[Prosegue l’inchiesta di Giap sull’uso politico di querele e cause civili. Stavolta Luca Casarotti si occupa dell’ultima mossa di don Inzoli, uno dei potenti del mondo CL, per quindici anni presidente del Banco Alimentare, condannato dalla stessa Chiesa cattolica per abusi su minori.
Siamo stati tra i primissimi (e pochissimi) a occuparci della vicenda fuori da Crema, dove la notizia è rimasta a lungo confinata. Sono dovuti trascorrere sette mesi dal nostro post perché il suo nome apparisse nei media nazionali, dopo la sua imbarazzante comparsata a un convegno omofobo, occasione che ha radunato in una sola sala milanese il jet set catto-camerata-leghista lombardo.
Chiariamo un punto: noi abbiamo denunciato per anni – erano i tempi del Luther Blissett Project – gli abusi giornalistici e giudiziari generati dall’isteria di massa sulla pedofilia. Abbiamo fatto contrinformazione, ci siamo occupati di persecuzioni mediatiche, ingiuste detenzioni, condanne frettolose. La pece e le piume non sono dunque parte del nostro percorso. Il giudice, lo sbirro, il giustiziere che agita un cappio, l’indignato in zona Cesarini… Sono ruoli che lasciamo volentieri ad altri. Il punto era ed è un altro: abbiamo iniziato a seguire il caso perché i media nazionali, in piena concordia multipartisan, lo hanno fin da subito sepolto nel silenzio. Per lunghi mesi nessun grande mezzo di informazione ha dato la notizia – piuttosto rilevante per la vita pubblica! – che un boss ciellino, capo carismatico di un ente caritatevole di quelli che tutti hanno l’istinto di difendere, era stato riconosciuto dalla chiesa stessa colpevole di gravi abusi.
L’impressione, davvero forte, è che Inzoli sia stato tutelato dai media, e con impressionante serratezza di ranghi. Caso più unico che raro, in circostanze del genere. Chiunque altro – magari innocente – lo avrebbero spolpato vivo, lui invece restava innominato, persino nei giorni in cui le pagine si riempivano di chiacchiere sui preti pedofili.
Tutto ciò emanava cattivo odore, forse di «larghe intese», chissà… e a dire il vero lo emana ancora. Sì, perché dopo l’affaire del convegno milanese, tutti hanno parlato di Inzoli, ma descrivendolo perlopiù come un pretonzolo qualsiasi. Pochi hanno ricordato le sue cariche, i suoi incarichi nel braccio economico di CL, le sue amicizie ai vertici del mondo politico e nel cuore del capitalismo italiano.
Matteo Pucciarelli ha perforato quel velo, soprattutto nell’intervista al parlamentare di SEL Franco Bordo. Intervista che, come state per leggere, a Inzoli ha dato molto fastidio. Buona lettura – WM]
di Luca Casarotti
Nei giorni scorsi Matteo Pucciarelli, cronista di Repubblica reo di aver scritto due articoli sulla presenza di don Mauro Inzoli al noto convegno milanese sulla “famiglia tradizionale” (organizzato dalla Regione Lombardia con tanto di logo Expo 2015), ha ricevuto una diffida dal legale del sacerdote, che ritiene i due pezzi gravemente diffamatori e chiede al giornalista e a Repubblica di smentire tutto.
“Notizie altamente infamanti e offese, linciaggio mediatico”. Don Inzoli schiera gli avvocati pic.twitter.com/bWxCzfngaL
— Matteo Pucciarelli (@il_pucciarelli) February 4, 2015
Nell’ultimo anno su Giap si è parlato sia della vicenda Inzoli, con il corredo di silenzio mediatico che a lungo l’ha accompagnata, sia dell’uso politico del reato di diffamazione e delle relative cause civili per il risarcimento dei danni. La diffida a Pucciarelli, al quale va la solidarietà dei giapster, sta al punto di incrocio di questi due temi. Incrinatosi appena il riserbo con cui Repubblica ha trattato il caso Inzoli da giugno a pochi giorni fa, ecco che scendono in campo gli avvocati.
La diffida che #Inzoli ha fatto spedire a @il_Pucciarelli. Presto la commenterà su Giap @lucacasarotti. pic.twitter.com/wdhdFzluf8 — Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) February 5, 2015
Diciamo anzitutto che la diffida è una lettera con cui il legale di qualcuno che si ritiene in qualche modo danneggiato dal comportamento di qualcun altro chiede a questo qualcun altro di riparare al torto, perché in caso contrario ricorrerà alle vie legali. La diffida non è una querela né una citazione in giudizio: Inzoli non ha iniziato nessun procedimento, né penale né civile, contro Pucciarelli. E sarà difficile che lo faccia in futuro, per i motivi che spiegheremo.
Ciò non toglie che se io mi vedo recapitare la lettera di un avvocato in cui si dice che ho scritto degli articoli diffamatori nei confronti di un personaggio potente, e questa lettera è indirizzata anche al direttore del giornale per cui lavoro e al gruppo editoriale che possiede il giornale per cui lavoro, qualche timore, almeno sulle prime, mi può anche venire.
Vediamo allora cosa dicono gli articoli che l’ex presidente del Banco alimentare ed ex-vicepresidente della Compagnia delle opere ritiene gravemente lesivi della sua persona, e quali argomenti vengono spesi nella diffida.
I due pezzi in questione sono questa cronaca e quest’intervista al deputato di Sel Franco Bordo, che conosce bene Inzoli, perché è cremasco come lui.
Dice il difensore di Inzoli che Pucciarelli non può scrivere che il suo assistito è un prete pedofilo, perché la giustizia italiana non lo ha mai stabilito. Ma la Congregazione per la dottrina della fede sì, e in via definitiva. Per farlo ha svolto un’istruttoria, ha raccolto e valutato delle prove: quindi, ritenendo fondata l’accusa, ha irrogato una pena nell’esercizio dei poteri che le competono. Il provvedimento sanzionatorio è stato emesso da un’autorità riconosciuta dall’Italia, tanto che le restrizioni alla libertà di movimento (divieto di svolgere attività di accompagnamento di minori, divieto di entrare nella diocesi di Crema) che il decreto vaticano impone ad Inzoli si applicano sul territorio italiano.
Se assumiamo per valido (come in effetti dobbiamo fare, perché normalmente è così che accade) il criterio per cui si può attribuire a Tizio di aver commesso un fatto che gli porta discredito nell’opinione pubblica quando questo fatto sia accertato definitivamente dall’autorità preposta, allora dobbiamo concluderne che i titoli e le frasi degli articoli di Repubblica in cui si attribuisce ad Inzoli di essere pedofilo, rientrano nell’esercizio del diritto di cronaca, dal momento che il fatto è accertato inoppugnabilmente dall’autorità che ha su di lui la “giurisdizione spirituale”.
Compito della giustizia italiana semmai è stabilire se il cittadino italiano Mauro Inzoli abbia commesso atti che la legge italiana prevede come delitti, e, nel caso, irrogare la relativa pena. Ma una cosa è stabilire che Tizio, cittadino dello stato X, ha commesso un reato secondo le leggi dello stato X (compito del potere giudiziario dello stato X, di cui un cronista potrà dar conto), altra cosa è poter liberamente e fondatamente scrivere che Tizio, sacerdote, ha fatto cose contrarie ai doveri del sacerdozio, e quelle cose sono atti di pedofilia, dal momento che così dice la Congregazione per la dottrina della fede (ciò che, allo stato degli atti, un cronista può già scrivere).
A seguire il ragionamento del legale di Inzoli, si dovrebbe coerentemente sostenere, chessò, che il Corriere della Sera non può definire Al Capone un notorio criminale, perché è stato giudicato negli Stati Uniti, o viceversa che il New York Times non può qualificare Riina come mafioso stragista, perché non è stato giudicato da un tribunale americano.
Non può essere infamante, lesivo della personalità e condurre al peggior discredito sociale – com’è detto nella diffida – il fatto che Pucciarelli riferisca che ad Inzoli è stato imposto un trattamento psicoterapeutico, perché di nuovo è la Congregazione per la dottrina della fede a dirlo, in un atto pubblicamente consultabile, tanto da esser stato diffuso con un comunicato riportato dal sito della stessa diocesi di Crema. Pucciarelli, che di mestiere fa il cronista, riferisce il fatto: la fonte è verificabile da chiunque.
Non può essere infamante, lesivo della personalità e condurre al peggior discredito sociale – com’è detto nella diffida – il fatto che negli articoli si riporti il soprannome di “Don Mercedes”. È vero che un nomignolo del genere non evidenzia la vocazione alla vita pauperistica del religioso, il che non giova alla sua reputazione, ma l’appellativo non è certo un’invenzione di Pucciarelli, che di mestiere fa il cronista, e infatti ne riporta l’esistenza. Perché non lo dovrebbe fare?
È un’inversione logica sostenere – com’è fatto nella diffida – che «Emerge dalla lettura che tutti i presenti al convegno sulla Famiglia avrebbero dovuto evitare Inzoli e gli organizzatori bandirlo»: Pucciarelli, che di mestiere fa il cronista, si limita a riportare le dichiarazioni dei politici di centrodestra che prendono le distanze dal sacerdote, confrontandole poi con i ben più calorosi atteggiamenti che le stesse persone avevano dimostrato in passato verso di lui.
Se «discredito» e «completa emarginazione del sacerdote» ci sono stati, se ne chieda conto agli autori delle dichiarazioni, non al giornalista che le riferisce.
Dice la diffida che tra le restrizioni cui è sottoposto Inzoli non c’è il divieto di presenziare a convegni sulla famiglia: ma Pucciarelli non ha mai sostenuto il contrario. Ha invece espresso un giudizio di opportunità: la presenza di un sacerdote sottoposto a restrizioni per gravi atti di abuso su minori è compatibile con i valori della famiglia tradizionale che il convegno dichiara di difendere? Il dubbio non pare essere peregrino, dato che le personalità presenti al convegno si sono precipitate a stigmatizzare l’apparizione di Inzoli in platea.
Don Inzoli, Maroni: Non lo conoscevo’. Ecco una foto de La Provincia che li ritrae a un convegno del 2004 http://t.co/ozDPnoPWy7
— Provincia di Cremona (@laprovinciacr) January 20, 2015
#Maroni insieme a #Inzoli a #Crema nel 2004 e a #Milano nel 2014. «Non conosco quella persona». Via @DanielaPF75 pic.twitter.com/MqSho1tJcE — Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) January 19, 2015
Ultima questione sollevata dalla diffida, l’intervista a Franco Bordo conterrebbe frasi insinuanti e sproporzionate.
Ora, a parte che non si capisce cosa ci sia di sproporzionato nelle dichiarazioni di una persona che dice di aver presentato un esposto in procura; Pucciarelli, che di mestiere fa il cronista, ha riportato le opinioni dell’intervistato. È rilevante l’opinione dell’intervistato? Sì, perché si tratta di un personaggio pubblico, un parlamentare. È rilevante il contenuto delle opinioni espresse? Sì, perché riguarda un personaggio pubblico, che ha rivestito ruoli apicali in Comunione e Liberazione e nella Compagnia delle opere.
Quindi, l’ho già scritto nell’altro mio post ma giova ripeterlo, questo è ciò che ritiene la Cassazione a proposito dei contenuti delle interviste:
«[l’intervista] è da ritenere penalmente lecita, quando il fatto in sé dell’intervista, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione e al più generale contesto in cui le dichiarazioni sono rese, presenti profili di interesse pubblico all’informazione tali da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo e da giustificare l’esercizio del diritto di cronaca». [Cass., N. 37140/2001]
Il legale di Inzoli dovrebbe sapere anche un’altra cosa: il fatto che il suo assistito non sia ancora stato interrogato e non abbia ancora ricevuto l’informazione di garanzia non significa necessariamente che non ci siano procedimenti penali aperti a suo carico. Le indagini preliminari hanno i loro tempi, fissati dal codice. Trascorsi quelli senza che sia recapitato un avviso di conclusione delle indagini, si potrà escludere con certezza che ci siano procedimenti aperti: ma prima no.
La diffida a un singolo giornalista si è resa possibile per una ragione precisa, e cioè che in questi mesi gli articoli sulla vicenda di Don Inzoli si contano sulle dita di una mano. Se il caso avesse ricevuto – come sarebbe dovuto accadere – una copertura diffusa e costante, sarebbe stato molto più difficile additare la “responsabilità” del cronista che rompe il cordone di silenzio mediatico e decide di occuparsi di un caso che è, a tutti gli effetti e sotto ogni aspetto, una notizia, e della più alta rilevanza.
Solidarietà a Matteo Pucciarelli e massima attenzione agli sviluppi del caso Inzoli.
[…] che, in linea di principio, sarebbe un reato, cfr. articolo 581 del Codice Penale), qualcheduno si incazza e minaccia querele (milionarie, possiamo immaginare), perché due articoli di Repubblica hanno portato […]