Bioscop è in volo da poco più di mese, il RévolutiontouR del Wu Ming Contingent procede di pari passo con L’Armata dei sonnambuli, la band wuminga sarà in concerto il 22 maggio al Blah Blah di Torino e il 24 al festival Fuori chi legge di Luino (VA). Nel frattempo, sono uscite numerose recensioni del disco e la nostra presenza sulla scena musicale diventa il pretesto per gettare uno sguardo obliquo su quel mondo, come facciamo da una quindicina d’anni con quello delle patrie lettere.
In particolare, ci sembrano rilevanti tre considerazioni:
1) Molta enfasi – positiva o negativa – viene riservata al contenuto politico e storico dei testi, quasi che la canzone di protesta italiana sia una tradizione ormai remota e disconosciuta. Si parla di agit-prop e di edutainment, come se un testo schierato e militante fosse una bestia rara, da guardare con ammirazione o sospetto. Su questo, ci piacerebbe capire come la pensate.
2) L’abitudine a recensire senza conoscere è piuttosto diffusa anche da queste parti. Federico Guglielmi (l’omonimo del nostro), inizia il suo articolo su Bioscop per FanPage sostenendo che “Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la letteratura e la cultura alternativa italiane conoscerà di sicuro i Wu Ming”. Beh, troppa grazia. Non siamo certo così imprescindibili. Tuttavia, per scrivere di noi con un minimo di cognizione, basterebbe anche solo farsi un giro su Wikipedia. E invece…
3) La diffusione di cultura in Creative Commons, senza tutele SIAE, suscita ancora reazioni scomposte, come quella del direttore di Musica & Dischi, storica rivista dell’industria discografica italiana, 65 anni su carta e 4 in pdf. Nel numero di maggio 2014 – l’ultimo prima della chiusura definitiva delle pubblicazioni – l’elzeviro di Mario De Luigi “Penna Rossa” se la prende con il nostro concerto al centro sociale Zam di Milano:
«I brani non sono registrati alla SIAE, il che significa che quando li eseguiamo dal vivo, chi ci invita a suonare non deve pagare balzelli”. Non ci è chiaro dove siano andati a finire i 5 euro pagati dagli estimatori del gruppo per l’ingresso alla serata di presentazione milanese dal vivo dell’album, il 24 aprile scorso: ma saremmo curiosi di conoscere se i titolari dell’etichetta condividono la filosofia degli intraprendenti musicisti Wu Ming, nonché i termini del contratto con essi stipulato. Se esiste. In caso contrario, le schiere dei pirati (Wu Minga Cumprà) hanno via libera.»
@Wu_Ming_Foundt ora sappiamo che settant’anni son pochi per capire la diff. tra cachet e proventi siae— bastaunosparo (@bastaunosparo) 2 Maggio 2014
@Wu_Ming_Foundt Non capisco. Intende che con la entrata a una serata ci si può solo pagare la SIAE? Non ci sono altre spese per nessuno?
— Lo Chignon della Col (@LaColChignon) 2 Maggio 2014
Di seguito, un’antologia di estratti da recensioni, interviste e commenti, con il link alle versioni integrali.
– E il video qui sopra, che roba è?
E’ una libera interpretazione del nostro Soldato Manning a cura di Spakkiano.
Buona visione, buona lettura e buon ascolto.
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«Immaginate lo stesso approccio che un romanzo come Altai ha per la narrativa…applicato alla musica.
Un genere definito ed un modo di raccontare che abbiamo già saggiato (quasi tutti i brani sono basati su precedenti eroi ed anti-eroi trattati da Wu Ming Wood, una rubrica che tenevano su GQ) da Ho Chi Minh a Steve Jobs, da Wikileaks agli ufologi radicali.
Un disco che al primo ascolto può sembrare “immaturo” e “quel tipico disco che scriveresti tu quando vuoi essere politico”.
In realtà è Bioscop: un perfetto mix di cultura di genere e ricerca di quel suono caro a quel determinato periodo storico e sociale.
I Wu Ming, questa volta nella figura di 2 e 5, propongono un disco che a suo modo è elegante e diretto, senza sbavature “casuali” bensì di “genere” e ricercate.
Il cortocircuito musicale fa si che questo disco venga associato a forme molto più moderne di esposizione di idee, quando invece probabilmente è figlio di primo letto di quello che le modernità attuali scimmiottano senza caricargli di significato a parte il mero buffonismo: lo scopo dei Wu Ming Contingent è quello del servizio pubblico.
Informare, educare ed intrattenere.
Niente rocambolesche idee di marketing, casomai guerriglia psicologica.
Un disco assolutamente da avere, soprattutto perchè è totalmente in CC e nemmeno un centesimo va alla SIAE.
Applausi a scena aperta per la Woodworm che ancora si conferma una realtà che sa investire oculatamente e su progetti di qualità senza spocchia e senza glamour.»
David Colangeli su Oca Nera Rock
– Wu Ming Contingent, un nome dal netto profilo orientale: come mai questa scelta?
Il “Contingente Senza Nome”, Wu Ming Contingent, deriva il suo nome dal più famoso gruppo di scrittori Wu Ming, ossia “Senza Nome” in cinese. Quelli di Manituana, 54, Altai e dell’ultimissimo L’armata dei sonnambuli, per intenderci.
– Un errore che vi augurate di non commettere per la vostra carriera?
Fare da backing band a Jovanotti.
– Infine alla domanda “Perché ascoltare BIOSCOP?”, i Wu Ming Contingent rispondono..?
Sballa come i tamponi di certi spray nasali, ma non ha effetti collaterali dannosi.
Roy & Grace – Musica su Facebook
«Il loro esordio esce proprio nei primi mesi di quest’anno e, per gli appassionati del genere alla Massimo Volume o Offlaga Disco Pax, rappresenta sicuramente una sorpresa del tutto positiva. Ottime basi e testi declamanti che raccontano la società odierna attraverso le storie di 10 personaggi maschili. Troviamo il soldato-eroe di Soldato Manning, il celebre calciatore brasiliano Sòcrates nell’omonima canzone, il rivoluzionario vietnamita Ho Chi Minh in Uno Spettro, per poi concludere con la libera interpretazione di The Revolution Will Not Be Televised di Gil Scott-Heron in La Rivoluzione (Non Sarà Trasmessa Su Youtube).
Una miscela incredibile e innovativa di musica e cultura, un audiobook d’intrattenimento dal sapore punk-rock.»
Viviana Sbriglione su Clap Bands Magazine
«L’approccio è quello “letterario” di Wu Ming con la differenze che, se gli ultimi romanzi del collettivo hanno un po’ deluso ripetendo una formula ormai consolidata, l’album è caratterizzato da una sorprendente freschezza anarchica.»
Divine su Dagheisha
– L’impronta musicale ha il sapore del punk, della new wave. Wu ming 5 (Riccardo Predini) suona la chitarra nei Nabat. La radice musicale e il risultato fanno pensare ad esperienze musicali come i Cccp, i Massimo Volume…
I due attuali chitarristi dei Massimo Volume, Egle Sommacal e Stefano Pilia, hanno cominciato a suonare insieme una decina d’anni fa – Sommacal alla chitarra, Pilia al contrabbasso – in un reading musicale declamato da WM2 e tratto dal suo romanzo solista Guerra agli Umani. Quindi, certo, tutto si tiene… Però – a prescindere dal modo di usare la voce in alcuni brani – non si può dire che WMC e MV si somiglino davvero, così come non si somigliano i MV e gli Offlaga. Ricordo che quando uscì il nostro primo romanzo, Q, molti lo paragonavano a Il nome della rosa, che ha una struttura narrativa completamente diversa. Eppure, siccome in entrambi i libri c’erano gli eretici, tutte le altre differenze diventavano minuzie. Alle mie orecchie, i riferimenti italiani più vicini sono i CCCP di Emilia paranoica, i Diaframma di Gennaio, i Kina di Quanto Vale e naturalmente i Nabat.
– C’è un senso “politico”, in questa direzione la vostra musica ha un legame con un certo folk?
Mi pare un paragone molto azzeccato. Primo, perché per noi, nati e cresciuti nelle metropoli del boom economico, della crisi petrolifera e della Milano da Bere, il vero folk non è quello di prima della guerra. La nostra musica folk è l’hardcore, il punk, l’hip hop.
Secondo, perché il nostro lavoro sui testi si avvicina all’esperienza della canzone politica di protesta, della canzone come racconto in musica di fatti e di vite rilevanti per una comunità, da Sante Caserio alla Ballata di Sacco e Vanzetti, dal Canzoniere delle Lame ai Gang. Una tradizione che, a nostro parere, si sta smarrendo e che va rinnovata.
– Che differenza c’è tra il lavoro del collettivo su un libro e quello in sala prove?
Il lavoro su un capitolo parte sempre da una discussione collettiva, poi si scaletta l’intreccio, quindi uno da solo si occupa della scrittura e gli altri ci intervengono con successive revisioni, stesure alternative, taglia e incolla, cancella e riscrivi.
In sala prove si parla molto meno: uno arriva con un’idea musicale e gli altri cominciano subito a scriverci sopra, a vedere cosa ci sta e cosa non ci sta, se il pezzo prende forma o non la prende. C’è meno pianificazione, si procede a partire da un nocciolo. Però la fase di rifinitura è simile: per i nostri romanzi, la prova del nove è la lettura ad alta voce. Tutto quello che non “suona giusto” deve staccarsi, levigarsi, cambiare posto. Come in una galleria del vento. E lo stesso accade con il testo e la musica di una canzone: si suona, si cambia e si taglia finché il pezzo non mostra la sua logica, il suo filo conduttore.
Bioscop, il folk punk di Wu Ming Contingent su Coolclub
«Questa è la musica che al Wu Ming Contingent piace: qualcosa che fa parte della loro gioventù musicale certo, ma che rimanda POLITICAMENTE al tema portante e alle suggestioni stilistiche e concettuali della rivoluzione, dell’ipnosi, dell’irretimento di massa, della dimensione teatrale e della necessità di cambiare nome come lo zio Ho di Uno Spettro.»
Alfredo Cristallo su Micsugliando – Musica & Idee
«Nati dalle ceneri di una moltitudine di band della scena Hardcore italiana (Nabat in primis di cui faceva parte il chitarrista Riccardo Pedrini a.k.a. Wu Ming 5), gli Wu Ming Contingent prendono il loro nome dall’album Wu Liao Contingent, pubblicato nel 1999 dai quattro principali collettivi di Oi! Punk cinese. Il brodo primordiale fatto di Offlaga Disco Pax e dell’inevitabile connubio CCCP/CSI di cui Bioscop è ghiotto, non presenta raggi di sole melodici in nessuna delle dieci tracce, eccezione fatta per La Notte del Chueco, probabilmente la canzone più potabile del lotto. In realtà Bioscop è costituito da storie, che hanno per protagonisti sbilenchi personaggi storici, narrate dalla ridondante voce dell’ex Frida Frenner Giovanni Cattabriga, che agisce qui con l’alias Wu Ming 2. Se non si è vigili all’ascolto anche per un solo secondo, si potrebbe solo sentire un brusio e le parole scorrere pressappoco così: “BlahBlahBlah…Bono Vox….BlahBlahBlah…Che Guevara…BlahBlahBlah…Apartheid”.»
Giovanni Panebianco su Rockambula Webzine
«Non un comizio intellettuale, ma il tentativo perfettamente riuscito di rendere vivide le vicende di uomini ed eroi non sempre riconosciuti dai canoni ufficiali. Poter ballare al ritmo di questa gioiosa rivoluzione artistica è la sensazione magnifica che ne consegue.
Forte è l’impronta di un punk primordiale e diretto in pezzi come Soldato Manning o in un brano come La notte del Chueco, uno dei più coinvolgenti dell’album: la voce – altrove volutamente priva di variazioni significative – vira verso il cantato accantonando per un lasso di tempo pur breve le modalità espressive che richiamano alla memoria gli Offlaga Disco Pax.
L’unica fame ammessa, alla fine di ripetuti ascolti, è quella che deriva dai maldestri fremiti che Bioscop procura: osservare con occhi spalancati le ambiguità del mondo, festeggiare le derive festose dei suoni netti e rudimentali, attendere impazienti il seguito di un album tanto intenso.»
Roberta D’Orazio su Rockit
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«Urgenza filo-punk e trame di scuola wave si sposano così in un sound compatto ed energico, dove la voce del frontman – dotata di un suo ruvido magnetismo – è costretta a “spingere”. Stilisticamente collocabile a mezza strada fra i vecchi Disciplinatha e gli emergenti Management del Dolore Post-Operatorio, il Wu Ming Contingent non difetta insomma di una sua urticante efficacia, smentendo l’idea – sulla carta, nient’affatto peregrina – del semplice divertissement e/o del passatempo da dopolavoro.»
Federico Guglielmi (l’omonimo) su Fanpage
«Nelle dieci tracce di Bioscop si ritrova il cantato alla maniera degli Offlaga Disco Pax o dei Massimo Volume, l’arte declamatoria scardinata dalla musica di sottofondo cui si unisce l’assoluta irriverenza alla Roberto “Freak” Antoni (fra i dedicatari del lavoro). Per mettersi all’ascolto di Bioscop è necessario che l’orecchio sinistro non sia condizionato da quello destro e ciascuno si concentri su quanto gli pertiene; sulla batteria muscolosa di Cesare Ferìoli e il basso di Yu Guerra (già membri degli X-Ray Men), sul sax di Guglielmo Pagnozzi oppure sullo sciorinare di nomi, date e luoghi la cui precisione è fonte di incanto e meraviglia. Con Bioscop la tradizione oi! del punk italiano riemerge a distanza di anni con maggiore impellenza e una maturità contenutistica maggiorata da anni di attivismo sul campo e non a caso entrambi i Wu Ming hanno all’attivo una militanza in gruppi di rappresenta di quel periodo, Frida Fenner per Wu Ming 2 e Nabat per Wu Ming 5. Il “ruvidismo” è il tratto distintivo di ogni traccia dove il suono poderoso, poco conciliante e totalmente energico riempie senza moine l’ascolto, inchiodando – nolenti o volenti – all’ascolto vigile e attento della storia declamata. E non si tratta di storie impalpabili, di amanti senza nomi e di disagi collettivi. E del resto non ci si poteva aspettare niente di diverso. Protagonisti di Bioscop sono personaggi legati al corso storico e calati in vicende politiche, sportive o militari. Individui dove si cristallizzano in forma microscopica, meccanismi la cui eco ha un risvolto mondiale.»
Giulia Bertuzzi su Indie-Eye
«Al di là delle figure che nel bene o nel male attraversano l’album (una su tutte, la strepitosa vicenda narrata in Peter Norman), l’opera è anche e soprattutto un impietoso ritratto dei tic e delle anomalie dei nostri tempi, dalla lobotomia digitale de La Rivoluzione (non sarà trasmessa su Youtube) – libera reinterpretazione di Revolution Will Not Be Televised di Gil Scott-Heron – agli anti-slogan che riempiono le nostre giornate mentre l’altra metà del mondo piange (Stay Human). Parole forti, spesso taglienti, accompagnate da sonorità alt-rock (Soldato Manning), funk (Italia mistero Kosmiko), punk (La notte del Chueco), post-punk (Cura Robespierre), influenze world (Uno spettro). Ed è proprio questo variegato e puntuale corredo sonoro a diventare il valore aggiunto di un album divertente e ben congegnato, che aggiunge un inedito tassello al panorama musicale italiano.»
Fabio Guastalla su Onda Rock
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«Un bel viaggio che si sviluppa sulle coordinate di un rock teso e vibrante, metà punk (nell’animo), metà wave, citazionista ma in maniera (pro)positiva, memore di ascolti classici e ben storicizzati così come di una urgenza comunicativa che ben si adatta al messaggio dell’album. Menzione particolare per l’opener Soldato Manning e i suoi echi Fluxus, la free-funk-wave di Italia Mistero Kosmiko, il (pop)punk 77 revisited alla maniera dei Television di La Notte Del Chueco e la fourth worldish Uno Spettro. Pollice su, in attesa del secondo volume, dedicato per giusta par condicio alle figure femminili.»
Stefano Pifferi su SentireAscoltare
«Ci stanno i Wu Ming Contingent che snocciolano canzoni come fossero attimi di incorposa e sinuosa crudeltà verso un mondo polverso fatto di strade tra alti palazzi dove il fumo si alza in cielo nascondendo il reale, il vero e tutto ciò che può sembrare tale.
Un gridato che abbraccia la new wave e il post rock and roll toccando Lindo Ferretti quando ancora aveva qualcosa da dire e quando ancora il sudario era un pezzo di straccio pieno zeppo di pioggia dopo una performance da urlo.
Un disco di protesta e congiunzione, di rabbia e ricongiungimento verso un orizzonte che stenta ad arrivare, verso un’alba ancora priva di colore; per fortuna ci sono gruppi come i Wu Ming Contingent ad illuminare la via e a dare un senso a tutto questo.»
IndiePerCui
«Non che noialtri, qui, si abbia alcun problema con le forme di agitprop più invasive e inculcate in gola a partire dal culo. Anzi.
Sorbirsi, però, una dose di pop eutanasico, filtrato attraverso fantomatiche griglie wannabe post-punk a furia di qualche sventagliata di sax, manierismi assortiti e professionalità bicolore, non rafforza la militanza che è in voi. Si adducono parentele e si richiama il passato, mettendo in campo canzoni funzionali alla loro natura catchy e agli slot disponibili tra Feste dell’Unità/csoa, MiAmi e rimpatriate bolognesi.
Funziona proprio bene, suona come si deve ma è tutta noia che ti aspetti, ti aspetti, ti aspetti.»
Bastonate
«La scorsa estate ho letto, con colpevole ritardo, Post-punk di Simon Reynolds, straordinario tomo di 800 pagine (più grosso dell’Ads) sulla scena musicale 1978-1984, che definisce La rivoluzione incompleta.
Testo che affronta sul piano musicale alcuni argomenti teorici urgenti: Cosa è possibile dire dopo che è stato detto tutto? Cosa è possibile fare dopo che il futuro è finito? Baudrillard si chiederebbe cosa c’è dopo l’orgia.
Se il punk rappresentò un ritorno alle forme elementari del rock’n’roll per smascherare i dispositivi spettacolari dell’industria discografica e la decadenza della propria epoca, il post punk doveva affrontare la questione di come muoversi quando la catastrofe era già avvenuta.
In questo senso, rappresentò un’occasione straordinaria per abbandonare ogni appiglio e non darsi limiti e confini di genere.
Il post-punk è appunto un non-genere, uno stratagemma attraverso il quale provare a battere terreni nuovi.
In questo senso Bioscop mi sembra totalmente un disco post-punk, non tanto per i riferimenti a gruppi storici (anche se mi vengono in mente i Wire, i This Heat o i Fall sopra ogni altro), quanto perché è un disco in cui si aprono delle brecce, in cui si tastano terreni inediti, in cui si prova a vedere cosa è possibile fare con una band.
Il risultato è un disco fresco, potente, diretto che non si dà protezioni “colte” con le quali fare un’operazione intellettualoide. Bioscop a me suona innanzitutto come il disco di una band e in secondo luogo come il disco di una band in cui due membri fanno gli scrittori.
Esattamente come quando leggo un vostro libro non penso che è stato scritto da un collettivo in cui ci stanno un cantante e un chitarrista.»
Toto, commento su Giap al post #Bioscop. Parole & Musica di Wu Ming Contingent.
«Checché ne dicano i nostri, siamo molto dalle parti degli Offlaga Disco Pax e di certe tirate di gola dei Diaframma. Nulla di miracoloso, ma è sempre bello sentir cantare di eroi.»
Claudia Bonadonna su Rumore
«Dribblando con sorprendente abilità stereotipi e ripetizioni di formule già sentite e strasentite, il Wu Ming Contingent dà vita a un album dinamico, militante nei contenuti e divertente nella forma.»
Fabio Guastalla su Mucchio Selvaggio
«Storia e attualità proposte attraverso un supporto sonico anziché cartaceo, edutainment in prosa, a voler calcare l’enfasi sui tesi più che sulla musica. Ascolto altamente istruttivo.»
Elio Bussolino su Rockerilla
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ALTRI LINK
Emanuele Bellentani intervista il WMC su Alta Fedeltà n.258.
Il profilo Facebook del Wu Ming Contingent.
Provo a fare un’ipotesi riguardo l’enfasi posta sul contenuto politico.
Secondo me lo straniamento di molti non è dovuto tanto al fatto che le canzoni siano politiche, il che non è né una stranezza, trattandosi di Wu Ming, né una novità, come giustamente avete fatto notare.
La musica italiana ha sempre accolto messaggi politici e lo fa anche ai nostri giorni, soprattutto nei generi alternativi quali rap, ska, reggae, punk, rock indipendente ecc. Semmai quel che colpisce è la forma che il messaggio politico assume in Wu Ming Contingent, una forma molto lontana da quelle assunte nei generi succitati negli ultimi decenni.
Il raccontare personaggi reali e storici, con piglio per lo più cronachistico, fortemente engagé, inserendoli in piccole parabole politiche e morali, ai miei orecchi richiama quella che giustamente definite canzone di protesta, ovvero quella forma artistica espressa in primo luogo negli anni ’60-’70 da cantautori quali Paolo Pietrangeli, Ivan Della Mea e, soprattutto, il cantastorie Pino Masi. Una tradizione che si ricollega ovviamente ai cantastorie popolari nostrani e, oltreoceano, alle topical songs del primo Bob Dylan (“The lonesome death of Hattie Carroll”, per esempio) e chissà a chi altri prima di lui.
Semmai le differenze stanno nella retorica più smorzata e nell’assenza di tutti quegli slogan presenti nel cantautorato movimentista che oggi sarebbero improponibili e puzzerebbero di stantìo.
Ma se dovessi individuare lo spirito dei testi di Bioscop (la musica è altra questione), lo rintraccerei sicuramente a partire da quei precedenti, più che ai ritratti intimisti e un po’ nostalgici degli Offlaga Disco Pax o alle declamazioni auliche di un Ferretti. È un bel salto generazionale che va a ripescare un modo diverso di narrare e per lo più dimenticato, e forse è questa la ragione del clamore suscitato.
Detto questo, ci vediamo al Radar il 26 luglio ;)
L’ipotesi mi pare corretta. Penso alle nostre canzoni come all’unione di un testo alla “Hurricane” di Dylan, con una musica che è folk metropolitano, country al cemento, dove al posto dei campi di alfalfa c’è l’asfalto sporco di piscio.
Se prendi un testo degli Offlaga che per certi versi si avvicina ai nostri – Ventrale – c’è comunque una prospettiva intima, legata al ricordo personale. Idem per la pluricitata “Robespierre” – ricordo di un esame di quinta elementare con domanda di storia sulla Rivoluzione francese. Nelle nostre parole questa prospettiva non è esplicita. Si raccontano storie, e ovviamente le si racconta “da qui”, da un centro focale situato, ma non esibito.
Però però…
è tutto bello e tutto molto interessante ma non ne avete anche un pò due maròni di continui accostamenti a questo e a quell’altro gruppo?
Io da fuori un pochino si…
Non fraintendetemi; ovvio che gli accostamenti ci stanno sempre. Tutto nasce in qualche modo da qualcosa di precedente ed osservando questo disco in una prospettiva di genere musicale si possono trovare alcune schiette influenze già ampiamente citate in primis da voi. Va bene, anzi benissimo perché si sa che la musica vive da sempre di lente mutazioni che la trasformano nell’arco degli anni o di vorticosi salti all’indietro che ridanno lustro ad un genere ormai superato regalandogli nuova vita.
Detto questo però c’è un fatto che è valido per lo meno per me e che mi pare si rimarchi troppo poco.
Io Bioscop lo metto su (spesso, spessissimo) e me lo somministro possibilmente a volumi orrendi perché è un disco che dà una carica micidiale mentre ti fa pensare. Un disco che non ti lascia il cervello fermo mezzo secondo, ti racconta una storia, ti diverte e ti esalta, ti sorprende ad ogni ascolto e non si “affievolisce” dopo tot riproduzioni come succede con tanti altri album.
Non lo vivo certo come l’evocazione di un genere del passato (da me peraltro pure poco battuto poiché provengo da tutt’altro gusto musicale) bensì come un bel discone a tutti gli effetti.
Per questo, tra l’altro, trovo l’album in perfetta continuità con la vostra produzione letteraria nella misura in cui qualunque ne sia l’origine la lavorazione è talmente sopraffina che ciò che ne esce è qualcosa di preziosamente nuovo e irresistibilmente unico.
Dico questo intanto per fare i complimenti all’ennesima figata sfornata da Wu Ming (ne sbagliaste una mannaggia a voi) e poi proprio perché avverto una certa ingiusta freddezza nel rapportarsi al lato più puramente emotivo del vostro lavoro che vive di una propria indiscutibile originalità musicale.
Correggetemi se sbaglio eh. Ma a me da consumatore di musica il tema pare interessante….
Caro Armin
Riguardo agli accostamenti, sempre e rigorosamente con Offlaga CCCP e Massimo Volume, mi fa venire in mente, maliziosamente sia chiaro, che chi scrive di musica sa di musica dai 90 in poi e per lo più di roba Italiana propinata a sua volta dalla carta stampata tendente all’indie/mainstream.
Ho il terribile sospetto che l’accostamento sia per lo più dovuto al fatto che le nostre linee melodiche non sono per nulla in stile italiano, modello bel canto per capirsi, e questo disorienta chi lavora dietro a una recensione del nostro disco, ovviamente parlo dei meno preparati, che per esempio, non colgono il rimando al canto tedioso di John Lydon o quello profondo e minimal di Lou Reed.
Per farla breve, le vere recensioni, cioè quelle che escono dal coro delle cose sicure da dire, sono purtroppo a mio avviso poche. Questo è sicuramente motivo di rammarico da parte mia in quanto bassista del WMC.
Yu Guerra
Ciao
volevo scrivere di questo disco dopo il live (ci vediamo stasera a Torino) ma un anticipo lo calo subito: a dispetto di quanto dice gran parte dei commentatori, e anche di quanto mi sarei aspettato leggendo qui sopra gli annunci prima che il disco fosse disponibile e le anteprime ascoltabili, a me Bioscop richiama *soprattutto* gli anni settanta: io ci sono cresciuto e sono pieno di quei suoni al punto che non saprei nemmeno identificare con esattezza i come, i dove, i perché di questo richiamo nelle vostre tracce.
La mia impressione è che, più che somigliare ai soliti tre-quattro gruppi a cui vi si paragona, abbiate con questi, presi come “genere” ma anche uno per uno, casomai degli antenati in comune, che vuol dire tutto e niente.
Mi sbilancio con un esempio: il brano che ritengo più difficile, “Uno spettro”, a me ricorda musicalmente i Doors per il tipo di andamento un po’ ipnotico, e come cantato un certo cantautorato italiano impegnato anni ’70 che si curava poco (secondo me a torto) della resa musicale ritenendo che il testo fosse tutto: mi riferisco in particolare a come vengono lasciate cadere le finali di alcuni versi e a come viene resa “eeeeeeeeeeeeeeeeee quante vite”.
Ma anche: la baraonda di suoni strutturata (benissimo!) in “La rivoluzione” mi ha fatto venire in mente, prima ancora di pensarci, il chorus di “Bolivia” di Gato Barbieri, un brano emblematico dei settanta. E in effetti il vostro Ho Chi Minh a me sembra una storia latinoamericana più che orientale, potrebbe quasi essere un personaggio del ciclo andino di Manuel Scorza (siamo sempre nei settanta).
Qualcuno l’ha già scritto: avete usato di proposito le idiosincrasie di periodi passati facendole sembrare “buttate lì”, suonato low fi ma ottenendo quel tipo di suono che nei settanta era hi fi, riesumato le avanguardie di decenni addietro quando più nessuno se lo aspettava o ci sperava, come certi vibrato di Jimmy Page che arrivavano a nota quasi spenta. Cos’è che avete fatto, in definitiva? Possiamo chiamarla (anche) “retroavanguardia”? ;-)
Non vedo l’ora di sentirvi live, di capire cosa diavolo avrete architettato per rendere la cosa, per farvi bastare un solo corpo per due chitarristi e fare a meno del sassofono.
Aggiungo un’ultima cosa “seventies” perfino più scontata. Il cameo di De André in “Stay Human”. Nel senso che secondo me De André è stato sempre anni settanta, fino alla fine. “Storia di un impiegato” se magari non sarà il suo capolavoro (ma parliamone), è comunque un monumento di quel decennio, e penso che sia il rumore di fondo, il ronzio di pickup percepibile costantemente anche nelle ultime opere, a dispetto di ogni (peraltro adorabile) noise gate etno-world che le caratterizza. Secondo me “Smisurata preghiera”, da voi citato, è un brano ostinatamente e contrariamente anni settanta.
“Smisurata preghiera” è una cosa senza tempo secondo me, travalica epoche e frontiere e anche il suono, con il contributo di Fossati, mi sembra successivo, vicino alla world music. “Storia di un impiegato” è un altro discorso, quello è profondamente anni ’70 “per lo spirito e per il gusto”, anche se sempre con uno “sguardo obliquo” ;)
Però non vorrei sviare la discussione su De André a causa della mia passione per lui, meglio restare sul disco dei Wu Ming che è il vero protagonista.
dopo aver passato le ultime due settimane a consumare il cd, ieri sera sono riuscito a farmi venire un crampo al polpaccio a forza di tenere il tempo al Blah Blah.
davvero, complimenti: strepitose dal vivo “Cura Robespierre” (sbaglio o alla fine a WM2 mancava, magari complice *la caldazza*, un po’ l’aria?) e “Italia mistero kosmiko”, mi avete mandato in crisi con la storia di *Laila* Malavasi e fatto (anche) ridere di gusto col finale disneyano.
grazie, perché la vostra ricerca di nuove vie, senza smettere di percorrere quelle consuete, per raccontare storie come quelle di Bioscop, per disseppellire (o lucidare) asce di guerra, è un lavoro che, per me come per tanti altri, è fondamentale ed insostituibile.
OT: per lavoro mi sono aihmè perso il concerto di Torino, ma sono riuscito a godermi entrambi i reading a bolzano….complimenti, entrambi godibilissimi, mi sto già cercando the footpath way. Pensate che prima o poi uscirà un cd anche di questi “progetti di lettura non identificati” come emilio comici blues o l’alfabeto delle orme?
Abbiamo registrato il live de “L’Alfabeto delle Orme” con una buona scheda audio. Se il risultato è altrettanto buono, lo metteremo on line nelle prossime settimane, insieme alle traduzioni dell’ antologia The Footpath Way
Grazie per Bioscop. Un progetto di cui aspettiamo i prossimi capitoli.
Nella speranza di non sollevare alcuna forma di polemica: forse qualcosa m’è sfuggito, ma come mai avete selezionato dieci figure rigorosamente maschili?
Era lo scopo della rubrica che scrivemmo per GQ e da cui sono stati tratti i testi dell’album: proporre in una rivista(ccia) “per uomini” modelli maschili diversi, alternativi, spiazzanti, che in quel contesto risultassero abrasivi. E infatti poi la rubrica ce l’hanno segata… :-D Dopo quella prima carrellata, l’idea era di farne una tutta femminile. So che il Contingent ci sta già lavorando sopra.
Sì avevo letto della rubrica da cui è partita l’idea…
Aspettiamo!
Amo questa frase così terribilmente attuale:
“L’arretrato paese a forma di stivale è un’avanguardia paradossale”.
Tornerete a Roma con la vostra musica?
Il 28 giugno veniamo alla Torre…
Credo di essere troppo giovane e di essermi perso qualcosa di importante. Si è parlato per questo disco di influenze post-punk o, ancora più evocativamente, di folk moderno: “La nostra musica folk è l’hardcore, il punk, l’hip hop” e anche “folk metropolitano, country al cemento, dove al posto dei campi di alfalfa c’è l’asfalto sporco di piscio” (bella immagine, tra l’altro).
La mia difficoltà sta nel fatto che io il periodo punk e hardcore non l’ho vissuto, quindi mi trovo in un contesto che ha le sue radici al di fuori della mia zona di comfort musicale.
Detto questo trovo i pezzi molto interessanti dopo un primo ascolto, ma devo ancora decidere quale sia il modo corretto di fruirne, se “adattare l’orecchio” al tipo di suono e far finta di aver vissuto anch’io l’epoca del punk o se approfittare dell’occasione e immergermi nel progetto nella sua totalità, facendomi trascinare dove mi porta col rischio di non trovare appigli.
Credo che la strategia d’ascolto più azzeccata sia quella di lasciarsi trascinare dalla musica e poi, al play successivo, prestare orecchio al testo. Noi non intendiamo Bioscop come una citazione dei bei tempi andati e le influenze che per forza di cose ci sono non vanno afferrate a tutti i costi.
Più delle intenzioni di chi suona, qui conta l’orecchio di chi ascolta: il significato è lì, nelle tue trombe di Eustachio, non nella nostra testa.
Come noto, puoi apprezzare “O superman” di Laurie Anderson, ben sapendo che è dedicata a Massenet, ma senza cogliere il legame che le strofe “O Superman, O Judge, O mom and dad” hanno con l’aria scritta dal compositore francese per l’opera “Il Cid”: ” O souverain, ô juge, ô père” (cfr L. Hutcheon, Theory of Parody.
Le tue orecchie sono l’unico l’ascolto giusto.
Se ti fa piacere ti posso suggerire qualche ascolto che a noi WMC ha dato parecchi spunti.
Il primo album dei seguenti gruppi: PIL/ NEU!/Killing Joke/Joy Division.
Per il resto, etichette e generi servono più alla carta stampata che al nostro cuore di amanti della musica.