Ecco l’esperimento che in tanti ci avete chiesto di fare. «Sì, il giorno che licenziano il papa!», abbiamo risposto una volta a un lettore, tanto per buttarla in ridere, ma intanto riflettevamo. Sempre più lettori ci hanno consigliato di esser meno rigidi sulla questione ebook. Morale della favola: per la prima volta da quando esiste Wu Ming, facciamo un passo indietro rispetto a uno dei nostri comandamenti, ovvero: «Non chiederai soldi per il download di un libro digitale». Per questo qui ve li chiediamo: costa quattro euro (vabbe’, meno un centesimo).
Cioè 3,99 euri? E perché mai?
Giap. L’archivio e la strada è in Creative Commons e senza DRM. Con ogni probabilità, già un minuto dopo il primo acquisto lo troverete gratis in molti luoghi della rete.
Inoltre, il libro è una raccolta di post apparsi su Giap nei primi tre anni di esistenza del blog. Gli unici testi davvero inediti sono l’introduzione e le premesse tematiche di Tommaso De Lorenzis, l’antologizzatore par excellence.
Va detto che per riproporli in ebook abbiamo fatto un grosso lavoro di editing. Tommaso e Hubertphava – il nostro mago dei formati digitali – ci hanno lavorato per qualche mese, abbiamo selezionato i post e li abbiamo divisi per sezioni tematiche, c’è un saggio introduttivo di Tommaso più una breve premessa per ogni sezione… Insomma, non è stato un semplice «travaso» di testi. Grossomodo, però, sono post apparsi su Giap che molti di voi hanno già letto (o ascoltato, perché abbiamo anche trascritto l’audio di alcune conferenze: Patria e morte, Tripoli suol del dolore e L’occhio del purgatorio). Se aggiungiamo che quasi tutti erano già salvabili in formato ePub e continueranno a esserlo, avete tutto il diritto di porre la domanda: perché dovremmo pagare quattro euri per scaricare ‘sto libro? Che ci abbiamo scritto in fronte, «giocondo»? Non è che ci avete presi per deficienti?
«Ve state a suicida’!»
L’estate scorsa, col cuore in mano e l’altra mano sulle palle, abbiamo spiegato che, per tanti motivi, si è esaurito il circolo virtuoso tra i download gratuiti dei nostri libri e l’acquisto delle versioni cartacee. Una volta più si scaricava e più vendevamo, ma quell’epoca è finita, quell’opzione è sconfitta. Se oggi mettiamo i libri scaricabili gratis è solo perché lo riteniamo eticamente e politicamente giusto, è militanza per la libera circolazione della cultura, che magari fa bene alla reputazione, ma sui nostri redditi ha ricadute scarse. L’editoria tradizionale, poi, definirla «malconcia» non rende l’idea. Le donazioni via PayPal o via Flattr sono dimostrazioni di stima che ci commuovono, ma pochi lettori scelgono di farle. Mettiamoci anche il carico da undici, cioè che siamo in quattro e con le royalties è «stecca para per tutti». Insomma, non butta mica tanto bene.
Nel corso della discussione appena linkata, svariati giapster ci dissero, in soldoni:
«Su, non siate iper-ideologici… Fatelo, un esperimento con un ebook a pagamento… Ne fate tanti di esperimenti, che vi costa fare anche questo? Se la cifra è ragionevole, io lo compro… Che ci guadagnate a essere così talebani? Guardate che se continuate così vi suicidate…»
e altre cose amene che fa sempre piacere sentirsi dire.
«Dirotta su Simplicissimus!»
Coincidenza volle che tra i vari progetti in cantiere ci fosse anche quello di un’antologia di Giap. Ne avevamo già fatta una, sempre con Tommaso, esattamente dieci anni fa, quando Giap era ancora una newsletter spedita via email. L’idea era di chiudere un trittico: dopo Giap. Tre anni di narrazioni e movimenti (2003) e i racconti di Anatra all’arancia meccanica (2011), Tommaso non si era ancora cimentato coi testi e le discussioni di questo blog. Quell’idea, però, non sapevamo a quale editore proporla, e soprattutto dove infilarla nel calendario del 2013, visto che ad aprile uscirà Point Lenana della coppia WM1/Santachiara e in autunno L’armata dei sonnambuli del collettivo WM al completo. Due progetti vasti e ambiziosi (e chissà se riusciremo ancora ad avviarne di quella portata) che avrebbero soffocato l’eventuale antologia. A meno che…
A meno che l’antologia non uscisse in un altro posto e in un altro modo. Poteva essere l’occasione giusta per fare il famoso esperimento.
Abbiamo contattato Simplicissimus Book Farm e fatto la proposta. L’hanno accettata con entusiasmo, e ci si è messi tutti al lavoro. Sì, lavoro. Già scriverli, ‘sti post, aveva richiesto studi e ore rubate al sonno. Già portare avanti le discussioni aveva richiesto culo quadro e mazzo tanto. Aggiungiamoci lo sbattimento specifico, cioè quello occorso per fare l’ebook, e capirete che non vi stiamo proponendo qualcosa di «tirato via», ma un testo sensato, fortemente voluto e curato.
La «quarta di copertina»
Giap è il blog del collettivo di scrittori Wu Ming, autori di Q, 54 e svariati altri libri, collettivi e «solisti». Ma non è solo un blog: è il crocevia di una libera comunità di scrittori, lettori e cantastorie. Giap dà voce a un ragionamento corale intorno all’arte del narrare, alla cultura di massa, ai comportamenti sociali, alle pratiche dell’agire politico, agli effetti dell’innovazione tecnologica.
Giap. L’archivio e la strada raccoglie i più significativi post pubblicati da Wu Ming tra il 2010 e il 2012. Divisi in sezioni tematiche, i materiali del libro raccontano il passaggio tra due decadi, compongono le cronache dell’età del grande crack e del crash della democrazia, dell’austerity e della guerra al debito, mentre sull’altra sponda del Mediterraneo il vento sta girando. Tra saggi informali, appunti diseguali e note sparse, echi del passato e visioni del futuro, cinema e tv, letteratura e storia, si snoda una riflessione sullo statuto delle narrazioni, il lavoro culturale nell’epoca del touch screen, il «Che fare?» nella stagione dei social network, la natura della tecnica, l’ipnotico potere degli orologi e gli imprevisti granelli di sabbia che possono ancora incepparne i congegni. Di pagina in pagina, nelle pieghe di un’indagine che disseziona questo tempo, s’incontrano familisti amorali, sadici italiani e minatori cileni sepolti vivi, il dottor Balanzone e il bombarolo Guy Fawkes, Pier Paolo Pasolini e Ugo Tognazzi, Michel Foucault e Vladimir Majakovskij, Henry Jenkins e Roberto Benigni, carbonari, colonialisti, fotografi visionari, pittori allucinati, rivoltosi e rivoluzionari.
Non un semplice greatest hits, ma la verifica collettiva d’un sapere pratico e trasformativo all’incrocio tra pixel, «C’era una volta» e selciato della via.
Tommaso De Lorenzis ha curato le antologie di Wu Ming Giap! Tre anni di narrazioni e movimenti (Einaudi 2003) e Anatra all’arancia meccanica (Einaudi 2011). Con Mauro Favale è autore del libro L’aspra stagione (Einaudi 2012). E’ uno dei fondatori e animatori dell’agenzia letteraria Vicolo Cannery.
Wu Ming è l’opificio di scrittori che ha manufatto i romanzi Q, 54, Manituana, Altai e svariati altri.
Giap. L’archivio e la strada
E così, da oggi parte quest’esperimento, facciamo il tanto reclamato «passo indietro», ma – attenzione! – senza nulla togliere alla nostra policy di libera circolazione. Come si diceva, è in Creative Commons e non c’è DRM. E allora torniamo al punto di partenza, con il lettore che domanda: perché dovrei pagarlo quattro euri?
«E io che cosa posso rispondergli? Posso dirgli, guarda, Tacconi, lassù mi hanno ridotto che a fatica mi difendo, lassù se caschi per terra nessuno ti raccatta, e la forza che ho mi basta appena per non farmi mangiare dalle formiche, e se riesco a campare, credi pure che la vita è agra, lassù.» (Luciano Bianciardi, «La vita agra»).
Giap. L’archivio e la strada. In tutte le librerie on line
(o per essere meno vaghi: in tutte le librerie on line collegate a Stealth).
Su quest’esperimento ci ha intervistati l’affintonpòst.
Commento veloce (scusate, vado un po’ di corsa): la possibilità di ritornare, a distanza di tempo, su vecchi numeri di Giap! (i post più incisivi, in qualche modo cruciali) corredati di commento è una bella idea, è anche questo un modo per storicizzare. L’accoppiata Wu + De Lorenzis in passato ha dato buoni frutti: non ho dubbi sulla qualità di questo “nuovo” progetto.
OT sulle dimissioni del Papa: lassù, nelle alte sfere, il compagno S.Tassinari sta facendo dell’entrismo pesante…
Ho preso – a scatola chiusa – il vostro ebook (su Ultima Books, non l’unica, ma una delle interessanti realtà di librerie digitali on line, disponibilissimi e gentilissimi) per lanciarvi un segnale rispetto al tentativo di suicidio di cui avete dibattuto nell’occcasione citata nel vostro post.
Quella del digitale gratuito non è stata un’opzione sconfitta: è stata, anzi, vincente nel momento in cui aveva senso. Vi ha permesso di costruire e cementare una comunità (oltre a tutto il lavoro di discussione che fate qui su Giap) viva e presente.
Era una fase. Citerei Flaiano (“Viviamo una fase di transizione, come sempre”) se non sottoscrivessi parola per parola un appello per la tassazione delle citazioni apparso qualche giorno fa, mi pare, sull’inserto la Lettura del Corriere della Sera.
Insistere adesso sul versante della gratuità dell’accesso a prodotti ottenuti col sudore della vostra e delle altrui fronti mi pare abbastanza autolesionista e – soprattutto – svilente nei confronti della scelta digitale. Come se il valore del “libro” sia nella cellulosa delle pagine piuttosto che nel lavoro che c’è dietro.
Nessuno dice – credo – che di punto in bianco il “catalogo digitale” Wu Ming debba essere messo a pagamento. E nessuno anche impedisce – sempre credo – che dopo un certo periodo (esaurita l’esistenza fisiologica “sul mercato” di un titolo) esso possa essere scaricato gratuitamente. Ma, vivaddio, che all’inizio – appena uscito – io abbia la possibilità di decidere tra un acquisto cartaceo oppure digitale, mi pare sacrosanto.
Poi – direbbe un amico mio – voi fate un po’ come vi pare…
Anche io penso che questo possa essere un esperimento importante e come zaphod anche io darò il mio segnale.
Mi sembra anche che il suo ragionamento sia condivisibile.
Quando voi avete iniziato a diffondere le versioni digitali dei vostri libri gratuitamente il panorama era profondamente diverso, la lettura in digitale ancora acerba e il mercato pressoché inesistente.
Oggi, al netto delle previsioni entusiastiche, lo scenario è differente. Spero che la vostra scelta paghi
d’accordissimo con i commenti precedenti e con la vostra scelta.
La libera circolazione della cultura, principio sacrosanto siamo d’accordo, per me riguarda l’accesso al sapere da parte di chi non se lo può permettere, sapere magari sviluppato anche da parecchio tempo.
Qui invece si parla di ricompensare il vostro lavoro. E il lavoro, a meno che non sia volontariato, deve essere pagato!
Zaphod, ciao,
secondo me nel tuo commento sono insite due cose che non capisco bene, soprattutto se fatte da uno che Giap lo conosce e lo apprezza.
Primo: “a scatola chiusa”.
Non lo stai facendo a scatola chiusa, perché il lavoro del libro non solo lo conosci, ma probabilmente hai contribuito a costruirlo. Ma se anche non lo conoscessi, sarebbe peggio. Perché comprare una cosa a scatola chiusa equivale a cedere alla pubblicità, credere in qualcosa e comprarlo solo per via della propaganda.
Secondo: questo tuo applaudire alla decisione sembra interpretabile (ma forse mi sbaglio) come un: “adesso che hanno imposto un prezzo lo pago, ma prima me li scaricavo e non donavo un cazzo”. Perché se avessero
messo il digitale contemporaneamente al cartaceo (tra l’altro dal post mi pare di capire che si tratti solo di digitale stavolta) senza costi per il primo, qualcuno ti impediva (a te o ad altri) di pagare volontariamente?
Insomma, a una prima lettura del tuo commento, è sembrato che tu cada in una logica molto dalla parte del capitale; ognuno dei lettori di questo blog ha sempre
potuto scegliere, grazie ai grandi autori/ricercatori del sito, e mi pare che questa scelta sia non solo una scelta,
ma uno stile che riflette un modo di vivere/lavorare.
Quel tuo “svilente nei confronti del digitale” dice, più o meno a chiare lettere, che ciò che è gratis non vale la pena, e se si paga invece ci si assicura qualcosa in più.
Poi, che i Wu Ming abbiano diritto a fare ciò che reputano più opportuno dati i tempi è sacrosanto.
I loro libri meritano secondo me non hanno prezzo.
A scanso di equivoci, vorrei dire che il mio vuole
essere semplicemente essere una riflessione su come
certe dinamiche ‘moderne’, subdole, imperanti, entrano
nel nostro dna, linguistico e mentale, in automatico.
Vinicio
P.S. Spero che quella sulle citazioni fosse una semplice battuta.
La battuta sulle citazioni si riferisce a questo articolo: http://lettura.corriere.it/l’imu-no-tassiamo-le-citazioni-facili/
Il “a scatola chiusa” non implica assolutamente alcun giudizio di valore sul prodotto in questione, ma – ed è esplicitato dal proseguimento della frase – il mio acquisto voleva essere proprio un applauso per la scelta effettuata dal gruppo.
Ho seguito all’epoca il dibattito sulla questione ebook gratis e – più in generale – sulla retribuzione del lavoro culturale. Non condividevo la direzione “ideologica” che aveva preso la discussione a fronte di quella che era una richiesta di aiuto di un gruppo che ha sempre socializzato le scelte. Vedo – dalla discussione che si sta animando ora – che la faccenda è tutt’altro che risolta.
Un mio professore all’università provocatoriamente diceva che “nella società capitalistica avanzata la cosa più pulita è il denaro.” Una provocazione senza dubbio però se tu metti lì un libro con un prezzo, io posso decidere o meno di comprarlo, pago e finisce lì. Non c’è più nessun obbligo tra noi due. Posso criticare, pubblicizzare, anche mettere sul rogo.
Se invece tu li metti lì, gratis, per amore della conoscenza e dopo arriva un altro – in questo caso neanche l’autore, ma proprio un altro, Vinicio – e mi rinfaccia che li ho letti a sbafo, qualcosa di non risolto evidentemente ci sta.
Perché da sempre Wu Ming ha detto che gli ebook servivano da volano per la vendita dei cartacei, dove qualcosa si guadagnava e una cosa compensava l’altra. Io per esempio magari me ne scaricavo uno che non avrei mi acquistato e quello che mi interessava me lo prendevo in cartaceo. E contribuivo alla causa. E non mi sentivo in colpa.
Poi, sono sicuro che nel mio Dna ci sono automatismi indotti dal capitale, mi stupirei del contrario.
Mi dispiace se non mi sono espresso bene, il senso delle mie parole non voleva andare verso la colpevolizzazione di chi legge gratis scaricando dalla rete. Ci mancherebbe. Come tantissimi altri l’ho fatto anch’io e trovo che poterlo fare sia un atto di coerenza e responsabilità da parte del gruppo.
Certo è che il diritto di farsi pagare per il lavoro rimane; proprio ieri parlavo del fatto che molte compagnie (Ryanair, ad esempio) riescono a mantenere i prezzi bassi grazie a politiche di sfruttamento verso i dipendenti che lavorano duro e non hanno molte garanzie.
Quindi del tutto giustificata la nuova direzione su questa antologia, soprattutto quando dettata da esigenze di impossibilità di andare avanti altrimenti. (e so che spesso nel lavoro intellettuale è difficile quantificare -come si dice esplicitamente in alcuni commenti sotto- ma è pur necessario farlo quando si tratta del nostro lavoro; molti amici che come me fanno ripetizioni quando il cliente chiede quanto è all’ora sembra quasi si vergognino di dirlo, e dicono: “Vabbè poi vediamo, non preoccuparti”).
Quando ho risposto al tuo commento, ma avrei potuto postare il mio in risposta ad altri molto simili a tuo, mi è solo sembrato strano che, essendoci da sempre la possibilità di donare, tanti abbiano gioito del fatto che il libro stavolta fosse a pagamento, perché così si poteva ricompensare finalmente gli autori/ricercatori.
Nada mais.
Non volevo accusare nessuno per le caratteristiche del dna, volevo semplicemente riflettere quali sono queste caratt. e come si manifestano. Siamo tutti nella stessa barca, si sa.
Até
Vinicio
Ah, un appunto, su iBooks mi pare ancora non sia disponibile…
Ogni libreria decide se prenderlo o no, e se decide di prenderlo ha poi i suoi tempi. Chi lo sa, iBooks potrebbe anche rifiutarlo. A quanto ho sentito, non sarebbe nemmeno la prima volta che non prendono un titolo. Dentro l’ebook ci sono giudizi duri sulla Apple. Ma aspettiamo, mica è detto.
Ah… Ok. Grazie della delucidazione. Il mio era un semplice avviso da strategia di marketing: se vedo la pubblicità di un prodotto e poi non lo trovo sullo scaffale del supermercato, poi magari non vado a ricercarlo in seguito. Però è pure vero che così si dà un po’ di vantaggio alle librerie indipendenti che magari riescono a essere più sul pezzo. È una scelta da bilanciare. Però su Amazon c’è, stronzi quello che vi pare, ma organizzazione precisa…
Da domattina sarà anche su iBooks, era solo un problema di formato della copertina.
Inoltre, sempre da domattina, oltre a ePub e Mobi ci sarà anche il pdf.
OT: ma nel mare magnum degli studi sulla rivoluzione francese (visto che il vostro prossimo libro collettivo dovrebbe avere quella come sfondo, da come ho capito) voi avete dei consigli di lettura, per caso?
Grazie
Appena acquistato su amazon. Ottima scelta, dovreste usare la stessa formula anche per le versioni digitali dei vostri libri. Io, per esempio, la stessa cifra per un grande libro come New Thing l’avrei pagata volentieri.
Meno di un minuto e l’e-book era sul mio desktop, facile e veloce. Fra l’altro la vostra tempistica è, nel mio caso, perfetta, dato che è solo una settimana che sono un possessore di e-reader…
Per me è comodo avere a portata di occhi una raccolta dei post di Giap, nella forma digitale anche più del primo Giap! in formato cartaceo.
Sul fatto che sia a pagamento io direi che a) un antologia di post di Giap è cosa diversa da un romanzo o un racconto firmato Wu Ming; b) che con tutti gli attestati di stima che il vostro lavoro riceve in calce ad ogni post pubblicato su Giap, questo piccolo “acquisto” può essere uno dei modi per sostenere materialmente il progetto Wu Ming e il vostro sbattimento; 3) che continuare a sperimentare è l’unico modo per continuare a stare in strada, oltreché nelle librerie, e campare (che oramai siete grandi e tenete famiglia).
Aggiungeteci pure la profezia sul pope dimissionario… 4 euri spesi bene ;)
Secondo me la cifra stilistica e politica più importante introdotta da Wu Ming non è tanto il copy left inteso come gratuità, quanto la licenza creative commons possibilità di manipolare e riutilizzare gratuitamente le opere. Da questo negli anni sono nati progetti culturali interessanti, dal disco degli Yo Yo Mundi, ai vari reading fino allo spettacolo teatrale su Q (di cui i Wu Ming manco sapevano niente) e ai diversi progetti paralleli di scrittura e riscrittura.
Una domanda: l’ebook quali DRM ha? se li ha?
Ah, lungi da me il mettere in dubbio il ruolo avuto da Wu Ming nell’importante dibattito sul copyleft e le licenze d’uso. Comunque la si pensi, il livello di consapevolezza degli addetti al settore, e anche dei non addetti, è cresciuto anche e soprattutto grazie a loro. È pure vero che nella mia esperienza ho incontrato un sacco di alfieri della libera circolazione delle idee che non vedevano l’ora di farle circolare finché nessuno se li filava e poi – al primo sentore di interesse da parte di un qualsivoglia pubblico – si precipitavano a blindarle e recintarle “con ogni mezzo necessario”. Altri, invece – e di caratura di gran lunga superiore a quelli – che mostravano i denti al minimo sentir parlare di copyleft, li ho ritrovati a condividere idee, scritti e progetti a ogni pié sospinto. Ma questa è un’annotazione marginale.
Nel libro in oggetto di discussione i Drm non ci sono.
Così alla fine è toccato a voi traghettare il matusa fuori dal cartaceo: ho già consumato cinque pontefici, ma sono solo al primo epub!
Vedo che parecchi dei post li avevo saltati in uscita, per mancanza di tempo. Se adesso riuscirò a catturare un ereader (tanto ormai la porta è aperta) probabilmente ricomincerò a scendere dal bus dopo alcune fermate di troppo, come quando leggevo molto PK Dick.
Mi associo a @zaphod e @aleks7 e rilancio: se questa cosa funziona, forse avrebbe senso dare la possibilità di acquistare (oltre che di scaricare gratuitamente) anche le vostre opere precedenti. Può darsi che nessuno sia così “suicida” da comprarlo quando può averlo gratis, ma io non sarei sicuro. E comunque anche il suicidio, come ogni altra cosa, è meglio in buona compagnia ;-)
Aggiungo, sempre in tema Money Talks, che mi piacerebbe trovare nella prossima Glasnost anche qualcosa tipo “i costi di Giap”. Questo mi è venuto in mente quando di recente avete dovuto scalare la dotazione hardware del blog (e lo so, lo hardware è solo uno dei capitoli). Per come lo usate voi il blog non è un vostro sfizio ma una risorsa comune. Penso che non sarebbe male dare la possibilità di contribuire ognuno secondo i propri bisogni e le proprie possibilità. Perché altrimenti una frase tipo “Due progetti vasti e ambiziosi (e chissà se riusciremo ancora ad avviarne di quella portata)” diventa sottilmente angosciante. C’è gente qui fuori che, di quel tipo di ambizione lì, ne ha bisogno.
Il @VecioBaeordo ha ragione, sia sul primo punto che sul secondo che segnala. È vero che se uno scarica un vostro libro può poi procedere con un “controdono” seguendo le istruzioni riportate sotto al faccione di Thomas Müntzer, ma non sottovaluterei la pigrizia, quindi, al limite, quando un libro viene scaricato si potrebbe in automatico proporre di sganciare euro.
Sull’operazione Glasnost sarebbe effettivamente importante evidenziare anche i costi di Giap, non solo quelli strettamente monetari, ma anche in termini di tempo e sbattimento (che poi gira e rigira rientrano in un conto “economico”). Penso ad esempio a quale mole di lavoro avete dovuto affrontare per gestire e moderare una discussione come quella sui due marò, con i suoi 500 commenti pubblicati e chissà quanti non-sbloccati da voi, cosa che ha reso – al solito – la discussione costruttiva, ma che impegno…
Non è facile quantificare i “costi” di Giap. Dipende dai post, da quanto uno ci mette a scriverli, da quanti commenti bisogna sbloccare, dal tipo di discussione che si crea (ce ne sono alcune che hanno bisogno di essere supervisionate in modo stretto, altre molto meno), etc. Forse standoci attenti si potrebbe provare a fare una media di ore giornaliere. Boh.
Sì, il dato è ballerino, va a periodi. Ad esempio, per la discussione sui due marò io – perché quella volta toccava a me, ero stato io a commissionare il post a Miavaldi e a seguirne la gestazione – mi sono sbattuto come non mai, non saprei nemmeno calcolare le ore impiegate per leggere tutto, moderare, rispondere a qualcuno, precisare, e – aggiungiamo – co-gestire l’emergenza tecnica con @adellam. Mi è toccato seguire la cosa da mattina a sera per vari giorni. Certo, sono rari momenti così, anche perchè se fossero frequenti non potremmo permetterceli. Ma in generale lo sbattimento non è poco.
Sulle spese di server, c’è stato un aumento di risorse, quando sapremo la cifra la comunicheremo.
Vero, indubbiamente, già lo pensavo mentre scrivevo il commento sopra. Forse non ha senso insistere nemmeno troppo con questa quantificazione, chi segue Giap già lo sa e per forza di cose si rende conto dell’investimento di risorse… di conseguenza, chi vuole dare un contributo lo farà.
p.s. rispondevo a @Wu Ming 4 scrivendo in contemporanea a @Wu Ming 1… e a proposito di sbattimenti pensavo proprio al post sui “due marò” e ai suoi 500 commenti (più chissà quanti non-sbloccati applicando la policy anti-troll di Saint-Just).
Suvvia quante pippe, quant’è 4 euro? … e 4 euro siano!
….
…Quattro euro???? Troppo.
Ok comprato e messo in sharing… :-)))
Ma il print on demand non esiste per questa piattaforma?
Vabbè me lo stampo a sgamo.
4 euro sono pochi persino per un barbone come me, quindi sarò più che contento di contribuire :) Tra l’altro, è molto più significativo che non ci sia DRM e sia in Creative Commons. Complimenti e speriamo che lo sperimento vada a buon fine.
Acquistato molto volentieri. Un ‘unica domanda : cosa vuol dire che non sapete se riuscirete più ad avviare progetti di questa portata ( riferito alle opere previste per il 2013 )??
@ VecioBaeordo e @tiburzi (e agli eventuali altri rimasti inquietati dalla frase sui progetti futuri che compare nel post)
Semplicemente è finita l’epoca in cui gli editori potevano dare anticipi che consentivano a un collettivo di quattro scrittori di avere la linea di sopravvivenza garantita durante la stesura pluriennale di un romanzo. Ne consegue che probabilmente bisognerà ipotizzare operazioni editoriali realizzabili in minor tempo. Non significa di minore portata, ma semplicemente lavori più compatti e concentrati. Ad ogni modo di questo avremo modo di discutere in seguito. L’importante è che teniate presente che noi altri siamo un collettivo di liberi professionisti… cioè di precari, senza nessuna rendita di posizione, dato che le abbiamo sempre rifiutate. Quindi pedaliamo nel gruppo, e dovremo modificare l’agire nel nostro settore (le narrazioni) per sopravvivere alla crisi, come chiunque altro.
Da un punto di vista culturale la tua è una affermazione molto seria e preoccupante, che mette in discussione anche il ruolo stesso dell’editore. Cioè, verrebbe da chiedersi, se gli editori non possono/vogliono sostenere progetti a lungo termine (che richiedono una stesura pluriennale) a cosa servono?
Siamo condannati dal mercato a un mondo di istant book? o di romanzi di calciatori, barzellettieri etc che stanno il libreria per 2-3 mesi?
E se è così, mi verrebbe da pensare ad una editoria autonoma che ripensi i meccanismi di produzione distribuzione (e retribuzione) dei prodotti editoriali?
E’ grave, ma è la realtà. Oggi l’anticipo medio dato da un grande editore va da un quarto a un quinto (!) di quello di due anni fa.
Noi non siamo matematici né economisti, ma il ragionamento è semplice: se con gli anticipi di ieri avevamo garantita, come diceva WM4, almeno la “linea di sopravvivenza” (che, attenzione, non vuol dire che ci campavamo: c’erano un po’ di royalties dei titoli già usciti, e altri lavori, tipo traduzioni, prefazioni, qualche gettone di presenza per eventi pubblici etc.), con gli anticipi di oggi siamo già cadaveri.
Il progetto Point Lenana è stato avviato nel febbraio 2009, ora sto correggendo le bozze e siamo nel febbraio 2013. Quattro anni. Non è tutto tempo trascorso su quel libro, ma è l’arco di tempo necessario a lavorare bene a un progetto così. L’armata dei sonnambuli, almeno come embrione iniziale, è addirittura nato poco dopo Manituana, che è uscito nel 2007. Non è che abbiamo iniziato a scriverlo allora, ma un progetto così per maturare ha bisogno di questa gittata.
Senza anticipi che ci diano una minima tranquillità, molto probabilmente non saremo più in grado di lavorare così.
[Ieri, per dirne una, RCS ha annunciato tagli draconiani, con un sacco di esuberi. Il downsizing della grande editoria è cominciato, e farà molte vittime.]
Forse è meglio chiarire, per chi ci legge e non lo sa, che un anticipo sui diritti d’autore non è un “ingaggio” ma, appunto, un “anticipo”, che poi va restituito, cioè *scalato* dalle royalties. Non stiamo descrivendo “bei tempi”: i soldi che vedevamo prima… non li vedevamo dopo. Andando avanti così, non li vedremo nemmeno prima.
Rispondo prima a Roberto Danzo: lo scrittore, se mi si permette, è come la nonna che cucina il brasato al barolo: due giorni di preparazione, venti minuti di sbafo. A questo non si può porre rimedio, e comunque il brasato della nonna non ha mai fatto sentire una merda né me né lei :-)
@WM4 (e WM*)
Dunque: uno dei motivi per cui vi seguo è che siete eretici. Perciò butto lì una roba che non sta né in cielo né in terra.
Il prefinanziamento. In forme diverse l’ho visto funzionare per il caffè del Chiapas, per i diritti e il codice sorgente di un software grafico (Blender) acquistato dal produttore e pubblicato sotto GPL, per un libro di @jimmyjazz l’anno scorso.
Ovvio che non è detto che funzioni sempre a priori, occorre valutare bene. In particolare tempi, costi, ampiezza della “base finanziante”, entità e modalità di partecipazione della medesima.
Non è nemmeno detto che non ponga vincoli al lavoro creativo che in questo senso, forse, diventerebbe più affine all’artigianato che all’arte come intesa negli ultimi secoli, e non posso decidere io se e quanto tali eventuali vincoli siano accettabili.
Però pensate che sia una strada praticabile?
(certo sarà stretta come tutte le altre, ma può darsi che almeno sia il caso di capire se esista almeno sulla mappa).
Un’altra roba che mi viene in mente, nella necessità di garantire un flusso più o meno continuo di entrate, e in ovvia combinazione con la distrubuzione elettronica, è (abbattetemi adesso…) il ritorno al feuilleton.
Che sarebbe, se vogliamo, la versione letteraria delle serie a puntate.
Che si potrebbe acquistare al dettaglio ad ogni puntata, oppure come abbonamento, oppure come prefinanziamento.
Che per sua natura (fascicoli) potrebbe avere una distribuzione anche cartacea, ma non (solo) in libreria: in edicola. Ho un amico che anni fa riusciva a campare (ora un po’ meno purtroppo) facendo guide di montagna. Dice che una delle sue uscite più redditizie è stata una serie di libretti editi da un piccolo editore specializzato e commercialmente vivace, che appunto aveva affiancato alla distribuzione tradizionale in libreria quella nelle edicole, ed era stata incredibilmente una mossa vincente.
Boh, scusate la sbrodolata e le digressioni gastronomiche. Magari a forza di buttar lì eresie tutti insieme, qualcosa ne esce. Speriamo.
Guarda, penso che bisognerà tentare tutte le soluzioni plausibili, perché il modno editoriale sta cambiando e in buona parte crollando. Non escluderei nemmeno l’ipotesi di dedicarsi ad altro, che non sia strettamente la narrativa, come in parte già stiamo facendo. Proprio ieri leggevo un parallelo tra la vita professionale di Tolkien e quella di Joyce, nella quale si fa notare che il secondo ha pubblicato il suo opus magnum a quarant’anni, perché aveva potuto smettere di insegnare grazie alle sovvenzioni dei fan/sponsor/editori; il primo invece ha dovuto scrivere mentre continuava a tenere lezioni e a correggere compiti a casa: di conseguenza ha pubblicato “Il Signore degli Anelli” a 62 anni suonati. Chi vivrà vedrà.
Alimento l’OT: Ma che fine ha fatto l’idea di “capitale minimo” di cui accennavate nella discussione in calce a “La trasparenza, la rete e la strada” in luglio?
So che avete l’esempio non del tutto esaltante di Fútbologia sotto gli occhi, rimango però dell’idea che dovreste incominciare seriamente a pensare al crowdfunding modello Unbound http://unbound.co.uk/ .
Nel caso vostro l’opzione di proporre ai giapsters il finanziamento dei vostri progetti letterari (con possibilità di prenotare in anticipo una o più copie del lavoro finito), data la vostra reputazione, data la vostra capacità comunicativa e data la solida community che avete creato, spaccherebbe sicuramente i culi! Oltretutto il vostro nome – o senza-nome ;-) – costituirebbe una sponsorizzazione notevole per un meccanismo che in Italia stenta ancora ad ingranare (rispetto alle ormai specializzate piattaforme d’oltre-Manica), proprio come questa pubblicazione in ebook dell’archivio di Giap è – anche – una positiva sponsorizzazione per Simplicissimus e per l’editoria elettronica. Ovviamente le mie sono idee in libertà, immagino che strategie di questo tipo richiedano un iter di sperimentazione e sbattimento/coinvolgimento-di-svariate-competenze non indifferente! Ma la sperimentazione è la strada da percorrere e spero, intanto, che questo esperimento con Simplicissimus vada a buon fine. Credo che non solo i giapster stiano puntando gli occhi su di voi, chiunque abbia a cuore il futuro della letteratura in Italia non può non essere interessato alla vostre soluzioni. Ormai non è più solo una questione di lotta ideologica al copyright!
ops, sono troppo lento, ne state già parlando… :-)
“bisognerà ipotizzare operazioni editoriali realizzabili in minor tempo” mi ricordate Dostoevskij che butta giù “Il giocatore” ;) Per quanto possa valere io i vostri libri (ma diciamo pure tutti i libri) li preferisco in cartaceo e per me è giusto retribuire un lavoro (il vostro, quello dell’editore…). Dipendesse da me vi retribuirei col baratto, ma abbiamo questi soldi per le mani e a qualcosa servono (per vivere ad esempio).
Dato che il prodotto in sé non mi interessava moltissimo, sono corso a farvi una donazione, ma vi chiedo di considerarla nel computo di quelli che sono disposti a spendere per un vostro ebook.
Acquisto pochissimi libri di carta perché ho una splendida biblioteca nella mia cittadina, che mi acquista tutto quello che chiedo, e non ho spazio in casa, ma se c’è da contribuire al vostro progetto chiamate compagni!
Una curiosità “tecnica”: dei 3,99 € che spenderei per acquistare il vostro ebook (piattaforma amazon al momento) quanti ve ne vengono in tasca e quanti rimangono attaccati alle dita dell’editore? la percentuale è la stessa per tutte le piattaforme distributive? Si tratta di dati che potete divulgare o avete dovuto firmare una clausola di riservatezza :-)
Immagino che invece gli € donati dal vostro sito vi restino tutti in tasca, giusto? E vengono tassati allo stesso modo?
(lo so, sono uno sporco matematico, ma se regalo qualcosa voglio massimizzare l’efficacia e ridurre lo sforzo…)
Ultima osservazione, al post di Wu Ming 4:
secondo me non è un male che dobbiate passare a lavori più compatti e concentrati: quando leggo un libro dei vostri mi sento spesso una merda perché non c’è paragone tra il tempo che impiego io a leggerlo ed il tempo che ci avete messo voi per scriverlo. Fuor di battuta, la densità che c’è nei vostri libri è il vostro maggior pregio, ma a volte sono difficili da leggere, c’è troppa carne al fuoco, per chi come me legge quando ha finito con lavoro famiglia & altri annessi a volte si rischia di perdere il filo, e la cosa è frustrante.
Per carità, Q l’ho letto volentieri, e con l’orgoglio di essere arrivato in fondo ad un libro che molti hanno abbandonato, e comunque con la sensazione che la fatica sia stata ripagata ampiamente….. Però sono riuscito ad arrivare in fondo con molto meno fatica a robe + corte come “Previsioni del tempo”, e ai vari racconti di AAM.
Non è che mi auguro che vi diano meno $$ per farvi scrivere libri + veloci, ci mancherebbe, ma se così spinge il mercato me ne farò una ragione ed apprezzerò comunque quello che ne viene fuori.
Su com’è ripartito il prezzo di un ebook di Simplicissimus / Ultima Books venduto sulle varie piattaforme, credo che risponderanno loro, perché sono informazioni che interessano ai lettori e vanno oltre il caso specifico di *questo* ebook.
Visto che l’editore, in questo caso, siamo noi di Simplicissimus, rispondo io, e già che ci sono allargo il tiro.
Parto dal quesito specifico: come vengono ripartiti i 3,99€ che spendete per comprarvi Giap? Come segue:
– 0,69 se li prende lo Stato, a titolo di IVA al 21%
– 0,99 (il 30% di quel che rimane dopo l’IVA) se li prende la libreria presso cui acquisti l’ebook
– restano 2,31€, e di questi facciamo a mezzo (o più elegantemente, il 50%) noi (l’editore) e Wu Ming (l’Autore), quindi 1,155 ciascuno
Detto questo, vi dico anche qual è il trattamento invece normalmente in uso (almeno per ora) presso tutti gli editori che non siano noi:
– invece del 50% di quel che rimane pagata l’IVA e pagata la libreria, all’Autore va il 25% e all’Editore il 75%. Perché noi invece spariamo il 50%? Perché pensiamo che così – premiando di più l’Autore – riusciamo a fare le scarpe agli altri, e con l’ebook ci si sta dentro senza perderci.
Ma detto anche questo, ve ne dico pure un’altra:
– se quegli ultraconservatori di Wu Ming, invece di farsi pubblicare da Simplicissimus, avessero deciso di *autopubblicarsi* su Narcissus.me (la piattaforma di selfpublishing di Simplicissimus), avrebbero sì dovuto spendere un po’ di soldi per realizzare l’ebook (diciamo sui 400 euro), ma poi si sarebbero portati a casa *IL 60% DEL PREZZO DI COPERTINA ESCLUSA L’IVA*, quindi nel caso in questione dell’ebook a 3,99, si sarebbero portati a casa 1,98€ invece di 1,55 (e noi solo 0,33).
Però li capisco, noi, rispetto a loro, siamo TROPPO avanti! ;)
Ci abbiamo anche pensato, ma poi ci siamo detti: in fondo fanno anche gli editori, almeno a ‘sto giro facciamogli fare gli editori :-) Per il futuro non scartiamo nessuna ipotesi.
A presto per il prossimo giro allora… e sia chiaro, per me va benissimo continuare a fare l’editore per voi! :)
Fatto, su Ultimabooks. Solo un piccolo suggerimento: dato che il libro è libero da DRM, sarebbe cosa buona e giusta consigliare ai lettori di questo post che comprino l’ebook nelle piattaforme “indipendenti” (Ultimabooks.it e bookrepublic.it) e non su Amazon e iBooks/iTunes.
Personalmente ho un Kindle da anni e su Amazon non compro se non libri in inglese (su amazon.com) – anche con un poco di “illegalità” (secondo me legittima): sproteggo gli ePub per poterli leggere su Kindle e comprarli su ultima o bookrepublic.
In ogni caso per i libri con drm social o free molto meglio sostenere le piattaforme indipendenti, si perdono 3 minuti in più (per trasferire il file nell’ereader), ma penso ne valga la pena. Saluti
Appena comprato su Amazon.it, pur non apprezzando troppo la loro politica, trovo che avere il libro in pochi secondi sul kindle sia impagabile.
Se poi la percentuale che entra ai Wu Ming è la stessa, non vedo perché convertire.
In questo caso è il supporto che “decide”. Avessi un Sony o un altro apparato pensato per epub avrei fatto scelte diverse.
Ora aspetto che si ricarichi poi passo alla lettura, finalmente.
Ti chiedo dettagli perché al momento uso Amazon per la sua comodità assoluta, qindi ti domando:
1) nell’andare per un’altra piattaforma, come si spostano i miei soldi? (vale a dire, di quei 3.99€ quanti ne andrebbero ad Amazon, e quanti ne andrebbero ad un altro editore, e quanti ne andrebbero agli autori?)
2) mi dai qualche spiega veloce su come fare? mi sono abituato ad usare il fast download di Amazon e ho perso mano con lo scarica – copia – converti – carica…
grazie e ciao
Su UltimaBooks puoi scegliere se comprare in formato epub o mobi (per kindle)
Mi pare che la quota che spetta alla libreria online sia la stessa su tutti gli store, ovvero 0,99€.
Tolta l’IVA, il resto se lo dividono autore ed editore come scriveva Tombolini.
Mi pare che Amazon trattenga una percentuale maggiore, ma non ne sono sicuro. In ogni caso, preferisco, nei limiti del possibile, dare quella percentuale a una piattaforma indipendente e non a Amazon, che sappiamo tutti più o meno cos’è. Come dice zaphod su Ultima si può comprare in mobi: a questo punto (senza dover convertire) mi sembra davvero uno sforzo minimo. Ultimabooks, oltretutto è la piattaforma associata a Simplicissimus (o mi sbaglio, Tombolini?).
Comunque non casca il mondo, ovvio. Il problema, però, è anche che sottostare alla “comodità” della piattaforma, al buy in 1 click ecc. ci automatizza (impigrisce, anche) un poco. Sono, ovvio, tutte strategie per legare il possessore dell’ereader alla piattaforma dedicata. Ripeto: se posso – e per tutti i libri italiani, posso – preferisco non comprare su Amazon.
@roberto.danzo: risposta a 2) se il file che compri è Mobi, è molto facile, colleghi il Kindle al computer e metti il file nella cartella Documents. Se è un epub, un programma gratuito come Calibre ti permette di convertirlo in mobi automaticamente con un click.
saluti
@genosanta
Amazon trattiene il 30% come gli altri, è UltimaBooks che trattiene il 25% e infatti la sua opera è meritoria [tra l’altro ho seguito sempre con interesse il forum di Simplicissimus relativamente agli e-reader, uno dei forum più seri in rete]. Io avrò comprato 3-4 ebook su Amazon, e solo quelli in offerta segnalati dagli editori [principalmente Einaudi, su Twitter] e non condivido il discorso “pigrizia” e il discorso “sappiamo tutti più o meno cos’è”. Sono felice che Giap si possa acquistare anche sullo store online più frequentato perché la circolazione dei saperi mi pare sia il vero punto della discussione. Tutto qua.
Naturalmente, grazie a tutt*, a chi ha comprato e a chi ha donato!
E già che ci sono inserisco un commento sull’esperimento in sé, da lettore (e non da editore).
Attenzione, perché con gli ebook sta accadendo un fenomeno MOLTO interessante: l’opzione che Wu Ming dà per sconfitta (download gratis che poi impattano sulle vendite cartacee), non funziona più per due motivi concomitanti:
1) la filiera della carta stampata è ormai fottuta di suo: insostenibile economicamente, insostenibile ecologicamente (6 libri su 10 stampati tornano indietro invenduti dopo essere andati in giro a produrre co2 a destra e a manca). Quindi gli editori sempre più ribalteranno il paradigma: nuovi titoli di default in versione elettronica (e dunque devi tirar fuori due soldi da quella) e carta solo come opzione successiva (stampa digitale, print on demand ecc…).
2) la circolazione in rete dei contenuti digitali, grazie ai vari Amazon-Apple-Google-Kobo-ecc…, è molto più forte ed efficace per i contenuti a pagamento che per quelli gratuiti. Se io pubblico un mio ebook gratis nel mio sito posso ambire a raggiungere un numero X di persone interessate. Se lo pubblico a pagamento posso invece metterlo a disposizione di tutti gli ebook store, moltiplicando esponenzialmente le possibilità di circolazione. Ergo: se mi sta a cuore la circolazione del contenuto (quella stessa cosa che mi stava a cuore quando rilasciavo “a gratis” dal mio sito) DEVO rilasciare il libro a pagamento, per esserci in tutti i canali possibili. E se il prezzo è equo… rischia di funzionare! :)
Bello questo, me lo devo appuntare!
Nella galassia dei Wuming dicono cose interessanti anche gli editori parlando di soldi :-)
Riguardo al punto 1), ancora sto aspettando che gli editori si “accorgano” delle millemila possibilita’ di poter pubblicare ebook su testi ormai fuori catalogo da eoni.
Come dicevi tu Antonio, mi pare a un EBookCamp di un paio d’anni fa, anche un ebook “on demand” potrebbe essere una risorsa sia per editori che per autori, se solo lo volessero capire.
E questo al di la’ di tutte le pippe della rinegoziazione dei diritti per il digitale, cima impervia ma credo non cosi’ invalicabile.
Frequentando anche… AltriLuoghi piu’ o meno oscuri, vedo che c’e’ una grande ricerca ( quindi richiesta) di titoli del genere, anche non tenendo conto della petizione fatta da appassionati a piu’ riprese a mondadori per una digitalizzazione dei loro Urania.
Invece cosi’, aumentano solo le vendite degli scanner e non degli ebook…
:-((
HP
Per chi legge il francese, ieri è uscito questo articolo piuttosto ottimista su Le Monde, che parla appunto di pubblicazione digitale di libri fuori catalogo e pubblicazione on demand: http://www.lemonde.fr/idees/article/2013/02/11/oui-le-livre-peut-sauver-virgin_1830413_3232.html?utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter#xtor=RSS-3208001
(anche se non ho capito come questo questo potrebbe salvare il Virgin Megastore degli Champs Elysées…)
@WM* essendo Giap un sito seguitissimo (non un sito di passaggio ma un vero e proprio ambiente in cui trovi il forum, il post, i materiali da scaricare, le date delle varie tournèe, e quindi un sito in cui uno ci passa molto tempo) non potrebbe essere una strada percorribile quella di provvedere all’editing e ciò che ne consegue da soli e poi lanciare la vendita dell’ebook direttamente da qui senza passare per editori ed e-shop esterni? non potrebbe funzionare una cosa del genere? e non si potrebbe creare un circolo virtuoso tra il vostro attivismo (in rete e sulla strada, politico, letterario, tolkieniano, ecc.) e la vendita dei vostri libri?
E’ senz’altro un sito seguito, ma vendere un ebook soltanto qui e venderlo in una quarantina di luoghi del web sono due cose molto diverse. Oltre al fatto che non siamo attrezzati per l’ecommerce, per il momento non abbiamo una personalità giuridica etc. Comunque esistono “vie mediane”, come faceva notare Tombolini. Ci si può anche autoprodurre un ebook e venderlo sulle librerie on line. Si vedrà.
Voglio dire che 1) grazie a Giap ho riflettuto su e scoperto cose di cui non avevo la minima idea; 2) Giap rappresenta l’unico baluardo d’antifascismo scientifico e d’approfondimento che attualmente ha ragion d’essere in rete; 3) propongo – come proponeva qualcuno in commenti sopra – di creare una sorta di abbonamento: immagino che scrivere e documentarvi e rivedere tutto rappresenti un LAVORO. Un lavoro che arricchisce tutti coloro i quali ricevono la newsletter di Giap. Un lavoro che vi distoglie da altre cose che immagino amiate. Personalmente sarei ben contento di contribuire mensilmente a sostenere un progetto che è innanzitutto PER ME.
Io e @Sergio abbiamo scritto in contemporanea, ma vedo che non sono l’unico pazzo a suggerire una forma di abbonamento! :-)
Era già stato proposto tempo fa, se ho ben capito non è fattibile perché ci sono difficoltà burocratiche o legali, insomma casini di questo tipo.
Nel frattempo che si studia qualcosa mi son comprata l’ebook (il mio primo ebook tra l’altro!).
A me l’idea del feuilletton lanciata da Vecio non dispiace per niente; soprattutto quello sulla Rivoluzione Francese farebbe molto Victor Hugo con Les Miserables… :-)
@punto_fra
molto Victor Hugo con “Novantatre” :-)
Certo! ma non sapevo se Novantatre era uscito in feuilletton :-)
Preso al volo anche quest’altro treno in partenza!
Proprio ieri, durante un pranzo “sulagno e triste”, riflettevo sul fatto che con voi, quì su Giap, mi sento in famiglia. Coccolato, allo sbocciare di qualche lavoro che bolliva in pentola da un po’; cazziato, se una discussione o un post contribuiscono a fare pulizia della mia porzione di falsa coscienza.
Vi abbraccio forte, wuminghi e giappisti tutti!
Comprato al volo. È il minimo per dirvi grazie del lavoro che fate da anni. Evito di andare sul melenso ma questi anni di wumingfoundation e giap me li porto nel cuore, come penso molti altri. Quindi beccateve ‘sti 4 euro senza rimorsi di sorta intanto :-)
Per quanto riguarda l’assurdità di pagare per un formato digitale che si può scaricare facilmente gratis, sono sicuro che alla lunga sperimentare in questo senso pagherà, come ha pagato mettere i libri in download gratis in passato. Si tratta in fondo di ripagare il lavoro fatto, più che il prodotto fisico, il che sembra automatico ma non lo è da parecchio. È un discorso complesso, ma se mi rifiuto di pagare spesso è perché penso che comunque sto togliendo anche troppo poco a chi ci guadagna già troppo, perché intravedo l’autore da lontano ma in mezzo c’è troppo casino. L’occasione che dà il digitale, paradossalmente, è quella di riportare più vicino lettore e scrittore, e ridare il giusto valore al prodotto magari verrà da sé. In un mondo perfetto, ovvio :-)
Preso poco fa, peraltro lo sto anche leggendo per testare delle app di lettura digitale!
La cosa che mi colpisce di tutti i commenti dei WuMing sinora sono i vari “si vedrà”, “boh”, “certo bisogna cambiare ma…” – prudenza finanziaria o dilemma politico? O entrambi?
E’ chiaro che la professione di cantastorie, inserita nel contesto dell’industria editoriale, dovrà riarticolarsi intorno ai mutamenti di quella stessa industria; certo, senza sputtanarsi. Senza abbandonare i criteri finora adoperati dal collettivo (letteratura alta e popolare, no al feticismo digitale, licenze CC e così via…). La quadratura del cerchio non è facile.
D’altro canto, Tombolini è abbastanza perentorio (come sempre fa nel suo Ceo blog!) sugli scenari futuri. Ma il suo ragionamento non è sbagliato: il cartaceo è obsoleto ed economicamente insostenibile, e i contenuti digitali a un prezzo giusto tirano di più dei contenuti gratis.
Una buona proposta mi sembra quella di @veciobaordo sul ritorno al feuilleton: so di per certo che negli Stati Uniti le vendite di serial fiction per dispositivi digitali vanno molto bene. Qui una riflessione interessante: http://toc.oreilly.com/2012/12/serial-fiction-everything-old-is-new-again.html
Ammesso e non concesso che i WuMing vogliano sperimentare con modalità di scrittura che aderiscano a un particolare tipo di fruizione (quella digitale), sia con la serial fiction che con altre sperimentazioni, resta il problema della sostenibilità economica. Per come la vedo io, si potrebbe spezzare il problema in due tronconi:
1) i progetti di ampio respiro. Già da tempo le fonti di reddito, come detto, sono altre rispetti agli anticipi. Il lavoro di traduttore, di docente, di conferenziere etc, finanzia in buona parte quello di scrittori di romanzi. Ora il peso di queste fonti di reddito aumenterà perché gli anticipi calano. Allo stesso tempo, fare lo scrittore è sempre, in un certo senso, una scommessa dell’autore e dell’editore insieme. Metti (per assurdo) che i WM scrivano un romanzo di merda che non vende (o un romanzo talmente avanzato che nessuno lo vuole comprare): è una scommessa in ogni caso persa. Però i WuMing fanno anche altro, e se perdono una scommessa, non è detto che debbano morire di fame…
2) il lavoro culturale: Giap, in primis, ma anche i progetti laterali, gli incontri sul territorio etc. Non sbaglia chi chiede una quantificazione monetaria del lavoro su Giap: a quante ore-uomo corrispondono? E non sbaglia proprio da una prospettiva di sinistra, secondo me, perché il lavoro culturale è lavoro e va retribuito, punto. Non deve passare l’idea che sia volontariato.
Ora, visto che la comunità agglutinata intorno a Giap è numerosa e compatta, perché non fargli pagare questo lavoro, una volta che sia stato adeguatamente e trasparentemente quantificato? Io a questo sito/comunità devo tantissimo, e senza ombra di dubbio pagherei una giusta quota per permettere il lavoro dei 4 compadres. “È lavoro collettivo” si dirà, c’è il commentarium. Certo, ma non è pur sempre lavoro? L’intelligenza collettiva frutto di quel lavoro deve per forza essere gratuita? Forse che non pago la scuola e l’università attraverso le tasse? Se faccio un corso di lingua, non lo pago?
Certo, ci vuole (scusate il tono markettaro) il “prodotto”. Questo ebook è un ottimo esempio. Come riprodurlo? La sparo grossissima e volutamente provocatoria: rendere Giap una rivista on-line ad abbonamento. Si fanno due conti, si quantifica il lavoro, il capitale necessario (e qui si può andare in crowdfunding), si calcola il punto di pareggio, e si parte: 5 euro al mese per 4 numeri (o 10 updates), per esempio (dove un aggiornamento = un post). Quanti sottoscrittori? Diciamo il 50% di quelli iscritti a Giap? Quanto fa 5€ per Xcento o Xmila? Sei un lettore nuovo? Un mese di prova gratis. Sei un giapster già iscritto alla mailing list? In omaggio un racconto inedito dei super4. Per dire…
Morale della favola: bisogna che gli scrittori e i lavoratori della cultura in generale diventino imprenditori di se stessi, attingendo a delle risorse condivise, facendosi retribuire il lavoro culturale, operando con criteri trasparenti ed etici. Chi meglio dei Wu Ming?
EDIT: Scusate, mi sono accorto che nella mia riflessione ci sono un sacco di informazioni date per scontate (per esempio sul mercato dell’editoria digitale, sulle trasformazioni cognitive della lettura digitale etc) ma non le ho incluse per non sembrare ulteriormente pedante! Se poi qualcosa non è chiaro a qualcuno, provo a riscriverlo meglio!
@eFFe: non per farci i pompini a vicenda, ma sottoscrivo tutto il tuo post. E poi facciamo le Feste di Giap! di autofinanziamento. Ripeto: il lavoro di Wu Ming non è solo intellettuale, è un lavoro di ricerca, scrittura di testi e divulgazione. E’ un lavoro che impegna gli autori e i lettori: ma ben vengano letture “difficili” se l’arricchimento è così importante. Senza fare paragoni, ma ogni settimana, se compri un noto quotidiano, spendi € 2,50 per un inserto che è tutta pubblicità di scarpe…
eFFe, per carità, capisco cosa vuoi dire ma bisogna buttarlo in pattumiera questo frame degli “imprenditori di se stessi”. Ha già fatto danni devastanti nel mondo del precariato, è stato il cavallo di troia retorico per inculare meglio la gente. Ha convinto persone sfruttatissime di far parte di un altro mondo rispetto a quello dei lavoratori subordinati, di avere più in comune coi padroni (sideralmente distanti da loro ma nominalmente “imprenditori” come loro) che con gli sfruttati. Siamo lavoratori autonomi precari, non c’è bisogno di chiamarci “imprenditori”.
Dopodiché, noi rispondiamo “si vedrà” e “siamo aperti a varie ipotesi” perché ne stiamo valutando diverse. L’importante, però, è che queste ipotesi ci consentano di continuare a fare i narratori. Personalmente non sono aperto a “soluzioni” che mi costringano a fare marketing per l’80% del mio tempo e scrivere libri per il 20%, sarebbe una sconfitta esistenziale e morale su tutta la linea. Ho smesso persino di fare le traduzioni – che pure erano un’attività molto vicina a quella di romanziere – perché mi impedivano di lavorare bene sulle cose mie e in generale mi causavano più amarezza che soddisfazione. Quello che voglio dire è che noi vediamo un solco nella sabbia: per riuscire a campare del nostro lavoro dobbiamo lambire il più possibile quel solco *senza superarlo*. Se lo superiamo, non siamo più noi, non è più il nostro progetto di lavoro culturale, di militanza e di vita.
Conferenze, seminari, va tutto benissimo, ne abbiamo fatti e ne abbiamo in programma. Vogliamo anzi sperimentare in modo più sistematico su questo terreno.
Progetti transmediali, reading, collaborazioni con altri artisti, questo va bene, lo facciamo e lo faremo.
Il feuilleton potrebbe essere un’idea, chissà.
Il crowdfunding è un po’ una bolla (lo dico dopo essermi guardato bene Kickstarter) ma fatto bene e per cose molto specifiche potrebbe funzionare.
Ma abbiamo dei vincoli, non è che, in cerca del reddito, possiamo metterci a fare la qualunque, cose che non sentiamo nostre.
Ad esempio, il blog che diventa a pagamento è una roba che non mi convince per niente.
Sulla questione del cosiddetto “abbonamento” a Giap: finora non siamo riusciti ad avviare nulla del genere perché fiscalmente non possiamo, non abbiamo una personalità giuridica adeguata. Anche su questo ci stiamo muovendo.
“non sono aperto a “soluzioni” che mi costringano a fare marketing per l’80% del mio tempo e scrivere libri per il 20%, sarebbe una sconfitta esistenziale e morale su tutta la linea”
Ecco il punto in cui bisognerà rimodulare tutta l’attività che ruota intorno al “libro” (manufatto intellettuale veicolato attraverso medium tradizionali o digitali).
L’ipotesi self-publishing ventilata anche più sopra dall’intervento di Tombolini è (ancora?) una possibilità praticabile, ma che rischia di creare valore in base – più che alla qualità/commerciabilità del libro – alle capacità di venditore dell’autore.
Meglio quindi – come in questo caso – essersi affidati a un editore che ha – fra i suoi compiti istituzionali – anche quello di “vendere” i libri.
A ognuno il suo mestiere, retribuito.
*A ognuno il suo mestiere, retribuito.
Qua sta il punto: oggi le conoscenze alla base dei mestieri dell’editoria sono molto più accessibili, grazie al digitale. Questo non significa certo che Pinco Pallino possa facilmente diventare il nuovo Comandante Cienfuegos, ma significa che la logica dei blocchi (tu fai il tuo mestiere e io il mio) non sta più in piedi.
Se oggi RCS manda in esubero 800 lavoratori è anche (non solo, ma anche) per questo tipo di trasformazione.
Appunto.
Se invece di pretendere che l’editore/promoter faccia il suo lavoro gli autori/dipendenti accettano di sobbarcarsi interamente i costi (umani e materiali) di gestione editoriale non fanno altro che infilarsi, mi si perdoni il francesismo, una trave nel culo.
Cioè il fatto che sia *tecnicamente possibile* scaricare l’intera filiera produttiva sull’artista non vuol dire che questo giovi al settore, men che meno che giovi all’artista stesso. S’è già visto nella musica, col risultato che qualunque musicista serio mangia in testa a un’agenzia di promozione, ma in compenso non riesce a campare del proprio lavoro e lo tiene come hobby (aggiungendoci lo stress del triplo lavoro invece che doppio: quello con cui mangia, musicista e pure promoter).
Finché si è ancora in tempo, è una tendenza da combattere in ogni modo.
Se quegli 800 dipendenti finiranno domani a fare i terzisti per poi farsi distribuire da RCS, l’unica consolazione è che RCS durerà ancora poco. Ma poi sarà il deserto.
*Se invece di pretendere che l’editore/promoter faccia il suo lavoro gli autori/dipendenti accettano di sobbarcarsi interamente i costi (umani e materiali) di gestione editoriale non fanno altro che infilarsi, mi si perdoni il francesismo, una trave nel culo.
No. Non sempre per lo meno. Esistono molti casi di successo. E francamente la questione è un po’ più complessa dell’avere o non avere una trave in culo. Ci sono benefici indubbi come sacrifici da sostenere quando si sceglie la strada dell’autonomia, e ogni caso fa storia a sè. La mia personale opinione è che nel caso WM ci sarebbero ottime possibilità di successo senza rinunciare a dei criteri precisi, come ho già detto due volte. Peraltro – questo non l’ho detto, ma l’ho scritto tante volte in altri luoghi – la strada del far da sé non si contrappone, ma integra quella dell’editoria tradizionale: non sono due modelli antitetici e possono diventare collaborativi. Lo scrivo bene qui: http://www.selfpublishinglab.com/2012/03/02/notizie-dal-fronte-editoriale-e-che-foucault-mi-perdoni/
*S’è già visto nella musica
No. In primo luogo perché l’autoproduzione (perché di questo stiamo parlando) nella musica esiste da sempre e l’arrivo del digitale non ha fatto altro che abbattere i costi. Il mercato musicale è stato rivoltato come un calzino dai vari ecosistemi di distribuzione e fruizione (Apple-iTunes su tutti); e i musicisti (o meglio, i loro editori) si sono abbastanza serenamente adattati, insistendo su altre modalità di far cassa (più concerti, eventi, merchandising etc). Senza stare a strapparsi i capelli più di tanto. Proprio oggi, per es., arriva in Italia Spotify, con cui i Metallica – ricordate? I grandi avversari di Napster – hanno serenamente fatto un accordo per la diffusione della propria musica. Perchè avranno capito, immagino, sebbene con un po’ di ritardo, che il mercato dei contenuti non lo fanno gli artisti, lo fanno i distributori. Che ci piaccia o meno.
*Finché si è ancora in tempo, è una tendenza da combattere in ogni modo.
Battaglia di retroguardia, mi sembra, a guardare come il mercato editoriale stia cambiando. Io sono d’accordo a un maggiore intervento pubblico – per es. con una legge di promozione della lettura, come il Forum dei Libri sta provando a fare – e con dei sostegni fiscali all’editoria e alle librerie. E naturalmente con una lotta senza quartiere alle pratiche contrattuali tipiche del precariato per i lavoratori del settore. Ma non so se basta, per il semplice fatto che nell’industria dei contenuti, oggi comandano le piattaforme (leggasi Apple e Amazon e Google e simili). Questo è un dato di fatto. E poichè – ma questa è opinione personale – alla storiella di Davide e Golia ci credo poco, preferisco pensare a come usare quegli spazi di autonomia che ho per consolidarli e aumentarli. Non per morire eroicamente in battaglia con sprezzo del pericolo.
Scusa, ma quello che dici per la musica non risponde, banalmente, alla realtà.
Sì, è possibile che ci siano alcuni casi virtuosi e sostenibili, mancherebbe altro, ma sono residuali o minimi.
La realtà è che fino a qualche tempo fa la situazione lavorativa nella musica era più o meno quella che descrivono i WM sull’editoria: anticipo minimo scalato dalle royalties, introiti dal live o dal merchandising, pagato però da budget dell’etichetta (manco sempre). Oggi i distributori prendono il disco stampato, al massimo qualche etichetta mette un migliaio di euro per le spese promozionali, ma vai a culo. Tutte le spese sono pagate in anticipo dall’artista, merchandising incluso, e il massimo che può sperare è il rientro nelle spese (parlo di artisti con numeri intorno al migliaio di copie worldwide, che sembrano poche ma non lo sono). ITunes e simili fanno un incasso talmente marginale da essere trascurabile.
Resta chi vive di rendite di posizione, anche i Radiohead hanno potuto permettersi il rischio del disco “a offerta libera” esclusivamente per quello, voglio vedere degli sconosciuti se arrivano a pagarci le stampe delle copertine…idem i Metallica, non sono certo il gruppo che ha problemi di numeri, e nel loro caso l’accordo è un raschiare il fondo del barile.
Di fatto a parte i nomi del cartellone di Sanremo in Italia non esiste un musicista che campi facendo quello. Se gli va bene fa l’insegnante di musica, o si stampa il materiale promozionale e ci cava qualcosina, ma si tratta (in entrambi i casi) di fare un altro mestiere per campare, tra l’altro con rischi e costi personali non trascurabili.
Ecco, magari uno ogni tanto ne cava uno “spazio di resistenza”, ma gli altri cinquemila – per cui non è che l’alternativa prima fossero rose e fiori, eh – si trovano un settore devastato e destinato, praticamente, alla scomparsa.
Lo spazio di resistenza è la vera battaglia di retroguardia, si tratta di fatto di resistenza all’estinzione di massa. Buona cosa, ottima, per chi ci riesce, fattibile per qualcuno, ma non può essere la regola. Stiamo sempre parlando di lavoro, non dimentichiamolo.
@WM,
Ok, mi sono espresso male. Non era quello il frame che intendevo, per niente, non nel vostro caso, e per un insieme di considerazioni molto prosaiche:
– sarete anche lavoratori autonomi precari, ma non siete come tanti altri compagni: avete contatti, conoscenze (nel senso di numeri di telefono e informazioni); soprattutto, avete alternative, se la questione è sbarcare il lunario.
– avete competenze tecniche;
– avete una rete di lettori/fan su cui potete contare. E questa cosa, come ce l’avete voi, non credo ce l’abbia nessun altro.
– diventare imprenditori di se stessi è un modo diverso (sbagliato, come mi fai giustamente notare) di dire che non c’è un fuori dal sistema e che, per quanto riguarda l’editoria, i ruoli si stanno mescolando, il confronto non è da posizioni nette (Io Autore, Tu Editore) ma è su conoscenze e competenze che ormai sono accessibili a tutti.
– l’editoria cambia, che lo vogliate o meno (Tombolini docet); tanto vale cercare di trovare, nel mutamento, quegli spazi di resistenza, quelle posizioni laterali che avete sempre cercato.
Questo il contesto. Poi capisco bene la tua giusta ritrosia a non voler fare il marketing, ci mancherebbe, né ovviamente ti chiedevo questo. Quello che provavo a dire è che il collettivo WM ha tutte le carte in regola per pensare e poi realizzare delle forme di lavoro culturale che stiano dentro quel solco che menzioni e che anzi, quel solco lo allarghino fino a farlo diventare un bel pezzo di spiaggia.
E non a caso distinguevo tra narratori e lavoratori della cultura. Capisco che per voi magari la distinzione non c’è, che le due professionalità si giustappongano tantissimo; però questa distinzione consentirebbe ai WM lavoratori della cultura di ottenere forme di reddito che consentano ai WM narratori di continuare a fare progetti di lungo respiro, al di là della disruption dell’editoria. La mia riflessione puntava a questo.
Volevo solo segnalare che sto avendo difficoltà a comprare il libro sul sito di Simplicissimus / Ultima books. Non mi permette di accedere alla pagina del pagamento per un errore di stringhe troppo lunghe (cito a memoria qualcosa che sinceramente non ho proprio capito…). Ora, volevo evitare di prendere il libro su piattaforme commerciali mainstream anche per premiare il lavoro degli editori.
Magari e’ un problema temporaneo (spero dovuto alla saturazione del sito per troppi download), o forse e’ dovuto al fatto che sono in un villaggio indiano e internet mi funziona soprattutto grazie ai campi magnetici generati dalla centrale eolica proprio sul colle di fronte a casa mia in collaborazione con il ripetitore nel giardino di casa (la bucolica campagna indiana!). Pero’, insomma, se il problema ci fosse davvero mi sembrava opportuno segnalarlo.
E ne approfitto per ringraziare i wuming per il loro lavoro e i loro scritti, che finora ho (quasi) sempre “comprato” in cartaceo e che sono ben contento di iniziare a “comprare” in digitale (metto comprare tra virgolette sia per il prezzo, sia perché per chi segue, condivide e stima da tempo il vostro lavoro, spendere dei soldi per leggervi somiglia più ad un contributo per il proprio stesso benessere intellettuale ed esistenziale…).
Guarda, ho avuto lo stesso problema stamattina, gliel’ho segnalato e tempestivissimi mi hanno risposto dicendo che potevo completare l’acquisto selezionando l’opzione Paypal. Non cambia niente lo fai sempre tramite la tua carta di credito.
Fatto! Grazie mille per la dritta zaphod.
E stanotte, cullato dai campi magnetici, inizia un nuovo viaggio su sentieri già battuti…
Di nulla, dovevo sdebitarmi con gli ultimibookici…
Ripeto: come tutte le cose, sono disposto a pagare per cose di qualità. Quei contenuti di qualità di cui Giap! mi ha permesso di fruire in maniera libera e gratuita. Per il resto rimane soltanto una questione di scelte: leggere Giap! richiede un’attenzione che è ripagata dall’arricchimento culturale che ne deriva. Questo arricchimento è frutto di un lavoro costante di ricerca e studio che altrimenti molti noi – compreso me – non riuscirebbero a soddisfare e concretizzare nella modalità in cui viene proposto in Giap!. Se Wu Ming troverà una modalità giuridica per diffondere i propri “feuilleton” a pagamento, bene, altrimenti si continuerà a sostenere con donazioni.
Discutere di come abbiamo deciso di pubblicare questo libro e di quali sentieri possano aprirsi è importante e invitiamo a continuare. Solo, non dimentichiamoci che questo libro ha anche un contenuto :-) Ha un contenuto e un concept, una struttura, un fil rouge dipanato da Tommaso. Quando qualcuno avrà letto, sarebbe bello parlare anche di questo.
@Wu Ming: è proprio quello che scrivevo sopra. Sono sicuro che troverete strumenti di condivisione che tengano conto delle vostre esigenze etiche e materiali. La bellezza di Giap! è nei contenuti, la diffusione degli stessi nelle modalità che fin ora avete adottato ne risponde in maniera coerente :)
Il testo è molto denso, ci vorrà tempo per quanto mi riguarda.
Thomas Müntzer lives!
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=290733274386755&set=a.290733271053422.65290.100003502555705&type=1&theater
Virgo, qvam emotionem! Non solvm citationis, sed etiam qvod latinus revolvit lingva viva atque revolvtionaria et ego svm felix quem non potete imaginem facere, canidedivo. Non sperperamvs qvinque svdatos annos licaei classici.
Siccome ho fatto lo scientifico ci ho messo un po’ a capire “canidedivo” (il tuttoattaccato non facilita).
Per le bestemmie si usa dunque l’ablativo, e non il vocativo come credevo!
;-)
Ma: ho capito bene? Ti stai dimettendo anche tu da amministratore delegato? :-D
(etiam ego fecit classicus, sed paulo ad mentulam…)
Intanto aggiungo una cosa al volo su una delle premesse di questa discussione: cioè sul rapporto tra tempi, editoria libraria e soluzioni narrative. Ovvero: cosa accade al mestiere dei narratori che raccontano *anche e soprattutto* attraverso il libro cartaceo in un mutamento delle condizioni produttive? In altri termini: che fare nell’era della crisi del settore librario davanti a una contrazione strutturale? Mi interessa molto il ragionamento tendenziale su chiavi differenti, alternative e complementari. Ma vorrei capire anche quali margini d’intervento ci sono dentro al perimetro tradizionale. A mio avviso, la situazione presenta una duplicità di aspetti. C’è un lato negativo e terribile della crisi (quello che incide sulle vite e sulle storie attraverso una riduzione del valore degli indicatori: anticipi in particolare e – per altri – prenotati, tirature, venduti, ecc…). E c’è un carattere interessante del *default*. Rispetto al primo punto, la risposta di pancia che si dà agli scrittori, la risposta furba, è questa: “Accorcia i tempi e aumenta la produttività. Scrivi due libri in quattro anni invece di uno. Facciamo due contrattazioni invece di una e poi speriam bene”. (E qui – di solito – segue un gesto apotropaico). È il motivo per cui i cosiddetti “passisti” – quelli che garantiscono le 500-600mila battute in sei, otto mesi tenendo un livello discreto – oggi sono particolarmente apprezzati. Si tratta d’un ragionamento volgare. A volte lo si fa in coscienza perché si è costretti a farlo. Poi, però, ci sono le occasioni che una situazione simile implica o le possibilità inespresse che possono essere liberate.
Quando uscì “Q”, il “peso specifico” dell’oggetto, il suo essere ponderoso, il suo occupare spazio, rimandava immediatamente al tempo. A quello di lettura e a quello – precedente – di stesura. Il lettore lo capiva benissimo. E fu una sorpresa. Basti pensare al tipo di temporalità su cui si basava la letteratura degli anni Novanta: volutamente esile, breve, *short*, perfino antologica. Rispetto all’umore editoriale del periodo sembrava un suicidio. E invece fu l’origine d’una significativa inversione di tendenza.
Un certo romanzo d’intreccio, caratterizzato da un determinato impiego dei materiali storici, da uno specifico corpo a corpo con le fonti, da una pluralità di punti di vista e da un particolare tipo di sguardo, richiede tempo. Parecchio tempo se pensiamo ai ritmi dell’editoria libraria. (Benché anche negli anni Zero sia sempre esistito un altro tipo di romanzo storico, impostato su tecniche differenti e meccanismi diversi: più “rapidi”, per così dire).
Detto questo, non bisogna temere una ridefinizione delle strategie narrative in rapporto al cambiamento delle condizioni materiali. Può essere una roba tremenda, che spinge all’opportunismo, ma può anche rappresentare una chance se sollecita la ricerca di soluzioni. Faccio un esempio stupido: in una ucronia c’è senza dubbio un confronto con le fonti, ma il tipo di costruzione dell’universo narrativo richiede tempi diversi rispetto al lavoro di verifica, documentazione, incastro di fiction e “realtà”, propri dell’uso romanzesco della Storia per come l’abbiamo conosciuto nel corso del decennio passato. Questo non perché una certa letteratura che intreccia realismo, epica e fatti storici, la si ragiona in quattro anni, mentre una produzione dove prevale l’elemento immaginifico la si scrive con la mano sinistra e la si butta via in dodici mesi. Ma perché comunque si tratta di procedure compositive differenti. Ci si concentra su altro. Cambiano le priorità. Più “scaletta”, meno ricerca, tanto per dirne una. Un conto è raccontare la Germania della Riforma protestante, un conto è immaginare una Germania alternativa in cui gli spartachisti – nel 1919 – hanno fatto la rivoluzione. Infine, anche senza ammiccare a elementi ultra-finzionali di generi come il fantasy, la fanta-storia o la fantascienza, in un libro come “Anatra all’arancia meccanica” ci sono almeno tre racconti lunghi o romanzi brevi che potevano essere sviluppati ancora con risultati assolutamente degni e congrui.
Insomma, trattandosi come al solito di una questione di tempi, tra l’*istant* e il respiro del romanzo che conosciamo possono esserci tante cose, per esempio quei lavori più compatti e concentrati di cui scriveva Willo.
Tommaso
“Traduco” perchè non tutti sanno come ci chiamiamo l’un l’altro nella vita quotidiana: “Willo” sarebbe WM4 :-)
E TDL, chiarisco anche questo, è Tommaso De Lorenzis.
Sì, giusto. Quando si danno per scontate troppe cose…
Ecco, penso che Tommaso sia riuscito a inquadrare perfettamente la prospettiva nella quale ci stiamo muovendo e sulla quale stamo riflettendo. Usiamo ancora formule ipotetiche e condizionali, ma soltanto perché le cose mutano talmente in fretta che è difficile sbilanciarsi. Però, ecco, diciamo che – senza anticipare troppo – certe decisioni in seno al collettivo sono già maturate.
Preso su Ultimabooks.
Come questa discussione dimostra, dovete già iniziare a pensare ad un aggiornamento
Premetto di essere una voce stonata, critica e fuori dal coro.
Brevi riflessioni, da lettore, lasciate anche su anobbi.
Wu Ming traditori?
Lo temevo. Nell’estate del 2012, il collettivo di scrittori noti come Wu Ming, celebrati autori di “Q” ed altri romanzi, e (sinora) alfieri del copyleft italiano tramita la scelta di mettere a disposizione direttamente dal loro sito in download i testi delle loro opere, traeva dalla loro esperienza un primo bilancio negativo.
In sintesi, se il copyleft era stata una politica di “marketing” sino ad allora vincente, il rapporto copie cartacee vendute/copie digitali in download aveva visto nel 2012 privilegiato il denominatore.
Nel lungo post e nei commenti da esso generati, oltre ad una troppo generica analisi sulla tecnologia dietro alle abitudini di lettura, si paventavano nuove vie di sperimentazione.
Ieri, annunciando l’uscita del loro nuovo lavoro letterario (a quanto mi sembra di aver capito, previsto solo come uscita in formato digitale) sulle principali piattaforme per la vendita di e.book, hanno di fatto creato un precedente.
Ed un precedente alquanto pericoloso, per il futuro (?) di una possibile editoria copy-left in lingua italiana (sottolineo: in lingua italiana).
Riassumendo per punti sintetici:
1) é vero che l’editoria tradizionale (leggasi “su carta”) ha imboccato un sentiero di ridimensionamento Vs l’editoria digitale: tuttavia, al di là dell’unità del testo, gli oggetti in questione, libri di carta ed e.book, sono diversi tra loro. La confusione dell’industria editoriale, che si ostina ad applicare le stesse leggi e regole (oltre che a difendere posizioni giuridiche obsolete come copyright e diritto d’autore) per entrambi i prodotti, sarà (e spero che questa profezia si avveri) la causa stessa della loro rovina (o il primum movens per un futuro molto cupo di dittatura fascista). In sintesi, un testo elettronico è cosa diversa dal possesso di un oggetto-libro. Il problema è solo di costo dell’uno rispetto all’altro (inutile sottolineare che per il sottoscritto la risposta è: “no”)?
2) Rilasciare un testo in licenza CC, e facendone pagare il download da una piattaforma di e.commerce é una contraddizione lampante. Le soluzioni, in questo tempo di riproducibilità tecnica assoluta, passano per altre vie ed altre riflessioni (la letteratura come bene comune?).
3) L’universalità dell’accesso alla cultura è sub-ordinabile alle regole di mercato? E, in caso di risposta affermativa, con quali (eventuali) limiti o regole? La scelta del collettivo non risponde a queste domande.
Personalmente, credo che questa scelta inasprirà il confronto tra realtà editoriali e mondo della “pirateria” digitale, a discapito della circolazione dei testi e dei contenuti.
E mi dispiace.
Commento solo un concetto: se si parla di lavoro e non di hobby, di artigianato e non (solo) di arte, “la letteratura come bene comune” sarà possibile solo quando anche la pagnotta e il companatico saranno bene comune. Se si vuole si comincia da lì, altrimenti inutile parlarne.
Sai che non ho proprio capito dove sta il punto?
Finora abbiamo sempre pubblicato e venduto libri cartacei, il cui contenuto era libero per qualsiasi uso non commerciale.
Ora pubblichiamo e vendiamo un libro digitale, il cui contenuto è libero per qualsiasi uso non commerciale.
Dove sta la differenza, il tradimento, il “bilancio negativo” dell’esperienza?
Noi siamo pienamente soddisfatti di pubblicare testi CC e continuiamo a farlo.
Quale sarebbe il “passo indietro”?
“Personalmente, credo che questa scelta inasprirà il confronto tra realtà editoriali e mondo della “pirateria” digitale, a discapito della circolazione dei testi e dei contenuti.
E mi dispiace.”
Un conflitto fra classi (vetero editoria-lettori/scrittori) non può mai essere a discapito dell’ideologia di fondo, anzi…
La “pirateria” messa così non esiste.
Fai bene a dispiacerti.
Fai bene ad essere fuori dal coro.
Fai male le tue premesse (“Sempre e comunque contro chiunque”?).
@ sportgooffy
sono perplessa. Non riesco a cogliere il senso del tuo discorso (se non per la parte che riguarda le piattaforme di e-commerce, ma allora se poi dobbiamo ci mettiamo a parlare delle catene di librerie etc etc).
Mi sembra che tu dia uno statuto diverso al file o al libro di carta. Come se vendere il libro di carta vada bene mentre vendere il file no. Non capisco la differenza. Se non una forma di utopia ingenua del digitale. Tieni anche conto che la scelta di fare un ebook senza drm è esattamente coerente con la posizione dei Wu Ming.
Copyleft non è sinonimo di gratis. E’ questo l’equivoco che si sta portando avanti.
Che poi la letteratura come la cultura siano beni comuni se ne può discutere, ma perchè devono essere beni comuni a danno dei lavoratori che questo “bene” producono? Come se poi vendere i libri di carta non facesse ricadere il costo di produzione (anche della versione scaricabile dopo) su i consumatori.
Parliamo piuttosto delle forme di sostegno al reddito dei lavoratori e delle lavoratrici della cultura.Che mi pare più interessante di un discorso banale sulla forma e sui download.
mi riservo di rispondere a repliche successive con molto maggior ritardo, dato che replico dal mio posto di lavoro.
Sino ad ora la scelta di rilasciare i propri testi in copyleft (mi rifaccio in particolare al post denominato “il copyleft spiegato ai bambini”) si era tradotta come segue: “un comune cittadino, se non ha i soldi per comprare un libro di Wu Ming o non vuole comprarlo a scatola chiusa, può tranquillamente fotocopiarlo o passarlo in uno scanner con software OCR, o – soluzione molto più comoda – scaricarlo gratis dal nostro sito http://www.wumingfoundation.com. Questa riproduzione non è a fini di lucro, e noi la autorizziamo”.
Neppur necessario esplicitare che, da tali premesse, il fruitore del testo era libero di non corrispondere alcun compenso all’autore dello stesso.
Forse meno implicito che la fruizione di tale testo (all’epoca in cui il post era scritto) al di fuori di un supporto tecnologico-editoriale tradizionale (leggi “libro”) risultava difficoltosa e minoritaria. La diffusione di dispositivi capaci di facilitare la fruizione di testi, nei formati digitali più vari, ha cambiato questo stato di cose, e non credo sia un caso che (sebbene la tecnologia sia ancora immatura) la “virtuosità” che legava copie in download e venduto in libreria sia venuta a mancare nell’anno in cui maggiore è stata la diffusione di dispositivi capaci anche di assolvere le funzioni di un e.reader.
La dizione copyleft rispettava il diritto di autore ma consentiva di eseguire “n” copie, purché non a fini di lucro. Il vantaggio era rappresentato dalla visibilità (e da un maggior numero di copie cartacee vendute).
E pure, e qui mi duole rimarcarlo, dalla dichiarata volontà “politica” di far circolare “gratuitamente” un testo (scusate, io la dizione “Libri elettronici al popolo” l’ho sempre tradotta in tal modo nel mio limitatissimo pensiero, e pazienza se ritengo che gratuità non sia un insulto!).
E, per meglio precisare, questo approccio corrispondeva alla convinzione che il possesso di un bene fisico sia altra cosa dal “possesso” di un file. Un oggetto-libro assume in sé non solo il lavoro intellettuale della filiera produttiva (scrittore/traduttore/editore/revisore) ma è una “merce” in senso classico, presenta caratteristiche (materie incorporate, durata, trasmissibilità, esclusione) che lo rendono un “bene-oggetto” e ne giustificano (in una economia di mercato) il prezzo di vendita.
Tali caratteristiche mancano in parte per il testo digitale, o si presentano antiteticamente divergenti.
Vista la diversità che il collettivo Wu Ming ha sempre rivendicato rispetto alle forme dell’editoria tradizionale (ed alla politica dei prezzi praticata), e visto che tale diversità è passata anche per la scelta della pubblicazione in copyleft ed il download diretto dei testi in formato digitale, vorrei sinceramente capire dove si va dirigendo questa ‘diversità’.
Ho fatto l’esempio di un economia di mercato (e ritengo che tutti si sia concordi che l’editoria è retta dalle leggi di una economia di mercato).
Date queste premesse, il prezzo di una merce è fissato come quello in cui tutta la domanda è soddisfatta dall’offerta e tutta l’offerta soddisfa la domanda.
Se nell’editoria tradizionale questo permette di “inglobare” nel prezzo dell’oggetto-libro tutta una serie di variabili (carta, stampa, distribuzione, etc.), tale calcolo non è più valido, o quanto meno immediatamente traslabile nell’ambito della creazione di un testo elettronico. Con questo non voglio concludere, come pure rozzamente si sente fare, che il costo di un e.book sia zero, visto che “il costo di muovere bit è zero” (magari Tambolini preciserà meglio i costi di una piattaforma di vendita, se lo vorrà): ma significa, data la riproducibilità del file di testo virtualmente all’infinito, che tutta la domanda può essere soddisfatta a QUALSIASI prezzo. Nel caso del vostro ultimo testo digitale in uscita, l’applicare un prezzo di vendita, quale che sia, cambia soltanto la quantità scambiata: maggiore è il prezzo minore è la quantità scambiata (e sd è vero che quattro euri non è un costo IN ASSOLUTO proibitivo).
Eppure, se si vuole perseguire l’obiettivo sociale di massimizzare la diffusione del testo, in queste condizioni basterebbe semplicemente mettere il prezzo = zero, come sempre fatto.
In altre parole, se l’obiettivo è diffondere il vostro testo quanto più è possibile, si può far meglio che “comprare a quattro euro e poi trasformare, copiare o ‘imprestare’ il file”: si può “comprare” con un click a prezzo zero.
Ed è quello che facciamo tutti quando leggiamo una cosa qualsiasi online, compreso questo post su Giap.
Naturalmente potrei comprare con due click il vostro testo dalla piattaforma di vendita, metterlo nel mio sito e regalarlo a tutti, o copiarlo e spedirlo per e.mail a tutti i miei contatti. Non mi è chiaro se questo, oltre che permesso, sia da voi anche auspicato; ma se NON fosse il vostro ultimo desiderio, il vostro “produrre” testi digitali non sarebbe nulla di veramente diverso rispetto alla vendita di un e.book per canali convenzionali, siano essi associati a frutticultori o mitici regni virginei.
Ossia, imporrebbe un limite alla diffusione del testo.
Se domani acquisto il testo e lo carico su reti P2P e siti di hosting, il prezzo di scambio di questo testo sarebbe, come ho detto, zero, e ,se non come forma di “mecenatismo”, l’acquisto su una qualsiasi piattaforma di vendita non avrebbe senso logico.
Il problema (che esiste da tempo immemorabile, e riguarda anche problemi ben più seri, dall’accesso all’acqua ai farmaci, etc.) è il seguente: come si prezza un prodotto la cui PRIMA COPIA è costosissima, ma il costo incrementale di produrne un’unità in più è zero? Come si retribuisce la PRIMA copia?
Questo è il dilemma ed il problema vero dell’editoria digitale, visto la facilità con cui posso copiare (virtualmente all’infinito) un file.
Voi avete scelto di vendere il vostro file di testo in una forma CONVENZIONALE. Dunque non c’è nessuna, NESSUNA ‘diversità’ in questo caso tra voi e il resto del mondo editoriale.
Personalmente, non acquisto per principio e.book. Comprero’ e regalero’, come ho sempre fatto, anche la copia cartacea di Giap, se il libro mi convincerà (se e quando qualcuno me lo presterà, quale che sia il suo formato).
Mi direbbe qualcosa di interessante se ci spiegasse in che modo editerebbe nel modo che dice un’opera commissionata a – chessò – Umberto Eco, e la editasse lui esclusivamente nella forma di ebook. Mi direbbe qualcosa di interessantissimo se mi dicesse come farebbe questo SENZA mettere NESSUN limite alla diffusione o alla proprietà. In altre parole, in assenza di qualche invenzione di cui il Post a quanto pare è in cerca, è puerile immaginare che quel che fa Amazon è imporre la produzione industriale convenzionale all’internet, perché si tratta invece di una risposta precisamente indotta dall’internet, la quale fa dei libri dei prodotti che ricadono nella categoria notissima di quelle cose che ho detto: prima copia costosissima, ogni altra costo zero.
E perché è importante questo? Perché i prodotti con quelle caratteristiche della PRODUZIONE si chiamano beni PUBBLICI. Sono PUBBLICI quei beni dei quali il consumo da parte mia non ne diminuisce la disponibilità per un altro (non quelli di ‘proprietà pubblica’, notate bene, e vedete bene che equivale a ‘la soddisfazione della domanda di un’unità in più costa zero’.
Sono basito.
Sostenere che WM, quasi al ventesimo anno di copyleft, ne diventi uno dei principali ostacoli, fa ridere, ma non è divertente.
C’è sempre il più comunista di tutti.
Quello che che poi ti chiede di governare i beni pubblici.
La realtà è che in vent’anni ben pochi, autori in primis, hanno lavorato verso certi obiettivi, e c’era anche la strada per farlo, nell’intera filiera dell’editoria, e adesso siamo al crollo sistemico.
Spero solo che la valanga di puttanate che stanno qua sopra non monopolizzi il dibattito,
come spesso le puttanate riescono a fare.
L.
Grazie per le “puttanate” e le offese gratuite, innanzitutto, e “buona giornata” anche a te.
Certi post non sfigurerebbero nelle curve di uno stadio, dove l’essere fan si esprime come e meglio dei “mi piace” faccialibreschi, non attendevo di ritrovarmeli su Giap.
Dove ho scritto che Wu Ming è divenuto il principale ostacolo del copyleft? Ho argomentato del perchè applicare delle logiche “prezzatorie” ed un ebook è mossa controproducente e convenzionale, oltre che concettualmente discutibile di suo. Sono gli argomenti degli stessi autori simbolo del copyleft (Doctorow in primis).
Ma Doctorow è autore di lingua inglese, e questo dato, editorialmente, ha il suo peso. Affrontare la questione sotto tale aspetto?
PS: almeno, please, leggere per intero i post e le repliche: il mio intervento è stato inviato “spurio”, ma anche in questa forma, attribuirmi l’idea di voler “governare i beni pubblici”, si commenta solo come un attacco personale, e come tale lo lascio cadere.
PPS Naturalmente, lungi da me il voler dettare la linea politica ai padroni di casa, men che meno voler recitare la macchietta del Brega “…ccoooomunista cosiiii!!!!!”. Eppure, tanta sinistra (italiana e no) dovrebbe interrogarsi se copyleft, difesa del diritto d’autore come attualmente declinato e durata del copyright siano o meno battaglie politiche, e come schierarsi.
Faccio finta di non aver letto la frase sulla curva dello stadio, e rido per la frase sull’essere “fan” riferita al commento di L.
Parliamo della fine del tuo pezzo: battaglia politica-copyleft. Ho la sensazione che tu confonda il copyleft con la “gratuità” del prodotto e ti chiedo: quale forma di retribuzione prevederesti per chi produce contenuti culturali? Quando parli di “acquistare a costo zero” intendi 0 per tutti o “a offerta” tipo disco dei Radiohead?
Tanto per capirci.
No, personalmente non faccio nessuna confusione.
Parlavo, e lo ribadisco, di gratuità dei contenuti culturali, soprattutto in forma digitale (e, per inciso, credo debba essere oggetto di battaglia anche un accesso garantito a tali contenuti).
Ovviamente, dopo un congruo periodo di sfruttamento commerciale dell’opera (quanto congruo? qui – http://www.rufuspollock.org/economics/papers/optimal_copyright.pdf – c’è chi scrive 14 anni: è forse lecito anche differenziare per tipologia; fiction, non fiction, musica, odc, films).
Tutto questo passa naturalmente per una profonda revisione dell’attuale legislazione su copyright e diritto d’autore, ma, ancora prima, per una revisione dei meccanismi di redistribuzione degli attuali guadagni per tutti gli attori della filiera, tecnici, amministrativi, manovalanze e anche autori (e, chiaramente, devono finire i tempi delle vacche grasse per pochi). Senno’ continueremo a piangere il ragazzo che ci resta secco mentre monta il palco del concerto.
Come vedi, non ho mai sostenuto l’equazione (falsa) copyleft = gratuità.
Il copyleft e le licenze CC sono state, specie in editoria, essenzialmente una questione di marketing (bisognerebbe anche vedere di quali licenze CC parliamo: ce ne sono di diverse, ma questo lo sappiamo entrambi, no?).
Solo in ambito musicale, e sempre in ambienti indie, sono state utilizzate per promuovere battaglie “politiche” a favore della cultura libera.
Pure, il download gratuito in copyleft dei loro testi digitali ha fatto dei WM un vessillo del filesharing in Italia, non credo nè che loro se lo nascondano, nè che la cosa sia stata in contrasto con le loro posizioni politiche, cosi’ come espresse sul sito.
Capisco, certo, che per loro è il modello dell’essere scrittore ad essere in crisi, e forse destinato a scomparire. Tutto cio’ puo’ far arrabbiare o impaurire (come la chiusura delle piccole librerie), ma non credo nè che siano possibili facili risposte, nè che i modelli in circolazione siano cosi’ flessibili da poter rispondere alle loro esigenze (crowdfounding in primis; si preferisce forse alla francese il modello dei laureati accademici?).
per cui, ripeto, la sola possibile risposta passa per una RIVOLUZIONE dell’attuale modo di produzione editoriale, e resta soprattutto una rivoluzione politica. Ripeto, sono sorpreso (spiacevolmente) che a parte Grillo, come suo solito in maniera confusionaria e strumentale, nessuna forza di “sinistra” si sia preoccupata di tali problematiche (anzi, una è divenuta, sia pure sembra inconsapevolmente) protagonista di un siparietto macchiettistico – http://www.corriere.it/politica/13_gennaio_16/bonelli-fumetti-contro-ingroia_6af1501e-5fb0-11e2-9e33-1d7fb906e25e.shtml -).
E se non si vuole credere che la questione sia nodale per tanti “gggiovani” elettori, anche “contigui” a Giap, osservate come si possano mettere nella stessa vignetta incazzosa le parole “serci” e “walking dead 3×08”.
Saluti
Ciao: nessuna confusione, almeno per quanto mi riguarda. Sono convinto che dopo un congruo ed equo periodo di sfruttamento commerciale, i beni culturali debbano ricadere nel pubblico dominio, e che le attuali norme su copyright e diritto d`autore siano da rivedere (settanta anni post-mortem?!?). Quindi, l`obiettivo è una rivoluzione del copyrigth e del diritto d`autore, e dei meccanismi di redistribuzione dei ricavi tra tutti gli attori della filiera. Più ancora, credo che la fruizione della versione digitale di questi beni culturali (e l`accesso ad essi) debba essere garantito, e rappresenti un terreno di battaglia politico. In nome del copyrigth rischia di passare un modello di società repressivo e criptofascista. Il copyleft, e le licenze CC, come vedi, entrano solo marginalmente nella faccenda, anche se, e non credo che i padroni di casa se lo nascondano, la loro politica di download gratuito in copyleft ha loro valso sinora molte simpatie nel mondo del filesharing. Sicuramente non ho mai sostenuto l`equazione (falsa) copyleft = gratuità. Se ho fatto credere che il problema di come ricompensare la produzione intellettuale sia facile, indi ami dove hai trovato una tale affermazione; semmai è vero che è molto difficile, all`interno dell`attuale sistema legislativo di riferimento, studiare soluzioni diverse. Quella che sarebbe la scelta “politica” più dirompente, la “riforma” di copyright e diritto d`autore, si scontra con interessi e lobbing che non esito a definire altrimenti soverchianti. Altre soluzioni (poeti laureati? Sovvenzioni pubbliche?) sono forse anche più surrealiste della sovvenzione dal’basso. Capisco che la fine del paradigma dell`intellettuale come mestiere spaventi, specie chi oggi si ascrive alla categoria intellettuale. Ma nè le politiche dello struzzo nè pratiche convenzionali (e, ribadisco, fissare un prezzo di acquisto X per un file riproducibile è una pratica convenzionale) risolvono il problema.
Saluti
Questo sfoggio di CapsLock mi lascia un po perplesso.
Qui nessuno ti obbliga a comprare il libro.
Se vuoi partecipare alla discussione, forse dovresti usare argomenti più “in tema” (ovviamente sei liberissimo di criticare o mandare affanculo chi vuoi), prendendoti le responsabilità di quello che scrivi.
Se posso umilmente consigliarti, magari potresti LEGGERE Giap dal lavoro, andare a casa RIFLETTERE sulla discussione ed infine SCRIVERE una risposta argomentata (magari senza tutte ‘ste maiuscole) e non dettata dal fattore tempo.
Il partecipare ad una discussione (almeno su Giap) a volte implica anche il non scrivere nessun commento. Di certo questo non sminuisce il tuo contributo.
Peace.
ed io resto perplesso delle vostre repliche. Wu Ming, sino ad ora principale alfiere del copyleft nell’editoria italiana e del download libero dei suoi titoli, pubblica un testo in licenza CC ma a pagamento. Se si vuole solo fare un click per esprimere un “mi piace”, ci sono altri spazi. Se si vuole discutere della qualità letterraria o editoriale dell’opera, bene, altri post più sotto affrontano le questioni. Ma non credo che discutere “un passo indietro rispetto a uno dei comandamenti” di Giap sia Off Topic.
Ripeto per chiarezza di sintesi…
Il problema degli ebook (al tempo della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, se mi si passa la citazione, e che riguarda anche problemi ben più seri, produzione di farmaci, accesso all’istruzione, etc.) è il seguente: come si prezza un prodotto la cui PRIMA COPIA è costosissima, ma il costo incrementale di produrne un’unità in più è zero? Come si retribuisce la PRIMA copia?
Questo è il dilemma ed il problema vero dell’editoria digitale, visto la facilità con cui posso copiare (virtualmente all’infinito) un file.
PS l’uso delle maiuscole vale come sottolineatura, come anche tu hai utilizzato, opzione che wordpress non implementa.
Tranquillo, ho sistemato il tuo commento “spurio”.
Quanto al resto, mi sa che ti è sfuggito un dettaglio. I testi presenti nell’e-book sono già pubblici, alcuni da anni. Parliamo di un’antologia di post di Giap. Vuoi avere in lettura la sequenza tematica editata da Tommaso De Lorenzis, con la sua prefazione, impaginazione, copertina, etc., cioè un “manufatto” di editoria digitale frutto di lavoro editoriale? Ti vengono chiesti 4 euro, come te ne vengono chiesti 20 e passa per un libro cartaceo (che ha costi di filiera molto più alti). Non te ne frega un cazzo, sei contrario per motivi filosofici, politici, religiosi, e non vuoi pagare un centesimo per un e-book? Puoi leggerti ugualmente gli stessi testi: basta che digiti i titoli sul motore di ricerca interno e te la fai da solo l’antologia, personalizzata, magari scegliendo pure articoli diversi. Qua nessuno sta costruendo le enclosures, mettiti l’animo in pace.
Il problema, se permetti, è di tutt’altro tipo e di altra portata. E cioè: come sarà possibile mantenere questa apertura senza che la scrittura smetta di essere un mestiere e torni a essere un hobby per chi può permetterselo. Rispetto a questo noi non abbiamo una risposta definita, abbiamo più che altro dubbi, e sarebbe ben strano che non li avessimo.
Dopodiché tieni presente che quando il capello è già spaccato in quattro i pezzi cominciano a essere difficili da vedere. Quando arrivi a otto o sedici, praticamente non si vede più nulla.
Oggi sto litigando con la tastiera…
Ti ringrazio per aver sistemato il mio intervento (mi rendo conto di averlo scritto di getto, vorrei poterlo rimaneggiare ulteriormente, ma non intendo approfittare oltre della tua gentilezza, e credo che in ogni caso l’essenziale sia comprensibile).
Ti ringrazio anche per le tue precisazioni, ma il punto è altro. Sapevo ed avevo già capito che la vostra idea era quella di antologizzare ancora una volta Giap, e, come credo sia chiaro, non sono contrario all’idea di come compensare equamente un lavoro editoriale come il vostro; è la forma scelta che mi lascia molto perplesso (ed utilizzo un eufemismo), e per la natura di prodotto digitale di questa antologia, e per l’assenza di una sua controparte “cartacea”. L’esempio che tu porti, la possibilità di antologizzare da sè, di fare autoediting (e, credimi, tra Sigil, Calibre, W2epub, anche un profano di programmazione é in grado di realizzare un prodotto anche editorialmente valido) mi convince ancora di più che l’errore, con buona pace di Tombolini, sia di pensare di “guadagnare” con l’editoria digitale. E questo, come già scritto, da chi non ha problemi a sborsare 20 euro per un oggetto-libro (o meglio, che si fa problemi nel sapere quanto poco piccola sia la fetta di quella “torta” che va nelle tasche degli autori che ho scelto di acquistare, o quale costo, ecologico, ma anche culturale, si paghi per il bestsellerismo e la mania dell’instantbook) ma che per motivi filosofici e politici non accetta di pagare per un testo digitale (semmai, mi auguro un’uscita in cartaceo o un “libero download” a venire). Poi, sono realista. Immagino non solo che abbiate fatto i vostri conti (monetarii e no), ma anche, più in generale, che lo scenario futuro della circolazione di beni in digitale dipenderà dalle possibilità e volontà di lobbing di tutti gli attori coinvolti.
Saluti
Quello che hai ripetuto qui (dopo “Ripeto per chiarezza”) secondo me è tecnicamente esatto. Il discorso della prima copia non fa una piega.
E non vale solo per l’editoria, ma per qualsiasi fenomeno sia stato trasformato, nella sua produzione, stoccaggio, distribuzione e fruizione, dalla diffusione dei computer, per dirla molto all’ingrosso.
Anche appurato questo, tuttavia, mi sembra un po’ utopistico pensare che qualcuno riesca a risolvere da solo, per tutti e contro tutti, il problema della prima copia in un contesto che non ne vuol sentire parlare.
Sarebbe come se, appurato che di fatto l’acqua che mi esce dal rubinetto non è più effettivamente un bene comune, io mi rifiutassi di adoperarla e di pagare le bollette, e andassi a bere e a lavarmi esclusivamente nel Po, lanciando invettive contro chi continua a bere quella di casa e attendendo di crepare di setticemia nell’indifferenza generale. Nobile, ma inutile. Ti pare?
“Siamo realisti, vogliamo l’impossibile.”
facili citazioni a parte, nessuno si chiede perché, con un Piratparteit in crescita, il dibattito su durata del copyright, copyleft, tutela del diritto di autore in Italia è (al massimo) oggetto di dibattito in (sempre meno) centri sociali?
Riflessione suggeritami dalla rilettura di “Postdemocrazia” di Crounch (da consigliare).
“Wu Ming, sino ad ora principale alfiere del copyleft nell’editoria italiana e del download libero dei suoi titoli, pubblica un testo in licenza CC ma a pagamento”
Oh, bella: ma non è quello che abbiamo sempre fatto, da 14 anni a questa parte?
Con una differenza: i file digitali dei nostri libri cartacei sono sempre arrivati sul sito alcuni mesi dopo l’uscita in libreria. In pratica, per avere il file gratuito, i lettori hanno sempre aspettato alcuni mesi rispetto alla disponibilità del libro-libro. Prima di quello iato temporale, il file di testo non è mai circolato. Ora invece, se vuoi il contenuto gratis & subito, hai addirittura due possibilità: 1) Come dice WM4, ti componi l’antologia con i vari contenuti gratuiti, in formati diversi, 2) Te la scarichi da una piattaforma p2p: si trova già facilmente e a noi sta benissimo così. Poi tra qualche tempo, as usual, lo metteremo in libero download dal sito.
E ci tengo a precisare: al momento non è prevista nessuna edizione cartacea.
Il discorso sulla prima copia è interessante: conosco diversi gruppi musicali che l’hanno affrontato con il crowdfunding. Raccolgo 5000 euro per fare il nuovo disco, ci pago le spese, e poi guadagno con i concerti. Il problema è che al momento un romanzo non genera un’attività live remunerata. Antar ed io abbiamo presentato Timira in 49 incontri, anche reading: ci hanno pagato un gettone due volte, e una volta ci siamo pagati il viaggio di tasca nostra… È anche su questo che bisogna lavorare, ne abbiamo parlato e ne stiamo parlando ancora. Altrimenti con il crowdfunding dovremmo finanziare due anni di lavoro di quattro persone, e produrre così la fantomatica prima copia digitale: al momento, significherebbe raccogliere una cifra che è pura utopia. Non è utopia, invece, se provi a finanziare così progetti più piccoli, da sei mesi di lavoro. Ma resta il problema che abbiamo posto: il sistema editoriale, al momento, non sembra più in grado di sostenere economicamente la stesura di grandi romanzi collettivi da 6/7oo pagine , con grande lavoro di ricerca e anni di incubazione.
@WM2 ho una piccola curiosità che mi sorge a leggere il tuo intervento: anche romanzi di oltre 6/700 pagine come 2666 o I detective selvaggi di Bolano, o Gli esordi di Antonio Moresco (per fare i primi nomi che mi vengono in mente, ma la storia della letteratura è piena di storie del genere) non erano sostenuti economicamente dal sistema editoriale (che infatti si è precipitato solo a sfruttarli in seguito soprattutto per quanto concerne Bolano), eppure, facendo lavori lontanissimi da quelli “culturali”, sono stati stesi, e in qualche modo sono stati pubblicati e letti. Non è sempre tutto così lineare e semplice. Anche voi quando avete scritto “Q” non penso che stavate lì a farvi i conti in tasca. Facevate altro e avete rubato a voi stessi ore di riposo per scriverlo. Non penso che il discorso ebook/libro si possa ridurre a un puro calcolo economico.
Grazie, WM2, delle precisazioni.
Ribadisco che per me, nonostante il lavoro editoriale alle spalle sia lo stesso, un testo cartaceo ed un testo digitale non sono la stessa cosa (anzi, si tratta di prodotti “merceologici”, scusate il termine) diversi e non propriamente paragonabili.
Il flame da me (involontariamente) innescato nasceva (anche) dall’aver equivocato che nel caso di questo testo (in uscita solo in digitale) non fosse previsto “tra qualche tempo, as usual, … libero download dal sito”.
Ora che il “malinteso” è stato da te fugato, aspetto di sapere se questo esperimento si rivelerà o meno economicamente proficuo.
Personalmente, i miei due cents, mi sono sempre chiesto se lo iato tra uscita cartacea e digitale corrispondesse o meno allo spike di vendite di un nuovo prodotto editoriale… cerco di spiegarmi meglio, scusando per la mancanza di terminologia tecnica propria del mondo dell’editoria, e premettendo che (da lettore) non inseguo le novità del momento, ma cerco buoni libri, e che negli anni ho oramai accumulato una ahimé coda di lettura moooolto lunga.
Sinora, l’uscita delle vostre opere in digitale corrispondeva alla fase calante delle vendite (graditi eventuali esempi e raffronti con altri prodotti editoriali, se disponibili)? Assistavate ad un fenomeno di rebound? C’era un periodo di latenza?
Grazie per le eventuali risposte
@lulumassa: Il punto in questione non è: siccome non mi guadagnerò (più) da vivere con romanzi di 6/700 pagine & anni di lavoro collettivo, allora smetto di scriverli. Ma piuttosto: siccome quel genere di romanzi mi piace scriverlo, come faccio a campare mentre li scrivo? Fino a cinque anni fa io lavoravo ancora part-time per una cooperativa sociale, facevo l’educatore, pigliavo sei euro (lordi) all’ora. Posso benissimo tornare a fare quel mestiere e dedicarmi ai romanzoni nel tempo libero (ma poi di sicuro dovrei tagliare qualcos’altro del mio attuale “lavoro culturale”. Ad esempio Giap. Ad esempio tour di presentazioni come quello per Timira. ) Oppure posso provare a capire cosa, del mio attuale lavoro, si potrebbe valorizzare meglio, in modo da potermi permettere quelle operazioni a fondo perduto, che nel campo culturale devono sempre esistere. Giulio Einaudi diceva che un grande editore deve pubblicare almeno quattro libri all’anno sapendo già che saranno in perdita nera. Lo trovo sacrosanto, però poi l’Einaudi è fallita e se l’è comprata Mondadori. Io vorrei provare a coniugare “l’arte per l’arte”, il lavoro collettivo, la cultura per tutti e il dar da mangiare ai miei figli.
@WM2 grazie per la risposta (e scusa per la forma delle mie domande, per fortuna hai capito quello che volevo chiederti).
@WM2 Ps: una piccola notazione amara: “Fino a cinque anni fa io lavoravo ancora part-time per una cooperativa sociale, facevo l’educatore, pigliavo sei euro (lordi) all’ora”, anch’io lavoro per una cooperativa sociale e il compenso lordo, ad oggi, non è variato di un centesimo.
@sportgoofy. Dietro lo iato tra uscita in libreria e file digitale in download gratuito non ci sono mai stati calcoli particolari. All’inizio inizio, c’era proprio un lavoro da fare sul testo, perché le ultime correzioni noi le facevamo in bozza, su carta, ed era l’editore a trasferirle nel file pronto per la stampa. Tale file – almeno così ricordo – dava qualche difficoltà di conversione nel formato word o rtf, quindi eravamo noi a trasferire tutte le correzioni manuali dalla carta delle bozze all’ultima versione digitale in nostro possesso (tra l’altro, Einaudi ci aveva concesso il copyleft, ma da qui a girarci i file corretti per metterli in download c’è voluto tempo e vaselina).
Dal nostro punto di vista, oggi, la pubblicazione cartacea in libreria e quella gratis in download potrebbero essere contemporanee, da subito. Credo non cambierebbe nulla. Però ci siamo sempre detti che è bello “regalare” a chi acquista in libreria un piccolo diritto di prelazione sul contenuto del volume: paghi, e oltre all’oggetto libro hai pure il “benefit” di leggere prima.
Altri dati & studi non ne abbiamo mai ricavati e quindi non saprei come rispondere alla tua curiosità.
Se il leggere digitale è il leggere un “bene comune”, mi chiedo se lo scrivere digitale sia ugualmente il produrre un “bene comune”.
Ipotizzo che dipenda dal lavoro che sta dietro al bene digitale prodotto.
Se un bene digitale *deve* essere gratuito, certi beni digitali semplicemente spariranno, non verranno prodotti, perché il lavoro che c’è dietro abbisogna, in questo sistema in cui viviamo, di una retribuzione.
f.
@sportgooffy:
<>
Cioè fammi capire, sono 15 minuti che mi leggo ciò che hai scritto, perché giuro volevo capire e comprendere, e poi era tutta fuffa perché avevi “equivocato”?? (WM2 aveva già chiarito 2 minuti dopo il tuo post…)
Non solo, definisci le nostre risposte flame e tra l’altro dici che non era tua volontà?? (Dandoci dei “fan” capaci solo di flame…)
Lo sapevo già da stamattina che non dovevo continuare la tua diramazione, che le premesse erano assurde…
ma ora mi accorgo che l’attenzione che ho (abbiamo) dato a ciò che hai scritto non aveva un briciolo di corrispettivo.
Incredibile, come ha già detto qualcuno solo allibito.
Non ce la faccio manco ad insultarti.
Ecco, appunto, facciamo che non ci si insulta e chiudiamo questo flame, per favore.
No, davvero, senza voler insultarci…
Da sempre WM = download gratuito dei testi digitalizzati in copyleft
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12/02/2013: contro-ordine; ebook in pagamento (e nel post non si parla di un libero download dopo n tempo)
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dopo aver argomentato che il modello di ricavo economico cosi’ congegnato mi lasciava perplesso (sai, tutto il discorso di come ripagare la prima copiadi una edizione digitale virtualmente replicabile all’infinito?), anche in relazione alle loro posizioni sul copyleft ed il download gratuito, WM2 scrive che dopo x tempo, come sempre, il download gratuito sarà a disposizione dal sito, come sempre (e, guarda, capisco che in un post promozionale non sia forse troppo intelligente scrivere qualcosa tipo: “tranquilli, tra qualche mese ve lo scaricate gratis da qui”, se l’obiettivo è di guadagnare qualche tallero, ma (volutamente) sembrava tutta la politica del download in copyleft ad essere messa in discussione)
…ora, una discussione è proficua quando, al termine della stessa, il numero delle informazioni in possesso di chi ha partecipato è aumentato; credo che questa sia una definizione su cui sia pacifico essere daccordo. Ora, rileggo di nuovo quanto sopra, e, non so, io credo di aver ricavato nuove informazioni che prima non avevo.
Guarda che comunque non è questione di talleri e di marketing. Anche quando esce un nostro libro cartaceo, mica stiamo lì a ricordare che, col tempo, lo metteremo in download gratuito: è la nostra filosofia da tre lustri a questa parte, capita che la si dia per scontata. Allo stesso modo – perché ripeto: io tutta ‘sta differenza non ce la vedo – quella filosofia continua ad essere valida per questo nostro primo e-book-solo-in-e-book, senza DRM, a pagamento sulle piattaforme. Sbaglierò, ma non mi sembrava ci fosse bisogno di ribadirlo. Il malinteso mi pare nasca da un voler pensar male a tutti i costi. Basta chiedere, no? “Oé, wuminghi, ma poi lo mettete in download gratuito, ‘sto nuovo libercolo, oppure no?”. Ma va be’, l’importante è che alla fine ci s’è capiti.
Giusto per preannunciare che tra oggi e domani dedicherò un post nel mio blog a tutto quello che si va discutendo qui (come al solito le cose più importanti per quel che accadrà in futuro accadono nei luoghi meno frequentati dall’establishment… quanti editori-as-usual staranno seguendo questa discussione? Mah…), e lì proverò a dire la mia articolando un po’ di più rispetto a quello che riuscirei a fare qui.
Approfitto anche per precisare che:
– sì, tutti i retailer (librerie online) prendono il 30% (Amazon inclusa)
– sì, Ultima Books è la libreria online di Simplicissimus (che quindi oltre che distributore “all’ingrosso” di ebook verso tutte le librerie online fa anche da libraio). E Ultima Books, per sua scelta, trattiene non il 30%, che come ho detto è lo standard, ma il 25%. Quindi nel caso in cui un ebook venga comprato su Ultima Books editore e/o autore si portano a casa qualche centesimo in più.
[…] contano si sta parlando magari (e nell’unica maniera che ha senso, cioè problematicamente) nei commenti di un blog. Di un blog piuttosto famoso, certo, quello di Wu Ming, epperò (non me ne vogliano gli amici di Wu […]
Premesso che sono un’accanita lettrice di WuMing e che sulla questione ebook sono una nostalgica conservatrice (quindi se c’é un libro da comprare in libreria per me é sempre meglio!); ho qualche appunto da fare alla versione pdf di questo testo:
mi sarebbe piaciuto avere un indice all’inizio del testo e anche la numerazione delle pagine, in questo modo il tutto sarebbe stato molto piú facilmente consultabile. Vi dico questo perché trovo Giap un’ineasauribile fonte d’ispirazione e di consultazione (anche scientifica). Le bibliografie ragionate alla fine di ogni post sono invece un’idea geniale!
Grazie ancora per il vostro lavoro!
Scusate l’off topic da esgc e la poca condivisione del felice entusiasmo con gli altri commenti, ma quest’ultimo vostro lavoro, credo, non lo leggerò mai.
Non è una questione economica, anzi, ho sempre comprato i vostri libri e se qualche volta li ho letti in prestito, poi li ho comprati per regalarli: in questo modo retribuivo il vostro lavoro, che è sempre cosa buona e giusta.
Non mi addentro nemmeno in ambiti che non conosco, la crisi dell’editoria, quanto sia più inquinante un libro di carta rispetto a un ebook (in realtà non credo lo sia ma, appunto, non ho condotto studi approfonditi in materia).
E’ puro piacere: i libri li voglio sfogliare.
Ho un computer, ci mancherebbe, sul quale anzi lavoro tutto il giorno, e spesso lo uso per scrivere pure la notte. Mai per leggere un libro, nemmeno dei racconti. Non sono nostalgico, di nulla. Eppure i libri li voglio toccare, piegare, sfogliare, rovinare e poi smadonnare per aver trasgredito la loro sacralità e tornare a custodirli gelosamente, magari regalandoli che è un buon modo di possedere le cose.
Ricordo che addirittura nel millennio passato i primi scritti di questi autori, che credo non siano mai stati pubblicati, li avevo stampati nell’ufficio di mio padre e poi ero andato in una cartoleria universitaria a farmeli rilegare, per poterli leggere.
Scusate la splafonata (cit.) e l’esgc. Era per dire che fate benissimo a farvi pagare gli ebook, ma che personalmente libri e racconti continuerò a leggerli solo sulla carta.
E se mai un giorno… Allora, forse, ci penserò.
Guarda, ti capisco perfettamente. Io pure sono “cartofilo”, mi hanno regalato un ereader e ancora non l’ho utilizzato. Però ti faccio notare una cosa: questo ebook è una raccolta di post usciti su questo blog. Sarebbe un po’ curioso che leggessi Giap e poi ti rifiutassi di leggere un’antologia di Giap perché è in formato elettronico, no?
Per quanto riguarda i nostri prossimi due romanzi in uscita: Point Lenana e L’Armata dei Sonnambuli, be’, saranno in libreria in formato cartaceo as usual. E non costeranno 4 euro.
@WM4
Premesso che non ho (ancora) un ereader, che non so più dove mettere i libri, che odio i navigatori e il GPS e adoro fino al feticismo ogni tipo di carte geografiche, mappe, bussole, altimetri, meridiane e cianfrusaglie siffatte: penso che, se non proprio da Point Lenana che è imminente, non vedrei male le uscite successive anche in digitale.
Tipicamente voi rendete disponibile il libero download qualche mese dopo l’uscita cartacea. Io non avrei nessun problema ad accettare il principio per cui la versione digitale ha un suo costo nei primi mesi e diventa successivamente gratuita con le consuete tempistiche. Non sono nemmeno sicuro che un giorno non acquisterei direttamente il digitale anziché il cartaceo, chi può dirlo. Quello che mi pare, invece, è che le svolte siano tanto più incisive quanto più rapide e nette, indipendentemente dal fatto che a posteriori si rivelino giuste o meno.
(scusate se interagisco molto su questo argomento… non sto cercando di fare il vostro mestiere, ma il mio: lettore, giapster, casomai “cliente”, tutto meno che “fan” ;-)
Infatti: “E non costeranno 4 euro.” Anche per quel che mi riguarda i libri di carta sono una passione. La maggior parte di quelli che ho sono molto vissuti, stropicciati e depositari perfino di affetto, in un certo senso. Non sono tuttavia un feticista dell’oggetto tradizionale, per dir così, e di un libro continua a interessarmi la sequenza di parole che contiene, più di tutto il resto. Nessun sarcasmo in questo :) ma solo una sottolineatura. Il problema che ho è che non mi posso permettere di acquistare libri di carta: cerco di leggerne molti, il più possibile e non solo per intrattenimento, perchè ritengo che siano una delle migliori strade per cercare di capire… bè, un po’ tutto.
Ci sono titoli da consumare subito, altri da mettere in magazzino, altri da iniziare e non finire etc.. E chi ce li ha i 100 o 200 al mese da spendere? Si fa presto: sono sufficienti 5/10 titoli. Che non vuol dire leggersi dieci libri al mese, ma averne la disponibilità, e poi ci sono infiniti modi di interagire con un testo (anche meglio se fatto di bit). Continuo, quando posso, a perorare la causa della parola scritta come strumento di crescita e di emancipazione dallo schifo retorico che ci inviluppa tutti e che respiriamo come l’aria. Del resto abito in un piccolo paese e se dovessi fare affidamento solo sulla biblioteca sarebbero dolori.
Ah, a proposito dell’ereader: è uno strumento comodissimo per leggere testi lunghi come il profluvio di commenti qui presenti; ennesimo per giunta. Starvi dietro non è affatto facile: non sono in pari e del resto l’argomento mi appassiona molto. Piuttosto che bruciarmi le retine sullo schermo del pc (concordo in pieno con ellepuntopi), copio e incollo sull’ereader come faccio ormai con la gran maggioranza di articoli o post che mi capita di incontrare sulla grande rete. Anzi, spero mi permettiate la richiesta di un consiglio tecnico che, mi auguro, qualcuno qui mi potrà dare. Per copiare e incollare tutti i commenti, anche quelli nidificati, è giocoforza aprire prima tutti i “rami” o c’è un modo alternativo? Qualche volta ho incollato la versione stampabile che però non rispetta proprio la nidificazione e si rischia di fare casino. Come software uso “GrabMyBooks”, c’è qualcosa di meglio?
Mi rendo infine conto che la discussione si sta avvitando più che sul libro sul suo formato, ma è evidente che si tratta dell’emersione di un tema necessario. Era ora :)
@WM4 In realtà non trovo alcuna contraddizione tra il leggere i post su Giap e non comprare un ebook, o in generale gli ebook. Tant’è. Quello che volevo dire è che, se non sbaglio, questo libro oltre che il primo scaricabile a pagamento è anche il primo che esce solo in formato elettronico. Il mio timore, che invece si è trasformato subito in auspicio per VecioBaeordo e altri, è che un giorno smettiate con la carta e passiate definitivamente all’elettronico. Felice che almeno le prossime due uscite le troverò sicuramente cartacee, e non per feticismo, per adesso ho deciso di fare una prova, e ho comprato il primo ebook per il mio ifono. Se però mi si rovinano gli occhi, saprò con chi prendermela :-)
Luca, lo sai quanto vendono gli ebook in Italia? Coprono lo 0,9% delle vendite di libri. Tombolini avrà dati più aggiornati di questi, che risalgono alla primavera 2012, comunque mi sembra che nemmeno i più ottimisti vadano oltre la previsione di un 10-15% nel giro di tre anni. Facciamo anche il 20%, vai, anche il 30%, giusto er ipotesi. Anche in quel caso resta un 70% di vendite cartacee. Secondo te è plausibile che chi vuole raggiungere i lettori rinunci alla carta? Certo l’editoria non può andare avanti com’è adesso, ma pensare che i libri “tradizionali” spariranno mi sembra decisamente osé.
Caro WM1, quel che dici è proprio vero, di carta ne avremo sempre in abbondanza. Magari si potrebbe aggiungere che quello 0,9 si spiega anche col fatto che l’italico *Sistema* editoriale vede la declinazione elettronica del proprio mestiere molto peggio del fumo negli occhi. Mettiamola così: sono piuttosto sicuro che se per magia la quota ebook del mercato librario italiano crescesse così d’amblè, dalla sera alla mattina, fino alla quota del 30% che hai citato si verificherebbero parecchi casi di morte per istantanea autocombustione fra le schiere degli italici, ben remunerati quadri editoriali. A partire dalle quattro sorelle (cioè i quattro maggiori gruppi che se non vado errato coprono da soli praticamente la totalità del tutt’altro che sviluppato mercato italiano) il castello fatato della rendita di posizione sta crollando (forse). Sono imputati molti fattori concomitanti e soggettività commerciali tout-court che per l’angusto quartierino nostrano sono tali e quali agli ostili omini verdi con le antenne e le mani a tre dita. Penso che si possa dire che l’attore principale di questa rottura di equilibri sia stata Amazon (estate 2011, mica tanto) di cui, per amor di chiarezza, penso tutto il male possibile per molti motivi ma in particolare perchè io e quelli come me: «[…] comunque non mangeremmo le persone. No. Non le mangeremmo. Per niente al mondo. No. Per niente al mondo. Perché noi siamo i buoni. Sí. E portiamo il fuoco. E portiamo il fuoco. Sí. Ok.» :) Non so se mi spiego.
[Nota: quello citato è un piccolo e suggestivo brano di “La Strada” di McCarthy che a mio avviso bene racconta lo squalismo istituzionalizzato in cui ci tocca (soprav)vivere. Vedi un po’, in conseguenza del precedente post prunetttiano ho sentito l’esigenza di rileggere. Grande libro.]
Secondo me, e lo so che sto battendo sul mio solito chiodo fisso, che delle opere letterarie (e qui intendo l’aggettivo in un’accezione vasta) rimangano “hard copies” su carta è tutta salute. Smaterializzare tutto quanto – o meglio: fare in modo che per leggere tutto quanto sia necessaria l’erogazione di corrente elettrica in date condizioni e dentro un dato insieme di conoscenze tecniche accumulate – significa, molto semplicemente, non lasciare reperti per gli archeologi del futuro. Se in una zona di scavi trovo un libro incellophanato o comunque ben conservato, capisco subito che è un libro e – se conosco la lingua antica in cui è scritto – posso leggerlo anche senza elettricità. Se trovo un iPad, magari mi sembra solo uno specchio di fattura scadente con una cornice di plastica. Ma di questo abbiamo già parlato a iosa nel thread sul feticismo digitale e poi in quello su “Futuro anteriore”. Ad ogni modo, fidatevi: la digitalizzazione va bene, e al tempo stesso le hard copies sono necessarie.
Si tratta ancora di un avvicinamento alla virtualità del libro che, de facto, rimane un oggetto feticistico (aldilà della sua natura materiale).
I libri si regalano, si collezionano, si personalizzano e si mostrano, diventando veri e propri oggetti di arredamento/design (già Seneca invitava i suoi amici a non possedere libri per abbellire le proprie case).
Questi paradigmi culturali, al momento, sono fattori più importanti di quelli ecologici/economici per la sopravvivenza dell’oggetto-libro-di-carta.
Per il discorso sulla trasmissione dellinformazione che facciamo su Futuro Anteriore è cosa buona; per quello sul consumismo/mercificazione della cultura non lo è. La questione comunqe non ruota solo attorno ai possibili formati di fruizione, ma ai meccanismi di archiviazione, trasmissione e condivisione della cultura. Una roba tutta in divenire…
Mi viene da rispondere, visto che mi citi e La strada è uno dei libri che amo di più (non potevo non leggere McCharty, quando lavoravo nelle stalle dei cavalli). Ritirando fuori una cosa detta da WM1 nel post a cui ti riferisci tu, Sir Robin, a me viene da pensare che proprio Giap sia “la casa”, quella casa di chi non vuole fare giochi di specchi virtuali nei commenti dei social network. Dove si possono affrontare tematiche così profonde della cultura e della politica italiana in maniera interattiva, fuori da Giap? Io scrivo da anni su Carmilla, ma lì facciamo un lavoro diverso. Siamo un gruppetto di redattori, lavoriamo tutti su cose diverse e non abbiamo forze fisiche per gestire i commenti e moderarli (cosa per cui servono grandi competenze e sangue freddo, come ho visto trovandomi nel mezzo a qualche flame polemico). Mettere olio nei motori di Giap è qualcosa che si merita un sostegno economico. E secondo me il modo migliore per sostenere Giap è comprare ancora i libri dei Wu Ming, per permettere loro di continuare a fare quello che fanno adesso. (Leggo Giap da tanto tempo ma non intervengo spesso, perché faccio molte cose fuori dalla rete. Mi rendo conto però che è davvero un piacere interagire qui con voi, anche se sono riuscito a leggermi tutti i commenti di questo post solo adesso che è domenica, è già i Wu Ming hanno rilanciato su Fenoglio che è uno scrittore che amo… ma che motore avete, come si fa a tenere il vostro passo?).
Dimenticavo: devo anche ringraziare Giap (e quando dico Giap intendo anche i Giapster, non solo i Wu Ming) per avermi fatto scoprire l’universo di Tolkien…
Alberto, la penso come te. Aggiungo: se dovessero chiudere (gesto apotropaico) Giap!, Carmilla e pure Lipperatura, entrerei in depressione. Sono i miei spazi quotidiani di confronto continuo, anche faticoso. Sono delle vere e proprie palestre per le sinapsi.
@ellepuntopi
Non ho mai pensato “smettiate con la carta e passiate definitivamente all’elettronico”. Se ho fatto capire questo mi scuso.
Ho auspicato che il formato elettronico venga sempre più affiancato e *venduto* in contemporanea con il cartaceo per un certo periodo prima di renderlo “formalmente” gratuito.
Penso che il ragionamento proposto dai WM sia assolutamente interessante. In particolare, penso che il criterio principale con il quale valutare la bontà delle pratiche politiche risieda nella riproducibilità della stessa. Ecco, penso che l’impostazione data dai WM nella presentazione del nuovo lavoro – lungi dall’essere una racconta fonda tra gli adepti- provi a ragionare in termini di diverficazione della platea di riferimento ed arrivare anche al pubblico, crescente, di smanettatori di libri digitali.
Ergo: sapete dirmi se e come possa scaricare il libro in formato mobi per kindle? sul nemico di classe amazon non riesco a trovarlo…
Hola,
Da Ultima Books puoi scegliere se acquistare il formato .mobi o .epub, se invece vuoi acquistare dal NemicoDiClasse il link è questo:
http://www.amazon.it/dp/B00BEN790Q
[deformazione professionale mode off]
Accidenti, se avessi saputo che su Ultima Books c’era anche il mobi l’avrei comprato da lì, invece sono andato direttamente su amazon. Sarà per la prossima volta
Grazie Wu Minghi tutti e TDL, l’antologia di Giap è una cosa essenziale a mio avviso.
Personalmente sono convinto che i libri su carta andrebbero disincentivati, sono un costo in termini economici e ambientali che sta diventando insostenibile, senza poi contare il fatto che si è utilizzato risorse sempre più carenti per pubblicare libri dal contenuto dubbio, mi fa pensare che esista anche un costo filosofico (pensate ai libri scritti da politici, calciatori, barzellettieri improvvisati et al.).
Sarà certamente un POV estremo e personale, ma sono convinto che la capacità di sopravvivenza (culturale) sia congruente alla capacità di adattamento alle nuove tecnologie (il vostro CV, cari Wu Minghi, lo dimostra).
Non vedo come rilasciare un ebook a pagamento (modesto e senza DRM oltretutto) possa suscitare l’indignazione di alcuni, che addirittura usano una retorica da: “fine di un epoca”.
Questo mi ricorda cosa diceva il compianto Caronia, quando parlava di quel “margine dell’amara fine di un epoca [in senso lato quella analogica]”, che invece era l’inizio di una nuova avventura dal “[…] ritmo frenetico di una società la cui evoluzione è talmente rapida che richiede un’elevata capacità di adesione al cambiamento” [Cyberpunk Istruzioni per l’uso, 1995].
PS: non ho ancora acquistato, ho una coda di lettura un po lunga al momento, ma lo farò presto. Per caso è inserita anche la discussione e relativo podcast di Wu Ming 1 su The Gernsback Continuum, ed altri testi? È una delle mie preferite della wumingoteca ^_^
Assolutamente, sì. “L’occhio del purgatorio: i tempi della rivolta e dell’utopia”: Wu Ming 1 sul racconto di Gibson e su “L’occhio del purgatorio” di Jacques Spitz. Testo fondamentale della IV sezione intitolata “Revolution”.
Cari WM,
il download gratuito dei vostri libri mi ha permesso di appassionarmi alle vostre narrazioni anche se non sempre avrei avuto i soldi per farlo, quindi vi sono debitore. Ho molto terreno da recuperare, primo perchè vi conosco da relativamente poco (le lacune della militanza da sanare: più ne sani, più ne scopri di nuove), secondo perchè ho ereditato un marchingegno elettronico solo da qualche mese.
Sono sempre stato un amante della carta, e credo lo rimarrò ma l’idea di affiancare la modalità “contributiva” a quella “libera” per i vostri ebook penso possa rispondere a diverse esigenze nonchè fasce differenti di lettori/lettrici.
Se penso a me, universitario squattrinato, spesso obbligato a dare la precedenza ai testi d’esame con la necessità di “starci dentro”, la soluzione “libera” è quella che mi permette di attingere alla vostra preziosa fonte. Ma dato che, anche come si evince dai commenti de* var* giapster ai posts, questa comunità è diventata un crocevia di confronto intergenerazionale, penso che crescere e aver cresciuto più di una generazione di “sensibili” crei anche una diversa possibilità di sostenere il vostro Lavoro. Diciamo che a mio avviso la doppia possibilità permetterebbe una diffusione verso nuovi lettori (guardando la mia esperienza personale, ad esempio) che potrebbero in un secondo tempo diventare sostenitori. E come si diceva giustamente prima, finchè la pagnotta non sarà garantita altre piste come quella del prefinanziamento possono essere sondate. Rockit (che ha scritto una recensione su “Gioco di Società” che ancora mi emoziona), sicuramente conoscerà i FolkStone, gruppo folk-metal (criptolibertario) bergamasco che per almeno il quarto album (su quattro) gli album ha sperimentato questa forma e pare aver funzionato, pur non essendo conosciutissimi, ma molto meritevoli, se si apprezza il genere.
Per la questione sostenitore, confesso, non vi ho mai fatto una donazione, ma questo è per il mio odio viscerale verso la moneta digitale: ci sono altri modi per sostenervi direttamente che non sia un finanziamento tramite carta di credito (che non ho)?
Ammetto poi che sarebbe suggestivo fare una WuMingFest, al posto della defunta festa dell’Unità, dato che come per le vostre narrazioni future, molte energie sui territori, aspettano di essere liberate con la lettura giusta.
Appena scopro come comprare questo ebook, essendoci solo in versione digitale e costando non più di una birra media, brinderò a questa comunità con la mia copia.
Un caro abbraccio a tutti e buon lavoro!
Per me avete fatto bene.
E l’idea di una “summa” degli ultimi due anni di giap mi piace
L’e-book l’ho preso or ora da amazon.it
Ero al Forte Prenestino, a settembre del 1999, quando suonarono i Fugazi.
L’ingresso costava 5.000 lire.
Avete letto bene, 5.000 lire per i Fugazi.
Ero in fila sul ponte levatoio, quando arrivarono un gruppo di persone, sedicenti “anarchici”, che volevano entrare senza fare la fila e senza pagare con l’argomento “Questo è un posto occupato? Beh, allora devo entrare senza pagare”. Uno del Forte dovette uscire per spiegare il concetto, semplice semplice, che se tutti paghiamo poco é possibile per tutti avete tutto a poco.
La cosa che mi rattrista nel leggere alcuni commenti – quelli che “se Wu Ming fa pagare è la fine di un’epoca – è che tutti incentrano la discussione sulle modalità tecniche e gli strumenti, senza tener conto dei contenuti e della produzione e creazione degli stessi.
Se proprio pensate che pagare 4 eury per l’ebook di Giap! sia la fine di un’epoca, fate una cosa: scorrete tutti i post, selezionateli, tasto destro, “copia”, aprite una pagina word, “incolla”.
Dopo di che, avrete risolto il problema dello strumento tecnico, ma non vi siete assolutamente soffermati a considerare quello dei contenuti.
5.000 lire nel 99 per i Fugazi erano ormai troppi secondo me (non lo erano di sicuro nel 90 http://www.youtube.com/watch?v=nuxtoj-eZSo).
non sarà troppo pagare 3,99 € per Wu Ming nel 2013?
comunque sia lunga vita ai Fugazi e pure a Wu Ming
Nel ’90 – o giù di lì – 3.000 lire per i ManoNegra, al Forte. Storie dell’altro secolo.
@WM*
Trovo un po assurdo il fatto che vi dobbiate giustificare per aver messo un (1) libro (che è un antologia) in Digital Download.
Mi ricordo di un intervista di WM4 a Camilleri, il quale definiva il lavoro di scrittore come “artigiano della parola” (nel senso di falegname), ebbene perché dunque non dovete essere retribuiti per la vostra technè (come farebbe un falegname o un montatore dell’ikea) ?
Sopratutto quando il prezzo del “prodotto”(odio quando ci si riferisce ad un libro chiamandolo così) è popolare e permette, a voi, di vivere senza diventare antropofagi e divorare la vostra prole e a noi di godere del vostro prossimo lavoro.
Inoltre venite da un decennio di copyleft e free download, di scelte da “campioni dell’antimarketing” per usare le vostre stesse parole, di cultura gratuita e senza tornaconti e di opacità ai media mainstream, che smonta preventivamente qualsiasi accusa di volersi arricchire o di imborghesimento.
Forse bisognerebbe ragionare al di fuori del pregiudizio secondo il quale Creative Commons e Open Source sono sinonimi di gratuità.
Uno dei Padri Filosofici del copyleft, Richard Stallman, creatore della licenza GNU GPL (e non solo), si è rifiutato più volte di cooperare con le software houses di punta nel mondo Open Source, proprio perché i prodotti open e creative non significavano gratis, ma solo liberi di essere riprodotti o di avere la possibilità di accesso al codice (cosa comunque non da poco).
Ciò non toglie che, per quanto siano affascinanti, i discorsi sulla prima copia, sulla proprietà intellettuale dell’artista etc., non possono essere usati per mascherare una critica per giunta immotivata.
@Dubmilitant: ma infatti la risposta è tutta qui, in quella che tu chiami techné! :)
Hai ragione da vendere: la gente che scrive fregnacce sul CC, copyleft, ecc ecc, non si rende conto che i 4 eury sono SOLO il compenso – da immigrato senza permesso di soggiorno nei campi di pomodori – per tutta quella enorme mole di lavoro intellettuale e materiale fatta di ricerca, approfondimento, comparazione e infine scrittura.
Quella mole di lavoro che qualcuno ha fatto per me, l’ha confezionata e me la mette a disposizione.
I 4 eury so’ pochi!!!
sportgooffy 14/02/2013 at 3:51 am
Guarda, rispondo solo perchè mi fischiano le “fregnacce”, e lo faccio citando proprio Stallman, che 1) è sempre stato attento a non confondere le battaglie contro il copyright per il software libero con, guarda caso, altri ambiti come l`editoria: ” L’idea del copyright non esisteva in tempi antichi, quando gli autori copiavano estesamente altri autori in opere non narrative. Questa pratica era utile, ed è il solo modo attraverso cui almeno parte del lavoro di alcuni autori è sopravvissuto. La legislazione sul copyright fu creata espressamente per incoraggiare l’originalità. Nel campo per cui fu inventata, cioè i libri, che potevano essere copiati a basso costo solo con apparecchiature tipografiche, non fece molto danno e non pose ostacoli alla maggior parte dei lettori.
Tutti i diritti di proprietà intellettuale sono solo licenze concesse dalla società perché si riteneva, correttamente o meno, che concederle avrebbe giovato alla società nel suo complesso. Ma data una situazione particolare dobbiamo chiederci: facciamo realmente bene a concedere queste licenze?” 2) ” free non è gratis” è un joke di traduzione, data l`ambiguità del termine fede, che in inglese vuol dire tanto libero quanto gratuitoMentre il software libero chiamato in qualunque altro modo offrirebbe le stesse libertà, fa una grande differenza quale nome utilizziamo: parole differenti hanno significati differenti: ”
Nel 1998, alcuni sviluppatori di software libero hanno iniziato ad usare l’espressione “software open source” invece di “software libero” per descrivere quello che fanno. Il termine “open source” è stato rapidamente associato ad un approccio diverso, una filosofia diversa, valori diversi e perfino un criterio diverso in base al quale le licenze diventano accettabili. Il movimento del Software Libero e il movimento dell’Open Source sono oggi due movimenti diversi con diversi punti di vista e obiettivi, anche se possiamo lavorare, e in effetti lavoriamo insieme ad alcuni progetti concreti.
La differenza fondamentale tra i due movimenti sta nei loro valori, nel loro modo di guardare il mondo. Per il movimento Open Source, il fatto che il software debba essere Open Source o meno è un problema pratico, non un problema etico. Come si è espresso qualcuno, “l’Open Source è una metodologia di sviluppo; il Software Libero è un movimento di carattere sociale”. Per il movimento Open Source, il software non libero è una soluzione non ottimale. Per il movimento del Software Libero, il software non libero è un problema sociale e il software libero è la soluzione…
Noi non siamo contro il movimento Open Source, ma non vogliamo essere confusi con loro. Riconosciamo che hanno contribuito alla nostra comunità, ma noi abbiamo creato questa comunità e vogliamo che si sappia. Vogliamo che quello che abbiamo realizzato sia associato con i nostri valori e la nostra filosofia, non con i loro. Vogliamo che ci sentano, non vogliamo sparire dietro ad un gruppo con punti di vista diversi…
L’espressione “software libero” ha un problema di ambiguità: un significato non previsto, “software che si può avere senza spendere niente” corrisponde all’espressione altrettanto bene del significato previsto, cioè software che dà all’utente certe libertà. Abbiamo risolto questo problema pubblicando una definizione più precisa di software libero, ma questa non è la soluzione perfetta. Non può eliminare completamente il problema. Sarebbe meglio un termine corretto e non ambiguo, presupponendo che non ci siano altri problemi.
La definizione ufficiale di “software open source,” come pubblicata dalla Open Source Initiative, si avvicina molto alla nostra definizione di software libero; tuttavia, per certi aspetti è un po’ più ampia, ed essi hanno accettato alcune licenze che noi consideriamo inaccettabilmente restrittive per gli utenti.
Ma la spiegazione di “software libero” è semplice: chi ha capito il concetto di “libertà di parola, non birra gratis” non sbaglierà più. [In inglese, «free speech, not free beer» mette sinteticamente in contrasto i due significati della parola «free»]
Il principale argomento a favore dell’espressione “software open source” è che “software libero” può far sentire a disagio. Ed è vero: parlare di libertà, di problemi etici, di responsabilità così come di convenienza è chiedere di pensare a cose che potrebbero essere ignorate. Questo può causare imbarazzo ed alcune persone possono rifiutare l’idea di farlo. Questo non vuol dire che la società starebbe meglio se smettessimo di parlare di questi argomenti.”. La questione “gratuito Vs libero” è quindi in effetti un po diversa da come da te sintetizzato. 3) Stallman non ha mai apprezzato il mondo open-source, per opposte visioni filosofiche, ma per come hai scritto, sembra quasi di comprendere che il free software sia a pagamento, dato che la differenza con l`open source consiste nella “gratuità” di quest`ultimo. PS: per Sergio: sai spiegarmi la parabola discendente, dalle serate a sottoscrizione al Forte ai mercoledì “Agata” al Branca?
Una domanda alla quale forse avete gia’ risposto molte volte: ma sostituire l’ anticipo della casa editrice con il crowdfunding potrebbe funzionare per voi? Secondo me potreste finanziare progetti letterari anche super ambiziosi usando questo strumento. Per quanto riguarda l’ antologia di giap per assurdo secondo me sarebbe più utile averla su carta essendo per definizione gia’ disponibile a tutti in forma digitale. Comunque l’ ho comprata pure io. Giap patrimonio dell’umanita’
Sì, ho già fatto l’esempio nel sottothread più sopra, inaugurato da sportgooffy. Pensare con il crowdfunding di finanziare un progetto da 6/700 pagine, due anni di lavoro x 4 persone, mi pare davvero impossibile, almeno per il momento. Per progetti più ridotti, faremo senz’altro esperimenti.
secondo me tirereste su cifre non immaginabili, con il seguito e la coerenza che avete nessuno si tirerebbe indietro ad un appello di questo tipo, in piu’ il crowdfunding sarebbe molto piu’ efficace per progetti ambiziosi lunghi e difficili.
Non scrivevo qua sopra da eoni, sebbene continuassi a leggere più o meno tutto, quindi, prima di intervenire nella discussione colgo l’occasione per lasciare un abbraccione immenso virtuale ai WM e a Tommaso :) (ovviamente, oltre all’abbraccione, sarò ben felice di contribuire alla causa, domattina vò a rifare la Postepay che l’ho persa per la n°volta, da brava rincoglionita patentata)
Per il resto, riflettevo su questo post mentre scambiavo chiacchiere a caso con Fabrizio (@j0hngrady) su Twitter, riguardo a Spotify. E secondo me, al di là della questione strettamente editoriale, uno dei punti della questione, è proprio questo: nel 2013, con l’esistenza di servizi di sharing mainstream come il suddetto Spotify, grooveshark, soundcloud, torrent e via discorrendo, confondere il concetto politico di “cultura condivisa” con “cultura gratis” mi pare piuttosto fuorviante (come dice sopra anche dubmilitant, tra l’altro). Ascoltare/scaricare roba gratis, non è un atto politico. Lamentarsi della chiusura di Megavideo perchè non si può più vedere la propria serie TV preferita in streaming, non è un atto politico. E’ idiozia qualunquista.
“Cultura condivisa” (che non è necessariamente sempre e solo digitale) è pensare che quando compro un libro dei Wu Ming (digitale, o cartaceo), o quando pago la sottoscrizione all’ingresso in un evento in un centro sociale (profonda invidia per te sopra che hai visto i Fugazi a 5000 lire, ndr), non sto pagando una merce, non sto comprando una cosa. Sto contribuendo alla crescita di un’esperienza collettiva di lotta politico culturale che condivido e in cui più o meno credo, e so, sono fortemente consapevole, che il valore dei tre o quattro euro che ho versato non si esaurirà con la fine dell’evento o con la fine del libro, ma aiuterà i Wu Ming a scrivere altri libri, e un collettivo qualsiasi a fare cose che vanno dallo stampare volantini al tirare su ambulatori popolari.
Questione crowdfounding. Anche qui, secondo me, c’è da chiarire bene che diamine si intende per crowdfounding. Perchè se il senso del crowdfounding è quello che sta emergendo con siti tipo Musicraiser (aka: “Ti faccio venire a cena con me se caghi trecento euro per farmi fare il video nuovo”), anche no, personalmente mi lascia un po’ perplessa, è un po’ triste e perde tutto il senso politico (ed è classista, perchè crea in un certo senso divisioni sociali su basi economiche, tra lettori/fan che possono permettersi di pagare trecento euro e tirarsela perchè sono andati a cena con l’artista X e quelli che si possono permettere solo un “Ciao” inviato via mail). Ma la chiudo qui perchè sto andando OT.
Baci. E per il resto, a breve faccio l’ultimo esame peso della mia carriera universitaria e poi sparisco di meno, giuro!
E.
Ecco, il punto espresso da @eveblisset qui sopra mia pare molto interessante.
Ovvero c’è una differenza sostanziale tra l’acquistare una merce e sostenere un progetto culturale.
Impostare il dibattito a partire da questa dicotomia può sgombrare il campo da una serie di problemi.
Si rimprovera spesso alle tecnologie di rete di aver determinato un impoverimento dei lavoratori che creano i contenuti (giornalisti, musicisti, scrittori). Spesso è un rimprovero che si appiattisce sul determinismo tecnologico e tralascia le questioni politiche, ma senza dubbio non possiamo non rilevare come i modelli di business su cui si basa la rete sono ancora fortemente improntati a uno sfruttamento bieco.
Questa situazione è immutabile? A mio avviso non lo è ma per mutare i rapporti di forza è necessario intraprendere un lungo percorso di lotta. All’interno degli ecosistemi digitali la questione salariale, ad esempio, non si è ancora posta con forza e organizzazione ma è un passaggio cruciale.
Da dove cominciare?
Provo a tracciare un ragionamento a partire da quanto dice eFFe qui sopra. È necessario che chi lavora coi contenuti impari una serie di competenze che precedentemente erano distribuite lungo la filiera produttiva. È necessarrio anche imparare a fare marketing. Ma cosa intende eFFe con marketing?
Se lo conosco bene (magari sabglio e mi correggerà) non intende dire che Wu Ming deve cominciare a postare foto di gattini su twitter per creare engagement.
Se lo conosco bene eFFe quando parla di marketing parla di utilizzare gli strumenti che il digitale mette a nostra disposizione per creare comunità di persone.
È dall’idea di comunità che dobbiamo ripartire per poter costruire una lotta all’interno di questi ecosistemi.
Nel post c’è scritto:
“Giap. L’archivio e la strada è in Creative Commons e senza DRM. Con ogni probabilità, già un minuto dopo il primo acquisto lo troverete gratis in molti luoghi della rete […] quasi tutti i post erano già salvabili in formato ePub e continueranno a esserlo […] – attenzione! – senza nulla togliere alla nostra policy di libera circolazione. Come si diceva, è in Creative Commons e non c’è DRM”
Però è vero che precisare questo non basta, ha ragione chi ci contesta, perché ci siamo scordati di metterci la scopa in culo e andare in giro a ramazzare le stanze.
Tra l’altro, faccio notare che il prezzo è simbolico, serve giusto a fare un esperimento. Secondo voi, con € 1,55 a download che vanno divisi tra 4 persone, e quindi 38 centesimi a testa, quante copie dobbiamo vendere per poter parlare di “reddito” senza scoppiare a ridere? Tenuto conto che poi ci paghiamo anche le tasse.
Guardate che non siamo lontani dall’aver aperto il sentiero che ci porta a sopravvivere.
Siamo lontanissimi.
A questo si aggiunga che – per non parlare bene e razzolare male – abbiamo pagato il lavoro di chi ci ha dato una mano a mettere insieme il testo (noi, non l’editore. Con i denari delle donazioni raccolte qui su Giap.)
Questo perché – lo chiarisco – abbiamo cominciato a lavorare a questo progetto *prima* di decidere nel dettaglio come procedere, quindi prima di vagliare le ipotesi e alla fine scegliere Simplicissimus. Lo abbiamo messo in piedi coi soldi della donazioni PayPal.
Più “esperimento in autonomia” di così…
Sono assolutamente d’accordo coi concetti di idiozia qualunquista e di cultura condivisa espressi da eveblissett. E, per me, pagare appena 4 euri meno un centesimo per contribuire alla crescita di un’esperienza collettiva (e alla mia crescita culturale, mica roba da poco) è come minimo un atto dovuto, vista la cifra assolutamente simbolica. Non sono ricca, mai lo sarò né vorrei esserlo, ma, semplicemente, a differenza di tante altre persone, mi piace investire nella crescita di esperienze condivise come la vostra e nella mia crescita culturale (ripeto, mica roba da poco). Se proprio devo, risparmio su altro (come se, tra l’altro, nonostante la crisi e la precarietà senza fine, appena 4 euri in tasca potessero cambiarmi la vita. Un libro come il vostro, però, so che me la può cambiare. In meglio. Appena comprato, tra l’altro :-))
Guarda, rispondo solo perchè mi fischiano le “fregnacce”, e lo faccio citando proprio Stallman, che 1) è sempre stato attento a non confondere le battaglie contro il copyright per il software libero con, guarda caso, altri ambiti come l`editoria: ” L’idea del copyright non esisteva in tempi antichi, quando gli autori copiavano estesamente altri autori in opere non narrative. Questa pratica era utile, ed è il solo modo attraverso cui almeno parte del lavoro di alcuni autori è sopravvissuto. La legislazione sul copyright fu creata espressamente per incoraggiare l’originalità. Nel campo per cui fu inventata, cioè i libri, che potevano essere copiati a basso costo solo con apparecchiature tipografiche, non fece molto danno e non pose ostacoli alla maggior parte dei lettori.
Tutti i diritti di proprietà intellettuale sono solo licenze concesse dalla società perché si riteneva, correttamente o meno, che concederle avrebbe giovato alla società nel suo complesso. Ma data una situazione particolare dobbiamo chiederci: facciamo realmente bene a concedere queste licenze?” 2) ” free non è gratis” è un joke di traduzione, data l`ambiguità del termine fede, che in inglese vuol dire tanto libero quanto gratuitoMentre il software libero chiamato in qualunque altro modo offrirebbe le stesse libertà, fa una grande differenza quale nome utilizziamo: parole differenti hanno significati differenti: ”
Nel 1998, alcuni sviluppatori di software libero hanno iniziato ad usare l’espressione “software open source” invece di “software libero” per descrivere quello che fanno. Il termine “open source” è stato rapidamente associato ad un approccio diverso, una filosofia diversa, valori diversi e perfino un criterio diverso in base al quale le licenze diventano accettabili. Il movimento del Software Libero e il movimento dell’Open Source sono oggi due movimenti diversi con diversi punti di vista e obiettivi, anche se possiamo lavorare, e in effetti lavoriamo insieme ad alcuni progetti concreti.
La differenza fondamentale tra i due movimenti sta nei loro valori, nel loro modo di guardare il mondo. Per il movimento Open Source, il fatto che il software debba essere Open Source o meno è un problema pratico, non un problema etico. Come si è espresso qualcuno, “l’Open Source è una metodologia di sviluppo; il Software Libero è un movimento di carattere sociale”. Per il movimento Open Source, il software non libero è una soluzione non ottimale. Per il movimento del Software Libero, il software non libero è un problema sociale e il software libero è la soluzione…
Noi non siamo contro il movimento Open Source, ma non vogliamo essere confusi con loro. Riconosciamo che hanno contribuito alla nostra comunità, ma noi abbiamo creato questa comunità e vogliamo che si sappia. Vogliamo che quello che abbiamo realizzato sia associato con i nostri valori e la nostra filosofia, non con i loro. Vogliamo che ci sentano, non vogliamo sparire dietro ad un gruppo con punti di vista diversi…
L’espressione “software libero” ha un problema di ambiguità: un significato non previsto, “software che si può avere senza spendere niente” corrisponde all’espressione altrettanto bene del significato previsto, cioè software che dà all’utente certe libertà. Abbiamo risolto questo problema pubblicando una definizione più precisa di software libero, ma questa non è la soluzione perfetta. Non può eliminare completamente il problema. Sarebbe meglio un termine corretto e non ambiguo, presupponendo che non ci siano altri problemi.
La definizione ufficiale di “software open source,” come pubblicata dalla Open Source Initiative, si avvicina molto alla nostra definizione di software libero; tuttavia, per certi aspetti è un po’ più ampia, ed essi hanno accettato alcune licenze che noi consideriamo inaccettabilmente restrittive per gli utenti.
Ma la spiegazione di “software libero” è semplice: chi ha capito il concetto di “libertà di parola, non birra gratis” non sbaglierà più. [In inglese, «free speech, not free beer» mette sinteticamente in contrasto i due significati della parola «free»]
Il principale argomento a favore dell’espressione “software open source” è che “software libero” può far sentire a disagio. Ed è vero: parlare di libertà, di problemi etici, di responsabilità così come di convenienza è chiedere di pensare a cose che potrebbero essere ignorate. Questo può causare imbarazzo ed alcune persone possono rifiutare l’idea di farlo. Questo non vuol dire che la società starebbe meglio se smettessimo di parlare di questi argomenti.”. La questione “gratuito Vs libero” è quindi in effetti un po diversa da come da te sintetizzato. 3) Stallman non ha mai apprezzato il mondo open-source, per opposte visioni filosofiche, ma per come hai scritto, sembra quasi di comprendere che il free software sia a pagamento, dato che la differenza con l`open source consiste nella “gratuità” di quest`ultimo. PS: per Sergio: sai spiegarmi la parabola discendente, dalle serate a sottoscrizione al Forte ai mercoledì “Agata” al Branca?
Commento doppio, cancellate il doppione (e scusate per il super lavoro, sto utilizzando tastier di fortuna)
Stai un po’ più attento prima di pigiare sul tasto “Pubblica”, e non dovrai continuare a scusarti per i commenti a metà e quelli doppi e quelli scritti da cani, dando la colpa alle tastiere. L’alternativa è rassegnarti a dar l’idea di un personaggio sciatto che risponde in fretta e con nervosismo a chi gli dice che le sue argomentazioni risultano sbavate e poco chiare.
Quanto al corsivo, puoi sostituirlo con l’asterisco prima e dopo la parola, come si usa qui su Giap, oppure usare il comando html, che uno smanettone come te certamente conosce.
@sportgooffy: forse non mi riesco a spiegare, e questo mi pone problemi.
Mi sembra di aver capito – e vorrei che Wu Ming mi corigeresse se interpreto male quanto letto – che il fatto di chiedere € 3,99 sia la risultante di molte cose, tutte legate al concetto di “lavoro”.
C’é una premessa a tutta la discussione che mi pare di un’evidenza imbarazzante: Cito testualmente “Una volta più si scaricava e più vendevamo, ma quell’epoca è finita, quell’opzione è sconfitta. Se oggi mettiamo i libri scaricabili gratis è solo perché lo riteniamo eticamente e politicamente giusto, è militanza per la libera circolazione della cultura, che magari fa bene alla reputazione, ma sui nostri redditi ha ricadute scarse. L’editoria tradizionale, poi, definirla «malconcia» non rende l’idea. Le donazioni via PayPal o via Flattr sono dimostrazioni di stima che ci commuovono, ma pochi lettori scelgono di farle. Mettiamoci anche il carico da undici, cioè che siamo in quattro e con le royalties è «stecca para per tutti». Insomma, non butta mica tanto bene”.
Fine.
Nun si parla di strumenti, di software libero, open source, ecc ecc.
Si parla di lavoro intellettuale e tempo.
Ho avuto la possibilità, grazie a Giap (e – ovviamente – Wu Ming) di trovare spunti di riflessione collaterali che poi mi sono reso conto non essere così collaterali. Grazie a Giap ho avuto la possibilità di approfondire argomenti senza dovermi sbattere per andare a procurarmi testi e poi confrontarli e poi trarre la mia sintesi. Grazie a Giap ho belli e pronti testi che mi inducono, nella maggior parte dei casi, a continuare a documentarmi: e credo che questa sia una delle vittorie più evidenti di Wu Ming, quella di sollecitare il giapster (ovvero colui che in questo momento sta fruendo di materiali di altissimo livello grazie al lavoro che qualcun altro – WU MING – ha fatto per me) a continuare ad approfondire ed essere di stimolo alle discussioni a scuola, all’università, a lavoro.
Siccome una giornata è fatta di 24 ore, siccome ritengo che Wu Ming abbiano una vita sociale, siccome credo che dormano pure qualche ora, siccome credo che abbiano un lavoro, ritengo giusto contribuire per alimentare una fonte ormai per me essenziale di conoscenza e approfondimento.
Fine.
Non hanno fatto giri di parole, non hanno parlato di piattaforme e concetti di software liberi.
Hanno parlato di tempo, lavoro e denaro per campare.
Il paragrafo de “La vita agra” è illuminante (come tutto il libro).
Per quanto riguarda la parabola discendente dei movimenti romani e le differenze tra il Forte Prenestino e il Brancaleone: il Forte è un CSOA e tale è rimasto, e come tutti i centri sociali ha subìto la mazzata post-G8 e post 11 settembre, il Brancaleone ERA un CSOA, poi, dal 1990, si è costituita all’interno dello stesso un’associazione che ha chiesto – e ottenuto – lo spazio occupato al Comune di Roma. Da allora, come associazione, gli occupanti del Branca hanno avuto la possibilità di chiedere finanziamenti alle istituzioni per le loro attività (Comune, Provincia, Regione), cosa preclusa agli altri csoa di Roma e di Italia. E, da come abbiamo capito, i sòrdi serveno.
In Italia i csoa sono cambiati perchè è mutata la composizione sociale che li anima e lo sfondo sociale entro cui sono inseriti. Le persone che si preoccupano di gestire i csoa sono diverse da quelle che li avevano occupati e gestiti dagli anni ’80 in poi, così come sono mutati i contesti sociali e di lotta. Non migliori o peggiori, diversi, con diverse istanze, parole d’ordine, attività
A mio modo di vedere – e non voglio essere un nostalgico, ho 36 anni – non riescono, in questa fase, – tranne alcuni sporadici esempi, come l’Acrobax – ad intercettare le istanze di lotta e di aggregazione
così come avveniva durante gli anni ’90. Le cause sono molteplici e non sono da attribuire solamente a chi si sbatte per tenere in piedi queste bellissime realtà.
Questo è quello che ho percepito, ma sicuramente sbaglio. Non frequento più i csoa da tempo e quindi la mia analisi potrebbe essere superficiale.
“Imbarazzante”, sì. Abbiamo provato a farci dell’ironia ma, guardate, per noi è terribile e fonte di grande disagio aver dovuto mettere in piazza le nostre difficoltà economiche. E’ brutto, soprattutto in tempi di crisi e povertà che aggredisce sempre più soggetti.
Con che faccia noi, che col tempo eravamo riusciti a trarre un reddito da quel che ci piace fare nella vita, sottoponiamo i nostri problemi a gente che magari fa un lavoro di merda o non trova lavoro o è massacrata dalla precarietà ogni giorno?
Con che faccia invitiamo a guardare al *nostro* monte-ore di lavoro non retribuito quando c’è gente con la mannaia del licenziamento sospesa sopra il collo, o che ha dovuto chiudere l’attività perché i debitori non pagavano?
Personalmente, questa cosa mi sta lacerando, e non sono in grado di nasconderlo. Non crediate che la glasnost sia tutta rose e fiori.
Ci siamo decisi a parlare in pubblico di tutto questo come extrema ratio e dopo lunghe discussioni. Fingendo ottimismo abbiamo scritto che “la va e la spacca”, un po’ come una volta dicevamo “si può quel che si fa”. E’ divertente, modificare i proverbi e le frasi fatte. La verità è che io non so nemmeno come finire bene questo commento. Scrivere “incrociamo le dita” o “speriamo bene” sarebbe una cazzata. So solo che stiamo per uscire con due dei titoli più importanti (almeno secondo noi) nella storia del collettivo, in un momento in cui *nessuno* compra più libri.
Poi dice il tempismo :-(
Personalmente – e per motivi divenuti ormai banali, tanto se ne – ho comprato i vostri libri – collettivi e dei singoli – in cartaceo. Avevo tralasciato “New Italian Epic”, acquistato poi successivamente nel momento in cui ho cominciato a lavorare in editoria.
E compravo il cartaceo anche perché sapevo che esistevano le copie da scaricare.
Per l’imbarazzo: ieri ho disdetto il mio RID a MediciSenzaFrontiere. Ho spiegato all’operatore telefonico che €30 erano diventati una somma eccessivamente onerosa e che quei soldi mi servivano per la benzina.
Per ora è così, spero che un giorno inventeranno carburanti open source.
L’ho comprato anche io, vecchio Luther Blissett della prima ora, e vi leggo da sempre.
Sono in cassa integrazione 0 ore, lavoravo alla Fnac.
Trovo la vostra onestà un’oasi nel deserto, vivo in questo paese con un piede all’estero e restate uno dei motivi per cui sarò orgoglioso di dire che sono italiano
…un momento in cui *nessuno* compra più libri. Poi dice il tempismo :-(
==
Mah, non sono proprio d’accordo. Chiedi alla James o alla Rowling. Diciamo che il vostro problema è che siete tutti maschi. ;-)
Vedrete che la spacca, vedrete. :-)
È tanto tempo che leggo Giap! (in questi ultimi mesi con difficoltà perché attendo di ricomprarmi un pc e devo utilizzare mezzi di fortuna quando capita). Ne ricavo spunti di discussioni con gli altri, di studio (su molti argomenti ammetto la mia impreparazione) e raramente commento (lo ammetto, non mi sento all’altezza della competenza di molti partecipanti).
Molti dei vostri libri li ho acquistati in cartaceo, scaricandoli poi per averli sempre con me (suona di feticismo, lo so), lasciando anche il mio contributo tramite PayPal (ritenendolo doveroso e giusto).
Ho acquistato questa raccolta più che volentieri, ad un prezzo che mi sembra più che equo e possibile.
Sono una giornalista passata da dieci anni al magico mondo dei call center per mantenermi e non mi sento assolutamente offesa dalla vostra richiesta.
Credo semplicemente che ogni lavoro dovrebbe essere giustamente retribuito, nessuno escluso, meno che mai il lavoro intellettuale, prezioso ed importante soprattutto di questi tempi.
La libertà intellettuale non significa necessariamente grautità del lavoro, almeno per me.
P.S. aspetto con interesse i, spero prossimi, commenti al contenuto del libro, che mi appresto a leggere.
Ciao,
Michaela
Sottoscrivo fino alle virgole i primi due paragrafi di @sergio qui sopra. Vorrei averlo detto uguale.
@WM1 quello che dici qui sopra, e il vostro discorso generale, si capiscono benissimo, e fanno malissimo, anche prima che lo spiegassi così.
Sono storie che a tendere l’orecchio si sentivano arrivare e si sperava fino all’ultimo che non arrivassero, invece sono arrivate velocissime e non sappiamo fin dove si spingeranno. Sono sempre più vicine, riguardano voi, ma riguardano altri scrittori, ma anche musicisti, ma anche amici che di punto in bianco si ritrovano esuberi, cassintegrati, a piedi. Riguardano tutti e nessuno è al sicuro.
Sarebbe relativamente semplice poter dire: chi può aiuta chi non può, e fino a un certo punto potrebbe funzionare, o almeno bisognerebbe provarci. Ma penso che non sia così semplice: dovremo tutti occuparci di tutti, e occuparci di non lasciare indietro nessuno. E farlo con garbo (difficilissimo). E soprattutto, e questo riguarda voi, salvare ciò che ci importa, non “come se” fosse nostro, ma “in quanto è” nostro. Questo, forse più di tutto il resto, è quello che ho capito su Giap.
Da quando è partito questo post mi si sono inchiodate in testa due cose di un autore che qui forse non incontra molto, ma per me è stato molto importante in un certo momento: Ivano Fossati.
La prima è questa canzone, non è del suo periodo migliore ma è una delle più dense e profonde di sempre, ed è in tema:
http://www.youtube.com/watch?v=eAt7Y2iKxnI
La seconda è un racconto lungo del 1991, “Il Giullare”, Stampa Alternativa Millelire. Parlava del futuro, cioè di adesso, e azzeccava parecchio. Mi era rimasto dentro, e solo da poco capisco perché. Peccato che sia fuori catalogo, e mi pare introvabile anche in rete.
Speriamo di farcela.
@WM1: «Non eri di un quartiere o di una *cité*. Eri chourmo. Nella stessa galera, a remare! Per uscirne fuori. Insieme».
Per quel che puó valere la mia opinione, per me è importantissimo che mettiate in piazza le vostre difficoltà economiche e che accendiate discussioni come questa e come quella che seguí all’“operazione glasnost”. E non ci dev’essere nessun imbarazzo verso i tanti (troppi) che se la passano peggio di voi, affacciati sull’orlo di precipizi assai piú spaventosi.
Se ognuno inizia a mettere in piazza le proprie “verità”, per quanto dure, e a decostruire frame che ci fanno soltanto del male, come quello che avete smontato in un commento precedente (la farsa degli “imprenditori di sé stessi”) contribuirà cmq a fare un po’ di luce per tutti (moderatamente disperati/ disperati/ disperatissimi) nel tunnel in cui stiamo sprofondando.
“Giap. L’archivio e la strada” è stato il primo ebook che ho acquistato.
Grazie (de corazon) per il vostro preziosissimo lavoro!
Libro preso. Sono anni che cerco Giap (il primo volume) in libreria senza trovarlo. Non mi faccio fottere una seconda volta. E mentre che avevo uscito la carta di credito vi ho pure offerto una birra in centro a tutti e quattro. E, ci tengo a precisarlo, un decilitro di questa birra lo offro anche a voi commentatori perché, anche quando litigate, mi fate sentire che ancora c’è una possibilità e non tutto è perduto.
Io Giap l’ho trovato su IBS poco tempo fa (credo di aver fatto l’ordine a novembre)
La sistematizzazione dei post e delle discussioni di Giap è cosa buona e giusta, credo che un’antologia sia un buono strumento per fare il punto della situazione, per riflettere meglio su ciò che è stato discusso e su ciò che bisognerà discutere, insomma lungo il cammino, ad un certo momento, darsi il tempo di orientarsi (cit.).
Quindi libro preso (su Ultimabooks).
«Tantum aurora est»
due punti, al margine e senza aver ancora letto il testo:
1) per me, ma è solo il mio punto di vista, la strada è questa, o almeno questa è una direzione possibile
2) per chi i libri li fa, e non è solo il mio punto di vista, è sempre e comunque lavoro, e il lavoro si paga, sempre
Ad maiora,
mlf
http://www.casadellautore.it
Io continuo a pensare che le GiapFest si possano fare.
Tre per il 2014: Milano, Bologna, Roma.
Penso che la cosa più “difficile” sia l’aspetto logistico-organizzativo, ma voi Wu Ming godete di una credibilità tale che trovare spazi che vi ospitino non sarà difficile.
Volete che sia difficile riempire di contenuti tre finesettimana d’estate?!? Per voi?!? :)
Per il resto concerti, stand, birra. Ingresso a sottoscrizione.
La macchina comunicativa non manca. I proventi a finanziare Giap.
Dico davero, eh.
senza alcun tipo di polemica, vogliate scusarmi se non intendo più progredire in questo genere di discussione, chi voleva capire il mio punto di vista, lo ha fatto. Del resto: “Chi ha orecchie per intendere in tenda, gli altri in roulotte” [cit. Groucho Marx]
Consiglio comunque la (ri)lettura del post su Glasnost 012, http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=8742
al fine di placare i tormenti interiori di chiunque si senta *tradito* moralmente.
[…] are actually being discussed (and in the only way that makes any sense, i.e., problematically) in the comments of a blog! And naturally we're talking about a rather famous blog, that of Wu Ming, and yet (no offence […]
Ecco, per esempio anche questo sarebbe il caso di esplicitarlo ulteriormente: Simplicissimus si è comportato da editore nel senso *tradizionale* che questa parola dovrebbe ancora – a mio avviso – conservare? E’ intervenuto a livello di produzione (a parte questioni tecnicissime come la conversione del formato e le varie ottimizzazioni per la lettura sui diversi tipi di dispositivi)? Per dire: chi ha fatto la copertina? C’è stata una previa valutazione del “manoscritto” (Tombolini giapster? Con quale nik?)? Indirizzi, consulenze, uffici legali interpellati? O ancora: a parte il piazzare il file dai vari e numerosi vendor, è stata ottemperata in questo caso la funzione di un piano editoriale definito? Il titolo fa parte di una collana?
Altrimenti, dove sta il valore aggiunto da un editore? Ergo: perché spartire a metà con lui secula seculorum? Per dire: con Einaudi/Stile Libero so che Severino Cesari entra – da par suo, a quanto mi dicono – in maniera incisiva nel merito del testo. Il che è, secondo me e a scanso di equivoci, tutta salute. Ecco, magari proprio Bianciardi non la pensava esattamente così :) http://youtu.be/zY5o0dFEdOc
Spesso (se non sempre) quando si parla di ebook si tira in ballo la faccenda del selfpublishing, calamitando l’attenzione su un aspetto fra i più laterali e meno significativi di quel colossale stravolgimento che l’abbandono della carta sta creando.
Noi abbiamo presentato a Simplicissimus il testo già montato, introdotto, pulito e convertito nei vari formati. Questo non perché loro non abbiano voluto occuparsene, ma perché li abbiamo contattati quando ce l’avevamo già quasi pronto. Lo hanno letto, gli è piaciuto, abbiamo fatto la trattativa, hanno risposto a tutte le nostre richieste di spiegazione sulla distribuzione e a tutti i nostri dubbi su DRM, terms of use di Amazon e iBooks etc. Ci hanno sottoposto varie prove di copertina fatte dal loro art director/graphic designer ufficiale, insieme le abbiamo vagliate, e dopo vari passaggi di prove e modifiche abbiamo battezzato quella che vedete. Poi hanno preparato e diffuso il comunicato stampa, hanno montato i file su Stealth e, quand’è stata l’ora, hanno seguito la distribuzione presso le varie librerie on line. Con iBooks c’è stato un problema tecnico, se ne sono occupati e lo hanno risolto. Se ci saranno altri problemi tecnici o di policy, se ne occuperanno loro, magari avvisandoci. Se ci fossimo autopubblicati l’ebook, avremmo dovuto perdere tempo seguendo anche dettagli di questo genere, cosa che preferiamo evitare.
Quindi, no, Simplicissimus non ha messo becco nel testo, però ha lavorato e sta lavorando da editore. Nel “lavorare da editore”, ci metto anche il fatto che Tombolini sta rispondendo alle domande dei lettori qui su Giap.
Riguardo all’editing dei testi, va detto che noi siamo un’anomalia perché, essendo già di nostro una “redazione” de facto, siamo i principali editor di noi stessi, cioè prima di essere consegnato all’editore un nostro libro viene lavorato parecchio, riletto e corretto da quattro persone (noi) più i lettori di prova che volta per volta scegliamo di coinvolgere. Con Einaudi funziona così: a mettere in pagina un nostro libro è quasi sempre Valentina Pattavina, che uniforma il testo alle norme redazionali Einaudi (quelle storiche decise da Pavese nella notte dei tempi e ancora religiosamente fatte rispettare, com’è in fondo giusto che sia) e intanto ci segnala eventuali sviste sopravvissute al passaggio-a-pettine, oppure ripetizioni troppo frequenti e ravvicinate dello stesso vocabolo etc. L’apporto di Valentina è cruciale, ci ha risparmiato certe figurette che non ti dico perché a volte per errore rimangono nel testo sviste di non poco conto. Noi leggiamo le bozze e le diamo feedback. Dopo l’impaginazione quasi-definitiva, rileggiamo tutto il testo ad alta voce, dall’inizio alla fine. Ci vuole qualche giorno. Severino, nel frattempo, ci fa avere i suoi pareri e suggerimenti, e a volte viene a Bologna di persona, per leggere ad alta voce insieme a noi. Al termine di questo processo, c’è l’imprimatur.
Tra i vari suggerimenti importanti dati da Severino nel corso degli anni, ne ricordo uno semplice da riassumere (non tutti sarebbero comprensibili per chi non si è seguito il processo appena descritto): nella stesura di 54 che consegnammo all’Einaudi, non mostravamo la scena del furto del televisore. Fu Seve a dirci di inserirla.
OT, appena appena: Ecco, visto questo, mi dico che non solo saremo sempre dalla parte del torto, ma anche che we’ll always walk alone. O quasi.
Vito, molto laicamente, ti dirò che non vedo cos’altro dovrebbero votare i valsusini, dato che il M5S è l’unica forza politica che raccoglie le loro istanze (a parte Vendola, che però sta con il PD, quindi si neutralizza da solo).
Neanch’io vedo cos’altro dovrebbero votare. Però “potrebbero” anche non votare, o non ammettere così apertamente che le loro legittime aspettative politiche sono legate solo allo spazio in cui vivono, e che il loro “compagno di viaggio” può fare ciò che vuole, lui e/o il suo partner, altrove, a loro basta che faccia quello che fa lì. Legittimo, ripeto, e isolante. Che è poi il senso del mio commento.
Credo che il rapporto tra M5S e No Tav sia più complesso di quel che si legge nell’intervista a Perino linkata. Comunque quella è la posizione (e in un certo senso, l’auspicio) di Perino, che – come dice lui stesso – non è tutto il movimento No Tav, che è composito. Sicuramente in valle i grillini prenderanno parecchi voti (ne prenderanno parecchi in tutta Italia), ma questo non significa che i No Tav siano diventati grillini.
Ad ogni modo, siamo non OT: di più. Invito tutti quelli che vogliono discutere dell’argomento a farlo nel thread più adatto, cioè questo:
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=10421
meta OT
perché nei tempi cupi di riflusso i residui di “movimenti” son tutti compatti e ben disposti a parlarsi ma non appena si intravede un germe di ripresa della lotta subito iniziano i distinguo e nascono i puri che lo sanno tutto loro e hanno le ricette giuste (che poi spesso sono le ricette che hanno fatto morire i semi piantati in passato) e chi non è con me è contro di me? Perché si rinuncia a leggere e riflettere “laicamente” sulla realtà e si preferisce una coazione a ripetere e a far la gara a chi è più compagn*?
Com’era? “il coltello tra i denti non serve a un cazzo”. Ecco appunto.
(DISCLAIMER: non mi riferisco solo a Vito, ma il “tono” delle 2 righe e il we’ll always walk alone sono un bell’esempio – così come altri interventi so-tutto-io in questo post e fuori nel mondo)
Mai commentato su Giap pur essendo tra le mie letture settimanali. Ho sempre ricoperto il ruolo di lettore passivo, un po’ perché ho lacune intellettuali tali da non capire a volte di cosa parliate, un po’ perché mi perdo sui commenti troppo lunghi. Ma i vostri libri hanno un pezzo del mio cuore. Perciò, qualsiasi iniziativa e/o modello di vendita sceglierete in futuro avranno il mio sostegno, morale ed economico, se questo vi farà continuare a scrivere.
Vado su Ultima.
Saluti
CM
Comprato su ultima. Ma caricatelo anche su anobii, devo poterlo mettere in una libreria, almeno virtuale .-)
Riguardo al fatto di averlo pubblicato come ebook a pagamento, sono molto daccordo. Un libro cartaceo con contenuti che ho in gran parte già letto non l’avrei comprato. Anche Anatra all’arancia meccanica l’avevo preso in ebook, scaricandolo gratis ma poi facendo donazione, e anche se chiaramente di parte il commento di Tombolini che diceva che metterlo su librterie a pagamento è anche un modo per aumentarne la diffusione ha una sua consistenza.
Più sopra WM1 chiedeva di commentare anche i contenuti. Un po’ di pazienza, perfavore
Concordo con il ragionamento di Wu Ming e l’evoluzione necessaria della loro strategia culturale.
Nell’alba del libro-virtuale, a discapito dell’oggetto-libro, è bene ricordare che la forza di Wu Ming è sempre stata quella di trattare i propri testi come degli Eventi, non come pura merce di scambio. Se prima all’Evento-libro, corrispondeva anche un oggetto-libro, ora queste due nature vanno a coincidere ed è bene cambiare strategia proprio per non trovarsi di fronte ad un bivio forzato (o si paga tutto, o non si paga niente).
Chiudo ringraziando Wu Ming per aver pubblicato, reso autorevole e citabile, l’immane lavoro che (direttamente o indirettamente) la comunità di Giap sta svolgendo da anni nel campo…dei Cultural Studies? :-P
Daje!
Sono una vostra lettrice della primissima ora.
Di voi ho letto tutto, romanzi solisti e collettivi.
Sono venuta alle vostre presentazioni diverse volte, anche se non tante quante avrei voluto.
Ho avuto occasione di scambiare qualche parola a tu per tu con qualcuno di voi.
Seguo Giap! dai suoi inizi, e quando era ancora *solo* una newsletter ho avuto la fortuna (avrei voluto dire onore, ma so che non amate gli aggettivi altisonanti) di vedere pubblicata qualche mia piccola storia di vita.
Da quando Giap! esiste, io sono qui, e leggo tutto, sempre.
Ora, nonostante io sia una maestra-che-lavora-solo-poche-ore-alla-settimana, stranamente non riesco a trovare il tempo di commentare adeguatamente i vostri post, che sono troppo corposi e importanti per lasciarci sotto qualche frase frettolosa e banale.
Nello stesso tempo però il mio lavoro fa di me, soprattutto in questo periodo tremendo, una privilegiata, che può contare su uno stipendio sicuro. Non stellare, ma sicuro.
Perciò ho sempre potuto permettermi di comprare tutti i vostri libri in versione cartacea, ben felice di farlo, sempre.
Leggo pochissimi e-book, non riesco ad abituarmi alla luce fredda dello schermo, non riesco a concentrarmi sulle parole, perdo il filo facilmente. Eppure acquisterò questo libro, e lo leggerò, come tutti gli altri, pagando quel che si richiede, senza avere nessun dubbio sulla coerenza di chi non deve dimostrare niente ad una persona che vi segue da anni e da anni sa chi siete e come lavorate.
Mi sono abituata a pensare che ogni volta che scrivete qualcosa, lo stiate facendo proprio per me, quindi pagare per leggervi non solo mi sembra giusto, ma è sacrosanto.
Come giusto e sacrosanto è che chiunque esegua un lavoro ne ricavi un salario.
È il *vostro* lavoro per me è prezioso.
Ciao.
Una nota breve, ma ci tenevo a scriverla: complimenti a Tommaso per l’introduzione.
Un pezzo dedicato ai ritmi con cui sta cambiando il mondo attorno a noi ha il merito di fermare il tempo e, a tutti gli effetti, riorganizzarlo.
Dopo aver letto l’introduzione tra controrivouzione Tatcheriana e guerra al “nemico interno”, il post che sono andato a rileggermi è uno degli ultimi dell’indice, quello di Wu Ming 5 sui London Riots che all’epoca non avevo letto con troppo ardore. Invece, seguendo le indicazioni dell’introduzione acquista un legame col presente che secondo me ha ancora molto da dire. Se poi, sfogliando, si passa al post successivo e si trova il pezzo di Wu Ming 4 sulla sentenza di Genova, allora è come vedere la chiusura di un cerchio non solo per quel che riguarda il lavoro di Wu Ming, ma l’epoca che stiamo vivendo.
Mi sembra che con questo lavoro (ma è un’impressione del tutto personale) metta un punto da cui è difficile tornare indietro: prendendo le date di riferimento utilizzate da Tommaso (1984-2012) saltiamo a piè pari un’epoca che forse è si può riuscire a guardare nella sua interezza, invece che spacchettarla in eventi staccati fra di loro. Si parla del ventennio berlusconiano, ma mi sembra che lo stesso Berlusconi rientri in un continuum che lo ingloba
Leggendo i post in questo formato mi sono reso conto che per quanto il lavoro del blog di “fermare il tempo” e lasciare spazio alle discussioni, in realtà questo è possibile fino a un certo punto. In qualche modo siamo sempre costretti a inseguire. Credo che questo lavoro dia uno spazio a delle discussioni che non è indifferente.
@plv Sì, è proprio così: «Summer of ’81 – londonriots» di WM5 vale sia da “prologo” del ragionamento (siamo agli albori della rivoluzione conservatrice, trentasei mesi prima dello scontro con i minatori) sia da conclusione del discorso sull’eterno presente dei “Trent’anni senza gloria” del neo-liberismo. Tecnicamente, prima dell’intervento di WM4 sulla sentenza di Genova, introdotto come “postilla” al termine di un confronto intenso (c’erano dubbi e perplessità), l’antologia termina con questo periodo scritto da Riccardo in coda a «Summer of ’81»: «Il tempo del capitale non passa mai davvero, siamo ormai lontani da quegli anni ma non da quelle strategie repressive, e siamo ancora immersi nella stessa ideologia, nella stessa concezione del potere, nella stessa merda». Ecco, se vuoi, è una frase paradigmatica che racchiude una parte importante della riflessione sulla temporalità.
Ovviamente la scelta del 1984 è dettata da alcuni aspetti eclatanti e simbolici, riferibili alle proporzioni dello scontro, alla “misura” continentale del conflitto, alla lunghezza e all’intensità della lotta, ecc… Quindi – come sempre – allo spazio e al tempo. Si poteva cominciare prima. Dal 1981, per l’appunto, oppure – per noi italiani – dal 1980 e dai giorni alla FIAT. Comunque, l’Ottantaquattro consentiva un gioco ampio di riferimenti, anche narrativi, se pensiamo a Orwell, ma non solo. Intorno a quei dodici mesi si condensa una nebulosa di narrazioni: letterarie, filmiche, musicali e via dicendo. Soprattutto, permetteva il rimando a un’altra storia di minatori: quella di San José, archetipica per cogliere gli aspetti venefici di determinati racconti in tempo reale e il tragico ribaltamento dei significati. Da una parte minatori che bloccano a oltranza la produzione, dall’altra – circa tre decenni dopo – minatori che rimangono sepolti vivi. Una roba agghiacciante.
Credo che manchi qualcosa per chiudere il cerchio, che ci sia un piccolissimo spazio prima che la linea curva definisca la circonferenza. In quello spazio possono passare ancora delle cose. Tipo: il compimento delle politiche di questi tre decenni e l’uscita definitiva dal modello sociale novecentesco e perfino da una certa cultura giuridica retta sull’universalismo dei diritti. (Al riguardo il curatore fallimentare ai vertici della Banca centrale europea è intervenuto spesso e chiaramente). Oppure, sempre in quello spazio esiguo, possono passare le possibilità d’invertire la tendenza e rimettere in campo opzioni alternative.
La cosa che dici sul berlusconismo la condivido totalmente. L’illusione di un “prima” e “dopo” Berlusconi, di un “avanti” e “dopo” la discesa in campo del 1994, è un gioco di prestigio di certe forze “democratiche” e “progressiste” italiane. È un inganno prospettico e una periodizzazione funzionale al frontismo anti-berlusconiano, e alla rimozione dei disastri che quelle forze e i loro omologhi internazionali hanno combinato negli anni Novanta. Qui basti ricordare le socialdemocrazie che bombardavano Belgrado, l’introduzione di principi di flessibilità e il disastro finanziario della new economy. Giusto per non dimenticare.
Grazie per la lettura, e il commento.
Non si può dire che fuori da Giap quest’uscita, (quest’operazione, questo “lancio”) abbia avuto molta attenzione, almeno sinora. Forse c’entrano la campagna elettorale e Sanremo, che hanno pressoché monopolizzato la discussione sul web, riempiendo anche intercapedini che, di solito, erano lasciate ad altre questioni. Fatto sta che, passata una settimana, a quanto mi consta la discussione è tutta in questo thread. Quasi nessuno ha rilanciato la notizia o segnalato l’ebook (“recensito” non ce lo aspettavamo, bisogna dare il tempo di leggerlo), e le statistiche di Giap dicono che, dopo la mediamente intensa attività delle prime 24/48 ore, pochissimi cliccano il link verso la pagina di Ultima Books dove si acquista Giap. L’archivio e la strada. Il mio sentore è che – almeno finora – lo abbiano acquistato soltanto i “fedelissimi” che si sono palesati qui sopra. Sono solo alcuni spunti, è presto per trarre un bilancio, solo che io tutte queste “magnifiche sorti e progressive” continuo a non vederle. Almeno, non nel nostro peculiarissimo caso.
Rileggendo, non sono sicuro di essermi fatto capire. Voglio dire che su quest’uscita ancora non c’è il passaparola, quel passaparola che è l’unica, vera forza che consente ai nostri libri di viaggiare. Mi chiedo: c’è un legame tra assenza del supporto cartaceo e assenza del passaparola sul libro?
Non potrebbe essere che c’è stata meno creazione di attesa sulla pubblicazione di questo ebook? almeno per me, mentre so da almeno 2 anni che prima o poi uscirà il nuovo romanzo sul terrore, come sapevo dell’uscita di Timira, invece la pubblicazione di Giap!2 è stata più o meno una sorpresa. Ovviamente unito alla tipologia di contenuto (non fiction, materiale già pubblicato benché con contenuti aggiuntivi) forse richiede un po’ più di tempo per far montare l’entusiasmo che porta al passaparola. E poi per fare passaparola, di solito, occorre che venga prima letto.
In ogni caso l’ebook è uscito da meno di una settimana, non so se sia corretto misurare il “successo” di un ebook con gli stessi parametri che si usano per i free download. Un materiale gratuito che potrebbe forse interessarmi lo scarico subito (e poi lo lascio lì) – ci vuole un solo click. Invece un ebook devo avere la carta di credito a portata di mano, 5 minuti liberi… insomma non è veloce uguale.
Il legame che trovo, o piuttosto una barriera, ma questo è personale, è il fatto di avere o meno un ereader. Io che non ce l’ho non son corsa a prendere l’ebook (questo come altri) e ho deciso di aspettare che fosse messo in vendita il pdf (oggi, giusto?).
Il pdf è in vendita da mercoledì scorso. Martedì, cioè il primo giorno di disponibilità on line dell’ebook, c’erano stati problemi tecnici durante il caricamento.
Riguardo a questo:
“E poi per fare passaparola, di solito, occorre che venga prima letto.”
Per recensirlo come libro sì, senz’altro, perché è fondamentale il “taglio” dato da Tommaso.
Per il passaparola sull’operazione editoriale, invece, non ne sono così sicuro: teniamo conto che i materiali raccolti erano già conosciuti, come è conosciuta la fisionomia di Giap come luogo di discussione. Insomma, ci sarebbe già una base per dire: – Ehi, ma lo sai che i WM hanno raccolto i migliori post di Giap etc. etc.
Insomma, esiste anche il passaparola sulla *mera esistenza* di quest’ebook.
Vorrei chiarire: non mi aspettavo che la cosa avesse chissà quale “notiziabilità”, non ho mai creduto a chi mi diceva che “il primo ebook a pagamento dei WM” sarebbe stato una notiziona, o addirittura uno spartiacque. Mi sto limitando a constatare che sta andando più o meno come mi figuravo.
Molto spesso, mi accorgo che il nostro “impatto” è sopravvalutato. Anzi, mi spiego meglio: si tende a pensare che quel che facciamo abbia automaticamente risonanza, ma non è vero. Alcune cose hanno riscontro presso alcune comunità di lettori, molte altre vengono bellamente ignorate dai più. Il nostro impatto, diciamo così, è discontinuo, difforme, mai scontato.
[E parlo delle comunità informali sul web, perché se parlassi di chi si occupa professionalmente di cultura e letteratura, che stia nell’accademia o nei media mainstream, beh, dopo NIE molti ci hanno proprio messi sulla lista nera e guai a nominarci :-D Ma questo è un altro discorso, molto meno importante.]
Faccio un esempio: per gli standard di Giap (o almeno, dei post che noi consideriamo importanti e che curiamo di più), questo post finora è stato poco condiviso sui social network.
Insomma, quest’ebook è partito in salita.
grazie dell’info sul pdf, mi ero distratta :)
concordo col Vecio che la maggior parte dei lettori cartacei di Wu Ming non sono frequentatori di Giap.
credo ci sia, perché un conto è dire: “tò, ti passo un libro”, e un conto: “ti passo/mando/regalo” un .pdf
(Regalare un ebook, ad esempio, si può fare? Non lo so…)
Quello però che forse non si è capito, e forse (di nuovo) potrebbe diventare un punto di forza anche “promozionale” è che questo ebook si avvicina molto a quello che io considero tale. Vale a dire che questo non è semplicemente un “libro” appoggiato a un diverso supporto, ma sfrutta il supporto per essere “diverso” da un libro cartaceo.
Alla fine di ogni capitolo/post, infatti, c’è il link alla discussione (so che è una follia, ma perché non riaprirne alcune, di quelle discussioni, ad esempio?): il capitolo/post, quindi “si apre”, non si esaurisce lì, ma si completa/modifica/amplia.
Questa possibilità polifonica “istantanea” un cartaceo non ce l’ha (mi faccio impressione da sola, visto il mio amore accecante per i libri di carta): devi ritagliare articoli e recensioni o stampare pagine web (lo dico perché io lo faccio, per i volumi che mi interessano di più) e ficcarli dentro il volume.
Azzardo/affianco una spiegazione alternativa (e vorrei che non fosse intesa in alcun modo come una critica, ma solo come un tentativo di analisi): questa uscita non è e non viene percepita come un inedito. E’ un compendio del blog, e potrebbe darsi che non sia evidente (e quindi “rumoroso”) il valore aggiunto di avere in formato elettronico anziché cartaceo quello che posso comunque vedere su un computer connesso.
Quanto al senso di questo “progetto pilota” e alle risposte che volete trarne, penso che occorra distinguere due piani che finora, mi pare, si sono un po’ sovrapposti nella discussione.
Se quello che volete capire è la validità generale del formato e la risposta che suscita in quanto tale, forse questo non è il “prodotto” più indicato: una indicazione valida penso che potrete averla solo pubblicando un inedito in ebook a pagamento, in parallelo al cartaceo e in anticipo rispetto al libero download, al netto del fatto di metterlo da subito in CC e senza DRM. In tal modo potreste collaudare il funzionamento della catena:
– Ehi, è uscito un nuovo Wu Ming
– Vado in libreria e me lo compro
– Ma ho visto che puoi anche comprare l’ebook
– Meglio ancora: me lo accatto subito
Questo potrebbe quantificare con precisione quanti sono propensi a spendere per l’ebook *invece* che per il cartaceo, *senza* approfittare del download gratuito pur sapendo che in seguito arriverà (gli altri aspetterebbero in ogni caso).
Se invece la domanda è se esista una base sufficiente disposta a cacciare grani per finanziare le attività del collettivo, a differenza di altri non penso di potermi abbandonare a facili entusiasmi senza un riscontro concreto. Non si può sapere finché non si prova. Quello che mi chiedo è: se quella base potenziale esiste, potrebbe non essersi sentita interpellata dall’uscita di un ebook che compendia il blog, annunciato sul blog e su due strumenti elettronici (i.ca e tw)? Non necessariamente i vostri lettori sono su Giap o addirittura conoscono Giap (anzi penso che la maggioranza di chi compra i vostri libri non c’entri con Giap). Quindi non si può escludere che un appello di quel tipo debba partire non tanto e non solo dal collettivo di attivisti stradali/digitali (chiedo perdono) ma proprio dal collettivo di scrittori in quanto tali, e tramite altri canali (quali? eh…)
@VecioBaeordo: c’è un “però” nel ragionamento che fai. Dieci anni fa, anche “Giap! Storie per attraversare il deserto” raccoglieva materiale edito. Ed era un libro cartaceo (anche se parliamo di una situazione del tutto differente: diversi formati, diversi prezzi di copertina, altro contesto politico). Comunque la natura edita del materiale non impedì una partenza fulminante con conseguente collocazione del titolo nella top ten della saggistica e della narrativa. E aggiungo: tanto passaparola. (Almeno secondo me). Può darsi che in dieci anni sia cambiata la percezione dell’edito e dell’inedito o che sia cambiata in relazione all’ebook. Però è un fatto di cui tenere conto.
Scusate: della saggistica e della varia. Abbiate pazienza.
Per quello che conta mi sento di condividere la riflessione di @VecioBaeordo. Penso che questo “esperimento DigitalGiap” vada proprio inteso come “scouting” di un territorio, quello del commercio elettronico, che state praticando per la prima volta. Le indicazioni che dovete/potete trarne sono proprio nei termini di capire le peculiarità di un approccio a un tema nuovo. Se vi fermate al “non vende quindi non funziona” rischiate di arenarvi invece di superare la secca.
@TDL: mi dispiace fare quello sgradevole, ma bisogna dire che dieci anni fa, quando è uscito il cartaceo di Giap, era proprio l'”aura Wu Ming” che brillava molto più luminosa e attirava seguaci e falene in maniera più automatica…
Zaphod, non è “non vende” il punto. I miei compadres possono testimoniare che, dal punto di vista delle mere vendite e quindi delle entrate, ho fin da subito preconizzato ben magri risultati. Del resto, è aritmetica di base.
No, io mi chiedo se l’operazione *interessi*, se ne venga percepito il senso. Non mi rispondo né no né sì, però problematizzo la questione e chiedo i vostri pareri.
Quella volta venivamo da grandi mobilitazioni, Giap! uscì poco dopo il forum di Firenze e la megamanifestazione planetaria contro l’attacco all’Iraq. Ancora non era chiaro che si trattava, in entrambi i casi, di “fuochi di paglia”, perché dietro l’angolo c’erano anni di depre profonda e nera. Oggi veniamo precisamente dopo quegli anni di depre profonda e nera, anzi, siamo nel più profondo e più nero dei meandri di quella depre. Non è facile entusiasmarsi.
@TDL il momento era senz’altro diverso come spiega anche @WM1 sotto, ma penso che c’entri proprio il fatto che il primo “Giap!…” fosse cartaceo: portava ai lettori “tradizionali” quello che era successo in rete. Questo invece in qualche modo ritorna al punto da cui parte: il pubblico digitale. Ci può stare?
@VecioBaeordo: sì, ci sta. Sono d’accordo con le ragioni complessive che indicate tu e @WM1 e con il rilievo particolare sul movimento dal telematico al cartaceo. In questo caso si rischia di rimanere dentro quello spazio e, forse, di non coprirlo nemmeno tutto. Allora torna fondamentale la connessione tra i due strumenti. E quindi, al di là degli specifici di “Giap. L’archivio e la strada”, rimbalziamo sul problema di partenza. Cioè cosa fare in un quadro rovinoso dell’editoria tradizionale, visto che – detto come va detto – non mi sembra che ci sia un modo immediatamente praticabile per eluderne la centralità. Motivo per cui da tre anni a questa parte non mi entusiasmo davanti alle previsioni di crescita del mercato degli ebook esposte dagli uffici commerciali e dai quadri delle major editoriali. A sentire quei dati tendenziali, oggi in fondo i problemi dovevano essere risolti. Invece ci sono, stanno tutti lì e s’ingigantiscono. Credo che un discorso e una pratica d’interazione conflittuale con l’industria della cultura presupponessero tra le righe se non un’espansione costante, almeno una tenuta solida del circuito. Anche perché lo scambio implicito era: alcuni ci mettono l’ideazione e l’innovazione di prodotto, altri le strutture commerciali. La fase “creativa” del lavoro editoriale è ormai controllabile tutta in completa autonomia. La potremmo perfino gestire sulle colonne di questo blog: con tanto di elaborazione di un ipotetico piano editoriale, editing dei testi, impaginazione di qualsiasi formato, ecc… Quella commerciale, no. Se viene meno la seconda (ed è venuta meno per tante ragioni), s’inceppa tutto: anche relazioni virtuose sperimentate negli anni e consolidate nel tempo. Ora, io – pur cercando d’ingegnarmi – non sono ancora riuscito a trovare soluzioni efficaci.
Ho solo capito che siamo arrivati a dei paradossi. A delle situazioni che – come diceva Luca – toccano in profondità lo statuto stesso del lavoro immateriale, la sua autonomia, i suoi rapporti con i committenti, la ricaduta sulle vite. Non è il caso di Wu Ming, ma in certi punti della filiera editoriale conviene perfino fare i ghostwriter invece di scrivere libri propri. Oppure garantire servizi che le case editrici un tempo controllavano internamente (ed erano perfino la cifra stilistica di certi marchi). Insomma, scusate la brutalità: ho avuto solo una bella furbata, cioè quella di rendermi ancora più flessibile. Così però è un massacro.
Anch’io penso che la maggior parte dei nostri lettori (o meglio, dei lettori di alcuni nostri libri più famosi) non sia su Giap o addirittura non conosca Giap (o magari ne ha sentito parlare, ma non ci viene, non gli interessa). Questo mi fa pensare:
1) che la maggior parte di quei lettori non sia nemmeno “mobilitabile” per comprare un ebook. Almeno per ora.
2) che a quei lettori, legittimamente, non interessiamo tanto noi come progetto da sostenere, ma hanno semplicemente apprezzato alcuni dei libri che abbiamo scritto (o addirittura solo Q, uscito 14 anni fa). Se un libro simile a quelli/o che hanno apprezzato non lo scriviamo noi, lo cercheranno presso qualche altro autore, e amen.
3) si tende spesso a sopravvalutare l’estensione della nostra “fan base” :-D
E guardate che qualunque editore o ufficio stampa o ufficio marketing di casa editrice (o anche solo la mia compagna :-) mi direbbe: ma sei scemo, sei masochista a dire queste cose in pubblico?!
Però se si scelgono la glasnost e la discussione aperta coi lettori, non si può svicolare sulle questioni di fondo.
@WM1
Sul punto 1. cito a memoria il senso di una tua frase di qualche mese fa: il fatto che il mercato degli ereader stia tirando non è associabile al fatto che tiri il mercato degli ebook. Ne deduco, tuttavia, che il numero dei “mobilitabili” dipenderà in qualche modo (non 1:1) da quanti ereader si venderanno. Penso che, anche qui, non ci sia un rapporto tra questo e Giap.
Permettetemi. Giap è uno strumento che voi “offrite alle masse” per dare (e discutere, e costruire) una lettura della realtà, ma mi sembra che non funzioni necessariamente altrettanto bene di ritorno: non “restituisce” a voi una lettura affidabile di alcunché. Quello che dici sopra sul vostro impatto, “discontinuo, difforme, mai scontato”, vale sicuramente per Giap ed è per voi un riscontro numerico, ma dedurre da quei numeri il vostro impatto potrebbe essere fuorviante. Giap è mediamente un campione troppo piccolo.
Ma posso sbagliare di brutto, eh?
Il fatto è che non vi siete scelti certo il modo più semplice per fare questo esperimento. Non che foste tenuti a farlo, sia chiaro, ma come scritto più su, credo che un romanzo avrebbe chiarito meglio la situazione, e non parlo solo di vendite. Un romanzo è più facile da far circolare di un saggio o una raccolta di post. Detto questo, il passaparola rimane però il nocciolo della questione. Oltre ai tuoi punti 1 e 2, più incentrati sulla ricezione “esterna”, mi sono accorto, e me ne dispiaccio, di un altro fatto: nonostante io linki spesso i post che appaiono qui per renderli visibili ai miei amici e conoscenti, non ho ancora pubblicizzato questa raccolta. Forse per gli altri giapster è stato lo stesso, non so. Personalmente, non l’ho fatto apposta e rimedierò, ma il motivo potrebbe essere proprio il fatto di non averlo identificato come un lavoro rivolto a tutti, bensì alla cerchia ristretta di chi giá conosce Giap. Uno sbaglio ovviamente, ma tant’è. Ovviamente in libreria avreste goduto di una visibilità a prescindere, mentre con un ebook (e di questo tipo) è fondamentale che faccia da libraio chi sta qui.
Non è che siamo partiti dall’idea di fare un ebook e allora abbiamo messo insieme i “greatest hits” di Giap: c’era già l’esigenza (politica e poetica, se vogliamo) di raccogliere i post che ci sembravano più significativi, ordinarli, sistemarli, trascrivere i file audio, curare e introdurre la raccolta, per “fermare” il flusso di questi tre anni e ragionarci sopra insieme. Idealmente, volevamo rivolgerci anche a chi magari non ha tempo di seguire il blog, o è un po’ confuso dalla dimensione-monstre delle discussioni etc. L’idea di farne un ebook ci è venuta in un secondo momento, ci siamo detti che poteva essere una buona occasione per sperimentare quest’opzione. Non avevamo aspettative enormi, ci siamo detti: vediamo. Certo, se fossimo dei maghi del marketing, faremmo le cose in un altro modo :-)
Il valore politico (e poetico se ho capito cosa intendi) dell’operazione è indiscusso. E fate bene a chiedervi se “*interessi*” più che se venderá.
Forse l’introduzione sul “perché mai” dei 3,99 euro ha messo in secondo piano le ragioni che vi hanno spinto a fare questa raccolta, ma capisco che vi siate sentiti in dovere di spiegare. Magari il voler dare un segnale di sostegno economico (fa ridere lo so) a prescindere dal lavoro che avete proposto ha prevalso sul classico passaparola. Non so se ha senso..
Ho riflettuto anche grazie ai tanti commenti che sono seguiti al post sull’ebook.
Ritengo Giap una risorsa che vorrei non esaurisse, quindi il mio approccio è stato il seguente: ho spedito la mia copia acquistata dell’ebook “Giap. L’archivio e la strada” a quei miei contatti “sensibili” ad un dibattito articolato e non banale. Ho cercato di spiegare che cosa è Giap, cos’è Wu Ming e il progetto che persegue.
Ho invitato a leggere l’ebook e poi a comprarlo di nuovo per diffonderlo. Ho pensato fosse giusto perché c’é la possibilità di contribuire al progetto non necessariamente comprando l’ebook, ma anche facendo donazioni.
Ho fatto questo perché, come ha spiegato bene Wu Ming 1, molti hanno letto e sanno di Q, di 54 o Asce di guerra, ma meno o poco del progetto.
L’ebook, dal punto di vista della “diffusione militante” (lasciatemela passare, vi prego…) è uno strumento perfetto, scaricabile in tutti i supporti che adesso trovano albergo nelle tasche e nelle borse di molti.
Nel senso: non volevo solo PARLARE di Wu Ming e Giap, ma volevo dare una TESTIMONIANZA del lavoro che portano avanti da sempre.
Ecco perché ho spedito l’ebook ad alcuni miei amici invitandoli a leggere e a contribuire al progetto.
Avevo buttato giù questo commento venerdì, poi cassato perchè troppo lungo. Lo inserisco ora, per chi ne ha voglia. E’ chiaro che i riferimenti temporali e di cronaca vanno tarati su quella data.
Sull’ultima discussione su Giap: riflessioni a margine
Siamo alla resa dei conti. Che non è un brutto momento. E’ una cosa lunga e dolorosa.
Non stiamo entrando, siamo già entrati in un’età del ferro con la miseria di massa che si ripresenta con i suoi tratti deformi. I poveri non sono belli, e sono i primi ad accorgersene.
Brevi note di cronaca locale: intorno a casa mia, zona da sempre molto tranquilla, nelle ultime 48 ore, prima un’intera fila di auto con i finestrini sfondati lungo un marciapiede, poi sono entrati nei garage del palazzo di fianco dove abito. Ancora, ieri notte, hanno forzato l’auto del mio vicino di pianerottolo, un’utilitaria senza antifurto, e sempre ieri, a ora di pranzo, sono entrati a casa di Chri e Manu, una mansarda al quarto piano, in centro. Totale del bottino di tutti questi episodi, magrissimo, quasi niente.
Gente all’arrembaggio, ladri scarsi, obiettivi scrausi, privi di logica e maldestri. A Bologna i furti in appartamento sono aumentati del 60% in pochi mesi. Bologna, fino a cinque minuti fa il ventre grasso della vacca italia. Un anno fa dicevo che alla fine del 2012 la gente avrebbe rovistato nei cassonetti.
Le persone più varie rovistano nei cassonetti, qui, davanti casa mia.
Siamo poveri, respiriamo povertà, e cominciamo a vergognarcene. E’ così che funziona.
“E’ imbarazzante,” attaccava quel bellissimo commento nella discussione,”dover parlare dei propri redditi, delle difficoltà quando ovunque ci sono persone….”. ecco, proprio così. Si teme per i figli, chi ha la fortuna, sì la fortuna di averne, si vede sfumare il lavoro, ciascuno per come era abituato a farlo, si trema per la salute. Non ci si può ammalare, per una marea di ragioni.
Cosa c’entra tutto questo con un ebook dei wu ming? C’entra, ma lasciatemi delirare ancora un po’.
Il Capitalismo d’occidente processa se stesso, con il piccolo problema che non può né assolversi né condannarsi. La causa di Obama alle agenzie di rating è un caso solare di schizofrenia sistemica. Qui da noi è molto peggio, tutto frana d’un colpo. Il capitalismo familiare, quello pubblico, quello misto, che poi è da decenni tutta la stessa merda intrecciata. Eni, Finmeccanica, Fiat, MPS, Sanità pubblico-privata, municipalizzate, continuate pure, l’elenco è solo accennato.
Il Vaticano è in bancarotta, morale e finanziaria. Un mese fa, notizia data con poco rilievo, Bankitalia gli ha bloccato il POS, bancomat muti, impossibile usare carte per le migliaia di turisti e chiunque altro. Gliel’hanno riattaccato il giorno dopo l’annuncio dell’ex pastore tedesco, fattosi senile, apocalittico agnello. In fretta e furia, dopo otto mesi di vuoto, si nominerà un presidente dello IOR, tra le prime cinque banche di riciclaggio del globo.
Tra pochi giorni si vota, il paese è in un culo di sacco da cui in nessun caso potrà uscire.
Grillo fa il botto. Un botto da paura. Ed è logico. La follia finale di lasciare a lui solo la piazza, follia vera, sarà pagata a carissimo prezzo. Per me supera facile il 20%, di gran lunga secondo partito. Anche Giannino avrà un risultato che sorprenderà molti. Al sud poco o niente, ma al nord fa il pieno, vedrete. Quasi un terzo dei parlamentari eletti sarà fuori dalle coalizioni maggiori. Ci sono ottime probabilità che nemmeno l’ammucchio di Monti e Bersani sia sufficiente a formare una maggioranza, e anche se fosse durerà nanosecondi.
Le nostre generazioni sono entrate in terra incognita. E non ha senso discutere della marca del tostapane mentre il tuo appartamento brucia.
Un ebook dei wu ming. Di sicuro non basta.
E’ solo l’annuncio di un collettivo, sempre sul pezzo dei tempi, che inaugura una stagione di tentativi, e dunque di errori, di sperimentazioni, e dunque di aggiustamenti continui, di strade da percorrere ex novo, e dunque senza tom tom a indicare il percorso. Bisogna ripensare tutto, non è certo solo all’editoria che mi riferisco.
Ciascuno di noi ha il dovere di praticare strategie di sopravvivenza, di provare a tenere, dentro una temperie feroce. Lo dobbiamo a noi stessi, a chi ci è caro, ai fratelli e le sorelle che non ci sono più. Ma da soli non ce la faremo. Dobbiamo ricominciare a inventare. Non solo cose, idee, progetti, prodotti, oggetti. Ma, forse soprattutto, modalità.
Per restare nel nostro contesto, solo uno tra i tanti, i lavoratori e i produttori della cultura, sono costretti, da subito, a ripensare intere filiere produttive, che nella loro versione (non più) attuale si sgretolano giorno dopo giorno. Non è una scelta, è un dato. Ripensare il proprio ruolo, la funzione, il modo di esercitarla.
Un blog, un collettivo, non sono sufficienti.
Il principio di autorganizzazione diventa una necessità priva di alternative, e non basta ancora. Bisogna consorziare le unità autorganizzate, e ritornare per strada a svolgere i nostri mestieri, e reperire le risorse sufficienti per cui tali attività possano avere luogo. Comincia una strada impervia, che vedrà anche diversi fallimenti. Nessuno è più al sicuro, le rendite di posizione svaniscono, e di fronte alla miseria di massa tutto ciò è logico. Bisogna capire in fretta qual è lo sfondo del lavoro culturale oggi, quali le sue condizioni, e soprattutto i nuovi bisogni, e sapere come andargli incontro.
Diventa indispensabile costituirsi, e consorziarsi dicevo, ricostituire le filiere un pezzo alla volta, nelle mutate circostanze.
Scrivere, narrare, certo. Ma pure scuole popolari, seminari, workshop, dibattiti, reading, conferenze e altro ancora. L’infrastruttura digitale è uno strumento. Molto importante, cruciale, ma soltanto un mezzo. Non è il luogo.
Il luogo torna a essere la strada, e i bisogni reali delle persone.
Nel tempo della miseria di massa il lavoro culturale ridiventa orpello, superfluo, bene fungibile? Questa è la prima domanda alla quale rispondere. Se la risposta è negativa, l’impresa deve ancora incominciare, ma c’è una possibilità.
Occorre rialfabetizzare un paese incattivito e ignorante, lavoro immane, che prenderà lustri. Ma, appunto, è lavoro no? Come far sì che non sia gratuito,e dunque impossibile da portare avanti? Dovremo accettare in cambio beni e servizi, in una forma rinnovata, neppure tanto, dell’antico baratto? Accettare olio, formaggio, prodotti della terra, vestiti fatti in casa? Forse, ma non basterà.
Come in molte altre occasioni, il collettivo, partendo dalla propria esperienza e specificità, apre uno squarcio su questioni che di gran lunga lo trascendono e investono ciascuno su quanto ci sta accadendo.
Nel tempo in cui poteri privi di alcuna legittimità imperversano dentro la carne profonda delle nostre vite, trascinandoci su un fronte di guerra invisibile ma non meno letale, l’autorganizzazione solidale torna a essere l’unico strumento plausibile, e la lotta la sola strada da percorrere.
L.
Minchia Lu’, ciài messo una pietra tombale sulla discussione.
Non sono d’accordo – per il mio inguaribile ottimismo – su molte delle cose che dici però, leggendole, ho trovato la poesia disperata delle Cronache del dopobomba di Bonvi.
rip.
Una domanda, che è più che altro una curiosità: voi avete i dati di vendita in tempo reale? Con che livello di precisione?
Già che ci siamo, come sta andando?
Io, per parte mia, sono più o meno a due terzi della lettura; oltre ad apprezzare molto l’ottima introduzione di Tommaso, sto rileggendo con piacere anche le parti di cui avevo più vivida memoria, appunti disuguali, feticismo digitale, così come ho trovato molto utile il pezzo su Benigni e l’inno di Mameli, di cui avevo ascoltato l’audio.
Lo sto consigliando a tutti, era tanto non mi capitava di spendere così bene quattro euro.
cari WU, scopro solo oggi l’ebook di giap a 4€. purtroppo non sono un assiduo frequentatore di giap. ero iscritto alla newsletter e la versione blog è molto impegnativa. tante diramazioni e a volte il tempo della real life è tiranno. detto ciò, ho appena comprato il vostro ebook e lo metto nella to-read-list. e se anche non dovessi leggerlo considerate l’acquisto come un piccolo sostegno finanziario. ho iniziato a leggervi grazie ai download gratuiti. poi ho quasi sempre comprato i libri, a volte senza leggerli (lo ha fatto la moglie che è passata da “basta con sti wuminghia” a “però, 54 è proprio bello, passami manituana”), solo per fare in modo da ricompensarvi del vostro lavoro.
forse una volta vi ho fatto una donazione. non ricordo e poco importa.
in ogni caso è corretto che voi diciate “noi scriviamo, ma voi dateci dei soldi”. nessuno campa gratis. io non posso offrirvi una cena al ristorante. però magari riesco a pagarvi una pizza.
a mio avviso, la strada è quella giusta. il digitale dovrebbe eliminare dei costi di produzione e quindi riuscire ad abbassare il prezzo finale. presumo che voi abbiate più chiaro il dettaglio della catena produttiva editoriale e verificare se l’affermazione precedente è vera o falsa.
quindi rilancerei. toglierei, magari dai prossimi libri, il download gratuito e metterei un prezzo (quale possa essere non so).
a presto,
g.
Credo che sia il primo (e forse l’ultimo) ebook che compro. Però accanto all’ebook non sarebbe bello una edizione numerata su carta bibbia e cartonata? Perchè in fondo tra le due letture passa come downloadare un porno e farsi una scopata.
Sto leggendo il libro di Gallino “La lotta di classe dopo la lotta di classe” e reputo che la coscienza, sia di classe che umana (del restiamo umani), bisogna alimentarla, vivificarla, affilarla, partendo da riflessioni, fonti e riferimenti: voi siete una splendida opportunità.
Ho appena comprato “Giap. L’archivio e la strada”. Se questo è il percorso scelto, finché potrò, continuerò a sostenere il progetto. Grazie.
Ok, ora che l’ho finito provo a dire la mia.
Premetto che avevo letto quasi tutti i pezzi sul blog, però devo dire che non per questo li ho trovati meno interessati, forse solo per uno o due dei più recenti ho avuto la sensazione che non dicessero nulla di nuovo (per un’eventuale ripetizione dell’operazione potrebbe essere utile fermarsi a post un po’ più vecchi), ognuno degli altri in questa seconda lettura ha stimolato ulteriori riflessioni. Come in ogni ‘the best’ mancano cose che io ci avrei messo (ad es. il post sugli orologi e il terremoto), ma la mancanza non pesa.
Personalmente ho trovato di un livello superiore agli altri i post derivati da conferenze e quello su Fawkes, ma tutti di alto livello tranne, a mio modo di vedere, quello degli appunti sulla conferenza di Jenkins, forse proprio per la forma troppo ad appunti.
Ultima nota, dopo la (ri)lettura del post sul tempo ho aspettative enormi per “L’armata dei sonnambuli”.
Insomma, anche dal punto di vista di uno cheil blog lo segue valeva la pena di raccoglierli (e forse ce ne potevano stare un paio in più) e valeva la pena di rileggerli.
Grazie del feedback, è prezioso. E in questo caso pure incoraggiante.
[…] il lunario facendo lo scrittore (significativo per quest’ultimo aspetto è il commentatissimo post dei Wu Ming collegato all’uscita digitale di Giap. L’archivio e la […]
Finito 4 giorni fa e lasciato, un pochino, a macerare.
Parto da una nota commerciale perché mi sembra di aver afferrato un certo dubbio sull’operazione: 4 euro, per quanto è contenuto nelle circa 200 pagine, è una cifra che chiunque (abbia a cuore o meno il vostro progetto) è sicuramente disposto a pagare in rapporto alla mole di ragionamenti e spunti che si ricevono in cambio.
Mi sono piaciuti praticamente tutti ma personalmente ho adorato i post relativi a Pasolini, oltre a “l’occhio del purgatorio” e “Spettri di Muntzer all’alba”.
Ultima cosa : l’introduzione. Esaustiva e “chimica” : fa venir voglia di “mordere” il libro prima possibile.
A quando la raccolta fino al 2009 ?
Giap. L’archivio e la strada può darsi sia un’operazione “per pochi”, ma almeno a quei pochi piace :-)
http://www.anobii.com/books/Giap_Larchivio_e_la_strada/9788863699630/015e4ef5db1666f6fe/
Dopo aver letto *L’archivio e la strada* ci ho messo un po’ prima di scrivere un commento da pubblicare sulla mia libreria Anobii. L’apprezzamento maggiore è andato al lavoro di Tommaso De Lorenzis, mi fa piacere segnalarlo anche qui: ottima selezione e bella, molto bella e azzeccata, l’introduzione. Per il resto riporto di seguito, comunque dal mio punto di vista buona leggibilità dei singoli post infilati uno dietro l’altro per sezioni tematiche…
——–
L’archivio e la strada, due dimensioni di produzione, trasmissione e rielaborazione della conoscenza che rimandano in prima impressione a immaginari distanti: la strada luogo aperto e dinamico, occasione di incontri scontri e scambi; l’archivio polveroso e chiuso, il posto della ricerca individuale. Se così fosse sarebbe facile raccontare di Giap. L’archivio e la strada, mentre invece la distanza d’immaginario e la supposta impermeabilità delle due dimensioni viene sistematicamente messa in discussione da questa raccolta di interventi già letti o sentiti – essendo stati pubblicati nel periodo 2010-2012 e tutt’ora disponibili su Giap, l’epicentro dell’attività in Rete dei Wu Ming – e il rapporto fra le due dimensioni intrecciato tanto da rendere impossibile continuare a immaginarle polarizzate, mentre viene da profilarle una di fronte all’altra, che si rifrangono esperienze di ricerca, discorsi, ibridazioni, narrazioni, in un flusso retroagito e mai concluso, rispecchiando le dinamiche contemporanee della produzione culturale stessa. Niente di nuovo per chi frequenta abitualmente Giap (il blog http://www.wumingfoundation.com/giap/), questa dinamica apparirà familiare. L’ottimo lavoro di curatela di Tommaso De Lorenzis nella selezione dei post e nella suddivisione di questi in sezioni tematiche, con brevi ma efficaci note introduttive per ogni sezione, ha il pregio di rendere anche ai non-giapster il senso complessivo della raccolta. Un senso complessivo che non si riduce alla semplice raccolta per strappare al rischio di dispersione questi interventi nel magma montante della produzione culturale disponibile in Rete – è anche questo, e non è poca cosa avere a portata di mano una antologia di resistenza al quotidiano incedere normalizzato. La vera forza sta però nel tracciare una mappa delle tematiche e dei riferimenti che animano il lavoro culturale sviluppato dal collettivo Wu Ming, che si ostina a volere sperimentare nuove modalità di presenza e autonomia segnate dall’originalità del percorso, così come dimostra anche la scelta della sola pubblicazione in ebook di Giap. L’archivio e la strada (con la conseguente discussione e il giro di precisazioni degli autori che si possono leggere qui: http://bit.ly/XLNLrT).
Tommaso De Lorenzis ha inoltre scritto una bella introduzione, con uno stile discorsivo che la prende larga e da un luogo e un tempo che non ci si aspetta, pur trovando la giusta chiave per rendere che «tutto si tiene»: l’Inghilterra dei minatori in scioperi contro le politiche classiste di Margaret Thatcher, gli anni Ottanta, la solidarietà dei lavoratori europei con i compagni d’Oltremanica e con la loro strenua resistenza. Sappiamo che finì male, come male finì in Italia con quella che oggi dovremmo sempre ricordare come l’origine dell’abbruttimento del paese in cui viviamo, con la grande controffensiva capitalistica a danno della classe lavoratrice – vera e propria lotta di classe unilaterale – e il suo operare e lottare per una maggiore giustizia sociale. In quegli anni e nella retorica che li circonda sta il seme della parte maggiore delle narrazioni tossiche con cui oggi dobbiamo fare i conti e i post raccolti lavorano come un tarlo nel disvelarle e contrastarle, un lavorio – lungo, continuo e complicato – che quotidianamente i Wu Ming e tutta la comunità dei giapster contribuiscono ad alimentare su Giap (e a questo lavorio, alla sua dimensione cooperativa, rende parziale giustizia il link alla fine di ogni post raccolto che rimanda alla relativa discussione sul blog). La centralità assurta dal concetto di *democrazia* – liberale, tendente al plebiscitarismo – che toglie respiro all’ipotesi e alla possibilità d’immaginare una *rivoluzione*, un’opposizione che contrappone una diversa capacità di lettura della dimensione temporale, il tempo lineare e immodificabile versus l’ucronia del possibile e del sabotaggio della timeline.
Infine, se ancora non fosse chiaro e poco ho niente ho scritto degli articoli selezionati, qui l’ottica è situata, sta «a sinistra» e quel che conta – ricordiamolo sempre – è resistere un minuto in più del padrone.
[…] sono eccezioni, certo. C’è chi, tra un affanno e un altro, fa esperimenti, come i Wu Ming. Ma loro non fanno testo, sono vent’anni che frequentano la Rete e le […]
Speciale “Ebook e cantastorie”, Radio Città del Capo. Intervista a Wu Ming 4 sull’ebook e altro:
http://radio.rcdc.it/archives/ebook-e-cantastorie-115525/
Premetto che se fossi vergine di Giap avrei trovato questo libro rivoluzionario, fantastico, incredibile e tutti i superlativi che vi vengono in mente. Purtroppo i post li avevo già letti quasi tutti ma è comunque molto interessante rendersi conto di come cose già lette, presentate con un particolare filo conduttore e a distanza di tempo, stimolino riflessioni diverse da quelle della prima lettura. In particolare i testi che trattano le rivoluzioni arabe, a distanza di due anni, forniscono strumenti oggi più utili che mai per contestualizzarle in una visione più generale e più a lungo termine del processo rivoluzionario, ben diverso da quello proposto dall’informazione attuale.
Un altro elemento che porta ad interpretazioni diverse o più approfondite dei post è l’assenza della discussione, che sul blog è spesso talmente viva e interessante che per star dietro ai commenti a volte si legge un po’ superficialmente il post di partenza e magari ci si perdono importanti spunti di riflessioni.
ciao, spero di non essere troppo OT. dopo questo primo esperimento, pensate di cominciare a fare uscire regolarmente gli ebook (a pagamento) insieme alle edizioni cartacee – magari rilasciando in un secondo momento una versione gratuita dell’ebook stesso? personalmente, cerco di comprare solo ebook, ma per i libri dei WM mi tocca per ora continuare a riempirmi la casa di carta (a meno di non struggermi nell’attesa dell’edizione elettronica dopo qualche mese :-) ) …
“ne parleremo nel post Glasnost 2013, anche se non c’è poi molto da dire, abbiam fatto un esperimento, è andato male, capita, amen.”
Riporto qui nel blog questo twit che avete postato oggi, dopo avere visto i dati di vendita di “giap – l’archivio e la strada”, poco confortanti.
Non vi voglio costringere a tornare su una discussione di 5 mesi fa, e d’altronde già quel “non c’è poi molto da dire” è una dichiarazione programmatica, ma tant’è, io ho amato questo thread in modo particolare, e oggi che me lo sono riletto tutto, alla luce di come sono andate le cose per “l’esperimento ebook”, ci trovo dentro tanti ulteriori spunti di riflessione.
Che le vendite non sarebbero state da libro di ricette in tv o da giocatori barzellettieri lo avevate già previsto sin dall’inizio. Ma, allora, di preciso, cosa è andato male, nell’esperimento?
Il contenitore? o il contenuto? o entrambe? o altro ancora?
Dal lato del “contenuto” c’era l’esigenza, ma correggetemi se sbaglio, di “fermare il tempo”, di tirare i fili di varie tematiche e magari vedere se certi pezzi suonano ancora forte come suonavano appena scritti. Da questo punto di vista, chi ha acquistato “giap – l’archivio e la strada” non può non averlo apprezzato: e se alcuni post li ho riletti perchè li ho amati sin dalla prima apparizione, altri nemmeno li ricordavo, e il lavoro di assemblaggio fatto con TDL li fa apprezzare ancora di più.
Su carta o ebook, il prodotto era e rimane eccellente.
Dal lato del “contenitore”, avete deciso di percorrere la strada dell’ebook. Personalmente, ho un rapporto strano con gli ereader. La narrativa tendo ancora a preferirla su carta, mentre trovo che per la saggistica sia uno strumento formidabile, ma è chiaro che un ebook di saggistica è una nicchia dentro la nicchia. Su questo, già veciobaeordo più sopra ha detto molto.
Infine, se l’intento era capire – la butto malissimo – se la comunità dei giapsters era disposta a sganciare un po’ di grano per sostenere il vostro lavoro di scrittori (e non solo), beh è chiaro che il momento è quello che è. Su questo, il commento-fiume di Luca qui sopra, è magistrale.
Mi chiedo quindi se “L’esperimento è andato male, amen” sia una risposta alla domanda che faceva wm1 “io mi chiedo se l’operazione interessi, se ne venga percepito il senso”.
E’ così?
Oh, però non sfidateci eh… che qui c’è gente che si tirerebbe via anche un pezzo della propria, di pelle, per consentire “ai vostri tamburi di continuare a suonare” (cit.).
Grazie per tutto ciò che fate.
Grazie a te per il supporto morale.
Penso che più che ragionare sulle motivazioni dei giapster o dei lettori di Wu Ming si dovrà partire dai dati reali e concreti. Quelli con cui ciascuno di noi umani fa i conti ogni giorno, del resto. E allora 427 copie in quattro mesi sono il dato dell’ebook.
Comunque, come preannunciato, avremo modo di discutere di questo e di molto altro nel post sulla glasnost 2013, nel quale proprio a partire dai dati reali spiegheremo cosa ci riserva il presente e qual è il nostro destino.
L’esperimento è andato male dal punto di vista *merceologico*. Credo che il dato di 400 e rotti download lasci poco spazio alle interpretazioni. Sicuramente faremo altri esperimenti, ma che questo sia andato male mi pare fuori discussione.
A fronte del tempo e dei soldi nostri investiti per Giap. L’archivio e la strada, in proporzione l’esito è questo: abbiamo speso mille, ne torneranno forse dieci, venti a testa? Trenta?
Dieci euro è l’entità della singola donazione media via PayPal. In una giornata media, via PayPal ci arriva già più o meno l’intera cifra che ciascuno di noi “guadagnerà” dai download complessivi dell’ebook.
Che – lo ricordo – era scaricabile da *tutte* le librerie on line italiane, Amazon compresa. Per mesi abbiamo tenuto la copertina e il link nel punto più visibile della home page di questo blog, abbiamo usato la copertina come avatar, abbiamo ricordato la sua esistenza, ma non è servito a niente.
Quindi, di cosa stiamo parlando?
Da anni i profeti – o PR – delle “magnifiche sorti e progressive” del mercato degli ebook ci dicono che siamo “suicidi” a non mettere libri scaricabili a pagamento, e ci dicono che il futuro è quello, che il modello di business è quello. Sulla base di cosa ce lo dicono? Lo dico fuori dai denti: sulla base del puro hype. Di quello che dice Amazon, senza possibilità di verifica. Della propaganda degli uffici stampa e uffici marketing di soggetti che sparano cifre tonde a casaccio. E intanto questo modello di business non si vede. Sono cinque-sei anni che un’orda di commentatori dice: “Questo sarà l’anno degli ebook”, intendendo “degli ebook remunerativi”, e non succede mai. “Ma in America…” dicono, e via di percentuali etc. Ma in America.
Ora, se noi dovessimo giudicare da questo esperimento, che, per carità, era limitatissimo, ma comunque un certo risalto l’ha avuto, se n’è parlato etc., ecco, noi dovremmo concludere che il chimerico e ricercatissimo “modello di business” non lo troveremo lungo questa strada.
Per il momento, ci siamo avvicinati di più con il download gratuito + possibilità di donazione.
Ciao belli. Dunque, no, il mercato dell’ebook esiste anche in Italia, anche se in numeri molto diversi da quelli americani, e comincia a essere remunerativo. Parliamo di circa il 2 percento del mercato contro il 20 percento Usa. Il problema è che non si tratta di un modello “liscio”, con risultati prevedibili. Alcuni libri che hanno un notevole successo in cartaceo hanno meno download a pagamento di libri che in cartaceo si vedono poco. E’ il caso, per esempio, di quella che è la nuova ondata dell’erotico. I titoli minori, non le Cinquanta sfumature per capirci, vendono di più in digitale. Con download si supera l’imbarazzo dell’acquisto. Vendono molto anche i titoli per bambini, che forse vengono utilizzati sull’ipad durante i viaggi in macchina (sembra una stronzata, ma se viaggi con dei bambini dargli qualcosa con cui interagire è fondamentale, mi dicono). In generale, con i miei libri ho visto un aumento costante delle vendite dei titoli digitali. Ma non di tutti e non allo stesso modo e non in proporzione alle vendite dei singoli titoli cartacei. Chiariamo, io non metto i miei titoli in download gratuito, quindi è l’unico modo per averli in formato digitale, fatto salvo scaricarli con il peer to per dove sono presenti tutti.
Quello che avete tentato voi, però, è qualcosa di differente. Non un titolo “normale”, ma qualcosa di già fruibile gratuitamente, e che forse il vostro pubblico ha già letto. Vero che è stato “compilato”, ma non è detto che la compilazione fornisca quel plus che un lettore è disposto a pagare. Anche perchè, sencondo me, molti dei vostri lettori affezionati hanno già “pagato” attraverso la donazione volontaria su Paypal. Che, secondo me, fornendo gratuitamente come fate i vostri testi, è forse la strategia vincente.
Concordo con te, Sandrone, sui “limiti”, ovvero sulla particolarità del nostro ebook. Tuttavia se come dici tu fornire in download gratuito i nostri libri affidandoci al buon cuore dei donatori paga di più che venderli in ebook, mi sembra che proprio questo metta una bella ipoteca sul tanto decantato modello di businness elettronico. O no?
La riflessione che fai a proposito dell’erotico e dei libri per bambini ci dice che laddove l’ebook funziona come business è per motivi extra-letterari, diciamo così, se non proprio extra-testuali. Anche questo dato mi pare mettere in discussione le meravigliose sorti e progressive del mercato dei libri elettronici.
Il fatto che Dan Brown in America, nella prima settimana di uscita di “Inferno”, abbia venduto quasi altrettanti ebook che libri cartacei, non contraddice i segnali di cui sopra, anzi, a me pare confermarli. Dan Brown in America è Dan Brown in America. Wu Ming o Sandorne Dazieri in Italia, sono un altro pianeta.
I dati su Dan Brown, poi, li immagino un bel po’ gonfiati, sia chiaro, ma anche se la tendenza fosse quella, non è detto che valga per tutti. Anzi, tenderei a escluderlo.
Sull’extratestuale mah… In fondo anche tutti i libri hanno un perché extratestuale :-) Anche il libro di Giap, se vogliamo. Sul modello di business, doppio mah. Diciamo che dall’interno della macchina editoriale quello che vedo è che la lettura di libri elettronici è usata dai forti lettori, soprattutto. Perché chi legge Rosa o Erotico è un forte lettore, legge tre quattro libri al mese. Sei, dieci. Quando dirigevo la collana i Romanzi della Mondadori (romance in costume) avevo lettrici, tante, che li compravano tutti, ed erano sei al mese, dodici ad agosto. Io, che sono un forte lettore, compro otto libri digitali su dieci, anche perché viaggio sempre con essi. E più o meno questa è la percentuale di metà di quelli che conosco.
A prescindere dai casi personali, però, il paradigma *è* cambiato. Le riviste cartacee sono state piallate dal digitale, i libri digitali in America sono il 20 percento del mercato. Un botto. Gli autopubblicatori campano davvero con quello. Metà del tempo scrivono, l’altra metà si promuovono. Sono scrittori, editori e ufficio stampa di se stessi.
In Italia siamo ancora lontani, ma non sono convinto, per esempio, che se voi il vostro prossimo libro inedito lo faceste direttamente in digitale da soli non guadagnereste gli stessi soldi. Anche se vendeste meno, le percentuali sarebbero più alte non dovendo dividere con un editore. Ovviamente non avreste l’editor, il correttore di bozze, l’ufficio stampa “normale”, la copia cartacea, eccetera. Perché funzioni, però, dovreste rinunciare al doppio binario, con la copia gratuita da scaricare e quella a pagamento in contemporanea, perché non a tutti interessa sostenere il vostro lavoro. Anzi, la maggioranza se ne fotte. Non scarica il “pirata”, ma se trova una copia legale gratis, la maggior parte non compra quella a pagamento volontariamente. Penso, anzi, che questo potrebbe essere già un problema oggi se la copia gratuita delle vostre opere fosse disponibile non solo sul vostro sito, ma su quelli commerciali “chiusi”. E’ vero che si può comunque scaricare e caricare su kindle, ma la maggior parte di chi usa un kindle sa al massimo come accenderlo e voltare le pagine. Perchè il due per cento del mercato di cui parlavo non tiene conto del gratuito. Soprattutto del gratuito non dell’esordiente di turno, ma dello scrittore affermato come voi siete.
Se prima la copia gratuita in download era sostanzialmente un plus per gli affezionati, un vizio di pochi, adesso rischia davvero di sottrarre entrate serie. E chi fa della scrittura il suo lavoro, e non un hobby o un vezzo, un minimo ci deve pensare. E’ vero che molti mi augurano di andare a zappare, ma non ne ho molta voglia.
“non sono convinto, per esempio, che se voi il vostro prossimo libro inedito lo faceste direttamente in digitale da soli non guadagnereste gli stessi soldi.”
Non certo gli stessi soldi del cartaceo, puoi starne certo. Non per il momento. Moltissimi nostri lettori non leggono affatto in digitale, né saprebbero come procurarselo. La media dell’età in Italia è 45 anni: significa che è pieno di over 65 che magari sanno anche usare il computer, ma non si muovono con disinvoltura in rete. Tanti altri semplicemente non hanno il tempo di starci in rete a cercare le cose. Su questo ha ragione Daniela Finizio, qui sotto, quando dice che proprio il cartaceo avrebbe forse dato all’antologia di Giap quel qualcosa in più, perché avresti offerto il meglio di Giap a chi non lo frequenta online. Però il problema da cui siamo partiti per l’operazione ebook di Giap era proprio l’overloading di cartaceo. Il mercato non assorbe oltre un tot di nostre uscite annue.
Quindi il dato assoluto a cui si ritorna è il crollo del potere d’acquisto dei lettori, siano essi “cartacei” o “elettronici”. Dopodiché si può continuare a sperimentare varie vie più o meno ibride, e probabilmente lo faremo, ma non si bypassa questa evidenza. Ed è questa che oggi pesa.
Attenzione, non ho detto le stesse copie. Ho detto gli stessi soldi. Forse. Potendo tenere il 50 per cento del prezzo, è ovvio che ci sono dei vantaggi sulla singola copia. Ma basta parlare di soldi, che è volgare:-)
Scusate se dico la mia fuori dai denti su cose che sono fatti vostri, ma visto che siete disponibili al dibattito io avevo in corpo alcune riflessioni da un po’.
Secondo me Giap 2 è il libro a cui avete voluto “meno bene” in assoluto. Lo stesso annuncio è avvenuto quasi in sordina. Sapevamo di Point Lenana da mesi, idem per L’armata dei sonnanbuli, Timira etc. Invece Giap 2 è stato lanciato senza preavviso. Mi pare col famoso (e purtroppo infelice, benché per me ottimo) tweet: “quando faremo un ebook a pagamento”. Subito si è spostata la discussione dal libro e dai contenuti alla forma (e sostanza in euri). Si sono scatenati i cavalieri integralisti del free software, pochi con contributi utili, molti con strepiti isterici. Questo non deve aver aiutato a farvi amare un oggetto su cui, a mio giudizio, già avevate riserve. Pochi giorni dopo mi è parso che abbiate già misconosciuto l’operazione dicendo che non stava riuscendo (http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=11822&cpage=1#comment-17465)
Un altro elemento, rispetto al primo Giap, uscito su carta, è che la forma cartacea mirava ad un pubblico diverso da quello dei Giapster abituali. Una andava in libreria e trovava vicino a Q e 54 pure Giap (magari vicino ai libri di Evangelisti e De Cataldo) e decideva di provare. Così Giap 1 ha venduto > 15k copie. Anche perché credo che i volumi di traffico del vecchio Giap! fossero di gran lunga inferiori al blog attuale. L’uscita di una raccolta di post (anche se con il contributo e i commenti di Tommaso De Lorenzis) secondo me pescava nel pubblico che Giap lo conosce e lo frequenta e che pensa di aver letto già tutto quello che gli interessa. Senza considerare che il periodo coperto da Giap 1 comprendeva eventi che avevano avuto un’attenzione mediatica, anche su di voi, maggiore rispetto a Giap 2, allargando in questo odo il pubblico.
Ancora, ribadite che Giap 2 è presente su tutte le librerie online. Ma un potenziale lettore non abituale di Wu Ming va a cercare i vostri libri nelle librerie online? O piuttosto li cerca e li trova in download gratuito su questo sito? Quindi la presenza nelle librerie online non è di per se un canale di promozione e visibilità. Come invece, in questo caso, è il blog (e siamo daccapo).
Infine, il dato dei download paganti andrebbe sommato al dato dei lettori che se lo son passato per vie informali. Ricordo che pochissimi giorni dopo l’uscita Wu Ming 2 rispondeva qui a uno dei cavalieri-senza-macchia che il libro girava online (e che a voi andava bene così).
Ora in sintesi, a parte il lancio etc, concordo con Sandrone Dazieri: per giudicare l’effetto degli ebook sulle vostre vendite rispetto alla carta, forse partire da una collezione di materiale (per non fiction) disponibile in digitale non è il massimo.
Sandrone, alcune questioni e domande:
1. In Italia nessuno legge, i lettori davvero “forti” (non quelli pseudo-forti che, come dicono le statistiche, leggono “almeno un libro all’anno”, che non significa niente) sono forse centomila. L’industria editoriale è una caccola, la stragrandissima maggioranza dei libri pubblicati vende poche centinaia di copie. Il “mercato dell’ebook italiano” al momento è il 2% di una caccola, non so se ce ne rendiamo conto. Anche se (tra quanto? dieci anni?) arrivasse a coprire il 20%, sarebbe il 20% di una caccola. Cosa intendiamo esattamente per “remunerativo”, allo stato attuale?
1b. Tra l’altro, per favore datemi conferme (certificate da soggetti terzi imparziali) che negli USA la porzione è davvero il 20%.
2. Da anni io sento parlare di questi “autopubblicatori” che fanno un sacco di soldi, gli esempi “grossi” sono sempre americani e sempre gli stessi, Konrath etc. Solo che non ci sono dati che non siano PR, e su Konrath circolano forti sospetti che sia pagato da Amazon per fare il “poster boy”. Non solo su di lui, a dire il vero. Amazon ha tutto l’interesse a pompare ai massimi la bolla, visto che è il soggetto oligopolista – agente di nuova, pervasiva, pesante *intermediazione* – che ci guadagna di più, grazie alla vendita dei Kindle e alla coda lunga. In ogni caso, io in Italia non conosco nessuno che campi di ebook.
2b. Tra l’altro, non so quanto possa parlarsi di “autopubblicazione”, non mi sembra indifferente la questione della piattaforma: Amazon, una mega-corporation globale, funziona da editore digitale e distributore in modo ancor meno aggirabile e prescindibile di quanto avvenisse coi soggetti “tradizionali” della filiera editoriale.
3. Secondo me il paradigma non è “cambiato”: è finito e basta, e niente lo ha ancora rimpiazzato. Intendo il paradigma *dal lato autore*. Perché *dal lato editore* (intendendo per “editore” il nuovo intermediario oligopolista) il nuovo modello di business c’è già: lo sfruttamento del lavoro cognitivo grazie alla coda lunga, con il singolo cognitario che prende spiccioli ma è tutto contento perché è “pubblicato”, wow!
4. In ogni caso, il dato rimane questo: coi download gratis e il sostegno “militante” a Giap, nell’ultimo anno abbiamo tirato su circa 5000 euro; con l’unico ebook a pagamento, poche decine. Ripartiamo da qui, per favore. Stiamo sui casi concreti e verificati, non sulla tendenza generale astratta.
@ Daniela
abbiamo lavorato a quest’antologia con le energie che avevamo, e con l’acqua alla gola, e forse lo sforzo è stato disordinato, ma posso assicurare che il 99% degli ebook che circolano in rete sono stati realizzati con un cinquantesimo del lavoro che abbiamo investito noi in Giap 2.,
E’ vero che i lettori non vanno a cercare i ns. libri nelle librerie digitali, ma nella pagina di download di Giap. Infatti, se vai a vedere quella pagina, Giap 2 è in bell’evidenza. La pagina si *conclude* con un invito ad acquistarlo.
Guarda che non voglio mica convincere nessuno di niente, eh? Non ho verità, solo opinioni e un po’ d’esperienza. Vediamo.
1 Remunerativo lo intendo rispetto a quanto al momento gudagnate vendendo libri cartacei, in termini di diritti d’autore. Non di fatturato complessivo.
1b Le conferme anche quelle ci sono in giro. Associazioni di editori, statistiche eccetera. Poi possono essere tutte falsate e così via, ma visto che lavoro dentro una casa editrice e parlo con gente del mestiere mi sono formato un’opinione. Magari sbaglio alla grande, ma non credo.
2) In Italia non ne conosco nessuno neanch’io. In America sono parecchi. Lo so perchè comprando libri stranieri per Fabbri parlo con numerosi agenti. Gli agenti spesso vendono diritti cartacei per ebook andati bene in patria (poi magari mentono tutti). Alcuni autori grossi, già famosi nel cartaceo, non cedono più i diritti Ebook e fanno da soli, perché hanno capito che gli conviene. Hanno i vantaggi del cartaceo e i guadagni dal digitale. Casi recenti 50 sfumature, Wool, eccetera. Ovviamente Amazon spinge perché gli conviene. Poi possono mentire tutti, eh. Ma diciamo che tendo a crederci.
2b) Amazon è lì e non possiamo far finta che non abbia cambiato le cose. E’ vero, schiavizza gli addetti, ma offre le migliori condizioni a chi pubblica direttamente con lui, migliori di qualsiasi editore. E’ vero, fa prodotti chiusi, impone il drm, ma ha il miglior servizio clienti al mondo. Due giorni dopo che hai postato il tuo libro da pubblicatore autonomo è on line in tutto il mondo, scaricabile dai device connessi, visibile ai motori di ricerca. E’ il nemico, ma è un nemico molto efficiente. Poi si può scegliere di non usarlo.
3) Forse. Poi bisogna vedere se un autore è più sfruttato nel nuovo modello che nel vecchio. Se prende più briciole oggi o ieri. Ricordiamo che senza autori e senza lettori il sistema muore comunque.
4) E dai con sta storia del verificato e dell’astratto. Io ci lavoro con sta roba, la verifico tutti i giorni, con il limiti del fatto che non esiste un mega computer che tiene tutti i dati cui posso accedere, ma solo piccoli frammenti che metto insieme. Sono intervenuto solo perché, partendo dal vostro esperimento Giap 2, stavate cominciando a trarne delle osservazioni più generali sul modello di business e sull’hype, e mi sono permesso di fare lo stesso anch’io. Mica volevo dirvi come agire in futuro o darvi consigli. Poi per carità, non ne parliamo più.
Come al solito discussione interessantissima quando si entra nel merito del lavoro e dell’esperienza che, nel panorama editoriale italiano, spesso sembra essere roba secondaria e “volgare”.
Butto solo lì una riflessione (un dato veramente) ma penso poi di tornarci con più calma: i dati di vendita digitale rispetto al cartaceo sono all’incirca dell’uno per cento. (Qua c’è un rapporto Aie relativo al 2011 http://www.ebookgratis.it/wp-content/uploads/2012/05/AIE-MercatoEbook-Maggio2012.pdf)
427 copie vendute di Giap – L’archivio e la strada, in quest’ottica, mi sembrano un’ottima performance. Se fosse uscito anche in versione classica cartacea mantenendo la proporzione verrebbe da dire che avreste venduto 42mila copie. Totalmente irreale. Giusto?
Se invece paragoniamo Giap2 a – per dire – New Italian Epic, che ha venduto 5000 copie cartacee, l’attesa di vendita in ebook sarebbe stata di una cinquantina di copie (1%). Averne vendute 427 – anche considerando una parte di lettori che comprando il cartaceo non avrebbero preso l’ebook – mi sembra un segnale importante sulla vostra possibilità di penetrazione nel mercato digitale.
Proviamo a fare un’ipotesi di proporzione per i vostri libri di un 5% tra digitale e cartaceo. Altai (dati 2012) ha venduto circa 80.000 copie. Il cinque per cento sono 4000 copie, non conosco gli accordi contrattuali sulle vendita, ma il discorso, pragmaticamente, deve essere fatto. Conviene o no puntare a raggiungere quei 4000 lettori digitali?
Oooops, mentre postavo non mi sono accorto che WM2 è intervenuto con una scelta di campo che forse non lascia spazio a dubbi…
No, per carità. Magari il mio commento suona troppo apodittico, ma i dubbi sono sempre benvenuti e nel mio zaino sono il peso maggiore.
Ok… lo immaginavo. Mi accorgo invece che l’ultimo paragrafo del mio commento può essere equivocato. Ovviamente cito Altai per ipotizzare una proiezione (e un augurio) per le vendite del prossimo libro a collettivo riunito, sottoscrivendo in pieno il commento più in basso di Franz83.
Sarebbe poi il caso che si smettesse di parlare in percentuali (percentuali di cosa?, chiede giustamente il mio socio) e si provasse a prendere esempio da Wu Ming almeno su una cosa: la glasnost. Parliamo di copie vendute reali, rendiconti alla mano, e vediamo in cosa consiste davvero il mercato librario italiano. Altrimenti si rischia di parlare in astratto.
Le osservazioni di Sandrone dal fronte interno sono preziose e lo ringrazio. Tra l’altro collimano con quanto ci ripetono anche da Einaudi quelli che ne masticano di più di queste questioni (ad es. il famigerato bot di @Einaudieditore). Io rimango perplesso. Primo, per una questione di trasparenza dei dati, e vabbe’, ce lo siamo già detto. Viviamo tempi nei quali dare le cifre di quanto vendi davvero – anche tra addetti ai lavori – sembra sempre un’operazione da evitare, per ragioni di marketing. Quindi, forti dubbi sulla scientificità di certi report. Secondo, e più importante: il mercato editoriale cambia, ma per noi c’è un punto di non ritorno: il libero accesso al puro testo digitale. Se domani ci dicessero che il prestito gratuito in biblioteca è contrario alle nuove regole del mercato editoriale, che faremmo, chiuderemmo tutte le biblioteche? Introdurremmo il prestito a pagamento? Meno male che le biblioteche se le sono inventate un po’ di tempo fa, che se a qualcuno gli fosse venuta l’idea oggi, col cazzo, gli avrebbero detto, sei fuori di testa?, vuoi prestare a gratis quel che noialtri dobbiamo vendere? Meno male, guarda, meno male davvero. Quindi per noi: 1) Vale la pena solo vendere e-book che sfruttino appieno il fatto di essere oggetti digitali, offrendo un’esperienza “aumentata” rispetto al puro testo. 2) Il sistema delle donazioni libere è l’unico modello di business possibile per i nostri libri-tradizionali-in-formato-digitale 3) Nell’attuale crisi del mercato editoriale, con gli e-book che non decollano affatto, c’è un dato che tiene o addirittura si incrementa: la presenza dei lettori agli incontri, conferenze, reading, performance. Quelli li vedo, non c’è modo di fregarmi. Negli ultimi 12 mesi avrò fatto – io da solo, senza contare l’intero collettivo – almeno 80 “uscite pubbliche”. L’audioteca del nostro sito è frequentatissima. Le persone hanno una gran voglia di ascoltare storie, di discutere concetti, di confrontarsi sulle narrazioni. Magari non hanno in tasca venti euro per comprare “Point Lenana”, ma una moneta da 2 euro, per sentirsi raccontare quella vicenda da WM1 ce la metterebbero. E 2 euro sono più o meno quello che gli autori del libro incassano per ogni copia venduta. Ora io non ho contato quante persone c’erano ad ognuno di quegli 80 incontri che ho fatto. Di sicuro, se dico che ho incontrato 4k persone arrotondo per difetto. 4mila persone, 2 euro a testa, 8mila euro. Questo, per me, è già un business più visibile. E, per quanto mi riguarda, anche in linea con la nostra etica.
Ciao a tutti,
do la mia opinione da semplice lettore e da non addetto ai lavori. Chiedo venia di eventuali castronerie tecniche.
1.similmente ad alcuni precedenti commenti, credo anche io che questo ebook non sia una corretta pietra di paragone. Secondo me, un libro come “l’archivio e la strada” è rivolto principalmente ad un pubblico che già vi segue online – cioè un sottoinsieme probabilmente molto minore dei lettori interessati ai vostri lavori di narrativa (Timira, Q, Manituana etc.). Credo che l’unico modo avere dei dati veramente “scientifici” sia quello di far uscire contemporaneamente lo stesso testo potenzialmente “bestseller” (p.es. “L’armata dei nottambuli”) in formato cartaceo ed ebook. A parità di condizioni al contorno (pubblico, volano della pubblicità della casa editrice etc.), potreste poi verificare se e quanto pesa l’elettronico sul cartaceo.
2. Capisco e condivido le preoccupazioni di WM2 sul libero accesso ai dati. Però, legandomi al punto 1, non sarebbe possibile replicare il sistema adottato fino adesso anche in digitale? Cioè, far uscire subito il libro in cartaceo e ebook , magari protetto da DRM (come normale per quasi tutti gli editori), e dopo qualche tempo pubblicare sul vostro sito la versione DRM-free. In fondo, mi sembra sarebbe uguale alla “filosofia” attuale: se vuoi leggere il libro subito, paghi (o speri nella tua biblioteca), altrimenti aspetti un po’ e te lo trovi liberamente leggibile. Mi rendo conto che questo comporterebbe sicuramente una ridiscussione dei vostri accordi con l’editore, ma avete valutato anche questa modalità?
Da quel che so c’è questa fondamentale differenza: il libro cartaceo rimane in libreria anche quando la sua versione digitale viene messa in download gratuito su Giap. Amazon, invece, non permette di distribuire i libri a gratis. Se metti il tuo libro in downlaod gratuito, violi il contratto con loro.
Inoltre, è chiaro che la protezione DRM non è applicabile ai nostri testi, che devono rimanere liberamente riproducibili, purché senza scopo di lucro.
Capisco il tuo punto, nel momento in cui uscisse la versione gratuita dell’ebook su giap!, quella a pagamento sugli store sarebbe de facto cannibalizzata.
Da un altro punto di vista, però, nell’intervallo di tempo tra la pubblicazione dell’ebook a pagamento e quello gratuito si riuscirebbe forse ad intercettare quella fascia di lettori che preferiscono l’elettronico e che quindi comunque non acquisterebbero il cartaceo in attesa dell’ebook . E’ solo un ipotesi, non lavoro nell’editoria, faccio solo parte di quelli che amano più l’ebook della carta (e mi riconosco quindi nell’esempio).
Il discorso della libera riproducibilità (che condivido in pieno), non penso sarebbe inficiato se la versione liberamente riproducibile dell’ebook tardasse di qualche mese su quella DRMata. Anche perchè allo stato attuale è già così, se voglio diffondere un vostro testo elettronicamente devo aspettare un po’ finchè non lo pubblicate – a meno di non copiare in maniera più o meno manuale il testo di carta, (cosa che potrei fare comunque nel caso di pubblicazione doppia carta/elettronica). Oppure si potrebbe pensare di adottare il social DRM, che non blocca tecnicamente la riproducibilità dell’opera ma ne chiarisce i limiti d’uso consentito (es. riproduzione senza fini di lucro), esattamente come la nota sul copyright che c’è all’inizio dei vostri volumi di carta (per chi non sapesse cos’è, http://www.lafeltrinelli.it/fcom/it/home/pages/infoutili/assistenza/DRM.html). Alcuni editori lo usano già, il catalogo di Iperborea ad esempio è protetto (tutto?) tramite social DRM, immagino che al solito dipenda dagli accordi che si riescono a stringere con gli editori.
Riguardo amazon, che come hai ricordato non accetta utilizzi di tipo social, penso basti non vendere l’elettronico tramite loro. Tanto è una piattaforma che comunque, anche se si rimanesse con la sola carta, non verrebbe utilizzata.
Spero di non risultare il bastian contrario di turno, sia chiaro, cerco solo di fornire qualche idea.
Ero più contento se vi incazzavate :-) Sulla questione dei dati reali di vendita, secondo me è un po’ come chiedere: quante mutande si vendono nel mondo? E in Italia? Più a gambaletto o più stile nonno in carriola? Nel senso che ci saranno sicuramente dei grossi player, ma ci sono quelli piccoli, i mercatini, i distributori indipendenti, che possono fare anche grosse differenze tra un mercato e l’altro. Per capire cosa succede, se uno lavora nel campo mutande, come cucitore o come distributore, e per capire le tendenze future, occorre mettere insieme pezzi diversi, parlare con più soggetti e l’idea precisa non si ha mai.
Tornando a noi, il problema vero è che gli autori mentono, per vanità, per rassicurarsi. Mentono tutti. Esclusi i presenti :-)
Come la barzelletta del produttore, che mi ha raccontato un produttore. Un produttore americano lancia un film e aspetta i risultati la mattina dopo. Gli telefona il suo tirapiedi e gli dice “Capo, è andata malissimo”.
“Malissimo quanto?”
“Abbiamo incassato solo un dollaro.”
Il produttore affranto abbassa il telefono. Quasi subito lo chiama un giornalista e gli chiede come è andata. Il produttore risponde: “Male. Solo un dollaro E MEZZO”:
un abbraccio.
Ciao a tutti,
giusto per lasciare una traccia da “fruitore passivo” di Giap e per un uso statistico del campione.
Leggo il blog; compro e regalo abitualmente i vostri libri; sono assolutamente legato alla forma cartacea dei supporti; non ho mai fatto donazioni. Età +45.
Credo di essere un “forte consumatore” nel mondo dell’ editoria nostrana (7/10 libri al mese), non ho scaricato il vostro e-book per il semplice motivo che seguo abitualmente le discussioni nel blog e mi sembrava un doppione inutile.
Preferisco continuare ad acquistare (e regalare) il cartaceo. Trovo, nel buon vecchio sistema mercantile, che sia il modo migliore di dare lustro al vostro lavoro (voi vi sbattete in modo convincente, io apprezzo e compro).
Ho comprato anche quasi tutti i libri che avete recensito (con Amianto Feltrinelli mi ha fregato, doveva essere nel pacco ma non c’era -brigosissimo ottenere un risarcimento) e ne sono rimasto quasi sempre soddisfatto.
Ah, quando posso vi seguo pure dal vivo.
In sintesi e col massimo affetto.
@Sharko. Mi secca che tu abbia preso una fregatura. Purtroppo non sei l’unico di cui io abbia avuto notizia, anche su altre piattaforme. E’ vero che “Amianto” ha avuto alti e bassi distributivi e svariati colli di bottiglia… ma se arrivano anche i “pacchi”! Ascolta, prova a contattarmi in privato su twitter e vediamo come risolverla… sperando che non ci sia da fare una class action. Alberto
Scusa il ritardo, non avevo visto la risposta.
No, no, grazie, nel prox ordine (domani)lo rimetto in lista e vediamo. Se il problema persiste vado direttamente alla fonte.
Sono molto interessato all’ argomento perché c’ è un intero ramo della mia famiglia che è stato decimato nello stabilimento di Rubiera (RE). Mia zia e suo fratello erano nel reparto dove si impastava l’ amianto a mani nude (entrambi morti di calcinoma ai polmoni). Mio zio paterno, il marito, è stato operato di tumore e sopravvive in stato depressivo a causa dei lutti subiti.
E’ stato “fortunato” perché lavorava in magazzino e l’ eternit lo trasportava col muletto…
[…] ma il marketing diventa l’esplicitazione del lavoro. Rintracciarne la genealogia è importante. La raccolta di Giap può essere una pietra di paragone per questo tipo di […]