Ieri su La Repubblica è uscita la recensione di Difendere la Terra di Mezzo scritta da Loredana Lipperini. Molto centrata e potente, a nostro avviso. Si può leggere sul suo blog, QUI. A margine vale la pena far notare che i titolisti di Repubblica non si smentiscono mai. L’ultima volta che Loredana Lipperini si era occupata del lavoro di WM4 su Tolkien era stato nel 2010, con un’intervista a cui era poi stato apposto il titolo “Compagno Hobbit” (sic!). Ieri si è fatto il bis, con un riferimento alla “terza via del fantasy”. Ma che vogliamo farci? Mica vorremo interrompere le vecchie abitudini…
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Già Repubblica ha la prassi di dare titoli escrementevoli (in Italia l’hanno introdotto loro il titolo con una frase virgolettata che dovrebbe riferire o al massimo “compendiare” il pensiero di un intervistato e invece il più delle volte lo inventa di sana pianta e solo i pochi che vanno oltre il titolo se ne accorgono); quando pubblicano qualcosa su di noi, poi, c’è un surplus: magari l’articolo è buono, ma chi sceglie il titolo – chiamiamolo il titolato a titolare – lo fa al manifesto (se non dichiarato) scopo di irridere, di fare il sardonichetto e il sarcastichetto che ride di noi sotto il baffetto, dando di gomito al collega (“Visto che scherzetto? Ih! Ih! Ih!”) dall’alto di non si capisce bene quale superiorità culturale. E’ successo spessissimo. Il titolo più memorabile lo diedero a un mio breve sunto del memorandum sul NIE: “I Wu Ming si danno all’epica”. Capito l’intelligente gioco di parole? Astuto! Sottile! Ve ne siete accorti anche voi? Ih! Ih! Ih! “Darsi all’epica”! Non l’hai capita? Epica, ippica… GEGNO! Grande giornalismo. Mica come quello dilettantesco che la ggente si fa da sola sul web. Il cartaceo resta grande garanzia di qualità. Vai avanti così che hai ancora molto futuro.
E se anche non fossero stati loro a introdurlo, il titolo virgolettato, sono comunque quelli che ci hanno puntato sopra di più, che l’hanno usato in modo più massiccio, e di fatto quelli che lo hanno imposto.
Ha ha, molto divertente. Sarà qualunquismo, ma ultimamente non posso fare altro che provare profondo rancore verso il mondo del giornalismo. Queste poche righe di sarcasmo mi hanno dato grande soddisfazione.
Unico appunto: a mio parere questa schifezza non è confinata ai grandi gruppi editoriali, ma sconfina, e anzi quasi si perfeziona, proprio nel “giornalismo dilettantesco che la ggente si fa da sola sul web”. C’è una sudditanza culturale nei confronti dei “maestri” spaventosa, e non parlo solo dei titoli, ma di quell’autosoddisfazione da miserabili che mi causa tanto rancore. Non saprei articolare molto meglio, e probabilmente se lo facessi si finirebbe molto OT, dunque mi limito ad una sola illustrazione. Mentre nell’idiozia del giornalista affermato posso intravedere il tutto sommato legittimo desiderio di difendere una posizione di privilegio e dominio sociale, nel poveraccio che adotta gli stessi canoni culturali non posso trovare neppure questa scusante.
Mi inserisco in questa conversazione, solo per dire che ho letto Difendere la Terra di Mezzo e volevo fare i complimenti a WM4. Ho divorato il suo saggio (finito in una giornata), è stato molto ben strutturato ed approfondito. Grazie per il tuo lavoro
un appassionato lettore di Tolkien
Un libro da battaglia. E una battaglia vinta. Non so quale sia il capitolo che più mi ha fatto capire meglio la Terra di Mezzo. Forse quello sul giardinaggio. O quello su Morris. O quello sul linguaggio. Di certo sono riconoscente a Wu Ming 4, perché mi ha fatto innamorare del mondo di Tolkien.
Bellissima recensione; mi ha ancor più invogliato a leggere il libro (e spero che la biblioteca a cui l’ho proposto accetti l’acquisto!).
Ho letteralmente amato l’incipit, con il suo riferimento a De Carlo. Sto seguendo Masterpiece e al di là dell’evento citato hanno anche espressamente sconsigliato di scrivere fantasy, mah…
Bello anche il parallelo con King. Sto leggendo proprio la Sfera del Buio del ciclo de La Torre Nera, ho in mano l’edizione del 2004 e nella prefazione King, a proposito dei libri di Tolkien, ammette:
“I romanzi della Torre Nera, come la maggior parte delle saghe fantasy scritte da quelli della mia generazione (e qui cita appunto Brooks…), sono figli di quei libri.”
Vedere che Tolkien è presente in saghe come quella di King e di Martin, che a mio parere son ben lontani dal calco fatto da Brooks, dovrebbe far riflettere che Tolkien non è solo il padre di elfi e stregoni.
Ad ogni modo, aspetto di avere tra le mani Difendere la Terra di Mezzo! :)
L’Hobbit libertario di Wu Ming 4. Alberto Prunetti recensisce #DifenderelaTerradiMezzo sul Manifesto:
http://ilmanifesto.it/lhobbit-libertario-di-wu-ming-4/
Anch’io faccio i miei auguri e complimenti a WM4 per il libro, che ovviamente ho già letto, e di cui l’autore ci aveva parlato in anteprima a un affollato seminario trentino sul mito, che per me è stato molto stimolante.
Vorrei dire però dire – molto collateralmente – una cosa che avevo già scritto anni fa a questo blog: la mia profonda, inenarrabile diffidenza per Repubblica. Non sono solo i titoli la cosa escrementevole di quel giornale, come commenta WM1: ma è tutto il giornale, in quanto common-sense-maker, ad incarnare il peggio della nostra attuale scombiccherata identità. Da un punto di vista culturale poi, le cose si fanno ancora più desolanti: il common sense si fa ancor più mainstreaming (da qui anche la mia diffidenza verso Loredana Lipperini, che inserisco qui in punta di tastiera e da fedele ascoltatore di Fahrenheit).
Da lettore appassionato di tutto il mondo WM apprezzerei insomma una certa distanza verso questo sistema, ma – intendiamoci – questo non né un invito né tanto meno un rimprovero: solo una constatazione molto amichevole (che tiene conto anche ovviamente di tutto quel che gira attorno a un libro, e di cui anche i WM devono tenere conto).
Gabriele, ça va sans dire che sono d’accordo con tutto quel che scrivi di Repubblica e anzi a livello politico rincarerei la dose, però ti esorto a non estendere la critica in modo arbitrario: Loredana è una freelance, il suo rapporto col giornale non è mai stato semplice né pacificato, tant’è che quando propone l’idea per un articolo non è affatto detto che gliela accettino. Rispetto al “partito di Repubblica” le sue posizioni – espresse sul blog e nei suoi libri – e le sue battaglie vanno in direzione ostinata e contraria. Per limitarmi a un solo esempio, su Lipperatura troverai prese di posizione a favore dei No Tav e contro la repressione che nessun opinionista organico a Repubblica ha mai espresso né – probabilmente – mai esprimerà.
In un commento separato, invece, rispondo sul nostro conto.
Non vedo perché essere recensiti ogni tanto su “Repubblica” (può capitare anche ai migliori), per giunta recensiti da una freelance, dovrebbe implicare una qualche nostra vicinanza alle posizioni e alla filosofia di quel giornale-partito, mentre invece tutto quel che facciamo ogni giorno, il mondo di cui ci ostiniamo a far parte, e non ultime le bordate che tiriamo al suddetto giornale-partito (basti vedere cosa abbiamo scritto di Griseri nell’inchiesta sul caso “Pecorella”), non dovrebbero segnalare in modo chiaro e netto una concreta, ribadita, radicale distanza. Cosa pesa di più, sui due piatti della bilancia, quando si tratta di valutare la nostra collocazione?
Lungi da me, caro WM1, incominciare una annosa – e in fondo inutile – polemica su dove e come sia legittimo parlare pubblicamente! Sono d’accordissimo su tutto quanto scrivi, volevo solo sommessamente esprimere il mio disaccordo con Repubblica e con ciò che rappresenta (e non con voi che venite recensiti su quel giornale). Ancor più sommessamente esprimevo il mio parere diciamo di “non simpatia” verso il blog di Lipperini – ma sono pareri assolutamente personali, su cui non volevo in alcun modo aprire il dibattito: il senso della parentesi finale con cui chiudevo il mio intervento era proprio quello di sottolineare come non vi chiedevo certo di essere “puri e duri”, anzi ammiro la vostra capacità di essere presenti in maniera sempre originale e alternativa anche nelle voci del mainstream pubblico…
Gabriele, naturalmente ciascuno gode della più totale libertà di apprezzare o non apprezzare un blog e qualsiasi altra cosa, però che volessi dire questo non era molto chiaro, anzi, non lo era per niente, perché nel tuo primo commento il blog di Loredana non l’avevi proprio nominato. Hai parlato di Repubblica e poi, in un inciso, hai scritto: “Da qui la mia diffidenza verso Loredana Lipperini…”. Chiunque avrebbe capito che la tua diffidenza verso Loredana era dovuta al suo “far parte” del giornale, e io su questo ho fatto precisazioni che ritenevo e ritengo necessarie. Alle quali aggiungo che una cosa è Repubblica, un’altra è Lipperatura. Liber* tutt* di criticare l’uno e l’altro, il giornale-partito e il blog personale di una giornalista. Purché non si confondano tra loro due mezzi, due tribune e due contesti diversissimi.
Sì, comunque grazie ai Wu Ming (WM4 in primis, naturalmente), ad Alberto, a Loredana Lipperini e a tutti i Giapster perché la conseguenza di tutto questo è che ora m’avete fatto veni’ voglia da mori’ di rilegge’ The Lord of the Rings. Credo che questa sia la cosa più importante E ribadisco a costo di essere palloso che l’idea un WM4 a scrivere di Gaiman (soprattutto Sandman) mi stuzzica a bestia
A me sembra che l’articolo del manifesto, per citare qualcuno, “non c’azzecchi niente”. Può essere un’ interpretazione del giornalista, quella di un Tolkien anti-autoritario, ma a mio avviso non è sicuramente l’interpretazione che ne dà WuMing 4. Infatti sono d’accordo con il commento di Kente in calce all’articolo stesso.
Purtroppo il titolo è spesso fuorviante negli articoli (viene fatto in redazione all’insaputa dei collaboratori esterni) e ormai bisogna scindere tra la lettura del titolo e quella del testo. Ho scritto esplicitamente che stavo tentando di “affondare il coltello, ipotizzando una lettura – credo sorretta dall’impianto critico di Wu Ming 4 – de “Il signore degli Anelli” come una critica antiautoritaria del potere”. Parlando di “ipotesi” e di “affondare il coltello”, indicavo la mia volontà di spingermi oltre la lettura di Wu Ming 4, tentando di aprire un sentiero di lettura nel bosco Atro. Quindi questa ipotesi critica (legittima perché l’apertura dell’opera poi si stringe su alcuni riferimenti libertari indicati appunto da WM4: il luddismo, Ruskin, Morris) non viene attribuita nel mio articolo a Wu Ming 4 ma è un’ipotesi di lettura del lettore/recensore. Il titolo poi è ingannatore perché l’aspetto più rilevante forse non è neanche l’impotenza degli Hobbit, ma il rifiuto di Gandalf di farsi carico dell’anello. Comunque provate a farvi un giro sui forum in inglese di ecologia radicale e vedrete che alcuni riferimenti “contro l’autorità” dell’universo di Tolkien sono tutt’altro che “pisciati fuori dal vaso”. “Notizie da nessun luogo” di Morris ad esempio è uno dei libri preferiti dell’anarcoprimitivista Zerzan.
Una precisazione: ovviamente non ho mai pensato di leggere nell’universo di Tolkien una forma di “anarchismo politico” esplicito dell’autore. Non parlo del “compagno Tolkien”, che sarebbe una forzatura ridicola (vedi la sua posizione sulla guerra di Spagna). Parlo di un sospetto contro il potere che emerge come effetto connotativo delle vicende evocate nell’opera. Spero che questo sia chiaro, altrimenti si tratterebbe di tirare la coperta del letto di Tolkien da un lato, dopo che i fascisti l’hanno tirata dall’altro. Non ho mai pensato a qualcosa di tanto banale.
“L’occupazione più inadatta per qualsiasi uomo, anche per i santi (che almeno non se l’assumevano volentieri) è governare altri uomini.” J.R.R.Tolkien, Lettera 52.
Penso che Tolkien non fosse anti-autoritario tout court, bensì che accettasse l’esercizio del potere degli uomini su altri uomini come un male necessario, ma pur sempre un male. Sapeva benissimo che esercitare autorità implica dei rischi e che maggiore è l’autorità, maggiori sono i rischi.
Aggiungo che le monarchie “antiche” della Terra di Mezzo non sono regimi assolutistici – per i quali Tolkien ha sempre avuto parole sprezzanti, su Hitler e su Stalin picchia durissimo nei suoi scritti privati – ma appunto monarchie pre-moderne. E forse è il caso di fare notare che la decisione più cruciale della Terza Era, mandare l’Anello alla distruzione, viene presa collegialmente da un concilio convocato dagli Elfi, al quale partecipano rappresentanti di tutti i popoli liberi (e senza bisogno di metterla “democraticamente” ai voti).
Infine voglio ricordare che il modo in cui Re Elessar (Aragorn) esercita la propria autorità una volta che l’ha ristabilita consiste nel rendere la libertà a tutti i popoli della Terra di Mezzo, inclusi quelli che avevano appoggiato Sauron. Quello che manca del tutto nello scenario tolkieniano insomma è proprio lo stato moderno in tutte le sue forme e deformazioni. La sua riflessione narrativa sul potere, per altro, non è politica, bensì etico-morale e psicologica. Ed è senz’altro una delle sue tematiche più importanti. In questo Alberto ha visto giusto: il discorso di Gandalf – uno che pure un’autorità e un’autorevolezza le esercita – individua il paradosso del potere che riverbera su tutta la narrativa tolkieniana.
Anche a me all’inizio la recensione su “Il manifesto” aveva lasciato diffidente, tuttavia mi sono poi ricordato un altro passaggio della stessa lettera 52: “Le mie opinioni inclinano sempre più verso l’anarchia (intesa filosoficamente come abolizione di ogni controllo, non come uomini barbuti che lanciano bombe)”. È un’anarchia cristiana: l’unico che ha il diritto e la capacità di esercitare il potere sugli uomini è Dio.
Esatto. L’antiautoritarismo di Tolkien è precisamente questo.
Bisognerebbe – forse non l’ho fatto bene – distinguere tra le intenzioni di Tolkien come autore (indicate chiaramente da Wu Ming 4 sopra) e gli usi del testo realizzati in ambito controculturale (nei circuiti di deep ecology, nelle comunità di elfi italiani dell’Appennino tosco-emiliano, nella scena hippie anni Sessanta-Settanta). Ovviamente non imputo a Tolkien gli usi postumi del suo libro. Oltre a evidenziare una tensione critica verso il potere (esasperata nei paratesti del mio articolo), segnalo una ricezione in ambito altenativo e di ecologia radicale anglosassone dell’opera del Nostro.
Uno dei commenti alla recensioni della Lipperini mi ha fatto rimuginare su una questione che ad ogni rilettura del LotR torna a perseguitarmi. Ancora non ho avuto modo di mettere le mani su “Difendere la Terra di Mezzo”, quindi non so se la risposta è contenuta. Dunque: WM4 ci ha mostrato che bene e male in Tolkien sono scelte delle singole persone e che non sono scelte definitive, ma si può andare avanti e indietro. Ciò è evidente in personaggi come Boromir e Gollum. Un personaggio che però non riesco a capire alla luce di questo fatto è Gríma. Egli sceglie il male sia per desiderio di potere che per desiderio di Éowyn. Tuttavia, anche quando tutte le sue speranze sono state deluse, rifiuta sistematicamente tutte le opportunità che gli vengono offerte per salvarsi: quando Théoden gli offre di seguirlo in guerra; quando Barbalbero gli propone di rimanere con lui in attesa di Gandalf invece di raggiungere Saruman; quando i viaggiatori di ritorno incontrano lui e Saruman per la strada e lo invitano, dopo che lui ha detto “quanto vorrei lasciarlo”, a seguirli; quando, liberata la Contea, gli Frodo fa esiliare Saruman ma invita Gríma a restare con loro per qualche tempo. Perché Gríma nonostante possa salvarsi rifiuta sistematicamente?
Perchè esiste Giovanardi? Perché esiste Capezzone? Sono ironico ma non troppo :) E con ciò confermo la tremenda attualità di Tolkien
In effetti… i “cattivi” esistono. Ebbene, se nella soteriologia tolkieniana (mi si passi il termine) è sempre possibile salvarsi – perfino per chi come Gollum ha trascorso gran parte della propria vita schiavo dell’Anello – ciò significa che è anche possibile perseguire la via della dannazione con pervicacia. Questa idea deriva dalla concezione cristiano-cattolica di Tolkien, credo. Difficile dire perché Grima Vermilinguo rifiuti ogni opportunità di tornare indietro, ma dal racconto si evince che si tratta di una personalità travagliata, rovinata dalla paura, dall’odio, che in certi casi non sa nemmeno bene contro chi dirigere. Odia Saruman, ma ne subisce la personalità prevaricante. Il rapporto Grima/Saruman è il ribaltamento del rapporto Sam/Frodo. Ciò che lega quest’ultimi è un vincolo di affetto, fedeltà, rispetto, e poi amicizia; ciò che lega i primi due è un rapporto gerarchico, sbilanciato, che si nutre di disprezzo, odio, soggezione. Eppure alla fine Grima si ribella e uccide il suo dominatore. Non sono gli avversari a giustiziare Saruman, ma un sottoposto che, con il suo ultimo gesto, sceglie la libertà, prima di essere a sua volta trucidato. Grima è un personaggio tragico, complesso, vittima della propria paura e cupidigia, che però alla fine, a modo suo, trova il modo di ribellarsi e di vendicarsi. Questo non basta già a salvarlo, è vero, ma rivela un travaglio interiore che nella vicenda è forse solo accennato e lasciato intuire, e allude a un abisso di dolore davvero inquietante. Gratta gratta ti accorgi che in Tolkien i “cattivi” sono quasi sempre anche vittime oltre che carnefici (come lo sono gli Orchi, del resto).
Commento non tanto il volume (che sto leggendo, e mi piace un sacco) ma l’azione che avete intrapreso (e in particolare Wu Ming 4), che Lipperini dimostra di aver capito al contrario dei titolisti di Repubblica.
Il mondo accademico, a dispetto di clichés destrorsi, in Italia è spesso quanto di più conservatore si possa immaginare, e lo si vede nei (pre)giudizi che produce. Spesso non conta il libro, non conta ciò che suscita in generazioni di lettori: conta ciò che si dovrebbe dire in un libro importante, il canone partorito nell’accademia stessa, e chi dice ciò che si dovrebbe dire in un libro importante, cioè una nube spesso composta più di letterati che scrittori.
O meglio, ovviamente gli scrittori eccezionali non mancano, ma sono immancabilmente “letteratizzati”, visti come se stessero interrogando muse e archetipi vuoti: nessuno è calato nello sporco in cui hanno dovuto vivere e scrivere. Non sto parlando di contenuti (realismo vs. letteratura assoluta ecc…) o tanto meno di biografismi (vade retro!).
Il punto è che si può scrivere Germinal o l’Infinito, tant’è: si tende a rimuovere l’atto più concreto dello scrivere, l’esplorazione di percorsi inediti presentati in modo più o meno allegorico, la voglia di raccontare a chi legge (che sia un sindacalista operaio o uno studente) una strada percorsa assieme, o da scoprire, o da immaginare. E invece si eliminano sistematicamente la polvere, il sudore e il sangue che ci sono anche e soprattutto in Leopardi o in Nievo.
Nell’accademia, dove si partoriscono preconcetti come quello che ancora pesa su Tolkien e altri, il sentiero scompare, restano le muse. Anzi, le loro mummie: ieri si chiamavano Dissidio Interiore, Sensismo, Io Psicologico, Io Alienato, si sono chiamate perfino Conflitto di Classe e Questione di Genere! Strappate dalla strada su cui camminano (e noi con loro). Richiuse in un Parnaso (di stronzi, per citarvi). Sono il sale della vita reso insipido.
Trovo che il discorso critico di Wu MIng4 su Tolkien – e il vostro in generale – esorbiti da questa palude, riportando l’elemento la variabile più sfuggevole e viva della letteratura, che forse fa paura per questo ai “lettori istituzionalizzati”. Ciò che ti tiene sveglio di notte, che ti fa venire voglia di immaginare anche tu qualcosa, di aprire una strada. O percorre quella su cui già ti trovi con occhi e entusiasmo diversi. E, quel che è meglio, restituisce un’anima persino a quei concetti intrappolati ex cathedra in statue di marmo.
Più leggo, e più credo che, almeno nella nostra parte di mondo, la letteratura sia stata la capacità di vedere dai problemi e vicende che ognuno di noi affronta, schizzare attraverso lo spazio e il tempo e partorire un racconto che può anche parlare di tutt’altro, certo, ma conservando lo scheletro della strada che si percorre nella vita di ogni giorno. Quale escapismo? Questo è il meccanismo di chi produce metafore, e la base del parlare. Cominciamo invece a parlare di metafore tessute bene o male, piuttosto!
Credo che sia anche e soprattutto proponendo letture come la vostra che si faccia una rivoluzione. Non tanto per quello che può aver scritto Tolkien (che non si immaginava certo un «compagno hobbit»), ma per gli occhi con cui si può leggerlo (che può portarti anche a scrivere «Gandalf presidente» durante un’occupazione).
Sarà forse per via del mio coinvolgimento, nonostante tutto appassionato, nell’ecosistema universitario che sono convinto che la distanza tra politica istituzionale e società sia la stessa che c’è tra accademia e lettori. Difendere la terra di mezzo e analoghe letture che entrano nelle viscere del popular indicano una bella direzione, una via d’uscita dalle paludi.
Ho terminato da qualche giorno la lettura della raccolta, per prepararmi alla quale mi son procurato, divorandolo, lo stupendo “Stella del Mattino”… che dire, ancora rapito dalle violente emozioni che il libro ha suscitato in me, e dalla piacevole sensazione di intimità creata dal delicato tratteggio dell’uomo-Tolkien, non ho potuto che apprezzare ancora di più “Difendere la Terra di Mezzo”! Al netto di un primo capitolo che, pur centrando l’obiettivo che si era prefisso, sembra mancare un po’ di incisività/profondità rispetto al seguito, gli spunti offerti sono davvero notevoli… Tant’è, ho pure rispolverato e rimesso sul comodino “Il Medioevo ed il fantastico”, lettura che al liceo avevo abbandonato precocemente.
La nostalgia per la Terra di Mezzo che sempre lascia il frequentare la narrativa di Tolkien, associata alla lettura in corso di “Millepiani”, mi inducono a porre una domanda a chi ha sicuramente frequentato con strumenti critico-analitici migliori dei miei ambedue le dimensioni: è mai stata tentata/operata una lettura “sistematica” in chiave deleuziana e/o foucaultiana del tema del potere nel materiale narrativo che compone il “Libro Rosso dei Confini Occidentali”? La giustapposizione è forse traviata dalle emozioni, ma il flusso-di-desideri-e-di-convinzioni da cui sono attraversato e che ispira questa associazione analogica non me la fa apparire troppo peregrina: mi azzardo quindi a chieder lumi.
Ciao, dopo aver consultato il maggiore bibliografo tolkieniano italiano, vale a dire Roberto Arduini (che l’Ente Supremo lo preservi), ho scoperto quanto segue.
Due studiosi anglosassoni, Alfred Siewers e Robert Eaglestone, hanno citato Deleuze a proposito di Tolkien, ma sempre in maniera indiretta. Lo stesso dicasi per Charles Delattre, direttore del dipartimento di Greco
e docente di Greco Antico presso l’Université Paris-Ouest Nanterre La Défense, autore di moltissime pubblicazioni, tra cui una dedicata a Tolkien: Le cycle de l’anneau, de Minos à Tolkien. In tutti, lo studio citato è sempre “Capitalismo e schizofrenia” (cioè “L’Anti-Edipo” e “Millepiani”), soprattutto le parti legate al mito.
Ringrazio davvero molto entrambi per la cortesia e la solerzia nel dar risposta ad una domanda che ho decisamente malposto (grazie al cielo ho almeno avuto la decenza di mettere tra virgolette la parola “sistematica”). Considerata la maggior pratica con la lingua d’Albione, credo che questa piccola quest avrà inizio con Eaglestone e Siewers (e magari riapprocciando in maniera più sistematica la narrativa di Tolkien), giusto per saggiare la consistenza dell’impressione scaturita da letture temporalmente giustapposte. Ne approfitto per un’altra domanda: la Selection delle spesso citate lettere di Tolkien edita Harper Collins è fonte esauriente per lo scartabello, nel caso in cui volessi perdermi nella ricerca di spunti in merito alla questione, o ne esistono altre di più valide/complete (a prezzi non proibitivi, s’intende)? Intanto, meneg suilaid!
L’epistolario pubblicato purtroppo è uno solo. Si tratta di una selezione molto arbitraria. E’ una lettura indispensabile per capire qualcosa di come la pensava Tolkien e della sua poetica, però a mio avviso sarebbe occorso almeno un secondo volume che ampliasse la selezione. E’ quel che c’è.
Grazie mille per i preziosi consigli, per intanto, e ancora per i due bellissimi lavori prodotti, conforto narrativo in un periodo “science-only laureandi causa”… se mai questa mia porterà in qualche dove, o alla sintesi di qualche piccolo contributo per una discussione, non mancherò di aggiornar (sempreché sia cosa gradita).