Sembra ieri, perché il passaparola è appena al suo inizio, ma dall’uscita del romanzo è già passato quasi un mese. Tre edizioni sono uscite e presto ne arriverà una quarta. La conversazione è più vivace che mai e questo post ne offre, come da titolo, una prima campionatura. Una scelta di pareri apparsi in rete, a cominciare da questo stesso blog, dove è in corso una discussione animatissima riservata a chi ha già finito di leggere, e per questo l’abbiamo chiamata «Spoiler Thread», il filo [di pensieri ad alta voce] che rovina [le sorprese]. Non cliccare se non hai già letto il libro, se clicchi lo stesso son tutti cazzi tuoi! ^__^
Quel che sta accadendo nello «Spoiler Thread» lo ha riassunto bene Maurizio Vito [Spoiler anche qui, clicca a tuo rischio e pericolo].
Noi abbiamo prelevato alcuni stralci, omettendo i passaggi guastafeste. A seguire, estratti da recensioni comparse altrove, con link ai testi integrali. Buona lettura, e ci si vede in giro.
– Ok, ma dove?
Beh, ecco un colpo d’occhio sul nostro maggio.
Il calendario completo fino a luglio (incluso) è qui.
DALLO SPOILER THREAD
Adrianaaaa
«[…] Qualche parola su Marie Noziere. L’adoro. L’adoro perché mi piacciono i fumetti, e lei è una supereroina stracciona e rosa dalla vita proprio come sono i supereroi nei fumetti belli, che cadono in basso che più in basso non si può, e poi riescono a risalire, con la voglia di riscattarsi, perché di mazzate la vita non gliene darà mai abbastanza da abbatterli. E voi avete fatto vivere questa parabola, che nessun Frank Miller si sarebbe sognato di regalare a una donna – ma che anzi avrebbe condito, appunto, del peggiore superomismo, con la sua esclusività, il suo appartenere ai pochi veri eroi, quelli a cui il mondo da le spalle ma che comunque rimangono della loro idea, che sono sempre invariabilmente uomini – proprio a una donna, e per di più del popolo. Una di quelle destinate ad essere ricordate nel gregge, indistinguibili come individui, gregarie per forza, e ricordate solo se grandi sante o ancora più grandi puttane/infami/assassine. Donne del popolo di cui non si conoscono i pensieri, le parole, le idee, perché non scrivevano e, salvo i casi citati sopra, non attiravano le penne altrui.
(Che poi anche quando scrivevano, come Mary Wollstonecraft – il nome c’entra qualcosa? Immagino c’entri di più Marianna -, finiscono dimenticate per secoli e anche quando vengono tirate fuori finiscono solo sugli scaffali delle librerie delle donne)
Un enigma. La sconosciuta su cui non si scervella mai nessuno, che persino (anzi, soprattutto) quando piange un caduto per la patria è solo un cuore di donna tra i tanti, che deve, dopo la perdita, battere solo nel dolore e nel ricordo. Marie no. La vita di Marie va avanti dopo uno stupro, dopo la nascita di un figlio, dopo la morte dell’amato, dopo il fallimento, dopo la separazione da suo figlio, dopo essere diventata disfatta e rugosa ed essere invecchiata troppo presto, senza l’unica cosa che da dignità a una donna che invecchia: la dedizione totale agli altri.
E, cosa più bella di tutte, sceglie di rivoltare contro i propri nemici l’accusa di essere poco più di una bestia, incapace di fare politica per sé, portatrice di istinti animali da governare, buona solo a sgobbare con gli spilloni da maglia. Lei, quegli spilloni da maglia, li trasforma in artigli […]»
Andrea Strippoli
«[…] Wu Ming pone l’Armata dei Sonnambuli come manifesto definitivo della propria ventennale esperienza letteraria e politica. Annulla una volta e per tutte la diversità ontologica con cui gli storici ufficiali diversificano la rivoluzione borghese dai moti plebei, unificando il conflitto in un unico indistinto momento insurrezionale in cui tutte le parti in causa sono coinvolte consapevolmente e mobilitate in maniera attiva per il raggiungimento dei propri interessi. Per le due ragioni fin qui esposte. La rivoluzione, abbiamo detto, non ha fine, è essa stessa il fine. Una rivoluzione che si definisce compiuta altro non è che un nuovo ordine, con nuove gerarchie e nuove discriminazioni. La Storia, non Wu Ming, ce lo insegna. La plebe, abbiamo detto, non colpisce mai a cazzo. La plebe, abbiamo detto, il suo calcio nei coglioni sa sempre a chi assestarlo. […]»
Tommaso De Lorenzis
«[…] L’Atto quinto opera uno scarto tra uso romanzesco della Storia e non-fiction novel indicando una nuova prospettiva d’intervento. Tra la finzione che scorre nelle pieghe del documento e la fonte utilizzata attraverso tecniche narrative, si fa strada un approccio terzo. Varrebbe la pena verificare quali fonti, nell’Atto quinto, sono davvero documentarie, quali finzionali – benché confezionate nella forma del documento – e quali hanno subito, come nel caso di [Omissis], un “trattamento” immaginativo. L’esperimento richiama – tra le mille altre cose – quello di un mockumentary storiografico, per così dire. Cioè il gestire la finzione attraverso un ricalco dello stile delle fonti. Nella narrativa (anche non romanzesca) italiana contemporanea questo tipo d’intervento non ha ancora acquisito una centralità paragonabile a quella che si è faticosamente guadagnato il non-fiction novel.»
Paul Olden
«[…] L’impressione è che questo sia un gran bel libro, semplicemente. Dico solo “gran bel libro”, focalizzandomi sulla semplicità di questa affermazione: è un romanzo profondo e leggero allo stesso tempo, un libro che ha i numeri per essere oggetto di grandi dibattiti e riflessioni culturali, ma anche tutte le caratteristiche per essere un grande successo di vendite, addirittura raggiungendo il “grande pubblico”, persino – in qualche modo – quello dei non-lettori! In questo vedo la differenza sostanziale con le precedenti opere dei Wu Ming: qui, come sempre, c’è la sostanza, ma c’è anche il divertissement, lo spettacolo-kolossal di qualità, un po’ – insomma – una cosa come forse potrebbe essere Matrix per il cinema di fantascienza, fatta di qualità e divertimento, esagerazione e riflessione, piani di lettura profondi ma non obbligatori… Un prodotto che sembra adattarsi al lettore che lo tiene in mano, lasciandosi leggere (e rileggere) in più e più modalità, tutte lecite. La qualità si potrebbe dire “magnetica” del libro è: “persone diverse leggono ciascuna un’Armata dei Sonnambuli diversa”. […] Il quinto atto io l’ho sentito come se il romanzo me l’avesse contato un cantastorie, o un nonno davanti al fuoco, oppure un vecchio incontrato per caso in una taverna di Montmatre… e io gli chiedo se è tutto vero, se questa gente è davvero esistita, se i personaggi sono storici… e lui dice di sì, e mi racconta il perché e percome. Insomma, non mi fa un elenco delle fonti: me le racconta.»
Saint-Just
«Direi che la scommessa è questa…se si è riusciti a raccontare in modo così efficace e persino mirabile il rapporto giacobini, arrabbiati, hebertisti… ed incredibilmente anche a vincerci sopra uno scommessa commerciale vuol dire che di atti Sesti se ne possono ancora scrivere tanti… La terrificante macchina giacobina continua a lavorare anche in fase di Termidoro.»
FRAMMENTI DI LETTURE MAGNETICHE
«E leggendo queste pagine sulla Rivoluzione par exellence non possiamo fare a meno di pensare ai nostri tempi di crisi, alla criminalizzazione dei movimenti, all’austerity, alla repressione violenta (cronaca di questi giorni) delle occupazioni abitative.
Ma pensiamo anche, senza lagnanze, a quelli che Wu Ming 1 definisce i divenire rivoluzionari; magari non si tratta dell’alba del Sol dell’avvenire, ma di una grande quantità di lotte che in questi anni, nel mondo come in Italia, testimoniano di una tensione rivoluzionaria che non si spegne e che è bene continuare a inseguire, nei libri e nelle strade.»
Da: Radio Sherwood / Global Project, introducendo la videointervista a WM1, Sa.L.E. Docks di Venezia, 16 aprile 2014
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«L’Armata dei Sonnambuli è un romanzo eccezionale: è una miniera di invenzioni stilistiche geniali (la prossima volta che andrò a Parigi mi aspetterò che al mercato si parli il ferrarese), con una cura straordinaria delle immagini (la galleria di nasi nell’incipit, il naso a rostro di Scaramouche contro il naso mozzato che contrassegna i cattivi, per contrappasso), una ricerca e una successiva operazione di cucito delle fonti originali, entrambe da prendere come esempio […] E pure se in fondo racconta la storia di una controrivoluzione, di un’occasione persa, di una colossale sconfitta, il messaggio è inequivocabilmente ottimista: è valsa la pena di fare la rivoluzione, anche se poi ce l’hanno sbattuta nei denti, anche se “troverai sempre qualcuno che dice di no, si tratti del senno di poscia (troppo facile) o del senno dei servi (più facile ancora). Fosse per quelli così, non si farebbe mai una sega. Noi abbiamo provato a costruire la torre, ricordi? La torre che permettesse di sguardare il mondo, e i tiranni del mondo cadere dabbasso.”
Per quanto oggi, ovunque ci si giri, sembra di riconoscere il senno di poscia e il senno dei servi (più facile ancora), dobbiamo ricordarci che le cose cambiano in fretta, e cambiano sempre.»
Da: Avvocato Laser, Viva Scaramouche
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«L’armata dei sonnambuli è un libro che va letto e basta – e poi eviscerato, mandato in infinitudine, a contagiare come mesmerismo tutto e tutte e tutti, in un rovesciamento della “cattiva infinità” di cui fu padre teorico Hegel, uno di quelli che mi sembrano essere espliciti nemici di questa narrazione, il filosofo che vede Napoleone dalla finestra di casa e inventa su quella figurina a cavallo la categoria dell’”uomo cosmico-storico”, ulteriore restaurazione che lotta contro l’eroe, cioè il personaggio principale e ambiguo di cui il racconto della storia non può fare a meno di narrare. Vabbè, sono appunti impressionistici, ma davvero è difficile dire qui perché Marie Noziére si chiama davvero così e cosa c’entrano gli Area e perché D’Amblanc si chiami Orphée e quale inferno scenda a violare per riportare cosa in superficie e fallendo in che modo. Leggete questo romanzo e unitevi al coro di tutti noi, adepti di Scaramouche e del fluido magnetico che, esattamente come accade per il veleno, che in greco fa “phàrmakon”, può essere mortale o salvifico: dipende dalle prospettive e dai modi d’uso e dall’impiego quantitativo di quella qualità.»
Da: Giuseppe Genna, Leggere L’Armata dei Sonnambuli
«La forza di questo libro è quindi completata dal magnifico Atto Quinto: “Come va a finire”. Se già prima in ogni passaggio il lettore può trovarci tante metafore di altri passaggi storici (dalla rivoluzione russa allo stalinismo? la fine della seconda guerra mondiale? il post-anni ‘70 in Italia?), dopo aver letto l’ultimo capitolo del volume ci si può davvero sbizzarrire per partire in una sorta di viaggio nel tempo.
Per quanto riguarda l’intreccio, l’ho trovato appassionante fino alla fine, con un “cedimento” alla letteratura di genere forse più marcato che in altri libri del collettivo […] Personalmente, anche da ex giocatore di ruolo, ne sono rimasto entusiasta e mi sono immaginato possibili varianti e bivi ad ogni passo.
Il libro è intrigante poi per i rimandi “nascosti” ad altri testi, a cominciare da “Manituana“, il volume del collettivo Wu Ming ambientato in America. Le citazioni di brani utilizzati per dialoghi dei personaggi, gli articoli di giornali d’epoca sono tutti stimoli alla curiosità, non del tutto appagata dall’atto quinto del libro.
L’Armata dei Sonnambuli infine parla di Rivoluzione: chi la fa, chi la mantiene, chi la combatte. Ne parla in modo romanzato e complesso, e andando a rimestare nella rivoluzione che ha dato il via alla storia contemporanea, epoca in cui ci troviamo ancora a vivere oggi.
Da: Lorenzo Cassata, 108 – L’Armata dei Sonnambuli
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«Per questo i mesmerizzatori e ipnotisti del libro non curano, ma asservono l’altro. Per questo l’ipnosi e la cura tanto in voga in quegli anni che poi si è evoluta in ipnosi attraverso la propaganda e la psichiatrizzazione, non creano un legame se non di dipendenza. Infondo questo è un libro anche per tutti gli addetti alla psiche, che non devono mai scordare che solo il legame vero e il contatto con il dolore cura, non la volontà onnipotente di farlo. Non a caso Jung parlò di contro transfert e di ferita feritoia dell’analista che solo se si incontra allo stesso livello di quella del paziente, solo in uno stato di uguaglianza, può curare.
Un gran romanzo, ognuno di voi ci leggerà mille sfaccettature, ne ho accennate alcune e vi invito alla lettura che sarà divorante perché tutto scorre, fascinoso come Parigi durante la rivoluzione.»
Da: Barbara Collevecchio, L’Armata dei Sonnambuli, il capolavoro dei Wu Ming
«Il ribaltamento di prospettive è fantastico. Restituisce il punto di vista proletario degli eventi centrali della rivoluzione. Non solo, il tessuto sociale viene reso in tutta la sua complessità, in tutte le sue contraddizioni. Come in tutta la produzione wuminghiana, la rivoluzione è un evento liberatorio, salvifico, ma gli autori non fingono mai di non vedere gli effetti nefasti del dividere il mondo tra buoni e cattivi. Cosa resta di una rivoluzione fatta solo di ghigliottina e di teste mozzate, se il pane dell’uguaglianza è una colla che si attacca ai muri, e il popolo non ha di che mangiare?
Ma si può fare una rivoluzione senza ghigliottina? Si può ottenere una società ideale, in cui tutti possano avere le giuste cure, il giusto trattamento, solo per mezzo del mesmerismo, a patto che si voglia il bene del paziente?
In più le lotte delle donne, per il pane, per i diritti, o per il pane e i diritti.
Sembra un po’ una mistura di Q, per il fervore rivoluzionario, il fallimento del sogno rivoluzionario, e ciò che resta oltre questo fallimento, e di 54, per la complessità dell’intreccio e le storie di diversi personaggi che partono da lontano per poi confluire magistralmente. E se possibile, con ancora maggior sapienza: il controllo sulla narrazione è totale, la portata dei temi vastissima…»
Giulio Fatti, dal gruppo “Wu Ming” su Anobii
«Il paradigmatico precipitare degli eventi, delle speranze e delle conquiste eccita e deprime gli animi di chi ancora oggi vuole azzardarsi a credere nella disposizione dell’uomo a tendere al progresso, a costruirsi futuri migliori. La forza dell’Armata dei sonnambuli, composto da una pluralità di lingue e di voci dal timbro pressoché impeccabile, lingue che spesso si spingono al limite con risultati davvero eloquenti e godibili, sta proprio nella sua capacità di raccontare fatti avvincenti e, dietro o sotto di loro, sommovimenti ideali e culturali. È il marchio di fabbrica dei Wu Ming, d’altronde, ma stavolta la posta era altissima, perché grossomodo veniamo tutti da lì, dalla Parigi di quegli anni, da quelle vittorie e soprattutto da quelle sconfitte, e allora ancor più alto è il loro merito di essere riusciti in quest’ambizioso proposito.»
Da: Giovanni Dozzini, Wu Ming, la rivoluzione francese come non l’ha mai raccontata nessuno
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«Di libro in libro, i Wu Ming hanno messo a punto una formula magica che è facile imitare e difficilissimo eguagliare. Lavorano con cura meticolosa sulla realtà storica, ma riescono a farla parlare con altrettanta precisione del presente: questa vicenda di rivoluzione e controrivoluzione, cosa ben diversa dalla mera restaurazione, è una parabola che abbiamo vissuto anche noi, nell’Italia degli ultimi decenni. Procedono lungo i binari di una narrativa epico-popolare, che guarda a Dumas più che a Ken Follett, ma allo stesso tempo lavorano sul linguaggio con passione sperimentale degna della più sofisticata avanguardia. Di romanzo in romanzo, i Wu Ming perseguono un progetto che è tanto letterario quanto politico, spostare i riflettori sui dimenticati della storia, le insorgenze cancellate e oscurate dai vincitori perché se ne perdesse anche la memoria: i contadini d’Europa infiammati e poi traditi dalla Riforma in Q, i partigiani disarmati e non domati del dopoguerra italiano in Asce di guerra, le tribù guerriere e destinate allo sterminio nell’America di Manituana, le rivoluzionarie e i sanculotti di Parigi in quest’ultimo romanzo. Sono storie di sconfitte che invece di scoraggiare accendono speranze e restituiscono fiducia. Dicono che, comunque sia finita, è valsa ogni volta la pena di lacerare, anche solo per un momento, l’ordine eterno delle cose.»
Da: Andrea Colombo, Wu Ming, storie di sconfitti all’ombra del Terrore
«Wu Ming ci racconta esattamente questo tornante storico, e lo fa servendosi delle vicende di particolari personaggi, che attraverso le proprie storie ci restituissero la percezione della Storia, quella con la s maiuscola. Un racconto in medias res, nel vortice degli accadimenti, nel momento più alto della Rivoluzione e un attimo prima che questa imploda su se stessa. Quel vortice dove le forze della rivoluzione e della reazione si giocano loro la partita storica. Nel costruire tale impostazione, non è possibile non riconoscere il debito inevitabile con l’opera di Victor Hugo, 1793, probabilmente il miglior romanzo sulla Rivoluzione (di tutte le rivoluzioni). Il metodo utilizzato infatti è lo stesso. Impossibile dare un riscontro oggettivo degli eventi, come se questi costituissero un blocco omogeneo in marcia. Ogni avvenimento epocale si porta dietro tante vicende personali quanti sono gli essere umani coinvolti in quegli eventi. E se c’è un insegnamento che Wu Ming ci impone da anni, è quello di non sacrificare mai sugli altari delle ragioni della Storia le vicende dei singoli individui che la determinano. Soprattutto se questi individui fanno parte di quel mondo di sfruttati che la Storia dovrebbe farsi carico di emancipare. Dunque un ventaglio di voci, ognuna capace di descrivere un pezzo di Rivoluzione.»
Da: Collettivo Militant, L’Armata dei Sonnambuli
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«I personaggi sono magistralmente costruiti, come sempre per i Wu Ming. Quattro protagonisti della storia minore – che non passa alla Storia ma che forse la Storia l’hanno cambiata – di estrazione differente che parlano, pensano, agiscono in modo diverso. Tre i personaggi positivi che combattono il cattivo, l’unico nemico comune, che poi sarà anche il nemico della Francia repubblicana e che alla fine vincono …. Forse.
I luoghi della narrazione, innumerevoli. I vicoli di Parigi, i palazzi del potere, l’Alvernia, sperduta provincia francese reazionaria e refrattaria, Bicetre e le sue stanze ricolme di matti e “disturbati”.
Il tempo della narrazione contenuto: due anni che però nella storia dell’umanità hanno avuto il peso dei secoli.
Romanzo corale, in cui tutti hanno una voce, sia personaggi positivi che negativi. La struttura è costruita tra narrazione e citazione di documenti dell’epoca. Ai capitoli narrativi si affiancano capitoli di largo respiro, meravigliosi come “ Marea” dove il flusso storico sembra inarrestabile e gli eventi inevitabili anticipazioni di una morte annunciata (Gabo che ci guarda dalla sua Macondo, non me ne voglia!).»
Da: Tatiana Larina, L’Armata dei Sonnambuli
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«Il modo di agire di questo “antagonista” è certamente la parte più evocativa ed inquietante del personaggio: un potere capace di controllare a distanza e rendere insensibili decine o centinaia di individui non può non ricordare metodi di comunicazione e controllo ben più moderni, così come la sua rappresentazione della rivoluzione nel manicomio di Bicetre ricorda la distanza tra i fatti e la loro rappresentazione mediatica, specialmente quando si parla di rivolte e movimenti. Abbiamo detto che è difficile, se non sbagliato, fare parallelismi tra il libro e l’oggi, ma certamente c’è molto del mondo dei mass media moderni, nel modo in cui è tratteggiata questa figura.
Non è un caso che per la sua sconfitta sia necessaria l’unione di tutti i protagonisti, e di ciò che rappresentano: la violenza vedicativa a volto coperto e la teatralità di Scaramouche/Modonnet, l’egualitarismo e la ricerca del Bene di Damblanc, Marie Nozière con la sua coscienza piena di dubbi e, visti i tempi, col suo essere donna, infine Treignac e il suo tentativo di mantenere quell’ossimoro che è l’ordine rivoluzionario.»
Da: Andrea Parapini, L’Armata dei Sonnambuli: tra storie e Storia
ALTRI LINK
Videointervista a Wu Ming 2 su fanpage.it: “Siamo arrivati a un punto di svolta”
L’occhio di un illusionista su L’ADS: “D’Amblanc ricordò di aver conosciuto, oltreoceano, un fante di linea americano che era in grado di addormentare le galline compiendo davanti ai loro occhi delle circonvoluzioni con il dito indice.” (p. 139)
Una tecnica che ha una lunga storia – da padre Athanasius Kircher (1602-1680) in avanti. Ecco il mio breve studio sull’ipno-pollo:
http://www.marianotomatis.it/blog.php?post=blog/20140504
E comunque, attenti a non portare in scena “un animale completamente incretinito.”
Un pollo viene ipnotizzato anche in “Fuga sul Kenya” di Felice Benuzzi, da un prigioniero di guerra italiano, per truffare un contadino gikuyu.
Grande ipnotizzatore di galline (col metodo della linea tirata col gessetto) è stato anche Herzog in un paio di film. Io non ci ho mai provato ma credo che adesso che sono in stagione di cova (e la cova è una sorta di trance, di dormiveglia) non sia tanto difficile. I film con le galline (e nel secondo caso anche gli attori) ipnotizzati sono – se non erro – “Anche i nani hanno cominciato da piccoli” e “Cuore di vetro”. Posso però sbagliarmi perché vado a memoria. “Cuore di vetro” l’ho “visto” in un cinema di Buenos Aires, la sala del Centro culturale San Martin. La mia compagna, ingrata, ingustamenta dice che mi sono addormentato durante la visione di “Cuore di vetro”. In realtà credo che sono entrato in una sorta di veglia di tipo sonnambolico, che è la fruizione migliore di un film del genere. Ricordo forni e cascate di vetro simili a piccoli altoforni e una sensazione piacevole di sonno quasi intrauterino. Per un materialista come me è stato molto particolare.
Non so se ci sia qualche affinità oppure no, in ogni caso mio nonno quando viveva in Libia mi raccontava che diverse volte aveva visto i libici disegnare con un gesso per terra o semplicemente con un dito nella sabbia un cerchio intorno ad uno scorpione. E lo scorpione non usciva mai dal cerchio, alcuni scorpioni si suicidavano (da quel che ne so, gli scorpioni si uccidono con il pungiglione se sono intrappolati), altri invece si avvicinavano al cerchio ma non lo attraversavano mai, almeno finchè qualcuno non spezzava la linea.
Per anni mi sono chiesto quanta verità ci fosse in queste storie e quanto fosse dovuto ad un nonno che vuole impressionare un bambino, perchè non riuscivo a capire come potesse un cerchio bloccare uno scorpione.
Adesso, forse, ho una risposta, grazie anche per questo
A me la cosa del pollo ha fatto venire in mente “Mike the headless chicken”, il pollo che visse senza testa.
http://it.wikipedia.org/wiki/Mike_il_pollo_senza_testa
… anche lui , forse, un simbolo di sonnambulismo. Quanti sono oggi gli Headless Chicken tra la gente (altrimenti detta “Consumatori, target ecc.)?
Oh, però anche citare frasi intere del romanzo e pure il numero di pagina… Insomma, anche il pollo è [Spoiler]! O gli animali da cortile sono esentati, eh? Eh?! ;-p
Carissimi,
oltre a rivolgerVi i miei più vividi complimenti per il libro (mi ha dato tante emozioni) volevo complimentarmi con voi per la figura di D’Amblanc. Dato che sono uno studente di psicoterapia l’ho sentito molto vicino e tutta la parte del libro che riguarda il tema “relazione medico-paziente” l’ho trovata fatta molto bene sia dal punto di vista scientifico (l’ipnosi come fenomeno non magico ma relazionale) che narrativo. Il discorso che fa Pinel a Laplace quando si conoscono (quello sui 3 Marat) è la quintessenza della mia professione, secondo me, almeno il concetto che conoscere i desideri altrui non è una cosa facile da capire, conoscere e che quindi è importante chiedere al paziente prima di decidere noi terapeuti cosa è giusto o sbagliato… Volevo sapere come vi eravate documentati sul mesmerismo (o se nel vostro gruppo c’è uno che ha studiato psicologia o affini) se potete e volete dire qualcosa su questo.
In ogni modo il libro mi ha fatto impazzire per la ricchezza di idee, modi di vedere il mondo, trame differenti, personaggi ed emozioni; lo spirito della Rivoluzione che permea i personaggi della plebe è semplicemente magnifico e coinvolgente (Marie è per me il personaggio più riuscito: la vera rivoluzionaria proletaria!). Ancora i più vivicomplimenti e…rivoluzione sempre!
Il mesmerismo ce lo ha fatto scoprire lo storico americano Robert Darnton, grazie al suo saggio “Il mesmerismo e il tramonto dei Lumi”, Medusa Edizioni, 2005. Da lì sono partite tutte le nostre ricerche su quel filone. Nessuno di noi ha studiato psicologia o affini. tutto quello che posso dirti è che avendo attraversato diverse esperienze politiche, nel corso degli anni ci è capitato di avere a che fare con il disagio “in tempi di rivolta”.
Marie è in effetti uno dei personaggi su cui ci siamo sbattuti di più, perché aveva bisogno di essere cesellato a partire da un’alterità rispetto alla nostra condizione maschile. Non è stato facile, ma alla fine anche noi siamo contenti del risultato.