Dopo le riflessioni generali di ieri, ecco una meditazione più specifica su #OccupyGezi, i fatti di Piazza Taksim e cosa succede quando le persone si organizzano per rivendicare un diritto alla città, al tempo stesso territorio e civitas. Un diritto che è, più in generale, diritto al paesaggio. Sul sito di Internazionale.
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Rapido & interessante aggiornamento: il vice di Erdogan dichiara che gli ambientalisti avevano ragione a difendere gli alberi di Gezi Park e si scusa per la repressione violenta della loro iniziativa. Effetto perverso prodotto anche dal ritornello “Gezi Park è solo un pretesto”, “non è una questione di alberi”, ecc. Così dicendo si sminuisce la lotta per il diritto alla città, come se fosse “altra” e meno importante rispetto a quella “per la democrazia”. A quel punto, al potere non sembra vero di poter separare le due battaglie: gli ambientalisti buoni (chi non vuol bene agli alberi?) contro i facinorosi ribelli. Mettere Gezi Park su un piano secondario e tutt’al più simbolico è una mossa comprensibile, per spostare il focus su richieste più ampie, ma produce un frame utile alla repressione. Bisognerebbe invece insistere col dire che non è un caso se proteste così vaste sono partite da un piccolo parco cittadino di Istanbul. In nuce, la protesta per Gezi Park conteneva già molti temi della protesta più ampia. Altrimenti non si spiega l’intervento antisommossa per difendere un “semplice” cantiere.
Complimenti per l’articolo: ho apprezzato in particolare l’accezione “processuale” data a una categoria apparentemente fondata *solo* sullo spazio, come quella di diritto al paesaggio. A tal proposito mi chiedo: in che posizione stanno i fatti di Gezi rispetto all’esigenza, che proponete da tempo, di accantonare la metafora spaziale in favore di quella temporale nelle narrazioni rivoluzionarie? Mi sembra che, se i manifestanti si fossero limitati a “difendere uno spazio” (quello del parco), la loro lotta non sarebbe andata molto avanti. Però non so se l’espansione del movimento sia in sé un segno del passaggio da una semplice lotta “per lo spazio” a una lotta “per il tempo”…
beh, mi sembra che venga detto abbastanza chiaramente che il “paesaggio” non e’ inteso solo come spazio fisico, ma soprattutto come costruzione culturale di una comunita’. in questa accezione il “paesaggio” incorpora per forza la dimensione temporale.
Sì, il paesaggio è qualcosa che si fa, dunque una stratificazione temporale, un accumularsi di significati nel tempo e nello spazio.
Inoltre,difendere un parco dalle ruspe di un cantiere e da un progetto di centro commerciale significa soprattutto difendere l’uso di uno spazio – cioè banalmente il modo di viverlo, di passarci il tempo.
Gezi Park è un luogo particolarmente amato anche perché costituisce un’oasi riposante e “lenta” nel bel mezzo di un quartiere molto frenetico, trafficato, pieno di uffici.
E poi, pensa al fatto che il progetto di centro commerciale doveva riprodurre la vecchia caserma ottomana di Halil Pasha: cioè la storia di una piazza – il suo tempo – usato come paccottiglia, simulacro per imbellettare un non-luogo, modello Las Vegas di disneyficazione del passato.
Più in generale, la difesa di un bene comune non può mai limitarsi a una enclosure che si oppone a un progetto di enclosure. I beni comuni rimangono tali solo se, una volta che li si è “protetti”, si stabiliscono anche regole per il loro uso comune, cioè per appropriarsi insieme della loro dimensione dinamica e non solo statica.
Se poi sia questo aspetto che ha reso la rivolta di Gezi Park così feconda e fondativa, questo davvero non lo saprei dire…
Carissimi Wu Ming, buonasera… E’ la prima volta che scrivo sul vostro blog e approfitto per dirvi che vi seguo da alcuni anni e credo che in Italia di teste pensanti di sinistra con voglia di rompere le scatole ci sia un disperato bisogno, anche se non sempre sono d’accordo con voi…
Venendo al tema, questo discorso (che in effetti, sul tema “grandi opere”, si applica alla Turchia come all’Italia come ad altri paesi) mi fa sorgere spontanea la domanda: cos’è che non funziona nella democrazia?
Infatti, in una democrazia i cittadini dovrebbero essere i veri padroni dello Stato (uso il termine “cittadini” non in senso grillino). Nella nostra democrazia rappresentativa i cittadini dovrebbero eleggere della gente che, appunto, rappresenti il loro volere.
Cosa c’è di più importante per le persone che abitano in un luogo che poter scegliere quale debba essere l’assetto paesaggistico, l’organizzazione, il “senso” del luogo stesso? O anche, più banalmente, di poter scegliere di quali infrastrutture hanno bisogno e di quali no?
Invece, in Italia (non sono informatissimo sulla situazione turca, ammetto) si assiste al paradosso per cui c’è una inflessibile volontà politica “bipartisan” di realizzare la famosa TAV, odiata dagli abitanti della val di Susa e credo al più indifferente al resto degli italiani. In compenso, per realizzare cose che interessano a molti (ad esempio, rimettere a posto le linee ferroviarie esistenti, fornire dei treni decenti e in orario alle persone che vanno al lavoro, ma anche mettere in sicurezza il territorio contro il rischio idrogeologico…) lo Stato non fa alcuno sforzo e non dimostra interesse. Improvvisamente non ci sono i soldi, i tempi si allungano, la burocrazia…
Sarà rappresentanza, questa?
Riporto un commento che ho lasciato anche su “Internazionale”: in un reportage improvvisato da Istambul da un blogger [a href=”http://www.estense.com/?p=305577″>qui] viene data una notizia importante: « La protesta delle pentole è nata a Kurtuluş, quartiere a prevalenza armena, ma si è sparsa in tutta la città». Questo vuol dire che i giovani di Istambul stanno lottando senza dividersi tra turchi e armeni, anzi: i giovani turchi hanno condiviso una protesta nata nel quartiere armeno.
a volte la sezione dei commenti delle testate locali forniscono degli interessanti casi-studio. questo commento allo stesso articolo, per esempio, mi sembra fornisca un paradigma perfetto degli ultimi mesi di discussione qui su giap. magari lo segnaliamo a mazzetta per la sua collezione :)
“Laura Rossi ha scritto il 1 giugno 2013 alle 22:20
@Zucabega: ma chi se frega della tua opinione, visto che, fino ad ora, il mio commento è il più votato! Su facebook, sul profilo di Mazzoni, vi sono solamente 10 amici che hanno messo mi piace a questo suo articolo….Tutto, qui….”
scusate l’OT, l’occasione era troppo ghiotta!
Sul tema segnalo questo post che ho appena letto sul blog di un gruppo di guerrilla gardening di Bologna http://terradinettuno.blogspot.it/2013/06/occupy-gezi-park-tutto-comincia-da-un.html
Credo che la situazione sia molto più complessa e che il nocciolo del problema sia da cercare piuttosto nel conflitto di valori tra un governo tradizionalista dalle voglie autoritarie e moralizzatrici ed il suo popolo che per varie ragioni non lo sopporta più. Un dato su cui riflettere mi sembra, ad esempio, il fatto che qui a Parigi hanno manifestato nella stessa piazza (ma in gruppi ben distinti, con propri slogan e portavoce): kemalisti (laici e pro-turkishness), curdi (minoranza islamica non riconosciuta), armeni (minoranza cristiana riconosciuta), partiti della sinistra e associazioni umanitarie francesi, Syriza, e forse altri che non ho notato. Un amico turco mi confessava che per lui era strano vedere insieme, nello stesso luogo, gruppi portatori di idee così diverse, se non opposte (per non dire peggio). Quasi mi sembrava il M5S :-) Apparte gli scherzi, non so quanto l’etichetta beni comuni sia adatta a spiegare la complessità di quello che sta succedendo lì (una terra dal contesto storico ed etnico-religioso molto particolare) credo si focalizzi su un aspetto limitato della questione e forse, per noi europei, più facile da capire.
E’ un’obiezione comprensibile e molto ricorrente, da quando abbiamo pubblicato il pezzo su Internazionale. Però – sarà un caso? – è un’obiezione proveniente solo da italiani, e italiani non viventi in Turchia. Finora i (pochi) turchi che l’hanno letto, e i (leggermente più numerosi) italiani che stanno vivendo quella lotta in prima persona, hanno trovato il pezzo centrato e condivisibile.
E infatti: Occupy Gezi dichiara la propria comunanza coi No Tav
http://mustereklerimiz.org/val-di-susa-direnisi/
Io sono felicissima della comunanza coi No Tav, che sostengo fieramente e appassionatamente. Sono solo convinta che il caso turco sia più sfumato e complesso, sfumature e complessità che non sono globali ma specifiche alla Turchia. Credo che i kemalisti che sventolano la bandiera col volto di Ataturk protestino contro il governo anche per altre motivazioni, tanto per fare un esempio. Loro sono nazionalisti e il governo ha iniziato un dialogo col PKK. Loro sono laici ed il governo vuole introdurre leggi che moralizzano il comportamento in pubblico…Solo un esempio per dire che secondo me sarebbe un peccato non tenere conto di tutti questi aspetti, tutto qui.
Ma certo, è così in tutte le rivolte che abbiamo visto in questi anni in Europa, in Nord Africa, in Medio Oriente… E’ così in tutti i moti popolari. Certo che ci sono le specificità, le complessità, le differenze di contesto… Solo che a noi preme sottolineare la comunanza e la risonanza. Trovare, sotto le differenti “orografie” delle specificità, ciò che accomuna. Dico “orografie” perché due territori possono essere molto diversi tra loro, es. uno pianeggiante e l’altro montuoso, eppure essere attraversati e nutriti dallo stesso fiume. Fuor di metafora: cos’è prioritario, dall’Italia e in questo frangente? Scrivere di cos’hanno in testa i kemalisti e di questioni molto interne alla vita politica turca, o rimarcare il fatto che *tutte* queste lotte appartengono a un unico ciclo e hanno caratteristiche comuni? Se non fosse un unico ciclo, non avremmo modo di spiegarci la reazione a catena dal 2011 a oggi, i rimandi reciproci, il contagio, l’uso degli stessi memi (es. #Occupy). Fare questo lavoro non significa affatto ridurre la complessità, ma cercare una complessità di livello superiore: quella che spiega la pandemia di rivolte a cui stiamo assistendo da due anni a questa parte.
Capisco benissimo le intenzioni del vostro lavoro e lo ritengo anche piuttosto difficile, oltreché prezioso. A me viene più spontaneo smembrare e sezionare che restituire una visione d’insieme, ma questa è di sicuro la complicatezza femminile e il risultato di mesi di racconti via skype :-)
Speriamo solo che con tutte queste spinte contrapposte non facciano come il M5S (non se la prendano se ci scherzo sopra!)
Il pensiero mi è venuto perché il mio compagno, che vive e lavora a Kizilay (cioè tra i gas e i lacrimogeni di Ankara!) mi racconta che i suoi amici, trentenni turchi e curdi fortemente a sinistra, non capiscono perché lui non piaccia andare da McDonald oppure perché s’indigni per l’urbanizzazione forzata che, ad Ankara, stanno facendo nei quartieri più antichi, popolari e poveri della città. Sono nel mezzo della modernizzazione del paese e quello che per noi è un “attentato” al patrimonio della città per loro sarebbe il segno del progresso. Non sembrano preoccupati da pensieri di salvaguardia del territorio o dei beni comuni, non ancora almeno. Poi bisogna sottolineare che Ankara è molto diversa da Istanbul, quasi un altro mondo. A me sembrano racconti e punti di vista interessanti che possono aprire la riflessione…poi non sono che racconti e punti di vista parziali.
Segnalo un articolo di un grande difensore dei diritti umani turco che scrive con molta più cognizione di causa di me e che può dare un’idea in più.
http://www.todayszaman.com/columnist-317402-can-the-damage-erdogan-caused-be-repaired.html
#OccupyGezi scrive ai #Notav. Testo turco seguito dalla traduzione in italiano.
Val di Susa direnişi
Sevgili yoldaşlar ve arkadaşlar
Val di Susa direnişi gibi Gezi Parkı direnişi de güç ve kazanç sistemine karşı yükselen bir harekettir. Alanları, vadileri, parkları yani bizim olanı, sadece yatırım yapan bir azınlığın cebini doldurması anlamına gelen bir “büyüme” adına bizden çalmaya çalışan bu değerler sistemine karşı yükselen bir direniştir. Polis baskısı, gaz bozmbaları, basın sansürü, vandallık suçlamaları, davalar sadece bu kar düzeninin yarattığı baskının sadece görünen yanıdır.
Sizin desteğiniz ve dayanışmanız bize onur veriyor. Sadece direnişinizle ödemeye devam ettiğiniz bedellerden değil, aynı zamanda direnişin size, ve şimdi de bize öğrettiği herşeyle gurur duyuyoruz: bizim olanı geri almak, direnme cesareti,işgal, öz örgütlenme, sizden olmayana da güvenebilme. Bu günlerde Gezi parkında, aramızdaki bütün farklılıklara rağmen, birlikte mücedele etmeyi öğrendik: sadece gaz bombasına karşı değil çadırlarımızı yıkayan yağmura karşı da direndik. Hep birlikte bir meydanı ele geçirdik, barikatlar kurduk, birbirimizin üstünü örttük, yemeğimizi paylaştık, çöpleri topladık, bir radyo kurduk, yepyeni bir hayat yarattık. Sizin son işgal yıllarında vadide yarattıklarınızı biz de burada yaşıyoruz.
Ankara, Antakya İzmir ve diğer birçok şehirdeki yoldaşlarımız, bizim geçen hafta barikatların arkasına ittiğimiz iktidarın saldırılarına karşı halen direniyor. Şu anda bu alanda bir arada kalmayı ve birlikte yarattığımız bu mücadeleye inanmayı öğreniyoruz. Ne kadar süre burada kalacağımızı ve önümüzdeki birkaç günün sonunda direnişimizin nasıl ilerleyeceğini biz de bilmiyoruz. Ama birlikte mücadele etmeyi artık biliyoruz. Ve daha fazlasını da öğreneceğiz. Biliyoruz ki her ne kadar aramızda kilometreler olsa da, bu mücadele de siz kardeşlerimizle beraberiz.
Direnişiniz, direnişimizdir; bu daha başlangıç, mücadeleye devam!
Müştereklerimiz
Cari compagni No TAV,
fratelli di lotta;
la Resistenza in Val di Susa, come la Resistenza per Gezi park, e’ una resistenza contro un sistema di interessi e poteri; un sistema di valori che vorrebbe toglierci cio’ che e’ nostro – lo spazio, la valle, il parco, e la possibilita’ di viverci – in nome di un “progresso” che, nei fatti, vuol dire solo il profitto dei pochi che ci investono. Questo profitto e’ una forma di oppressione del quale la polizia, i lacrimogeni, la censura mediatica, i tribunali, le accuse di vandalismo sono soltanto l’espressione piu’ esterna.
La vostra solidarieta’ ci onora. Non soltanto per il prezzo che continuate a pagare con la vostra resistenza ma soprattutto per quello che voi, come ora noi, avete imparato dalla resistenza: la riappropriazione di cio’ che ci appartiene, il coraggio di restare, l’occupazione, l’autorganizzazione, la fiducia gli uni negli altri. In questi giorni a Gezi abbiamo imparato a lottare insieme nonostante le nostre molte differenze interne: contro i lacrimogeni, si’ ma anche contro la pioggia che ci allagava le tende. Insieme si vince una piazza, insieme si montano le barricate; e insieme si distribuiscono le coperte, si organizza il cibo, si smaltisce la spazzatura, si monta una radio, ci si reinventa una nuova quotidianita’. Come avete fatto voi in questi anni di occupazione in valle.
Mentre i nostri compagni ad Ankara, Antakia, Adana, Izmir vengono attaccati in queste ore ancora una volta da quei poteri forti che noi di Istanbul abbiamo lasciato al di la’ delle barricate appena una settimana fa, noi in questa piazza che ora e’ nostra stiamo imparando a restare uniti e ad avere fiducia nella lotta che ci ha fatti incontrare. Non sappiamo quanto riusciremo a restare qui, non sappiamo ancora che ne sara’ della nostra resistenza dopo questi pochi giorni. Ma abbiamo imparato a lottare insieme. E che da qui si puo’ soltanto imparare ancora di piu’. E siamo sicuri che in questo vi siamo fratelli, nonostante la nostra distanza geografica.
La vostra resistenza e’ la nostra resistenza e questo e’ soltanto l’inizio – la lotta continua!
Müştereklerimiz
http://mustereklerimiz.org/val-di-susa-direnisi/
Ritagliatevi un’ora e mezza di tempo per guardare Ekümenopolis, eccezionale documentario sullo sviluppo urbano di Istanbul, qui con sottotitoli inglesi (dovete attivarli, primo tasto a destra sotto l’immagine):
http://www.youtube.com/watch?v=maEcPKBXV0M
E qui una sinossi del progetto:
http://www.ekumenopolis.net/#/en_US/synopsys
Pare che dietro ci sia, come nella primavera araba, una spinta della fazione islamista opposta a quella di Erdogan, che si maschera nel poutpurri di rivendicazioni laiche e sigle ora in piazza. Insomma: sciiti e sunniti. Ed è per questo che l’esercito spara sulla folla e paradossalmente non mostra comprensione verso le istanze laiche presenti in piazza.
Io credo fermamente che la Turchia è Europa e che l’Islam sta vivendo il suo Medioevo. Molto più oscuro e pericoloso del nostro. Come d’altronde l’estremismo arabo è molto più pericoloso e violento del risibile cristiano/cattolico.
In merito segnalo l’analisi socio-economica “Cosa sta succedendo in Turchia e cosa c’entra con noi. Un’analisi e alcune considerazioni.” dei compagni napo-fiorentini di Clashcityworkers.org.
Interessante riflessione su come l’imperialismo occidentale stia lavorando (ed abbia lavorato per oltre un secolo) per fare della Turchia l’ennesimo sé complementare e sotterraneo, parafrasando Edward Said. Lo studioso è stato giustamente citato ieri sera a s. Domenico per illustrare il modo in cui il capitale occidentale, con l’avallo di un certo tipo di orientalismo, esporta nel mondo turco e, più in generale, islamico, il “nostro” prodotto locale più tipico: quei bisogni (turistici, alimentari, farmaceutici, urbanistici e via discorrendo), compresi nel pacchetto-progresso, che portano in seno l’inesorabile conseguenza della (in)volontaria apertura della (sublime) porta al cancro liberista. Il cavallo di troia capitalista.
I “recenti sviluppi”, come direbbe un qualsivoglia TgX venusiano, sono quindi sviscerati ripercorrendo in particolare gli ultimi dieci anni della ricetta Erdoğan: “un’aggressiva politica economica antipopolare accompagnata però dalla costruzione di consenso e di unità nel corpo sociale grazie al richiamo religioso e ai suoi dispositivi di educazione, cura e contenimento”.
Buona lettura e soprattutto buona riflessione.
http://clashcityworkers.org/documenti/analisi/1007-cosa-sta-succedendo-in-turchia-e-cosa-centra-con-noi.html
Ciao, non so se è il caso, visto che si parla di Turchia.
Non ne parlerò, ma mi sembra ci possa stare un breve racconto di quanto succede in Brasile in questi giorni.
Vedete voi.
Non so se sto andando fuori tema (perché continuare a usare off topic? Fuori tema è ottimo), credo di no. Il la alla scrittura sta tanto nella rivolta che coinvolge la popolazioni in diversi paesi del mondo, quanto nel fatto che così come in Turchia il parco era una miccia, anche qui in Brasile il prezzo dell’autobus lo è stato. Paralleli.
Insomma, questo post parla del Brasile. Situazione calda in quest’inverno che comincia domani 21 giugno.
Milioni in piazza, storico, senza bandiere, solo quelle del Brasile. Oggi ho visto un manifesto qua nella manifesta di Sampa che diceva
“Meu partido é meu pais”.
Mi sembra un ottimo titolo per questo reportage esclusivo per i giapster, da San Paolo.
La prima notizia è che nel paese che stereotipicamente è rappresentato da calcio, samba e bundas (nonché, oggi, identificato come nuovo gigante economico), nei giorni della coppa delle confederazioni e alla vigilia di quella del mondo, di calcio, quest’ultimo è assolutamente in secondo piano. È una cosa già storica, per un paese che va matto per la propria nazionale.
Le manifestazioni sono cominciate due settimane fa, a San Paolo, città da cui scrivo. La miccia è stata l’aumento del biglietto di treni urbani, metropolitana e autobus, da 3 reais a 3.20. Va detto che ci troviamo in una città in cui lo stipendio medio è di 800 reais circa, e le persone che utilizzano questi mezzi pubblici li utilizzano in maniera massiva, visto che il luogo di lavoro e quello di residenza distano molti km. Diciamo, indicativamente, 20 km almeno; in una città di 20 milioni di abitanti il trasporto pubblico è prioritario, è una cosa sentita, è importante, aiuta la dislocazione in città /periferia/città satellite per quanti non si possono proprio permettere l’elicottero o l’automobile.
Il movimento, liderato da studenti e attivisti, Passe Livre ha cominciato con le manifestazioni.
Ce ne sono state 4, alcune abbastanza violente (alcuni fotografi e giornalisti sono stati colpiti con proiettili di gomma, uno di loro perderà la vista) con una grossa partecipazione. Dalla quinta, ha cominciato anche Rio.
Nella quinta a Sampa la partecipazione è stata realmente massiva. Quest’ultima è stata perlopiù pacifica, mooolte persone, vecchi, bambini, madri, padri, studenti, tutti insieme. “Sou brasileiro com muito orgulho e muito amor”. Inno nazionale cantato in continuazione. Le bandiere del Brasile erano migliaia, ma chiunque si azzardasse a tirarne fuori una di qualche partito, qualsiasi, se la vedeva male, e praticamente nessuno l’ha fatto.
Piano piano i 20 centesimi sono passati in secondo piano. I manifesti lo dicevano esplicitamente, “Non è per i 20 centesimi, è per i nostri diritti”. E si sono aggiunte rivendicazioni per i costi della coppa del mondo, ma queste ultime sono minoritarie. Nei cori si è cantato sulla differenza di stipendio tra un professore pubblico e Neymar e sulla volontà di fregarsene della coppa del mondo per interessarsi invece della salute ed educazione pubblica.
E sono questi ultimi due temi oggi a sembrare i più importanti. Lo sono assolutamente.
Oggi, giovedì 20 giugno, in tutto il Brasile, ci sono manifestazioni, più o meno pacifiche, in decine e decine di città. Sampa, Campinas, Brasilia, Recife, Rio, João Pessoa, Salvador, Florianopolis, Vitoria, e tante, veramente, altre.
Ieri sera il sindaco Haddad, insieme al governatore della Regione San Paolo, Alckmin, ha annunciato il ritorno alla tariffa di 3 reais.
Le manifestazioni qui in città si sono fatte forti della grandissima partecipazione pubblica, che ha praticamente bloccato una megalopoli, intasando di gente felice le strade piene di auto. La città si è fermata. Le scuole davano autorizzazione alla chiusura anticipata, perché i genitori potessero andare a prendere i figli e arrivare a casa prima dell’inizio della manifestazione. Le imprese chiudono prima.
A partire dalla 5° manifestazione, la polizia è sparita, dopo aver fatto molte cazzate in quelle precedenti. L’incazzo degli automobilisti è incalcolabile. Impagabile.
Oggi, dopo il ritorno alla tariffa di 3 reais, i manifestanti chiedono che i trasporti siano gratuiti e, magari, 24 su 24. Oltre, certo, le rivendicazioni su corruzione, costi della coppa, educazione e salute pubblica.
Questi giorni sono storici. Era dall’84, tempi della dittatura, con le manifestazioni ‘Diretas já” che chiedevano che l’elezione del presidente della repubblica fosse diretta, che non si vedevano tante persone in strada. Anche se proteste ce ne sono continuamente, e solo qualche mese fa gli impiegati bancari hanno scioperato per quasi un mese, tutti!
Gli studenti negli ultimi 3 anni, hanno bloccato almeno 2 volte le lezioni e le attività didattiche della maggiore e più importante università sudamericana, la USP.
“Da copa do mundo eu abro mão, queremos dinheiro para saude e educação”.
Aquele abraço
Vinicio
Non esistono lotte locali.. già.
grazie per l’intervento, credo che non possa sfuggire il collegamento tra l’estate calda di Instanbul per il parco e l’inverno altrettanto caldo di San Paolo per i trasporti.
Che dire, con la faccenda della guerra psichica si stanno facendo progressi, tuttavia il compagno asteroide pare piuttosto restio a centrare casa nostra.
Noto con dispiacere che la mia frase sugli automobilisti incazzati è stata tristemente profetica, ieri c’è stata la prima vittima: un’auto ha cercato di forzare i blocchi dei manifestanti e una persona è stata investita.
Quello che mi sentirei di sottolineare è come la protesta qua ha preso dimensioni collettive, coinvolgendo tutto il Brasile in poco tempo, ma anche coinvolgendo tutta l’opinione pubblica che, seppur condannando alcune violenze dei manifestanti, condanna ancor più quelle delle polizia. Anche quanti non scendono in piazza sono d’accordo con le manifestazioni e le proteste.
Se all’inizio si era puntato il dito contro gli studenti,
adesso sono ampi strati della popolazione che sono
protagonisti.
L’Università di San Paolo organizza oggi, ore 16h italiane, un dibattito sul tema delle manifestazioni, con fior fiore di ricercatori.
L’evento può essere seguito on-line dal vivo, a questo
link:
http://www.iea.usp.br/aovivo
Sai non si danno colpe, non ci si concentra su pochi dettagli, come le vetrine spaccate, ma si cerca di discutere il nocciolo della questione.
Vinicio