismo, che contribuisce a creare le condizioni materiali del socialismo producendo, in maniera deumanizzante e brutale, una ricchezza enorme, sarà possibile mettere fine alla preistoria ed entrare in una fase del mondo davvero a misura d’uomo.
Il punto importante però è notare come tutto il sistema di classe, tutto lo sfrutamento, siano necessari al pieno sviluppo delle forze produttive. Il negativo, per dirla astrattamente, viene sconfitto, ma il suo ruolo è determinante nel processo di sviluppo storico. E dunque, che c’entra con i marò? Poco, ma penso che sia una concezione della storia lontana anni luce da questa divisione fra oppressi ed oppressori sulla quale volevo fare un commento.
Capisco, ma non credo che il ragionamento regga granché.
Nemmeno all’interno dello schema che dici (necessità di massimo sviluppo del capitalismo affinché sia possibile il socialismo, schema che in ogni caso l’ultimo Marx mette in discussione, cfr. la lettera a Vera Zasulich e i “Taccuini etnologici”) c’è mai stato spazio per una qualsivoglia accettazione o ridimensionamento dei crimini coloniali e imperialistici, che sono sempre stati denunciati con la massima radicalità (a questo proposito, incollo in fondo una bellissima citazione di Marx da un suo articolo del “New York Times”);
Aggiungo, a integrazione: Engels sta polemizzando con Duhring con l’intenzione di ridicolizzarne le tesi, e non deve sfuggire il registro ironico che adotta alla bisogna, per “épater le socialiste naif”. Calca su un preciso pedale a scopo polemico. Inoltre, quel che dice del modo di produzione antico non è un semplice “tutto ciò che è reale è razionale” (anche se Engels, da hegeliano, spesso “pencola” in quella direzione) e quindi tutto quel che c’è stato andava bene. Sta contestando l’approccio “astorico” di Duhring. Ma dal XIX secolo in avanti la condanna del colonialismo e dell’imperialismo non ha nulla di astorico, infatti è stata condotta in tempo reale, non solo ex post. Già la Prima internazionale era anticolonialista.
Altro lato della faccenda: anche nel pensiero critico che più ha trattato la relazione tra oppressi e oppressori come un affare complesso e ogni volta rinegoziato, e ne ha mappato le linee di confine, oppressi e oppressori nondimeno esistono, eccome!; e aggiungo che proprio quel pensiero critico è alla base di tutte le riflessioni “postcoloniali”, sul lascito degli imperi coloniali, sul razzismo che permea la nostra vita associata.
E ora la citazione da Marx, 5 giugno 1857:
«[…] Oggi, fra i cinesi, regna manifestamente uno stato d’animo ben diverso da quello della guerra 1840-42.
Allora il popolo non si mosse: lasciò che i soldati imperiali lottassero contro gli invasori e dopo ogni sconfitta si inchinarono con fatalismo orientale alla volontà superiore del nemico.
Ora invece, almeno nei distretti del Sud ai quali il conflitto è rimasto finora limitato, le masse popolari partecipano attivamente, quasi con fanatismo, alla lotta contro lo straniero. Con fredda premeditazione, esse avvelenano in blocco il pane della colonia europea di Hong Kong (Liebig potè stabilire in alcune pagnotte, che gli erano state mandate in esame, la presenza diffusa ed uniforme di grandi quantità di arsenico: segno indubbio che il veleno era già stato lavorato nella pasta. Ma la dose era così potente che agì come ematico, annullandone gli effetti mortali).
I cinesi salgono armati sulle navi mercantili, e durante il viaggio massacrano la ciurma e i passeggeri europei. Si impadroniscono dei vascelli. Rapiscono e uccidono qualunque straniero capiti vivo nelle loro grinfie. Perfino i coolies a bordo delle navi di trasporto degli emigranti si ammutinano come per un intesa segreta, lottano per impossessarsi degli scafi, piuttosto che arrendersi colano a picco con essi o muoiono nelle loro fiamme. Anche i coloni cinesi all’estero – finora i sudditi più umili e remissivi – cospirano e, come a Sarawak, insorgono in brusche rivolte o, come a Singapore, son tenuti in scacco solo da un rigido controllo poliziesco e dalla forza.
A questa rivolta generale contro lo straniero ha portato la brigantesca politica del governo di Londra, che le ha imposto il suggello di una guerra di sterminio.
Che cosa può fare un esercito contro un popolo che ricorre a questi mezzi di lotta? Dove, fino a che punto, deve spingersi in territorio nemico? Come può mantenervisi?
I trafficanti di civiltà, che sparano a palle infuocate contro città indifese, e aggiungono lo stupro all’assassinio, chiamino pure barbari, atroci, codardi, questi metodi; ma che importa, ai cinesi, se sono gli unici efficaci? Gli inglesi, che li considerano barbari, non possono negar loro il diritto di sfruttare i punti di vantaggio della loro barbarie.
Se i rapimenti, le sorprese, i massacri notturni vanno qualificati di codardia, i trafficanti in civiltà non dimentichino che, come hanno essi stessi dimostrato, i cinesi non sarebbero mai in grado di resistere coi mezzi normali della loro condotta di guerra, ai mezzi di distruzione europei.
Insomma, invece di gridare allo scandalo per le crudeltà dei cinesi (come suol fare la cavalleresca stampa britannica), meglio faremmo a riconoscere che si tratta di una guerra pro aris et focis, di una guerra popolare per la sopravvivenza della nazione cinese – con tutti i suoi pregiudizi
altezzosi, la sua stupidità, la sua dotta ignoranza, la sua barbarie pedantesca, se volete, ma pur sempre di una guerra popolare. E in una guerra popolare i mezzi dei quali si serve la nazione insorta non si possono misurare né col metro corrente nella guerra regolare, né con altri criteri astratti, ma solo col grado di civiltà che il popolo in armi ha raggiunto […]»
Una presa di posizione così violenta sui crimini coloniali non era “in anticipo sui tempi”, ma già parte dello zeitgeist. Ma quello zeitgeist, in Italia, più di un secolo e mezzo dopo, non si è ancora affermato del tutto, e non si è affermato quasi per niente per quel che riguarda i *nostri* crimini coloniali.
L’unico punto importante, secondo me, lo tocchi quando dici che non c’è spazio per
“accettazione o ridimensionamento dei crimini coloniali e imperialistici, che sono sempre stati denunciati con la massima radicalità”
A parte che qui si sta parlando delle conseguenze di una serie di posizioni su cosa sia il processo storico, e non di cosa Marx pensasse del colonialismo britannico (non sarebbe una grande argomentazione, non credi?), il punto è un altro. Il punto è che lo schema storico secondo il quale l’esistenza del male (perchè alla fine questo mi sembra il termine più chiaro ed onesto) è necessaria perchè genera movimento e dunque progresso non si presta a giudizi trancianti su oppressi ed oppressori.
PS: Potrei avere qualche fonte sulle fortune a destra di quella citazione di Engels? In quanto admin dovresti avere l’indirizzo di posta elettronica da utilizzare.
Ldtxv, perdona l’intromissione, ma io penso che tu stia cercando per forza di vedere una contrapposizione bianco vs nero delle rispettive posizioni. Certo, a parte quella dell’ing. Di Stefano, che è sicuramente una posizione nera.
Battute (più o meno) a parte, vorrei solo fare due osservazioni: la prima è che “solidarizzare con gli oppressi a ogni latitudine” non significa “solidarizzare con tutti tranne che con i propri connazionali”, ma appunto con tutti gli oppressi. In questo caso, come quasi sempre negli ultimi 151 anni, i nostri connazionali sono gli oppressori.
La seconda, sempre a mio modesto parere, è che indagare, approfondire, riconoscere e svelare le malefatte del proprio Paese di appartenenza non vuol dire affatto “autoflagellarsi”, ma proprio l’opposto. Rivela, credo, un intimo attaccamento alle proprie origini e alle proprie radici e manifesta la volontà di guardarsi allo specchio per autogiudicarsi e allontanarsi il più possibile dall’eventualità di ripetere i misfatti compiuti in passato.
Del resto, e qui concludo, tempo fa un giornalista chiese a Noam Chomsky per quale motivo andasse così tanto a scavare nella politica interna ed estera dei governi americani e la criticasse apertamente davanti al mondo, ignorando invece le ombre dell’Unione Sovietica. Lui rispose che in quanto cittadino americano doveva principalmente occuparsi degli affari del suo Paese, prima di ogni altra cosa.
Saluti
Ribadisco quel che dicevo ieri sera: il problema di fondo di tutta la discussione non mi pare essere quello della posizione di difesa a oltranza assunta dal governo italiano per tirare fuori dai guai 2 militari detenuti in altro paese – che è un fatto tutto sommato abbastanza scontato, come diceva giustamente ldtxv – quanto del perché l’opinione pubblica del nostro paese abbia tanto bisogno di vedere ‘sti due soldati trasfigurati in “eroi” (con la minuscola, Ing. Di Stefano…).
Dal mio punto di vista, il problema va ben al di là delle ridicole strumentalizzazioni destrorse di tutta la faccenda, e forse ha ragione WM1 ad insistere tanto sulla questione del rimosso: gli italiani sono un popolo innegabilmente vigliacchetto, che sembra sempre aver bisogno di qualche esempio muscolare da seguire, ancor meglio se martirizzato (vedi Nassirya), per tenere buona la voce della propria coscienza.
In questo senso, benché anch’io trovi un po’ retoriche certe prese di posizione, ben vengano discussioni di questo tipo: alla fine, questo é uno dei pochi spazi in rete dove chiunque può dire la sua – persino i fasci, da oggi, a quanto pare ;)
Un saluto
Concordo. Mi sono ritrovata 3 mesi fa in un pub inglese a spiegare a degli amici cosa fosse di preciso la mafia, perché spesso gli stranieri ne hanno un’idea da “Il Padrino”. Mi è sembrato più “patriottico” (passami il termine) cercare di rendere chiara la tragicità pregnante del sistema e far conoscere personaggi come Impastato e Falcone piuttosto che assecondare le battute su “la famiglia”, i siciliani con la coppola e via dicendo.
Scusa, ma prima dici che non è in questione il giudizio radicale di Marx sul colonialismo, poi che nella sua teoria non c’è spazio per giudizi “trancianti” sulla divisione tra oppressi e oppressori. E’ più che evidente che nella sua teoria c’era quello spazio. Ma mi sa che stiamo girando in tondo. Io mi fermo qui. Quanto a Marx ed Engels decontestualizzati pro domo dell’estrema destra sulla questione schiavitù, hai voglia! L’esempio più recente è questo (linko la cache perché quel forum neonazista non è più accessibile dall’Italia), ma usando Google ne troverai parecchi altri, anche usi specifici (in Italia e all’estero, ieri e oggi) della citazione di Engels dall’Antiduhring.
A me pare che il pezzo di Matteo Miavaldi non sia affatto pervaso di “anti-nazionalismo esterofilo” e che il “taglio generale dell’articolo” sia davvero quanto di più equilibrato si possa leggere in giro. L’hai letto veramente?
Nel pezzo si fa continuamente riferimento al problema dell’inaffidabilità di alcune fonti, indiane e italiane. Non si dice che ha ragione l’India, anzi si chiarisce come il diritto internazionale lasci margini di ambiguità. Non parla male dei due marò in nessun modo…
E te pareva, uno non può criticare che viene accusato di non aver letto il pezzo. L’ho letto, l’ho letto.
@ldtxv
rispondo quassù ma mi riferisco anche a altre cose che hai scritto nei post successivi. Mi sembra che tu stia dicendo (correggimi se sbaglio): “non ha senso combattere il nazionalismo con un anti-nazionalismo che si basa sul senso di colpa per ciò che è accaduto in passato perché, in fondo, la storia è una storia della guerra. Gli inglesi che ragionano sul loro impero lo fanno per mettersi a posto la coscienza ma in realtà non sono migliori di noi italiani.”
Bene, se questo è il centro del tuo discorso io ci trovo un errore di interpretazione del post e un’affermazione troppo ampia per poter essere più che un acuto aforisma.
L’errore è che la forma di “uso pubblico della storia” che si sta facendo su Giap già da alcuni mesi (così come del resto quella degli studi post coloniali) non ha lo scopo di instillare un senso di colpa nei confronti di Etiopi, Eritrei, Jugoslavi ecc ecc ma combattere questa specie di neo-nazionalismo che nel paese è molto diffuso *oggi* e fa danni *oggi*. Tu scrivi “non credo che il nazionalismo fascista sia un nemico temibile” ma vorresti dirmi che in Italia non ci sono altri tipi di nazionalismo molto vivaci? Quello populista e anti-europeo di Berlusconi? Quello fondato sulla retorica dell’unità nazionale e della competitività di Monti? Questi per me sono discorsi che usano il nazionalismo per fare molto male a me e alla mia classe, per cui trovo giusto combatterli. Se il caso dei marò è utilizzato per veicolare queste retoriche, allora trovo giusto mettere in chiaro che *non tutti* in Italia pensano che la solidarietà nazionale debba venire prima di tutto.
Il mio secondo appunto riguarda invece la tua frase sulla schiavitù: non so riconoscere la citazione ma assomiglia alla famosa frase di Orson Wells ne “Il quarto uomo” riguardo alla Svizzera e all’Italia. Si tratta di un punto di vista che, come ho detto sopra, può essere interessante ma in fondo lascia il tempo che trova: il punto qui non è pentirsi del (o rivendicare il) passato ma controbattere a un certo uso pubblico della storia con un’altro, perché quando si parla del passato in realtà ci si riferisce spesso al presente e al futuro.
Roy, sotto l’ho scritto, dietro quella citazione che fa ldtxv c’è tutta una storia di mistificazione: è Friedrich Engels dall’Antiduhring, decontestualizzato.
e poi ho scritto “il quarto uomo” anziché “il terzo uomo” :-D
Probabile lapsus con Quarto Potere dello stesso Welles :)
https://www.youtube.com/watch?v=zqAeSn_d0EM
Scusate, non ho saputo resistere.
Ciao Roy,
quello che dico io è un po’ diverso. Innanzitutto dico che è giusto stigmatizzare le schifezze che i popoli compiono nelle loro conquiste, anche se queste schifezze fanno parte del normale corso della storia. Mi importava sottolineare questo ultimo punto, ma non volevo assolutamente dire che uno debba restare indifferente.
Gli inglesi hanno sicuramente fatto peggio di noi. Come gli americani, come i sovietici, come i romani, come chiunque abbia dominato il mondo, o gran parte di esso.
Quello che spieghi nel tuo secondo paragrafo lo capisco benissimo, in larga parte lo condivido, e dove non lo condivido penso che ci possa stare. Le mie critiche sono sulla forma: se si sentisse più gente che parla come te a portare avanti questa battaglia, non dubito del fatto che avrebbe maggior successo.
Caro ldtxv,
partirei da quello che hai detto sulla solidarietà nazionale:
– il nostro governo ha stanziato fondi pubblici (quasi 300 mila euro) per le famiglie dei pescatori.
Non che non consideri giusto che queste famiglie, straziate da una perdita improvvisa, meritino questi soldi. Mi chiedo soltanto perchè lo stato italiano per
tutelare “i suoi”, in questo frangente, si senta parte in causa, si senta di dover pagare il probabile debito di sangue dei nostri soldati quando, in altre circostanze,
i “nostri” (ma a quanto pare meno nostri) concittadini stanziano in prigioni di altri paesi anche per crimini meno gravi, completamente abbandonati dai media e dallo
stato.
– i due marò in Italia sono stati presentati come eroi che per la crudeltà del fato si sono invischiati in questa brutta situazione. Lo stato non ha il benchè
minimo interesse a mostrare le cose per come stanno, anche semplicemente ammettendo che i due possano, non dico aver ucciso volontariamente, ma aver commesso un errore.
Sembra che se ammettessero una cosa del genere tutta l’arma, l’esercito e lo stato stesso ne perderebbero di immagine. Perchè in Italia le figure di potere,
di qualunque genere siano, non sbagliano..
Qui a me sembra ci sia tutto furchè le premesse di una solidarietà nazionale. Ci son solo delle ottime premesse per prendere per scemi tutti, dalle famiglie degli indiani
(che a fronte di quella cifra se lo lasciano fare), allo stato indiano che si trova a essere da un lato svalutato dalle perizie di un finto ingegnere e dall’altro
dovrà, in caso, processare i “nostri eroi” (cosa che per l’italiano medio che guarda mediaset
sarà praticamente un affronto fatto all’Italia dal “terzo mondo”), ai due Marò che non sono più persone ma un mezzo di propaganda mediatica e politica (pensiamo
anche a La Russa), agli italiani stessi che da sempre, ma soprattutto nell’ultimo ventennio, si son fatti rigirare a piacere dall’ “industria mediatica”. Industria che
sforna politici, ideali, e tra le altre cose perchè non eroi.
Tu poi dici ” Io ancora non ho visto la storia di una comunità nazionale che non sia intrisa di sangue. Anzi, mi correggo, una storia di una qualsiasi
cosa che non lo sia.”, e qui hai perfettamente ragione.
Il problema sta nel VEDERLA questa storia. Se qualcuno vede il sangue che impregna la storia di uno stato e ne parla, ne scrive e questo sangue non resta solo su qualche pagina vecchia di mezzo secolo
ma entra nei libri di scuola allora lì si può dire che lo stato ha preso, almeno in parte coscienza delle sue colpe, e la popolazione con esso.
In Italia questa prassi non è comune di sangue ne abbiamo sparso anche di connazionali in italia e non solo di coloni all’estero. Basti pensare alle torture
legalizzate dei primi anni ’80 (Questi fatti sono già stati citati in un altro post del dibattito).
Da quel che mi risulta anche di questi fatti dalle elementari all’università non se ne ha menzione (facoltà storiche, spero, escluse) e quindi, escludendo affermazioni
sul modello di “Possiamo essere d’accordo nel dire che ogni paragone tra la storia coloniale britannica e la nostra deve tenere conto del fatto che l’Impero Britannico
fu una cosa che non abbiamo mai avuto? Che c’è una differenza enorme di dimensioni?” del tipo “i nazisti han utilizzato le torture molto più a lungo”, mi viene
da dirti che il voler portare alla luce queste questioni non sia minimamente riconducibile a un “anti-nazionalismo esterofilo”, anzi.
Dal mio punto di vista non si tratta di “autoflagellamento”, che forse invece si può vedere, in parte, in quello che dice @serenissima sui tedeschi, si tratta semplicemente
di volontà di non nascondere le proprie colpe storiche, di prenderne atto, di renderle pubbliche e appena lì di “passare avanti”.
Non vorrei essermi persa troppo nel commento.
So che la fonte farà storcere il naso a qualcuno, ma segnalo ugualmente questo articolo che credo possa essere un ulteriore contributo alla discussione http://www.vice.com/it/read/pirati-somali
Ti prego, Vice no, pietà.. a leggere st’articolo viene proprio voglia di fare il tifo per i pirati!
Rimane il dubbio di chi ha pagato Di Stefano per fare la controperizia e chi l’ha invitato in parlamento.
Le tolgo il dubbio, nessuno.
In Parlamento il convegno è stato organizzato da un comitato pro Marò (di cui faccio parte) grazie a un deputato del PDL di cui non ricordo il nome.
Non mi serve, la pagnotta me la guadagno lavorando.
era forse l’on. Settimo Nizzi?
http://www.politicamentecorretto.com/index.php?news=48633
è stato per caso contattato, dopo questa interrogazione al ministro degli affari esteri?
http://www.radicali.it/comunicati/20120421/maro-pdm-notizie-di-stampa-non-sono-perizie-balistiche-o-atti-giudiziari-present
Mi sarebbe piaciuto vedere cosa avrebbe scritto Il Giornale se gli stessi avvenimenti fossero successi a parti invertite e cioè a sparare fossero stati militari indiani e a morire pescatori italiani.
Che poi, è un pò quello che successe con la Strage del Cermis.
Nella mia città, a Salerno, campeggia un drappo gigantesco con la frase populista “Marò liberi”. Lo trovo profondamente offensivo verso un popolo che, in fin dei conti, chiede solo di poter fare giustizia per due pescatori morti assurdamente.
Casapound, Il Giornale e il populismo di destra e sinistra (?) vanno andrebbero derubricate a macchiette degne del cùcù di Silvio.
Signori, io sono venuto qui per confrontarmi sui fatti della Enrica Lexie.
Le mie vicende politiche o personali non cambiano il calibro del proiettile repertato nell’autopsia, non cambiano l’attacco pirata alla petroliera greca Olympic Flair o il fatto che la “perizia ufficiale indiana” sia tuttora secretata.
Se volete continuare il confronto sulla Enrica Lexie disponibilissimo, se ci sono di mezzo pregiudiziali ideologiche ditemi e la piantiamo qui.
Notizia di poco fa è che la “perizia ufficiale indiana” (cioè i capi di accusa e documenti a supporto) saranno resi pubblici all’inizio del processo, e quindi li avrò e li metterò in rete a disposizione di tutti.
Ma se l’Alta Corte indiana dovessere sentenziare a favore della giurisdizione italiana tutto resterà secretato.
Scusi la domanda, Ingegnere, ma se lei è membro di un comitato pro-marò come scrive poco sopra, secondo lei come si può prendere per buona la sua perizia? Come dicevo ieri, io non me ne intendo di balistica, di calibri, di pirateria internazionale e così via, però come dire, da una perizia di tipo tecnico mi aspetterei l’adozione di un criterio di imparzialità pressoché assoluta, soprattutto nel prendere in esame una situazione tanto delicata.
Sbaglio?
Ingegnere (posso chiamarla così?),
non ci siamo proprio. Quel che dice è troppo comodo e semplicistico. I “fatti” non avrebbero alcun ordine né senso senza le cornici entro le quali li disponiamo. Per parlare di un “fatto” dobbiamo isolarlo dal caos del mondo, e questo implica sempre una scelta di ordine narrativo: dove inizia un fatto? E dove finisce?
In queste scelte di framing si esprime ineluttabilmente la nostra visione del mondo. E la sua visione del mondo è chiara, dal momento che lei fa parte di un’organizzazione di carattere neofascista che sul caso dei Marò sta portando avanti da quasi un anno una propaganda sciovinista e guerrafondaia.
Lei dice che vuole parlare solo dei “fatti”, dei dati “duri”, ma io le ho già spiegato che i dati “duri” della sua perizia stanno dentro un contesto, una particolare impostazione che lei ha dato al discorso.
Ben prima che lei intervenisse, e ben prima di sapere che lei è di Casapound, Miavaldi aveva scritto che nella sua “perizia”, nel suo modo di procedere, si riscontra una certa impostazione ideologica, quella della “superiorità occidentale”.
Anche di questo stavamo parlando, anzi, soprattutto di questo.
E poi, se permette, lo decidiamo noi di cosa vogliamo parlare. La informo che il MinCulPop qui non ha giurisdizione. Gli Starace, qui, ci piacciono solo appesi per i piedi.
Ragion per cui, lei può adeguarsi, può rispondere alle nostre domande, oppure può svicolare e andarsene sbattendo la porta. Non ci sanguinerà il cuore, sarà tutto danno suo: non rispondendo in questo consesso seguitissimo, lascerà suppurare i dubbi che molti ormai hanno sul suo conto. Veda lei. Già è tanto che stiamo ancora a risponderle in modo tutto sommato civile, camerata. Lo facciamo perché vogliamo avere conferme di alcune cose che ci siamo detti, e vogliamo capire. Innanzitutto, capire se c’è o ci fa.
I “fatti”, dice… Ma mi faccia il piacere. Come se potessero esistere fuori da un contesto. Come se la propaganda acritica pro-Marò fosse fatta solo di dati tecnici e non di pregresse scelte di campo e narrative, rappresentazioni, mistificazioni… I fatti… Come se l’affermazione che i marò sono “eroi” fosse basata su qualche incontrovertibile dato…
Dove facciamo cominciare la storia dell’Enrica Lexie? Dal momento in cui c’è stata la sparatoria? Dal momento in cui si è deciso che militari italiani fossero a bordo della petroliera? Non dovremmo anche interrogarci sulle rotte del petrolio, su uno sfruttamento delle materie prime e un modello di sviluppo sempre più difficile da difendere…? Per alcuni, la storia comincia con l’intensificarsi di arrembaggi pirateschi nell’Oceano indiano, soprattutto da parte di somali. Allora dovremmo anche chiederci perché è cresciuta quella pirateria, e dunque cosa sia successo in Somalia negli ultimi vent’anni. C’è stato un totale tracollo dello stato somalo. Quali sono le premesse storiche di questo collasso? L’Italia può dirsi estranea? L’Italia che ha governato la Somalia dal 1899 al 1941 e poi ancora, con l’AFIS, dal 1950 al 1960 e poi ha appoggiato senza se e senza ma il dittatore Siad Barre? Ecco, per esempio, questa cosa che l’Italia non ha mai colpe, che di fronte a stranieri un italiano va difeso senza se e senza ma, è forse questione di “fatti”?
Proviamoci, a restare ai “fatti”, alle domande alle quali si può rispondere sì o no, senza ambiguità. Io le chiedo:
ovunque la chiamano ingegnere e lei non smentisce, ma è un ingegnere sì o no? E’ iscritto all’albo degli ingegneri sì o no? E’ laureato sì o no?
Ha scritto nel suo curriculum che il MIT è a Chicago sì o no? A Brookhaven c’è l’University of California sì o no?
Quando ha scritto che pensa “tutto il male possibile” di chi sta facendo politica sulla vicenda dei Marò includeva anche Casapound sì o no?
Scusami però, va bene il framing del fascista e va bene pure Siad Barre e la narrazione, però se si sa (e rimarco il se) che il calibro misurato nell’autopsia è diverso da quello dei fucili in dotazione mi sembra che le premesse storiche non facciano questa differenza, no?
Si sa? Se non erro, nel post Miavaldi cita fonti indiane che dicono un’altra cosa rispetto a quella che conclude Di Stefano dopo aver processato le fonti a modo suo. E siamo daccapo, lo vedi? Non possiamo ragionare come se i dati fossero univoci. La controperizia di Di Stefano è una foresta di supposizioni e di premesse accettate acriticamente (sulla natura delle fonti, come ho cercato di dimostrare). Non ha senso dire: stiamo ai fatti e basta. Questa è una controversia sulle interpretazioni, a partire dalle interpretazioni delle leggi nazionali e internazionali, ed è, soprattutto, uno *scontro tra rappresentazioni*. Questo è un blog che si occupa (anche) di smontare narrazioni, rappresentazioni, miti. Ed è quel che stiamo cercando di fare, tutti insieme.
Il referto dell’autopsia, firmato dal direttore dell’Istituto di Medicina Legale della città di Trivadrum non lascia dubbi.
nel referto «post mortem» eseguito il 16 febbraio e firmato dal «dr. K. Sasikala, professor di medicina legale» si legge: «È stato trovato un proiettile metallico con l’ estremità appuntita… misura 3,1 cm di lunghezza, 2 cm di circonferenza alla punta e 2,4 sopra la base. È stato rinvenuto irregolarmente compresso sui lati alla base e con una piegatura nella parte superiore. La base è cava e misura 0,6 per 0,4 centimetri. Numerose righe (multiple markings) sono visibili lungo l’ asse verticale».
– è calibro 7,62
– non è il 7,62×51 NATO, che ha il proiettile lungo 28 mm.
Ergo le autorità indiane sanno fin dal giorno 16 febbraio, successivo al fatto, che i due miitari italiani “non possono” aver ucciso i due pescatori.
Bastava rilasciare subito la Enrica Lexie con tante scuse e mettersi a cercare i veri colpevoli.
Guardi, io mica metto in dubbio il contenuto, ma pure qui: l’errore metodologico è evidente. Lei ci offre questo stralcio di referto in italiano, quando avrebbe dovuto citare l’originale inglese e solo di seguito, casomai, proporne la traduzione. Lo capisce o no cosa stiamo cercando di dirle?
Nella sua “analisi tecnica”, e precisamente qui, lei denuncia “falsificazioni” delle autorità indiane appoggiandosi solamente su fotogrammi del TG1 e scrivendo:
“Nelle descrizioni del contenuto l’estensore (che scriveva con la macchina da scrivere meccanica)”
Cioè lei quei fogli (che a me, ad esempio, sembrano palesemente scritti al computer) non li ha mai avuti tra le mani! Non ne ha nemmeno visto delle scansioni! Li ha visti inquadrati in televisione! Non è nemmeno una fonte secondaria, è lo spettro di una fonte… terziaria? quaternaria? lo screenshot di un video a bassa risoluzione registrato dal televisore che trasmetteva l’inquadratura della fotocopia di un testo. E lei si appoggia a questo?
Questo è solo uno dei mille motivi per cui chiunque si intenda di analisi di una fonte testuale la prenderebbe a calci nelle terga.
Dico, ci rendiamo conto che la sua “perizia” è quasi tutta così? Ma stiamo scherzando?
Abbandonando ogni considerazione sui metodi impiegati nella sua perizia, Grifo, vorrei rilevare alcune (ulteriori?) amenità tecniche e balistiche:
– le nostre FF.AA dispongono da qualche decennio di armi leggere tipo Beretta AR 70/90 con munizionamento NATO in calibro 5,56×45 mm (denom. ss-109) e non 7,62×51;
– il ritrovamento dell’ogiva nel corpo oggetto di esame autoptico presume che questa sia stata arrestata entro i tessuti dopo aver ceduto tutta l’energia con conseguente deformazione della sagoma e – ovviamente – delle dimensioni (quello che chiama “irregolarmente compresso”);
– tecnicamente non è possibile misurare in centimetri – con arrotondamento alla prima cifra decimale – un proiettile che in origine ha un diametro che misura 0,556 cm (terza cifra decimale);
– volendo tuttavia accettare questo (molto particolare) metodo metrologico si scrive “la base è cava e misura 0,6 cm” che è molto vicino a 0,556 (causa arrotondamento);
– mi domando che attinenza hanno la balistica (dei Marò e dei missili – sic!) con le sue pregresse esperienze professionali o co la sua formazione…
P.s.: mi auguro vivamente che non sia iscritto negli elenchi dei Consulenti Tecnici d’Ufficio di qualche tribunale nazionale in qualità di perito balistico…
Greatgasby, molto interessante. C’è una sottodiscussione specifica dove elenchiamo le stranezze e incongruità dell’analisi tecnica, è un po’ più sotto nella discussione ma la trovi facilmente tornando su al post, nel primo degli “Update” segnati in rosso e cliccando “ricapitolati qui”.
Giustissimo se parliamo di armamento individuale (Beretta AR 70/90), ma se parliamo di armamento di squadra credo che i fucilieri di marina dispongano ancora delle MG42/59 (cal. 7,62×51 mm NATO) come armamento di squadra, anche se in via di sostituzione con le FN Minimi (cal. 5,56×45 mm NATO come gli AR70/90).
http://it.wikipedia.org/wiki/Reggimento_%22San_Marco%22#Mezzi_ed_equipaggiamenti
Se pure fosse fondata l’analisi tecnica del di Stefano, le sue conclusioni non dimostrano nulla, visto che le FF. AA italiane hanno tuttora in dotazione armi in 7,62 NATO.
Ma mi chiami come le pare. Le informazioni le ha trovate sul mio curriculum che ho scritto io stesso, il lavoro che ho fatto fra il 1978 e il 1990 nel settore della ricerca lo ho già descritto a un altro utente: i rivelatori di particelle subatomiche per gli esperimenti di fisica nelle macchine acceleratrici. La tesi di laurea è “Ipotesi di piano energetico nazionale basato sulla riforma del sistema elettrico, con l’inserimento di significative aliquote di produzione di energia elettrica da fonti non fossili”, e la qualifica è “Environmental Engineering”. Per iscrivermi all’Albo dovrei fare la conversione della laurea americana in Gran Bretagna e poi chiedere la conversione in Italia, ma proprio non mi interessa buttare un sacco di soldi. Il lavoro che faccio adesso (dal 1992) è nella realizzazione e gestione di impianti per il trattamento delle acque reflue e impianti per la produzione di energia elettrica da solare fotovoltaico e biomasse agricole.
Va bene? Superato l’esamino?
Quella che un po tutti stanno chiamando “perizia” in realtà l’ho chiamata “analisi tecnica”, che significa “analisi degli elementi disponibili sotto il profilo tecnico”. Quindi lei faccia pure l’analisi sotto il profilo storico/politico, io vado a vedere il colore delle navi che la guardia costiera indiana chiama per radio, le misure del proiettile repertato nell’autopsia o lo stato di avanzamento del rigor mortis che si vede sui filmati al momento dello sbarco delle salme.
Abbiamo anche appurato che la “perizia ufficiale indiana” (sarebbero gli “atti processuali”) sono ancora secretati ma che il magistrato indiano poche ore fa ha risposto che ne autorizzerà la diffusione il giorno di inizio del processo. Ma che se la sentenza della Suprema Corte darà ragione all’Italia sulla giurisdizione questi atti processuali resteranno secretati perchè il processo non si farà in India.
Sono intervenuto in questa discussione perchè avete pubblicato uno scritto dove in sostanza mi si accusa di aver fatto una controperizia in modo strumentale senza tener conto degli atti processuali indiani che dimostrebbero la colpevolezza dei due militari italiani.
Vi ho risposto che gli atti processuali sono ancora segreti, e che gli elementi indiziari che è possibile raccogliere indicano l’innocenza piuttosto che la colpevolezza.
“Sono intervenuto in questa discussione perchè avete pubblicato uno scritto dove in sostanza mi si accusa di aver fatto una controperizia in modo strumentale senza tener conto degli atti processuali indiani che dimostrebbero la colpevolezza dei due militari italiani.
Vi ho risposto che gli atti processuali sono ancora segreti, e che gli elementi indiziari che è possibile raccogliere indicano l’innocenza piuttosto che la colpevolezza.”
Non faccia il furbo ingegnere, io ho rilevato che i dati di partenza della sua analisi tecnica sono parziali, inaffidabili e sbugiardati dalla perizia indiana depositata al tribunale il 18 maggio, un mese dopo che lei andava in parlamento a spiegare le sue sentenze.
E, mi permetta, lei non è andato a vedere il colore delle navi, lei ha fatto un analisi tecnica basandosi su filmati in tv. Reputa davvero che il suo lavoro, fatto dal suo domicilio a Roma, possa essere più accurato o attendibile di un team di esperti che hanno fatto indagini e raccolto dati sul campo? Attenzione, che è una domanda trabocchetto, non mi cada sulla supremazia occidentale.
Cordialmente.
Come fa a dire che sono sbugiardato da una perizia indiana che non può aver letto perchè secretata?
Mi sa indicare i punti dove sono sbugiardato? Mi può indicare un solo elemento di prova a carico dei due indagati?
Lei ha attinto al sistema dell’informazione come ho fatto io.
Io ho avuto cura di basarmi su:
– dichiarazioni o atti di funzionari pubblici indiani (Prof. Sasikala medico legale, Commissario di polizia Firoz, Dott.ssa Nisha del dipartimento di balistica)
– dichiarazioni dei testimoni del fatto, i pescatori, rilasciate sia in interviste sia come stralci di dichiarazioni giurate.
– elementi oggettivi quali il colore delle navi, le posizioni, i tempi, etc.
– i famosi filmati che mostrano il peschereccio al momento dell’attracco, lo stato delle salme coi segni dei proiettili, i segni dei proiettili sul peschereccio indicati dallo stesso testimone Mr. Bosco.
– la incompatibilità di posizione e orario con la denuncia di aggressione fatta dalla petroliera greca Olympic Flair allo ICC.
etc. etc.
Mi indichi un punto in cui posso essere sbugiardato e dovrò prenderne atto.
Se non gli sta bene il calibro del proiettile contatti il Prof. Sasikala che ha fatto l’autopsia e chieda conto a lui.
Name : Sasikala. Dr
Specialization : Legal Medicine
Phone(Off) : 0471-2597217 Res : 04712-917048
Fax : 0471-22448825 Mobile : 09446534644
Email : sasikaladr@hotmail.com
Address : Associate Professor, State Medico-Legal Institute
Faculty,CERTC,Medical College, Trivandrum.
http://indiaclen.org/TelephoneDirectory/CERTC.pdf
Senza vis polemica, ma io prima di darle del bugiardo le verifiche le avrei fatte.
Di Stefano, il mio compito o intento o desiderio non è affatto cercare “prove a carico” dei due imputati, quello deve presentarle la pubblica accusa in sede di dibattimento e se non ci riuscirà tutti ne trarremo le dovute conseguenze. Per quel che mi riguarda, Latorre e Girone possono benissimo essere innocenti e in ogni caso vale la presunzione d’innocenza, come per chiunque. Quindi la smetta di chiedere prove a carico a chi la critica, questo non è il tribunale.
[In particolare, Miavaldi critica anche la rappresentazione indiana del caso, spesso nazionalista tanto quanto. E parla anche con rispetto dei due marò, non so se se n’è accorto…]
Quello che dall’inizio si sta cercando di fare è tutt’altro: smontare il modo parziale, strumentale, ideologico e ipocrita in cui la vicenda dei due marò è stata e tuttora viene raccontata all’opinione pubblica italiana.
All’interno di questo modo c’è anche l’uso senza riscontri che media e politici fanno della sua “analisi tecnica”, della quale si riporta notizia (e dettagli) con non-chalance e che viene brandita da forze politiche senza che nessuno – a parte i Radicali, constato – faccia le pulci a lei, alle sue affiliazioni politiche, al suo metodo, né si chieda quale cornice ideologica e quale intento politico possano esserci dietro.
Io vedo che lei continua a proporre un’elencazione eterogenea e incoerente di fonti, senza distinguere. Accosta a referti e pareri tecnici dichiarazioni di pescatori rese in interviste non verificabili, svoltesi in condizioni di cui sappiamo poco o niente, in lingue e circostanze diverse, delle quali non sono disponibili trascrizioni. Desume “elementi oggettivi” da fonti ballerine quali video in bassa definizione postati su YT (a volte non si sa da chi) e articoli di giornale. Dà per scontato che la Marina greca stia mentendo quando dice che la Olympic Flair non ha subito arrembaggi in quel tratto di mare. Etc. etc.
Miavaldi può avere usato qualche espressione imprecisa o troppo perentoria? Ne stiamo discutendo, lui per primo, nonostante le difficoltà di connessione. Anzi, qui è in corso un’inchiesta di massa su come è stata rappresentata la vicenda, qualcuno ha fatto notare che certe cose si potevano dire meglio, qualcun altro ha aggiunto informazioni etc. Quest’articolo avrà un seguito, come dovrebbe succedere nel giornalismo (che noi WM abitualmente non pratichiamo, il nostro mestiere è un altro, ma quando ci accostiamo a quella pratica cerchiamo di esprimerne la deontologia), si farà un sunto di tutta la discussione, anche perché ormai si fatica a seguirla, probabilmente in giornata arriveremo a 300 commenti…
Qelli più parziali, ingegnere, non siamo noi: qui non c’è nessun comitato “antimarò”. E’ *lei* che, pur essendo(si) presentato come tecnico che esprime un punto di vista “asettico”, fa parte di un comitato “promarò” ed è dirigente di una delle forze (“forze” sempre per modo di dire ) politiche che più sta strumentalizzando la vicenda.
Questo noi non smetteremo di farlo notare, lo faremo qui, al Massachussets Institute of Technology dell’Illinois, all’University of California dello stato di New York, nella casella fermoposta dell’Adam Smith University, ovunque.
Se da oggi qualcun altro prenderà le sue opinioni e il suo curriculum in modo meno “neutro”, staccherà il pilota automatico e deciderà di farle le pulci, sarà un buon risultato per lo spirito critico e l’intelligenza collettiva, e potremo dire di aver reso un piccolo ma non disprezzabile servizio al giornalismo.
Nell’immagine: due celebri studenti fuoricorso del MIT di Chicago.
Ingegnè,
mi perdoni. Ho detto una bugia, devo essere sincero.
Ancora non mi sono imbarcato sul pallone stratosferico. Però è davvero un mio grande desiderio farlo, anche solo per un giretto.
D’altronde ero certo che la mia recente laurea al MIM (Mergellina Institute of Minchiologies di Casavatore, Wisconsin) me ne desse il diritto, ma purtroppo non è così.
Avrebbe dei consigli da darmi?
Con gratitudine,
L.
P.s.
Per dirla con crozza briatore: ” Per me i due marò sono di sicuro un valore importante.
Vengono all’834° posto, dopo la tutela degli snowboardisti sulle piste del trentino alto adige e prima della difesa della zanzara anofele ( pur sempre una specie vivente).
Ritengo che già la sola esistenza dell’articolo di Maivaldi – e quindi in questa sede di Wu Ming e della pluralità dei commenti – da sola serva a giustificare una presa di posizione netta contro l’anestesia di regime. Morfina d’informazione e appiatttimento demagogico-sciovinista con i più beceri scopi grazie a voi subiscono il contraltare che si meritano: bell’articolo Maivaldi e grandi Wu Ming ad aver amplificato la voce.
Nel merito dell’affaire dei Marò. Leggendo e rileggendo l’articolo e i numerossismi commenti, c’è da dire che se le vacanze dei Marò sono state saldate con la “donazione spontanea”, di quale ammontare sarà la probabilissima estradizione futura dei due militari per far celebrare il processo in patria? Non è mio costume generalizzare troppo, ma India e Italia non brillano certo per trasparenza e astensione da pratiche di corrutela, a tutti i livelli. Lo dico con senno di causa, avendo lavorato per un imprenditore indiano (di Chennai) e avendo visto, seppure da lontano, come si muovono determinati meccanismi che non ci vuole un genio a fare due+due.
Certo la faccenda è ormai una leva per l’informazione pubblica: ma dal celebrare il processo in India, e quindi portare avanti un’accusa con capi di imputazione che hanno come destinazione la pena di morte, e concedere il trasferimento del processo in Italiand -con evidenti esultanze e baldanze dell’orgoglio diplomatico e altrettante ricadute per le imminenti ambasce elettorali -quale sarà il prezzo da pagare?
Non vorrei apparire troppo disincantato e cinico parlando di prezzo, che ovviamente non è riferito solo a un quantum economico. Ritengo che a voler lavorare di pseudo-realismo il fantastico coupe de teatre che si celebrerà alle soglie delle elezioni in terra italiota sarà la giusta coronazione dello sforzo macchinoso dell’attuale governo (tecnico & associati scrannati) per tagliare il traguardo prezioso dell’obolo urnesco quale piatosa elemosina del futuro esercizio del potere.
Insomma, senza troppe dietrologie, complottismi o meschini tavoli diplomatici, a me pare tanto una tavola imbandita a bella posta. Il mio è un breve volo, forse parto di uno schema pre-concetto avverso a chi manipola l’informazione e cerca di edulcorare/aizzare a seconda della propria convenienza; ma, dati i presupposti dei grembiulati di montecitorio, non lascerei proprio nulla al caso.
Chiedendo venia per la prolassata, Vi ringrazio per l’ospitalità e per aver dato voce alla fumosità di ogni aspetto di questa vicenda, con particolari che altrimenti non avrei letto.
a presto…
Ringrazio Matteo Miavaldi per il suo articolo e i Wu Ming per avergli messo a disposizione il loro balcone.
Non so molto di diritto, marittimo, né di balistica, so qualcosa di pirati (e sennò che salgariano sarei?!) e di colonialismo. Ma sono qui a proporre una riflessione, un’ipotesi, su un’altra questione.
Non ho prove. Se non indiziarie.
In questi giorni mi sono interrogato sul significato politico della cauzione pagata per i due marò.
Mi è sembrato un segnale. Ma rivolto a chi? E dicente cosa?
Poi mi son guardato intorno.
Lo scontro sociale in Italia è destinato a salire.
Lo stato sociale smantellato, i diritti dei lavoratori stretti all’angolo.
Nei prossimi mesi le piazze potrebbero riempirsi sempre più di gente arrabbiata.
E cosa accadrà se un lacrimogeno rimbalzato su un palazzo colpisce a morte un manifestante? O se un proiettile deviato da un pietra fa un nuovo carlogiuliani? O se un fermo di polizia si conclude misteriosamente all’obitorio?
Ecco quelle centinaia di migliaia di euro forse rispondono a queste domande. Forse servono a tranquillizare i “nostri ragazzi”, il braccio armato dello Stato. Forse servono a dire: State con noi, noi stiamo con voi.
Non so dire quanto questa mia impressione sia veritiera – la condivido proprio per questo, per ragionarci su – probabilmente pensare che la cauzione sia stata pagata con l’intento di dare quel segnale è complottismo puro. Ma mi viene da chiedermi come tale atto venga recepito fra gli uomini e le donne delle forze dell’ordine e dell’esercito.
Per precisione: sembrerebbe che le centinaia di migliaia di euro siano state versate a titolo di cauzione e restituite all’Italia all’atto del rientro in India dei Marò.
http://www.repubblica.it/esteri/2013/01/04/news/maro_tornati_in_india-49885266/
Giulio Terzi Ministro Esteri
3 gennaio 14.37.07
Vito, dovendo esserci un processo (che non possiamo fare noi in piazza!) ben comprende che cos’hanno da dichiarare i Marò lo vedremo in Tribunale, le regole democratiche del diritto alla difesa non vengono “sospese” quando piace a noi a seconda di chi è l’imputato…ciò detto, i Marò sostengono di aver sparato alla barca che ripetutamente non rispettava l’Alt (spesso le barche di pirati armati sono camuffate da pescatori) ma di non aver ucciso…la barca di “pescatori” è subito rientrata in porto, e per coprire una distanza di quel tipo in quel tempo avrebbe dovuto avere motori del doppio della potenza rispetto a quelli in dotazione…lo scontro con la barca greca si svolgeva inoltre a metà strada tra la Lexie e lo stesso medesimo porto…non le fa sospettare nulla questo? inoltre l’unica prova per permetteva di identificare i “mittenti” dei proiettili (perchè ogni nazione ha calibri differenti), la barca dei presunti pescatori, è stata guarda caso affondata (non è uno scherzo: affondata, nonostante fosse la prova regina) dalle autorità indiane in quanto non sicura perchè bucata dai proiettili (e perchè allora non è stata tirata in secca e posta sotto sequestro?). capisce che con tutti questi elementi 8e molti altri coperti da segreto processuale) c’è n’è perlomeno da dubitare……
UNQUOTE
Eg.gio Dr.Terzi,
nel suo messaggio si rileva tutto il suo imbarazzo nel dover, come ministro agli esteri del governo italiano,ottemperare agli obblighi di difesa degli organi istituzionali della Stato,in questo caso la Marina Italiana, che la carica le da,ma,nel contempo, non rinunciare alla sua personalità umana e professionale.
Quest’ultima,alla fine,prevale con la espressione finale :
“c’è perlomeno da dubitare…”
Tuttavia nel leggere alcune sue giustificazioni da ministro non possono non affiorare,nel lettore senza pregiudizi alcuni,perplessità sulla fragilità legale delle stesse,pur,ripeto,rendendosi conto che esse costituiscono parte del “dubbio” della sua seconda personalità.
In merito :
A)Una barca affondata in un porto (ma anche in alto mare)indubbiamente un difensore di così gravi imputazioni, x le quali potrebbe essere contemplata anche la pena capitale, indubbiamente avrebbe tutto il diritto di tirarla a galla x esame specifici sulla origine dei proiettili.
B)L’autopsia dei cadaveri dei due pescatori ha certamente rivelata natura e origine dei proiettili che i due avevano in corpo.
C)Nel “dubbio” si può ritenere ammissibile il comportamento del Governo Italiano nell’accogliere con onori,nell’aver investiti tanti soldi di noi contribuenti x infantili cerimoniali e logistica…di quei due ???
Infine,grato, come dettole , dell’innovativo aspetto relazionale di un Ministro verso un cittadino che,tuttavia costituisce innovazione solo nel nostro paese,finalmente in una fase di allineamento con tutti gli altri paesi civili del globo,mi permetto di considerare chiusa questa nostra corrispondenza,soprattutto nel rispetto delle sue tante ancora incombenze istituzionali e professionali.
Cordiali saluti e con stima,
vitodi
Gente,
con tutto il rispetto per i giapster che stanno partecipando e seguendo questa densa discussione, io continuo a stupirmi del livello a cui è giunto questo paese (e sbaglio). Davvero si può pretendere di fare una “analisi tecnica” di un fattaccio come questo, verificatosi a migliaia di miglia da qui, guardando filmati televisivi e accreditando interviste rilasciate a “Oggi”, cioè lavorando solo su fonti secondarie (e che fonti!)? Ma stiamo scherzando? Se lo facesse uno storico lo prenderebbero a pernacchie dai due lati della strada. Mi auguro che il governo italiano abbia mandato in loco dei periti validi e dei buoni avvocati, ché su questa storiaccia schifa sarebbe il caso si facesse piena luce. Una volta tanto… chissà.
Innanzitutto complimenti per l’articolo e per il dibattito. Sono giunto su questi lidi alla ricerca di fatti che mi aiutassero a chiarire la vicenda, della avete giustamente denunciato la nauseante strumentalizzazione. Terminati i convenevoli, la mia opinione: non mi pare che l’articolo di Miavaldi abbia un approccio diverso: le uniche fonti citate sono articoli della stampa indiana. Peraltro alcune affermazioni sono palesemente errate, come la presunta “ammissione di colpa di De Mistura” o la frettolosa liquidazione del ruolo della Olympic Flair. Infine, faccio notare che non è stata fatta una (UNA!) critica nel merito della tanto vituperata “analisi tecnica”. Di Stefano può non piacere come persona, ma se volete smentire la sua versione è quella che dovete attaccare, non il suo autore.
So che suona sempre antipatico, ma non posso fare altro che invitarti a leggere meglio la discussione, perché ben prima che venissero fuori cose strane o discutibili sull’autore, l’approccio adottato per mettere in piedi l’analisi tecnica è stato criticato eccome: scelta delle fonti, comparazione sullo stesso piano di fonti di natura diversa, questioni di (in)competenza testuale, monoculturalismo etc.
Detto questo, quello di Miavaldi è un articolo giornalistico che riporta quello che dicono i media indiani. Non lo si può paragonare al lavoro di Di Stefano, che pretende di essere un vaglio scientifico dei dati e viene presentato dai media come una perizia. Nel primo caso, citare i giornali è normale e direi ovvio, poi si può discutere di tutto, ma il principio è questo. Nel secondo caso, presentare interviste e stralci di articoli come se fossero fonti univoche è metodologicamente scorretto e di scientifico (cioè di filologico, di semiologico etc.) ha davvero poco, pochissimo.
@John Nada
Ciao, come te mi ritrovo qui per avere delucidazioni sulla vicenda. Tu hai fatto alcune affermazioni che mettono carne al fuoco ma non le hai argomentate.. ovvero tu dici “alcune affermazioni sono palesemente errate, come la presunta “ammissione di colpa di De Mistura” o la frettolosa liquidazione del ruolo della Olympic Flair”.. potresti citare le fonti o spiegare meglio la vicenda così come la conosci tu?
Ciao. Riguardo la dichiarazione di De Mistura, essa viene riportata dalla stampa italiana in altra forma: “nella peggiore delle ipotesi in questa vicenda i nostri militari sono incorsi in uno sfortunato, non voluto, incidente, che quindi esclude totalmente la possibilità di omicidio volontario. Nel peggiore dei casi si tratterebbe di una sospetta uccisione involontaria di persone che essi avevano per errore temuto fossero pirati”. E’ evidente quindi che la versione indiana sia solo una estrapolazione (manipolazione?) di un discorso più ampio. D’altra parte, questa eventuale ammissione di colpa sarebbe smentita dallo stesso ministro Terzi, come si può leggere nel suo profilo fb, dove ribadisce più volte che la dinamica dei fatti deve essere ancora chiarita.
Per quanto riguarda la Olimpic Flair è curioso che avendo 2 versioni contrastanti, ovvero che la nave abbia o meno subito un tentativo di abbordaggio, si dia per buona quella di una parte in causa (la compagnia armatrice, che nega) e non quella di un organismo terzo (l’ICC, che conferma).
Ti rispondo solo per cortesia, poi abbandono la discussione, visto che mi sono già preso del “provocatore”.
Secondo me John Nada, ancorché provocatore ( http://www.facebook.com/john.nada.9 ), su De Mistura ha ragione.
Anche secondo me, su quel punto specifico. Ma come dicevo poc’anzi, persino questo dimostra che quasi nessun giornalista italiano ha seguito come la stampa indiana riportava la vicenda.
Per ora ho trovato questo video, del 16 maggio, due giorni prima quello citato nel pezzo (che sto provando a trovare). Insomma, De Mistura mi pare abbastanza ambiguo ma no, non dice “hanno sparato e ucciso”, perché la perizia viene consegnata due giorni dopo. Per ora questo, io continuo a spulciare.
https://www.youtube.com/watch?v=75gpe5GaRY0
Poco sopra leggo Terzi che scrive: “ciò detto, i Marò sostengono di aver sparato alla barca che ripetutamente non rispettava l’Alt (spesso le barche di pirati armati sono camuffate da pescatori) ma di non aver ucciso…”
E lo leggo anche sostenere la storiella che la barca è stata affondata perché danneggiata (???), il che renderebbe impossibili nuove perizie. Che è assurdo e non solo per l’obiezione ricordata sopra e segnala come il ministro si stia arrampicando malamente sugli specchi.
Quanto alla forma della dichiarazione di De Mistura, com’è che questi non l’avrebbe mai smentita nella sua forma assolutamente confermativa, gravissima se non fosse conforme alle sue parole e intenzioni? Era distratto?
Come è stato spiegato, l’obiettivo di questo articolo di Miavaldi e della discussione che ne è seguita, non era quello di allestire un processo telematico o una disquisizione su perizie tecniche e diritto navale: si voleva cercare di comprendere come mai praticamente all’unanimità, con tanto di bollo quirinalizio ed endorsement di Report (la trasmissione antiCasta), la vicenda dei due Marò fosse stata riportata in Italia in modo così unilaterale.
Il nostro Ing. ha contribuito con mirabile chiarezza a dimostrare come mai tutto questo possa accadere. Ciò non è dovuto soltanto alla leggerezza (diciamo così) con la quale si affrontano il passato coloniale e le scorie (metaforiche e reali) che abbiamo lasciato in giro per il mondo.
C’è anche un’altra ragione. E anche questa si trova nelle pieghe di questa discussione. E’ uno spaccato dell’Italia in cui viviamo e del ventennio di merda che abbiamo alle spalle. Un’istantanea del pressappochismo e soprattutto di quanti difensori delle cause vinte maneggiano fonti di dubbia provenienza, fotocopiano dossier, solleticano i facili umori italioti e prosperano nel sottobosco del sottogoverno e delle consulenze, sventolando curricula e giocando ai ‘perrimeson’.
Non mi stupirei se questi Ing. Lup. Mann. Dott. Comm. Naz. Cas. Pau. si trovassero con sguardo stolido a parlare alle telecamere di Maravenie’ e Barbaradu’, convincendo l’audience della bontà dei nostri ragazzi.
La Gabanelli ha detto:
“Buonasera, prima di cominciare, i nostri due marò passeranno le feste a casa a condizione che fra due settimane vengano riconsegnati all’India. Un paese dove, se saranno condannati, rischiano la pena di morte. Allora, che cosa succederà in queste due settimane? Noi non siamo stati in grado di fare una legge elettorale, ma per una campagna elettorale potremmo essere capaci di qualunque cosa. Per una volta dimostriamo di essere un Paese dove a vincere è il diritto. E il diritto internazionale prevede che chi ha commesso reati venga processato nel suo paese.
E’ vero che non si trattava di un’operazione militare in senso stretto, è vero che la giurisdizione è complessa, ma sono i nostri connazionali, e come paese potremmo assumerci la responsabilità di non mantenere la promessa garantendo però all’India di fare le cose seriamente e quindi di processarli qui, e se ritenuti colpevoli e condannati, incarcerati qui, perché la c’è la pena capitale. Ma bisogna pensarci subito, bisogna farlo subito, senza aspettare che finiscano in pasto alla politica che li strumentalizza, li candida, li fa diventare eroi, rischiando così ancora una volta di dimostrare al mondo intero di essere un paese pasticcione e poco credibile”
Mi pare abbia espresso una sua opinione. Certo quello della giurisdizione è un tema caldo, che già qualcuno ha fatto notare e la cui soluzione non è per nulla scontata, e qui può avere ragione o meno. Ma da parte mia condivido la preoccupazione per un eventuale giudizio da tenersi in uno Stato che prevede la pena capitale, e lo condivido anche nel caso dei due presunti omicidi detenuti in India. Ci sta tutto: che anche nel peggiore dei casi non verranno condannati a morte, che sono trattati benissimo, ma trovo lecita la preoccupazione. Con tutto il rispetto per la giustizia indiana non posso avere rispetto della pena capitale.
Peccato che in questi commenti maurovanetti (se ricordo bene) abbia già detto che in India la pena di morte viene applicata molto raramente e per casi particolarmente efferati, quindi c’è poca probabilità che venga applicata per un omicidio colposo. Quindi cosa ne deduciamo? Che la Gabanelli non legge Giap!
Eh no, a questo giochetto non ci sto!
John Nada scrive: “Di Stefano può non piacere come persona, ma se volete smentire la sua versione è quella che dovete attaccare, non il suo autore.”
La “controperizia” del Cav. Di Stefano non è un oggetto piovuto dal cielo, è il frutto del lavoro di un particolare individuo all’interno di un particolare contesto e se voglio utilizzarla devo capire quale sia la sua affidabilità, la professionalità con cui è stata prodotta, le motivazioni che vi stanno alla base e il metodo che è stato seguito. Non esistono i “fatti nudi”.
Il Prof. Di Stefano usa ampiamente i propri “titoli” per dare lustro e credibilità al suo lavoro, a partire fin dalla prima pagina: http://www.seeninside.net/piracy/index.htm Se leggo “Ing. Di Stefano” e “Perito di parte civile Itavia nell’inchiesta sulla Strage di Ustica” sono spinto a credere che chi scrive abbia una particolare competenza su questi temi. Poi scopriamo che è laureato per corrispondenza e che non ha mai fatto l’esame di Stato per ottenere il titolo di “Ing.”, come ammette una volta messo alle strette, e che nell’inchiesta su Ustica il suo contributo non è stato precisamente considerato prezioso dagli altri periti, come racconta lui stesso.
Come procede il Sen. Di Stefano nella sua controperizia? Prima di tutto, cerca di dimostrare l’inattendibilità della Guardia Costiera indiana. Quando secondo lui l’ha fatto commenta:
“Verificata l’inattendibilità della Guardia Costiera indiana (se usa i ‘trucchi’ li può usare in ogni situazione e circostanza) […]”
Ah, chi usa i “trucchi” li può usare in ogni circostanza? E questo non vale anche per l’autore della controperizia?
Se poi, siccome io ingegnere lo sono davvero (anche se non di quelli che fanno i ponti), posso anche dare una valutazione del metodo seguito in questa controperizia e del suo stile espositivo, e vi dirò che non sembra neanche lontanamente un lavoro tecnico-scientifico. Ci sono un sacco di chiacchiere e grafici per dire delle banalità esagerate che saprebbe dire anche uno studente di scuola media.
Per esempio: ben tre diagrammi per dimostrare che per abbordare una nave devi essere più veloce di lei… ma va’? E a questi diagrammi inutili viene messa la didascalia “Rapporti spazio/tempo”. Più avanti, nella pappardella interminabile chiamata “Analisi balistica”, vengono spese migliaia di parole e decine di foto per dire che se il medico ha trovato un proiettile lungo 31 mm questo non può essere lungo 28 mm. Scopriamo anche che il rapporto tra circonferenza e diametro è pi greco. Il Ten. Di Stefano ci assicura che non esistono fucili e proiettili in dotazione ai marò compatibili con quel calibro e quella lunghezza: voi vi fidate della sua parola di esperto? E poi, anche dando credito al suo curioso curriculum, perché un Environmental Engineer dovrebbe essere un esperto di proiettili?
Ma il problema principale è stato già spiegato da Miavaldi e da WM1: l’uso delle fonti è privo della minima serietà. Più che un Ing. ci sarebbe forse servito un Avv. o molto semplicemente qualcuno abituato a fare inchiesta in modo preciso. Non si possono trattare interviste a riviste patinate come se fossero delle prove e, siccome un tizio che non siamo neanche sicuri di come si chiama dice che stava a 30 miglia dalla costa (o così ha capito e poi tradotto l’intervistatrice, ma ha detto “thirty” o “forty” o “thirteen”?), mettersi a disegnare mappe su Google Earth per dimostrare chissà cosa e su questa base dare dei cretini a decine e decine di persone che stanno lavorando sul posto.
Infine, la politica: per me se uno ha a che fare con CasaPound, le sue motivazioni nel difendere l’indifendibile sono fin troppo evidenti. Non mi fido dei fascisti neanche se mi dicono che 2 + 2 fa 4. I fascisti in Italia dopo il 1945 hanno avuto un ruolo ben preciso nell’inquinare, depistare, confondere ogni tentativo di comprensione sia dei fatti storici relativi al fascismo, della guerra e del colonialismo, sia dei fatti di attualità legati allo stragismo, al terrorismo, al golpismo dell’era repubblicana. I motivi che li spingono a intorbidire le acque sono spesso inconfessabili. Il Rag. Di Stefano si è interessato per conto di associazioni di estrema destra di parlare di stragismo proponendo “versioni alternative”, per esempio si veda qua: http://www.facebook.com/events/367229693985/
L’evento in questione si intitola “Stragi di Stato? Ustica e Bologna: e se fossero collegate?” e ha come relatore proprio Mons. Di Stefano. Tirate le vostre conclusioni, ma non prendeteci per fessi.
“Non mi fido dei fascisti neanche se mi dicono che 2 + 2 fa 4”. Direi che discutere su queste basi sia solo una perdita di tempo per entrambi. Peccato.
Non è l’unica cosa che ho scritto, ma è chiaro che non sei venuto qui a capire ma a provocare. Mi sa che non hai neppure letto la “controperizia” del Commendatore.
Peccato che quelle non siano affatto “le basi” di quel che ha scritto Vanetti. Sì, mi sa che sei venuto a provocare.
Aggiungo qualcosa sulla parentesi aperta sullo stragismo per far comprendere meglio il contesto e l’ambiente in cui si muoveva e si muove il sig. Di Stefano. Rosario Priore giudice istruttore su Ustica, oggi in pensione, è stato da poco incaricato da Valerio Fioravanti e Francesca Mambro di predisporre per loro l’istanza di revisione per la condanna all’ergastolo che hanno riportato nel processo per la strage di Bologna. La notizia è stata data in concomitanza con la pubblicazione del libro che dovrebbe riaprire le indagini sulla strage di Bologna a firma di Enzo Raisi. Il libro, ovviamente, addossa la responsabilità della stage sia pure in forma colposa (un tragico imprevisto) ad ambienti della sinistra.
È già una soddisfazione essere arrivato in fondo ai commenti ed aver apprezzato l’imprescindibile valore del metodo di lavoro del (vero) perito, scientifico o letterato. Non saprei che contributo dare alla discussione senza il rischio di ripetermi, pertanto mi permetto solo di segnalare un libro che sto leggendo e lo trovo molto interessante, soprattutto per quei giovani come me che a vent’anni pensano che la storia sia finita con il 1945 perchè non c’è tempo nemmeno per concludere i programmi scolastici.
Stragi e Mandanti di Bolognesi e Scardova.
http://www.ibs.it/code/9788874249329/stragi-mandanti-sono.html
incidentalmente, farei notare come l’esibizione di titoli professionali mai conseguiti, in qualsiasi contesto pubblico, sia un reato e non un’umana debolezza.
viene dunque da chiedersi che valore possa avere il parere “professionale” di chi mente fin dal dichiarare la propria professione:
……..
L’ art. 1 del D.Lgs 262 del 13 marzo 1958 sancisce infatti che che: “le qualifiche accademiche di dottore, compresa quella honoris causa, le qualifiche di carattere professionale, la qualifica di libero docente possono essere conferite soltanto con le modalità e nei casi indicati dalla legge” ovvero dalle istituzioni universitarie statali e non statali autorizzate a rilasciare titoli aventi valore legale.
e l’ articolo 2 della stessa legge dice che: “È vietato il conferimento delle qualifiche di cui all’articolo precedente da parte di privati, enti e istituti, comunque denominati, in contrasto con quanto stabilito nello stesso articolo. I trasgressori sono puniti con la reclusione da tre mesi ad un anno e con la multa da lire 150.000 a lire 300.000. – e soprattutto –
Chiunque fa uso, in qualsiasi forma e modalità, della qualifica accademica di dottore compresa quella honoris causa, di qualifiche di carattere professionale e della qualifica di libero docente, ottenute in contrasto con quanto stabilito nell’art. 1, è punito con l’ammenda da lire 30.000 a lire 200.000, anche se le predette qualifiche siano state conferite prima dell’entrata in vigore della presente legge. La condanna per i reati previsti nei commi precedenti importa la pubblicazione della sentenza ai sensi dell’art. 36, ultimo comma, del codice penale”
———
Per questo mi sento di suggerire a Di Stefano la veloce rimozione di ogni riferimento a titoli dal lui mai conseguiti da qualsiasi spazio pubblico, come già hanno fatto altri che millantavano titoli, quando sono stati avvertiti invece di essere denunciati, come invece forse avrebbero meritato.
Poi se Di Stefano ha il coraggio di spiegare perché fino a oggi ha commesso questo genere di reati, invece di dileguarsi in silenzio, siam sempre pronti ad ascoltare le sue ragioni
John Nada, forse ti è sfuggito qualcosa, a proposito di Di Stefano. Costui si fa chiamare ingegnere pur non avendone titolo. Costui ha spacciato per ‘perizia’ quella che ha poi ridefinito, con un notevolissimo backpedaling, come ‘analisi tecnica’. Costui ha in prima battuta omesso di essere in un comitato pro marò e contiguo a un’organizzazione neofascista. Ti basta o vado avanti? A te questi elementi sembrano degli “ad personam” o sono decisamente sostanziali?
“Se lo facesse uno storico lo prenderebbero a pernacchie dai due lati della strada.”
L’hai detto meglio di me.
Anche se mi viene da dire: “Magari!” Purtroppo in Italia ci sono storici che lo hanno fatto e sono stati applauditi dalle stesse forze politiche che oggi chiedono di “spezzare le reni” all’India…
Ti posso dire una cosa da scienziata? Una cosa così non la farebbe nessuno, non solo lo storico, non mi è mai capitato nella mia breve carriera di basarmi su un qualcosa che non fosse ritenuto ufficiale. Certo che anche lì si può sbagliare (sai quanti articoli vengono ritirati anche da Science o Nature? ‘na marea), ma se non hai un metodo, un rigore, stai sicuramente trattando aria fritta.
Articolo molto bello e equilibrato. L’unica questione su cui l’autore “glissa” troppo è il problema della zona contigua e della giurisdizione indiana. Mi sono andato a rivedere la convenzione ONU sul diritto del mare (UNCLOS), e come sospettavo la questione è abbastanza sfumata. L’articolo 33 del trattato stabilisce che:
1. In a zone contiguous to its territorial sea, described as the contiguous zone, the coastal State may exercise the control necessary to:
(a) prevent infringement of its customs, fiscal, immigration or sanitary laws and regulations within its territory or territorial sea;
(b) punish infringement of the above laws and regulations committed within its territory or territorial sea.
La logica della zona contigua è quindi quella di impedire atti assimilabili perlopiù all’immigrazione illegale nel paese in oggetto, non stabilisce piena giurisdizione per reati commessi in mare.
Questo punto era già stato rimarcato e discusso, proprio all’inizio della discussione. Su Giap la discussione è più importante del post stesso, che spesso serve solo ad avviarla. Il problema è che quando uno legge “250 commenti”, legittimamente, si scoraggia. Quindi è normale che qualcuno riproponga cose già dette. Dovremo proprio fare un follow-up, un sunto di quanto emerso.
Cercando di andare oltre le normali strumentalizzazioni che, dato il livello medio del giornalismo italiano, inevitabilmente emergono, a mio parere ci sono molti aspetti sui quali siete passati sopra dandoli, a torto, per assodati e certi.
1- Vorrei che pensaste un attimo alle dimensioni di una petroliera: ne avete mai vista una? Non è un vascello di 10 metri, l’Enrica Lexie in particolare è un gigante lungo 244 metri e alto 42 (circa 30 dal pelo dell’acqua) e si muove a circa 12 nodi. Riuscite a spiegarmi per quale motivo una barcarola di “pescatori” si è avvicinata all’Enrica Lexie? Cosa diavolo pensavano di pescare a meno di 150 metri (distanza massima dalla quale i marò con le armi in dotazione potevano uccidere) da una super petroliera? Perchè si sono avvicinati così tanto?
2- Che motivo potevano avere i marò a sparare contro quel vascello di pescatori inermi? Per scherzo? Per paura? Per errore? Qual è il motivo?
3- La zona contigua come ha esaurientemente descritto un commento è una convenzione che si applica in rarissimi casi, la nave ha giurisdizione non indiana e si trovava al di là di ogni ragionevole dubbio in acque internazionali. Quindi chi ha abusato del diritto internazionale?
Questi non sono estratti dal Giornale ma semplici considerazioni.
Dai per scontato che sia stato il peschereccio ad andare verso la petroliera, ma forse, semplicemente, era fermo a pescare sulla rotta della petroliera.
Il punto è che i pirati somali e i pescatori si “assomigliano”, sia perché i pirati spesso sono ex pescatori che si sono dati alla pirateria in seguito alla distruzione delle risorse marittime somale, sia perché i pirati non girano col Jolly Roger ma cercano di camuffarsi.
Non è questo il primo caso di pescatori uccisi perché sono stati scambiati per pirati. Il sospetto che personalmente ho, anche dopo aver letto l’articolo allucinante su Vice che è stato postato qua sopra ( http://www.vice.com/it/read/pirati-somali ), è che i mercenari o i soldati di scorta alle petroliere non vadano troppo per il sottile, considerando le “barchette” che ostacolano il libero commercio del petrolio come poco più che fastidiosi insetti. Del resto questo è l’atteggiamento che hanno sempre avuto “i nostri ragazzi” in Afghanistan, in Iraq ecc.: nel dubbio spara, tanto sono dei pezzenti e, se proprio vai nelle grane, in patria ci saranno stuoli di patrioti pronti a mettere striscioni con la tua faccia appesi ai municipi, chiamandoti eroe.
Sulla faccenda delle acque internazionali hai frainteso il centro del discorso. Né l’Italia né l’India danno particolare importanza alla questione della posizione della nave, come spiega l’articolo. L’Italia dice: “Sono nostri soldati quindi godono dell’immunità, anche se il fatto fosse avvenuto in acque territoriali indiane”. L’India dice: “Forse hanno ucciso dei nostri cittadini quindi vanno processati in India, anche se il fatto fosse avvenuto in acque internazionali”. India e Italia hanno firmato una convenzione che sembra dare giurisdizione ad entrambe (la giurisdizione non è necessariamente esclusiva); in tal caso, chi per primo mette le mani sugli accusati può processarli – e quindi sarebbe l’India.
Detto questo, sticazzi. Dal punto di vista sostanziale, io riterrei un’ingiustizia far processare i marò in Italia, un Paese che evidentemente non ha intenzione di scoprire la verità sull’argomento, mentre l’India ha dimostrato di non avere un particolare accanimento contro i due soldati, a cui ha garantito un trattamento coi fiocchi permettendo loro anche di rientrare a casa per Natale.
Aiutate il povero Wu Ming 1 a ricapitolare, per favore…
Nella discussione sono già stati elencati diversi esempi del metodo pressapochistico di Di Stefano:
– pretende di stabilire la falsità di un documento ufficiale indiano senza mai averlo avuto tra le mani, affidandosi unicamente all’inquadratura che ne ha fatto una telecamera del TG1 (che probabilmente, già a sua volta ha inquadrato una fotocopia, quindi sul sito di Di Stefano c’è lo screenshot di un video registrato da un telegiornale che ha trasmesso la fotocopia di un documento – in storiografia, ma anche nel giornalismo, la si definirebbe tranquillamente “fonte di quinta mano”);
– basandosi su una fonte di quinta mano, Di Stefano asserisce, convinto come un pompiere, che il documento è battuto a macchina anziché stampato dal computer, ma non spiega da cosa trae questa convinzione, che è puramente empirica, impressionistica, non argomentata (mentre un commentatore, qui sopra, ha spiegato le ragioni per le quali a lui sembra con tutta evidenza scritto al computer);
– usa come fonte un’intervista apparsa su “Oggi”, condotta da una persona che professionalmente non si era mai occupata di India, intervista filtrata attraverso tre lingue, annotata in un taccuino e con tutta probabilità tagliata su misura dello spazio tipografico concesso dalla rivista. Di quest’intervista non abbiamo una trascrizione completa, non sappiamo nemmeno se sia stata registrata.
– Da quest’intervista Di Stefano pretende di estrapolare “dati oggettivi” come cifre e toponimi. Ora, come si dice “trenta” in lingua malayalam? E l’interprete ha detto “thirty” o “thirteen”, che spesso all’orecchio italiano suonano quasi uguali? Potrebbe aver detto “forty”, che alcuni anglofoni pronunciano in modo molto simile a “thirty”. L’intervistato potrebbe aver detto qualunque cosa, per quel che ne sappiamo. Tanto, non ha certo avuto modo di verificare come siano state tradotte e riportate le sue parole. E come viene pronunciato da un nativo del Tamil Nadu un toponimo che a noi, in base a quel che leggiamo, sembra si pronunci in un certo modo? Di Stefano non si pone *nessuno*, ma proprio nessuno di questi problemi. Il suo è un approccio pesantemente influenzato da incompetenza testuale e monoculturalismo. Usa le dichiarazioni trovate in quest’intervista e le trova in contrasto con altre che la stessa persona ha o avrebbe detto in tutt’altro contesto. Questo approccio è non solo scorretto, ma assurdo.
– E’ evidente che Di Stefano ha consultato pochissime fonti indiane, altrimenti si sarebbe accorto che nessun giornalista indiano ha chiamato il proprietario del peschereccio “Freddy Bosco”. Quel nome si trova solo ed esclusivamente in articoli italiani. Ora, forse quello è il nome vero, ma il punto non è questo: il punto è che Di Stefano non si è accorto che i media indiani lo chiamavano in un altro modo (“Freddie Louis”, e sarebbe bastato leggere la voce di Wikipedia sul caso), perché i media indiani li ha compulsati in modo evidentemente limitatissimo e selettivo, prendendo solo quelli che erano utili a portare avanti il suo procedimento.
– Di Stefano, come ha fatto notare Vanetti, ricorre continuamente a “effetti speciali”, per far sembrare un gran lavoro di analisi e deduzione la semplice constatazione di banalità. Mette in fila tre diagrammi pomposamente intitolati per dire un’ovvietà (per assaltare una nave bisogna essere più veloci di lei).
Aggiungo:
– Di Stefano analizza i fori di entrata e di uscita su scafo e cabina (legno) del peschereccio St Antony affidandosi a screenshot di video sgranati e a ingrandimenti di foto pubblicate sui giornali (quindi in “retinato”, definizione bassissima), e per sostenere la sua tesi fa comparazioni con fori di entrata e uscita in corpi solidi di altri materiali (vetroresina e lamiera metallica), addirittura riproducendo la foto di un vecchio elmetto militare forato da un proiettile e scrivendo: “Per descrivere il concetto usiamo una immagine bellica, un vecchio elmetto attraversato da un proiettile. In questo caso si tratta di lamiera di acciaio, ma è evidente la differenza fra il foro di entrata a sinistra e quello di uscita a destra.” Io non sono un esperto, ma mi sembra un modo di procedere un po’ alla carlona…
Mi è sfuggito qualche altro elemento emerso nella discussione?
Qualcuno ha voglia di perlustrare il sito di Di Stefano e trovarne altri?
http://www.seeninside.net/piracy/
Tutto questo, naturalmente, prescindendo dalle stranezze sul curriculum (riguardo alle quali si è ben guardato dal rispondere) e sui titoli di Di Stefano, della sua appartenenza a un partitino neofascista che sta strumentalizzando abbestia la vicenda dei Marò etc. etc.
Il commento di @iliasbartolini spiega bene perché tutta la manfrina della falsificazione si basa sul niente. Che si tratti di una macchina da scrivere e non di un computer è la panzana più clamorosa di quanto afferma Di Stefano, perché basta guardare le immagini pubblicate sulla controperizia o, meglio ancora, il servizio originale sul TG1, per vedere che il testo è “giustificato”: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-b08c8a6a-bb84-4019-98ff-26d0f22d3ff3.html
Mi viene addirittura difficile credere che errori così macroscopici possano essere stati fatti in buona fede.
per parte mia, metto a disposizione le competenze filologiche per rileggere tutta la “perizia” o “analisi tecnica” che dir si voglia, soprattutto nella parte “metodologica”…
Ok. Gruppo di lavoro sulla “analisi tecnica” di Di Stefano? Chi ci sta si segni qui sotto :-) Poi ci si confronta via email e si pubblica su Giap la sintesi di quanto riscontrato, con esempi di metodologia balzana, premesse fallaci, paralogismi, incongruenze, asserzioni indimostrabili etc.
Per quello che conta, io una laurea in ingegneria ce l’ho sul serio, quindi a disposizione. Trovo però sensatissima l’osservazione di unit.
No, attenzione a considerare Di Stefano già smascherato urbi et orbi e la sua perizia già riconosciuta spazzatura. Non è così. Il fatto che se ne sia parlato qui su Giap, che la cosa abbia avuto un certo successo in rete e che l’abbia ripresa Il Fatto Quotidiano non è sufficiente. Le informazioni farlocche rimangono in circolo sul web, come i numerosi articoli in cui questa perizia è data per buona.
Già adesso reperire le informazioni utili a smentire Di Stefano in questo ginepratio di discussione è difficile. Figurarsi da qui in avanti, col calare dell’attenzione!
Se non si produce una sintesi, un testo facilmente riferibile, linkabile e reperibile in cui si elencano in modo impietoso tutte le cazzate, le mistificazioni, le assurdità, il lavoro di questi due giorni sarà sprecato.
Ho dato un’occhiata all’analisi ed è decisamente grossolana, piena di leggerezze e assunzioni nascoste, non so se val la pena dilungarsi oltre. Sopra ogni cosa mi sembra sostanzialmente inutile: come già fatto notare da più parti le fonti sono quasi sempre giornali italiani, per cui qualunque punto può essere facilmente sbugiardato un volta che le informazioni originali emergono diverse. Si veda ad esempio tutta la disamina del calibro del proiettile che si basa unicamente su documenti non ufficiali.
Detto questo però WM1 permettimi una battuta: al posto tuo non mi sbilancerei sulla validità di controinchieste fatte da gente con scarse competenze scientifiche e basate su fermi immagine di telegiornali… ;)
Eh! Eh! :-) Apprezzo la finezza: anticipare con stile (un po’ alla David Niven) una possibile obiezione che altri potrebbero fare in modo più rozzo, per darmi la possibilità di rintuzzarla subito in allegria!
Chiaramente, non si tratta né si è mai trattato di valutare i fatti che la “controperizia” pretende di analizzare, ma di mostrare che, adottando i metodi di Di Stefano, è impossibile analizzarli seriamente e concludere alcunché di sensato.
Il punto è che questa “analisi tecnica” è stata non solo presa sul serio per mesi (del resto, lo stesso Di Stefano è stato preso sul serio per anni!), ma in qualche modo è stata commissionata (da chi?) a misura di media, di entertainment sciovinista.
Salve.
Per quanto riguarda le prove balistiche, non sono nemmeno io un esperto di balistica ma sono laureato in ingegneria dei materiali e posso garantire, senza timore di essere smentito, che le reazioni all’urto di proiettile di legno, vetroresina e lamiera metallica sono assolutamente imparagonabili data la diversa struttura e le differenti caratteristiche di duttilità e di resistenza a frattura, per questo qualsiasi analisi che non tenga conto di questo (o che prenda per paragonabili risultati su vetroresina/lamiera metallica e su legno) non può essere attendibile.
ma la cosa piu’ sconvolgente emersa dalla decostruzione di tutta la vicenda e’ l’ utilizzo in un interrogazione parlamentare della perizia del pseudo ingegnere , un governo di professori che prende per buona una perizia fatta da 10 mila km da un personaggio con un curriculum pasticciato e strano, l’ MIT di Chicago ! e la CALTECH di frosinone ? e la nostra diplomazia si affida a queste perizie e a questi tecnici ? e allora non ci si puo’ sorprendere neanche dei disastri dell’ Ilva di Taranto degli ingegneri del Tav, dei maghi del debito pubblico e dei tecnici della spending review. Ma mi domando, se questo sforzo giornalistico fatto su giap fosse fatto su altri temi quanti di stefani potremo trovare nei fondali della politica e della vita pubblica? il 2013 e’ veramente iniziato col botto su giap , complimenti !
OT
Di Stefano ad un convegno sull’usura bancaria organizzato da un gruppo consiliare dell’Idv.
https://www.youtube.com/watch?v=-ERfXsXjpqU
tra i relatori anche Scilipoti
http://leconomistamascherato.blogspot.it/2010/11/usura-bancaria-le-ricadute-sulla-realta.html
Avviso ai troll in camicia nera: inutile provare a mandare in vacca la discussione. I vostri insulti ai partigiani, agli interlocutori e a chi smonta i vostri deliri complottisti, come tutti i primi commenti di un iscritto a Giap, vanno in pre-moderazione. Da lì, finiranno direttamente nel cestino della spazzatura, e i vostri nomi e IP in blacklist.
Idem per quelli di voi che si fingono “nostri ex-ammiratori” “delusi” dal nostro “odio per l’Italia”. Puzzate da lontano un anno-luce, not least perché sbagliate a citare i titoli dei nostri libri che affermate di aver letto :-D
Sbagliate di grosso a credere che la presenza di Luigi Di Stefano in questo thread equivalga a una franchigia per casa pau.
Per noi è importante che Di Stefano possa esprimersi qui il più liberamente possibile, e speriamo che continui. Più elementi ci fornisce su se stesso, i suoi trascorsi e i suoi metodi, più la sua “analisi tecnica” si rivela per quel che è.
Mi pareva strano che un articolo del genere non avesse ancora scoperchiato le fogne… del resto, cari WuMing, la naturale tendenza dei fascisti del terzo millennio ad infilarsi strisciando in aree bonificate per seminare confusione e ad appropriarsi di tematiche che non gli competono fa parte del loro stesso DNA; si sa che ‘sti sfigati stanno ancora lottando per la “terza posizione”, o mi sbaglio? Forse sarebbe il caso di dedicare un post apposito all’argomento, tanto per chiarire un po’ le posizioni – magari accompagnato da un bel lavoro storiografico per far capire ai ragazzini che (purtroppo) ancora ci cascano chi cazzo è veramente ‘sta gente.
Cmq occhio, che se continuate così questi vi dedicano un bel seminario, una cosa tipo “Il camerata Thomas Müntzer: prolegomeni ad una storia del socialismo nazionale” ;)
Detto ciò, ‘sta discussione è diventata un gran casino, non si riesce più a seguire un filo logico e i commenti mi sembrano accavallarsi uno sull’altro senza un costrutto…
cmq grazie mille per lo sforzo titanico, regà.
Saluti
Anche “Il Fatto quotidiano” si occupa del presunto ingegnere Di Stefano e della sua “perizia”. Poco più di una ricerca in rete, ammette lui stesso. Ammette anche di non aver avuto contatti diretti con alcuna fonte indiana.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/05/maro-italiani-spunta-perizia-del-finto-ingegnere-targato-casapound/461924/
Pisapia mi ha telefonato circa quattro ore fa, voleva fare l’articolo e gli ho dato tutta la disponibilità.
E’ una persona simpatica, spero che ci siano altre occasioni di collaborare.
Guardi, lo spero vivamente anch’io. L’ho scritto, lei deve poter parlare a briglia sciolta. Parlare, parlare, e parlare. Più cose dice, meglio è. Più parla di se stesso, meglio è. E siccome parlare e parlare e parlare le dà gusto, tutte le parti trovano una loro soddisfazione.
Se vuole le posto una foto di quando ero piccolo!
A parte gli scherzi, l’informazione ha le sue regole e non mi dispiace che questo confronto si risolva nella reciproca soddisfazione. Molte più persone verranno a leggere la mia analisi tecnica e si faranno la loro opinione, qui aumenterà il traffico e ne sarete compiaciuti.
Ora però stacchiamo un po la spina altrimenti diventiamo ripetitivi e annoiamo tutti.
Ci si risente appena avremo gli atti processuali che metterò subito in rete e potremo riprendere il dibattito sulla vicenda della Enrica Lexie mentre si svolge il processo in India.
Avremo tante cose da analizzare: dati radar, testimonianze, medicina legale, analisi chimiche, satelliti… sarà interessantissimo.
Soprattutto sarà buffo, viste le precedenti “analisi”. Lei stacchi pure, se pensa di aver annoiato, ma si lasci dire: non ha la minima idea di come funzionino le cose qui. Come si dice a Trieste, “no ga alba”. Ma è l’alba. Ciao.
Scusate l’intrusione. Volevo portare il mio piccolo contributo su uno dei molteplici aspetti di questa interessantissima discussione: ovvero come il modus operandi della *grande stampa* sia oramai quantomeno surreale.
Dalla chiacchierata con Di Stefano è emerso infatti che lui chiedeva ad alcuni giornalisti amici le informazioni e i dettagli tecnici da utilizzare per redigere la perizia, e che poi gli stessi ri-utilizzavano la sua perizia per validare e certificare come ufficiali i loro articoli.
Altro che non verificare le fonti. Da quello che è stato detto, qui le fonti sono costruite nel nome della profezia che si deve autoavverare (per conto di chi, è facile immaginarlo). Lo stato dei media italiani sembra definitivamente passato da tragedia a farsa.
Per il resto ringrazio Di Stefano per la disponibilità, e non posso che essere d’accordo con il commento di WM1 qui sopra. Più lui parla più ne trovano giovamento entrambe le parti. Chi per un motivo, chi per l’altro…
Un abbraccio a tutte/i
Se per “analisi chimiche” intendi qualcosa di simile alle atrocità che hai scritto sull’Ilva, lascia ben perdere.
http://www.seeninside.net/ilva/
Leggiamo un piccolo esempio del tenore:
“Basti dire che per i terreni inquinati da diossina la semplice aratura riporta alla luce la diossina penetrata nel terreno, e quindi grazie a un processo di degrado fotochimico del tutto naturale viene via eliminata dai raggi UV.”
Siccome ingegnere lo sono sul serio, e ingegnere chimico, per di più, mi sentirei di aggiungere qualche dettaglio a questa apodittica affermazione, “collega”.
– Non è che la cinetica delle fotoreazioni delle diossine sia esattamente istantanea e necessità, per altro, della presenza di un’adeguata concentrazione di ioni idrogeno per avere una dinamica decente.
– In compenso le diossine si legano molto velocemente a una vastissima varietà di sostanze organiche, sono decisamente liposolubili e nei terreni possono permanere per milioni di anni.
– Su quello che è stato realmente emesso da quelle dannate ciminiere sappiamo molto poco, in realtà e per un motivo ben preciso: quei dannati rilevatori non erano affatto costantemente in funzione e non sapremo mai cosa accadeva quando quei rilevatori, come gentilmente concesso dall’ARPA pugliese e da chi ne ha la responsabilità politica, non erano in funzione. Quel che è emerso parlando con ‘insider’ ILVA è che quando quei rilevatori erano spenti come d’incanto si accendevano in torcia residui di misteriosi carichi non meglio specificati.
Abbia bontà, quindi, “collega”: di balistica so poco, ma di quel che avviene e può avvenire in un impianto qualcosina in più ne saprei e quella roba riportata all’URL sopra indicata oscilla tra l’indecente e il ridicolo, altro che perizia o analisi tecnica.
C’è gente che ha passato anni e anni a studiare metodi efficaci per neutralizzare simpatici residui industriali quali le diossine e i PCB, affermare che basta smuovere un po’ il terreno per risolvere il problema è crimonogeno, a dir poco…
Che storia allucinante.
Davvero non so quale parte di tutta la faccenda risulta la più assurda.
Forse il fatto che la Camera dei Deputati accolga le perizie tecniche di un camerata non troppo laureato.
O forse il fatto che le questioni legali di politica estera in questo paese vengano affrontate googlando tra i video di Youtube.
O forse, ancora, il fatto che una vicenda tanto spinosa da tenere i telegiornali e i media nazionali col fiato sospeso per un anno sia stata risolta nei commenti di un post nel blog più improbabile del Web.
O forse, in realtà, il fatto che tutto questo è solo un assaggio del mare di merda in cui stiamo navigando.
Standing ovation per Wu Ming Foundation.
Un bel pezzo quello del Fatto Quotidiano, veramente, perchè scatta in una sola pagina almeno due istantanee rivelatorie, emerse dall’articolo di Miavaldi e dalla conseguente discussione, una positiva e una negativa :
1) illustra bene a che livello qualitativo sia giunto Giap, davvero un’officina di intelligenza collettiva… basta che ora non fondiate un MoVimento… a parte gli scherzi, mi convinco sempre di più che una vera alternativa di pensiero si possa iniziare a costruire proprio in questo spazio online.
2) illustra bene come presunti gruppuscoli come CasaPound, a torto percepiti come marginali e irrilevanti, riescano a imbrigliare l’informazione – e di conseguenza una grossa fetta di opinioni – di una nazione estesa come l’Italia.
Secondo me Di Stefano ci prende per il culo
*Lo dico così perché diversamente non saprei come dirlo
Il suo curriculum “vanta” una laurea presso la “Adam Smith Universiti, che ha una sede a Saipan “http://www.adamsmith.edu/
Quindi è una presa per il culo quando scrive “Per iscrivermi all’Albo dovrei fare la conversione della laurea americana in Gran Bretagna e poi chiedere la conversione in Italia, ma proprio non mi interessa buttare un sacco di soldi.”
Perché quella laurea non vale la carta sulla quale è scritta e si capiva subito, di solito quando una persona dice di aver frequentato un’università ed è vero, si ricorda di dire in che città si trovi.
Saipan è territorio degli Stati Uniti in effetti, ma è alle isole Marianne http://it.wikipedia.org/wiki/Saipan
E casualmente si trova al secondo posto (a pag 115) nel paper “Fabbriche di titoli:
l’indagine di campo” che ha recensito proprio questo genere di diplomifici.
Ergo, se Di Stefano ha una laurea emessa da quella università non vale niente, e non solo per motivi formali, visto che quell’istituto stampa solo diplomi e altro non fa:
2. Adam Smith University
Sedi: Usa, Liberia, Francia
Sito internet: http://www.adamsmith.edu
Questa istituzione è presente negli elenchi delle bogus institutions statunitensi e offre titoli di Associate, Bachelor, Master e Doctorate in diverse discipline. È stata fondata nel
1991 da Donald Grunewald che ne è tuttora il presidente. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha affrontato il caso della Adam Smith in alcuni sui provvedimenti, quando istituzioni operanti sul nostro territorio dichiaravano di rilasciare titoli di questa istituzione non riconosciuta 139. Troviamo altri collegamenti tra l’ASU e l’Italia all’interno dello stesso sito internet dell’istituzione: come contatto per il nostro paese e per San Marino viene segnalato l’European Institute of Technology, altro caso di istituzione non riconosciuta. L’Adam Smith University afferma di averr icevuto un riconoscimento dalle autorità dello Stato della Liberia sin dal 2001 e che i titoli sono riconosciuti anche in Francia dove l’istituzione opera tramite la École Supérieure Universitaire Adam Smith: tali affermazioni sono state smentite dalle
autorità dei due paesi. Nel sito internet dell’istituzione sono citati trenta paesi dove esistono sedi distaccate della Adam Smith: le cosiddette filiazioni indicate sono
anch’esse prive di riconoscimento.
————-
Signor Di Stefano, lo ha capito che è un reato esibire quella laurea?
Quale attendibilità spera che le riconosca chi legge che gira esibendo una patacca al posto della laureaa e abusando di un titolo professionale?
*chiedo perdono per il commento partito a ruota di un altro post :D
Scusatemi se non rispondo direttamente nella catena in cui è stata posta la domanda (mi sono ricollegato dopo un giorno di lavoro fuori casa e i commenti sono tantissimi…) A chi chiedeva cosa ci faceva una piccola barca di pescatori sulla rotta di una petroliera (ipotizzando propositi ostili), la risposta data dai giornali del kerala è che le petroliere e le altre navi mercantili se ne fregano delle reti dei pescatori e vanno a dritto tranciandole. Così i pescatori quando le vedono avvicinarsi alle proprie reti si mettono di mezzo, o puntano le grandi navi mercantili sperando che si allontanino. Se poi trovano degli “eroi italioti”, si beccano invece qualche pallottola.
Sul blog di Mazzetta:
Il perito di Ustica con la laurea finta
Un appunto (che non mi sembra emerso da quanto letto nei commenti precedenti): la diplomazia italiana nel caso Calipari (per un veloce rispolvero si veda http://it.wikipedia.org/wiki/Nicola_Calipari) basò le proprie rimostranze agli Stati Uniti su una tesi che se non è opposa, quantomeno stride con quella odierna. Fu avanzata richiesta di processare Lozano (il marine che uccise Calipari) in Italia in quanto, non operandosi su territorio iracheno in regime di occupazione militare (e in assenza di uno specifico accordo che regolasse la materia – lo Status Of Forces Agreement), potevano essere applicati gli artt. 8 e 10 del codice penale italiano in materia di delitti commessi all’estero da cittadini stranieri, nei confronti di un cittadino italiano.
Per approfondimenti questo pdf.
Senza scendere in particolari sulla prosecuzione del processo e sull’ipotesi di coinvolgimento italiano nella faccenda, sembrerebbe potersi ricavare un’analogia con la questione Marò. Quì si è ritenuto che i due militari italiani, in servizio su una nave mercantile italiana (quindi non coperti da alcun accordo militare multilaterale), siano coperti da immunità dalla giurisdizione indiana, nonostante ritenuti da quest’ultima colpevoli di omicidio in “zona contigua” del mare territoriale indiano (punto questo che sembrerebbe ormai appurato, visto che la versione dei periti indiani è stata accettata anche dai legali dei marò) e quindi, secondo la legge indiana, processabili.
Non so se sono stato molto chiaro, spero di aver reso almeno l’idea. Mi pareva uno spunto di riflessione valido.
Ci sono una serie di atti criminali fatti da gruppi di estrema destra che sono impuniti, uno per es. il lancio della molotov alla polizia durante l’ultimo derby roma lazio. Ci sono le foto divulgate dall’avvocato di un ultras che era stato arrestato dove si vede bene chi erano i veri autori del lancio della molotov era il 15 novembre, dalla foto pubblicata on-line da repubblica 153834155-7595f894-00ff-48cf-b0a0-03b9a6a4fc5d.jpg (questa è la foto) ci sono dei pluripregiudicati per vari reati compreso il tentato omicidio di extracomunitari a Roma con il lancio di molotov in un rifugio di fortuna allo scalo di S. Lorenzo.
Bene queste persone razziste conclamate girano impunemente protette dallo Stato. Es. è anche il raid di Campo dei Fiori (uno tra i tanti che sono successi a Roma negli ultimi anni) Come mai? Sarà che a Roma le piazze di spaccio sono gestite da un ex-NAR ex-Banda della Magliana?
L’impunità degli anni settanta ancora sopravvive per i gruppi di estrema destra questa è la triste realtà.
Oltre al commento volevo ringraziarvi per aver sollevato la questione, ci sono tantissime persone sul web che non erano affatto d’accordo sulla mistificazione della vicenda dei due “marò” (solo il nome mi fa rabbrividire). Si assumessero le loro responsabilità, poi se vogliamo dirla tutta oltre la somma pagata per il natale in casa (che spero venga restituita visto che era una cauzione) lo Stato Italiano ha già pagato 700 mila euro alle famiglie delle povere vittime.
I wikipediani ridevano di Di Stefano e della sua perizia già a novembre: http://en.wikipedia.org/wiki/Talk:2012_Italian_shooting_in_the_Arabian_Sea#Neutrality_disputed:_is_this_article_too_pro-Indian_biased.2C_too_pro-Italian_or_neutral_enough.3F
[…] collettiva’ ha trovato in questi due giorni una delle sue più felici applicazioni. Un articolo sulla vicenda della nave Enrica Lexie del giornalista Matteo Miavaldi, ospitato sul blog…, ha scatenato un’inchiesta collettiva che ha portato alla luce una serie di gravi inesattezze […]
Quetsto è il secondo lavoro sull’argomento “Marò in India” che leggo. Il primo era questo video di Linea Mondo, l’occhio sul mondo di youdem: http://www.youtube.com/watch?v=devZ_K4Et5s
Qualcuno l’ha visto?
Li si lascia intendere che il ruolo della nave greca sia stato decisivo. (Ossia sono stati loro e gli italiani hanno solo sparato a salve). Nel servizio si attribuisce anche un ruolo decisivo alle elezioni che si svolgevano allora in Kerala. Vale a dire che gli incolpevoli Italiani (in assenza dei veri colpevoli Greci), fatti sbarcare dal sicuro suolo italiano dell’ Enrica Lexie con l’inganno (dovevano effettuare un riconoscimento) sarebbero stati vittime dell’ aspra e barbara lotta elettorale keraliana.
Ma a prescindere dal mio riassunto della puntata, una cosa è abbastanza sicura: si ammicca che i due siano le vittime.
Salve a tutti,
La cosa che mi ha sorpreso di più è stata “a garanzia del ritorno in India diamo la nostra parola di italiani”. “PAROLA DI ITALIANI!!!!” Ora, non per sminuire il valore della nostra nazione, o stato o patria o suolo natio che dir si voglia, questa è una cosa che ci possiamo raccontare fra di noi…io credo che appena arrivi a Bressanone o a Ventimiglia per esempio già una cosa detta così fa “stiantà da ride” come diciamo noi.
Penso sia stata una dichiarazione solo per la stampa italiana altrimenti sarebbero stati rinchiusi all’istante nelle segrete!!
…invece, sul fatto che si sia insistito molto sul fatto che i due “sparanti” fossero processati in Italia devo dire che a ciò ci ha ha portato l’abitudine…che forse gli avieri della bravata sul Cermis, o gli 007 del rapimento dell’Imam siano stati processati nel paese che ha subito il danno? Non mi pare.
A titolo preventivo, ai nuovi arrivati su Giap dopo l’articolo de Il Fatto Quotidiano vogliamo dire:
qui non usa (a differenza che in troppi altri posti del web), prima ancora di aver letto l’intero post, precipitarsi nella discussione e nel giro di mezz’ora dare una breve rispostina al maggior numero possibile di commenti.
Quel genere di comportamento è scoraggiato da diversi fattori:
1) il primo commento di ciascun nuovo iscritto va in pre-moderazione;
2) la discussione è fortemente *curata* dalla comunità che si confronta ed esprime su questo blog;
3) se uno lascia una risposta troppo breve il commento non viene pubblicato e compare una scritta: “Uhm… Il tuo commento è troppo breve, ci sono alte probabilità che sia completamente privo di senso. Sforzati un po’ di più, per favore”.
La mole di faccende di cui si è occupato Luigi Di Stefano, oltre a suscitare una giusta ilarità, sta cominciando a preoccuparmi. Quanti personaggi di questo tipo, con questi legami inquietanti con l’estrema destra e una sospetta familiarità con armi ed eserciti, agiscono inquinando l’informazione e addirittura i processi in questo Paese?
Ecco due indagini che si trovano sul sito di Di Stefano ma in forma “orfana” (cioè senza link dalla pagina principale):
– Operazione Sottoveste http://www.seeninside.net/sottoveste/ dove Di Stefano sostiene la tesi che lo scandalo Berlusca-escort sia un complotto per farlo fuori (e su questo potrebbe anche avere ragione) basato su accuse false (e su questo ha senz’altro torto). Perché Di Stefano si espone al ridicolo cercando di dimostrare che Topolanek non è Topolanek perché ha i peli pubici troppo folti e che invece una bionda che fa la doccia nuda… è Topolanek?
– Il caso ILVA-Taranto http://www.seeninside.net/ilva/ dove Di Stefano, esplicitamente su commissione di CasaPound, difende l’innocenza dei Riva, padroni dell’ILVA. Il dossier è incompleto (2 capitoli su 4 sono “work in progress”), ma le conclusioni ci sono già – a dimostrazione del metodo che viene seguito da questo signore.
A questo punto sarebbe davvero interessante capire bene che ruolo ha avuto nel caso Ustica.
>>Quanti personaggi di questo tipo, con questi legami inquietanti con l’estrema destra e una sospetta familiarità con armi ed eserciti, agiscono inquinando l’informazione e addirittura i processi in questo Paese?
Il mondo dei CT (consulenti tecnici) e soprattutto dei periti (non sono termini equivalenti) e relativamente piccolo e pieno di freaks.
Magari conosci già, magari no
http://www.piazzacarlogiuliani.org/pillolarossa/modules.php?name=News&file=article&sid=98
Allucinante, Franti.
Aggiungiamo un’altra tessera al puzzle: in un’intervista Di Stefano sostiene di essere stato testimone di un fatto di terrorismo all’età di 26 anni. Ecco cosa scrive:
“Al tempo del terrorismo, nel ’78, sono stato testimone di un attentato. Ho testimoniato, ho girato due anni armato e mesi e mesi sotto scorta.”
Sarebbe davvero interessante scoprire di che attentato stia parlando. Roma, 1978… Escludendo il sequestro Moro (che non è stato “un attentato”), a me viene in mente Acca Larentia.
la questione è molto più semplice e divertente:
http://www.seeninside.net/motostoriche/bomba.html
spulciando le fonti “di parte” disponibili (fascisteria di Tassinari e la trilogia della celtica di Rao) sono giunto alla conclusione che l’attentato di cui fu testimone il signor Di Stefano sia stato uno degli attentati effettuati da Emanuele Macchi di Cellere con la sigla del Movimento rivoluzionario Popolare.
Tutto ciò mi fa sempre ridere.
Rettifico in parte: la moto che fu seguita da Di Stefano era di Macchi di Cellere, chi ci fosse a bordo non è completamente chiaro.
L’attentato fu comunque rivendicato dal Movimento Rivoluzionario Popolare, quindi dall’organizzazione di Macchi di Cellere.
(fonte)
@berja
La pagina è scomparsa in tempi da record! Grifo ci ascolta…
Bel colpo, per fortuna c’è ancora nella cache di Google: webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:cfCtxRGduq4J:www.seeninside.net/motostoriche/bomba.html. Salvata e messa al fresco, incollo il testo per i posteri:
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E che ci fa Grifo in questo atteggiamento minaccioso, con la Beretta puntata contro un ipotetico nemico?
Il fatto è che, purtroppo, gli anni della nostra giovinezza sono stati anche, per il nostro paese, gli anni del terrorismo. E un episodio grave, una “storia maledetta” di terrorismo e motociclette, ha toccato anche noi. E non l’avrei raccontata, qui nel sito dedicato alle moto storiche, se non fosse stata una storia che ha avuto le motociclette come protagoniste. Casi strani della vita!
Quello che è scritto è tutto vero (anche se a volte sembra una vicenda irreale persino a me), ed inizia una notte di giugno del 1978, poche settimane dopo la tragica conclusione del rapimento e l’assassinio dell’On. Aldo Moro, Presidente della Democrazia Cristiana.
Ho volutamente eliminato tutti i dettagli che possano far riconoscere il colore politico di una parte dei protagonisti, perchè non voglio sottopormi al “giudizio politico” (ma chi fosse proprio curioso si può andare a cercare i giornali dell’epoca)
I nomi sono quelli veri, sono tutti vivi tranne uno, e questa storia è stata vissuta insieme a decine e decine di persone, amici miei.
Erano i primi di giugno del 1978, la strage di via Fani era cosa recente e Aldo Moro era stato assassinato dalle Brigate Rosse da meno di un mese. I media non parlavano d’altro che di indagini, di attentati, di gente gambizzata. E di bombe.
All’epoca avevo 25 anni, sposato già da due e con il primo figlio arrivato prima di subito. Moglie (Papy) e pargoletto erano in vacanza in Umbria, dai suoceri, e mi godevo le serate romane con gli amici. Oggetto di aggregazione, da sempre, la motocicletta.
Da appena tre mesi avevo preso servizio all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Frascati (primo classificato al concorso per assistente di ruolo tecnico) ed avevo lasciato il posto di tecnico coadiutore al Dipartimento di Fisica dell’Università di Calabria, Cosenza, dove avevo fatto il pendolare per quasi tre anni.
La sera sembrava come tutte le altre. Eravamo in quattro al muretto a chiacchierare come al solito di motociclette. Io, Eugenio, il “Biondo” (perchè era biondo, è l’unico che non c’è più) e il “Ragioniere” (all’epoca praticante in uno studio commercialista), l’unico che fosse in motocicletta, Guzzi 850 Le Mans. “Nera”
Noi non parlavamo di motociclette, vivevamo di motociclette. Ci eravamo aggregati più o meno verso i 15/16 anni con le vespette e i motorini e quindi ci frequentavamo già da una decina d’anni. Viaggi all’estero d’estate, campeggi in Sardegna, domeniche “annerchiate” per le strade di montagna intorno a Roma. La nostra era la Tiburtina, antica strada consolare romana che si inerpica sull’Appennino verso l’Abruzzo. L’orgasmo del motociclista, prima che gli raddrizzassero buona parte delle curve.
Era un gruppone composto di tre/quattro sottogruppi maggiormente affiati, che si ricomponevano a volte in posti diversi, dove ci fosse motivo per farlo (ad esempio ragazze da conoscere…). Eravamo tutti molto giovani, io l’unico già sposato, gli altri erano per strada. Ci godevamo senza saperlo gli ultimi scampoli di gioventù, quella vera, fatta di amici e senza pensieri.
Sarà stata l’una di notte, ci passa a due metri un Kawasaki 500, due in sella, che gira per la strada dove abitavo. – “che cazzo di targa…..!”
Era la fissazione di Eugenio. Leggeva tutte le targhe. Quel Kawasaki era un modello che non facevano più da un annetto. La targa era troppo nuova rispetto al modello di motocicletta.
Figurati se gli scappava. Annota tutto.
Una volta, qualche anno prima, nel corso una seduta spiritica organizzata da amici a Terracina, durante un campeggio estivo, chiese allo “spirito” tutta la carburazione dell’Aermacchi 250 da corsa di Renzo Pasolini. Lo spirito azzeccò tutto (tipo del carburatore, misura dei gigleur, saracinesca…..) tranne la tacca dello spillo conico. Eugenio restò scandalizzato di fronte a tanta palese ignoranza anche nell’aldilà. Comunque leggeva Motociclismo, lo Spirito, sennò come faceva a sapere tutte quelle cose?!
Chiacchiere tranquille di una sera di quasi estate.
Sento come un tuono immenso, e contemporaneamente come una forza irresistibile che mi fa avanzare di due o tre metri (davo le spalle all’esplosione).
Mi giro all’istante e vedo la grossa pensilina dell’entrata, a una cinquantina di metri, volteggiare in aria. Ancora un istante e tutta la facciata di vetro del palazzo (l’onda d’urto era risalita nelle trombe delle scale) esplode, come in un film, e una nuvola di detriti viene scagliata contro il palazzo di fronte. Poi tutto comincia a ricadere con una lentezza incredibile, come se rallentasse la pellicola (insomma quello che voi avrete visto al cinema ricostruito con gli effetti speciali noi l’abbiamo visto nel ’78 in una strada di Roma…)
La motocicletta!
Il Ragioniere inveisce, salta sulla Guzzi (fermo…… ‘ndo cazzo vai, sei matto……) e parte come un razzo verso la Cristoforo Colombo, dicendo parolacce che si distinguono fino a che, finita la rotatoria, può dare motore e il rombo copre tutto.
Io corro verso il punto dell’esplosione. C’è sempre il portiere a prendere il fresco proprio li di fronte, il padre di una nostra amica soprannominato “Zoff” (per via, appunto, che fa il portiere) Se stavo tornando a casa mi faceva la pelle, passo proprio la davanti. Quando arrivo, in mezzo alla strada, sento ancora piccoli cocci di vetro che mi piovono intorno
Il palazzo, sede di una grande azienda pubblica, è devastato, sembra un buco nero. Dentro non si distingue niente, ma non ci sono fiamme. Il palazzo di fronte ha alcune serrande che sono entrate nelle camere. Le automobili hanno le lamiere bucate dalle schegge di vetro. Alcuni negozi hanno le serrande divelte e le vetrine in frantumi.Per terra non c’è nessuno, non c’era nessuno, e nessuno si affaccia, o ha ancora il coraggio di farlo.
La Kawasaki 500 mach I simile a quella usata dagli attentatori.
Imbattibile in accelerazione (faceva da 0 a 100Km/h in 4″) soffriva di pericolose instabilità sul veloce, tanto che è ancora soprannominata “la bara volante”
Torno di corsa verso l’incrocio e arrivo nello stesso istante in cui arriva la volante della polizia. E’ del commissariato di zona, ci conosciamo. Sono anni che ci perseguitano perchè dice che facciamo casino con le motociclette (ve ne andate da un’altra parte o facciamo il sequestrino?!, hanno telefonato gli inquilini che fate rumore….. e così via). Questo ovviamente quando eravamo ragazzini. Ora il casino lo facciamo quando arriviamo o quando ce ne andiamo. Nessuno telefona più.
Siamo tutti eccitati (oggi si direbbe sotto schock): – Si, ‘na motocicletta, si abbiamo la targa, forse so andati verso Caracalla.
Torna il Ragioniere: – li ho seguiti fino a Caracalla, se ne sono accorti e hanno rallentato per farsi raggiungere…… so’ scappato ma ho letto la targa…..
Fifone di un Ragioniere! Insegue da solo due terroristi che hanno appena fatto un’attentato e poi scappa…..
La Guzzi come quella dell’inseguimento notturno sulla Via Cristoforo Colombo
Eugenio e il Biondo non ne vogliono sapere, io e il Rag. siamo disposti a testimoniare.
Cinque giorni dopo mi viene a prendere la volante a casa, al commissariato vedo la moto che mi era passata vicino quella sera. La riconosco.
Mi fanno vedere due tizi. Non ho visto in faccia nessuno, non posso riconoscerli.
Il giorno dopo leggo sul giornale che il tizio arrestato, il padrone della Kawasaki, è uno da prendere con le pinze: un processo per tentato omicidio, proposto per il confinio di polizia e altre amenità. Uno dei tanti guerrieri politici che imperversano in quegli anni. Colore politico? Non ha importanza, e ovviamente non potevamo saperlo prima.
Dopo una settimana mi danno il porto d’armi. Lo ho chiesto subito, condizione sine qua non per testimoniare.
Che bellezza! Vado subito ad iscrivermi al poligono di tiro….. che ci fai con la pistola se non la sai usare? E poi mi ero subito calato nella parte.
Imparo a sparare e mi compro una bella Beretta da tiro a segno. Lo sport del tiro si addatta benissimo alla mia natura (sono un razionale riflessivo) e divento bravissimo. Comincio a portarla addosso, ma per mesi e mesi non succede niente.
Il Ragioniere la pistola non l’ha voluta. Dice che lui è troppo nervoso. In realtà è un impulsivo, si è visto bene quella sera.
Si mette male.
Stamattina c’è stata la prima udienza del processo (siamo a fine inverno del ’79)
Partiamo dal commissariato. Io con la macchina mia col Rag., cinque o sei poliziotti in borghese, uno con la moto in dotazione al commissariato (una Benelli 650 che dobbiamo spingere per tutta la Garbatella per farla partire. Giusto il Ministero dell’Interno si poteva comprare una trappola simile…..)
Ci mettiamo seduti vicini nell’aula, vedo per la prima volta il galeotto e ci rendiamo conto che siamo seduti proprio in mezzo al gruppo dei suoi amici. Comunque non potremmo spostarci perchè sono d’appertutto. Mentre giudice e avvocati sbrigano le formalità mi studio la scena: la mamma piange, la fidanzata gonfia il petto verso il martire, il padre sembra che stia li per sbaglio: praticamente è vestito da Yacthmen, gli manca solo il cappello con l’ancora.
Gli amici hanno facce incazzatissime, e qualcuno è proprio un brutto ceffo. Poi gli avvocati che parlottano fra loro. Si sono portati pure il prete, un omone con la tonaca nera con una specie di cuore che sanguina ricamato sopra. Visitare i carcerati…….
C’è una tensione incredibile.
Ad un certo punto il Ragioniere mi fa: – A Gi (sta per Gigi), ma non te senti male?!
Cazzo se mi sento male. Ci stiamo sentendo male dalla paura. Mai successo in vita mia. Sembra che qualcuno mi stia smucinando le viscere con le mani. Una cosa incredibile. Io avevo sempre pensato alla paura come una cosa della mente, non immaginavo che avesse un aspetto fisico. Invece ci si torcono le budella e siamo bianchi come due cenci.
Mi vengono in mente i racconti di mio zio. A lui lo hanno fucilato per finta tre o quattro volte durante la guerra. Gli volevano far confessare certe cose, a lui e altri cinque o sei. Li mettevano al muro e quando quello diceva fuoco o non sparavano o sparavano in aria. Se la facevano sotto. Lui adesso la racconta ridendo, dice che dopo la prima volta quando li portavano a fucilare si legavano i calzoni alle caviglie con gli stracci. I soldati tedeschi glieli davano così evitavano di dover pulire tutti i corridoi. Pratico.
La voce del Giudice……… sono presenti i due testimoni……. si alzino in piedi i due testimoni…… e scandisce i nostri nomi e noi rispondiamo si e si. Cazzo, poteva attaccare i manifesti in piazza!
Tutta la banda si gira verso di noi con occhi feroci. Fra l’altro siamo proprio in mezzo…. Forse credevano che i testimoni fossero uomini adulti, guardiani o altro. Vedere che abbiamo la stessa età loro sembra che li faccia inferocire ancora di più.
Rinvio a data…….
Usciamo insieme a sei poliziotti. Fuori i compari del detenuto ci aspettano e ci sbarrano il passo. Saranno una trentina e nonostante i poliziotti mostrino le armi in pugno non si spostano. Non possiamo rischiare di passare in mezzo. Dobbiamo andare indietro ed uscire da palazzo di giustizia da un’uscita secondaria, stando accorti a non farci vedere.
Il problema è che ora devo andare al parcheggio a prendere la macchina, e quelli sono sempre lì, appizzati, li vediamo da lontano. Mi levano la giacca, mi arruffano i capelli, via la cravatta….. così non ti riconoscono, sono lontani……… vai vai……
Altra paura, se mi vedono mi linciano…… poi diranno pure che ho cominciato io.
Non mi va di farmi ammazzare a bastonate, da questo momento girerò sempre armato.
Il Ragioniere ha più paura di me. Ma la pistola non la vuole lo stesso. Dice sempre che è troppo nervoso. E’ il più bravo di tutti a suonare la chitarra e se attacca ti tiene due ore a sentirlo. E’ andato fino in Olanda con la MV350. Senza casco perchè lui non lo sopporta. E’ nervoso. Un siciliano nervoso.
Io invece me ne vado al poligono a sparare. Sulla Laverda 1000, il possente tre cilindri di Breganze. L’anno scorso, con mia moglie e altri quattro amici abbiamo girato mezza europa: Parigi e poi Copenaghen…
Un giorno, mentre torno in motocicletta, a lungotevere vedo una scritta su un muro: – Tizio Libero!, dove tizio è il galeotto.
Evito di girare nel mio quartiere con mio figlio, meglio essere prudenti. Per il resto vita normale.
Fino a che, un pomeriggio, mi citofona il Ragioniere.
– A Gi, so venuti l’amici nostri……
– Quelli?
– Si, mi hanno citofonato, dice che ce devono parlà. Ci aspettano al bar.
– Scendo!
La Laverda 1.000 che avevo all’epoca dei fatti. La usavo per andare al poligono ad addestrarmi caso mai arrivassero i tartari.
Ma pure per andare a Parigi, a Copenaghen, in Sardegna….
Prima o poi doveva succedere, sò arrivati i tartari. Non ce spareranno alle cinque del pomeriggio, però a qualcuno potrebbe venire in mente di fare lo stronzo. Meglio chiarirsi una volta per tutte.
L’esordio, proprio davanti al bar dove eravamo la sera della bomba, non è dei migliori.
– Noi alle spie je sparamo in bocca! (queste sono proprio le testuali parole!)
Al che il Ragioniere per nulla intimidito gli fa: pure noi te sparamo in bocca, vero Gi?!
Apro appena il giubbetto e ci metto la mano sopra. Il guerriero si calma subito, manco avesse preso un tranquillante.
Però! Con gli inermi tutti leoni……..
Ci vogliono far ritrattare, o meglio dovremmo dire, secondo loro, che quella sera sono passate un sacco di motociclette……
Facciamo i pesci in barile. Se ritrattiamo adesso andiamo dentro noi….. se l’amico vostro è stronzo che mette le bombe con la motocicletta sua mica è colpa nostra, la polizia ci sorveglia e vi sorveglia…….
Si impressionano parecchio quando gli ripeto alcune frasi che avevano detto in tribunale fuori dall’aula, sicuri che nessuno li sentisse mentre uno degli agenti, mascherato, li stava spiando.
C’è quello che parla e fa il capetto, il ciccione da sfondamento, altri due dai movimenti nervosi e le facce torve.
C’è da risolvere il problema ideologico: cercano di sapere se siamo schierati politicamente.
Ovviamente facciamo finta di non capire, e la buttiamo sul fatto che noi in quel quartiere ci abitiamo….. avremmo mandato in galera chiunque……..
Insomma, Alberto Sordi su “La grande guerra” dopo che gli austriaci hanno fucilato Gassman: – Che avete fatto, sapeva tutto lui!
Però dove stava il ponte di barche non glielo dice. E neanche noi!
In effetti è proprio così, avremmo mandato in galera chiunque.
Io sono di sinistra, leggo l’Espresso da quando era formato lenzuolo, e voto socialista per convinzione e tradizione di famiglia. Nessun impegno politico particolare, ma l’idea di voler coniugare libertà e giustizia sociale mi sembra ancora la migliore.
Il Ragioniere invece è fascista. Ma convinto! Con il busto di Benito a casa e il foulard nero con scritto “Me ne frego” che si mette ogni tanto quando andiamo fuori in motocicletta.
Però eravamo tutti e due convinti che chi mette le bombe ha da stare in galera. E siamo disposti a rischiare la pelle per farcelo stare. Non è che avessimo mai prima discusso quest’argomento. Ci è venuto così, proprio naturale.
Una cosa la chiarisco bene, nel corso di questo incontro.
Gli spiego pacatamente che non mi farò prendere a bastonate da nessuno. E che se gli viene in mente di farmi qualche “azione” gli sparerò appena tentano di scendere dalla macchina o di avvicinarmi. Al primo, e pure al secondo, e al terzo e così via. Sparerò per primo e in pancia. Sparerò per ammazzare, preciso, e non per intimidire.
Patti chiari amicizia lunga, quindi in futuro mantenere le distanze di sicurezza.
Mi stupisco un pò di aver fatto questo discorso. Non ero sceso con questa idea. Il fatto è che davanti scuola, al XIV Liceo di Via di Vigna Murata, nel 1973, ho assistito a diverse aggressioni. Una volta tiravano fuori dai cofani gli “stalin” (che sarebbero i manici di piccone), una volta vedevi gente che faceva dondolare le catene, e finiva a botte. In una frazione di secondo scattavano contro i malcapitati di turno (rossi o neri, facevano una volta per uno) e ti dovevi sorbire certe scene che manco nell’africa nera.
Una volta si passò il segno, perchè si accanirono tanto su uno che era rimasto per terra che lo ricucirono con 80 punti di sutura, manco l’avesse mozzicato un pescecane. Il Preside ci riunì in palestra e ci presentò due Onorevoli, uno Democristiano e uno Comunista, che ci spiegarono la differenza fra “avversario” e “nemico”. Brave persone.
Ma quando ho rivisto nelle facce di quei quattro le stesse facce di quelli che tenevano catene e bastoni sul piazzale di scuola ho chiarito la questione.
Su di me nessuno si divertirà gratis.
Chi ci vuole provare deve essere disposto a lasciarci la pelle.
Intendiamoci: io sono una persona pacifica, e non ho mai fatto male a una mosca. Nemmeno sono il tipo sbruffone e spaccamontagne, anzi. Però in ginocchio mi ci metto in chiesa.
Se no meglio in piedi, si prende più aria!
Diciamo “in via ufficiosa” ai poliziotti di questo contatto. – Non ve mettete a litigà….. tranquilli che non succede niente…..
Va beh!
Fatto stà che quando la sera stiamo al muretto (mi capita spesso perchè mio figlio è di frequente coi nonni al mare, abbiamo casa) la volante passa e ripassa cento volte.
Ogni tanto mi si caricano e mi portano a fare il giro nel quartiere, così loro fanno la ronda e mi tengono sotto controllo, visto che non riescono a farmi restare a casa. Franco, sardo di Cagliari, appassionato di mare e pesca subacquea, e Tommaso, napoletano verace e cicciottello, sono i miei angeli custodi per diversi mesi.
Facendo questi giretti notturni sul sedile posteriore dell’alfetta scopro un’umanità che vive nel mio stesso quartiere ma che non avevo mai visto da vicino. Ritrovi di tossici in attesa della dose, prostituzione, i bar dei “ladroni”. L’area di responsabilità del commissariato comprende circa trecentomila abitanti! A volte arriviamo all’improvviso in posti dove sono trenta o quaranta persone, facce che diventano torve appena ci vedono (io ovviamente non scendo mai dalla macchina) e loro, in due, che devono prendere il controllo della situazione.
Mi spiegano le basi del mestiere: – Qui c’è una regola, noi gli corriamo appresso e loro scappano! Guai se pensassero il rovescio.
Una sera incrociamo “er Ta-Ta” (che sarebbe un famoso malandrino locale di cui ignoravo persino l’esistenza). Sono in quattro in macchina e cercano di farli fessi. Inseguimento senza sirena, fa parte del gioco. Loro scappano, ma tu devi essere capace di prenderli! Tommaso si trasforma: sembrava appassionato più che altro alle zeppole e ai sughi ristretti ma diventa una specie di Schumacher. L’alfetta fuma come una locomotiva e io mi reggo alla meglio mentre ogni tanto ho la sensazione che i capelli mi si drizzino in testa…..
L’esperienza di stare seduto dietro l’alfetta durante un inseguimento notturno è di quelle che ti ricordi per un pezzo, garantito!
Sconfitto l’autista der Ta-Ta e bloccata la macchina contro un muro, perquisizione e mitra spianato. Si vede che si conoscono, è come quando i leoni marini recitano il combattimento rituale, serve a stabilire limiti e confini. Io inseguo e tu scappi…….
Capitano pure scenette simpatiche. A volte quando ci muoviamo in gruppo per andare a prendere il caffè al Pantheon ci seguono. Così, caso raro, un gruppo selvaggio di motociclisti romani, rombo di tuono e minigonne mozzafiato delle ragazze (praticamente in sella sono a girocollo….) si ritrova con la scorta dell’alfetta della polizia.
Oppure capita, quell’estate, che siano i due giovani agenti che la tirino tardi con noi a chiacchierare. E quindi intorno al muretto ci sono una decina di moto e l’Alfetta con la radio che gracchia. Da noi era pieno di belle ragazze….. Mi viene da ridere pensando che qualcuno interpreterà la scenetta come “finalmente la polizia è intervenuta contro questi casinisti in motocicletta!”
Il commissario ha capito il movimento. Un paio di volte è passato e li ha rimandati a lavorare (buona sera dottore… subito dottore……).
Il commissario è un bel tipo, grosso, coi baffoni a manubrio, e gira con una Honda Gold Wing azzurra. Un Hondarolo, insomma. Motociclista pure lui.
La Honda Gold Wind come quella del Commissario della stazione di Polizia della Garbatella.
Usa sera siamo in quattro o cinque al bar proprio sotto casa mia (stavamo per partire ed andarcene in centro) quando c’è un’irruzione di Carabinieri (siamo nel ’79…..). Mitra in mano, documenti…… ho il porto d’armi e sono armato, dichiaro.
Mi disarmano e mi si portano fuori, gli spiego, sapevano dell’attentato dell’anno scorso. Hanno più o meno la mia età. Uno mi fa: – Coraggioso eh!
Mi fa proprio piacere, ma se mi avesse visto in tribunale…..
Invece una che conosco, Desirè, che è la ragazza (quando gli gira) di un mio amico, mi dice: – Chi parla e fa la spia non è figlio di Maria! Lei è “rossa”, della “autonomia” dice. Non sà il colore politico di quello che abbiamo mandato in galera e presumendo che sia dei suoi manda la battuta acida. E’ solo una povera imbecille. Che si arrapa all’idea di esercitare la “violenza rivoluzionaria”. All’Università.
Qualche anno dopo mi racconta che si sposa e il paparino gli regala l’appartamento. Mi spiega che si è fatta comprare una casa con una famiglia dentro, a Trastevere. Così l’ha pagata di meno e con le carte del matrimonio gli può comunque dare lo sfratto. Che furba! Certa gente ce l’ha proprio nel sangue…
Ma a parte i pezzi di colore in quei mesi la vita mi cambia. Per fortuna il ragazzino è al mare, mia moglie non è una paurosa e gli amici non si fanno impressionare. Continuiamo a passare le serate estive al muretto, o al fungo all’Eur, o più spesso sugli scalini della fontana del Pantheon, e se non sono le tre di mattina a casa non torniamo.
Però so benissimo che sono in una situazione pericolosa. Quelli non sono dei chierichetti e avranno capito che non ritrattiamo. Quindi c’è il rischio che facciano qualche stronzata.
E poi siamo in pieno periodo di terrorismo. Non passa giorno in cui non si legga di attentati, di gente gambizzata, di morti.
Oddio, non è che mi dispiaccia. Tutto sommato è una bella esperienza.
Quando temi per la vita cominci a vedere tutto in una prospettiva diversa. Leggi sul giornale e vedi in televisione che hanno sparato a quello o a quell’altro, e sai che un giorno potrebbe toccare a te. E allora ti prepari psicologicamente ad affrontare ‘sta cosa, caso mai dovesse succedere. Nessuna illusione, ma non mi farò mettere in ginocchio per essere abbattuto come un cane da un imbecille, come ho visto in televisione. Cercherò comunque di portarmelo appresso. Tanto l’ho capito: se verranno o li vedrò io stesi per terra con un buco in fronte o mi ci vedranno loro.
Nel frattempo ho preso un’altra pistola più potente, una Beretta 81. Vado a sparare in galleria e mi alleno coscenziosamente. In realtà sono diventato bravissimo: il mio record personale con quella da tiro a segno, su bersaglio standard a 25 metri e 50 colpi, è 9,83 di media.
In galleria, a 15 metri con la 7,65, non ho mai messo un colpo fuori sagoma, anche nelle serie di tre colpi in successione. Razionalizzo tutto….. mettere il pollice dove va messo, se nò non colpisci nemmeno un elefante, prendere la mira, sennò mentre tu fai inutili botti quello ti secca…. Ma lo faccio soprattutto perchè mi diverto. Quando rovescio il bersaglio dei 25 metri il “maresciallo” che controlla la piazzola fa: – Quelli sò cinquanta colpi!? Lo dice perchè stanno tutti in un culo di bicchiere! Sono anche uno dei pochissimi in grado di farsi le dieci lire. Sarebbe vietato, ma tanto il maresciallo a venticinque metri le dieci lire attaccate con lo scotch in mezzo al bersaglio non le vede di certo. Poi però vede le dieci lire col buco appese alla catenina. – Queste? le ho fatte col trapano marescià……
Poi dice di Tex Willer che sbuca i dollari d’argento. E ti credo, sò grossi il triplo!
Quando impari è eccezionale! Punti tenendo l’occhio a fuoco sul bersaglio, fai il “primo tempo” (sarebbe la corsa a vuoto del grilletto) e ti poggi sulla catena di scatto, poi metti a fuoco la tacca di mira e il bersaglio appare come una macchia sfocata sullo sfondo. Ad un certo momento il cervello coglie quella frazione di millisecondo in cui farai un centro perfetto e il colpo parte mentre tu hai la sensazione che ti sia scappato, invece hai fatto un dieci.
La pistola da tiro a segno spara con solo cinquanta grammi di pressione sul grilletto (una da difesa con un chilo!) e quindi devi acquistare una sensibilità estrema. E’ il cervello che spara, tu devi imparare a fare questa sequenza velocemente e senza barare. La faccio in meno di un secondo. Cinque colpi in cinque secondi (con la .22 eh, non sono un pallonaro), tutti ben centrati. Praticamente ci ricamo.
Certo, un conto è sparare al poligono di tiro per divertirsi, un altro è usare l’arma nella tensione di una aggressione. Ho letto che il 50% dei conflitti a fuoco avviene nell’ambito di sette metri, che la metà di quelli che vengono uccisi non sono riusciti a sparare perchè non hanno tolto la sicura. Mi hanno detto che la scarica di adrenalina è tale che la mano arriva sul calcio così sudata che è come stringere una saponetta bagnata….
Non pensavo certo di potermi difendere da un killer addestrato che sceglie tempo e luogo e ti sorprende, ma immaginavo piuttosto una qualche aggressione concepita da alcuni deficienti, gente piena di boria che sarebbe arrivata platealmente, convinta di trovarsi di fronte una pecora da intimidire, violentare, e se del caso abbattere.
Mi pareva quel film russo (Il deserto dei tartari) dove i soldati chiusi nel fortino passano la vita aspettando i tartari che non arrivano mai. Ma loro li aspettano con ansia per avere finalmente l’occasione di fare gli eroi. Io non ci penso per niente!
Caso mai (giusto per rimanere in tema russo) mi sento Dersu Uzala, l’antieroe siberiano del film di Kurosawa, che conduce nella steppa una spedizione scientifica. Che evita i guai ma quando è il momento è l’unico che riesce ad uccidere la tigre.
Oddio, non è che stò tutto il giorno a pensare ai terroristi e alle pistole semiautomatiche.
Dopo i primi sei mesi in ufficio tecnico (imparo a disegnare come si deve) mi mandano alla Divisione Macchine, Servizio Meccanica e Vuoto.
Noi facciamo la manutenzione e l’aggiornamento tecnologico agli impianti dell’acceleratore lineare LINAC e dell’anello di accumulazione ADONE. Imparo un sacco di cose. Ho il mio ufficetto con il tavolo da disegno, adiacente l’officina, e passo le giornate a disegnare apparati e impianti, o a leggere Rivista di Meccanica o Ingegneria Meccanica. E decine di cataloghi e manuali di componenti. Per me la meccanica non è un lavoro, è arte! Sono io che concepisco uno strumento, me lo immagino e me lo costruisco in testa, lo metto sulla carta in un insieme di simboli e misure universali in modo che l’officina lo possa realizzare. (più avanti imparerò anche a lavorare sulle macchine utensili e disegnare con il computer)
Il mio lavoro mi piace e mi faccio onore.
Sono P.E., Professionalmente Esposto. Significa che lo Stato mi concede il privilegio di avere 15 giorni in più di ferie pagate, rispetto al popolaccio. In cambio posso essere esposto ad una dose di radiazioni ionizzanti 50 (diconsi “cinquanta”, quelle di Cernobil eh!) volte superiore a quella ammessa per la popolazione civile. Siamo tutti, nel mio gruppo, in questa situazione e ci scherziamo sopra: – sbrigateve a fà i figli, perchè quì ce seccano le palle! – Ah, io già ce nn’ho due! Cazzi tei!, mi risponde in frascatano…
Ogni tanto capita di entrare nel LINAC (Linear Accelerator), un tunnel di 50 metri chiuso da un portone da una ventina di tonnellate. Vederlo da lontano mentre ci si chiude alle spalle lentamente con il suono lugubre della sirena fa sempre un certo effetto.
Quì i pacchetti di elettroni vengono accelerati alla velocità della luce e messi in orbita nell’anello. Poi vengono estratti e mandati a sbattere (collidere, si dice…) contro il “Target” (la “targhetta”, in gergo).
Gli atomi si frantumano e i fisici studiano così la materia primordiale, quella prima della creazione. Strana gente i fisici….
Quando vedi che trasformano la materia in energia non ti impressioni. Questo è un concetto che ormai abbiamo interiorizzato. Ma quando ti rendi conto che fanno pure a rovescio, e dall’energia ottengono la materia, beh…. vedi il dito di Dio e ti senti piccolo piccolo.
Quando siamo dentro, per evitare che qualcuno dalla sala controllo possa accendere gli apparati e ammazzarci tutti, entrando ognuno di noi deve prendere dalla rastrelliera un birillo (i comuni birilli di legno da bambini) e metterselo in tasca. La mancanza anche di un solo birillo da uno dei tre punti di accesso impedisce l’accensione degli apparati. Nel Linac a volte si lavora con i dosimetri (strumenti che misurano le radiazioni assorbite) legati alle mani, in petto e al ventre, con il tecnico di radioprotezione col cronometro in mano e il geiger che fa continuamente ta, tata, ta, tatata, tata…… per oggi basta, fuori tutti….. Quelle cacchio di pompe al titanio, che permettono di tenere un vuoto migliore di quello che c’è a metà strada fra la Terra e la Luna, non si “freddano” mai…
Rispettiamo la “Morte Nera” e non ci esponiamo mai inutilmente e più dello stretto necessario. Ma il lavoro è il lavoro.
Quando si va a lavorare in un posto dove sei “esposto”, anzi, “siamo” esposti è importante la programmazione dell’intervento, che è compito mio (con la supervisione del Capo, ovviamente, ho 25 anni…). Scoprire che ci manca un attrezzo significa prolungare inutilmente l’esposizione di tutta la squadra. Io sono stato “formato” dai migliori tecnici italiani (secondo me!) ed ora, fra l’altro, sono un professionista nelle sicurezze industriali.
Nella pausa pranzo, che da noi è lunga e sacra, io e Antonio (l’unico del gruppo che è più giovane di me) prendiamo la motocicletta e ce ne andiamo al lago di Castelgandolfo, a vederci le turiste che prendono il sole. E fare i “lumaconi”, naturalmente. Ray Ban d’oro, “chiodo” nero, motociclettona luccicante…… non rimediamo mai niente.
Insomma mi diverto tanto, lavoro tanto, imparo tanto. Se vado avanti così, dice il capo, l’anno prossimo mi manda a Ginevra, a lavorare al Centro Europeo di Ricerca Nucleare, il CERN. Non mi pare vero.
Tutto fila liscio, l’unica nota strana è la Beretta nell’armadietto.
E’ bella la Beretta, l’ottantuno, come si chiama in gergo. Nera e filante, un classico del disegno industriale. La smonto e la rimonto, mi piacciono quegli incastri precisi e quegli accoppiamenti laschi, che quasi ballano, dove serve. Ha l’affusto in lega leggera e il carrello d’acciaio, non si impenna. Non si è mai inceppata, tranne una volta che ho usato certe cartucce francesi.
Una volta ho sparato con la blasonata Walter PPK, tedesca. Mi sono ritrovato con avambraccio e pistola a novanta gradi verso l’alto. E quando ce la rimetti in posizione per il secondo colpo, dopo un’ora?!
Se spari con i revolver americani sembra di tirare una cannonata, ma non ci prendi mai. Oddio, capisco le Giubbe Rosse canadesi che usano la 44 Magnum con canna da quattro pollici. Se devi affrontare un Grizzly incazzato, alto tre metri e che pesa una tonnellata gli devi scaricare addosso l’energia di una locomotiva. Lì hai un colpo solo, o te o l’orso.
Però l’orso è bello grosso!
Comunque non soffro della sindrome da rivoltella, che prende a certi quando hanno addosso un’arma. Anche quì è una questione di cervello: se sei cretino ti lasci dominare dall’arma e alla fine ti ci fai male o ci fai male a qualcuno. Io non solo non l’ho mai estratta (tranne al poligono di tiro, ovvio), ma nemmeno mai fatta vedere a nessuno, nemmeno quando gli amici incuriositi ti fanno: dai fammela vedere…… quella de tu sorella, te faccio vedè……
Tranne una volta.
Una sera arrivano, sti tartari.
Decidiamo, io e mia moglie, Papy, di andare al cinema, e finiamo proprio nel quartiere di quelli di prima, gli amici del galeotto. Non avremmo dovuto andarci, in quel quartiere, prima regola evitare i guai. Ma tanto chi ci vede, all’ultimo spettacolo. Tanto più che troviamo parcheggio a cinquanta metri dal cinema, sullo stesso lato dell’entrata, a pettine.
All’uscita, siamo fra gli ultimi, guardo verso la macchina (Renault 4 rossa…) e vedo un tizio giovane, capelli lunghi, aspetto ispido e trasandato, che armeggia sul lato opposto della macchina. Poi vedo un altro tizio, stavolta elegante e con un impermeabile bianco, fermo quasi in mezzo alla strada. Siamo in agosto, a che gli serve l’impermeabile?
Il capellone mi guarda (sto ancora in mezzo alla gente, ho la sensazione che mi conosca), ci fissiamo per lunghi istanti, e quello in mezzo alla strada arretra e sale su una macchina parcheggiata a pettine sull’altro lato, sotto gli alberi, ma con il muso in direzione centro strada. Anche il capellone si muove, attraversa, ed entra nella stessa macchina, al posto di guida.
Che cazzo vogliono?!
Bisogna decidersi, fra qualche minuto saremo soli davanti al cinema, già ci hanno chiuso le porte alle spalle e si spengono le luci. Papy ha capito tutto. C’e l’hanno con noi.
Seconda regola, in caso di guai darsela a gambe.
E’ indescrivibile la sensazione che si prova in questi casi. Tutti e due, fin dal momento che abbiamo visto questi tizi abbiamo “sentito” che ce l’avevano con noi. Eravamo sicuri, e siamo rimasti immobili sulla porta del cinema fino a che il capellone non ha attraversato la strada.
Faccio guidare lei e mi preparo. Se cercano rogne, le hanno trovate. Se hanno intenzione di seguirci li porteremo in bocca alla prima pattuglia che incrociamo.
Terza regola, non fare il buffone o l’eroe!
Usciamo a marcia indietro, e quando facciamo per ripartire e andarcene la macchina con i tizi dentro parte di colpo e ci sbarra la strada. Ci ritroviamo faccia a faccia, a tre metri di distanza, con quello elegante che stava sul lato passeggero.
Il vetro della Renault 4 è una sfoglia di cipolla (mi si è rotto in faccia una volta….) e piatto. Io ho colpo in canna, cane alzato e palla blindata. Sparerò attraverso il vetro. Sono abituato a sparare a 25 e 15 metri, a questa distanza non sbaglierò nemmeno volendo. Tengo la Beretta appena sotto il bordo del parabrezza, in modo che non la vedano, undici colpi a disposizione.
Se apre lo sportello sparo, se vedo una canna sparo, se fa un solo movimento sparo. Mi basta alzare la pistola di due centimetri e il primo colpo glielo metto in faccia.
Nel bloccarmi la strada si è messo troppo vicino, non potrebbe nemmeno aprire lo sportello. Se il guidatore (il capellone) scende gli sparo subito, non aspetterò certo che giri intorno alla macchina e mi spara lui.
Il capellone ha le mani sul volante. Se ne sposta una sparo. Quello elegante sotto quell’impermeabile potrebbe nascondere anche un fucile….. il muso della mia macchina è a venti centimetri dallo sportello della loro….. se spara attraverso lo sportello ci ripara il motore… Le penso proprio tutte, sono convintissimo che questi due stiano per aggredirci, e poi se nò perchè ci avrebbero bloccati?! In macchina sei in trappola, di tutti gli attentati che ho visto in televisione non si è mai salvato nessuno, mentre tenti di scendere ti seccano. Forse aspettano proprio questo, che scendo… forse sono due di quelli che erano in tribunale…
Ma io non scendo di certo. Arma in pugno e puntata, non perderò il vantaggio nemmeno per un millisecondo. Questo imbecille continua a fissarmi, ma gli deve essere venuto qualche dubbio, perchè non si muove.
Faccio il “primo tempo” e mi appoggio sul meccanismo di scatto, sollevo leggermente la Beretta. Ci siamo proprio vicino.
Dura, credo, si e no un minuto, (ma a me sembra una mezz’ora), io immobile che non batto nemmeno le palpebre e quello che mi guarda fisso con la faccia torva. Sembriamo statue di sale, noi e loro.
Probabilmente stavano solo tentando di rubarci la macchina, e poi magari hanno deciso di tentare la rapina. Ma devono aver capito che qualcosa non quadra, perchè anche se ormai siamo rimasti soli sulla strada, alla fine partono sgommando e se ne vanno.
Tiro il fiato.
Si fermano di nuovo ad una ventina di metri, forse vuole che gli passiamo a fianco, forse seguirci…….. e no amici cari, non vi volgo di certo la schiena, adesso!
Si accendono le luci di retromarcia, ricominciamo……. se arrivano a marcia indietro appena scendono dalla macchina li ammazzo tutti e due…… no, se ne vanno!
Ce la filiamo, e di corsa. Disarmare il cane, mettere la sicura, chiudere il bottone della fondina, ricordarsi più tardi di togliere la cartuccia dalla canna…
Arriviamo a via Nazionale, giriamo per via dei Serpenti, vedo due guardie, qui c’è la Banca d’Italia. Sono finanzieri, scendo dalla macchina e gli spiego la situazione, racconto.
– Via dalla macchina!
Escono altri quattro o cinque, cominciano a guardare sotto la Renault, ad illuminare con le torcie l’interno dei parafanghi. Papy ha un momento di sconforto e scoppia a piangere, ma recupera subito, solo un singhiozzo. Pure lei ha la motocicletta, una Honda 500.
Guida ancora lei fino a casa, facciamo tre giri di palazzo prima di parcheggiare, non ce la sentiamo di scendere in garage.
Ammazza che strizza!
Sembrava “La guerra di Piero”, di Fabrizio De Andrè: “Quello si volta, ti vede, ha paura….. ed imbracciata l’artiglieria, ti ricambia la cortesia….”
Dopo questa seratina ritornano gli amici del detenuto. Il Ragioniere non c’è, se ne è andato al Circeo (perchè li è in vacanza la ragazza, ora hanno due figli grandi….) e quindi stavolta citofonano a me.
Quando scendo li trovo seduti dentro la macchina. Mi avevano preso sul serio l’altra volta!
Il capetto vuole sapere che dirò al processo. Non dirò niente, rispondo, solo quello che è scritto nella testimonianza che ho fatto un anno fa.
Faccio ancora il pesce in barile, ma mi piacerebbe tirarne fuori uno e gonfiarlo come una zampogna. Lo sò benissimo cosa dicevano quel giorno in tribunale, je famo questo, je famo quest’altro. Buffoni. So anche benissimo che se solo potessero mi farebbero nero di botte. Come godrebbero a vedermi strisciare morto di paura.
Mi preme continuare a fare il finto tonto. Potrebbe esserci qualcun altro appostato per vedermi in faccia, e io devo cercare di capire chi è, vedere anch’io lui in faccia.
E poi loro devono credere che mi possono attirare in qualche trappola. Che basti telefonarmi per “convocarmi” da qualche parte qualora decidessero di passare “all’azione”.
Ci andrei sicuramente. Quelli del commissariato non vedono l’ora di mettergli le mani addosso. Sarà una bella infornata per Regina Coeli!
Continuano gli episodi “strani”.
Una sera si ferma con gran stridore di freni un fuoristrada, davanti a noi, sull’altro lato della strada. Ne esce di corsa uno come se volesse scappare, esce un altro che gli salta addosso e si rotolano per terra. Il terzo esce impugnando una pistola argentata. Simulano una lotta e il fuggitivo viene riportato nel fuoristrada. Quello con la pistola si mette alla guida e se ne vanno.
Noi (eravamo una decina) restiamo immobili sorpresi dalla scena.
Che vorrà dire?
Quello aveva la pistola cromata. Forse credeva di stare in un film di hollywood.
Probabilmente speravano che intervenissi per poi denunciarmi per minacce e farmi ritirare la Beretta. Così disarmato abbassa la cresta…….. Queste sono le tipiche pensate da avvocato, crede che io sia stronzo come i suoi clienti, probabilmente. Oppure mi volevano far venir fuori dal gruppo per farmi la pelle…. ma no, non sprecherebbero un prezioso fuoristrada. E poi non avevano le facce da killer.
I miei amici lo sanno bene: se vedete che faccio di estrarre la pistola buttatevi subito per terra, perchè sentirete anche i botti. Mai nessuno di loro ha avuto il minimo cenno di paura o pensato che stando in mezzo a loro li trasformavo in potenziali bersagli. O meglio, lo avranno pensato ma se ne sono fregati. Condividiamo tutto, tranne le donne (e quando capita pure questo incazzature e musi lunghi per settimane….)
Un’altra sera una macchina con dentro quattro o cinque persone fa un paio di giri della rotatoria stridendo le gomme, poi si ferma e uno dal finestrino comincia a fare lo stronzo: – dove ce l’hai la pistola…… chi te la data, la questura……., e poi se ne vanno sgommando.
Mai visti prima questi tizi. La cosa mi preoccupa perchè questi sono proprio borgatari, tipo “ladroni”, complemente diversi da quelli del tribunale.
Che c’entrano?
Lo capirò più avanti.
Finalmente arriva il processo, e ci interrogano.
Purtroppo i testimoni sono due esperti di motociclette! sente dire mio padre da un avvocato.
Cercano di metterci in mezzo proprio sulla nostra capacità di riconoscere la motocicletta senza sbagliare.
Io all’inizio sono un pò intimidito e rispondo a monosillabi alle domande dell’avvocato, così il giudice, giusto per mettermi a mio agio mi fa: – Cerchi di essere preciso perchè li c’è un povero giovane……. riferendosi al prigioniero.
Povero giovane?! E io?
Quando ho finito potevo usare la deposizione per essere assunto all’ufficio storico della Kawasaki. Il Ragioniere conferma punto per punto la sua deposizione, e alla fine la faccenda si chiude. La moto è quella, non ci sono dubbi.
Nuovo rinvio ad altra udienza.
Per strada, al ritorno, i poliziotti dicono che gli daranno minimo otto anni!
Invece lo assolvono, credo per insufficienza di prove.
La tesi della difesa è che se anche la moto è la sua, (su questo non ci piove, Gasmann e Sordi hanno fatto il loro dovere e aspettano la fucilazione) chiunque potrebbe averla presa dal garage, usata per compiere l’attentato e poi riportata in garage.
Per incolpare proprio lui, poverino, che a parte un tentato omicidio, il confinio e duecento denunce per rissa, è proprio una brava persona. Ha il suo “ideale”! Lo vuoi mettere con noi che pensiamo sempre alle motociclette e al campeggio in Sardegna.
Tanto più che c’è la testimonianza della mamma a dire che quella sera non si è mosso di casa, dormiva come un angioletto.
Ma pensa tu. E io stò rischiando la pelle, di fare una vedova e un orfano, per partecipare a questa pagliacciata!
– Ce fanno chioppi, qui ce fanno chioppi a tutti e due!
Il Ragioniere è veramente agitato. In effetti il pericolo non è che sia finito, anzi!
La polizia non ci sorveglia più e qualcuno vorrà regolare i conti. Lasceranno passare un pò di tempo e poi ci verranno a cercare. Staremo a vedere.
Il primo episodio “strano” accade un pomeriggio: – vai a vedè, davanti al Commissariato c’è una mezza rivoluzione!
E’ successo che una telefonata ha chiamato la volante in un bar del quartiere. Scende Franco, il sardo, e ci trova dentro un tipo mezzo scemo, pure del quartiere.
Franco dice che è stato aggredito, fatto stà che lo riempie di botte e lo porta al commissariato.
Dopo pochi minuti si radunano davanti tre o quattrocento persone, con pure la madre di quello, che “si sente male” (questo è un classico)
Si devono barricare dentro al commissariato, mentre volano le sassate, e deve intervenire un reparto di celerini con elmi e scudi per portare via l’arrestato.
Morale della favola, dopo pochi giorni trasferiscono Franco e il Commissario, quello con la Honda Gold Wing;
Noi ora ci sentiamo proprio soli, in balia degli eventi.
Suona il citofono verso le dieci di sera, è il mio vicino di casa…..
Senta, le volevo chiedere se scende un attimo….. devo mettere la macchina in garage e qui fuori ci sono due brutti ceffi in una macchina verde, mi farebbe questo favore….
La macchina c’è, Volkswagen verde ferma all’angolo sul lato opposto della strada.
Dentro due tizi con due capigliature ricce alla Lucio Battisti, uno moro e l’altro biondo.
Gianni e Pinotto…… sono parrucche, è evidente. Magari volevano fregare la macchina al vicino (una golf nera nuova nuova…) o magari ce l’hanno proprio con me?!
Il giorno dopo indago.
L’elettrauto che ha bottega proprio a fianco dell’ingresso del garage condominiale è amico mio………
– E come no! L’ho vista di girare e rigirare quella Volkswagen verde. Si, due tipi con i capelli ricci, uno biondo e uno nero. Il portone era aperto (è aperto tutto il giorno) e sono entrati, sono scesi con la macchina…… così quando sono usciti ho preso la targa.
Ho pure la targa!
Vado al commissariato, parlo con Felice, che sà tutta la storia e che conosco bene (era lui sulla volante la sera dell’attentato)
Dopo qualche giorno mi dice che si, è gente di San Giovanni, la macchina è intestata a una donna che mantiene uno dei due. Gente pericolosa, rapine a mano armata, prostituzione. Se li rivedo glielo devo far sapere.
Dopo pochi giorni dal garage manca la motocicletta di mia moglie, una Honda 500 che era un brillante, mentre il mio Laverda 1.000 un pò datato non lo hanno toccato.
Stronzo, mi dico, tu stai a pensare ai terroristi e ti sei fatto fregare la motocicletta!
Però mi telefona il Ragioniere dopo due o tre giorni: gli hanno rubato la macchina da dentro il garage!
La Honda 500 four come quella che è stata rubata a Papy.
Veramente era marrone, ma poi se ne è ricomprata una identica a questa.
Non so cosa pensare, sono imbufalito per la motocicletta. Passa ancora un pò di tempo e ne esce un’altra.
Al famoso muretto, che occupiamo ormai da una decina d’anni, oltre alla nostra si è formata un’altra comitiva, di ragazzi più giovani.
Noi occupiamo il lato che dà appunto sul muretto, dove ci sono dei giardinetti e loro, sull’altro lato della strada, stazionano in genere davanti al bar. Sono tutti appiedati, qualche utilitaria, niente moto.
Ci sono incontri sporadici e ci conosciamo superficialmente. Hanno fra i quindici e i venti anni. Loro un pò ci ammirano perchè siamo più grandi e facciamo gruppo con le motociclette. Una sera uno viene da me, mi deve parlare.
– A Luì, ti devo dire una cosa, però mi devi promettere che non lo dici a nessuno, sennò mi ammazzano!
E che cavolo mi deve dire?!
Lui e altri due del gruppo fanno “politica”, sono una specie di “militanti”.
La motocicletta l’hanno presa quelli della Volkswagen, il biondo e il moro di San Giovanni, e loro tre, per dare il carisma della “politica” all’azione (il biondo e il moro sono due delinquenti comuni) l’hanno presa in consegna e trasportata a braccia in una cantina.
– Quale cantina?
– Quella di Marcello, il becchino.
Questo Marcello è un altro che conosco marginalmente, bazzica il bar che stà proprio sotto casa mia (non quello davanti al muretto) ed ha, con dei parenti, un’agenzia di pompe funebri.
E’ poco più grande di me, ed è una persona scostante, di quelli falsi, untuosi, che vuole sempre fare l’amico……
Il giovanotto che mi ha fatto la confessione ora è veramente disperato perchè teme che io lo riveli. Mi tocca pure consolarlo, ed effettivamente se la faccenda stà così gliela farebbero pagare cara. Ovviamente mi tocca coprirlo, comunque la lezione gli serve perchè poi la pianta di fare l’imbecille, l’aspirante guerriero.
Insomma il furto della motocicletta (e della macchina del Ragioniere) era la “punizione” decisa per la nostra testimonianza.
Sono stati incaricati delinquenti professionisti, hanno dovuto partecipare i tre giovani “militanti” per rendere “politica” l’azione. Il basista era uno che bazzicava il mio portone e che gli ha detto il momento che io non ero in casa, e che poi ha fatto da ricettatore.
Naturalmente però vado ad affrontare il beccamorto, gli dico che sò tutto, che porto le guardie alla sua cantina, mi riprendo la motocicletta e lo faccio arrestare.
Mi fa tutta una sceneggiata di lacrime e di pentimento, mi dice che lui è stato costretto e così via, di non rovinarlo……
Tenta in tutti i modi di sapere chi mi ha fattola spiata, il maiale.
– Allora ridammela. Andiamo alla cantina, io me la ripiglio e chiudiamo così.
– No, non posso, non dipende da me.
La motocicletta è custodita sotto la responsabilità dei capo-malandrini dei mio quartiere.
Sembra non proprio dei capi-capi, ma dei capi in divenire, quelli che hanno più o meno la mia età.
Gente che conosco da anni, con cui ci sfidavamo coi motorini. Loro ci consideravano i figli di papà, e noi i borgatari. Una volta siamo finiti pure a schiaffi per una questione di donne (la ragazza di uno di loro che stava in galera si era messa con uno di noi), ma nel complesso ci rispettavamo. Anzi qualche volta che la sera ci siamo incontrati a piazza del Popolo in motocicletta ci siamo fatti matte risate. Romanacci veraci e simpatici come noi.
Fatto stà che loro la motocicletta “non possono” ridarmela. Non ho capito se perchè si sputtanerebbero nell’ambiente o se pure loro devono rispettare gli ordini di questa “entità superiore” che ha ordinato l’operazione, questa specie di rappresaglia.
Io insisto, mi incazzo, faccio la scena, e alla fine arriva uno di questi, serio serio, che mi fa: ci dispiace che è capitato a te, ma non ci possiamo fare niente, la moto non te possiamo ridare. Fai quello che ti pare.
Ci è venuto apposta, è una cosa seria.
Mi consiglio col mio amico poliziotto: Lascia perde, quella è gente che ha sulle spalle cose serie……, che te metti a fà. Lascia stà, la motocicletta te la ricompri.
Va beh, sembra proprio finita!
Ma si, tutto sommato ci si può stare. La pelle a casa ce l’abbiamo riportata, e visto quello che si legge sui giornali è già un risultato. Poi mi scade il porto d’armi, non me lo rinnovano (figuriamoci, non gli servo più…). Pazienza, uno mica può girare armato per tutta la vita.
Mi rode un po’ per il poligono di tiro. Mi divertivo.
Senza porto d’armi dovrei portare la pistola scarica e chiusa a chiave nella valigetta, nel percorso che mi danno da casa al poligono. Certo, così si appostano e me la levano. Meglio lasciar perdere.
Adesso abbiamo i capelli mezzi grigi e la pancetta (e che pancetta!) e un sacco di figli.
Il Ragioniere ora è il mio commercialista e quando ci vediamo chiacchieriamo prima cosa di motociclette e poi del resto. Abbiamo fondato un’associazione: “Noi che abbiamo conosciuto la paura!” composta di due soli adepti, io e lui. Ha ancora, nel cassetto della scrivania, il suo vecchio foulard nero con scritto “me ne frego”, e nessuno potrebbe nobilitare più di lui questo motto un pò sbruffone, visto come si è comportato in questa vicenda.
Coi malandrini, i romanacci veraci, ci siamo incrociati a portare i figli a scuola quando facevano le elementari, e poi alle recite e ai colloqui con gli insegnanti alle medie, ci siamo scambiati qualche telefonata apprensiva quando tardavano a tornare dal mare…. e ora i figli a scuola ci vanno da soli. Anche i leoni invecchiano.
L’ottantuno è tutta smontata coi pezzi “chiave” ben nascosti, e senza cartucce. Ogni tanto, in media ogni tre o quattro anni, mi viene la nostalgia, la rimonto, la pulisco, prendo la mira: zac zac zac, e stendo un terrorista virtuale che non esiste più. Mi rimiro il bersaglio del record, tutto bucherellato, e ripenso a quella sera in cui dietro alla tacca di mira vedevo, invece del solito foglio di carta, la faccia di uno.
Beata gioventù…..
Ah, un’ultima cosa.
Franco, il poliziotto di Cagliari, e il Commissario con la Honda Gold Wing, erano stati trasferiti in una città del Lazio, non lontano da Roma.
Un paio di mesi dopo del furto della motocicletta, in una “brillante azione di polizia”, fermarono due automobili e arrestarono cinque o sei persone. Gli trovarono, nascosti dietro ai pannelli di plastica degli sportelli, tre pistole, un fucile a canne mozze e una bomba a mano. E così una gang di imbecilli viene smantellata, messa in pensione anticipata. Non faranno più male a nessuno.
Chi erano?!
Ma come, non lo immaginate?
Erano quelli del tribunale, compresi i quattro che mi venivano a cercare. Avevano la loro “base operativa” proprio nel posto dove erano stati trasferiti i due poliziotti.
E ancora non ho capito, dopo ventitre anni, se è stato un caso o come diavolo sia potuto succedere.
Però una cosa l’ho capita: non è stato inutile, alla fine abbiamo salvato anche quegli sconsiderati, che magari ne facevano una grossa e passavano il resto della vita nelle patrie galere.
Grifo
Gustosa la parte del recupero di informazioni tecnologiche tramite seduta spiritica.
Si potrebbe radunare intorno a un tavolino a tre gambe un manipolo di linux hackers per chiedere al medium il codice sorgente di MacOsX. Poi lo si passa a quelli di Gnome3 così risolvono tutti i problemi.
Solo che occorre la Presenza di un ingegnere: Mauro, si può contare su di te?
;-)
Hai veramente colto un punto sensibile, definendo il mondo dei CTU/CT italiani piccolo e pieno di freaks, Franti.
In un paio di decenni di professione (sono ingegnere, però laureato solo al Poli di Torino – non al MIT di Chicago) mi è capitato, una mezza dozzina di volte, di assistere al lavoro di questi elementi ed è roba da preoccuparsi: sciatteria nell’acquisizione dei dati, manipolazioni dei risultati, metodi di rappresentazione delle conclusioni che facevano inorridire. Tutta gente che fa il CTU di mestiere. Quindi non si aggiorna, non continua a studiare, non mette mai il naso oltre il proprio giardinetto.
Purtroppo anche tra coloro che si occupano di scienza “dura”, nel senso di una disciplina regolata da principi piuttosto incontrovertibili (chessò, la gravitazione universale piuttosto che il secondo principio della termodinamica), c’è chi riesce a piegare le conclusioni per dare soddisfazione (=certezza) al giudice di turno. E senza arrivare alle manifestazioni di malafede più scandalose – tipo la pallottola deviata dal mattone volante di Carlo Giuliani- c’è una marea di persone che, nel comprensibile tentativo di far valere le proprie ragioni dovendo confutare le perizie di questi personaggi, s’è trovata a doversi riempire di debiti per combattere contro questa mediocrità.
e come ti sbagli, la perizia sull’ Ilva non poteva mancare con il rag di stefano forse ingaggiato direttamente da riva tramite *cassapound*, questa vicenda dei maro’ sta’ scoperchiando un vaso di pandora che coinvolge tutta l’imprenditoria deviata e tossica che domina il paese.
Per quello che ho potuto capire io su Ustica il falso ing. Di Stefano ha scritto ben 2 libri:
Il Buco: scenari di guerra a Ustica
Ustica. Quel maledetto missile.
Di Stefano ha insomma sostenuto la tesi del missile (probabilmente francese http://www.giornalisticamente.it/index.php?option=com_content&view=article&id=737:la-francia-e-ustica-parla-luigi-di-stefano&catid=36:top-cronaca&Itemid=55) ed era il tecnico di Aldo Davanzali…
Ohibò, ma questa è una mia articolessa!
La cosa che mi aveva incuriosito da subito sul sito seeninside.net è stato il fatto che fosse l’unica fonte che forniva un’interpretazione della vicenda in base ai tracciati radar.
Guarda, quella roba è semplicemente indecente, me l’ha segnalata una compagna e sono a dir poco trasecolato, nel leggere. Del resto, capisco bene come chi viva immerso in deliri nazionalistici possa avere tutto l’interesse a scrivere simili bestialità. L’interesse *nazionale* vale ben più della salute di qualche pezzente proletario, nevvero, Di Stefano?
Piuttosto che star qui a dissertare,spesso,senza alcun senso o utilità,darsi da fare per sollecitare la Corte dei Conti a dare risposta a :
QUOTE
http://www.codacons.it/articoli/maro_tornati_in_italia_esposto_codacons_alla_corte_dei_conti__254488.html
MARO’ TORNATI IN ITALIA: ESPOSTO CODACONS ALLA CORTE DEI CONTI
PER LA CAUZIONE E LE SPESE RELATIVE AL “PICCHETTO D’ONORE” ELARGITO AI DUE MARO’, SPESE INGIUSTIFICATE SENZA UNA SENTENZA DI ASSOLUZIONE
Un esposto alla Corte dei Conti per il caso dei maro’ italiani arrestati in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori. Ad annunciarlo il Codacons, che cosi’ spiega la sua iniziativa:
“Alla luce del possibile dolo o colpa nella morte di due innocenti pescatori indiani, la giustizia, anche quella straniera, va sempre rispettata – scrive l’associazione – Nella vicenda dei due maro’ le istituzioni italiane hanno invece dato un pessimo esempio. In assenza di una sentenza di assoluzione, infatti, le spese affrontate dallo Stato italiano per i due militari (cauzione, picchetto d’onore, ecc.) appaiono assolutamente ingiustificate, e potrebbero rappresentare uno sperpero di soldi pubblici. Il Presidente della Repubblica, cosi’ come ministri e vescovi, possono certamente prendere posizione in favore dei due maro’, ma cio’ che non appare possibile e’ sostenere spese a carico della collettivita’ fino a che la loro posizione giudiziaria non sara’ chiarita”.
Per tale motivo il Codacons chiedera’ alla Corte dei Conti di accertare la congruita’ delle spese affrontate dal nostro paese per la cauzione e il picchetto d’onore in favore dei due militari arrestati in India, al fine di verificare se siano giustificate o meno.
UNQUOTE
Da aggiunger anche l’assurdo volo privato India-Italia-India dei due !!!
Email della Corte dei Conti :
urp@corteconti.it
Personalmente non amo affatto queste iniziative petizionarie, soprattutto alla corte dei conti. Primo perchè concentrarsi sul ‘soldo’ fa perdere di vista il punto politico della faccenda: (due imputati di omicidio accolti al Quirinale come eroi etc etc.)
Secondo perchè la Corte dei Conti sta agendo come cane da guardia delle politiche di austerity: indagando e terrorizzando il settore pubblico con l’effetto che tutta la spesa viene bloccata ‘per paura’ che la corte intervenga. Non si fanno più neanche quelle poche assunzioni che sono assolutamente necessarie. I comuni chiudono i contratti per le mense degli asili, quando non gli asili. E in nome della corte del conti si taglia la cultura (e,incidentalmente, si sgomberano i luoghi dove i lavoratori e le lavoratrici della cultura provano ad autogovernarsi come l’Ex Asilo Filangieri di Napoli, e si denunciano questi lavoratori). E molto molto altro…
Il picchetto d’onore costa poco, giusto il gasolio per prelevare una dozzina di marmittoni dalla Cecchignola e portarli all’aeroporto. Anche la cauzione, spero bene che ce l’abbiano restituita, ora che i nostri eroi son tornati in India (per inciso, paese in cui stuprano le bambine a ripetizione: e si arrogherebbero il diritto di giudicare due Marò?).
Invece il discorso del volo andata e ritorno mi interessa: paga sempre Pantalone?
“Paese in cui stuprano le bambine a ripetizione”.
Questa frase è oscena, razzista e del tutto inadeguata al tenore della discussione.
“gli italiani sono un popolo innegabilmente vigliacchetto”
Questa invece è roba progressista ed illuminata…
Non avevo colto l’ironia. Temevo fossi un lettore del Fatto trasmigrato su Giap.
Del resto ce l’avevo già, un mezzo sospetto di non scrivere come David Foster Wallace.
Non è questione di progressismo, è la dura realtà dei fatti che, ti assicuro, fa incazzare tanto te quanto me.
Non trovi anche tu che gli italiani abbiano una certa propensione a farsi passare sempre e comunque come le vittime della situazione, senza assumersi mai uno straccio delle proprie responsabilità storiche?
E il nascondersi sempre dietro alla retorica dell’amor di patria o dietro alle avvilenti mistificazioni di cui è costellata la nostra storia più o meno recente tu come lo definiresti? Coraggio?
Gli esempi si sprecherebbero se solo avessi tempo e voglia di stare qui ad enumerarteli, ma penso ti sia già stato risposto in maniera sufficientemente efficace più sopra.
Buon proseguimento.
No, è una frase generalizzante e scema, oltrechè facile da dire in un posto nel quale una versione più intelligente di questa frase è la linea ufficiale.
Diciamo che “in questo posto” si pensa,
e non solo lo si pensa ma lo si argomenta,
e non solo lo si argomente ma – post dopo post dopo post – se ne sono forniti numerosi esempi concreti, (esempi che peraltro non scopriamo noi ma sono stati studiati da storici come Angelo Del Boca, Giorgio Rochat, Matteo Dominioni, Nicola Labanca, Giulietta Stefani, Nicoletta Poidimani, Barbara Sorgoni, Chiara Giorgi, Richard Pankhurst, Costantino Di Sante etc.),
che in Italia non si siano per nulla fatti i conti con il passato coloniale, gli orrori delle nostre conquiste e legislazioni razziste, la mancata punizione dei nostri criminali di guerra etc.
La rimozione di quel passato è materia di studio da una trentina d’anni non solo in Italia ma nelle nostre ex-colonie e nelle università di altri paesi europei e nordamericani.
Questa rimozione è peculiare rispetto ai modi in cui negli altri paesi si dibatte del passato coloniale. Il dibattito è difficile e lacerante in tutti i paesi, ma appunto, si svolge. Da noi no, per i motivi esposti sopra e non vorrei ripetere per l’ennesima volta. Da noi la vulgata sulla nostra storia nazionale l’hanno costruita Montanelli & Cervi, Gervaso, Petacco e altri volgarizzatori. Che, beninteso, hanno occupato un campo vastissimo lasciato vuoto dalla sinistra, quindi la colpa è principalmente di quest’ultima.
Il risultato è che quella storia non è conosciuta. E ogni volta che si riapre il dibattito, come dopo l’ammissione da parte del ministero della difesa che in Etiopia usammo armi chimiche proibite (1996) o dopo la scoperta della strage di Zeret (2007), all’inizio se ne parla un poco, ma poi prevalgono omertà e/o incredulità (reale o interessata), e scattano meccanismi di difesa che ristabiliscono la vulgata degli “italiani brava gente”, sempre vittime mai carnefici.
Meccanismi di difesa che vedo all’opera anche in chi, pur ammettendo di non conoscere quella storia, pretende di criticare chi cerca di parlarne dicendo che esagera, che si autoflagella, che ce l’ha con gli italiani a prescindere etc. Anche questa è una forma di arroganza intellettuale.
Ecco la nostra “versione intelligente di una frase scema”, come da definizione dell’ennesimo che dice “Io non conosco quella storia ma”.
@ ldtxv
Mi fa abbastanza sorridere che mi venga contestato il fatto di fornire una versione “scema” della linea ufficiale di questo sito – poi magari ci spieghi anche quale sarebbe, questa linea.. – considerato che le rare volte in cui ho preso parte a delle discussioni da queste parti mi sono quasi sempre trovato su delle posizioni di contrasto rispetto a quelle della maggior parte degli utenti (e di WuMing1 in particolare).
Però dal momento che a nessuno qui è mai venuto in mente di darmi dello scemo, sprecherò un po’ del mio tempo per risponderti.
Premettendo che io del colonialismo italiano non so un cazzo e che di conseguenza mi guardo bene dallo sparare sentenze in merito (anche se mi permetto di notare che considerare meno degni di attenzione i crimini italiani in Africa rispetto a quelli degli inglesi/francesi/portoghesi basandomi sulla constatazione che noi in Africa ci siamo stati per meno tempo mi sembra essere, questo sì, un discorso “scemo”) mi preme esprimere in maniera più dettagliata il motivo per cui considero gli italiani un popolo di vigliacchi sostanziali.
Il caso dei due marò in questione non mi stupisce più di tanto: le reazioni dell’opinione pubblica ogni qual volta dei nostri militari passano dei guai all’estero sono infatti una sorta di automatismo antropologico, messo in moto dalla naturale tendenza tutta italiana all’incapacità di analizzare non solo il nostro passato – come giustamente sottolineano i WM da un bel po’ di tempo a questa parte – ma nemmeno l’attimo presente.
“Chi sono i due marò? Cosa ci stavano facendo in India?” ma anche “perché i nostri soldati si trovavano in Iraq quando gli iracheni hanno deciso di tirare una cricca a Nassirya?” sono le prime domande che dovrebbero venire in mente ad una persona normale di fronte ad eventi tanto drammatici, ma non per presa di posizione ideologica, proprio per questioni di logica strutturale, congenita al funzionamento del cervello umano, capisci?
Invece in Italia, ogni qual volta si dovrebbe fare lo sforzo di *dare un senso alla realtà* esercitando un minimo di spirito critico, altolà, ecco che partono le fanfare e “dagli al comunista che osa mettere in questione l’ Onore della Patria”: è un cazzo di riflesso condizionato che si attiva nella mente dell’italiano medio, e questo è un dato di fatto, è *innegabile*, perdio – NB quelli che nell’Onore della Patria ripongono quotidianamente la fonte dei propri arrapamenti, cioè i fascisti, quelli non li prendo manco in considerazione perché è scientificamente provato che sono solo dei poveri malati di mente, incapaci di normali attività relazionali con il prossimo, da compatire, al massimo da aiutare, ma questo è tutto un altro discorso.
Ora io mi chiedo, perché tutto questo accade in maniera sistematica?
La risposta è molto semplice, ed è: “Perché ‘sti cazzi”.
All’italiano medio, che l’India o l’Iraq non li saprebbe manco indicare su una cartina geografica, dei due marò, degli iracheni, degli ebrei, degli iraniani etc. in realtà proprio non gliene può fregà di meno, capisci che voglio dire? Per lui l’importante è solo e soltanto che non gli tocchino la pagnotta quotidiana, poi per il resto *va bene tutto*.
Uno spirito un po’ meno caustico del mio potrebbe parlare di “quieto vivere”, di “condiscendenza nei confronti delle asprezze della vita”, di “convenienza diplomatica” o di “opportunità” e via così, ma per come la vedo io questa è solo e soltanto vigliaccheria.
Viviamo in un’epoca e in una realtà storica contingente in cui informarsi quel minimo indispensabile per farsi un’opinione costa poco, è sufficiente fare un piccolo sforzo – direi che discussioni come questa ne sono la prova lampante – per cui trovo che nascondere la testa sotto la sabbia ogni volta che ti trovi in gioco e attivare meccanismi di difesa puerili a colpi di bandiere e di lettere maiuscole, oltre a non servire a nulla sulla lunga distanza, denoti un carattere debole, uno spirito pavido, un pensiero inconsistente e, per logica conseguenza, un atteggiamento vigliacco.
Spero di essermi spiegato meglio.
Tanti saluti, e auguri per la ricerchina sui rapporti tra Engels e il KuKluxKlan.
Ribadisco che è falsa l’idea che in Africa ci siamo stati poco, è l’effetto di una confusione tra colonialismo italiano (il tutto) e guerra d’Etiopia (la parte). Noi siamo stati in Africa dal 1882 (inizio dell’espansione in Eritrea) al 1941 (caduta di Libia e AOI in mano alleata), e poi ancora dal 1950 al 1960 (amministrazione fiduciaria della Somalia).
Faccio anche notare che nel Gebel Achdar, cioè l’altipiano della Cirenaica, l’Italia chiuse in campo di concentramento quasi centomila persone, cioè la metà della popolazione. Solo in quei campi vi furono 40.000 morti, cioè più di un quinto della popolazione. Aggiungiamoci gli sterminati con bombe, armi chimiche etc. poi mettiamoci l’esproprio delle terre, la distruzione delle istituzioni senussite, lo sterminio del bestiame (il 90% di ovini e bovini), e si capisce perché Giorgio Rochat, uno dei più importanti storici militari italiani, abbia scritto:
“La società esistente sul Gebel era stata distrutta dalle fondamenta. Questo non è l’unico genocidio della storia delle conquiste coloniali, se può consolare qualcuno, ma è certo uno dei più completi, rapidi e meglio travisati dalla propaganda e dalla censura.”
Tutto questo avvenne tra il 1930 e il 1931. I due principali responsabili della mattanza furono Pietro Badoglio, governatore di Tripolitana e Cirenaica, e Rodolfo Graziani, vicegovernatore della Cirenaica.
Ecco uno stralcio della lettera, datata 20 giugno 1930, in cui Badoglio ordinava l’internamento di massa (corsivo mio):
“Bisogna anzitutto creare un distacco territoriale largo tra formazioni ribelli e popolazione sottomessa. Non mi nascondo la portata e la gravità di questo provvedimento, che vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci è stata tracciata e noi dobbiamo proseguirla sino alla fine anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica.“.
Perdonatemi, sarò sintetico, spero mi seguiate.
Una cosa è la storiografia del colonialismo nostrano.
Altra e più discutibile cosa sono i tentativi di tirarne fuori psicologie collettive.
Altra ancora è il tentativo di una minoranza di ergersi a coscienza nazionale- tentativo sul quale ho già commentato, dicendo che sarebbe auspicabile una strategia comunicativa più mainstream.
Last, and most definitively least, sono le caterve di luoghi comuni un pochino razzistelli che non per per la prima e non per l’ultima volta ho avuto il dispiacere di dover leggere.
Può essere che la mia sia arroganza intellettuale eh, ad ognuno i propri difetti.
PS1: Non vedo la ragione di inalberarsi se chiamo questo sito “un posto” e se dico che c’è una linea. Non ci sono tesi nelle quali vi riconoscete? E che ci sarebbe di male?
PS2: Posso insistere un pochino sulla citazione? Non erano i forum di stormfront che mi interessavano, più che altro la storia di QUELLA citazione nel ventennio. Se avessi qualche fonte o riferimento mi sarebbe utile, sennò amen.
Veramente, qui l’unico che si è innalzato a rappresentante della coscienza nazionale sei tu quando hai detto io = pubblico, comunque finiamola qui che hai un po’ rotto le balle.
Le deformazioni del pensiero di Marx ed Engels da parte dei fascisti con la strategia dei morceaux choisis (es. di quel che scrissero entrambi sulla schiavitù, o Marx sulla questione ebraica, o altro) te la puoi cercare su google armandoti di santa pazienza, c’è materiale a strafottere a saperlo cercare, io ti ho indicato la pista (cioè qual è la strategia adottata). Ti ho già insegnato un sacco di cose che non sapevi, da quando hai iniziato ‘sta querelle, poi mi è venuto in mente che non sono il tuo precettore né il tuo bibliotecario. Lavora un po’ da solo, va’. La pappa pronta basta.
Nessuna querelle, un normalissimo dialogo che è andato avanti per un bel pochino. A volte uno si ripete, ma c’è anche il piacere di parlare da tenere in conto. Mi spiace se vi ho rotto le balle, tenterò di essere più sintetico la prossima volta.
@ ldtxv: magari potresti cominciare dall’abc; se hai voglia e tempo potresti leggerti il saggio di Angelo Del Boca *Italiani, brava gente?* (Neri Pozza Editore). È un libro che si legge con grande facilità ed è già molto dettagliato.
Aggiungo una breve glossa a questa sotto discussione. Ricordo un piccolo episodio riportato – non rammento se all’interno di un’intervista o in un saggio – dal Generale Fabio Mini (di sicuro non un esponente della sinistra radicale) per sfatare il mito del soldato italiano all’estero dipinto sempre come benvoluto. L’episodio riguarda il dopoguerra (anni ’90) nei territori dell’ex Iugoslavia: dovendo gestire spostamenti di truppe su mezzi non blindati, F.M. si trovò costretto a ordinare la copertura dei finestrini con elementi di protezione, a causa delle ripetute sassate con cui i soldati italiani venivano accolti, quasi quotidianamente, dai bambini del posto.
E ci credo, con quel che aveva fatto l’Italia in quei territori.
http://www.criminidiguerra.it/itinerari.shtml
Comunque, mi sa che Tommaso voleva fare la caricatura dell’opinione pubblica, non esprimeva una sua opinione..
Era profondamente ironica: cercava di condensare in una riga la deriva che hanno preso i giornali italiani in questi giorni – quella di informarci su quanti e quali stupri accadono in India – in sospetta concomitanza con la prossimità dell’inizio del processo ai due marmittoni. Se ti ha offeso, me ne scuso profondamente.
la smetta di firmarsi come ingegnere e dottore se non per rispetto della sua dignità almeno per chi la laurea l’ha presa davvero studiando in università serie e riconosciute.
Ho letto con interesse post e commenti per diversi motivi. Il primo è stato vedere come, attraverso la testimonianza di un giornalista “in loco”, la stessa sequenza di notizie è stata distorta in modi differenti dalla stampa italiana e dalla stampa indiana. Penso che questo fosse il vero scopo dello scrivente e penso che sia stato raggiunto in modo egregio.
Molto interessante è inoltre la figura di Luigi Di Stefano (tra l’altro, io lavoro all’INFN) e la sua analisi tecnica sull’accaduto. Direi che, sui suoi titoli di studio e sulle sue esperienze lavorative si è già detto abbastanza. Vorrei dire qualcosa sulla sua collocazione politica e sulla risonanza che ha avuto il suo lavoro. Concordo sul fatto che sia necessario conoscere l’impostazione politica di chi scrive, per capire da che parte sta stirando la realtà, ma, in questa storia, mi sembra che a parlare sia sempre gente che la pensa nello stesso modo. Chi, a sinistra, ha provato a parlare dei marò si è trovato prestissimo tacciato di sentimenti antipatriottici e cose del genere, un po’ per la propaganda forte che era già stata montata da destra, un po’ per la scarsa empatia che un discorso razionale può generare.
Vorrei che dal mondo politico italiano ci fosse stata una presa di posizione più netta, sulla necessità di stabilire, innanzi tutto, chi ha giurisdizione sul caso e anche sulla necessità di avere un collegio di indagine con esperti italiani. Al contrario, ci comportiamo nel modo più efficiente per amplificare la portata emotiva della vicenda e per mettere in secondo piano i fatti. Ci lamentiamo che il processo ai militari italiani possa essere usato dalle autorità indiane come trampolino elettorale, e La Russa parla di candidarli alle elezioni. Ci lamentiamo che le perizie siano secretate o incomplete, e riportiamo sui giornali nazionali le parole di Di Stefano.
Il problema più grande, ai miei occhi, è proprio la risonanza che l’analisi del Di Stefano si è guadagnata. Stiamo parlando di qualcuno che è stato ascoltato in Parlamento per parlare di cose che conosce molto parzialmente (e lo ammette pure), ma dalle quali trae conclusioni molto nette. Facilmente ci dimentichiamo della prima parte e rimaniamo impressionati dalle ultime frasi, che decretano, senza ombra di dubbio l’innocenza dei marinai italiani. In fondo è quello che, penso, tutti vorremmo vedersi verificare.
Questo fatto mi ricorda le previsioni dei terremoti di Giampaolo Giuliani, ad esempio: autodidatta geniale che scopre il metodo perfetto per prevedere i terremoti o ciarlatano? Il giornalista sa che, vendendolo come novello Einstein, bistrattato dalla scienza ufficiale, farà un pezzo che piacerà ad un sacco di gente, ma questo non basterà a rendere vera la storia che racconta.
Grazie per le informazioni riguardo questo caso. Visto che da quello che dite state in India sarebbe possibile per voi scrivere, quando potete, riguardo la situazione indiana delle donne, salita alla ribalta con la bruttissima vicenda della ragazza di 23 anni morta dopo lo stupro di gruppo? So qualcosa riguardo la situazione delle donne in India ma ero convinta che i tabu di classe e la natura pacifica della tradizione indiana, impedissero avvenimenti di questo tipo, fra l’altro davanti a moltissimi testimoni che a quanto pare non sono intervenuti per aiutala, ma che a per contro hanno identificato prontamente gli assalitori.
Barbara, più sotto c’è un articolo di Alberto Prunetti che potrebbe esserti utile per farti un’idea. Nello specifico del caso di Delhi, io ho scritto recentemente due articoli e, prossimamente, ne usciranno altri.
Ecco qui i link, ma credo sia meglio non andare off-topic, che la discussione sta prendendo pieghe inaspettate e chi modera ha un carico di lavoro disumano.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/31/stupro-di-gruppo-di-delhi/458764/
http://www.china-files.com/it/link/24602/india-un-stupro-che-apre-gli-occhi
il 28 maggio a Brescia in Piazza Loggia, nell’anniversario della strage, campeggiava un enorme manifesto voluto dalla giunta PDL-LEGA-Compagnia delle Opere, che diceva: “Portiamo a casa i nostri marò”. La cosa mi indignò molto e il fatto che il manifesto fosse affisso sulla facciata del municipio che aveva visto la strage fu di una brutalità bestiale, quindi citando dal vostro articolo:-” credo che la mossa non sia stata messa a punto per il bene di Latorre e Girone, bensì per strizzare l’occhiolino a quell’Italia abbruttita dalla provincialità imposta dai propri politici di riferimento, maltrattata da un’informazione colpevolmente parziale che da tempo ha smesso di “informare” preferendo istruire, depistare, ammansire e rintuzzare gli istinti peggiori di una popolazione alla quale si rifiuta di dare gli strumenti e i dati per provare a capire e pensare con la propria testa.”-
La pervicacia con cui si impedisce un accesso libero all’informazione e la volontà mistificatoria e depistante dei nostri politici e giornalisti è sconfortante. La storia di questi giorni, da una giunta che continua ad essere in sella nonstante i tanti scandali, dimostra che tutto è buono pur di continuare il malaffare, vedi caso Matisse, ex oviesse, 12.000 preferenze al Trota ecc. Questi sono i patrioti?
Su Latorre e Girone non ho un’opinione precisa, non ho dati, ma su La Russa si e me lo ricordo bene quando passeggiava allegramente a passeggio con la Beccalossi, in tutto il suo splendore.
E’ un tema sicuramente complesso e al solito l’immagine giornalistica italiana è unilaterale (donne indiane subalterne vs donne occidentali emancipate) e sensazionalista. Alcune (fin troppo brevi) osservazioni sul tema della discriminazione di genere in India le ho accennate in questo post di Carmilla di qualche anno fa:
http://www.carmillaonline.com/archives/2009/07/003120.html#003120
Complimenti all’autore dell’articolo, ai Wu Ming e a tutti i partecipanti al lavoro di ricerca e analisi collettiva. Questa faccenda fa davvero riflettere su molte cose e ne avete discusse parecchie, dallo stato dell’informazione in Italia, alla maniera in cui si intrecciano distorsioni mediatiche dei fatti e creazione di false verità, l’eredità del passato coloniale italiano (la Somalia…), il modo in cui sono impegnate le forze armate, lo sciovinismo d’accatto a cui è ridotta non solo buona parte dell’informazione ma proprio la politica tout court.
Sono un antimilitarista convinto (e trovo ulteriormente assurdo che si impieghino soldati per fare da guardia alle petroliere dei privati), non sono mai stato patriottico, non mi fido dello Stato in generale e men che meno del nostro, oppressore prima che ridicolo e per quanto ridicolo, e penso (come credo dovrebbe essere ovvio) che le vittime in questa storia sono i pescatori uccisi e le loro famiglie. Io non so se sono stati i due “marò” a uccidere Velentin Jelestin e Ajesh Binki. Ho letto qualche articolo, ma non mi sogno di poter dire se sono stati loro o no, e perché, e come. Credo che tutti o quasi coloro che siano intervenuti qui, tranne forse il “perito” Di Stefano, abbiano inteso arrivare a dimostrare una “verità” in questo senso.
Ma non posso fare a meno di stupire, per quanto ciò non sia affatto nuovo, di fronte alla pochezza di chi invece si adopera in maniera così ridicola e raffazzonata nella loro difesa per partito preso. Provo a mettermi nelle divise dei due fucilieri, per quanto distanti dai miei. Se io fossi accusato di omicidio in un caso come questo, che io sia innocente o colpevole, che io conosca o meno la mia condizione, ci terrei che ad occuparsi del mio caso ci fosse qualcuno di valido, competente, serio; che questo qualcuno abbia tutte le competenze necessarie; e soprattutto che le istituzioni che mi rappresentano e di cui faccio parte in quanto militare e cittadino agiscano per il meglio, che mi trattino in ogni caso con dignità e non come carne da macello più o meno elettorale.
Lo stesso vorrei se fossi un semplice cittadino, che non è accusato di nulla ma che sente come proprie *queste* istituzioni, che crede o vorrebbe credere nel proprio Paese. Se io fossi un cittadino italiano, se ci fosse un briciolo di patriottismo in me, vorrei che lo Stato di fronte a questa faccenda facesse chiarezza sulle regole d’ingaggio dei militari italiani, che rivalutasse l’opportunità di “affittare” soldati a privati senza che questi ne siano responsabili, vorrei che il caso fosse in mano a persone competenti, vorrei che non fossero personaggi come il sig. Di Stefano a essere ricevuti in Parlamento e ospitati dai media “a spiegare com’è andata” con “perizie” basate sugli articoli di Oggi, vorrei che dal Presidente della Repubblica e dal Ministro degli Esteri non trasparisse, sotto un velo così sottile di sobrietà, il solito sciovinismo arrangiato (male) all’italiana. Per non parlare dell’agibilità che hanno in questi specchi d’acqua, fascisti più o meno rifatti, per tacere dei Colossei illuminati, delle fiaccolate, dei fiocchi gialli… In una parola, se io fossi un cittadino vorrei che il mio Paese non mi trattasse come un coglione.
Grazie al cielo non sono né militare, né patriota, né mi sento cittadino di queste istituzioni. Mi stupisco però, ogni volta, di chi lo è e accetta tutto questo, per non parlare di quanti in tutto questo, a vari livelli, sono parte attiva. E questi sarebbero i patrioti?
Prima di tutto mi scuso se scrivo cose già dette da altri, ma temo di essermi un po’ perso nei commenti.
Io credo davvero che sarebbe bello se si potessero tirare le somme di questa discussione, una volta terminata, perchè mi pare che, oltre a fornire un servizio di ‘pubblica utilità’, abbia dato vita ad almeno tre diversi filoni di dibattito, tutti interessanti.
Uno ha a che fare con il tema del post, ovvero la strumentalizzazione della questione dei due marinai con tutto quello che ne consegue (argomento sul quale ritengo sarebbe necessario che anche l’informazione mainstream facesse un po’ di chiarezza, ma vabbè);
Un altro riguarda il colonialismo italiano, e mi pare che si sviluppi un po’ a fatica, perchè intravedo alcune resistenze ad ammettere che la storia coloniale italiana è simile a quella di altri paesi europei, dovute forse anche alla scarsa diffusione che hanno avuto finora i testi che confutano il mito degli italiani brava gente. Anche se da storico mi pare di poter dire che piano piano qualcosa si muove.
Un terzo riguarda la questione della perizia di Di Stefano, o meglio l’opera di confutazione della perizia e in generale di raccolta di informazioni sul perito che è stata fatta dai giapsters. Che secondo me, oltre ad essere un ottimo esempio di come si dovrebbe fare del giornalismo serio, mette anche in luce il fatto che la stampa italiana, per lo più, si disinteressa di verificare le notizie. Eppure io immagino, mi correggano gli interessati se sbaglio, che il lavoro fatto qui da mazzetta, mauro vanetti, eccetera sia alla portata della redazione di un quotidiano.
Oltretutto è stata un’operazione che si è autoalimentata portando a risultati molto interessanti.
Bene che ‘il fatto’ ne abbia parlato, ma mi pare che, come metodi e come toni, al netto dei commenti bloccati in moderazione, questa discussione (come altre, qui, in passato) potrebbe essere un ottimo esempio di come funziona una comunità online. Sapendo, naturalmente, che un risultato simile non è possibile sui siti o blog dei quotidiani più grandi perchè le voci fuori luogo, le prese di posizione ‘a prescindere’, nè bloccherebbero lo sviluppo.
Insomma, complimenti.
Forse qualcun@ ha posto la questione:
Ma dell’utilizzo strumentale della vicenda che ne ha fatto il Capo dello Stato, ne vogliamo parlare?
Dall’apparente plenitudo potestatis della pontificazione del premier tecnico…alle grida (irrilevanti sul piano diplomatico) in difesa del corpo dei marines… la parabola di un “custode della costituzione” che fa pensare sempre di più al Guzzanti dei fascisti su Marte…
Grazie per questo articolo. Vivendo all’estero ho potuto seguire la faccenda dalla stampa italiana, visto che dove sono il (non)caso non e’ stato citato affatto. Mea culpa, avrei dovuto approfondire sui siti indiani, cosa che non ho fatto.
Questo dei maro’ solo e’ uno dei tanti casi in cui i militari italiani vengono santificati senza arte ne’ parte dalla stampa italiana. E sinceramente ne siamo stanchi…
Al netto delle cronache la fame di pezzi di carta accomuna legaioli e camerati, camicie verdi e nere. Eppure “quando c’era Lui” oltre al moschetto doveva esserci anche il libro :-p
Scherzi a parte, giocare al balilla rende! Non scordiamoci che a Roma Alemanno ha piazzato alla testa delle aziende municipalizzate tutti ex-camerati di spranga, poco importa se privi di titoli, e che casapau stava addirittura per esprimere un console, col benestare del sedicente governo tecnico!
Al netto del berciare della colorita (ancorché nerastra) truppa destrorsa che infesta twitter, qui in gioco non c’è “patria ” onore” e tutta la fuffa, ma, come DA SEMPRE storicamente per i fascisti, la pilla, i pìccioli. Da difendere a colpi di manganello, anche mediatico in mancanza di meglio.
Quelle rotte tanto ambite, rigorosamente di competenza di eredi dei Tempi Gloriosi dell’Impero, che traffici nascondono? Come era la storia dei traffici di armi su cui lavorava Ilaria Alpi…?
tra l’altro molti dei coinvolti nelle schifezze degli ultimi anni sono passati dalla Somalia o se ne sono occupati in circostanze poco chiare e commendevoli, le colonie tirano ancora oggi che non le abbiamo più, basta vedere gli affaracci con l’Eritrea, da Prosperini in su.
La Somalia è uno snodo fondamentale della storia italiana recente, la seconda repubblica nasce in Somalia e il caso Alpi è imho uno dei crimini fondativi.
Scavando in Somalia si trova davvero tutto, e non è un bel vedere.
interessante.hai altri link dove trovare info riguardo a restore hope e crimini italiani connessi?
Puoi prenderla da molti lati, ma se conosci anche vagamente il caso Alpi allora parti da qui
http://www.ilfattoquotidiano.it/libri/ilaria-alpi-un-omicidio-al-crocevia-dei-traffici/
Si tratta di un libro a sei mani fatto da buoni giornalisti investigativi. La testata in cui sono comparse le loro inchieste è Famiglia Cristiana, ma abbassa pure il sopracciglio se l’hai alzato, il lavoro è eccellente.
Considera il libro una miniera di nomi e parole chiave da usare sui motori di ricerca.
Il focus è su cosa facevamo davvero in Somalia nei primi anni ’90 del secolo scorso.
Se hai la possibilità appoggiarti per le ricerche anche su archivi diversi tipo ANSA (parlo del VERO archivio ANSA, non della ricerca sul sito).
In ogni caso le parole chiave da usare per partire sono, oltre a Restore Hope:
Ibis somalia
Check Point Pasta
Diari del Maresciallo Aloi
Torture Folgore
Commissione Gallo
Un cenno sul perché è importante la Commissione Gallo:
http://archiviostorico.corriere.it/1998/gennaio/14/Commissione_Gallo_Gli_italiani_hanno_co_0_9801143417.shtml
I diari di Aloi si trovano a pezzi in rete, incorporati in articoli e post. Sono un punto di vista molto particolare: il diario di un carabiniere che racconta la Somalia dall’interno.
Se ti interessa la narrazione di chi c’è stato trovi molta roba nei forum di reduci.
Buona ricerca.
Cerca gli atti della Commissione Gallo
http://archiviostorico.corriere.it/1998/gennaio/14/Commissione_Gallo_Gli_italiani_hanno_co_0_9801143417.shtml
Oppure usa parole chiave del genere:
Ibis somalia
torture folgore
check point pasta
e soprattutto
Diari del Maresciallo Aloi, dove trovi un punto di vista per così dire interno. In rete si trovano stralci, più che sufficienti per capire il contesto.
Sul ruolo dell’Italia in Somalia nei primi anni ’90 leggiti il succoso e dettagliato
http://www.ilfattoquotidiano.it/libri/ilaria-alpi-un-omicidio-al-crocevia-dei-traffici/
sono 3 giornalisti coi controcazzi, lascia stare che sono di Famiglia Cristiana, sono dettagli trascurabili e il libro è una miniera di nomi e parole chiave, ma soprattutto mostra come si lavora.
Buona ricerca, ti verrà la scimmia.
Marò & tarocchi – da giornalettismo.com
Su Marò & tarocchi: il bizzarro progetto che riproduce in pianta il simbolo di Casapound mi ricorda un po’ certi edifici a forma di “M” (Mussolini) che si trovano nel centro storico della mia città.
Cfr. Istituto tecnico industriale
http://www.turismoforlivese.it/servizi/menu/dinamica.aspx?ID=103606
Da quello che ho capito cerano più di 2 soldati a bordo sarebbe interessante conoscere la loro versione dei fatti e sapere perché non sono intervenuti.
In ogni caso penso che prima di formare un soldato andrebbe formato l’uomo che ricoprirà quel ruolo e che l’unico modo per poter accettare tragedie simili non solo è comprenderne le motivazioni ma coglierle come un occasione per modificarsi e migliorarsi. Questo è quello che avrei voluto vedere, sopratutto dal nostro governo.
[…] giorno, mentre ero in treno e stavo andando a Firenze, leggo questo post sul blog di Wu Ming, Giap: I «due marò»: quello che i media (e i politici) italiani non vi hanno detto. Riassumo brevissimamente: Matteo Miavaldi spiega la storia dietro alla carcerazione indiana di […]
Sono d’accordo con chi considerava opportuno riassumere il dibattito. Almeno nelle linee più importanti:
_la demistificazione dello sguardo dei media italiani sulla vicenda dei fucilieri;
_la decostruzione della perizia di Di Stefano e la disinvoltura con cui il governo tecnico (con le sue presunte”eccellenze meritocratiche”) dialoga con personaggi privi di titoli tecnici e dal certo profilo politico di destra;
_la necessità di smantellare il mito neocolonialista degli “italiani brava gente”.
Andrebbe fatto con un articolo breve, che poi sposti i lettori più interessati a rileggersi tutto il dibattito (magari mettendolo disponibile in un formato tipo epub).
Poi torno a sostenere l’importanza di tradurre in inglese l’articolo di Matteo Miavaldi, affinché circoli in India.
Io considererei anche l’immediata traduzione di un brevissimo sunto del dibattito, ma non vorrei fosse troppo. Ma trovo che sia importante far recepire anche che esiste una capacità di analisi che non si limita al “riprendiamoci i nostri Marò” o cazzate del genere.
C’è una cosa che non capisco però. A che pro montare tutto st’ambaradan? Cioè, mi spiego meglio. Mi è chiaro che queste siano operazioni per radicarsi in un bacino elettorale già tradizionalmente a loro amico…ma poi? Scusate lo scarso contributo ma non mi torna il movente di tanto sproloquiare
Non sai quanto sia appropriata in questo frangente l’espressione “ambaradan”, che rimanda a un massacro con le armi chimiche compiuto dall’Italia durante la guerra d’Etiopia, sul massiccio montuoso chiamato appunto Amba Aradam. I nostri crimini di guerra li abbiamo a tal punto rimossi da aver trasformato un toponimo che li ricorda in un’allegra onomatopea per dire trambusto, confusione etc.
Riparti dal dato di fatto: l’ambaradan c’è, è in corso, e coinvolge una buona fetta di poteri forti di questo paese, dal solito strano sottobosco in odore di servizi su su fino alle massime cariche dello stato, passando per deputati ed ex-ministri di destra. Lo “sproloquiare” c’è. E ti dico una cosa: non c’è niente di nuovo, per chi conosce la storia di questo paese. Le trame nere e nerastre sono un classico, come sono un classico le finte prove di forza internazionali, lo avevamo appena visto col caso Battisti. Il calcolo elettoralistico è solo una delle facce del prisma: c’è una lotta per l’egemonia culturale e ideologica nel paese, c’è un mostrarsi pronti a scattare agli occhi di poteri forti civili e militari a cui si deve la propria carriera, mostrarsi sul fronte interno mentre si mostrano i muscoli a livello internazionale, c’è un intorbidamento di acque preventivo o diversivo per non far pensare a cose più gravi, c’è puro e semplice provincialismo, c’è puro e semplice fanatismo, c’è pura e semplice ignoranza… C’è un po’ di tutto. E ci sono alcuni conti col proprio passato che questo paese non può chiudere senza mettere in discussione gli assetti di potere del presente.
Ammetto la mia superficialità nell’affrontare la notizia con il dovuto peso…probabilmente sono entrato in quello stupido circolo vizioso “roba da fasci->ho altro a cui pensare-> non m’interessa”.
Però, se posso essere d’accordo sull’utilizzo della notizia a scopo diversivo, continuo a non comprendere (e ancora una volta mi dimostrerò scemo io) come questa possa rivelarsi un’arma nella lotta per l’egemonia culturale ed ideologica dell’intero paese.
Anche qui, vorrei spiegarmi meglio. Leggendo “Mitosociologia, Bourdieu-Passeron, Guaraldi, 1971” mi imbatto in quanto segue “Ma allora perchè il discorso massmediatico suscita subito l’illusione dell’evidenza? Su cosa si fonda la sua potenza persuasiva ed il suo alto rendimento esplicativo. La letteratura consacrata ai malesseri della civiltà industriale, ai mezzi di comunicazione od ai divertimenti di massa, all’eterna modernità insomma, deve la propria aura di verosimiglianza al fatto che risveglia le esperienze più correnti, quelle degli ingorghi di place de la Concorde alle sei di sera, dei parapiglia nelle stazioni il primo di agosto, esperienze queste che servono da trampolino per *una semi-comprensione per analogia*”.
Tornando quindi al fenomeno marò, in quale analogia la massa può riconoscersi a tal punto da considerare la vicenda di proprio interesse? Cioè, non è questo argomento, d’interesse esclusivo e parziale per i militari, le famiglie dei militari, destroidi nostalgici et similer?
P.S: d’ora in poi “ambaradn” non lo userò più.
Ben detto Wuming, i conti col passato… ho visto una puntata della Storia Siamo Noi su piazza Fontana, i fascisti che stavano in combutta nei servizi segreti erano molto giovani e sono tutti vivi e vegeti e in piena forma, ma soprattutto impuniti, ora mi chiedo ma la sinistra italiana oltre alle innumerevoli celebrazioni, alla candidatura di parenti di gente uccisa nelle stragi, cosa fa, ha fatto e farà per chiudere finalmente con questo doloroso passato? Io che ho 51 anni e che ho vissuto tutto questo, con la speranza di un cambiamento mai avvenuto, mi sento avvilita e sconfitta, la sinistra è paralizzata e probabilmente ricattata altrimenti è incomprensibile il comportamento del Presidente della Repubblica in questa vicenda. Comunque sul Daily Mail hanno scritto che i pescatori si erano avvicinati alla nave per vendere del pesce fresco e che in Kerala i pescatori lo fanno spesso.
Lo ripeto, visto che mi sembra alcuni non l’abbiano notato, che nessuno si è fatto avanti pubblicamente e che il commento precedente è stato seppellito dagli altri.
StrugglesInItaly sta cercando di concentrare gli sforzi per produrre uno o più testi in inglese (ma anche altre lingue) sull’argomento a partire da questo post.
Forma e contenuto sono ancora in discussione, per chi volesse partecipare le porte sono aperte.
Scrivete pure a strugglesinitaly@gmail.com
Rilancio l’appello di StrugglesInItaly. A partire da questo thread si dovrebbero formare diversi gruppi di lavoro: uno c’è già e sta lavorando su Di Stefano e le sue perizie. Nel frattempo Miavaldi sta mettendo insieme il materiale per il seguito del suo articolo, che prenderà le mosse da questa discussione. Non è per niente scontato che altri media, dopo il Fatto Quotidiano, riprenderanno quest’inchiesta dal basso, non possiamo “passare il testimone” al mainstream, dobbiamo andare avanti.
Ho letto con estrema attenzione e voracia diversi articoli su questo sito, da circa due anni a questa parte, ma non ho mai scritto prima di oggi.
Vi ringrazio tutti per il lavoro immane che svolgete qui. E già che ci sono ringrazio anche coloro che si sbattono per portare avanti il progetto di StrugglesInItaly.
Riguardo a quest’articolo credo di aver letto il 95% dei commenti e alla fine, ripensandoci a freddo dopo lunga sedimentazione (sempre con questa scheda aperta nel browser, tipo il libro di scuola messo sotto il cuscino), mi rimane un’angoscia di fondo, più grande di tutte:
qual è stato l’effettivo contributo di Di Stefano su Ustica e su altre “perizie” della sua carriera? In che modo e fino a che punto può aver capziosamente influenzato le indagini?
Condivido cioè la preoccupazione espressa ieri in questo post http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=10639&cpage=1#comment-16094
Questa preoccupazione ha a che fare con la storia italiana, ha a che fare con tutti i revisionismi, con il lavorìo intenso che gli ambienti dell’estrema destra hanno messo in atto per cancellare la nostra memoria in loro favore, cancellarla dalle nostre teste, dai libri di scuola, anche da Wikipedia (come era emerso se non ricordo male nella discussione sul mausoleo di Graziani).
Bene tutto questo per dire che, spinto da quest’angoscia e dal senso dell’ingiustizia subita da un paese intero, ho inziato a diffondere questa inchiesta tra i miei contatti, perché qui si fa verità sul serio (“fare” verità, intendo come qualcosa di ben superiore dal “dire” la semplice verità oggettiva, che come sappiamo è limitata).
A causa di alcune vicende lavorative, nell’utlimo anno sono entrato in contatto con giornalisti di tutto il mondo, anche di testate importanti, e anche indiane (ad esempio The Times of India).
Ieri mattina ad esempio, dopo che ho twittato questo articolo, il mio tweet è stato aggiunto ai preferiti da una giornalista italiana che mi segue… non significa che scriverà qualcosa, ma quantomeno l’informazione le è arrivata.
Se non avete nulla in contrario, mi proporrei di diffondere la novella in modo mirato. Potrei comuncare ad esempio con giornalisti di Times of India, il Sole, Repubblica, Corriere, Panorama, anche Time Magazine…
Però però però… prima di passare all’azione mi sto domandando se sia opportuno farlo, se sì in che modo, e soprattutto se anche voi avete inziato a farlo. Me lo domando anche perché non credo proprio che vi manchino i contatti con la stampa, né che abbiate bisogno di me per questo.
A partire dall’ultima frase espressa da WM1 in questo commento, mi sembra naturale e logica conseguenza che sarebbe preferibile aspettare che l’inchiesta collettiva si completi al meglio, prima di “passare il testimone al mainstream”. In questo modo potremmo diffondere notizie più complete e più ricche di riferimenti e fonti.
Fatemi sapere che pensate di tutto ciò.
Nel frattempo se posso essere utile in qualche modo al gruppo di lavoro che si occupa delle perizie di Di Stefano, mi offro volontario.
Caro Tave, grazie davvero di questo bel commento, angosciato ma non rassegnato. Anzi: angosciato e per questo non rassegnato. Non credere che come WM abbiamo tutti questi contatti con la stampa: non scordarti che siamo scrittori, quindi, vista la risaputa “stagnità” dei compartimenti professionali e mentali, fuori dalle pagine culturali nessuno ci si fila, e per chi scrive sulle pagine culturali (dove comunque stiamo sulle palle a un sacco di gente), questo genere di iniziative non è roba di cui occuparsi, è da pagine politiche. Dicevo di non pensare di “passare il testimone” ai media mainstream perché non è scontato che queste rivelazioni su Di Stefano vengano riprese: in questi anni TUTTI gli hanno dato credito, compresa “Repubblica”, e la mancanza di controllo è stata trasversale. A farci una pessima figura è il giornalismo italiano nel suo complesso.
Ad ogni modo, mentre noi continuiamo, nulla vieta che chi conosce giornalisti e operatori dei media e li ritiene persone serie, possa allertarli e invitarli a dare un’occhiata. L’ho fatto anch’io, in questi giorni. Tutto serve. E ovviamente se sono giornalisti di media indiani e internazionali, meglio ancora. Credo, ad esempio, che in India *debbano* sapere di Di Stefano e di come il parlamento italiano, i partiti di destra e buona parte dei giornali abbiano dato credito alla sua “perizia”.
Riguardo all’offerta di collaborazione per l’inchiesta, ti scriviamo in privato. Ciao e grazie ancora.
Sinceramente non so chi abbia ragione. Credo che dietro tutto questo ci sia semplicemente un errore umano del tutto giustificabile ma pur sempre un errore.
Ma a volte ho l’impressione che alcuni italiani sono talmente abituati ai soldati americani che tirano giù le funivie e che poi vengono medagliati in patria che pretendono di fare lo stesso nei confronti paesi che considerano inferiori perché ancora nostalgici di quei favolosi anni di impero romano. E non mi riferisco ai soldati in se che mi pare si siano preso le loro responsabilità e hanno mantenuto fede ai patti ritornando in india e non rilasciando alcuna intervista. Ma a tutti quelli che li stanno elevando al grado di eroi per strappare facili consensi popolari.
Detto questo mi fanno ridere i commenti degli italiani medi pro’ maro’ che prendono per il culo un paese come l’India quando tralasciando le questioni politiche militari e economiche la regione del Kerala nello specifico ha un tasso di alfabetizzazione superiore a quello che hanno le regioni italiane di nascita dei suddetti eroi.
–
Udite, udite…
Sul suo sito, Di Stefano risponde (si fa per dire) alle “accuse”. Come? Denunciando un complotto per diffamarlo. Un complotto internazionale.
http://www.seeninside.net/disinformazia/
Da notare che non entra nel merito di nessuna delle incongruenze e “stranezze” segnalate su Giap, su Giornalettismo, sul Fatto etc. Continua a sventagliare il suo curriculum e a citare quello che dev’essere stato l’apice della sua carriera, la perizia di parte su Ustica.
Poi, su un forum vicino a casapau, annuncia che farà un “esposto denuncia” per… diffamazione! :-D Lo invitiamo senz’altro a procedere, sarà una bella opportunità per fare informazione. Puntare sempre più riflettori, anche (perché no?) in tribunale, su un certo numero di cosucce emerse negli ultimi giorni (tutte facilmente riscontrabili e in molti casi dichiarate da lui stesso) non nuocerà di sicuro a chi le ha segnalate.
Poi che vorrà fare? Chiedere l’oscuramento di Giap?
L’ha accusato, il colpo, non c’è che dire. Come l’ha accusato Casapau.
A proposito, cosa gli rispondono sul forum? Ma ovviamente che è un complotto, “c’è qualche puparo che tira i fili” :-)
ma lo avrà capito che scrivendo “Migliaia di persone hanno diplomi di laurea in università straniere, compreso io. Questi titoli non hanno valore legale in Italia per gli interessi delle varie corporazioni a mantenere le condizioni di privilegio assicurate dagli ordini professionali, escludendo i giovani o imponendogli anni e anni di praticantato gratis.”
Ha ri-confessato di aver commesso un reato?
Certo meglio pagare la modesta sanzione prevista che perdere ogni residuo di credibilità, gliene resta così poca…
Ma non era lui ieri quello che scriveva qui sopra:
“La tesi di laurea è “Ipotesi di piano energetico nazionale basato sulla riforma del sistema elettrico, con l’inserimento di significative aliquote di produzione di energia elettrica da fonti non fossili”, e la qualifica è “Environmental Engineering”. Per iscrivermi all’Albo dovrei fare la conversione della laurea americana in Gran Bretagna e poi chiedere la conversione in Italia, ma proprio non mi interessa buttare un sacco di soldi”.
O era un membro del grande complotto internazionale per incastrare i nostri marò che lo ha impersonato?
Ovviamente ha schivato come la peste la quantità di critiche nel merito che hanno demolito la sua pessima esibizione, ma… Caro Di Stefano, che ci legge di sicuro: riprovi, sarà più fortunato.
Per ora nulla la distingue dal Trota, Belsito, Baccini, Motti o altri fenomeni che si sono dovuti rimangiare i pezzi di carta che hanno comprato in diplomifici del genere. Inutile che lei racconti della sua tesi, alla Adam Smith University non ci sono professori e nemmeno chi legge le tesi, se avesse letto attentamente quello che le abbiamo scritto se ne sarebbe reso conto e avrebbe evitato questa ennesima balla autoevidente ;)
Faccio anche notare che Di Stefano non sa in che mese siamo:
“La sezione viene completata il 27 novembre, l’articolo di Miavaldi è del 3 dicembre, il “dibattito” su WU MING parte alla stessa data, l’articolo di Pisapia su Il Fatto Quotidiano è del 5 dicembre.”
mi pare coerente con l’immagine di uomo in confusione che ci ha fornito
altrove, nell’altro forum segnalato da e1ke dove minaccia querele, http://forum.termometropolitico.it/threads/175317-Il-Fatto-in-un-articolo-smonta-la-tesi-innocentista-sui-due-marò/page8
sostiene che solo “dopo” avere chiamato lui ho chiamato un giornalista per avere il suo numero… tutto torna, no?
Mi ricorda quella fantastica scena di “Strade perdute” di Lynch in cui Fred, il protagonista, incontra a un party un uomo misterioso e…
Forse, col suo italiano faticoso, insinua che tu avresti chiamato questo giornalista per verificare fosse uno di quelli in contatto con lui. Per farlo, avresti confrontato il numero di telefono che gia’ conoscevi (per aver appena chiamato il finto ing.) con quello che ti ha dato il giornalista stesso.
“C’è qualche puparo che tira i fili”, ho letto anch’io.
Ho riso, ma c’è da piangere.
Tra l’altro a proposito di questo: mi pareva di aver letto qui su giap un articolo che riguardava il complottismo e la spiccata tendenza dei fasci verso la seduzione delle teorie complottiste. Ma non lo ritrovo, mi confondo io?
Forse era un commento, è un tema che abbiamo toccato varie volte…
Vabbé Di Stefano incommentabile.. se non la smettete di parlar male di lui tra un po’ sbrocca me sa.
E il forum?
Ma pure a voi vi parte la radio in automatico se cliccate sul link?
Dico ma avete sentito che musica di merda??
“con dieci euro diventerai web supporter di casapound italia e riceverai l’esclusiva tessera”
Pare la pubblicità di un dentifricio.
Che abisso cristo.
Questi stanno proprio male regà, io ve l’ho detto, bisogna aiutarli… ti credo che poi gli vengono le paranoie del complotto… mi pare il minimo!
..
Oh, io gliel’avevo pure detto che non aveva idea di come funzionino le cose qui…
Beh in effetti ha fatto tutto da solo… cmq ha veramente rosicato.. cioè si è messo a pubblicare gli IP della gente.. sta proprio male
Sì, tra l’altro dalla Wikipedia inglese, dicendo che siam tutti d’accordo con un tizio di Bruxelles e una centrale in Kerala che manovra la “sinistra pacifista” internazionale.
Intanto, giusto per dare manforte alle teorie del complotto, un buontempone gli ha hackerato il sito, a quelli di casapau
“Naturalmente continueremo a lavorare per far emergere e identificare la rete dei soggetti che organizza o che si presta a questo disegno.”
CONTINUEREMO? Chi? Casapau al completo? Il nostro Grifo (che vanta 188 post sul forum dei fasci) vuol far credere che il suo pubblico scivolone su Giap sia stato finalizzato a far saltar fuori il complotto? Non era mica venuto qui “per parlare di fatti”? In quest’uomo convivono uno pseudo-ingegnere rispettabile e ascoltabile-in-parlamento e un camerata complottista strenuamente contrario agli “intellettuali manovrati”… Ma forse poi non c’è questa gran differenza…
Grazie a Miavaldi per il post, e a tutti per la discussione, davvero illuminante!
http://www.seeninside.net/disinformazia/
Magari interessa…
Da qui in avanti, stiamo tutti *specialmente* attenti a commentare senza fornire appigli per querele.
Questa farsa che contiene una farsa che contiene una farsa va smontata pezzo per pezzo, con rigore, metodicamente, rimanendo il più possibile inattaccabili.
Compris.
Grazie per il piccolo editing ;) vedo con piacere che maneggi bene il romanaccio eh eh
L’affidabilità di un tecnico si valuta non solo dall’ultima perizia effettuata ma anche dalla qualità dei lavori precedenti. C’è la possibilità di valutare, ad esempio, la qualità del lavoro del signor Di Stefano per il caso Ustica (ad esempio chiedendo a qualche giornalista del quotidiano per il quale ha lavorato)?
Beh, ma è tutto sul suo sito: Ustica, Ilva… C’è tutto. Infatti stiamo leggendo e commentando anche i lavori pregressi, vedi un po’ di commenti sopra. Sull’Ilva, per esempio, viene in mente una scenetta dei fratelli De Rege rifatta da due imitatori di Walter Chiari e Carlo Campanini. Due cattivi imitatori. Che scherzano con la vita delle persone.
Consiglio di fare dei bei PDF e delle belle immagini di schermo dei contenuti più importanti, la thailandia mi ha insegnato che quello che puoi trovare oggi sul web non è detto che lo trovi anche domani.
Facciamolo tutti quanti, salviamo il maggior numero possibile di copie di backup del sito di Di Stefano.
è esattamente la stessa domanda rivolta al parlamento dai radicali dopo la sua relazione, qualcosa sa cosa è stato risposto? io ho trovato solo il testo dell’interrogazione.
Provate nel sito ufficiale del governo alla sezione Farnesina Esteri, le risposte delle interrogazioni parlamentari dovrebbero essere documenti pubblici. Considerate che di solito impiegano anche parecchi giorni prima di essere redatte dalla Farnesina consegnate per essere lette …. discusse… verbalizzate e in fine… Bohhhh! Insomma ne passa di acqua sotto i ponti.
cercherò meglio, perché la domanda era ben posta e interessante
Il fenomeno che genera tutta questa mistificazione sul caso dei Marò ha un nome “Culture of Impunity”, in Italiano Cultura dell’Impunità.
Purtroppo in Italia penso che ne siamo particolarmente affetti su vari fronti, tanto più nel coinvolgimento in fatti criminali che coinvolgerebbero – Forze del’Ordine – Forze Armate – Servizi Segreti – Politica- Economia ecc.
In parole povere i così detti poteri forti.
Il fenomeno trova campo fertile particolarmente in quei paesi fortemente corrotti e con limitata Libertà di Informazione, e noi non brilliamo certo in ambedue i casi.
Questo caso tocca dinamiche culturali del nostro paese molto complesse, cose molto serie e preoccupanti con cui non si può tanto scherzare, che spesso frenano la nostra potenzialità di crescita e minano le radici della democrazia.
In oltre credo che tanto più uno stato scarseggia di concezione politica democratica e di un elevato grado culturale, maggiore e la mistificazione dei fatti e il coinvolgimento allo stesso della sua popolazione a tutti i livelli. In parole povere l’ignoranza non aiuta nessuno, inibisce la serena assunzione delle responsabilità, la valutazione dei fatti e tanto meno aiuta l’approfondimento delle problematiche con onestà intellettuale. Certamente non siamo un popolazione di resilienti.
Conosco bene il problema della cultura dell’impunità.
Purtroppo mio fratello è stato ucciso nel 2010 a Bangkok per mano di un soldato durante l’assalto dell’esercito thailandese all’accampamento delle camicie rosse.
Diciamo che da oltre due anni porto avanti una battaglia personale trovandomi dall’altra parte della barricata.
Vi assicuro, che in questi casi lo sforzo che si deve fare per contrastare questi sistemi è immenso e totalizzante. Non solo sotto il profilo emotivo sentimentale, che si può immaginare, ma anche di impegno di tempo e risorse, perché in questi casi le Istituzioni Italiane sono praticamente inesistenti, passive ed economicamente per usare un gergo tecnico politico, senza portafoglio. Cioè zero centesimi da spendere, nessuna assistenza se non quella di ordinaria segreteria, e possibilmente in orari di ufficio.
In poche parole, dietro ad alcuni casi, è evidente che non c’è nessuna “volontà politica”, per capirci, basta sapere che per il caso di mio fratello la rogatoria internazionale è arrivata all’Ambasciata Italiana di Bangkok a distanza di oltre 2 anni dal fatto. Direi che questo già dice tutto.
Voglio evitare però di fare un elenco di parallelismi con il caso dei Marò, e limitarmi a citare un altro episodio della mia esperienza cercando di arricchire il tema in oggetto.
Quando l’attuale governo thailandese pochi mesi fa, ha stanziato, quello che da noi si potrebbe tradurre con un decreto parlamentare, un ingente somma allo scopo di “risarcire” tutte le famiglie delle vittime. Nel primo documento la somma veniva chiamata/classificata appunto come risarcimento.
Accorti che la parola stessa, determina un ammissione di colpevolezza, di corsa si sono apprestati a modificarla con successivo decreto, definendo la finalità della somma non più come risarcimento ma come Aiuto Finanziario a Titolo Umanitario. Dalla serie scusate ci siamo sbagliati e rimediamo subito.
Va da se che qualunque sia la dicitura usata, quando un governo stanzia ingenti risorse, velocemente e in mancanza di una sentenza, il tentativo è quello di rabbonire le parti, mettere a tacere il prima possibile il tutto, nonché di creare un deterrente al proseguimento giuridico della faccenda almeno da parte dei famigliari della vittima.
Solitamente non viene fatta una semplice ricevuta al momento dell’erogazione della somma ma viene anche fatto firmare un documento dove si chiede di dichiarare che non verrà più intrapresa alcuna forma di rivalsa nei confronti dello stato stesso. Magari insieme viene organizzata una manifestazioni a scopi puramente propagandistico con tanto di assegno gigante in cartone che viene consegnato chiamando sul palco ad uno ad uno i parenti delle vittime a cui viene anche scattata una bella foto al momento della consegna dello stesso. Quando la realtà supera la fantasia e diventa disumana.
La firma opposta sulla ricevuta pero fortunatamente nella maggior parte dei casi (forse India inclusa) non vale rispetto al proseguimento giuridico del caso per gli crimini penali. Quindi nel caso di omicidio il processo può proseguire anche d’ufficio come nel caso di mio fratello. Di cui ora siamo alla fase preliminare del processo che prevede numerose udienze fino a Marzo.
Ora per tornare al punto di contatto con la vicenda dei Marò:
Non so chi e come tecnicamente siano state stanziate le risorse economiche destinate alle famiglie dei due pescatori, o quelle a garantire la vacanza in Italia le varie spese processuali ecc. ma certamente convengo che sarebbe molto interessante poter prendere visione di tutta la documentazione del caso e leggerne i contenuti con attenzione.
Aggiungo anche qualche altra considerazione, rispetto alla vicenda dei Marò e al tanto discusso rientro in India. Che alla luce dei fatti, ritengo personalmente giusto oltre che doveroso.
Anzitutto non credo che la loro posizione gli permettesse di scegliere di non rientrare.
In secondo luogo, penso anche che la scelta da parte delle autorità ed il trattamento privilegiato riservato ai Marò sia un chiaro ed evidente segno di fiducia di cui dovremmo essere grati.
Penso anche che in questo modo le autorità Indiane hanno dato una dimostrazione concreta, virtù di cui quasi tutta la nostra rappresentanza politica spesso ne è priva, di assenza di pregiudizi nei nostri confronti.
Non si può certo dire la stessa cosa di noi Italiani che per contro purtroppo abbiamo espresso non solo l’esposizione ingannevole dei fatti attraverso i maggiori organi di stampa, ma anche dato credito a quanto pare, a perizie al quanto discutibili. Per non parlare delle tante dichiarazioni sconsiderate di politici e figure di spicco che, ancora una volta purtroppo, rappresentano la nostra società.
Gesti e dichiarazioni, dalle quali mi dissocio totalmente, di cui mi sento di dover porgere le mie scuse in qualità di Italiana al popolo Indiano alle sue istituzioni e sopratutto alle famiglie delle vittime.
Ai lettori di questa piattaforma invece, credo di dovermi far perdonare per lo sproloquio e per l’incapacità di sintesi. Forse ho preso troppo alla lettera la richiesta di sforzarsi di scrivere più di solo due righe.
Io ho buoni contatti con giornalisti thailandesi e qualche Italiano ma dubito che questi possano servire a qualcosa.
Comunque se pensate che possano essere utili sono a disposizione.
Per gestire questa discussione nel modo più razionale possibile, abbiamo deciso di non “smoderare” commenti di chi:
– palesemente commenta senza aver letto;
– in modo perentorio chiede spiegazioni già date (e nemmeno una volta sola);
– commenta le righe introduttive a un link senza aver cliccato quest’ultimo.
Dobbiamo limitare l’entropia, già è un miracolo che questa discussione “tenga” ancora e sia leggibile con quasi 400 commenti.
Ovviamente, poi, non sblocchiamo chi insulta, chi denuncia complotti anti-italiani etc.
@PolenghiE
Grazie dell’intervento, hai tutta la mia solidarietà.
Tocchi uno dei punti focali, la “Culture of Impunity” e i “poteri forti”.
Meglio, “poteri di fatto”, Poderes fácticos, dato che da noi il termine “poteri forti” ha avuto una specie di slittamento (identifica di fatto solo un segmento particolare) ed è poi usatissimo dagli sciroccati che buttano il cervello oltre qualsiasi ostacolo gli si presenti davanti.
L’impunità presuppone una “cordata” che la garantisca e che presidi gli snodi fondamentali.
La colla che tiene insieme le cordate sono le coperture reciproche, i ricatti che legano i singoli funzionari a un patto di fedeltà, che si nutre anche di simboli.
I NOCS che si masticano il sedere (nel senso di natiche) a vicenda come rito di iniziazione sono un gruppo “in fusione” (che poi diventa cordata) che nasce da una vicenda particolare, il sequestro Soffiantini e la morte di un loro collega per fuoco amico, nascosto per anni.
I crimini fondativi e i patti di sangue sono spesso il posto più pratico per cercare i bandoli delle matasse, identificare le cordate, verificare riti e carriere.
La Somalia dei primi anni ’90 è il crimine fondativo di una generazione di funzionari che nel pieno del crollo di tangentopoli rinegoziarono patti interni, interessi, cordate. Cani da guerra che improvvisamente senza guinzaglio divennero randagi, e poi branco autonomo di intoccabili in grado di negoziare da pari a pari col potere politico. I carabinieri come quarta forza armata riassumono un percorso iniziato allora.
Però il passato è il pavè sopra cui camminiamo tutti e trasformarlo in sampietrini è un attimo. Basta guardarlo.
Per dire, Oscar Fioriolli, il questore “dialogante” post G8 di Genova, da oggi ai domiciliari per una faccenda di corruzione, era un “operatore del dolore” della squadra di De Tormentis.
Gente che cercava Dozier nelle vagine delle militanti delle BR. Pinze, sale, elettricità nei genitali, violenze sessuali. Qui, negli anni ’80. Pertini regnante.
http://goo.gl/Hdh9Q
Che si sappia è già abbastanza.
Siccome magari non tutti hanno presente la faccenda dei NOCS (transitata come una meteora nel mainstream), lascio qualche link:
http://roma.repubblica.it/cronaca/2011/09/16/news/nocs_ecco_le_foto_degli_abusi_in_caserma-21742152/
http://italia.panorama.it/Nonnismo-e-torture-sulle-reclute-i-Nocs-nella-bufera
http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/articoli/1025732/nocs-la-banda-del-morso-era-al-completo-%3Cbr%3E-quando-fu-ucciso-lagente-donatoni.shtml
@Franti
Questa cosa dei crimini fondativi, che hai già citato in un altro intervento (mi pare parlando della Somalia e della seconda repubblica), secondo me è un’intuizione davvero potente. E ho ragione di pensare che sia tua, perché non l’ho mai sentita prima e non ne trovo traccia in rete.
Mi stimola un sacco di riflessioni e derivazioni, che però qui sarebbero troppo OT, quindi rimando a tempi migliori.
Per ora ti chiedo: hai altri riferimenti su questo tema? Hai scritto altre cose da altre parti?
Grazie! :-)
Ciao, un po’ di cose le trovi in Pillola Rossa, ma non so se è quello che cerchi.
Spero di poterti incontrare in superficie per parlarne, dovremmo essere coetanei :) ci dovremmo capire al volo. Ci sarà occasione.
Crimine fondativo dici. Il fatto è che se ogni volta che incroci un nome e fai una ricerca trovi cose, qualche domanda te la poni.
Com’è che si diceva? “Dietro ogni grande fortuna c’è un crimine.”?
Ecco, anche dietro molte grandi carriere, in polizia e tra i pretoriani in genere. Crimini spesso collettivi, come nel caso delle torture. Su quelle generazioni criminali si sono innestate le successive. Loro la memoria non l’anno mai persa, anzi l’hanno coltivata. Una Bolzaneto non si improvvisa se non hai gente “geneticamente” pronta.
Non ho una teoria, ho casi.
Ti ricordi il massacro di Trani? Il capitano dei GIS che si calò in elicottero sul tetto del supercarcere si chiamava Leonardo Leso e al G8 di Genova, da colonnello, portò la sua creatura: i battaglioni CCIR. Per dire il tipo.
Hai presente Truglio, che da tenente colonnello comandava quei battaglioni? Il mensile GQ nell’ottobre 2002 pubblicò questo articolo, senza mai essere querelato
http://www.libertadiopinione.it/archivio/357-ilaria-alpi.html
vi si raccontano cose pazzesche su violenze sessuali a donne somale. Non mettono il nome per esteso ma permettono l’identificazione univoca. Mi aspettavo che gli avrebbe mandato i secondi per il duello, invece niente.
Cosa accadde a questo ceto di funzionari che si trovano oltremare durante gli smottamenti di tangentopoli?
Fai mente locale a cosa stava capitando, Gladio e tutto quello che gli girava attorno, e poi la trattativa stato-mafia.
Fedeltà antiche che si sciolgono, gente loro che muore nei modi più strani, nuove cordate che nascono.
Patti fondativi, di fase.
Lascio il punto per OT, ci sentiremo.
Franti, questa storia interessa un sacco anche a me, e tutto quello che ho, come dici tu, sono ‘casi’, o piuttosto nel mio caso impressioni, connessioni fortuite, rare e disperse che ho trovato negli anni e di cui ho continuato a perdere il filo. ma, come dici tu, ‘bolzaneto’ no si improvvisa.
io so poco di storia italiana in generale, ma quella della cultura e delle pratiche fasciste nella polizia e nell’esercito dovrebbe riempire gli scaffali, e invece sembra assente. in particolare sugli anni di piombo, alcuni libri ‘amici’ li ho letti (non tanti, solo alcuni), e non mi ricordo più che mezze parole sulle torture.
grazie per Insorgenze, che non conoscevo, e mi associo alla domanda: hai scritto cose sull’argomento?
e Franti-Wuminghi: sarebbe impossibile un post ospite su giap, come punto di partenza per una discussione?
@dzzz
Ho come l’impressione che mi sopravvaluti :)
Poi questa non è una cosa che si può fare da soli.
Vero che sarebbe importante farla.
La storia di questo paese dal 1960 in poi è come uno stereogramma.
Le “tessere”, le singole parti sono o sembrano sempre uguali, ma una volta “entrato” vedi cose diverse, complesse e più nitide allo stesso tempo.
Sempre che si abbia la capacità di restare dentro lo stereogramma, di non distogliere quello sguardo atipico che ti ha permesso di entrare.
E’ difficile spiegare come si entra in uno stereogramma, ci sono molti modi giusti e uno solo di sbagliato: fissarlo intensamente.
Tra i modi giusti più adatti è interessante quello di focalizzare la vista un po’ più indietro rispetto al piano immagine.
Fuori di metafora: storicizzare, muoversi come se fossimo storici del tempo presente.
E’ un po’ quello che è accaduto in questo post. Sono stati applicati i criteri e gli standard della ricerca storica ai fatti del tempo presente.
Narrazione tossica colpita e affondata.
Storici 1 “ingegneri” 0.
Se vuoi far partire da un punto preciso un percorso, comincia con Aldo Giannuli.
Un “perito” coi fiocchi proprio perché prima di tutto storico.
Ha seguito, peritato, documentato e pubblicato libri su stragi, servizi segreti, armadi della vergogna.
Conosce le viscere dello stato come pochi altri.
E’ perfetto come Virgilio per una discesa agli inferi.
Mi sono sempre chiesto (questo è l’OT che non volevo fare e che cercherò comunque di tenere piccolo, e già chiedo scusa al mondo) quanto in questi discorsi c’entrino le narrazioni, soggetto principe di questo blog.
Per esempio (uno tra molti), quanto la P2 sia stata tale, dal “di dentro” intendo. Quanto conti nei comportamenti (che come le narrazioni sono collettivi, non contano in quanto individuali ma in quanto ingranaggi di un funzionamento) la passione, forse la “nostalgia”, degli italiani per il farsi raccontare le favole, quasi come un contrappasso al cinismo nazionale, all’esercizio sistematico del “Perché sti cazzi” come dice @franzecke (http://goo.gl/6Y4FI).
Quanto, in altri termini, i concetti di spirito di corpo, complicità, copertura, rito d’iniziazione, crimine fondativo, associazioni oscure assortite, ecc. ecc. abbiano a che fare a loro volta con cose tipo miti fondativi, cioè narrazioni, favole.
Quanto conti questo fascino dell’incantesimo nello schema ricorrente per cui il colpevole della non-esistenza della Befana è colui che l’incantesimo lo rompe spiegando (cercando di spiegare) che la Befana non esiste.
Anche il tuo accenno, qui sopra, a “Pertini regnante”, in fondo è rompere un incantesimo.
@Franti
Giannuli.. forse ho avuto per le mani il suo veccho libro sul sessantotto, in tempi remoti; in ogni caso non avevo idea della produzione recente.
l’immagine dello stereogramma è bella, e maneggiabile. forse ho fatto l’errore finora di cercare di leggere questa storia (e altre) diversamente da come leggo finzione e immagini.
grazie per i suggerimenti sorprendenti.
Moderatamente OT.
Scusate il ritardo, ma è stato una fatica ritrovare il punto…
Non è proprio quello che intendete, credo, ma qualcosa di simile, che riguarda l’omicidio fondativo della comunità (in particolare tra fratelli) è trattato da Roberto Esposito, Communitas, Einaudi (forse anche nel precedente Immunitas).
Pensate a Caino e Abele, o a tutta la vicenda di Antigone che segue la lotta tra Eteocle e Polinice. Pare che la nascita della comunità umana (=gruppo di persone che decide di vivere insieme e di escludere dal gruppo qualcun’altro) spesso abbia un fondamento mitico (una narrazione mitica) che riguarda la violenza, in particolare l’omicidio, in particolare di un fratello (l’altro, simile, ma non proprio identico).
In effetti non mi sorprendo: ogni “spirito di corpo” si fonda su una mitologia (narrazione tossica?) che tenta di rielaborare positivamente (per il gruppo) la violenza che ne è il necessario fondamento (l’esclusione dell’altro).
Spero vi possa interessare.
*qualcun’altra
Scusatemi e permettetemi la correzione…
:)
@franti
grazie mille dei link che hai postato qui e di quelli più sopra su somalia e ilaria alpi..ho dato un occhio,appena ho tempo spulcio un po’.di scalettari (e grimaldi) ho letto 1994 e mi è parso davvero un buon lavoro,per quanto riguarda torture in italia ricordo le torture affiorate del progetto memoria (che peraltro ho scoperto qui su giap in un post di qualche tempo fa). dando un occhio al materiale comunque mi è balzata agli occhi una (citata come riferimento) via amba aradam..se non sono segni questi..
L’articolo, pur apprezzabile, muove da una interpretazione errata delle pertinenti norme di diritto internazionale.
In particolare, la frase che segue è fuorviante e inesatta:
“Il diritto marittimo internazionale considera «zona contigua» il tratto di mare che si estende fino alle 24 miglia nautiche dalla costa, entro le quali è diritto di uno Stato far valere la propria giurisdizione.”
Questo non è corretto. Il trattato internazionale rilevante in materia è la UN convention on the law of the sea (UNCLOS) del 1982. Questa prevede all’art. 3 che il mare territoriale, acque sulle quali lo stato ha diritto ad esercitare la propria sovranità, si estendano per 12 miglia.
La zona contigua, la quale come riportato si estende per 24 miglia, non è soggetta alla giurisdizione dello stato se non per :
“(a) prevent infringement of its customs, fiscal, immigration or sanitary laws and regulations within its territory or territorial sea;
(b) punish infringement of the above laws and regulations committed within its territory or territorial sea.” (art. 33).
Le violazioni imputate ai marò non rientrano in nessuna delle predette categorie. Conseguentemente, non sono punibili le condotte da loro poste in essere nella zona contigua.
Nonostante i marò non si trovassero propriamente in “acque internazionali” (oltre le 24 miglia), di certo non si trovavano entro le acque territoriali.
La giurisdizione indiana non dovrebbe radicarsi. I militari dovrebbero, dunque, essere processati in Italia.
Detto questo, condivido l’opinione per cui non possano essere definiti eroi.
Ciao Emanuelef, questo aspetto è già stato discusso nei commenti, esattamente in questi termini, e non è nemmeno troppo “annidato” nel groviglio del thread, è quasi all’inizio. La precisazione è stata fatta. Chiediamo davvero, per favore, di compiere lo sforzo di leggere il dibattito. Con 400 commenti non è facile seguirlo, ce ne rendiamo conto, ma sarà sempre meno facile se gli utenti ripetono cose già scritte…
grandissimi wuming!
leggevo sul forum di “termometro politico” la descrizione dell’ing/dott/ill.mo/geom/arch/genio di stefano sulla genesi della sua “analisi tecnica”. non saprei bene dire, forse è solo un pregiudizio, ma il raccontino mi ha dato l’impressione di una storia abbellita ex post. magari è andata proprio così ma sarebbe interessante poter vedere lo sviluppo della scrittura di quella pagina.
ho provato a fare una ricerca su web.archive.org ma purtroppo la pagina di di stefano non è indicizzata. sapete mica se è possibile fare una ricerca in termini temporali sulla cache di google per andare a studiare lo sviluppo della plurivirgolettata analisi o se esista una qualche tipo di crawler che possa aver indicizzato la pagina? Ho come l’impressione che, come diceva vanetti, se non erro, avesse già scritto delle conclusioni.
Inoltre volevo aggiungere una cosa. Magari sono solo io che non l’ho capito (e nel qual caso scusatemi) ma mi sembrava utile condiverlo: a quanto pare l’analisi su ustica fatta dal “nostro” ingeGNIEre riguarda sostanzialmente il solo processo per i risarcimenti dovuti alla chiusura di Itavia e non le effettive dinamiche dell’accaduto. Cito dall’intervento di matteox2 sul forum di termometropolitico:
“Su Ustica non è stato dimostrato un bel niente, purtroppo, come riconosciuto in primis dalla sentenza alla quale [di Stefano] fai riferimento. Quel risarcimento verteva sulla chiusura d’ufficio della compagnia, mica sull’incidente. Non vedo l’attinenza con il caso dei marò. Se non che in entrambi i casi c’è di mezzo l’esercito italiano.”
Un ultima nota di colore: nell’immagine che mette sulla sua pagina “disinformazia” (http://www.seeninside.net/disinformazia/ancona1_800.jpeg) c’è un divertente particolare. Di stefano è indicato come “DI STEFANO dr. Luigi”. Ora, ne so poco di leggi ma se una laurea non è riconosciuta in Italia uno può essere iscritto su un documento come dottore? Non è un falso in atto pubblico questo?
@ greatgatsby, stiamo provando a scriverti via email ma torna indietro con “permanent error”. Fatti vivo, compare: wu_ming AT wumingfoundation PUNTO com
Gentilissimi di Wu Ming,
la conversazione di 400+ commenti è davvero lunga e se possibile vi chiedo di evidenziare (magari in un nuovo post) i punti salienti che hanno arricchito l’articolo.
L’articolo può essere apprezzabile per aver raccolto una quasi-completa cronistoria degli eventi ma non mi piace per nulla.
Il giornalista è molto impegnato ad accogliere come oracolo qualunque fonte indiana, sia ufficiale che giornalistica, e credo che sia un po’ troppo influenzato dal fatto che in Italia i due militari siano stati presi in simpatia da esponenti politici di destra. Evidentemente lui (come me) non ha alcuna simpatia per tali esponenti, ma mischiare fatti e opinioni è una presa in giro per il lettore.
Il voler mescolare fatti di politica interna e improbabili perfomance “tecniche” di personaggi poco seri, non fa un buon servizio ne ai nostri due militari illegittimamente trattenuti da un paese straniero, ne al giornalismo.
L’autore ha voluto esprimere il suo personale disprezzo accreditando come giusta una sentenza di condanna verso i nostri due militari, ma questo non è giornalismo, è semplicemente manipolazione.
C’è una questione di legislazione, e una di merito, che devono essere separate.
– Sulla legislazione, fanno fede le distanze dalla costa e i trattati internazionali: il fatto che l’autore abbia preso uno svarione sulle “acque contigue”, minando una delle sue granitiche convinzioni, non mi pare possa essere semplicemente corretto con una “precisazione”.
– Sul merito, nessuno di noi è in grado di sapere se quei pescatori fossero davvero pirati o no. Per quale motivo un giornalista, convinto di essere un paladino della verità e che magari si aspetta almeno un premio Pulitzer, emette sentenze accreditando la parola di una delle due parti in causa? Sono sinceramente dispiaciuto per i due morti e per le loro famiglie, eppure dobbiamo considerare che gran parte degli attacchi pirateschi documentati sono stati effettuati da barchini camuffati da pescherecci o barche da turismo. Non voglio dire che i due erano pirati, dev’essere un giusto processo a stabilirlo e nel caso condannare o assolvere il comportamento dei militari. Fino a sentenza, non possiamo saperlo.
La vera tristezza è che molti connazionali in questa occasione si tolgono – con piacere – la soddisfazione di vedere due militari italiani nei guai magari solo per credere di vendicare in questo modo fatti orribili come il G8 di Genova o altre violenze. Eppure, questo non fa un buon servizio a nessuno, tantomeno alla giustizia e alla verità.
Gentile Skizzot,
questo post non avrà un solo seguito, ma addirittura due. Lo abbiamo spiegato nella discussione qui sopra. Faremo un sunto dei diversi “percorsi” che la discussione ha seguito, e in quel sunto sono comprese le correzioni e precisazioni già discusse sopra.
Riguardo alla “zona contigua”, tanto nel post quanto (soprattutto) nel dibattito si è scritto che – a prescindere da essa e a monte di essa – c’è comunque un problema di giurisdizione. Anzi, ce ne sono due, uno derivante dalla discrezionalità che consente la convenzione SUA, l’altro dalla discrepanza tra le leggi nazionali. E infatti la corte suprema deve decidere. In ogni caso, il pezzo di Miavaldi non era principalmente focalizzato su questo aspetto della vicenda, ma sulla facilità con cui in Italia si è affermata una versione dei fatti che scagiona preventivamente i due militari, versione che esclude a priori qualunque cosa venga detta, refertata, ricostruita in India, come se in Kerala fossero selvaggi incapaci di fare perizie etc. In Kerala, stato tra i più laici e moderni dell’India, il tasso di alfabetizzazione è superiore a quello di svariate regioni italiane, ma lasciamo perdere. Ben vengano, dopo l’orgia nazionalistica, articoli che, magari pagando il prezzo di pencolare un po’ di più in quella direzione, riequilibrino un minimo l’assetto. Dico “un minimo”, perché qui c’è un blog minoritarissimo, per quanto discretamente seguito, mentre dall’altra parte ci sono le corazzate editoriali e televisive.
Devo dire che trovo il suo commento parecchio sgradevole e a sua volta pieno di imprecisioni e minzioni deviate. Ne elenco solo alcune:
1. Se c’è una cosa che l’articolo di Miavaldi non esprime, è proprio disprezzo per i due marò, che anzi – come diversi commentatori hanno già fatto notare – ne escono molto meglio dei loro supporter.
2. Si rende conto di quant’è assurda la frase “mescolare fatti di politica interna e improbabili performance tecniche di personaggi poco seri non fa un buon servizio etc.”?
Lo ha capito o no che Di Stefano è stato chiamato a presentare la sua “analisi tecnica” alla Camera dei Deputati, e che tale analisi è diventata la pezza d’appoggio di una campagna “innocentista senza se e senza ma” portata avanti da certe forze politiche e da illustri firme? Lo ha capito che persino il ministro Terzi ha espresso parole di apprezzamento per quell’impressionante guazzabuglio? Lo ha capito che Sergio Romano si è affidato a quella roba per scrivere articoli innocentisti? Lo ha capito che a “mescolare fatti di politica interna e improbabili performance tecniche” non è stato Miavaldi ma sono stati i suddetti partiti e personaggi, e che Miavaldi proprio tale “mescolamento” ha denunciato nel suo articolo? Si rende conto che a “mischiare fatti e opinioni”, tanto da inventarsi o piegare i fatti per imporre quelle che sono mere opinioni, non è l’articolo di Miavaldi ma la colossale campagna sciovinista in corso ormai da un anno?
3. Si rende conto che la frase “Non voglio dire che i due erano pirati, dev’essere un giusto processo a stabilirlo” non sta né in cielo né in terra, perché descrive come imputati del processo i pescatori anziché, come in realtà è, i due militari italiani?
Il processo non deve stabilire se la St. Antony fosse un vascello pirata: è dato per assodato che fosse un peschereccio e che l’equipaggio fosse di pescatori. Il processo non ha come imputati i marinai della St. Antony, ma Latorre e Girone per omicidio colposo. Si rende conto che questo modo di esprimersi è rivelatore proprio della forma mentis che stiamo denunciando, del “framing” che ha portato a colpevolizzare preventivamente – e razzisticamente – i “pezzenti” indiani, per poter descrivere ossessivamente i due marò come le vittime di questa storia, quando ci sono vittime ben più vittime, ovvero due pescatori crivellati di proiettili? Pescatori le cui famiglie il governo italiano ha addirittura preventivamente risarcito, segno che non si ritiene poi così estraneo alla loro morte come dicono nerocamiciuti e teorici del complotto? Pescatori che certi manipolatori dell’opinione pubblica italiota hanno già ampiamente bollato e presentato come pirati?
No, mi sa che non se ne rende conto.
4. Riguardo alla pirateria e alle possibili dinamiche in quel braccio di mare, la legga, la discussione sopra, ci sono anche molte informazioni interessanti al riguardo.
Grazie della vostra risposta.
Non voglio tediare ne voi ne gli altri lettori quindi rispondo sinteticamente.
A monte di tutto, una considerazione. Non credo che per riequilibrare “l’orgia nazionalistica” servano articoli militanti nell’altro verso. Questo fa il gioco di chi continua a considerarci non un Paese ma un mucchio di caciaroni.
E quando si scrive un articolo sapendo di “pencolare un po’ di più in quella direzione” la somma non si compensa, non torna a zero, si è solo peggiorato il giornalismo tutto e la fiducia in chi legge.
Su Di Stefano, purtroppo questa è la classe politica che abbiamo. Però se si fa un articolo di denuncia della leggerezza con cui si muovono i nostri politici, non è gradevole mischiare questa leggerezza con il merito del processo e della crisi diplomatica che, per quanto mascherata, io da cittadino sento ancora esistente nei confronti di un paese “amico”.
Sugli altri punti:
1 – Concordo che i due militari ne escano meglio di altri personaggi citati. Il fatto che siano effettivamente tornati in India dopo la licenza, mi ha sorpreso in positivo per aver rispettato una parola data. E’ segno che riconoscono una certa serenità nel giudizio che li attende. Ci sarebbero state numerose altre vie, legittime per noi, per trattenerli qui, sopratutto perché l’Italia ritiene che i militari siano stati arrestati facendo entrare la nave in India con un inganno.
2 – C’è chi ha scritto articoli innocentisti e chi, come Miavaldi, colpevolisti (nel senso che secondo lui non erano pirati, hanno ucciso senza motivo e vanno puniti). Ancora non ho avuto il piacere di leggere un articolo equilibrato.
3 – Prendo atto delle vostre certezze, probabilmente eravate su quel peschereccio, ma a me la questione non sembra così semplice. Siccome nutro rispetto verso la nostra Marina e verso i nostri militari che sulla Enrica Lexie non stavano facendo una crociera ma prestavano servizio, sulle prime sono portato a pensare che non stessero giocando al tiro al piccione. Sicuramente possono averlo fatto, ci mancherebbe, ma non capisco perché una stampa che si ritiene equilibrata debba, per principio, affermare che l’aver avuto il sospetto di essere sotto un attacco piratesco, e l’aver segnalato secondo i dovuti protocolli prima di sparare, sia falso senza aver elementi per farlo.
La vostra frase “non sta né in cielo né in terra, perché descrive come imputati del processo i pescatori anziché, come in realtà è, i due militari italiani?” fa emergere la vostra visione dei fatti.
Dalle scarse informazioni disponibili, sembra che durante le indagini e le perizie sul peschereccio non sia stato consentito ai nostri tecnici di supervisionare e verificare i metodi usati. Ecco, questo un po’ mi insospettisce se non altro perché un’indagine condivisa avrebbe potuto fugare dubbi da ambo le parti, e invece ora qui siamo a dividerci tra chi pensa che i nostri militari abbiano detto una bugia e chi pensa che la giustizia del Kerala sia artigianale e quindi non meriti il rispetto che le stiamo dimostrando.
PS le “minzioni” di cui scrivete sono un errore di battitura giusto?
No, era un modo elegante di dire che secondo me aveva “pisciato fuori dal vaso”. Ma se l’avessi detto così, sarei stato un villano.
Skizzot, lei scrive:
“La vostra frase “non sta né in cielo né in terra, perché descrive come imputati del processo i pescatori anziché, come in realtà è, i due militari italiani?” fa emergere la vostra visione dei fatti.”
Ehm, no. Che il processo abbia come imputati i due militari italiani non è “la nostra visione dei fatti”: è un dato di fatto.
Poi saremmo noi quelli che confondono fatti e opinioni.
Scrive anche:
“se si fa un articolo di denuncia della leggerezza con cui si muovono i nostri politici, non è gradevole mischiare questa leggerezza con il merito del processo e della crisi diplomatica”
Questa “leggerezza” (bell’eufemismo!) è in partenza mischiata al merito del processo e della crisi diplomatica, perché tale leggerezza ha plasmato la versione della vicenda dominante in Italia, anzi: l’unica versione conosciuta dalla maggior parte degli italiani, che leggono il processo e il tiraemolla con l’India attraverso quelle lenti. Se si vuole decostruire la “narrazione tossica”, per forza bisogna descrivere il groviglio di propaganda, diplomazia e pseudoscienza. Separare gli elementi significherebbe soltanto fingere che non siano aggrovigliati, e quindi lasciare tutto invariato.
Almeno era d’accordo sul punto 1. Ma del resto del suo commento non mi sento di salvare nulla.
Non ricambio il vostro insulto, ma mi è chiaro adesso che è inutile continuare a discutere se non riconoscete nessun’altra possibilità sugli eventi.
Un’altra occasione sprecata; d’altra parte avevo dimenticato per un attimo che siete dei discreti romanzieri, ma l’informazione non è il vostro mestiere.
Prego? Di quale insulto parla?
Guardi che è abbastanza da incivile andarsene sbattendo la porta, visto che il Sottoscritto si è impegnato a rispondere a ogni questione che ha posto. O forse è proprio questo a non piacerle? Magari si aspettava altre reazioni e ci è rimasto male, tanto da inventarsi un insulto che non c’è stato.
Mi riferivo alla minzione. Siccome io e lei non ci conosciamo, e non mi sarei permesso di dirle così a freddo che lei ha pisciato fuori dal vaso, a casa mia questo è un insulto.
Ho apprezzato il tempo che ha dedicato nel rispondermi, però la nostra discussione non ha portato a nulla. Io sono aperto ad accettare ogni possibile verità sulla vicenda, a patto che sia accertata in modo scientifico e secondo le leggi, compresa anche l’ipotesi peggiore ossia quella del tiro al piccione, la quale mi rattristerebbe profondamente non solo per il gesto in se, ma sopratutto perchè compiuto sotto le insegne del nostro Stato.
Da parte vostra invece non vedo la stessa apertura, anzi, avete scelto una delle parti in causa (mi riferisco all’India e non ai morti) e non contemplate altre possibilità. E quando vi si dice che ci sono lacune profonde nel modo in cui i fatti sono stati accertati, confondete le acque contrapponendo la superiorità orientale, di vostra preferenza per quanto posso dedurre, alla presunta superiorità occidentale che denunciate.
Per quando riguarda la questione pescatori/pirati, date per assodato (e lo scrivete pure) cose che non sono state assodate proprio da nessuno.
Io ritengo la sua interpretazione di come la pensiamo e di quel che andiamo scrivendo totalmente fallace, e certamente non accertata in modo scientifico. E siamo daccapo.
Comunque le faccio notare che “ha pisciato fuori dal vaso” (che comunque non è un insulto ma una frase fatta) è la frase che io NON ho scritto.
Se ho usato un altro tipo di registro e ho scritto “minzioni”, e quando mi ha chiesto lumi glieli ho dati specificando che avevo inteso evitare di sembrare villano, non vedo su che basi si possa dire che l’ho insultata. Lei sta parlando con uno scrittore, non può aspettarsi una prosa da cartella di Equitalia, le pare?
Finiamola qui, l’unica cosa su cui siamo d’accordo è che non si cava un ragno dal buco.
(e non sto alludendo ad alcun suo orifizio, sia chiaro!)
”Prego? Di quale insulto parla?”
”Mi riferivo alla minzione”
io pensavo fosse il fatto che ”..qui su giap consideriamo darsi del lei un insulto” :)
(scusate il mancato link ma non so come si faccia a linkare il commento di un post..)
provo a farle un disegno egregio Skizzot
c’è un omicidio, un poliziotto è accusato di aver ucciso un noto panettiere credendolo un bandito
in tribunale si discute dell’omicidio e delle relative circostanze
nei bar i fan della polizia a oltranza si chiedono e chiedono se il panettiere non fosse davvero un bandito e irridono quanti si dicono sicuri che no, perché, ingenui, credono a quello che dicono i suoi parenti, i media, le forze dell’ordine, tutti concordi nel dire che era un panettiere
si discute di un errore da parte dei nostri, non si discute dei pescatori, non ci si chiede se per caso fossero pirati, stupratori, pedofili o quello che ci si vuole inventare galoppando con la fantasia
si discute di due esseri umani uccisi mentre erano impegnati in un lavoro duro e pericoloso ed è offensivo che lei ed altri continuiate a diffondere questi dubbi che tali non sono, sono solo balle.
i pescatori -sono-pescatori e -sono- le vittime, nessuno finora era arrivato a tentare il depistaggio della discussione mettendolo in dubbio
se lei lo vuole fare, si deve assumere l’onere della prova, non spetta al resto del mondo dimostrare che NON sono pirati, spetta a lei dimostrare che lo siano, lei che dal suo tinello coltiva sospetti del genere e li propone pubblicamente
Egregio Mazzetta,
il suo esempio mi piace e calza abbastanza bene il caso in questione, ma occorre aggiungere che il poliziotto era andato in quel posto di campagna, fuori dal suo paesello, perché inzona nel passato un sacco di banditi vestiti da panettieri hanno compito furti e rapine.
Succede il fattaccio e nel paesello vicino, quello del panettiere, e lo stesso da cui partono solitamente i banditi travestiti, la popolazione inferocita chiede la testa del poliziotto. Allora, siccome di li a pochi giorni ci sono le elezioni, il paesello con un inganno fa avvicinare il poliziotto e lo ingabbia.
Questi chiede un processo perché vuole dimostrare la sua versione, ossia che secondo lui il panettiere era davvero un bandito perché magari ha qualche prova da portare, ma non gli viene consentito. In più, l’autopsia sul cadavere è fatta in fretta e furia e non si sa come è andata.
Le piace ancora l’esempio che ha portato?
Vorrei sottolineare che non sono pro o contro nessuno, ne pro-marò ne pro-pescatori, mi incazzo solo a leggere certe prese in giro sotto elezioni (le nostre).
Beh c’è però un errore di fondo, i pirati quelli veri non partono dal Kerala o dall’India ma sempre dalla Somalia dove hanno le loro basi, il loro raggio di azione si estende infatti per 8,3 milioni di km quadrati (grande quasi quanto l’intera Europa) non a caso le marine militari di tutto il mondo fanno comunque fatica a coprirla,ti consiglio la lettura di questo articolo dove tra l’altro si parla anche del caso italiano come esempio delle conseguenze problematiche dell’uso di militari invece che di mercenari ( chiamiamoli col loro nome) http://lowyinstitute.cachefly.net/files/brown_pirates_and_privateers_web.pdf
Comunque tutta l’ipocrisia degli Egregi, gentilissimi etc etc te la puoi pure risparmiare qui la maggior parte delle persone riesce a leggere tra le righe non siamo nella sezione commenti di Giornalettismo
Caro Meltuzed,
grazie del link, ho iniziato a leggere il documento con interesse. Ho risposto “egregio” a Mazzetta per ricambiare lo stesso appellativo con cui si è rivolto a me. Mi è sembrato “educato”.
Io tutta questa ipocrisia non ce la vedo. Ma qui avete tutti la certezza di quello che credete di vedere.
no, non mi piace
avevo usato il poliziotto per lasciare fuori la questione indiana e concentrare la sua attenzione sulle ridicole accuse alle vittime
che prove a sostegno di questa -sua- tesi?
e di che inganno parla, di grazia?
da quando se la polizia invita qualcuno in caserma “per informazioni” e poi lo arresta, qualcuno si lamenta che abbia usato l’inganno?
lei lo farebbe nel caso di un arresto in Italia?
o sono gli indiani che sono “ingannatori”?
Anche io nel descrivere meglio il suo esempio ho lasciato da parte la questione indiana, semplicemente l’ho reso più verosimile a quanto ci è dato sapere.
Io non ho nessuna prova a sostegno della mia tesi, e a costo di essere ripetitivo sottolino che non ci può essere una sola tesi valida, in particolare quella sostenuta da Viavaldi e da questa simpatica comunità, la quale ritengo abbia un discreto livello di funzionamento del proprio intelletto, mentre dal tenore dei commenti di lettori e redattori percepisco un clima dogmatico e accecato dall’antipatia per la destra e i militari in genere.
Per quanto riguarda l’inganno: quello che sappiamo, a meno che lei non abbia informazioni di prima mano non ancora rese note, è che la nave è stata invitata per radio ad entrare in acque territoriali indiane per procedere al riconoscimento dell’imbarcazione dei pescatori. Questo a conferma che la nave non era in acque territoriali, ove le forze armate indiane avrebbero potuto usare anche la forza per costringere la nave ad ubbidire.
Una volta giunta in porto, è successo quello che non doveva succedere ossia l’arresto di due militari di un altro paese su nave (territorio) straniero.
Giacchè siamo in argomento aggiungo una mia opinione, separata dal fatto noto: i due militari sono nei guai per una grave irresponsabilità del nostro legislatore, che ne ha permesso l’impiego a supporto di naviglio commerciale ma senza un completo status di militari (ossia: agli ordini di un comandante di marina mercantile e non di marina militare), oltre che dall’incredibile decisione del comandante della nave che, contravvenendo all’ordine giunto dal comando della nostra Marina Militare, ha obbedito all’invito dei guardacoste indiani entrando in porto ed esponendo i militari a conseguenze gravissime.
Salve skizzot,
non per dire banalità, ma il problema che lei si pone sulla possibilità che i signori Ajesh Pinky e Selestian Valentine
fossero pirati non viene toccato non solo dal Times of India e da altri quotidiani locali, ma anche dall’intera stampa internazionale.
Quindi mi viene da dirle che se ci fosse qualsivoglia appiglio per screditare il fatto che i due pescatori fossero tali,
questo sarebbe già stato montato, modificato e dato per vero da quantomeno una serie di giornali italiani.
Se per dimostrare l’innocenza apprescindere dei due marò un personaggio come Di Stefano è arrivato fino alla camera cercando di sfatare tesi di periti
indiani, si figuri quanto sarebbe stato facile per chiunque appigliarsi a un qualunque cavillo per distruggere le immagini dei pescatori.
Per quanto riguarda il fatto che Minvaldi abbia scritto un articolo “colpevolista” sinceramente ritengo che se è un fatto che”gli esami confermano
che a sparare contro
la St. Antony furono due fucili Beretta in dotazione ai marò, fatto supportato anche dalle dichiarazioni degli altri militari italiani e dei membri
dell’equipaggio a bordo sia dell’Enrica Lexie che della St. Antony”, allora non si può discutere su questioni di colpa o meno dei due marò, si può solo
ricercare le motivazioni dell’atto..
Spero di non essere stata troppo prolissa.
Salve Ver,
io parto da una considerazione: se una pattuglia del San Marco (che non sono propriamente gli ultimi fessacchiotti), impiegata in servizio antipirateria, arriva a sparare su un’imbarcazione, ci sarà stato qualche fatto antecedente. Così su due piedi, non ho motivi di pensare che lo abbiano fatto per gioco.
Come sappiamo ci sono delle “regole di ingaggio” che sono tenuti a rispettare; io personalmente mi auguro che siano state rispettate, ma non ritengo giusto, in presenza di morti, che il processo di merito venga fatto sui blog prima ancora che siano stati resi noti i dettagli e le posizioni di chi è coinvolto. Su questo mi pare siamo d’accordo: se si facesse chiarezza una volta per tutte (e mi pare che ancora ne siamo lontani) su quali armi hanno sparato sul peschereccio, se quelle degli italiani oppure no, allora si dovrebbe indagare sui motivi e sugli eventi che hanno portato all’uso del fuoco.
Ecco perché mi auguro che un giusto processo si faccia, e che venga trovato accordo sul luogo più adatto. Sinora, per quanto ci è dato sapere, la giustizia indiana non ha dato prova di assoluta serenità e imparzialità, questo indipendentemente dall’elevato grado di civiltà e di alfabetizzazione dello stato del Kerala di cui personalmente so poco.
Sul motivo per cui possano aver sparato, nell’arco del dibattito, si sono susseguite tesi differenti dai pescatori che si sono avvicinati per vendere il pescato,
alla barca dei pescatori che non si poteva muovere in quanto nave ancorata al largo con reti in acqua.
Le motivazioni possono essere molteplici, una cosa che però è chiara è che sulla St. Antony non ci fosserro armi, cosa che però è stata detta in primis da fonti indiane,
e poi riportata da quelle italiane( <http://www.repubblica.it/esteri/2012/02/16/news/india_pescatori-29978392/ )quindi, per evitare di "essere di parte", mi limiterò
a dire che non mi risultano fonti, inclusi i due marò stessi, che dichiarino spari provenienti dalla nave "ostile".
Premesso che non so molto di diritto internazionale e che concordo con te sul fatto che ci siano ancora cose poco chiare riguardo all'esatto svolgimento dei fatti, e dunque
finchè non saranno chiarite queste, mi astengo dal giudicare se i marò fossero in buona o cattiva fede, per ora posso solo dire che in alcun modo e da fonte alcuna
viene dichiarato che i pescatori fossero pirati. E come ho scritto precedentemente a parer mio questo, vista la diversità e i diversi possibili obbiettivi di giornali indiani,
italiani e internazionali può essere sufficiente a dimostrarlo.
A livello planetario, gli unici a insinuare che la St. Antony fosse un’imbarcazione di pirati sono:
– gli esponenti della fascisteria italiota impegnata a ridicolizzare il Paese urbi et orbi;
– i commentatori da social network che si sono bevuti le idiozie della fascisteria italiota e si credono “patriottici” perché
sparano cazzate.
Fuori d’Italia è una non-questione, a carico dei marinai del peschereccio non risultano reati, nessuno dei personaggi dell’inchiesta (nemmeno i marò, come ha fatto notare Ver) ha denunciato la presenza di armi a bordo del peschereccio, nessun tribunale è stato chiamato a decidere se fossero pirati o no, perché nessuno ha mai insinuato che lo fossero.
A parte la fascisteria italiota, s’intende.
Skizzot, mi meraviglio di lei, che con tutta evidenza è una persona intelligente. A che pro insistere così tanto su questo argomento, palesemente portato avanti solo da calunniatori e menatori di cani per l’aia?
L'”inganno” che lamenti è applicato tutti i giorni che dio manda in terra in tutte le caserme italiane.
Se sei sospettato prima ti interrogano come testimone senza avvocato, convocato sbrigativamente (ma con l’obbligo di dire la verità), estraggono gli elementi di prova dalla tua deposizione, poi interrompono perché, toh, è emerso un reato e ti switchano da testimone in imputato in un amen.
E’ sempre successo.
Invece di metterla sul piano delle forme ti sottopongo un problema sostanziale.
Si tratta della velocità delle imbarcazioni e degli skill dei marò.
La faccio breve, taglio con l’accetta e semplifico per chi è solo terricolo e odia il mare, ma immagino che non sia il tuo caso.
Le imbarcazioni in base al loro assetto in navigazione si dividono in 2 categorie principali:
1) le dislocanti
2) le altre (plananti e semiplananti/semidislocanti)
Nelle dislocanti la velocità massima è un limite fisico praticamente invalicabile, indipendente dalla potenza del motore. In questo caso la carena fende l’acqua, la separa in due e questa si ricongiunge a poppa.
Il limite di velocità massimo è grossomodo un nodo ogni metro lineare di lunghezza della barca al galleggiamento.
Una barca dislocante di 6 metri può andare a 6 nodi (miglia all’ora). Motore o vela è irrilevante. Questo se la carena disloca, cioè fende l’acqua.
Per conoscere la velocità massima di una barca dislocante basta quindi sapere quanto è lunga. Il margine di errore è basso.
Le plananti invece “saltano” sull’acqua, offrono attriti ridotti e raggiungono elevate velocità proprio per questo. In questo caso la velocità dipende essenzialmente dalla potenza. Per sapere la velocità massima teorica bisogna quindi valutare il rapporto motore/peso. Solo queste sono usate dai pirati.
Le due tipologie si distinguono ad occhio nudo, se uno sta per mare vede subito, anche guardando la sola opera morta sopra il galleggiamento a quale delle due appartiene. Anche da fermo. In navigazione poi è evidentissimo. Sono due modi completamente diversi di andare per mare.
Per dare l’idea c’è la stessa differenza che corre tra un cavallo da trotto e uno da tiro, sono fatti proprio diversi. Non serve neanche vederli muovere. Ma se li vedi muovere e hai dei dubbi, vuol dire che per l’ippica non sei proprio portato, estamos?
Ora, è ovvio che se ti devo arrembare devo essere più veloce di te.
La velocità di crociera di una petroliera oscilla tra i 12/14 nodi.
Non conosco la velocità massima della Lexie, ma dovrebbe essere attorno ai 16/17 nodi.
Quanto è lunga la St.Antony? Diciamo 12 metri? Facciamo 14? Quello può fare di velocità massima.
Mi spieghi come hanno fatto degli skillatissimi uomini di mare-marò a scambiare la St.Antony per una barca planante?
Perchè una barca di quella lunghezza poteva arrembare la Lexie SOLO se planante, estamos?
Gli elementi certi sono che hanno sparato ad una barca dislocante.
Again, pensi che non fossero in grado di distinguere un perchereccio dislocante da un “barchino” planante?
La mia tesi è che le regole di ingaggio formali recitano una cosa. Poi c’è interpretazione che potrebbe benissimo essere: nessuno si deve avvicinare alla petroliera in navigazione entro un tot di metri sennò gli sparo.
Che dici, impossibile?
@Ver: E’ corretto quello che dici, e in più dal link che hai postato si legge che la Marina ha dichiarato che “l’equipaggio ci ha riferito che l’atteggiamento del peschereccio era stato giudicato chiaramente ostile, tipico dei pirati. Le modalità di avvicinamento erano le stesse già seguite in operazione di abbordaggio, caratteristiche di quei mari. Un esempio su tutti: non hanno risposto ai segnali di avvertimento”
Per me questo vuol dire: ci sono due versioni contrapposte, una della nostra MM, e una dell’accusa indiana. Non c’è ancora una visione condivisa e questo è un aspetto centrale che dovrà essere chiarito nel processo.
@Wu Ming 1: Ringrazio e ricambio, io però sono abituato al metodo scientifico, e non escludo nulla a priori.
@Franti: sull’inganno non so dirti, per fortuna non mi ci sono mai trovato.
Il discorso sulla tipologia di imbarcazione è chiaro e interessante (avrai capito che ho un certo interesse nel mare e nella navigazione). Personalmente non mi aspetto, a oltre 20 miglia dalla costa, che un barchino di pescatori si avvicini ad una petroliera in rotta per vendere il pescato. Immagino tu sappia che un giante di 244 metri come la Lexie, quando viaggia a 12-13 nodi che è facilmente la sua velocità massima a pieno carico (http://snipurl.com/2636kof), per fermarsi ha bisogno di almeno 3 miglia: oltre 5 km. Considerato questo, un’imbarcazione tipo il St.Antony, dalle foto che ho visto in rete, non darebbe l’impressione di una barca planante e adatta per un attacco piratesco, ma non lo si può nemmeno escludere, visto che comunque non mi sembra abbia delle attrezzature fisse per le reti che lo identificherebbero immediatamente come barca da lavoro. Siamo nel campo delle congetture ed è meglio non sbilanciarsi.
Considera che per le navi il pericolo sta semplicemente nel ricevere un razzo nel punto sbagliato, e non fa molta differenza se viene lanciato a spalla da un gommone di 5 metri o da una postazione fissa su un torpediniere. Questo è il motivo per cui le famose “regole di ingaggio” servono a creare una zona protetta intorno alle navi “a rischio” in cui è consigliabile non entrare.
Su Youtube tempo fa ho visto un video, che ora non saprei recuperare, in cui un portacontainer russo in navigazione in alto mare, con guardie armate a bordo, veniva insidiato da un barchino di 6-7 metri (piccolo), da cui sono partiti anche alcuni spari sebbene la nave si stesse riuscendo ad allontanare ad una velocità superiore. Non c’entra con la discussione, ma in quel video poi si vede che che la questione è stata risolta in modo poco ortodosso, con un’armamento pesante che ha incendiato e affondato il barchino al primo colpo. Chissà quante altre centinaia di episodi accadono senza che se ne sappia nulla, in giro per i mari.
>>Personalmente non mi aspetto, a oltre 20 miglia dalla costa, che un barchino di pescatori si avvicini ad una petroliera in rotta per vendere il pescato.
Immagino tu sappia che un giante di 244 metri come la Lexie, quando viaggia a 12-13 nodi che è facilmente la sua velocità massima a pieno carico (http://snipurl.com/2636kof), per fermarsi ha bisogno di almeno 3 miglia: oltre 5 km.
Concordo, non esiste. Primo perchè la petroliera non si ferma. Secondo perchè se si fermasse per comprare il pesce da degli sconosciuti in un’area a rischio pirateria medio/alto, allora i marò dovrebbero sparare al comandante.
>>Considerato questo, un’imbarcazione tipo il St.Antony, dalle foto che ho visto in rete, non darebbe l’impressione di una barca planante e adatta per un attacco piratesco, ma non lo si può nemmeno escludere, visto che comunque non mi sembra abbia delle attrezzature fisse per le reti che lo identificherebbero immediatamente come barca da lavoro. Siamo nel campo delle congetture ed è meglio non sbilanciarsi.
Non mi deludere. Lo sai anche tu che il discrimine non è lo scopo della barca (da lavoro, da svago, quello che è) e neppure la sua attrezzatura visibile in coperta. La differenza è nella velocità. Quella era una barca lenta, non giriamoci attorno. Ci possono essere barchini plananti attrezzati da pesca e barche dislocanti senza attrezzature sul ponte. Le attrezzature da pesca sono moltissime: reti di centinaia di tipi diversi, lenze, palamiti, nasse per crostacei e i mille tipi di pesca locale. Non tutte hanno evidenze sul ponte. E se io fossi un pirata mi caricherei una bella rete da pesca con le aragoste in plastica da poppa a prua, giusto per fregare i polli.
Quello che si vede non garantisce sulle intenzioni. La differenza in termini di pericolo stimato è data dalla velocità possibile del mezzo e dal tipo di manovra.
Se hai un mezzo veloce e ti avvicini in un certo modo allora sei un potenziale pericolo. In qualsiasi modo ti avvicini con una barca lenta, non sarai mai un pericolo, al massimo una rottura di coglioni.
>>Considera che per le navi il pericolo sta semplicemente nel ricevere un razzo nel punto sbagliato, e non fa molta differenza se viene lanciato a spalla da un gommone di 5 metri o da una postazione fissa su un torpediniere. Questo è il motivo per cui le famose “regole di ingaggio” servono a creare una zona protetta intorno alle navi “a rischio” in cui è consigliabile non entrare.
Immagino che anche i pirati avranno mogli, figli e istinto di conservazione. Soprattutto degli scopi, che potranno essere: a) prendere possesso della nave b) prendere ostaggi c) derubare valori. Non me li vedo a tirare razzi alle navi per pura malvagità d’animo, ma hai toccato il punto.
La “zona protetta” attorno alle navi in cui non è consigliabile entrare.
La questione è tutta lì. Io sono convinto che i 2 marò si sentano in perfetta buonafede, perchè hanno interpretato esattamente in questi termini le regole di ingaggio.
Loro non sono lì per prevenire abbordaggi, ma per garantire una zona estesa di non navigabilità attorno alla nave.
Non ti sembra una prepotenza? Non credo ci sia nessuna norma che vieti a un peschereccio di mettersi a mezzo miglio dietro a una nave per pescare, ad esempio, i pelagici che la seguono. Pare sia appunto uno dei metodi di pesca tradizionali del posto, per prendere tonnetti di branco o altri pelagici che seguono spesso le grandi navi.
Se Occam non era un fesso, uno scenario plausibile potrebbe essere il seguente: la St. Antony vede la Lexie arrivare e conta di entrare in pesca sulla sua scia e magari di starci per un po’. Ai marò quella tecnica di pesca potrebbe stare sulle balle per svariate ragioni, prima tra tutte che con una barca in scia non possono smontare dallo stato di allerta: loro di guardia e tutto il resto dell’equipaggio in cittadella fino a che i pescatori stanno dietro. Risultante? Un mood spazientito e una liturgia di avvertimenti ridotta all’osso, al punto di non essere capita dagli interessati.
Congetture? Son d’accordo. Sentiremo cosa hanno da dire tra non molto.
Ciao Franti,
sono soddisfatto che dopo tanto scrivere siamo arrivati al nocciolo della questione.
Come prima cosa, scrivi:
>> Immagino che anche i pirati avranno mogli, figli e istinto di conservazione. Soprattutto degli scopi, che potranno essere: a) prendere possesso della nave b) prendere ostaggi c) derubare valori. Non me li vedo a tirare razzi alle navi per pura malvagità d’animo, ma hai toccato il punto.
Su questo non sono d’accordo, chi fa quel mestiere non deve avere molto da perdere, e il terrore delle navi finché non erano armate è proprio che, non consegnandosi subito, nave e/o equipaggio avrebbero fatto una brutta fine.
Dopo i primi brutti episodi, nel golfo di Aden le navi hanno imparato a consegnarsi subito senza opporre nessuna resistenza proprio perché l’equipaggio avrebbe rischiato la morte certa.
Sull’altro punto:
>>La “zona protetta” attorno alle navi in cui non è consigliabile entrare.
La questione è tutta lì. Io sono convinto che i 2 marò si sentano in perfetta buonafede, perchè hanno interpretato esattamente in questi termini le regole di ingaggio.
Loro non sono lì per prevenire abbordaggi, ma per garantire una zona estesa di non navigabilità attorno alla nave.
>>Non ti sembra una prepotenza? Non credo ci sia nessuna norma che vieti a un peschereccio di mettersi a mezzo miglio dietro a una nave per pescare, ad esempio, i pelagici che la seguono.
Questo è il cuore del problema. Possiamo stare a discuterne per sempre, ma bisogna fare i conti con la realtà. L’area di salvaguardia (armata) intorno alle navi è una misura drastica e restrittiva, ma l’alternativa al non fidarsi l’abbiamo vista sinora: decine di navi in ostaggio e miliardi di dollari di riscatti utilizzati dai gentiluomini della Somalia per comprarsi armamenti sempre più pesanti.
D’altra parte, sono misure da sempre in vigore intorno al naviglio militare: hai mai provato ad avvicinarti per chiedere informazioni ad una corvetta di un paese NATO? Auguri.
Eh, no. Non tiriamo in ballo il metodo scientifico per giustificare illazioni. Un conto è non escludere a priori nessuna ipotesi, altro conto è impostare il discorso come se gli imputati fossero i pescatori e addirittura scrivere che “un processo” stabilirà se erano pirati! Non ci sarà nessun processo del genere. Quello in corso vede sul banco degli imputati Latorre e Girone, accusati di avere crivellato di colpi due membri dell’equipaggio del St. Antony. Ripeto, questo è un fatto. Come è un fatto che i pescatori non sono imputati di niente. Come è un fatto che, all’infuori del sottobosco della destra italiana che su questa storia ha dettato l’agenda mediatica e politica per undici mesi *senza alcun vaglio critico da parte di chicchessìa*, nessuno abbia sostenuto che i pescatori fossero pirati. La premessa comunemente accettata da tutte le parti in causa e da tutti gli osservatori seri è che i due marò hanno *scambiato* i pescatori per pirati. Il processo riguarderà le possibili attenuanti o aggravanti del reato scaturito da quest’errore.
La butto li sperando di non dire la più grossa gastroneria del secolo. Questa possibilità che ci sia ancora il dubbio che quei pescatori potessero essere pirati mi ha lasciato perplesso.. Se non sbaglio stiamo parlando di pirati [b]somali[/b] e di pescatori del kerala, [b]indiani[/b]. Almeno che non sia una definizione generale e tra le file dei pirati ci sia mezzo mondo, tra le due categorie c’è di mezzo una differenza di etnia.. e di colore della pelle. Mi sembra un po’ come confondere un sardo e un tunisino.. ok li per li in mare, mezzo imbaccucati per ripararsi dal sole, è possibile.. ma a posteriori no.
Caro Wu Ming 1, io credo di aver capito bene quello che dici.
Io dico: poniamo che la St. Antony sia davvero un bel barchino da pesca che non avesse nessuna cattiva intenzione; se però si è comportata similarmente ad una barca pirata, per di più non rispondendo alle segnalazioni (parliamo di razzi di segnalazione e infine anche di spari in acqua, non di un ciao ciao con la manina!), da bordo della Lexie la cosa sarà stata interpretata male. I pescatori potrebbero aver avuto mille motivi per essersi avvicinati troppo, non lo metto in dubbio.
Il processo serve proprio a capire queste cose.
Rispondo a skizzot poco sopra, in effetti il problema dell’ospitare militari su navi civili sta proprio qui, è una zona giuridicamente grigia (visto che il fenomeno è recentissimo) , tu lo dai per scontato che una nave commerciale diventa automaticamente una corvetta militare se ci sono dei militari a bordo ma nella pratica giuridica non è così, infatti questo caso è molto seguito anche da terzi proprio perché viene visto come un caso che farà scuola, ed è proprio il motivo per cui molti governi consentono solo l’uso di mercenari privati ( contractors)
Gentilissimi di Wumingfoundation, posso sapere come mai il mio commento del 08/01/2013 ore 11:10 am non è stato pubblicato? Non credo di avere infranto nessuna delle vostre regole, ho riletto il vostro post dove dichiaravate di non smoderare i commenti non aventi certe caratteristiche di correttezza, educazione, dimostrazione di aver letto i vari post ecc ecc, mi sono riletto il mio e non credo che contravvenga a nessuno dei punti da voi elencati.
Posso sapere gentilmente il motivo di tale censura?
Forse solo perchè non ero dichiaratamente contro il sig. De Stefano? O perchè non ho insultato i due militari? Non mi spiego il motivo, attendo una vostra cortese risposta, inutile dirvi che ho il pdf del mio commento che in qualsiasi momento posso farvi avere….
Grazie dell’Ospitalità
Gentilissimo Ligio,
guardi che a noi a quell’ora non risulta proprio niente, nemmeno nello spam. Se, come lei gentilmente sostiene, a quell’ora ha davvero cercato di pubblicare un commento, qualcosa dev’essere gentilmente andato storto.
Magari, gentilmente, prima di usare parole come “censura” (che è una cosa seria, la fanno gli stati e non giova citarla a sproposito quando non si vede un proprio commento su un blog) o fare ipotesi che in realtà sono illazioni non corroborate da nulla (come quando insinua che pubblicheremmo solo commenti che insultano i due militari), potrebbe fare un bel respiro, pensarci un momento e, con cortesia, lasciar perdere. Non serve a molto ripetere a ogni pie’ sospinto “gentilissimi”, “educazione”, “gentilmente”, “cortese”, se sotto quel velo riposano ingiurie.
Sa com’è, il destinatario di una simile missiva potrebbe rispondere mandandola gentilmente a farsi fottere.
Mi fai stiantà :-p
Fate un pdf anche con queste, come ai tempi di STROOOKKK!
Comunque con Ligio ci siamo spiegati via email e adesso siamo amiconi.
Solo per linkare (mi scuso se è già stato fatto!) la segnalazione su Libertà di Stampa Diritto all’Informazione http://goo.gl/wiE8P con il commento: “Un esempio di scuola di quello che nel nostro paese una stampa indipendente avrebbe dovuto fare e invece non ha fatto.”
Una delle riflessioni che mi viene da compiere dopo aver letto pazientemente i post è quella sull’impossibilità della tecnica separata dal contesto. Prima di quest’ultimo pasticcio all’italiana, ricordo che i tecnici legati alla destra “nostalgica”, usati come periti molto di comodo, hanno avuto predecessori illustri, e ben più gravi: il più lampante esempio è Semerari durante gli anni ’70, ma di tecnici legati mani e piedi alla politica, quella bruna e nera, ci sono molti possibili esempi. Questo ovviamente è un caso diverso, e non ha caratura criminale come quello di Semerari, a cui non può essere paragonato da questo punto di vista. Lo accomuna, questo sì, la vicinanza ad ambienti neri, e l’idea che un tecnico così schierato abbia avuto la possibilità di esporre la sua relazione in parlamento è davvero un po’ angosciante.
Mutato il contesto, il primo falso tecnico a venirmi in mente è Il Tecnico: il governo dei finti tecnici diventa un governo di finti politici, e diventa lo spaventapassero di interessi di poteri che controllano i nodi economici del paese, uniti ai residui di Dc e a missini lavati con il perlana, conditi con la condiscendenza della chiesa romana. Buona parte di coloro che partecipano a questa narrazione tossica. Un circolo parecchio vizioso, e pure inquietante. Ma non c’è complotto, tutto si svolge alla luce dei faretti degli studi televisivi, o almeno così sembra.
Post necessario che smonta sistematicamente tutte le poszioni farlocche di cui si legge sui giornali.
Poi personalmente sento che manca qualcosa e che sarà difficile che salti fuori: posto che i due Marò la cazzata probabilmente l’hanno fatta, mi chiedo: ma perchè l’hanno fatta? Che necessità/ordini/paure li hanno mossi a fare la cazzata? Non si tratta solo di ricostruire minuziosamente lo svolgimento dei fatti, fornire ordini di grandezza e proporzione per capire la dinamica e i motivi della sparatoria, serve una storia e qualcuno a quei due la dovrebbe dare.
C’è una cosa che davvero trovo inspiegabile. Da anni i neofascisti ce la menano con la storia dei pirati. E’ tutto un profluvio di bandiere nere, di corse all’arrembaggio, di assaltando rideremo; di tortuga, di Jolly Roger, di tibie incrociate, di Capitan Harlock, di velieri, di Cutty Sark e via discorrendo.
Poi, bastano due militari implicati, a loro dire, nel difendere col fuoco una nave da un presunto attacco pirata, e subito corrono a schierarsi coi militari dello Stato colonialista contro ogni atto di pirateria. C’è una spiegazione a tutto questo? Forse che “so negri”?
Altra questione che non mi torna. La discussione di una parte degli “scettici” all’articolo di Miavaldi sembra puntare sul fatto che i pescatori indiani fossero davvero dei pirati. Ora, anche fosse, anche fossero pirati all’arrembaggio della petroliera, questo giustificherebbe la sparatoria, l’omicidio, i militari a bordo di imbarcazioni civili? Anche fossero stati famigerati “pirati”, i militari non si meriterebbero comunque un bel processo per omicidio, al di là del luogo in cui si svolgerebbe? Non è questo un leggittimo sospetto che in Italia tutto si ridurrebbe a un giustificazionismo in nome del sacro valore della proprietà, anche sparando e uccidendo?
Chiudo dicendo che, anche a seguito dell’ottima contestualizzazione del fenomeno della pirateria somala uscito dalla discussione, fra un pirata somalo in barchetta e una multinazionale del petrolio non ho dubbi per chi mi ispira più simpatia.
Alessandro
Ha troppo ragione Alessandro sulla faccenda dell’immaginario “pirata” dei fascisti che poi va subito a ramengo di fronte ai pirati veri. Il massimo del surreale è questo manifesto fascista che ho visto in rete.
Fanno un’iniziativa pro-marò con Luigi Di Stefano (naturalmente indicato come “Ing.”) in un covo fascista che si chiama “Isola di Tortuga” e che ha come simbolo il Jolly Roger?!
La ridicolaggine dei fasci fa quasi pietà. Questo manifesto è il nadir del senso, sono ipocriti senza accorgersi di esserlo.
Vorrei anche far notare che i poliziotti indiani intorno ai “due leoni” (sic) sono stati *anneriti* e consegnati a un fondale di tenebre dal quale spiccano i nostri eroi bianchi circonfusi da un alone bianco. Di un razzismo da vomitare.
[piccolo OT]:
a proposito di fasci, simboli e coerenza, a Pisa è stato da poco presentato questo “Ronin”, gruppo aderente ad una rete di gruppi neofascisti toscani, Casaggì – sempre più in crescita! – che si descrivono come “destra identitaria” fedele ai “valori europei ed italiani” e come logo hanno niente di meno che…. un samurai e una katana! olè!
LA FUNIVIA PROVOCATRICE
Vostro Onore, signori della Giuria,
vi prego, guardate in faccia questi due uomini. Sono i Capitani Richard Ashby e Joseph Schweitzer, due patrioti americani, dello stimato Corpo dei Marò.
Richard e Joseph hanno lasciato famiglia e affetti per un duro lavoro in Europa, nell’interesse supremo della patria. Tra l’Italia e l’Austria esiste una catena montuosa chiamata le Dolomiti. Il 3 febbraio 1998 i nostri due marò volavano sulle Dolomiti per difendere l’Occidente dalla minaccia comunista e terroristica. Solo tre anni dopo ci sarebbe stato l’attentato alle Torri Gemelle, compiuto da aerei kamikaze. Meno di cinquant’anni prima il cosmonauta sovietico Jurij Gagarin era stato il primo uomo a volare fuori dall’atmosfera terrestre, per conto di una superpotenza nemica della libertà. Quindi capite bene l’importanza del loro compito: difendere la democrazia in alta quota.
Ebbene, mentre volavano sopra una zona che gli indigeni chiamano Val di Fiemme, Richard e Joseph hanno visto avvicinarsi, alla velocità di circa 0 nodi, un minaccioso abitacolo metallico, contenente 20 individui che non portavano alcun segno di riconoscimento. La scatola blindata galleggiava nel vuoto a più di 350 piedi e non ha risposto ai segnali di avvertimento.
In questi casi la prassi impone che di fronte a quella che è percepita come una minaccia imminente il pilota reagisca o facendo fuoco o con un passaggio ravvicinato che disorienti il potenziale nemico. La cautela dei nostri marò li ha indotti a scegliere questa seconda strada, ma col senno di poi potremmo dire che se avessero fatto fuoco probabilmente non si sarebbe sollevata una simile vuota polemica, strumentale alle dinamiche domestiche della politica italiana. I nostri ragazzi non potevano infatti certo immaginare che il misterioso oggetto volante utilizzasse come rudimentale sistema di trazione una fune metallica tesa tra alcuni piloni installati all’uopo su quelle montagne. Quando il nostro aereo militare ha tagliato il cavo, i venti sedicenti sciatori sono precipitati a terra.
L’accusa ha sostenuto, sprezzante della logica, che tutto ciò sarebbe avvenuto senza alcuna ragione o motivazione precisa. Queste persone sarebbero morte per nulla. I nostri soldati avrebbero agito per scherzo, per irresponsabilità o per idiozia. Secondo l’accusa, apparentemente, le forze armate degli Stati Uniti d’America sono solite uccidere cittadini di Paesi alleati per il mero gusto di farlo. E dovremmo prendere sul serio un impianto processuale basato su questo? Ci pare evidente che chi intende incolpare Richard Ashby e Joseph Schweitzer della morte dei 20 cosiddetti sciatori debba formulare un’ipotesi che spieghi a quale provocazione i miei assistiti abbiano risposto. Ma su questo sia l’accusa sia la stampa italiana tacciono, rappresentando le vittime come agnellini dalla condotta irreprensibile. Anche il buon senso popolare lo dice: la guerra si fa in due.
Gli unici a dare spiegazioni esaurienti sull’accaduto sono stati proprio i nostri marò, che hanno proclamato la loro innocenza e i loro disappunto per la lamentabile perdita di vite umane. Dall’altra parte si sono soltanto sprecate congetture poco plausibili che presumibilmente seguono un’agenda politica. Perché la controparte non ha fornito una versione alternativa? Sono morti, direte voi. Ma perché la presunta funivia non aveva neppure una scatola nera? Ed è mai possibile che durante la caduta nessuno abbia fatto una telefonata, lasciato uno scritto testamentario, pubblicato un post breve sul proprio blog, aggiornato lo stato di Facebook?
Concludo sulla questione della giurisdizione. Bene ha fatto il governo americano a non accettare che i nostri marò venissero processati là dove è avvenuto lo sfortunato inconveniente. Proprio in questi giorni, infatti, l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per lo stato miserabile in cui versano le sue prigioni. Potevamo forse rischiare che i nostri soldati, che si trovavano in Europa a compiere il loro dovere, venissero confinati in celle sovraffollate dove non sono rispettati i diritti inalienabili dell’Uomo difesi dai nostri Padri Costituenti?
Vostro Onore, signori della Giuria, credo che non sia necessario aggiungere altro.
Louis Stevenson, Esq.
Buongiorno, riguardo la balistica, soprattutto quella definita “terminale” si trovano una valanga di informazioni utilissime su questo sito: http://www.grurifrasca.net.
Da leggere un poco turandosi il naso, visto che i loro libri erano presenti all’EXA nello stand delle edizioni Ritter (!).
Altra fonte di elezione è questa:
http://www.earmi.it/default.htm
Il curatore è un ex-magistrato che viene ritenuto uno dei principali esperti italiani di diritto connesso alle armi ed al loro uso.
Tanto per avere qualche informazione sulle deformazioni dei proiettili ed alle metodologie da seguire in ambito di analisi balistica.
Si è sempre i “pescatori del Kerala” di qualcun altro.
Strage di pescatori italiani, gli USA respingono la richiesta di rogatoria internazionale:
http://bari.repubblica.it/cronaca/2013/01/10/news/francesco_padre-50244205/
Ad una settimana dalla pubblicazione di questo post e dopo aver quasi raggiunto quota 450 commenti credo sia ora di tentare una sintesi di quanto è emerso sinora nel corso della discussione.
Non mi reputo affatto la persona più adatta per farlo, avendo già dato prova di mancanza di lucidità nella mia rabbiosa risposta ad ldtxv di un paio di giorni fa, però ci vorrei provare lo stesso, partendo proprio da quel che dicevo in quella risposta.
Che gli italiani siano un popolo che si pone sempre in maniera vigliacca di fronte alle proprie responsabilità è un fatto, come si diceva, abbastanza incontrovertibile – la storia dei due marò, in questo senso, mi continua a sembrare esemplare – ma se si vuole evitare di cadere nella trappola del qualunquismo credo sia opportuno andare ad indagare le cause di questo peculiare atteggiamento.
In questo senso, il discorso su cui insiste tanto WuMing1 riguardante i nostri crimini coloniali in Africa, mi sembra essere una buona leva per scoperchiare i sepolcri e spalancare gli armadi, ovverosia per tentare di avvicinarsi un po’ di più ad un principio minimo di verità oggettiva in tutta questa brutta storia di manipolazioni, di strumentalizzazioni e di periti privi di laurea.
A dispetto di quel che sostengono i lettori del Fatto che sono capitati da queste parti negli ultimi giorni, qui non si tratta di assumere posizioni anti italiane per presa di posizione, ma di capire i motivi per cui quelli che dovrebbero essere dei *valori condivisi* dalla totalità del nostro popolo si trasformino ad ogni occasione in esercizi di retorica spicciola, becera e qualunquista.
È come se in Italia, a ben vedere, si preferisse sempre e comunque tenere la testa nascosta sotto la sabbia invece di guardare in faccia alla realtà dei fatti: l’inutile polemica sollevata da Skizzot sul fatto che i pescatori fucilati in realtà potrebbero benissimo essere stati dei pirati sotto mentite spoglie e che le autorità indiane avrebbero fatto di tutto per tenerlo nascosto pur di nuocere ai nostri interessi nell’area, mi sembra essere da un lato un buon esempio di questo atteggiamento, e dall’altro un buon punto di contatto con la visione complottistica che emerge in maniera netta dai deliri di Di Stefano e dai commenti dei suoi camerati sul forum neofascista che abbiamo tutti avuto il piacere di poter visitare.
Quel che mi pare di poter concludere, alla luce di quel che ho visto e letto in questi giorni, è che in Italia esista una congenita tendenza ad una visione distorta della realtà, supportata da un livello preoccupante di mania di persecuzione, con tanto di episodi allucinatori veri e propri: in termini psicoanalitici, si tratta di atteggiamenti che rappresentano fuori di qualsiasi dubbio dei sintomi di un disturbo della personalità parecchio grave, su cui è necessario intervenire in maniera decisa per evitare che il paziente sprofondi nel baratro della follia.
In quest’ottica, lavorare sul *rimosso* – in questo caso, la negazione della memoria dei nostri crimini coloniali – mi sembra essere una buona tattica per intervenire ed evitare il peggio.
Il discorso si potrebbe approfondire ulteriormente, si potrebbero tirar fuori le teorie di Furio Jesi sulla reversibilità del mito, che trasforma i valori di una società – avvelenandoli irrimediabilmente – proprio a partire da una negazione/rimozione che è sempre spia di un rapporto malsano col passato, ma forse questa non è la sede più opportuna per affrontare una discussione di questo genere.
A ben vedere infatti, dopo una settimana di discussione faccio fatica anche a ricordare di che cosa si stesse parlando: mantenere la barra in acque agitate, oltre tutto sotto il tiro di pirati e mercenari inferociti, non è certo cosa facile.
Ultima cosa: volevo scusarmi con ldtxv per il tono sprezzante e cattivello della mia risposta di cui sopra, e dal momento che non trovo il modo di contattarlo privatamente lo faccio qui, facendo pubblica ammenda :) …non mi piace sentirmi dare dello scemo, ma mi piace ancora meno trattare male le persone.
Detto ciò, un saluto a tutti e grazie per la bellissima discussione.
Fran,
ma figurati, davvero, apprezzo le scuse ma capisco benissimo che in una discussione ci si possa scaldare un pochino.
@ Franzecke: Alla tua sintesi mi permetto di aggiungere una riflessione più generale, ma che può essere applicata al caso in questione di cui si discute da giorni.
Le forme di conflitto contemporanee sono in pratica tutte ascrivibili alla tipologia di *guerra asimmetrica* (con ogni variante possibile): terrorismo, pirateria, guerriglia, conflitti informatici, etc… Ora, una cosa accomuna queste tipologie di lotta a-lineare ed è la difficoltà di definire con precisione l’avversario con cui ti trovi a interagire (che, per esempio, non indossa più una divisa facilmente identificabile come avveniva per le guerre ortodosse di vecchia generazione). Questo per dire che all’interno degli scenari bellici contemporanei, almeno per come la vedo io, il livello delle possibilità di errore – di prendere fischi per fiaschi e accoppare la persona sbagliata – è aumentato (e gli eserciti ipertecnologici non sono immuni dall’abbaglio, il feticismo tecnologico non serve a un cazzo, anzi, spesso complica le cose.) Tuttavia, da un punto di vista giuridico, l’inesattezza (= perdita della vita di un innocente confuso con il nemico) va pagata comunque.
Chi decide di fare questa scelta di vita, cioè di imbracciare un’arma e diventare un soldato, dovrebbe essere ben cosciente della realtà incerta, subdola della guerra contemporanea che dovrà, prima o poi, affrontare.
Ecco, visto tutta la questione pirati/pescatori mi sembrava giusto aggiungere questo tipo di ragionamento. Spero di non essere andata OT.
Caro franzecke,
avrei preferito tenere separato il passato storico sulle nostre nefandezze nell’Africa colonizzata. Circa un secolo fa il nostro Paese ha certamente commesso enormi atrocità, che non devono essere dimenticate.
Però credo che approcciare questa vicenda moderna, che più moderna non si può (e giustamente Anna Luisa ci ha ricordato che è stata coniata l’espressione “guerra asimmetrica”) a confronto con un tema antico come la pirateria, confrontando quello che è successo 8 mesi fa con un secolo fa serva solo a confonderci ancora di più e dare fiato alle trombe dei demagoghi di destra e sinistra.
Ci sono due nostri militari nei guai (e in questi guai ce li hanno messi le nostre leggi incerte: loro hanno solo accettato i rischi del fare della divisa una professione, fidandosi che il loro Stato non li avrebbe mai potuti mettere in una situazione tanto assurda), e su questo caso non capisco a cosa serva scoperchiare i sepolcri se non a influenzare ancora di più la serenità di giudizio di noi tutti.
Mi scuso se non posso approfondire il tuo discorso sulle teorie di Furio Jesi che non ho mai sentito nominare avendo io una semplice preparazione tecnica.
Però mi spiace che reputi la mia una “inutile polemica”; non ho mai parlato di complotti e nemmeno li ho pensati, forse non hai letto bene i miei interventi.
Skizzot, il nostro passato coloniale si ripercuote sul presente, perché quel passato è stato rimosso e come ogni rimosso continua a influenzare i nostri comportamenti, spesso senza che ce ne accorgiamo.
Tra l’altro, non è nemmeno storia così lontana nel tempo: dalla Somalia ce ne siamo andati cinquant’anni fa, non un secolo fa. E ci siamo tornati in armi per l’ennesima volta all’inizio degli anni Novanta, facendo disastri che probabilmente hanno avuto parte nella morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
E il nostro passato genocida in Libia ha plasmato il nostro rapporto schizofrenico con Gheddafi, fino alla pagliacciata romana di appena due anni fa. Rapporto che, tramite il famoso accordo bilaterale sui respingimenti, ha influenzato le nostre politiche sull’immigrazione.
Ricordo anche che aziende italiane ed enti governativi sono tuttora in Africa a fare disastri sociali e ambientali, si veda il Delta del Niger.
Inoltre, la cattiva memoria sul nostro razzismo di allora continua a impedirci di comprendere il razzismo di oggi.
Cattiva memoria che ha portato a uno scempio immondo come il sacrario di Affile intitolato a Graziani.
Se nella colonna destra di questo blog cerchi il box con le parole-chiave, ti invito a cliccare su “Colonialismo italiano” e troverai le discussioni, anche molto recenti, che abbiamo fatto su questo macrotema. Al quale abbiamo anche dedicato alcuni libri.
Ciao Skizzot,
quel che mi premeva sottolineare coi miei interventi nella discussione trascendeva un po’ il caso specifico dei marò, che a me sembra molto chiaro: ci sono due pescatori indiani morti fucilati e due militari italiani in attesa di giudizio. Stop.
Quel che mi interessava sottolineare era piuttosto l’atteggiamento vittimista e facilone che la nostra opinione pubblica assume sempre e comunque di fronte a casi di questo genere.
La polemica cui facevo riferimento riguardava
la tua presa di posizione rispetto al fatto che esiste un ragionevole dubbio sul fatto che i due pescatori potessero essere dei pirati e che sarà il processo a doverlo stabilire, ma WM1 ti ha già risposto nel merito e mi sembra inutile star qui a ripetere le cose.
Ti faccio solo notare, e poi chiudo, che questo modo di porsi, per come la vedo io, non fa altro che andare ad alimentare le ipotesi complottiste su cui i fascisti stanno edificando da mesi le loro assurde mistificazioni: in questo senso lo considero decisamente “inutile” e dannoso – per i due imputati in primis NB.
Un saluto.
P.s. riguardo alla tua battuta su F.Jesi, pensa che invece io la preparazione non ce l’ho proprio! mi hanno sempre cacciato da qualsiasi scuola perché sono sempre stato una linguaccia ;) ciao ciao
A proposito di Furio Jesi, tra una settimana circa pubblicheremo un lungo post su di lui, una chiacchierata a più voci a partire dal libro di Enrico Manera “Furio Jesi. Mito, violenza, memoria” (Carocci, 2012).
@skizzot
io continuo a vederci anche un problema lessicale.nei tuoi commenti ripeti spesso ‘i nostri soldati’,l’ho contato almeno cinque volte. mi sembra un’espressione orribile, tipica da mainstream, fa pensare a una nazione che si stringe(e soprattutto che pensa che sia doveroso stringersi) intorno a loro e chi non partecipa a questo girotondo è da eliminare. per associazione di idee mi vengono in mente i vari reality-show con i loro ‘vediamo cos’hanno votato gli italiani da casa’, o i servizi sportivi post-mondiali/europei/olimpiadi ecc in cui si acclamano ‘i nostri eroi’. forse vado troppo lontano,ma questo è quello che mi balena in mente ogni volta che sento quest’espressione.
perchè ‘nostri’? io per esempio non direi mai ‘miei’, non li sento proprio come ‘miei’. non più di quanto senta mie altre categorie pubbliche, anzi ancora meno considerato (da ultimo) il loro utilizzo ‘poco pubblico’.
Ciao gubac,
dico “nostri soldati” perché non sono di qualcun’altro!
Anche se non è molto “appealing” ammetterlo in certi consessi, ritengo le nostre forze armate un patrimonio del nostro Stato, esattamente come il nostro paesaggio, i nostri monumenti, i nostri musei e mille altre ricchezze che appartengono a tutti i cittadini e che tutti dovremmo difendere.
Mi sa che siamo il paese più anti-nazionale che c’è.
Con amarezza.
Ciao
@skizzot
Uhm. Quindi a rigor di (tua) logica anche la banda della Uno Bianca è la “tua” polizia?
Anche quelli di Bolzaneto?
E’ “tua” a prescindere da quello che fanno, oppure ci sono degli standard minimi?
Se sono “nostri” si riconosceranno anche loro nei “nostri” valori, avranno la “nostra” bandiera, giusto?
Invece no. A volte ne hanno altre di bandiere. Tipo quella di Salò che si vedeva tra le rovine di Nassiriya.
http://www.camera.it/_dati/leg14/lavori/stenografici/sed460/btris.htm#4-08312
MASCIA, MAZZARELLO, PINOTTI, LABATE, BURLANDO e ACQUARONE. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
la sezione dell’Anpi di Genova Prà ha inviato una lettera al Presidente della Repubblica per segnalare il servizio giornalistico «La bandiera insanguinata», pubblicato sul n. 48 della rivista Chi, (26 novembre 2003);
nel servizio fotografico correlato all’articolo appare, tra le altre, la foto di una stanza della caserma sede del comando dei carabinieri a Nassiriya in cui è possibile osservare «la sovrapposizione sul nostro tricolore di un drappo nero contenente i simboli della famigerata Repubblica Sociale»;
pur rispettando e onorando la memoria dei caduti di Nassiriya, condividiamo la sorpresa e l’indignazione dei membri dell’Anpi che ritengono «l’episodio increscioso» per coloro che si ispirano ai valori della Resistenza -:
se sia a conoscenza del fatto in premessa;
se sia a conoscenza di analoghe situazioni e quali iniziative intenda prendere per evitare il diffondersi di queste pratiche all’interno delle strutture della Difesa.
(4-08312)
Risposta.
– La Difesa mantiene una costante vigilanza affinché il personale militare rispetti i vincoli connessi con lo status giuridico» e si attenga, altresì, al rispetto delle norme dettate dal Regolamento di Disciplina Militare.
Ciò detto, con riferimento all’episodio richiamato dagli interroganti, è opportuno sottolineare che: a) la distruzione della camerata ubicata all’interno della sede del Comando italiano della Multinational Specialized Unit di An Nassiriyah (Iraq) e b) i pochissimi elementi desumbili dall’inquadratura dell’immagine riportata nel servizio fotografico, non hanno consentito al Comando Generale di risalire ai responsabili.
Al riguardo, si rende noto, comunque, che la vicenda è al vaglio dell’Autorità giudiziaria.
Nell’assicurare, altresì, che l’amministrazione militare ha fornito agli inquirenti ogni possibile e fattiva collaborazione per la ricerca della verità, il dicastero interrogato non può che confermare il proprio impegno nel contribuire alla chiarificazione dell’accaduto ed all’individuazione dei responsabili.
Il Ministro della difesa: Antonio Martino.
Caro Franti, non ci provare, non roviniamo una discussione intelligente.
Ti rispondo brevemente per non andare fuori tema: NO, tutto quello che tu citi non è da considerare parte del nostro patrimonio.
Sono solo dei pazzi criminali; è un problema per tutti noi e per le istituzioni, in cui tra l’altro non dovrebbero stare.
Come puoi ben immaginare, è sempre un problema di qualità personali degli individui: qualità di chi agisce, di chi non agisce, e di chi sceglie le persone.
Ci mancherebbe anche che mi si possa addebitare una qualche giustificazione per quanto successo a Genova (che ho ben vissuto) o in giro per il mondo.
Ma continuo a non capire il senso di queste provocazioni su fatti e accadimenti ben individuati, di cui si sa molto, e che confermano solo un atteggiamento prevenuto.
Ciao
@skizzot, penso sia un po’ semplicistico liquidare come “pazzi criminali” chi ha commesso i fatti elencati da Franti.
collegando questa sottodiscussione con quella riguardante i crimini fondativi (sempre Franti ;), mi sembra che la “pazzia” c’entri poco ed anzi, certi atteggiamenti, certe azioni, nascono come conseguenza diretta di un ambiente che, quando non li premia direttamente, li asseconda e li favorisce.
quindi, se qualcuno puo’ sembrare prevenuto, forse lo e’ alla luce di fatti ben precisi (quelli elencati qui sopra) e dalla comprensione di questi ambienti (discussione sui “crimini fondativi”).
Scusami ma “problema di qualità personali degli individui” è un errore, storicamente e sociologicamente. Non è questione di singole mele marce o di pochi soggetti devianti, ma delle istituzioni stesse. Ci sono fior di ricerche sulla costruzione di personalità fasciste nelle forze armate, in Italia e non solo. Giusto per citare una lettura breve ma con ottimi rimandi in bibliografia.
Tra l’altro, e per inciso, ci sono stati problemi per la pubblicazione di questa ricerca proprio a causa della difesa “a prescindere” delle forze armate che permea anche l’accademia.
@sweepsy: grazie del link, ricerca e argomento molto interessanti.
Ok, parliamoci con lingua dritta e rispetto.
Espuela, mio ultimo giro su questo ramo.
Il pregiudizio di tipo politico che ti sembra di vedere in questo “consesso” non c’è, sei tu che sei contromano :)
I due marò non sono dei mostri, è proprio questo il dramma.
Neanche quelli della Diaz o di Bolzaneto secondo me lo sono.
Quello che colpisce e ferisce è appunto la loro normalità, la “banalità” del male che fanno.
E’ un problema che è sempre esistito, almeno da quando si è posta la necessità di custodire i custodi, ma non siamo MAI stati messi così male.
La poliziotta che al G8 si compiace al 113 della morte di Carlo Giuliani con uno sghignazzante “Uno a zero” non è un mostro, purtroppo è oggi la regola. Le forze armate, di polizia, chi esercita oggi il monopolio della forza sono intrisi fino al midollo di questa cultura che è sostanzialmente fascista e se non se ne accorgono è pure peggio, perchè vuol dire che è entrata nello sfondo e non la sradichi più.
Ci saranno le eccezioni ci mancherebbe, ci sono sempre state. Ma oggi non si vedono.
Il leggendario capitano Margherito che denunciava i manganelli cavi della celere, riempiti di pallini di piombo per spaccare le ossa. Ambrosini e Trifirò, che fondarono il SIULP ver 1.0 e denunciarono le torture al terzo distretto di Mestre, prima alla stampa e quando i giudici incarcerarono i giornalisti che rifiutavano di svelare le fonti, si presentarono *pirsonalmente di pirsona* e fecero scoppiare il bubbone pubblicamente. Avercene.
Erano sparute minoranze, anzi individui, ma la loro semplice esistenza teneva aperti degli spazi, metteva dei limiti all’impunità.
Quella storia è morta e sepolta.
C’è anche la data precisa della morte: il 14 giugno 1994 http://www.repubblica.it/online/fatti/forleo/forleo/forleo.html
Quelli che tiravano bombe a mano dall’elicottero erano la “sinistra” della polizia, pensa di cosa può essere capace la “destra”.
Non siamo MAI stati messi così male. I custodi non sono MAI stati tanto fuori controllo.
Non ci sono mele marce, è andato tutto il frutteto.
E’ stato un piacere incrociare gli argomenti con te, ciao.
mi interessa davvero capire il tuo punto di vista,e sottolineo il *davvero*: perchè non riesco a comprendere come si possa non discernere tra caso e caso,tra militari e militari,non riesco a comprendere come ci si possa schierare a priori nella difesa di qualcuno senza valutarne il comportamento a posteriori.
consideri veramente ‘patrimonio del nostro stato’ i militari di cui nel commento di franti?consideri ‘ricchezze che tutti dovremmo difendere’ i militari cha a nassiriya (agosto 2004) inquadrano un ‘nemico’ agonizzante commentando ‘guarda come si muove ancora il bastardo’ e ‘annichiliscilo’?e dovremmo difendere i ‘nostri militari’ anche davanti a immagini come questa? http://nitronerd.blogspot.it/2008/01/valerio-ercole-restoring-hope-in.html
l’amarezza è tutta mia.e non è dovuta a un’opinione che non condivido,ma al vedere uomini trattati come pezzi di carne senza valore,e nel sapere che c’è qualcuno che a prescindere (‘tutti dovremmo difendere’) si schiererà con gli aguzzini.
Gubac, ho già risposto a Franti che mi ha posto la tua stessa domanda.
La tua è facile retorica, non difendo nessuno a prescindere anzi, chi sbaglia deve pagare, e se si sbaglia indossando una divisa questa è un’aggravante e non un’attenuante.
Chiedo solo che i fatti vengano accertati nell’interezza e nella cogenza, ma senza fare processi alla storia perché non può essere che l’ultimo paghi per tutti, in un paese civile.
poi mi taccio,ma secondo me non è coerente (ri)conoscere certe atrocità compiute da militari italiani (se ne potrebbero comunque elencare infinite) e allo stesso tempo dire che dovremmo difendere i due militari a prescindere e considerarli patrimonio nazionale.io a prescindere non voglio difendere proprio nessuno.
correggo:non volevo commentare il difendere a prescindere che avevi già chiarito,volevo solo riferirmi al considerare patrimonio nazionale ecc.
PS Gubac, volevo aggiungere, per mio bisogno personale, che rileggendo il link che hai appena postato ho provano un profondo senso di vergogna.
E se te ne sei vergognato anche tu, forse è perché in qualche modo senti che la bandiera e i simboli (non quelli fascisti, intendo) sotto cui queste atrocità sono state compiute, sono anche tuoi.
@skizzot
Premetto che ti rispetto per come stai conducendo questo “solo contro tutti” ormai lunghissimo, e che non voglio essere uno in più. Semplicemente mi intrufolo nella discussione e rispondo al tuo commento delle 4.21 pm.
“in qualche modo senti che la bandiera e i simboli (omissis) sotto cui queste atrocità sono state compiute, sono anche tuoi”.
Hai ragione, per forza: lo sono per tutti, nello stesso modo in cui un carcerato abita la “sua” cella e ogni schiavo ha il “suo” padrone.
Hai mai avuto la possibilità concreta di scegliere diversamente? Puoi decidere di diventare neozelandese? Ma soprattutto: puoi decidere di non “appartenere” (quello è il verbo) ad alcuno stato?
In questa luce, qual è la differenza di principio tra uno stato e l’altro?
Le differenze saranno materiali, in varia misura e tipologia, e tutte indipendenti dall’affezione dei cittadini al proprio stato. Il resto è mitologia. Non c’è alcuna vera differenza tra la bandiera di uno stato e quella di una squadra di calcio.
Ma questo è molto difficile da spiegare in una società nella quale, se non segui il calcio, ben che vada sei sospettato di eresia, terrorismo e omosessualità.
Ieri, nel corso della conversazione, è stato citato U.Eco e la sua definizione di *Ur-fascismo*. Non trovo più il punto esatto della sotto-discussione dove inserire il link all’articolo di U.E. e quindi lo cito qui. Magari non tutti conoscono questo testo e può essere utile rileggerlo per gli argomenti che sono stati affrontati, ma anche in vista dell’imminente post su Furio Jesi.
Nel pdf (dalla pag. 5 in avanti) è riportata la lista delle caratteristiche tipiche di ciò che Eco definisce *fascismo eterno*.
Qui sotto il link.
http://digilander.libero.it/education/dati_box/STO_3/fascismo_eco2.pdf
@skizzot
Ma senti un attimo, c’è una cosa che vorrei capire del tuo atteggiamento, ed è questa: perché ti sembra così strano che possa esistere qualcuno che non prova un senso di attaccamento e di approvazione verso lo Stato italiano?
A me piace vivere in Italia, vorrei che stare qui fosse meglio e meno gente avesse voglia di scappare, ma ho avuto occasione di emigrare e dopo un anno sono tornato: mi mancavano i miei amici, le cose di qui, capire perfettamente la lingua ecc. Sono italiano e non spero affatto che questa penisola venga sommersa da uno tsunami, vorrei al contrario che diventasse un paradiso terrestre.
Non vedo perché questi sentimenti dovrebbero in qualche modo spingermi a provare simpatia per la bandiera, per i politici, per l’apparato burocratico, per l’esercito, per la polizia o per l’inno *dello Stato italiano*.
Ebbene sì, in Italia (come in tutti i Paesi del mondo) vivono persone che odiano lo Stato che controlla il territorio italiano. Vivo il mio rapporto con quello Stato come se si trattasse di uno Stato straniero che occupa il mio Paese. Voglio distruggere quello Stato e metterne al suo posto un altro.
Sarà sicuramente una posizione minoritaria (ma lo è veramente, sotto sotto?), ma è una posizione semplice, chiara e che esiste da più di centocinquant’anni nella testa di una frazione degli italiani. Se a te piace questo Stato, o se pensi che si possa aggiustarlo un pochino, capisco che tu faccia il tifo per lui; ma francamente sei più difficile da capire tu di me, perché la Repubblica Italiana fa veramente schifo… se la conosci la eviti.
@VecioBaeordo: non ho abbastanza strumenti per rispondere alla tua domanda. Ad intuito, penso che uno stato lo facciano le comunanze culturali. Però si, credo tu possa decidere di cambiare nazionalità, se trovi un paese in cui integrarti e farti accettare.
PS sono io a dare l’impressione del solo contro tutti, o siete voi a esprimere un certo cameratismo di sinistra? :-)
Un’altra divagazione sul mio commento delle 4:21. La bandiera è solo un simbolo e una semplificazione. In sostanza possiamo dire che conta molto e allo stesso tempo non conta nulla; però il senso di vergogna di fronte a certe cose lo provo prima di tutto come essere umano, e poi a seguire come appartenente ad un determinato gruppo di persone. Ecco, così non do l’impressione dell’affezionato ai simboli.
@maurovanetti: devo rispondere a qusta tua:
>>perché ti sembra così strano che possa esistere qualcuno che non prova un senso di attaccamento e di approvazione verso lo Stato italiano?
Mai detto ne pensato. E poi, un conto è l’attaccamento (e mi sembra che ce lo abbiamo, se non altro perché stiamo qui a impegare il nostro tempo facendo filosofia sull’argomento), e un altro l’approvazione, che non ho nemmeno io.
Ma scusa, sei intervenuto (anche un po’ a gamba tesa, almeno all’inizio) su un blog dove discutono molte persone di sinistra, e anche piuttosto *nettamente* di sinistra. Il fatto che diversi ti rispondano *da sinistra* mi pare normale, non è questione di cameratismo a priori. E se c’è l’effetto del tutti-contro-uno, è solo perché sei venuto da solo :-)
@skizzot
Pochi stati come l’Italia sono stati assemblati a prescindere dalle comunanze culturali, e in parecchi casi contro di esse.
L’Italia non è che il luogo geometrico di tutti i punti inclusi tra le alpi e il mar mediterraneo (lo diceva secoli fa anche uno che non mi è mai piaciuto). Gran parte delle popolazioni montane di confine prima dell’unità avevano i propri naturali riferimenti culturali a cavallo delle attuali frontiere. La stessa lingua italiana solo recentemente (molto meno di un secolo) è diventata patrimonio più o meno condiviso da tutta la popolazione. La dinastia alla quale viene attribuita la realizzazione dell’unità nazionale proviene dalla Francia e prende nome da una regione transalpina. E possiamo continuare.
Nella mia ignoranza penso che un tipo di comunanza culturale plausibile possa essere la lingua, perché la specie homo sapiens è nata con il linguaggio. Questo ai miei occhi non basta a giustificare l’esistenza di uno stato nemmeno nei casi ad es. della Francia e della Germania, che in tempi anche non troppo recenti sono linguisticamente “abbastanza” compatte. Lo Stato è sempre e comunque una cosa che cala dall’alto a prescindere dagli interessi di chi ne farà parte, e impone i suoi modi, compresa la comunanza culturale, che non necessariamente ha a che fare con la cultura.
p.s. personalmente non mi sento un camerata, ti ho già espresso il mio rispetto, siamo entrambi ospiti di questo blog, stiamo discutendo civilmente e mi fa piacere confrontarmi con te e con tutti gli altri :-)
In finale, vi ringrazio tutti per l’utile discussione che mi ha dato molto. Spero però di aver lasciato qualcosa in qualcuno anch’io.
(se qualcuno è in attesa di qualche risposta me lo faccia notare, non vorrei aver perso il filo)
Ciaociao
[…] illuminanti. Merito principale, l’attività di Wu Ming e di Matteo Miavaldi, che attraverso la puntigliosa controinchiesta giornalistica e lo splendido dibattito che ne è seguito, hanno portato alla luce lati della […]
Se qualcuno non l’avesse già vista, qui c’è un’interessante chiacchierata tra il figlio del nostro amico Di Stefano (con tutta la cricca di casapound) e un affabile Beppe Grillo.
Scusate se è un po’ OT, ma penso meriti la nostra attenzione…
http://video.repubblica.it/dossier/elezioni-politiche-2013/grillo-ai-fascisti-di-casapound-se-volete-benvenuti-nel-m5s/115884/114288
ciao
http://www.youtube.com/watch?v=SzUoAfcyPsk
….forse quando un figlio sarà figlio per tutti i padri…
….quando un padre sarà padre per tutti i figli….
FORSE QUANDO TUTTO SARA’ TUTTO…..
….________forse non serviranno più etichette firmate…..
[…] illuminanti. Merito principale, l’attività di Wu Ming e di Matteo Miavaldi, che attraverso la puntigliosa controinchiesta giornalistica e lo splendido dibattito che ne è seguito, hanno portato alla luce lati della […]
[…] che vive e lavora in India, in due articoli pubblicati su «China Files» e poi ripresi dalla Wu Ming Foundation, ha messo in risalto il cortocircuito politico-informativo che ha deformato in Italia il flusso di […]
Insomma, la Corte Suprema indiana ha deciso che il Kerala non ha giurisdizione, che i marò sono liberi di muoversi in tutto il paese e che si stabilirà se si dovrà istituire un tribunale ad hoc. Allora, questo complotto anti italiano, cialtroni fascisti?
Meno male che la Enrica Lexie non era in acque internazionali… la vostra faziositá è stata sbugiardata anche dai giudici del tribunale supremo indiano. Complimenti!
Non siate precipitevole, messere! :-)
Di quel che si è deciso in India sul processo ai due marò, i media italiani stanno fornendo resoconti frettolosi, parziali, raffazzonati o distorti, come sempre dall’inizio di questa vicenda. Chi continua ad abbeverarsi soltanto a quella fonte, non capirà nulla.
Oggi in India non si è deciso NIENTE sulla giurisdizione del caso, e al tempo stesso MOLTO sul caso stesso.
Dico quello che ho capito leggendo i siti indiani:
– oggi si è deciso chi avrà la competenza per stabilire chi ha la giurisdizione. Detta così suona intricata, ma in realtà è semplice: non spetta a un tribunale dello stato del Kerala decidere se Latorre e Girone vadano giudicati in Italia o in India. Questa decisione la prenderà una corte federale ad hoc del foro di New Delhi.
– la controversia sulla giurisdizione resta dunque aperta, e poggia sulle basi che sono state sviscerate nella discussione qui sopra: la convenzione internazionale sulla soppressione delle azioni illegali in mare contiene ambiguità che potrebbero essere risolte a favore dell’Italia (se prevarrà una certa intepretazione di alcuni articoli) o a favore dell’India (se prevarrà una certa intepretazione di altri articoli). Esiste un precedente, una certa “sentenza Lotus”, che porterebbe a pensare che ha ragione l’India.
– l’imprecisione (l’unica) contenuta nel post di Miavaldi – già segnalata, riconosciuta e dibattuta – derivava dall’aver affrontato insieme, senza districarle a sufficienza, due questioni diverse: quella della “zona contigua” – che comunque c’entrava, perché l’India vorrebbe vedervi riconosciuta la propria giurisdizione interpretando in modo più esteso la lettera della normativa internazionale, ma non è l’aspetto centrale – e quella della convenzione SUA.
A giorni su Giap, pubblicheremo un nuovo post di Miavaldi dove aggiornerà, spiegherà meglio e approfondirà.
– al tempo stesso, oggi, si è stabilito che Latorre e Girone non possono godere dell’immunità concessa ai militari, perché sulla nave operavano alle dipendenze di un capitano civile, per difendere interessi di una compagnia privata. Dunque facevano le veci di “contractors”. QUESTA, e non quella sulla territorialità delle acque, è la vera faccenda importante.
Ad ogni modo, non sono l’unico ad avere il sospetto che India e Italia si stiano mettendo d’accordo in camera caritatis. Si tratta solo di capire quale soluzione di compromesso possa fare uscire “bene” dalla vicenda entrambi i paesi, compiacendo – o almeno non irritando troppo – gli opposti nazionalismi.
Come già ho fatto, ricordo che lo stato italiano ha già risarcito le famiglie delle vittime. A dispetto di tutte le teorie del complotto su navi greche scambiate per italiane, falsificazioni scoperte guardando screenshot sbavati di riprese televisive di fotocopie e altre fanfaronate, lo stato italiano sa benissimo che gli spari sono partiti dall’Enrica Lexie e c’è stato un omicidio colposo.
Se c’è qualcuno che da questa vicenda uscirà sbugiardato, sono altri. Guardate che non è nemmeno cominciato l’inizio, su questa storia. Le intelligenze sono al lavoro e ne verranno fuori parecchie, di incongruenze.
La Corte Suprema indiana sbugiarda non Miavaldi, ma quelli come te che, imbeccati dalla propaganda italiota, non hanno capito niente:
The incident of firing from the Italian vessel on the Indian shipping vessel having occurred within the Contiguous Zone, the Union of India is entitled to prosecute the two Italian marines under the criminal justice system prevalent in the country. However, the same is subject to the provisions of Article 100 of UNCLOS 1982.
[…] the incident took place at a distance of about 20.5 nautical miles from the coastline of the State of Kerala, a unit within the Indian Union. The incident, therefore, occurred not within the territorial waters of the coastline of the State of Kerala, but within the Contiguous Zone, over which the State Police of the State of Kerala ordinarily has no jurisdiction The submission made on behalf of the Union of India and the State of Kerala to the effect that with the extension of Section 188A of the Indian Penal Code to the Exclusive Economic Zone, the provisions of the said Code, as also the Code of Criminal Procedure, stood extended to the Contiguous Zone also, thereby vesting the Kerala Police with the jurisdiction to investigate into the incident under the provisions thereof, is not tenable. The State of Kerala had no jurisdiction over the Contiguous Zone and even if the provisions of the Indian Penal Code and the Code of Criminal Procedure Code were extended to the Contiguous Zone, it did not vest the State of Kerala with the powers to investigate and, thereafter, to try the offence.”
http://www.thehindu.com/news/national/centre-told-to-set-up-special-court-to-try-italian-marines/article4319164.ece
Ma guarda! Dopo settimane di merda gettata in faccia e ulteriori 24h di disinformazione, cucù, salta fuori che sulla “zona contigua” l’India la pensa proprio come diceva Miavaldi. C’è comunque bisogno di precisare e approfondire, ma abbiamo addirittura esagerato con le prese d’atto autocritiche.
http://www.thehindu.com/news/national/centre-told-to-set-up-special-court-to-try-italian-marines/article4319164.ece
http://www.indianexpress.com/news/india-has-jurisdiction-to-try-italian-marines-says-sc/1061553/0
Una delle cose che vengono fuori da questa storia dei #duemarò, è la mancanza di lucidità e capacità di distinguere i fatti e la loro complessità da parte di molta dell’opinione pubblica. Lo si vede pure da certi commenti qua su Giap, che pure immagino ben “filtrati” dal livello della discussione e da Saint Just. Certo è direttamente conseguente dal livello dell’ “informazione” nostrana, che in parecchi casi (soprattutto quelli televisivi) non si può più definire tale.
E non parlo solo di “partigianeria”: potrebbe essere altrettanto nazionalista e comunque riportare le cose in maniera un minimo più articolata e attinente alla realtà. Ad esempio si potrebbe parlare della “zona contigua” e del fatto che ci sono precedenti a favore dei due marò. Non solo si fa “il tifo”, si potrebbe pure tifare meglio. E’ come se il livello dell’attinenza ai fatti non fosse tanto “organizzato” in una retorica, quanto il più delle volte scartato a priori per partito preso, e i fatti diventano semplici elementi narrativi da usare (o da scartare) per comporre una storia che non è solo di parte e spesso proprio falsa, ma è pure estremamente semplificata.
“Per questo il processo è stato spostato dal livello statale a quello federale.”
Ho capito male oppure in realtà è successo il contrario, ovvero che è stato spostato dal livello federale (stato del Kerala) a quello nazionale (India intera)?
Mentre l’ulteriore chiarimento riguarda il fatto che, seppure le leggi internazionali sono poco chiare sulla giurisdizione di queste “acque contigue”, l’India ha sempre *dal principio* rivendicato la sua giurisdizione?
L’India è una repubblica parlamentare federale, una confederazione di stato, a loro volta divisi in distretti, quindi dal livello statale (Kerala) si è passati a quello federale (India), tanto che per i due è previsto il trasferimento nella capitale.
Giustamente, grazie per il chiarimento avevo fatto un po’ di confusione con i termini :-)
Confederazione di stati… La tastiera è fusa :-)!
[…] dead. For my Italian friends, there is a non-translated, non-abridged version of the story by Giap here (author: Matteo […]
[…] Il cast include “fascisti del terzo millennio”, bizzarre figure di “tecnici” mobilitati da politici e giornalisti amici per confezionare “analisi” a misura dei media, folgorati reporter post-missini perennemente “embedded” in settori delle forze armate etc. Quest’interzona tra politica estera e giornalismo di guerra è così: qualunque sasso alzi, ecco una biscia che striscia via […]
N.B. Per evitare dispersioni, è meglio proseguire il dibattito sui #duemarò qui.
[…] Dopo la ridicola farsa imbastita dalla stampa nazionalista e guerrafondaia apriamo la porta a contenuti giornalistici che non trovano spazio sulle testate nazionali ma che si possono trovare navigando sul web […]
Ho vissuto anch’io in India, a Mumbai, per circa 5 anni 1985/1990, come “governativo” italiano. Nel 1988 mio figlio di 10 anni fu aggredito da un coinquilino Sikh un quarantenne noto per la sua brutalità e arroganza. Il bambino fu atterrato sotto i miei occhi e io venni assalito mentre lo soccorrevo. Riuscii a difendermi fino a mandare l’aggressore in ospedale. Due giorni dopo fui messo in stato di arresto (rilasciato dietro cauzione) perché sia la “vittima” che i numerosi testimoni (indiani) avevano testimoniato che fui ad aggredire senza ragione. Tutti coalizzati contro lo straniero. Mi ritirarono il passaporto (governativo). Poi si delineò l’identità (politica) del collegio di avvocati della “vittima”: studio legale Jethmalani, cioè dell’avvocato che a Delhi era a capo dell’opposizione politica al Premier Ghandi. Nemico giurato degli Italiani, accusati di praticare la corruzione (magari a ragione) in India per ottenere appalti d’ogni genere. Per farla breve, anch’io come i due marò sono andato diverse volte in permesso in Italia e poi sono tornato in India con la speranza di essere giudicato e ritenuto innocente e vittima, avendo infine ottenuto che gran parte dei testimoni raccontassero la verità (n. 12 affidavit per il tribunale). Passavano i mesi e gli anni, finché nel 1990 li ho mandati al diavolo e dopo l’ultimo permesso sono rimasto in Italia. Prima avevano fretta di giudicarmi, poi quando hanno visto che non ci sarebbero riusciti a danno di un loro concittadino risultante colpevole, non si trovava giudice che mandasse avanti la causa.
Il sentimento anti-italiano è oggi ancora lo stesso, tale da sconsigliare a chiunque di farsi giudicare in India. Peraltro, la tentazione degli Indiani ad alimentare oltremisura il proprio orgoglio nazionale di fronte ai secoli di colonialismo europeo, potrebbe spingerli a prendersi la soddisfazione di incarcerare due (osannati) soldati europei (e italiani!).
La morale? Prescindendo dalla colpevolezza o sostanziale innocenza dei due marò, l’unica cosa da fare è ricusare (nei fatti) il tribunale indiano a ragione di un rischio concreto di atteggiamento pregiudizievole nei loro confronti. Perciò consiglio vivamente ai due marò di non tornare, tanto più che le famiglie delle vittime sono state, con loro piena soddisfazione, ricompensate dei danni. Come ho detto, ho vissuto abbastanza in India, per non sapere come stanno là le cose, compreso il fatto reale che la povertà e la lotta per la sopravvivenza è tale che la maggior parte della popolazione vorrebbe stare al posto dei (adesso benestanti) parenti dei pescatori uccisi.
C’è, dunque, cari amici di China Fliles, poco da essere pro-indiani anche se, in questa storia dei marò, non c’è nulla per essere pro-italiani.
I due nostri connazionali siano giudicati in Italia e se pienamente colpevoli, vadano giustamente in galera.
A proposito… nel mio caso il comportamento del consolato italiano, mio datore di lavoro e tutore, fu estremamente vergognoso, tale che la parte avversa mi derise dicendo <> E qui mi fermo.
@Spartacus
Mi dispiace per la bruttissima disavventura che hai avuto e sicuramente anche in India, come in Italia, gli stranieri sono discriminati facilmente in tribunale. Però una frase come questa è inaccettabile e razzista: “la maggior parte della popolazione vorrebbe stare al posto dei (adesso benestanti) parenti dei pescatori uccisi”.
Senza aver mai vissuto in India, ho conosciuto molti abitanti del Subcontinente e non ho mai avuto l’impressione che fossero disposti a farsi ammazzare qualche parente in cambio di soldi. Se ti presenti con questo biglietto da visita in questa discussione, credo che troverai un meritato muro e forse pure un meritato vaffanculo.
A proposito… nel mio caso il comportamento del Consolato italiano, sia datore di lavoro che tutore, fu estremamente vergognoso, tale che la parte avversa mi derise dicendo <> E qui mi fermo.
Author: maurovanetti
Comment:
@Spartacus
Mi dispiace per la bruttissima disavventura che hai avuto e sicuramente anche in India, come in Italia, gli stranieri sono discriminati facilmente in tribunale. Però una frase come questa è inaccettabile e razzista: “la maggior parte della popolazione vorrebbe stare al posto dei (adesso benestanti) parenti dei pescatori uccisi”.
Senza aver mai vissuto in India, ho conosciuto molti abitanti del Subcontinente e non ho mai avuto l’impressione che fossero disposti a farsi ammazzare qualche parente in cambio di soldi. Se ti presenti con questo biglietto da visita in questa discussione, credo che troverai un meritato muro e forse pure un meritato vaffanculo.
Risposta da Spartacus:
Non c’è rispetto formale nella tua risposta nè di contenuto, giacchè, se non hai vissuto l’India, non puoi giudicare chi ne parla con cognizione. Vacci in India, vivila di sopra e di sotto e poi vieni a parlarmi di un popolo di alta spiritualità. A tutti i livelli sociali sono i peggiori materialisti del mondo. Perchè là la vita è davvero dura. La cvita umana troppo spesso vale meno di un cent. Il razzismo non c’entra. Ho in loco grandissimi amici indiani a cui sono tuttora affezionato e in contatto. Ribadisco quello che ho detto e a fanculo ci vadano gli ignoranti (coloro che ignorano le cose) che contestano i “sapienti”. Modera i termini, amico mio, e sii più umile. E finiamola qui.
@Spartacus
No guarda, forse non mi sono spiegato: non esiste che tu venga qua a insultare un miliardo di persone su base etnica. E naturalmente, come tutti i razzisti, devi rispettare il cliché dicendo che hai “grandissimi amici indiani”, ci mancherebbe. Chiedi ai tuoi grandissimi amici cosa pensano della tua teoria che gli indiani si venderebbero la salma di loro figlio per qualche soldo. Tu la salma del tuo a quanto la venderesti?
Però, qui vorrei capire perchè i pistolotti ugualmente razzisti ed autoflagellanti sugli Italiani passano ripetutamente sotto silenzio?
No perchè sembra il luogo comune del militonto…
Ho lasciato l’India nel 1990. Ogni anno in India per una questione di soldi (dote mancata o insufficiente delle mogli) ben 100mila donne perdono la vita, indotte a suicidarsi o bruciate vive. Sono passati circa 22 anni e nel frattempo hanno perso la vita DUEMILIONI E DUECENTOMILA povere donne spesso nel fiore degli anni. Per una manciata di denaro. La fonte documentata di questi dati statistici “razzisti” è assolutamente indiana.
Naturalmente le leggi indiane sono assai severe nei confronti di chi appicca il fuoco alla moglie, ma questo resta ancora un fenomeno ben radicato nella cultura indiana.
Anche i paria (casta di individui relegati quasi a ruolo di bestia) hanno adesso i loro diritti costituzionali, eppure il tessuto culturale li relega tuttoggi a una condizione estremamente umiliante. Diaciamo che è razzismo interno.
Abbiamo parlato solo di donne uccise per denaro, ma solo Dio sa quanti uomini perdono la vita per un pugno di rupie.
Per esperienza personale (per aver visto e non utilizzato) potrei raccontarvi – è un grosso fenomeno chiaramente di appartenenza alle classi povere – di figlie bambine vendute alla depravazione dei tanti più abbienti, e di tante povere donne costrette a prostituirsi per una razione di cibo.
Vi scandalizzate ancora se, ragionando con una mentalità che certo non appartiene a me ma al mondo che vi ho descritto, ritengo che i parenti dei pescatori uccisi si sono ben riconciliati col mondo una volta incassati quei tantissimi (per loro) quattrini? Fatelo pure, ma il razzismo non c’entra.
Tornando ai nostri marò, bisogna saper leggere quello che è accaduto tra il tribunale federale di Delhi e quello del Kerala. Ve lo spiego. Quello del Kerala ha accettato l’indennizzo ai parenti delle vittime, e lo ha fatto assecondando il desiderio dei parenti stessi di tradurre in denaro la morte del congiunto. Tale baratto, che a noi non-indiani appare di un cinismo inaccettabile, è invece espressione di una mentalità sociale colà condizionata dalla lotta per la sopravvivenza. Bisogna vivere sul posto per compenetrare e comprendere questo aspetto durissimo del popolo indiano. Certo riguarda soprattutto la popolazione povera, che però è la stragrande maggioranza. E fa dunque testo. Il tribunale di Delhi ha bacchettato quello del Kerala per aver concesso le condizioni a che i parenti delle vittime ritirassero la loro denuncia, alleggerendo così il carico penale dei due marò. Perchè? Perchè per Delhi è importante l’aspetto politico e non quello penale e pecuniario. I marò italiani devono essere puniti soprattutto (se non soltanto) per essere tali. L’opposizione politica a Sonya Gandhi – nel 1989 strinsi la mano del povero marito Rajhiv – chiede la testa dei due italiani e, magari, sarà accontentata dal Governo tanto per mostrare una presa di distanza dagli italiani “corruttori” da sempre (e non soltanto ora per la faccenda degli elicotteri).
Dunque, il nodo è politico. Per quanto, perciò, anche espresso nella mio precedente intervento, raccomando ai nostri due cow-boys dal grilletto forse troppo facile, di non rientrare in India.
Ciò detto mi tolgo dalle balle, come mi è stato raccomandato tacciandomi caparbiemente di razzismo.
Anche questa è stata un’esperienza interessante. Grazie e addio per sempre.
Scusate, ma avevo dimentaticato di citare che nel 2011 un rilevatore statistico governativo cita la scomparsa di ben 3milioni di bambine all’anno!. Vale a dire che larghi strati della popolazione praticano per cultura e tradizione l’infanticidio delle femmine, ritenute un peso economico insostenibile. Stiamo sempre lì: la vita umana per una manciata di denari (in questi casi, di risparmio).
Migliaia di bambini ogni anno vengono venduti dalle famiglie povere per un pugno di rupie, e vengono avviati a lavoro da schiavo o alla prostituzione.
Cose orribili? Assai peggiori dei dei pescatori?
Se queste cose le dicono gli indiani, va tutto bene; se lo dice uno di noi allora è un razzista. Bho?!
ROMA – I due marò italiani, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, restano in Italia. Lo ha detto il ministro degli Esteri Giulio Terzi. I due militari, accusati di aver ucciso due pescatori indiani e attualmente sotto processo in India, erano rientrati in patria per poter votare alle elezioni politiche.
“L’Italia ha informato il Governo indiano che, stante la formale instaurazione di una controversia internazionale tra i due Stati, i fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non faranno rientro in India alla scadenza del permesso loro concesso”, si legge in una nota della Farnesina.
La Farnesina sottolinea che “l’Italia ha sempre ritenuto che la condotta delle autorità indiane violasse gli obblighi di diritto internazionale gravanti sull’India”, in particolare “il principio dell’immunità dalla giurisdizione degli organi dello Stato straniero”.
A ‘sti punti Tomaso ed Elisabetta, i due ragazzi italiani in carcere a Varanasi, possono tranquillamente mettersi il cuore in pace…
[…] RIASSUNTO – Una farsa, ben ricostruita da Matteo Miavaldi e da altri volontari sulle pagine di Wu Ming, e riassunta anche su queste pagine alla quale hanno partecipato ogni genere di estroso […]
Buongiorno,
ho letto con interesse l’articolo che esamina l’intera vicenda da un punto di vista politico.
Mi rimangono delle perplessità circa alcuni aspetti legali che mi sembra siano stati solamente sfiorati tangenzialmente nell’articolo.
Anzitutto lasciatemi dire che sono profano della materia e non ho alcuna fonte di informazione che non il web, con tutti i problemi di attendibilità che questo comporta (d’altro canto sto scrivendo sul web..). Le mie perplessità derivano dalla lettura del seguente blog, che si occupa del caso dal punto di vista delle sue applicazioni di diritto internazionale, che poi è il focus del blog in questione.
http://thenewinternationallaw.wordpress.com/?s=india+v.+italy
Dalla lettura del blog e di questo articolo emerge una discrepanza di valutazione.
qui si cita come fonte del diritto ultima la SUA convention, mentre li si parla di UNCLOS: United Nations Convention on the Law of the Sea.
primariamente comunque, mi pare che si sia un pò accantonato in questo articolo un aspetto fondamentale della questione, e cioè che Latorre e Girone non sono contractors (o mercenari che dir si voglia) al soldo della compagnia armatrice, ma membri in divisa delle forze armate italiane, per cui valgono principi legali ben diversi da quelli che si prendono in esame in caso di azioni intraprese da un privato cittadino… principi che tirano in ballo questioni come le regole d’ingaggio, per esempio.
insomma, la questione della giurisdizione è del tutto aperta e inscindibilmente legata alle circostanze specifiche dell’evento. se, come sembra ritenere l’autore del blog (e mi par di capire che non sia il solo) la fonte di diritto da considerare sia l’UNCLOS, allora bisogna valutare la giurisdizione in merito alla vicenda in base a quello, più che non alla effettiva localizzazione dei due vascelli. dopotutto, anche se si trovasse in acque territoriali indiane, a seconda dell’interpretazione degli eventi, ciò che fa fede potrebbe benissimo essere il fatto che la nave da cui sono originati gli eventi batta bandiera italiana, fatto in sè che assegna la giurisdizione esclusiva all’italia. si fa però notare come l’atto origini su “suolo italico” ma di fatto termini su quello indiano sia per dove si trovano i vascelli che per il fatto che l’altra nave batte appunto bandiera indiana.
in questa circostanza, l’unico caso esplicitamente citato è quello di una collisione “o qualsiasi altro incidente di simile natura”…affermazione vaga che quindi riporta nuovamente alle circostanze specifiche, ma che è perlopiù disegnata nello spirito della legge, ad altri incidenti analoghi, ad esempio lo scontro tra un natante e una struttura fissa come una chiatta petrolifera.
se la sparatoria sia o meno assimilabile a un “incidente di navigazione” diventa quindi centrale alla questione.
e qui la cosa si fa molto “inception”.
secondo tutta la giurisprudenza rilevante e quel poco di concordato che esiste e che possa essere attinente alla vicenda, determina che se le azioni dei due marò fossero in risposta a un presunto atto di pirateria, allora non solo l’azione è commisurata in ordine pratico (nonostante l’equivoco fatale..e indipendentemente dal fatto che le due vittime fossero o meno pirati) alla minaccia o percepita minaccia, ma si affermerebbe la giurisdizione italiana in materia (nel senso che decade il diritto indiano a celebrare il processo) e il tutto diventa un’azione militare legittima e quindi i due marò sarebbero liberi da ogni accusa nel pieno rispetto della normativa UNCLOS.
se invece il processo determinasse che non vi era modo per i due militari di equivocare e che non fosse in corso nessun atto di pirateria, allora si tratterebbe di un comportamento criminale non assimilabile a un incidente di navigazione…la normativa UNCLOS non sarebbe applicabile e varrebbe invece la preminenza del diritto Indiano.
la parte “inception” in tutto questo, ovviamente, è che per determinare tutto questo bisogna celebrare il processo.. ma che se sia o meno giusto celebrare il processo in teoria dovrebbe avvenire prima di celebrarlo, ed è un passo essenziale per stabilire a quale corte competa.
insomma, c’è un vuoto legislativo che lascia spazio per entrambi i governi per rivendicare la giurisdizione, e la questione è tutt’altro che risolta banalmente dicendo che erano nella zona contigua alle acque territoriali indiane.
secondo l’autore del blog, l’ultimo pronunciamento della alta corte indiana in merito non è conclusivo e appunto genera questa situazione da Inception per cui a decidere che la corte indiana abbia giurisdizione sarà, eventualmente , il processo stesso.
forse l’idea (perlopiù) italiana di ricorrere a un arbitrato internazionale non è del tutto bacata.
alla fine della fiera, sospetto che si applicherà una variante di quello che mio padre chiama l’articolo quinto (“chi ha il grano ha vinto”) e, vista l’ultima decisione delle autorità, il processo sarà fatto in italia o in sede internazionale.
per inciso, dal punto di vista politico e morale, nel tenere in italia i due marò ritengo che facciamo una figura barbina.
Ciao, grazie del commento. Ovviamente, noi sull’ultima frase siamo d’accordo :-) Il problema è che questo sentire non sembra maggioritario nel Paese.
In attesa che altri rispondano, ti segnalo che dell’ultima sentenza della Corte suprema indiana ci siamo occupati nel dettaglio qui:
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=11332
eccerto che se me ne fossi accorto prima, magari sproloquiavo un pò di meno :D
sarà interessante capire quanti nel mondo del giornalismo italiano siano in malafede e quanta sia invece incompetenza sulla materia specifica e sulla rilevanza del linguaggio giuridico (e lo dico da profano).
per completezza, includo comunque il link al post specifico nel blog che ho già menzionato, che è quello che più di altri mi ha fatto venire in mente il parallelo con il film Inception
http://thenewinternationallaw.wordpress.com/2012/04/19/il-contrasto-alla-pirateria-marittima-le-sfide-attuali-a-lecture-on-piracy-by-prof-ronzitti/
insomma, il Professore sembra sapere il fatto suo..
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Salve a tutti, mi sono appena iscritto e volevo ringraziare perchè ho finalmente trovato un articolo che chiarisse sulla vicenda dei due militari italiani.
In italia non è più possibile avere un informazione corretta dai media, nel particolare della vicenda dei due militari hanno completamente coperto la vera tragedia quella dei due pescatori e delle loro famiglie.
Ascoltando gli interventi degli onorevoli vorrei citarvi quello di Alessandro di Battista (M5S!), e non è l’unico dell’M5S che affronta l’argomento, il quale chiede chiarezza sull’accaduto facendo notora la penosa figura che l’italia stà facendo sulla vicenda.(http://www.youtube.com/watch?v=Q4qaPH1FDWI)
grazie
Angelo Ravera
[…] capire fin dove può portare basta guardare alla vicenda dei Marò, ricostruita magistralmente da Matteo Miavaldi su […]
[…] che si era già guadagnata una diffusione ed una grande attenzione grazie ad un’articolo su Giap, da cui era partita la […]