#QuintoTipo. Una collana diretta da Wu Ming 1 per le Edizioni Alegre

Copertina di Diario di zona

Il primo titolo di Quinto Tipo. Progetto grafico di Alessio Melandri. Clicca per aprire la copertina completa (fronte, retro, alette). Pdf.

Quinto Tipo è una nuova collana delle Edizioni Alegre e al tempo stesso un nuovo progetto della Wu Ming Foundation.

Che cos’è la Wu Ming Foundation?

A lungo «Wu Ming Foundation» è stato solo un nome: quello del nostro sito e quello esteso del nostro collettivo. Ma sin dall’inizio del nostro percorso, la nostra prospettiva era di farne un network che andasse oltre noi quattro/cinque.
Oggi questo network esiste, una costellazione che tiene insieme diversi ambiti e progetti:
Giap, che da tempo è qualcosa di più di un blog;
le comunità giapster, le mailing list e i gruppi di lavoro nati da discussioni svoltesi qui sopra (se ne parla qui, e intanto continuano a formarsene, il primissimo fu il gruppo di “lettori volontari” noto come iQuindici, quando Giap era ancora una newsletter);
i laboratori di smontaggio delle narrazioni tossiche che abbiamo chiamato Wu Ming Lab e stiamo tenendo in tutta Italia;
la punk-rock band Wu Ming Contingent;
i vari collettivi musicali dei quali fanno parte membri del collettivo Wu Ming e che portano in tour per l’Italia i reading/concerti elencati nella colonna destra di questo blog (Cvasi Ming, Funambolique/WM1, Contradamerla/WM2, FridaX/WM2, il Razza Partigiana combo);
l’associazione sovversiva a fini escursionistici Alpinismo Molotov;

E adesso, Quinto Tipo.

Quinto Tipo è una collana diretta da Wu Ming 1.

Il 19 novembre arriverà in libreria il primo titolo, Diario di zona di Luigi Chiarella, noto qui su Giap e su Twitter con il nickname «Yamunin».

Il secondo titolo uscirà il 3 dicembre. Si tratta della nuova edizione de Il derby del bambino morto di Valerio Marchi, con premessa di WM5 e aggiornamento di Claudio Dionesalvi.

È possibile abbonarsi ai primi quattro titoli della collana. L’abbonamento costa 45 euro, quindi lo sconto è superiore al 30%. Puoi pagare con PayPal…


…oppure puoi farlo tramite bonifico bancario a questo Iban: IT68I0569603215000003459X60, o fare un versamento con bollettino postale sul ccp n. 6538238 (con oggetto “Abbonamento Quinto Tipo”), entrambi intestati a Edizioni Alegre soc. cooperativa giornalistica, Circonvallazione Casilina 72/74 00176 Roma.

Ovviamente, dal sito di Alegre è possibile comprare, senza abbonamento ma comunque con il 15% di sconto, ciascuno dei libri della collana.

Ecco il “trailer” di Quinto Tipo e, di seguito, la presentazione della collana scritta da WM1, stampata nella parte interna della copertina dei primi tre libri.

QUINTO TIPO

Del «quinto tipo», in ufologia, sono gli incontri ravvicinati dove avviene una comunicazione diretta, bidirezionale e collaborativa fra terrestri e intelligenze aliene, in seguito a una consapevole iniziativa da parte terrestre. Se cerchi un oggetto volante non-identificato, lo avvisti, gli mandi un segnale, ottieni una risposta e si stabilisce un contatto, siamo già nel quinto tipo.

Il quinto tipo non è previsto dalla «Scala di Hynek», che arriva solo al terzo. L’etichetta è entrata in uso più di recente e non tutti gli ufologi sono d’accordo sulla sua necessità, ma a noi che importa? Mica siamo ufologi.

Il «quinto tipo» ci piace come metafora. Noi vorremmo cercare e avvistare oggetti narrativi non-identificati, mandare segnali, stabilire un contatto con le intelligenze aliene al mainstream che li hanno prodotti, e se possibile cooperare per pubblicarli.

Non ci interessano gli UFO (o magari sì, dipende), ma gli UNO. Unidentified Narrative Objects.

Cosa sono gli «oggetti narrativi non-identificati»? C’è bisogno di un’espressione del genere?

Non più di quanto vi sia bisogno di «incontri ravvicinati del quinto tipo». Ma ancora: che ce ne frega a noi? Usiamo le metafore che ci pare, e quando non ci parrà più, passeremo ad altre. Per il momento, questa ci serve ancora. Soprattutto, per dare il nome alla collana.

Ma non abbiamo risposto alla prima domanda: cosa sono gli oggetti narrativi non-identificati?

Se lo sapessimo, non li chiameremmo «non-identificati».
Eppure tentativi di identificarli ce ne sono stati tanti…

«Non-fiction novel».
«Creative non-fiction».
«Reportage narrativo».
«Faction».
«Docufiction».
«Docudrama».
«Mockumentary».
È solo un piccolo campione di locuzioni – alcune ormai «storiche», altre più recenti – usate per indicare narrazioni ibride, nate in una «terra di nessuno» tra i reticolati dei generi, dei macrogeneri e delle tipologie testuali. Terra di nessuno che attraversa tutto il mondo ed è frequentata da sempre più autori – scrittori, registi, videomaker, ma anche giornalisti, storici, antropologi etc. – che vogliono raccontare le loro storie con ogni mezzo necessario.

Se la «contaminazione tra i generi» è ormai faccenda pleonastica, ovvia e realizzata in partenza anche nel più piatto mainstream (in parole povere: anche Dan Brown «contamina i generi»), la distruzione delle cornici, premessa all’ibridazione delle tipologie testuali – saggio/romanzo, guida turistica/inchiesta militante, biografia/mappa, reportage/videogame and so on – può ancora avere effetti perturbanti. La collisione tra le più disparate tecniche e retoriche usate in diversi tipi di testo (narrativi, poetici, espositivi, argomentativi, descrittivi) sprigiona una grande potenza. Potenza che investe da direzioni inattese i temi affrontati e – grazie a numerosi slittamenti negli approcci e nei punti di vista – incoraggia la (ri)scoperta di un mondo

Non è un caso se buona parte dei libri che hanno fatto discutere negli ultimi anni vengono da quella terra di nessuno, dalla quale hanno preso le mosse seguendo ciascuno la propria peculiare traiettoria. Il «gradiente» di ibridazione è variabile: si va da Maximum City di Suketu Mehta a Nell’aria sottile e Nelle terre estreme di Jon Kracauer, da Limonov di Emuanuel Carrère a HHhH di Laurent Binet fino a Z. La guerra dei Narcos di Diego Enrique Osorno. E quanti titoli (anche letterariamente) sorprendenti sono usciti nel calderone della «varia»? Open di André Agassi, per dirne uno. Il mondo senza di noi di Alan Weisman, per dirne un altro. In Italia si va da Gomorra di Roberto Saviano ad Amianto di Alberto Prunetti, da L’aspra stagione di De Lorenzis e Favale all’inchiesta-memoriale-romanzo I buoni di Luca Rastello, già autore – con Andrea De Benedetti – di Binario morto, travelogue/inchiesta sull’alta velocità ferroviaria.

Quel che che accadde in Italia vent’anni fa con la riscoperta della letteratura «di genere» (spinta propulsiva oggi in larga parte esaurita, si vedano il sempre più decotto «noir all’italiana» e le condizioni pietose in cui versa il romanzo storico), oggi potrebbe accadere con gli «oggetti narrativi non-identificati».

Una tradizione è qualcosa che si sceglie, in primis una tradizione rivoluzionaria, e va rivendicato il carattere distintamente italiano di questa «non-fiction creativa». La storia della letteratura italiana è in larga parte una storia di non-fiction scritta con tecniche letterarie, o di ibridazione tra fiction e non-fiction. Molti dei «classici» nostrani non sono romanzi, ma memoriali, trattati, autobiografie, investigazioni storiche, elzeviri impazziti, miscele dei più svariati elementi: la Vita nova, Il Principe, la Vita dell’Alfieri, lo Zibaldone di pensieri, la Storia della Colonna Infame, Se questo è un uomo, Un anno sull’altipiano, Cristo si è fermato a Eboli, Kaputt, La pelle, Il mondo dei vinti, Esperienze pastorali, Scritti corsari, La scomparsa di Majorana, L’affaire Moro… Se la «non-fiction creativa» di oggi può essere percepita come più perturbante e azzardata, è perché le opere appena elencate sono da tempo nel canone. All’epoca in cui furono scritte erano azzardate anch’esse, e comunque inetichettabili.

Da anni, insieme ai miei compagni nel collettivo Wu Ming o lungo tragitti più personali, mi interrogo sull’attitudine e le tecniche necessarie per produrre narrazioni ad alto o altissimo gradiente di ibridazione.

La chiave è proprio nel motto «con ogni mezzo necessario». «Necessario» esclude «superfluo» e «fine a se stesso». Necessario è ogni mezzo che consenta alla narrazione di rimanere tale, senza sbordare e diventare un mero cut-up o una poltiglia di sintagmi. L’ibridazione dev’essere al servizio della storia che si vuole raccontare, deve porsi come obiettivi l’efficacia, l’empatia, la condivisione, e illuminare l’esemplarità di una o più vicende umane.

Ho sperimentato intensamente nella terra di nessuno. Al momento, il risultato più avanzato di questo sperimentare è il libro Point Lenana, che ho scritto insieme a Roberto Santachiara. Un lavoro di anni, durante i quali abbiamo dovuto risolvere problemi di vario tipo, a volte veri e propri rompicapi: questioni di etica del raccontare, di montaggio, di stile, di registro, di chiarezza. Per risolverli, ho guardato a chi ne aveva risolti di simili prima di me. Sono «andato a scuola» dagli autori del New Journalism americano, dai documentaristi, dai romanzieri letti nel corso degli anni, dagli storici più apprezzati per la loro chiarezza.

Sono uscito da quel lavoro con qualche idea sull’arsenale di prassi e tecniche che si possono usare, con alcuni spunti sul rapporto tra ibridazione e «infinitezza dell’archivio» nell’epoca della rete e dei cosiddetti Big Data, e soprattutto con un’accresciuta voglia di gettare ponti, stabilire contatti, tagliare reticolati per far entrare nuovi singoli e gruppi nella terra di nessuno.

Copertina de Il derby del bambino morto

Il secondo titolo di Quinto Tipo. In libreria dal 3 dicembre. Clicca per aprire la copertina completa (pdf).

La proposta di Alegre – la «direzione» di una collana, che messa così è altisonante ma si tratta di proporre libri e seguirne la pubblicazione – è venuta dopo alcune mie consulenze editoriali, una delle quali ha portato alla seconda edizione aggiornata e ulteriormente ibridata di Amianto di Prunetti. Si tratta di proseguire con piglio più deciso in quella direzione, con una continuità di esplorazione e di approccio.

Una delle linee-guida sarà: di tutto tranne i romanzi. Nel senso dei – come vogliamo chiamarli? – «romanzi-romanzi».

Figurarsi se posso avere qualcosa contro i romanzi, dopo mezza vita passata a scriverli. E mi guardo bene dal riproporre l’insensata lagna sulla «morte del romanzo»! Alla larga! No, il punto è un altro: i romanzi-romanzi hanno già tanti canali e tanti sbocchi editoriali possibili. Qui vorremmo concentrarci su altro.

Dopodiché, quello del romanzo è un canone inclusivo, addirittura fagocitante. L’UNO di oggi potrà essere chiamato «romanzo» domani. Ma domani, appunto.

Oggi cerchiamo oggetti alieni.

Perché la definizione può non piacere, e può darsi non fosse strettamente necessaria, ma ne sono convinto: gli «incontri ravvicinati del quinto tipo» sono possibili.

Wu Ming 1, ottobre 2014

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17 commenti su “#QuintoTipo. Una collana diretta da Wu Ming 1 per le Edizioni Alegre

  1. Informazioni che forse non vedo io o magari non date perché ritenute ovvie: si tratta di abbonamento con spedizione a casa? Nel caso di bonifico, dobbiamo mettere l’indirizzo nella causale? Grazie

    • Non date perché ritenute ovvie :-)
      Sì, se ti abboni ti arrivano i libri a casa. Per la causale del bonifico puoi usare “Abbonamento Quinto Tipo”. E grazie!

  2. Mi è sempre molto difficile scrivere di libri, e non lo faccio quasi mai. Quando poi sono libri di persone che conosco, tanto più di amici come in questo caso, è ancora più dura (non saprei ben spiegare perché). Poi io il libro ancora non l’ho letto, ho letto il diario di zona nel suo farsi sulle pagine del blog di Roberta che lo ospitava. Quindi ma che diamine sto scrivendo?! Non lo so, ma ho qualcosa che devo dire e lo dirò per quanto sconnesso, sento un’urgenza che vince su molte resistenze.

    Cosa fa di Diario di zona un UNO, un oggetto narrativo non identificato, un UFO, un alieno? Perché è necessario? Se fosse un semplice diario non credo sarebbe tutte queste cose. Ma è un diario di zona, e nel dirlo mi sembra un genere a sé che già quasi si identifica da solo. Luigi è operaio letturista di questa zona e ne tiene un diario, non un diario di sé. Nel leggere quelle pagine provavo una strana sensazione: avevo davanti a me qualcosa di molto diverso dal semplice resoconto di un’esperienza reale o di una storia immaginata. Mi sembrava di stare dentro una mappa, non di osservarla da fuori, ma di starci dentro come in certi videogames (mi perdonerete il paragone improprio) in cui oltre a seguire la storia, affrontare i nemici/mostri, è possibile girovagare ed esplorare e interagire liberamente con quella realtà che nei videogames è virtuale (a differenza di quella del Diario).
    Questo non accade perché Luigi è didascalico nel descrivere gli spazi e le persone che attraversa: non lo è minimamente, anzi tecnicamente parla proprio di ciò che fa, di chi incontra, di ciò che vede e sente in prima persona. Eppure il suo sguardo sull’ambiente e sulle sue stesse azioni mi ha sempre gettato immediatamente, senza alcuna difficoltà, in quella sensazione di trovarmi in una mappa che si lascia esplorare da dentro. Non ho ancora le parole precise per spiegarmi perché questo accada. È lo sguardo di Luigi sulle cose, il suo mettersi da parte anche parlando di sé. Non ho mai avuto la sensazione di avere a che fare con un Personaggio, ed è ben strano, visto che quel personaggio lo conoscerei pure realmente.

    Alla fine della lettura di quelle pagine che ora sono un libro la sensazione è simile alla riemersione da un sogno lucido in cui è stato possibile acquisire dettagli e abilità di interazione, simile alla ricezione di un dispaccio importante che pure non ci consegna nessun ordine preciso e nessuna istruzione, dal fronte di una guerra immaginaria e senza confini e allo stesso tempo molto reale e concreta e urgente.

    Grazie Luigi operaio letturista geografo di questi anni 10, e grazie a Wu Ming 1 per l’impegno nel curare e diffondere questo importante dispaccio.

  3. Alla fine è successo quello che speravamo fino dalle prime puntate uscite sul web: Diario di Zona è un libro. Sono felice, e Luigi lo sa.
    In più c’è la sorpresa di una collana nuova che si annuncia estremamente stimolante, come tutto ciò che accade a cavallo dei confini in ogni ambito del sapere e della “vita reale”.

    La copertina del Diario è bel-lis-si-ma. Il contenuto in teoria lo so già tutto, ma sono sicuro che lo rileggerò da cima a fondo, perché su carta è un’altra cosa, arriva in modo diverso, non so che farci.
    Passerò parecchie copie alle persone care che ho qui in città, perché il Diario mostra una Torino inedita e imprescindibile, alla quale probabilmente affezionarsi più che a quella estetica e rigorosamente, acriticamente sabauda (manco la sabauditudine fosse un vanto) esposta dalle olimpiadi in poi nelle vetrine delle agenzie turistiche italiane e estere. Quest’ultima riguarda chi ci vive fino a un certo punto (fino al punto della passeggiata in centro serale o domenicale, o della puntata alla Venaria o alla retrospettiva fotografica mescolati ai turisti), l’altra è la bagna nella quale noi che abitiamo qui siamo pucciati dentro fino alle ascelle, anche se cerchiamo di non accorgercene. Il Diario è una sveglia potente in questo senso.

    Ho una speranza, nata già durante la lettura sul web: Luigi è un attore teatrale, il testo si presta a essere messo in scena, letto o non immagino in quali altri modi, probabilmente integrandolo con musicisti. Sarebbe bello scoprirgli una strada sua, un modo nuovo, diverso (ma complementare) rispetto a quanto stanno già facendo magistralmente le varie formazioni e commistioni da palco dei Wu Ming.
    Io ci spero.

    Grazie!

  4. Sin dall’inizio, dall’apparizione sul blog, si è chiamato ‘Diario di zona’ ma più che come un diario (pure se lo è) io lo vedo come un album. Una serie di istantanee raccontate anzichè mostrate, di luoghi e personaggi e momenti che, messi insieme, danno una prospettiva dal basso (come le cantine in cui spesso sono i contatori) inusuale e giustamente ruvida di Torino.
    Sul blog avevo letto, ma non tutto, il libro è l’occasione di recuperare le parti che mi ero perso.

    Piccolo suggerimento per Luigi, l’approccio teatrale di cui parla il vecio, prima che per uno spettacolo vero e proprio potrebbe essere adottato per le presentazioni.
    In bocca al lupo al libro, e a tutta la collana.

  5. Bene, anzi benissimo. Due belle notizie: la prima giunge non del tutto inaspettata, anzi il fatto che Alegre a inizio anno avesse pubblicizzato l’uscita di una nuova collana con la consulenza di WM1 era stato la molla che mi aveva spinto a sottoscrivere l’abbonamento 10×10 Letteraria. Non si parlava ancora di #QuintoTipo, questa sì una bella sorpresa, ma Browne, Prunetti reloaded, Saracino più la possibilità di leggere NrL 9/10 era stata una spinta più che sufficiente; la seconda è che Alegre ha annunciato sul sito che chi ha sottoscritto tale abbonamento si vedrà recapitati a casa i primi due #QuintoTipo, Yamunin e Marchi, e allora andiamo :D
    Sono contento per il Chiarella, sul tuider ho più volte letto scambi in cui gli chiedevano se e quando il Diario di zona sarebbe diventato un libro, è bello che sia diventato finalmente realtà. Anch’io come il Vecio e gli altri qui sopra ho seguito il diario dipanarsi su Satyrikon nei suoi due anni di pubblicazione e l’ho molto apprezzato: credo che la trasposizione su carta lo renderà ancora più interessante e lo arricchirà, come successo con Amianto con l’aggiunta del triello, oltre ad aprirlo ad un pubblico diverso e mi auguro molto più ampio di chi ha già avuto la fortuna di goderselo sulla rete.
    Infine, il pRogetto gRafico è davveRo tanta Roba.
    In bocca al lupo a tutt*, i segnali sono stati inviati: la notizia più bella è che gli alieni vivono e lottano insieme a noi.

  6. Mi sembra molto interessante la lista di “classici” italiani che si muovono nell’orbita degli UNO. Anche se è stato scritto in francese, credo che sia un UNO di grande rilievo, impastando memoriale, romanzo e autobiografia, anche la “Storia della mia fuga dai Piombi” di Giacomo Casanova.

  7. Rientrare col #Diariodizona in#Quintotipo è Molotov.
    Innanzitutto grazie per la bella accoglienza.
    Finalmente ho un po’ di tempo per scrivere. Ho letto durante la giornata i vostri interventi ma un po’ di impegni familiari non mi hanno permesso di prendere una pausa per rispondere.

    Ho un debito di gratitudine nei confronti di Giap, dei giapster e (ça va sans dire) del collettivo Wu Ming: non vi avessi incontrati, molto probabilmente il “Diario di zona” non sarebbe stato scritto. Ora il libro è stampato e sta per imboccare il suo sentiero, ciò che mi resta ora da fare è semplicemente fare del mio meglio affinché il suo viaggio sia lungo e possa così aiutare chi avrà tempo e voglia di leggerlo a tracciare una propria mappa del territorio in cui vive.

    Un po’ di cose:
    Il Diario in versione cartacea è diverso dalla versione che ho pubblicato su Satyrikon: alcune parti sono state riscritte, altre sono rimaste inalterate e tanto altro di inedito è stato aggiunto. Nei giorni scorsi ho anche trovato un quaderno con alcune pagine di appunti che non ho usato, niente di imprescindibile, ma qualcosa – per fortuna – sfugge sempre. Il libro ora ha 320 pagine, non credevo potesse essere cresciuto fino a questo punto. La fase di riscrittura è stata come ripercorrere un sentiero che si è già percorso, su cui stanno ancora visibili le proprie tracce degli scarponi e, mentre si sta camminando, essere combattuti tra il voler cambiare passo e ritmo e il voler poggiare lo scarpone sull’impronta rimasta impressa sul terreno, senza provare a spostarsi neppure di un millimetro. A volte ho scelto la prima opzione a volte la seconda.

    Grazie a Diserzione ho riflettuto su una cosa: in fase di scrittura sapevo che il mio punto di vista non poteva che essere uno dei tanti. Per niente privilegiato quindi ma, questo sì, con una responsabilità: provare a narrare ciò che accade per strada al posto di chi non può/riesce.
    Anni fa, dopo uno spettacolo, un maestro del teatro che ho avuto la fortuna di incontrare mi disse che dovevo imparare a assentarmi pur restando in scena.
    Il teatro è il territorio in cui ho imparato a lavorare e a mettere in pratica alcuni principi, che poi ho utilizzato sia nel lavoro di letturista che nella scrittura.
    Può quindi il Diario diventare uno spettacolo? Non ne sono sicuro, forse sì. Non so. Sicuramente dovrebbe subire qualche cambiamento, dovrebbe diventare una scrittura di scena. Vedremo.
    Di sicuro potrò legge qualcosa durante le presentazioni, certo che sì. Magari qualcosa che non è rientrato nel libro :-).
    Intanto “l’ipotesi è: un fronte popolare cosmico”.

  8. Grazie per la ri-pubblicazione dell’ultimo libro di Valerio, forse il più ostico sia come forma che come contenuti, ma anche il più lucido nel delineare gli scenari futuri dello scontro di classe

  9. Bello! Non ho ancora letto point lenana perché ho dato la precedenza all’armata… però l’intro di wm1 è un bell’invito!
    Mi viene da pensare che c’è anche un’altra cosa che può essere considerata un “ufo” in Italia: i racconti brevi. Si perché mi dicono che nel nostro paese i racconti brevi e le relative raccolte e antologie non vendono una copia se non sono di autori famosi.
    E pensare che ci sono scrittori che con il racconto breve hanno costruito universi… Dick, Matheson, Poe, Lovecraft.
    Ad ogni modo a me il racconto breve piace anche se qui non vende, a tal proposito segnalo il sito del mio gruppo di scrittori http://www.scrittorisopravvissuti.it (vabbè un po’ di autopromozione… non mi bannate please) hai visto mai che fra un ufo e l’altro…

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