[Con riferimento non casuale all’ennesima legge sciacqua-coscienza – inutile per gli scopi dichiarati e obliquamente dannosa per la lotta a fascismi e razzismi – in discussione in queste ore, ripubblichiamo una lettera aperta scritta e firmata nel 2007 dai più importanti storici italiani (e non solo). Sono passati solo sei anni, ma in Italia non si ricorda nulla, si sedimenta solo il peggio, ci si muove solo per riflessi condizionati, si prendono solo scorciatoie, si sa solo proibire per legge. Una tristezza infinita.]
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Contro il negazionismo, per la libertà della ricerca storica
Il Ministro della Giustizia Mastella, secondo quanto anticipato dai media, proporrà un disegno di legge che dovrebbe prevedere la condanna, e anche la reclusione, per chi neghi l’esistenza storica della Shoah. Il governo Prodi dovrebbe presentare questo progetto di legge il giorno della memoria.
Come storici e come cittadini siamo sinceramente preoccupati che si cerchi di affrontare e risolvere un problema culturale e sociale certamente rilevante (il negazionismo e il suo possibile diffondersi soprattutto tra i giovani) attraverso la pratica giudiziaria e la minaccia di reclusione e condanna. Proprio negli ultimi tempi, il negazionismo è stato troppo spesso al centro dell’attenzione dei media, moltiplicandone inevitabilmente e in modo controproducente l’eco.
Sostituire a una necessaria battaglia culturale, a una pratica educativa, e alla tensione morale necessarie per fare diventare coscienza comune e consapevolezza etica introiettata la verità storica della Shoah, una soluzione basata sulla minaccia della legge, ci sembra particolarmente pericoloso per diversi ordini di motivi:
1) si offre ai negazionisti, com’è già avvenuto, la possibilità di ergersi a difensori della libertà d’espressione, le cui posizioni ci si rifiuterebbe di contestare e smontare sanzionandole penalmente.
2) si stabilisce una verità di Stato in fatto di passato storico, che rischia di delegittimare quella stessa verità storica, invece di ottenere il risultato opposto sperato. Ogni verità imposta dall’autorità statale (l’“antifascismo” nella DDR, il socialismo nei regimi comunisti, il negazionismo del genocidio armeno in Turchia, l’inesistenza di piazza Tiananmen in Cina) non può che minare la fiducia nel libero confronto di posizioni e nella libera ricerca storiografica e intellettuale.
3) si accentua l’idea, assai discussa anche tra gli storici, della “unicità della Shoah”, non in quanto evento singolare, ma in quanto incommensurabile e non confrontabile con ogni altro evento storico, ponendolo di fatto al di fuori della storia o al vertice di una presunta classifica dei mali assoluti del mondo contemporaneo.
L’Italia, che ha ancora tanti silenzi e tante omissioni sul proprio passato coloniale, dovrebbe impegnarsi a favorire con ogni mezzo che la storia recente e i suoi crimini tornino a far parte della coscienza collettiva, attraverso le più diverse iniziative e campagne educative.
La strada della verità storica di Stato non ci sembra utile per contrastare fenomeni, molto spesso collegati a dichiarazioni negazioniste (e certamente pericolosi e gravi), di incitazione alla violenza, all’odio razziale, all’apologia di reati ripugnanti e offensivi per l’umanità; per i quali esistono già, nel nostro ordinamento, articoli di legge sufficienti a perseguire i comportamenti criminali che si dovessero manifestare su questo terreno.
È la società civile, attraverso una costante battaglia culturale, etica e politica, che può creare gli unici anticorpi capaci di estirpare o almeno ridimensionare ed emarginare le posizioni negazioniste. Che lo Stato aiuti la società civile, senza sostituirsi ad essa con una legge che rischia di essere inutile o, peggio, controproducente.
22 gennaio 2007
Marcello Flores, Università di Siena
Simon Levis Sullam, University of California, Berkeley
Enzo Traverso, Università de Picardie Jules Verne
David Bidussa, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Bruno Bongiovanni, Università di Torino
Simona Colarizi, Università di Roma La Sapienza
Gustavo Corni, Università di Trento
Alberto De Bernardi, Università di Bologna
Tommaso Detti, Università di Siena
Anna Rossi Doria, Università di Roma Tor Vergata
Maria Ferretti, Università della Tuscia
Paul Ginsborg, Università di Firenze
Carlo Ginzburg, Scuola Normale Superiore, Pisa
Giovanni Gozzini, Università di Siena
Andrea Graziosi, Università di Napoli Federico II
Mario Isnenghi, Università di Venezia
Fabio Levi, Università di Torino
Giovanni Levi, Università di Venezia
Sergio Luzzatto, Università di Torino
Paolo Macry, Università di Napoli Federico II
Giovanni Miccoli, Università di Trieste
Claudio Pavone, storico
Paolo Pezzino, Università di Pisa
Alessandro Portelli, Università di Roma La Sapienza
Gabriele Ranzato, Università di Pisa
Raffaele Romanelli, Università di Roma La Sapienza
Mariuccia Salvati, Università di Bologna
Stuart Woolf, Istituto Universitario Europeo, Firenze
Aderiscono:
Cristina Accornero, Università di Torino
Giulia Albanese, Università di Padova
Franco Andreucci, Università di Pisa
Rosaria Marina Arena, Università di Siena
Barbara Armani, Università di Pisa
Elena Baldassari, Università di Roma La Sapienza
Luca Baldissara, Università di Pisa
Roberto Balzani, Università di Bologna
Giovanni Belardelli, Università di Perugia
Emmanuel Betta, Università di Roma La Sapienza
Fabio Bettanin, Università di Napoli L’Orientale
Roberto Bianchi, Università di Firenze
Anna Bravo, Università di Torino
Antonio Brusa, Università di Bari
Marco Buttino, Università di Torino
Davide Cadeddu, Università di Milano
Gia Caglioti, Università di Napoli Federico II
Marina Calloni, Università di Milano Bicocca
Leonardo Capezzone, Università di Roma La Sapienza
Vittorio Cappelli, Università della Calabria
Sonia Castro, Università di Pavia
Tulla Catalan, Università di Trieste
Alberto Cavaglion, Istituto Piemontese per la storia della Resistenza
Luigi Cajani, Università di Roma La Sapienza
Carolina Castellano, Università di Napoli Federico II
Franco Cazzola, Università di Firenze
Roberto Chiarini, Università di Milano
Giovanna Cigliano, Università di Napoli Federico II
Fulvio Conti, Università di Firenze
Giovanni Contini, Università di Roma La Sapienza
Daniele Conversi, University of Lincoln
Pietro Costa, Università di Firenze
Augusto D’Angelo, Università di Roma La Sapienza
Leandra D’Antone, Università di Roma La Sapienza
Fabio Dei, Università di Pisa
Nunzio Dell’Erba, Università di Torino
Giorgio Delle Donne, Bolzano
Mario Del Pero, Università di Bologna
Lucia Denitto, Università di Lecce
Giovanni De Luna, Università di Torino
Paola Di Cori, Università di Urbino
Patrizia Dogliani, Università di Bologna
Benito Donato, Cosenza
Angelo D’Orsi, Università di Torino
Paolo Favilli, Università di Genova
Giovanni Federico, Università di Pisa
Cristiana Fiamingo, Università di Milano
Enzo Fimiani, Biblioteca provinciale Pescara
Guido Formigoni, Università di Milano IULM
Vittorio Frajese, Università di Roma Tor Vergata
Giulia Fresca, Cosenza
Carlo Fumian, Università di Padova
Valeria Galimi, Università di Siena
Luigi Ganapini, Università di Bologna
Giuliana Gemelli, Università di Bologna
Aldo Giannuli, Università di Bari
Filippo Maria Giordano, Pavia
Gabriella Gribaudi, Università di Napoli Federico II
Yuri Guaiana, Università di Milano Bicocca
Giancarlo Jocteau, Università di Torino
Paola Magnarelli, Università di Macerata
Massimo Mastrogregori, Università di Roma La Sapienza
Marco Mayer, Università di Firenze
Roberta Mazza, University of California, Berkeley
Claudio Mellana, Torino
Marco Mondini, Università di Padova
Giovanni Montroni, Università di Napoli Federico II
Massimo Morigi
Stefania Nanni, Università di Roma La Sapienza
Gloria Nemec, Università di Trieste
Ivar Oddone, Torino
Chiara Ottaviano, Cliomedia Officina
Gianni Perona, INSMLI, Milano
Stefano Petrungaro, Università di Venezia
Vincenzo Pinto, Università di Torino
Maria Serena Piretti, Università di Bologna
Stefano Pivato, Università di Urbino
Leonardo Rapone, Università della Tuscia
Maurizio Ridolfi, Università della Tuscia
Gabriele Rigano, Università per Stranieri di Perugia
Domenico Rizzo, Università di Napoli L’Orientale
Giorgio Rochat, Università di Torino
Giovanni Romeo, Università di Napoli Federico II
Andrea Rossi, Università di Ferrara
Lucia Rostagno, Università di Roma La Sapienza
Silvia Salvatici, Università di Teramo
Enrica Salvatori, Università di Pisa
Ayse Saracgil, Università di Firenz
Laura Savelli, Università di Pisa
Giovanni Scirocco, Università di Bergamo
Guri Schwarz, Università di Pisa
Francesco Scomazzon, Università di Milano
Alfio Signorelli, Università di Roma La Sapienza
Francesca Socrate, Università di Roma La Sapienza
Simonetta Soldani, Università di Firenze
Carlotta Sorba, Università di Padova
Carlo Spagnolo, Università di Bari
Lorenzo Strik Lievers, Università di Milano Bicocca
Arnaldo Testi, Università di Pisa
Rita Tolomeo, Università di Roma La Sapienza
Anna Treves, Università di Milano
Alessandro Triulzi, Università di Napoli L’Orientale
Simona Troilo, Istituto Universitario Europeo
Gabriele Turi, Università di Firenze
Gian Maria Varanini, Università di Verona
Angelo Ventrone, Università di Macerata
Angelo Ventura, Università di Padova
Claudio Venza, Università di Trieste
Alessandra Veronese, Università di Pisa
Elisabetta Vezzosi, Università di Trieste
Vittorio Vidotto, Università di Roma La Sapienza
Loris Zanatta, Università di Bologna
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LINK CONSIGLIATO
Ieri siamo usciti con un qualcosa di analogo; partendo dai fatti di Albano. Si parva licet…
http://www.razzapartigiana.it/?p=1422
Uhm… No, a me sembrano due questioni diverse, anzi, mi sembra che mettendo in collegamento nello stesso post la questione Priebke con il ddl sul negazionismo si finisca per assecondare il giochino del governo, proprio perché vuole far passare la legge proprio sull’onda emotiva dei fatti dell’altro giorno.
Anche all’interno del vostro post, che contiene riflessioni molto lucide e anche toccanti, secondo me si sovrappongono due questioni diverse:
1) sull’odio facile per Priebke ormai morto, l’antifascismo “postumo” da clicktivism, la rabbia a distanza che si sfoga sui social network senza corrispondere ad alcun impegno personale, mi trovo d’accordissimo. Dov’è tutta quest’indignazione quando si tratta delle azioni concrete dei nazisti vivi?
[Non sono però d’accordo sul discorso che si è diversi in vita e uguali nella morte. La morte, il come-si-muore, fa parte della condotta che si è tenuta in vita.]
2) su quanto accaduto ad Albano, invece, consiglio un surplus di riflessione, “senza snobismi”, come diceva giustamente Mauro Vanetti su Twitter.
Una cittadinanza si è mobilitata prontamente, dal basso, contro un blitz coordinato (e se non coordinato negli intenti, comunque coordinato di fatto) tra il prefetto (questo prefetto), una confraternita di preti reazionari e antisemiti e, dulcis in fundo, squadre di neofascisti calati sulla cittadina con caschi e bastoni.
Contro questo blitz – e contro la conseguente violenza della polizia – i cittadini di Albano si sono difesi, e i fasci le hanno pure buscate.
Quello che è accaduto ad Albano non solo non è assimilabile al finto antifascismo teleguidato dei leoni da tastiera, ma è proprio il suo contrario. Gente che ci mette il corpo, che si assume una responsabilità, che paga la propria presenza fisica con ecchimosi e punti di sutura sul cranio.
E non si trattava tout court di “impedire le esequie” di un morto. Si trattava di impedire quelle esequie, fatte con quella modalità, in quel posto e in quel momento. Si trattava di impedire una precisa operazione ideologica e politica.
E non era un’azione contro un morto, ma contro i vivi che con quel morto stavano facendo quell’operazione. Non contro un nazista morto, ma contro il nazismo che si perpetua.
P.S. Quella dei “calci al feretro” è una leggenda metropolitana ripetuta per ore e ore dai telegiornali. Il feretro è la cassa da morto. Tutti i video girati l’altro giorno mostrano chiaramente che si è cercato di bloccare il carro funebre, e quando il carro funebre ha “sfondato” con l’aiuto della polizia, è stato preso a calci e tamburellare di pugni sui vetri. Io l’ho visto fare contro qualunque veicolo sfondasse un blocco stradale.
Segnalo il commento di Alessandro Portelli (tra i firmatari dell’appello oggetto del post) pubblicato ieri su il manifesto, perché mi pare sulla stessa lunghezza d’onda della “precisazione” fatta sopra da WM1 e perché credo possa chiudere la “questione Priebke” qui per lasciare il giusto spazio alla discussione sul “DDL sul negazionismo”. Inizia così:
«Vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo», dice Antonio, nel Giulio Cesare di Shakespeare. Ma finge, e la sepoltura si trasforma in sovversivo elogio funebre. Allo stesso modo, apertamente, gli eredi neonazisti di Erich Priebke non vengono a seppellirlo ma a pretendere di lodarlo.
http://bit.ly/1aqSnoj
Le tesi negazioniste si arginano con la diffusione di una storiografia di alta qualità (non solo accademica, anche divulgativa), ossia una produzione di saggi rigorosi, supportati da un uso corretto delle fonti in grado di smontare le argomentazioni filonaziste. Il problema è a monte; valorizzare maggiormente gli studi storici che si insegnano a scuola, all’università, sarebbe già una buona attitudine: si favorirebbe l’estensione di abilità critiche efficaci, di una memoria storica valida e robusta capace, nel tempo, di sedimentarsi. In sintesi: sono contraria alla proposta di legge.
Appello praticamente perfetto.
Un decreto del genere si proporrebbe di censurare il delirio.
Tanto l’emergenza non è che ci siano sempre più negazionisti, sempre più dogmatici e virulenti; è che se ne scriva (bacchettiamoli pubblicamente: problema risolto).
Una strategia diversiva, a breve termine, sostanzialmente dannosa: nelle corde del governo italiano insomma.
Far vedere che un cazzillo te ne importa ma evitando con brio di fare, boh, qualcosa.
Gli sfigati seguaci del negazionismo sono preda di un bias di conferma confortevole e facilone.
La loro cialtronaggine mi farebbe quasi tenerezza, se non fosse essenzialmente una macchina di odio.
Il vero problema è: come combatti il pensiero magico?
Ora, non sono Michele Scoto e può darsi che la mia opinione pecchi di fantasia, ma credo che una soluzione sia nella scuola.
Mi sono confrontato con diversi negazionisti: nessuno era uno di quelli che fanno attenzione in classe.
L’avviamento alla demenza di alcuni di questi è un copione triste: privi dei più elementari strumenti cognitivi, si sono scelti pessimi maestri.
Anche io starei meglio con certe mie idee se credessi davvero che “gli Ebrei l’Olocausto se lo sono inventati loro” (ma anche “gli Americani l’undici settembre se lo sono fatti da soli”, o “a noi sono stati i Settentrionali che c’hanno rovinato”).
Se oggi non lo credo, è soprattutto perché grazie a decisioni prese da altri ho passato del tempo in una scuola funzionale.
E’ lì che mi hanno aperto all’idea che non tutto quello che voglio che sia vero debba per forza esserlo.
In definitiva: si può (ri)attivare un’educazione pubblica con l’obbiettivo di formare cittadini con una coscienza critica; o ci si deve preparare a un futuro pieno di gente molto, molto stupida.
Sempre che il governo non istituzionalizzi la tecnologia di impiantazione sapienziale vista in Matrix. Così gli studenti italiani potrebbero conoscere la storia del XX secolo E il Kung fu.
Varrebbe poi la pena di interrogarsi sulle ragioni per cui i seguaci delle peggiori teorie del complotto si scelgono i loro miti (chi nega l’Olocausto in genere lo fa per assolversi di una colpa, giustificare un odio politico e/o razziale, rimuovere una contraddizione in una narrazione storica capziosa).
E si potrebbe anche sottolineare come determinati contesti storici e sociali favoriscano la proliferazione di certe narrazioni tossiche (dopotutto, ci troviamo in recessione. Sospetto, paura, rabbia. Ogni giorno genericissime sparate sullo stato della finanza internazionale. Il bello dello studiare la storia è che non devi per forza aver vissuto la Germania degli anni venti per sentire il brivido).
Invece vorrei chiudere con un’osservazione, derivata da esperienze deprimenti e soprattutto allarmanti.
Ho visto più di un amico e un collega avvicinarsi e poi abbandonarsi a favole di stampo cospirazionista (antisemite e non).
Molti partono in cerca di emancipazione, con un atteggiamento apparentemente critico; il guasto si rivela in un secondo momento.
Qualcosa come: “Ehi, quello che Israele sta creando a Gaza non è giusto!” => “Questi ebrei, pronti a giustificare qualsiasi cosa per l’Olocausto!” => “Gli Ebrei l’Olocausto se lo sono inventati loro.”
(Sulla stessa falsariga: critica all’imperialismo americano => “gli Americani l’undici settembre se lo sono fatti da soli”; riconoscimento delle contraddizioni dell’Italia postunitaria, sdegno per il leghismo istituzionalizzato => “a noi sono stati i Settentrionali che c’hanno rovinato”.)
Il frame di certe conclusioni è sempre marcio, prodotto da un’idea del mondo divisiva e reazionaria.
Credo però che sia semplicistico e pericoloso ridurre il negazionismo a esclusiva di fasci già formati e con la bava alla bocca.
In tema mi e’ tornata alla mente una citazione di Alan Moore
“The main thing that I learned about conspiracy theory is that conspiracy theorists actually believe in a conspiracy because that is more comforting. The truth of the world is that it is chaotic. The truth is, that it is not the Jewish banking conspiracy or the grey aliens or the 12 foot reptiloids from another dimension that are in control. The truth is more frightening, nobody is in control. The world is rudderless.”
Concordo, dovrebbe essere la scuola ad insegnare a ragionare, ma purtroppo come hai sottolineato Delcova, tra i banchi ci si può anche distrarre. Per questo gli adulti hanno bisogno di leggi che aiutano la civile coesistenza. Non ho studiato giurisprudenza, per quel che ne so, chi dichiara il falso può essere querelato (parola che ho sentito in tv). Vivendo in un sistema capitalistico, questi signori a lungo andare potrebbero stufarsi di veder eroso il loro capitale. Esistono montagne di prove inconfutabili al riguardo di quel che accadde nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale. Se sono male informati, pagando, troverebbero il tempo per informarsi meglio.
Una legge specifica al riguardo mi pare una delle tante ipocrisie alle quali assistiamo regolarmente.
Non sono un appassionato di complottismo e cospirazioni varie, però, preferisco di gran lunga l’erba al fascio e quindi consiglio: http://rethink911.org
Una quantità sorprendente di professionisti, architetti ed ingenieri per primi, chiede che anche su quel che accadde a New York l’11/9 siano presentate montagne di prove inconfutabili. Cosa che al momento non è.
Krasnapovsky, non ho capito se sei favorevole o no a legislare su questi temi, all’inizio del commento sembri dire una cosa e poi ne dici un’altra… Comunque, attenzione: “chi dichiara il falso può essere querelato” riguarda il reato di calunnia, non il dibattito storiografico, che è faccenda molto diversa. Il terreno è troppo scivoloso per ragionare in questo modo. Non si riuscirà mai a sopprimere per forza di legge una cornice narrativa, un’interpretazione storica, una leggenda urbana, una barzelletta, quello che vuoi. Mai. Non è mai successo, perché come dicevo rispondendo a Mauro, sono due piani completamente diversi. Tu scrivi: “questi signori a lungo andare potrebbero stufarsi di veder eroso il loro capitale”, ma… “questi signori chi”? Tu credi che stiamo parlando di due o tre individui? Stiamo parlando di un discorso che è presente in tutta la società, che si muove carsicamente e ogni tanto riaffiora in modo inaspettato, e che è alimentato nella chiacchiera da bar, nelle barzellette “simpatiche” sui lager e sugli ebrei, nel “Mah, quelli a me non la contano giusta” lasciato scivolare nel capannello di amici o nella fila all’ufficio postale, ma cosa vuoi mai proibire a norma di legge?! In nessun paese dove esistono quelle leggi sono mai servite a nulla se non a lavare la coscienza a politici e opinion-maker, che hanno tracciato un bel solco nella sabbia dicendo “Da qui non si passa”, solo che il solco era largo un metro a dir tanto e intanto i discorsi da fermare erano tutt’intorno. Perché quei discorsi hanno cause sociali, e se non si aggrediscono quelle, puoi vietare tutti i discorsi che vuoi. L’antisemitismo è da sempre “il socialismo degli imbecilli”, ma ci si concentra troppo sugli imbecilli e non sul socialismo. Jaurés voleva dire che l’antisemitismo viene spacciato agli oppressi come pseudo-spiegazione del meccanismo che li opprime. Questo vale anche per i discorsi odierni contro l’immigrazione. Ogni movimento razzista è un movimento diversivo. Il nostro compito è fornire spiegazioni più corrette, avviare lotte sui terreni giusti e spazzare via i diversivi. Solo in questo modo gli enunciati razzisti, antisemiti, negazionisti e quant’altro si affievoliranno. Ma, non illudiamoci, non moriranno mai finché non rimuoviamo le loro cause sociali.
@ Sandro
Grande la citazione di Moore! Mi ha fatto sobbalzare, perché corrisponde quasi parola per parola alla mia controargomentazione standard in caso di estemporaneo “dibbattito” complottistico. Soprattutto per quanto riguarda la capziosità comoda/autoassolutoria di certe tesi e la negazione facilona della complessità/caoticità dei processi storici.
Ma lui lo dice meglio: lo deruberò a man bassa in futuro!
Alan Moore: autore pazzesco, che ho scoperto solo di recente. Da dove viene la tua citazione?
@ Krasnaposky
Anche se credo che non esistono cattivi studenti, ma solo insegnamenti inadeguati, il sistema di istruzione perfetto è un’utopia.
Non importa quanto siano qualificati e supportati gli insegnanti, o quanto intelligenti i programmi, una percentuale di studenti mancherà sempre di apprendere i concetti e le nozioni di base della storia contemporanea.
Più che un migliore indottrinamento sulla singola tematica, credo, sarebbe efficace un insegnamento mirato a stimolare le facoltà critiche degli studenti in ambito multidisciplinare.
In questo modo, anche se hai arronzato il trimestre dove hanno spiegato la Seconda Guerra Mondiale perché hai scoperto il sesso e sei stato altrove, magari eviti in seguito di abboccarti narrazioni troppo belle per essere vere.
La legge dovrebbe intervenire (e lo fa) in caso di mistificazioni e calunnie assassine che siano verificabili senza ombra di dubbio.
Un esempio sarebbe quello di Bernard Brown, impiegato del Pentagono accusato dal cospirazionista Dylan Avery di essersi preso un giorno di ferie l’undici settembre 2001, per “giocare a golf” mentre l’aereo si schiantava sul Pentagono. Con a bordo suo figlio, di undici anni.
Purtroppo i complottisti e negazionisti non-sfigati, i guru, quelli davvero pericolosi che sulla cialtronaggine ci lucrano (e pure assai), sono dei vecchi volponi e quando possono si guardano bene dal fare nomi e cognomi, o a esporsi in ogni altro modo alle sanzioni previste da legislazioni già in atto.
@ entrambi
Avevo intenzione di ricambiare la citazione regalata da Sandro con una da uno dei migliori listicolisti in circolazione, il mitico David Wong.
Non appena l’ho rintracciata ho anche visualizzato il commento di Krasnaporsky, e credo che a questo punto valga la pena di consigliare l’intero pezzo (“Was 9/11 an Inside Job?”, su “Cracked”).
Un paio di estratti:
“Everybody wants the attention, the validation. It’s just that some will do more to get it than others.
You see, there’s a dark underside to this thing. Those conspiracy buffs who have catapulted Loose Change into stardom, you surf their sites and a similar theme comes up again and again. They’ll talk of “Zionism” and the “Zionist” conspiracy. They’ll talk of Jewish bankers who secretly run the world.
They’ll talk about how maybe the Holocaust didn’t happen, or wasn’t such a big deal after all.
That’s a common theme among the 9/11 conspiracy crowd. I’m not suggesting that Avery [autore di “Loose Change”, manifesto dei cospirazionisti sull’undici settembre] denies the Holocaust. In fact, other 9/11 “Truth” members have snidely dismissed Avery and his crew as “Holocaust promoters.”
No, what I’m saying about Avery is that he will gladly align himself with neo-Nazis if that’s what it takes to become famous.”
Particolarmente esilarante è poi quando Wong abbozza il calcolo della quantità di persone corrotte dal governo, secondo i complottisti, per realizzare e insabbiare l’attentato. Forze armate, personale di sicurezza, polizia e pompieri, ingegneri, ricercatori privati e di governo. Concludendo che: ‘tutti’ si sarebbero lasciati corrompere, compresi parenti e amici delle vittime; nessuno avrebbe notato l’improvviso arricchimento di oscuri sostenitori della teoria ufficiale; il movimento di denaro necessario alla corruzione di centinaia di migliaia potrebbe essere tanto demenzialmente massivo da rendere la cospirazione “the single largest employer in the history of the world”!
“Most people, to feel special, have to actually do something special. But why not do what these guys do, and just make the rest of the world out to be wretched? Hell, once we’ve painted everyone else as mindless or murderous, all we have to do to feel superior to them is roll out of bed.
[…] At the heart of all this is that basic human need to feel special somehow, twisted in the most warped and corrosive way imaginable.
In conclusion, the 9/11 Conspiracy Guys aren’t evil and they aren’t liars. They’re merely filling a basic human need, using their imaginations and paranoia to elevate themselves to a level the real world will never elevate them to. Also, they’re retarded.”
@Delcova
La citazione e’ da “The Mindscape of Alan Moore”, una sorta di documentario sull’autore, del 2003.
Inoltre, scusate, ma non mi son potuto trattenere
http://www.youtube.com/watch?v=kN9LdTkR85Q
:D
Scusandomi per la sintassi traballante cerco di esprimermi meglio, seguendo il filo dei commenti che sono seguiti.
La scuola dovrebbe insegnare i fatti ed allenare il cervello alle connessioni tra i fatti. Come ben sappiamo ciò non sempre avviene, anche perché non semplice. Le opinioni di ciascuno (in questo caso i docenti) interferiscono, talvolta anche inconsapevolmente, con la precisa visione dei fatti.
E’ per questo che si cercano e conservano le prove.
Per non avere la possibilità del dubbio.
Negare lo sterminio di milioni di persone è oggettivamente un falso. Esistono montagne di prove, quindi chi lo sostiene pubblicamente è reo di falso. Esistono già gli strumenti legislativi per punire il falso.
Il caso dell’11/9 e specificatamente della torre numero 7 lascia invece spazio alle opinioni.
Se un palazzo di 47 piani si sbriciola in pochi secondi, perché tutte le colonne portanti in acciaio e cemento collassano contemporaneamente, a causa del fuoco sprigionato dalla combustione di arredi da ufficio al sesto piano, su un solo lato dell’edificio. Mi piacerebbe capire bene bene bene come è potuto accadere.
Mi piacerebbe che fossero esibite le prove di quanto avvenuto, per evitarmi qualsivoglia dubbio ogni volta che salgo su di una ascensore per salire oltre il decimo piano.
Sono contrario ad ogni tipo di legge che pone regole alle opinioni perché se è ben chiaro quello che è avvenuto durante il regime nazista, nessuno storico potrà mai darmi la certezza del perché, è avvenuto. Se un giorno per legge, chi sostiene che l’unica chimica presente in Iraq prima della guerra erano le anfe dei pischelli per il sabato sera, venisse punito. Io per primo dovrei iniziare a preoccuparmi. Non è solo questione del precedente che si verrebbe a creare è questione di mantenere il punto.
Chi nega l’evidenza invece o lo fa perché è stupido o perché è in malafede. Si deve combattere chi per proprio tornaconto modifica la realtà dei fatti e si può farlo come avviene su queste pagine (penso al fantomatico ing. Di Stefano) cercando, analizzando, ragionando. Se insiste, esistono gli strumenti che tutelano la verità.
La diseguaglianza è sempre e solo alla base dei conflitti sociali. Chi fomenta con le fandonie l’insoddisfazione popolare, prima o poi deve uscire allo scoperto, non può rimanere sempre nell’ombra, sarebbe solo fatica sprecata. Normalmente al quel genere di soggetti non piace fare fatica ed hanno degli obbiettivi ben precisi, a meno che non detengano già il potere ed abbiano paura di perderlo. Ma in Italia chi ha paura di perdere i poteri acquisiti?
Non sono convinto che tutta la società sia malata di razzismo o revisionismo o qualche altro ismo. Sarebbe come dire che chiunque va allo stadio è un piantagrane. In curva si sa benissimo chi è che fomenta, chi abbocca e chi subisce.
Al momento mi trovo a Yangon. Lo scorso fine settimana sono esplose tre bombe e altre sei sono state trovate in diversi luoghi. Non sono state rivendicate. In città circolano le teorie più diverse, tra gli stranieri naturalmente, la stragrande maggioranza dei birmani si guarda bene dal commentare qualsivoglia accadimento non riguardi; cosa mangiare, quanto lavoro trovare e l’andare in pagoda o in moschea o in chiesa o al tempio (pochi altri commentano solo dove hanno mangiato, quanto hanno guadagnato e dove si trovano le mignotte migliori). In questo luogo coabitano così tanti razzismi stagnanti che l’unica certezza è che le bombe non le stanno mettendo i poveracci. Sempre più spesso sento il classico imbarazzante, “si stava meglio quando si stava peggio”.
Cordiali Saluti
Ulisse Krasnaposky
Il “solerte” quotidiano di Trieste “Il Piccolo” non manca di porre l’accento soddisfatto su un aspetto di questo ddl http://ilpiccolo.gelocal.it/cronaca/2013/10/17/news/dall-olocausto-alle-foibe-il-negazionismo-sara-reato-1.7935620
Chiaro, con questa legge qualcuno tenterà di colpire e zittire anche altri, come gli autori e autrici, gli storici e le storiche (Claudia Cernigoi, Alessandra Kersevan, Sandi Volk, Piero Purini etc.) che, verificando gli elenchi e vagliando le fonti d’archivio, sottraggono la realtà delle foibe al Mito nazionalista (quando non esplicitamente fascista) per riconsegnarle al loro contesto storico, al contempo segnalando le numerose discrepanze e fandonie della versione propagandata dalla destra. In questo caso l’accusa di “negazionismo”, fatta risuonare da fasci di varia natura, è totalmente campata in aria, ma siccome ho letto che nel disegno di legge si punisce anche la “minimizzazione”… Che poi come lo si stabilisce, che una ricostruzione storica è una “minimizzazione”? Delirante. Pericolosissimo.
Sarò in malafede ma a me viene spontaneo pensare che questi “effetti collaterali” siano il vero fine di questa legge.. sarebbe la definitiva vittoria dei figli dell’MSI, la conclusione di un cerchio:
1) creazione “in laboratorio” di un “olocausto di destra” anticomunista da contrapporre a 25 aprile, Giornata della Memoria, Marzabotto, Fosse Ardeatine e altre commemorazioni scopertamente anti-nazifasciste
2) equiparazione subdola dei due “olocausti” con l’istituzione della Giornata del Ricordo, che guardacaso arriva qualche settimana dopo quella della memoria
3) istituzione di una legge che impedisce indirettamente a chiunque di fare dei distinguo di dire “però, ma…” (minimizzazioni?)
Io non sono un giurista, ma veramente significherebbe questo? A parte che diffido di qualunque titolo partorito da Il Piccolo… ma mi sembra veramente delirante e inapplicabile… se tipo uno salta su con una palese boiata, tipo per esempio Bersani che parla di 20.000 infoibati (!!!) se io gli rispondo “seee bum!” mi danno 7 anni? Con quale metro si applicherebbe una sentenza? E poi nel testo si parla anche di negazione di crimini di guerra… vale anche per crimini di guerra eseguiti da italiani?
Premessa: siamo d’accordo che una legge sul negazionismo è sbagliata per le ragioni esposte nel post e nei commenti
Premessa 2: la famiglia di mia nonna è stata costretta ad andarsene con nulla in tasca dopo centinaia di anni a rovigno d’istria (parlo per documenti nella chiesa del paese ) perchè una notte alcuni noti personaggi del posto sono andati nella casa di famiglia e, puntando la pistola alla tempia al mio bisnonno, hanno detto che se lui e tutti i suoi famigliari, credo circa una ventina di persone, non se ne fossero andati lasciando casa, beni e fabbrichetta a loro entro la mattina dopo sarebbero finiti in foiba.
Fatte queste premesse mi ha molto colpito la leggerezza con cui rispondi “seee bum!”ad una affermazione, magari sbagliatissima, su un numero di morti ammazzati. Quello che io valuto “minimizzare” non è tanto fare una valutazione del numero delle vittime inferiore ad un numero considerato scritto nella pietra, quanto corredare l’analisi con comparazioni con altre atrocità, con giudizi morali sulle vittime, o con critiche sulle ragioni politiche dietro ad altre analisi. E’ veramente importante per la valutazione di questi fatti che le vittime siano state 500 o 5000? O che i nazisti ne abbiano ammazzati molti di più? Magari il mio bisnonno era uno stronzo o un criminale, non ne ho idea, e probabilmente i nazisti in quella zona hanno minacciato e ammazzato altre migliaia di bisnonni altrui, ma non mi sembra che questo cambi il fatto che c’è stato un crimine grave nel caso della mia famiglia e un’atrocità contro le famiglie di altre centinaia (o decine, chissenefrega) di persone.
Poi, anche a me da fastidio la strumentalizzazione da parte dei fasci, ma è questa che va condannata, non il fatto originario che appunto andrebbe analizzato serenamente e che, purtroppo, non è stato creato in laboratorio.
Unit, per quanto possa sembrare strano, vista la caricatura che ne è stata fatta dai commentatori di destra, quello che dici nei libri degli storici che ho citato sopra… c’è. C’è nel suo contesto storico. L’accusa di negazionismo nei loro confronti è interessata, anzi truffaldina.
Detto questo, a livello storiografico il numero dei morti non è un dettaglio insignificante, anzi, perché gli elenchi delle vittime prodotti dai vari “foibologi” come Papo (ex-miliziano collaborazionista in Istria) e Pirina sono alla base di tutta la vulgata sul presunto “olocausto giuliano”, sono continuamente ripresi in modo acritico da giornalisti e “storici” meno connotati, solo che Cernigoi, Kersevan e altri/e hanno dimostrato, carte alla mano, che tali elenchi erano gravemente inattendibili. Contenevano sfilze di nomi di persone morte in circostanze che con le foibe non avevano nulla a che fare, addirittura di persone morte negli anni ’60, o di partigiani fucilati dai nazisti, o morti in lager tedeschi, e alcuni nomi compaiono tre, quattro volte con grafie diverse. L’effetto è una… inflazione (nel senso originario di “gonfiamento”) del numero dei morti “per mano slavocomunista”. Un’indagine storica seria queste cose deve smontarle, e deve mettere in crisi la vulgata cialtronesca affermatasi negli ultimi anni e divenuta addirittura festa comandata.
Altrettanto se non più importante del numero è la composizione sociale ed etnica, perché da quella si ricostruisce il movente. Solo così si può capire se davvero ci fu “pulizia etnica contro gli italiani in quanto italiani”, o se quegli episodi vanno letti in senso politico nell’ambito della risposta armata all’occupazione nazifascista, occupazione che per giunta arrivò dopo oltre vent’anni di italianizzazione forzata di quelle terre, di umiliazione continua, di esproprio delle terre degli slavi da parte dell’ente Tre Venezie etc.
Dopo tutto quello che ho letto nel corso degli anni su questi argomenti (e l’italianizzazione forzata l’ho studiata bene), propendo per la seconda lettura, anzi, sono certo che la prima sia una cagata.
Nessuno, nemmeno Cernigoi, nega le vendette personali e gli eccessi. Tra l’altro le stesse autorità jugoslave, tanto vituperate, ne repressero e ne punirono molti dopo la guerra, anche con condanne a morte.
Il punto è che se non si ricostruisce chi, come, dove, quando e perché è morto e chi, come, dove, quando e perché ha ucciso, quelle morti diventano un mistero, proprio nel senso religioso, e infatti le pseudo-spiegazioni chiamano in causa il Male, la “barbarie slavocomunista” etc.
Unit, anch’io sono figlio di un esule. Adesso non entro nel merito della questione dei numeri, non è il luogo adatto.
Dirò solo che la “questione storica” sul Confine Orientale non è mai stata presa in considerazione nell’istituzione della Giornata del Ricordo e nella retorica dell’Esodo Istriano Fiumano-Dalmata e delle Foibe. Eppure della storia del confine orientale se ne sono occupati molti storici accademici che hanno condotto ricerche scientifiche rispettando i principi di falsificabilità, economia e non contraddizione delle ipotesi. Storici come Pirjevec, Apih, Valdevit, Cattaruzza, Troha, Vinci, Fogar. Nessuno di loro ha mai negato la violenza del conflitto nazionale e politico tra Jugoslavia e Italia su quella frontiera, ma da bravi storici hanno inserito quegli episodi all’interno del quadro europeo nella seconda guerra mondiale, all’interno del quale la Venezia Giulia non spicca come “caso”. Anche quando ci si è occupati di esodo – a livello storico – se ne è parlato al plurale, trattandolo assieme a quello di sloveni e croati dopo il trattato di Rapallo e durante il fascismo o con l’esodo di italiani spostati dal Regime per rimpolpare l’italianità dell’Istria durante il ventennio. Nessuno nega che fu un gran brutto periodo, tra i peggiori della storia, ma lo fu per tutti, compresi sloveni e croati deportati e morti a migliaia in Risiera di S. Sabba, nei campi di sterminio nazisti e in numero forse ancor maggiore in quelli fascisti ( http://www.campifascisti.it ). Isolare solo alcune delle violenze non è Storia ma Propaganda, così com’è propaganda parlare di genocidio e pulizia etnica quando invece lo scontro fu politico e semmai nazionalistico o tuttalpiù sociale, se ci furono deportazioni di massa di interi villaggi e popolazioni queste furono operate dai fascisti italiani e non da partigiani jugoslavi che non si vuole assolvere dalle loro reali responsabilità, ma è importante soprattutto per noi figli di esuli disincagliare la storia da una propaganda surrettizia e anacronistica, in perfetta continuità con la propaganda anticomunista dei nazisti durante la loro occupazione del litorale adriatico (si pensi alla poco conosciuta mostra propagandistica “Bolscevismo senza maschera” tenutasi a Trieste nel ’44 http://www.francoangeli.it/riviste/Scheda_Rivista.aspx?IDArticolo=48314&idRivista=164 ), così come la “propaganda” negazionista della shoah è in perfetta continuità con l’occultamento delle prove dello sterminio da parte dei nazisti in corso d’opera.
Il numero spropositato citato da Bersani è una falsità arbitraria e antistorica partorita dal fascista Marco Pirina e da altri figuri come il collaborazionista Luigi Papo, falsità che vengono ripetute ogni 10 febbraio (esiste anche la relazione di una commissione mista italo-slovena che ha lavorato per 7 anni, nessuna la cita mai, è stata sempre occultata http://www.storicamente.org/commissione_mista.pdf ). Io non accetto che la memoria delle sofferenza della mia famiglia paterna sia affidata ai bastardi che si pongono in continuità ideologica con i veri responsabili morali di quelle sofferenze: i nazifascisti, e ti invito a fare altrettanto Unit, diffidando da chi vuole manipolare la tua storia famigliare blandendoti con lacrimosi attestati di martirio, per avere finalmente un rapporto maturo, responsabile e non infantile con la Storia.
Ricordo che la Jugoslavia fu criminalmente aggredita dall’Italia per un puro velleitario disegno imperialista, senza quell’aggressione non ci sarebbero state esodi e violenze supplementari.
Quello che mi chiedo ora è se questo ddl negazionismo punisce chi nega o minimizza verità storiche documentate o chi nega o minimizza becera propaganda politica.
segnalo un articolo di galliano fogar, pubblicato nel lontano 1983, che spiega in modo molto chiaro l’origine e il senso delle mistificazioni sulle foibe che poi sono dilagate a partire dal ’91.
http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=6977
A proposito di foibe, scusate, a voi sembra che in #PointLenana “la tragedia delle foibe venga liquidata in tre righe”, come sostiene un lettore qui?
http://www.ibs.it/code/9788806210755/wu-ming-1/point-lenana.html
o “sottovalutata”, come dice un altro più sotto?
Strano, a me sembra che il libro parli di foibe per almeno (almeno!) cento pagine.
In Point Lenana raccontiamo come, quanto a lungo e da chi sia stata preparata la “tragedia delle foibe” sul confine orientale, descrivendo con dovizia di particolari gli accadimenti in “Venezia Giulia” dal 1918 al 1945, poi diciamo che se la questione viene posta rimuovendo tutto ciò è una falsa questione, e facciamo alcuni esempi particolarmente grotteschi di come sia stata proposta la falsa questione. Tutto il contrario del “liquidare in poche righe”.
Mi sembra che ad averla “liquidata” siano quelli che l’hanno estrapolata dal suo contesto e ipersemplificata a scopo di propaganda.
C’é poco da dire. Chi tenta di strumentalizzare un evento storico a fini politici agisce in direzione esattamente opposta a quella invocata da Jameson, che voi così spesso giustamente ricordate. Che si tratti di Foibe o del cd “Triangolo della morte”, si tenta di destoricizzare sempre, riportare a una dimensione senza tempo, nella quale sguazzano e grufolano così beatamente i fasci.
Quanto a Point Lenana, non ho mai letto un prodotto letterario (non saprei come altro chiamarlo! ) che applicasse così fedelmente il motto jamesoniano!
“Always historicize!”
Io annovero quei commenti su IBS nel reparto “freak show”, accanto a quello che non vuole leggere Point Lenana per via del titolo troppo intellettuale o a quello che non gli è piaciuto perchè preferisce il mare alla montagna! :D
A quello che non legge “Point Lenana” perché preferisce il mare alla montagna sicuramente farà piacere sapere che Wu Ming 7 e Chiara Samberto stanno scrivendo “Point Prosciutto”, un oggetto narrativo non identificato sul colonialismo milanese in Salento.
Ecco, l’articolo di Galliano Fogar citato da Tuco è in pratica la versione estesa di quanto intendevo dire.
Aggiungo che più che promuovere improbabili verità di stato occorre potenziare il mestiere dello storico, metterlo al sicuro e soprattutto valorizzarlo con l’ascolto. E’ inaccettabile che le autorità statali assumano come verità storiche le sciocchezze scritte da dei perfetti cialtroni.
Lo.Fi., WM1
come detto in poche parole sono totalmente d’accordo sul fatto che eventi tragici siano sfruttati per fare propaganda e che questo sia inaccettabile, che stupidi rasati inneggino alla memoria di fatti che non conoscono mi irrita profondamente. Ringrazio inoltre Lo.Fi. per le numerose fonti che mi leggerò con calma.
Ma la mia percezione è che nella foga di demolire questa propaganda si eccede nel tentare di sminuire o giustificare una serie di atti che sono e rimangono atrocità e crimini di guerra. Prendete affermazioni della Cernigoi del tipo “le persone che veramente sono morte per essere state gettate nelle foibe istriane o carsiche sono pochissime (NdU 400 persone!)” o “i circa 400 ‘infoibati’ che furono uccisi nell’Istria del dopo armistizio (settembre ’43), non possono che essere inseriti in un contesto di guerra” o “mentre tutti si sconvolgono all’idea di questi 400 morti, non battono ciglio di fronte alla notizia storicamente dimostrata che il ripristinato “ordine nazifascista” in Istria nell’ottobre ’43 causò migliaia di morti” (http://goo.gl/0lWexH). A me suonano *esattamente* come certe affermazioni sulle Fosse Ardeatine: c’era la guerra e tutti morivano come mosche, erano ordini, è stato un atto di guerra e così via. Se vi citassi il lavoro di una persona che scrivesse “i morti delle Fosse Ardeatine sono pochissimi rispetto a (qualunque cosa)” come ne valutereste l’affidabilità? Mi spiegate, perchè proprio non lo capisco, che senso abbia dire che centinaia di morti (e migliaia di esuli, anche se è un discorso diverso) sono pochi rispetto al fatto che ne siano stati ammazzati di più in un altro contesto? Sono stati uccisi centinaia di civili in modo atroce, secondo me non c’è bisogno di dire che sono “pochissimi” per liberare la memoria di questi fatti dalla strumentalizzazione fascista.
Non fraintendetemi, non voglio appellarmi a poche parole, ho letto un po’ di pagine del lavoro della Cernigoi e il tenore mi sembra quello, e cioè di in qualche maniera assolvere, contestualizzando e comparando a piacere, i partigiani jugoslavi da dei crimini che, alla fine di tutto, ci sono stati. Dopodichè l’uso che si faccia di questo fatto è tutt’altra faccenda, e su questo, di nuovo, siamo d’accordo.
Unit, ti rispondo io perché tra gli storici che ha citato Lo.Fi. Claudia Cernigoi non c’era, sono stato io a citarla.
Tu citi frasi da un’intervista dove Cernigoi taglia con l’accetta, e però anche se taglia con l’accetta certe cose si capiscono, e l’equivalenza con chi giustifica le Ardeatine è assolutamente fallace. Chi giustifica le Ardeatine “relativizzandole” con frasi come “Hanno solo eseguito gli ordini” non sta storicizzando, sta facendo il contrario, cioè astraendo quella guerra e quegli ordini dalle loro cause, dalla sequenza di accadimenti, dalle basi materiali della condotta delle persone.
Dopo i virgolettati che riporti, Cernigoi spiega:
«È come se ci fossero, secondo certa storiografia, istriani di serie A e istriani di serie B, cioè rispettivamente quelli di etnia italiana, la cui morte deve destare orrore e scandalo, mentre per gli altri, quelli di etnia croata o slovena, sembra essere stata una cosa “normale” che siano stati colpiti dalla repressione nazifascista.»
E questa è una polemica su come certi “storici” e i mass media *rimuovono* il contesto e fanno cominciare la storia di Trieste il 1° maggio 1945. Il primo capitolo di “Operazione Foibe tra storia e mito” si intitola proprio così: “A Trieste la storia non comincia il 1° maggio 1945”. Che significa: focalizzare solo sui morti italiani e “sfocare” su quelli che l’Italia aveva fatto da potenza occupante è insensato. O meglio, sotto l’aspetto della propaganda è sensatissimo, ma dal punto di vista della comprensione di quegli eventi no, zero.
Più avanti, Cernigoi dice:
«Vorrei dire che è impossibile fare un’analisi unica di un fenomeno che non è un fenomeno. Parliamo degli scomparsi da Trieste? Un centinaio di essi sono stati condotti a Lubiana e probabilmente fucilati dopo essere stati processati come criminali di guerra; centocinquanta o duecento sono forse i morti nei campi di internamento per militari; una cinquantina le vittime recuperate da varie foibe e per le quali si ricostruì che erano state uccise in regolamenti di conti e vendette. Però diciotto di questi “infoibati” erano stati uccisi da un gruppo di criminali comuni che si erano infiltrati tra i partigiani. Come si può contestualizzare una simile varietà di cause di morte? Ecco perché secondo me non si può parlare di “fenomeno” foibe.»
Questo è un riassunto spiccio di quanto emerge dal vaglio delle liste. Una volta depurata la ricerca dalle sparate vaneggianti sulle decine di migliaia di infoibati (o sul mezzo milione, come disse Gasparri in una trasmissione radiofonica!), quel che il ricercatore si trova sotto gli occhi è un insieme di persone morte nelle circostanze e per le cause più svariate. Il termine ombrello “Foibe” fa pensare che tutta quella gente sia stata gettata in cavità carsiche, e quest’immagine è alla base del Mito che ci è stato propinato.
Dopodiché, invito a un approccio laico: le ricerche di Cernigoi, se lette davvero, hanno come nocciolo una serie di dati e di fatti che stanno in piedi a prescindere da quel che si può pensare dell’autrice in veste di “sacerdotessa del titoismo”, come la chiamano quelli del Movimento Trieste Libera. Negli elenchi compilati da Papo compaiono “infoibati” come questo:
«Serbo Eugenio, capitano 57° Rgt. Art. Div., rimpatriato dalla Germania fu catturato dagli Slavi e deportato nei pressi di Lubiana; risulta deceduto il 14.12.44 a Leitmeritz»
(è solo uno dei tantissimi esempi che possiamo fare)
e Leitmeritz altro non è che Litomerice, nei Sudeti, oggi parte della Repubblica Ceca. Nel ’44 era ancora territorio del Terzo Reich e vi sorgeva un lager nazista. Se dopo essere stato (presuntamente) deportato a Lubiana dai partigiani (“gli slavi”), costui è (chissà come) morto nei Sudeti, forse internato in un lager nazista, in che senso sarebbe un infoibato, una vittima dei titini?
Tra gli infoibati compare anche Barut Servolo, che però era un capo partigiano e morì il 23/6/1944 nella Risiera di San Sabba. Tanti altri presunti “infoibati” sono partigiani uccisi dai nazifascisti, Cernigoi li elenca tutti. Un altra “vittima” è Guido Furlan, del quale non si dice che era un membro delle SS italiane. Etc. etc. etc.
Uno su Claudia Cernigoi e le sue posizioni politiche può pensarla come vuole, ma questi sono fatti.
Si utilizzerà forse la pagina di Wikipedia (solo italiana chiaramente)
http://it.wikipedia.org/wiki/Negazionismo#Altri_casi_di_negazionismo
ciao,
vostro e di Odifreddi gli unici due commenti sensati su tutta sta faccenda. Ma vi conoscete?
no al negazionismo, ma smettiamola con le decisioni di pancia ad effetto!
Sono d’accordo, soprattutto con l’osservazione di Lo.Fi però sono confusa sull’idea di vietare il negazionismo per legge.
Questo è il testo (fonte AGI.it):
“Fuori dei casi di cui all’articolo 302, se l’istigazione o l’apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo, crimini di genocidio – si legge nel testo che modifica l’articolo 414 del codice penale – crimini contro l’umanità o crimini di guerra, la pena è aumentata della meta’. La stessa pena si applica a chi nega l’esistenza di crimini di genocidio o contro l’umanità”
Esco fuori dall’argomento storico perché conosco poco la prassi dello studio e della ricerca storica.
Oggi molti di noi hanno ad esempio a che fare con i negazionisti del global warming, i quali, forti di interpretazioni sballate dei dati, cherry picking, e quant’altro, riescono a frenare le potenziali politiche ambientali di molti Paesi.
Se guardiamo poi alla medicina il negazionismo (se mi permettete di chiamarlo così) è vietato (e punito) eccome, tanto che i maghi e i cialtroni, specialmente se consapevoli (e quindi truffatori belli e buoni), possono anche finire in galera.
Non oso mettere bocca sull’estrema necessità di creare coscienza storica (o sociale, o scientifica), partendo anche e soprattutto dalla scuola, lo condivido senza se e senza ma; è su un altro aspetto che sono confusa. Cioè fino a che punto una libertà deve essere garantita, o, guardandola dall’altro lato, fino a che punto lo Stato può permettersi di non tutelare, in ultima istanza usando purtroppo la legge, soggetti deboli, manipolabili o anche solo poco interessati a una problematica? Facendo ancora un esempio forse banale come sapete in Veneto (e credo in altre regioni) le vaccinazioni sono sospese, questo non per chissà che principio di libertà, ma per dare fiducia al cittadino, considerandolo cioè ormai consapevole dei rischi della non-vaccinazione e quindi non avendo più la necessità di costringerlo a vaccinare i propri figli. L’iniziativa ha avuto successo e probabilmente l’obbligo verrà abolito del tutto, ma nel momento in cui dovessero tornare ad esserci pandemie si porrà nuovamente il problema e in qualche modo (ossia per legge) si dovrà arginarlo.
Spero che il mio commento non venga letto come provocatorio o stupido, è che sono proprio confusa sui limiti dello Stato e della legge, cioè mi chiedo oggi nel 2013 fino a dove può l’educazione e fino a dove si può rischiare di andare a parare in qualcosa che non sarà facile poi rimettere a posto?
Concludo dicendo che io sono, ad esempio, favorevole al punire l’omofobia, ma mi rendo anche perfettamente conto di essere biased perché ne ho vissute di cotte e di crude in Italia e a un certo punto perdi un po’ le speranze e pensi che quell’educazione che servirebbe ad arginare certe derive non arriverà mai, almeno non in tempi compatibili con la vita umana (in questo caso la mia :D ).
Ciao Serenissima,
nella risposta a Mauro, più sotto, ho precisato un elemento che spero possa esserti utile e dissipare in parte la confusione che affermi di avere in testa :-)
[…] la parola a chi di storia ne mastica quotidianamente, le/gli storiche/ci, come ci ricordano i Wu Ming proprio oggi, riprendendo un appello del 2007, quando un altro Ministro alleato del Partito […]
Sono molto dubbioso su questo argomento, sento valide ragioni da entrambe le campane ma non riesco a decidermi.
Una cosa però vorrei dirla a proposito di questo appello. Sarà un dettaglio ma è un dettaglio che trovo stridente: quando si elenca fra gli esempi di fallimento di una imposizione ideologica statale l’antifascismo di Stato nella Germania Est. Chissà perché la parola “antifascismo” viene pure messa tra virgolette.
Francamente credo che l’Italia avrebbe solo da imparare da quanto i regimi burocratico-autoritari dell’Europa Orientale hanno saputo fare per sradicare il neofascismo. In particolare il contrasto con i nazisti “meno compromessi” coccolati e riciclati in funzione anticomunista dalla Germania Federale mi sembra clamoroso. Un ragionamento complessivo su questo argomento dovrebbe perlomeno partire dal dato di fatto che oltrecortina si andava a caccia di fascisti e nazisti mentre in Europa Occidentale dal giorno dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale i padroni hanno iniziato a pensare a come fare per riciclare sbirri, prefetti, gerarchi, squadristi, torturatori e criminali di guerra.
Questo esempio ha un’importanza relativa e non credo comprometta il senso dell’appello e delle sue argomentazioni, ma secondo me tradisce un’impostazione di un certo tipo.
Mauro, l’appello è firmato da storici di diverse scuole, tradizioni e tendenze politiche. Prevalentemente sono storici di sinistra, con tutte le sfumature e connotazioni che questo implica, ma ci sono anche alcuni liberali, cattolici, conservatori. Molti sono di origine ebraica, e la loro è una posizione poco confortevole, per ragioni ovvie. Per rendere l’appello il più multi-partisan possibile e farlo pesare (infatti la legge fu fermata), avranno deciso di inserire esempi eterogenei.
Fatto sta che erano tutti d’accordo su una cosa, e cioè che le leggi che vogliono normare dall’alto la verità storica per “ordinare” la memoria pubblica e quindi la società sono pericolose sia sul piano della ricerca storica sia sul piano sociale. Se stabilisci una verità di stato in un settore dell’indagine storiografica, stabilisci il precedente per imporla in un altro settore, con conseguenti ricadute sul discorso pubblico. Negli ultimi anni Claudia Cernigoi è stata accusata di “negazionismo sulle foibe”, c’è chi non vede l’ora di sancire questo per vie giudiziarie, ed è solo un esempio.
Inoltre, e cosi spero di fornire uno spunto in più a Serenissima, queste leggi non servono davvero allo scopo ufficialmente professato, perché vietare dei discorsi non ha effetto deterrente sui processi che fanno diventare qualcuno razzista, sciovinista, fascista. Basti un esempio: la Francia ha dal 1990 una legge durissima, che addirittura vieta di contraddire quanto scritto nelle sentenze di Norimberga, eppure i sondaggi danno come primo partito il FN, al cui interno storicamente trovano espressione posizioni antisemite e umori negazionisti.
Il piano su cui si muove il proibizionismo culturale a norma di legge è irrelato a quello sul quale si riproducono i fascismi, o perlomeno è pochissimo o per nulla incisivo. O meglio, incide nell’altro verso, perché aiuta a produrre mitologie d’accatto su qualche “martire del pensiero”, permette di gridare alla censura e di ammantare certi discorsi di un seducente alone di “proibito”.
Qui in Germania non si puo’ nemmero giocare a Wolfstein 3D, dove i nazisti lis si ammazza. E di neonazisti in giro ce n’e’ un bel po’, hai voglia…
Già però almeno evitano parate militari (ero a Berlino il 3 Ottobre e non è che c’era l’esercito a sfilare davanti al PdR), di Predappio non ne ho viste e qualcuno mi ha parlato di un “senso di colpa legato al solo essere tedesco” che è forma senza sostanza, ne sono convinta anch’io, i neonazisti ci sono e un medico dei lager teneva la scuola di pediatria (se non sbaglio) nell’università dove sono io ora. Però la forma un minimo di peso ce l’ha, sennò la propaganda non farebbe l’effetto che fa, quindi va curata. Non col reato di negazionismo, certo.
Certo, va curata, ma non come hanno fatto loro. “Il senso di colpa legato al solo essere tedesco” e’ solo un altro tassello al processo di infantilizzazione operato dalla socialdemocrazia, e piu’ che forma e’ puerile imbarazzo, con pochissima comprensione.
Infatti alla data attuale non ho avuto alcuna discussione intelligente con chicchessia nell’ambito universitario (scientifico) sul tema che non sia morta sul nascere o sfociata in apologie di interventi autoritari, nonostante la loro inefficacia palese.
Il discorso sulle idiosincrasie della Germania e’ molto lungo, si divagherebbe…
Grazie per la risposta. Chiarisco che non trovo sbagliato il ragionamento in questo caso particolare, sono convinta anch’io che sia una vaccata fare del negazionismo un reato, lo trovo meno valido come concetto generico, cioè ritengo che caso per caso sia necessario valutare eventuali misure di limitazione delle libertà, per quanto una proibizione con forza di legge possa essere letta praticamente sempre come una sconfitta di tutto l’impianto culturale. Anche il post poco sopra (da un altro blog), in cui si tira in ballo la democrazia, mi lascia abbastanza insoddisfatta e perplessa, prima di parlare di attacco alla democrazia forse bisognerebbe fare più chiarezza su cosa si intende con democrazia e con libertà (io ancora me lo chiedo). Inoltre io (ma non solo, siamo in tanti) considero la storia una scienza, non come la fisica, certo, ma una scienza nel senso di attività e opera umana che nasce e si evolve all’interno di un campo di regole e metodi che non possono e non devono prescindere dalla sola opinione, ovvero ritengo che la ricerca storica sia democratica nel senso che tutti vi possono partecipare, ma che non possa essere democratica nei suoi prodotti perché quei “tutti” devono sapersi muoversi in un preciso campo di regole (ciononostante concordo con Gould nel fatto che in quanto opera umana la ricerca, storica o scientifica, spesso passa attraverso il setaccio delle proprie convinzioni, anche irrazionali). Solo che è una considerazione che meriterebbe spazio e tempo, me ne rendo conto.
Ecco io preferisco pensare più al fatto in sé e alle sue implicazioni (ben poste nell’appello) che a qualcosa di più generale, ma forse questo è un mio difetto, o una mia deformazione professionale, da scienziata che tende a ridurre dove è possibile. La comunicazione o il “racconto” spettano ad altri e lo lascio volentieri ad altri, perché è un compito ancora più importante e difficile.
A me il documento sembra anche più coraggioso di quello che in media proviene dai nostri ambienti accademici. In particolare il terzo punto suggerisce esplicitamente che prima di fare classifiche sui “mali assoluti” bisognerebbe guardare al nostro passato coloniale, e non sarebbe una cosa da poco. Mi piace il modo in cui prende di petto la tendenza memorializzante a fare della Shoah un non-evento astorico.
L’Unione delle Camere Penali critica duramente il ddl sul #negazionismo:
http://www.camerepenali.it/news/5502/Al-negazionismo-si-risponde-con-le-armi-della-cultura-non-con-quelle-del-diritto-penale.html
Grazie a @kaosleo per il link.
Da “Il Manifesto” di oggi:
Negazionismo, il pericolo del reato – di Roberto Della Seta
http://www.micciacorta.it/home/naviga-tra-le-categorie/27-revisionismo-storico/12835-negazionismo-il-pericolo-del-reato.html#comments
Anche io come altri che hanno lasciato commenti prima di me, ho dei dubbi sull’opportunità o meno di un ddl simile.
Probabilmente perché l’idea stessa di cosa è stato l’olocausto e che qualcuno possa negare che sia esistito mi fa schifo, a pelle e, sull’onda emotiva, non mi verrebbe da essere contrario ad un decreto simile. Allo stesso tempo però i rischi segnalati da molti mi sembrano reali.
Diciamo poi che, in generale, questo governo si sta specializzando in una serie di norme che pongono tanti “dubbi”, sia sull’impianto tecnico che sui principi che le hanno fatte nascere: penso a quanto accaduto per il “femminicidio” in cui solo 5 articoli su 12 riguardano il tema in oggetto; penso anche al fatto che spesso si voglia cavalcare l’onda per farsi pura pubblicità o, al peggio, per nascondere leggi di comodo.
Mi sento allora di segnalare, per contribuire alla discussione, un post di Christian Raimo pubblicato su Minima & Moralia:
http://www.minimaetmoralia.it/wp/come-rispondere-a-priebke-breve-introduzione-e-analisi-retorica-di-revisionismo-e-negazionismo-2/
Articolo lungo ma non complesso che secondo me vale la pena leggere in particolare quando fa una distinzione tra negazionisti e revisionisti
“mentre ogni storico che si rispetti è revisionista, nel senso che è disposto a rimettere costantemente in gioco le proprie conoscenze acquisite qualora l’evidenza documentaria lo induca a rivedere le sue posizioni, il negazionista è colui che nega l’evidenza storica stessa”
senza mancare di citare i “riduzionisti”.
(certo, nel “frame” attuale mi sembra ci sia un voler etichettare come “semplici revisionisti delle foibe” tanti ideologi e storici di destra, per cui il discorso andrebbe ulteriormente approfondito).
E ho apprezzato anche la parte in cui si parla dell’opportunità o meno di censurare, anche ma non solo rispetto ai nuovi media:
“Se con le vecchie tecnologie comunicative (carta stampata e video) era ancora possibile pensare di reprimere il movimento tramite la censura, con l’avvento e la diffusione di Internet questo obiettivo è divenuto impossibile da realizzare. Al di là del complesso dibattito sull’opportunità o meno di censurare i testi degli autori in questione, è innegabile che un simile proposito si riveli oramai anacronistico, e al divieto di pubblicazione devono subentrare altre strategie più articolate e al passo coi tempi.”
La semiologa Valentina Pisanty credo abbia studiato con la sua opera più di ogni altro il fenomeno del negazionismo, le sue strategie retoriche nonché la sua estraneità al metodo storico e alla sua deontologia, nello specifico lei è proprio riuscita a individiuare ed evidenziare le tecniche attraverso le quali costoro scimiottano il mestiere dello storico. Allo stesso modo coloro che hanno sparso fandonie sulle foibe (Pirina, Papo, La Perna etc) non sono storici, al massimo hanno fatto finta di esserlo.
Contro la legge sul negazionismo – di @AldoGiannuli (uno dei firmatari della lettera del 2007)
http://www.aldogiannuli.it/2013/10/negazionismo/
Carlo Ginzburg contro il “Ddl sul negazionismo”, qui.
[…] Ginzburg, ad esempio, ha preferito parlare di “libertà di ricerca”, così come già un gruppo di storici fece nel 2007, quando la proposta di penalizzare il […]
Ritirato il ddl sul negazionismo. La farsa della smemoratezza, del pressapochismo e della voglia di censura si conclude come nel 2007. Va capita questa storia dell’aggravante, però.
Mentre va seguita l’evoluzione dell’iter del decreto sul negazionismo, segnalo un pezzo uscito qualche giorno fa a firma di Augusto Illuminati su Alfabeta2: Contro il reato di negazionismo.
http://bit.ly/1aQKHMs
Continuare a ragionarci è comunque cosa sana, al di là dell’epilogo che avrà questa vicenda parlamentare.