Riproponiamo qui il testo che abbiamo scritto nel novembre scorso per gli ottant’anni della casa editrice Einaudi.
«Questa mia traduzione è nata nelle circostanze seguenti».
Il primo nome che ci è venuto in mente quando dalla casa editrice ci hanno chiesto un pugno di righe – un ricordo, uno spunto, qualcosa – sull’ottantennale della fondazione dell’Einaudi, è quello di Leone Ginzburg. A seguire, quello di Proust. Perché?
Perché nel giro di ventiquattr’ore si celebrano il centenario della pubblicazione di Du côté de chez Swann (14 novembre 1913) e l’ottantennale dell’Einaudi (il giorno dopo).
E perché c’è un collegamento forte tra Leone Ginzburg, la sua persecuzione da parte dei nazifascisti, la tragica fine a Regina Coeli… e la Recherche.
La traduzione «classica» del primo tomo della Recherche, quella che l’Einaudi continua a pubblicare (oggi nella Biblioteca ET) è di Natalia Ginzburg. Gran parte del lavoro fu svolto nel 1940 a Pizzoli, in Abruzzo, dove Natalia era al confino con il marito Leone. I volumi della Recherche, in un’edizione di gran lusso, li avevano ricevuti come regalo di nozze. Dopo l’Armistizio – del quale è appena ricorso il settantennale, quanti anniversari con la cifra tonda! – i Ginzburg lasciarono il confino, ma i fogli della traduzione rimasero a Pizzoli. Leone andò a Roma, incontro alla Resistenza e alla morte. Della quale è prossimo il settantennale.
Scrive Natalia:
«Per molto tempo, non pensai più a quei fogli protocollo. Se a tratti m’avveniva di ricordarli, ricordavo soprattutto il tempo felice trascorso. Leone era morto e la quiete di quei pomeriggi che passavo a tradurre apparteneva a un’età perduta».
Ma i fogli si erano salvati. Natalia poté recuperarli a guerra finita, e terminare la traduzione.
Quanto c’è di quell’età perduta nel lavorio di Natalia sul francese e sull’italiano? Quanto della quiete al confino, e poi della guerra, della morte, della perdita? Quali parole fanno da «spia» dell’esperienza vissuta?
Quanto c’è di Leone nella traduzione di Natalia?
Natalia scrive:
«Leone mi aveva detto che dovevo cercare tutte le parole sul vocabolario, anche quelle di cui sapevo il significato. Era sempre possibile trovare un termine più preciso e migliore. Questa frase la presi alla lettera e cercavo proprio ogni parola: anche maison».
Lezione più significativa e politica di quel che sembra. Il fascismo, con la sua retorica tronfia e tonitruante, delle parole e dei significati aveva fatto strame. E oggi non siamo messi molto meglio. Imperano «neolingue» eufemistiche, la cui unica funzione è ottundere. La lezione di Leone è più utile che mai.
Se, pensando alla fondazione dell’Einaudi, il primo ad apparirci è stato lui, vorrà pur dire qualcosa.
Leone Ginzburg, perseguitato e ucciso dai fascisti.
Fascisti. Fascismo. Eccole, due parole da cercare. Proprio perché tutti credono di conoscerne il significato.
Storie dell’Einaudi, storie nel catalogo Einaudi. Un catalogo dove Proust, morto prima della Marcia su Roma, ha voce d’antifascista.
Del resto, lo scrisse un allora fascistissimo Bargellini su un numero del Frontespizio nel 1936:
«Chi ama Proust non può amare la serenità e la virilità italiana».
Dove «italiana», come ancora oggi spesso accade, sta in realtà per «fascista».
Italia. Italiano. Ecco altre due parole da cercare. Proprio perché tutti credono di conoscerne il significato.
Non conoscevo la storia di questo grande uomo né di questa grande donna, né di Leone, né di Natalia, né di Leonida né di Alessandra. Ho letto l’ultima lettera di Leone a Natalia. Una lettera che alterna la speranza, come la più perfida delle altalene, opaca come quella luce, alta, altissima, che illuminava la stanza della e nella sua maledetta ed ancora maledetta prigionia, a quel buio che affronterà scrivendo il resto della lettera. Ultimo atto di resistenza, forse inconsapevole, forse no.
Vedi le mura della meschinità, vedi l’uomo imprigionato scrivere e resistere per quella libertà che non vivrà, vedi la mano del regime, vedi.
E’ incredibilmente umano ed emozionante e doloroso leggere passaggi rapidi ma concisi ove in un modo follemente e drammaticamente lucido emerge il carattere testamentario di quelle parole “Cercherò di conseguenza, di non parlarti di me, ma di te. La mia aspirazione è che tu normalizzi, appena ti sia possibile la tua esistenza; che tu lavori e scriva e sia utile agli altri… Attraverso la creazione artistica ti libererai delle troppe lacrime che ti fanno groppo dentro; attraverso l’attività sociale, qualunque essa sia, rimarrai vicina al mondo delle altre persone, per il quale io ti ero così spesso l’unico ponte di passaggio…”; per poi urlare, perchè quelle ultime parole sono l’urlo di un uomo imprigionato, sono l’ultimo grido di amore alla sua donna, a quella vita che sa che non conoscerà più, sono parole dove la ragione si scontra con il sentimento, dove la ragione prevarrà ma lo spingerà a dire: “Ti amo, ti bacio, amore mio. Ti amo con tutte le fibre dell’essere mio. Non ti preoccupare troppo per me. Immagina che io sia un prigioniero di guerra; ce ne sono tanti, sopra tutto in questa guerra; e nella stragrande maggioranza ritorneranno. Auguriamoci di essere nel maggior numero, non è vero, Natalia ?Ti bacio ancora e ancora e ancora. Sii coraggiosa.”
Grazie per avermi ed averci fatto conoscere due persone che hanno lottato e sofferto e lottato per quella libertà, e ripeto quella libertà di cui ancora spesso non se ne comprende il vero senso ed il vero significato e non ho altro da scrivere, anzi sì “Una delle cose che più mi addolora è la felicità di cui le persone intorno a me (e qualche volta io stesso), perdono il gusto dei problemi generali dinanzi al pericolo personale”. Leone Ginzburg