E’ abbastanza noto che, come autori, noi non siamo nelle corde del Salone del Libro di Torino. Le pochissime volte che ci siamo andati, ci sentivamo come boscimani, bushmen nell’ipermercato di un’expo coloniale, tremendamente nostalgici del nostro Kalahari e di una convivialità non mondana, non seriale né coattiva, a cui tornare il prima possibile. Correre, fuggire verso casa.
Siamo abituati a prenderci i nostri tempi insieme a lettrici e lettori, a presentazioni-fiume che spesso diventano assemblee; le mezz’orette di showcase “in serie” ci mettono a disagio.
Ci piacciono gli aghi, perchè senza gli aghi non si può tessere, e ci piacciono i pagliai: non saremmo qui se i nostri avi e le nostre ave non avessero fatto l’amore in qualche pagliaio.
A metterci il malessere è la condizione dell’ago che cerca se stesso nel pagliaio.
Detto questo, siamo laici: sappiamo che per molti il Salone, prima che un presentazionificio plasticoso, è un’occasione per trovare libri altrimenti non facili da reperire e scoprire case editrici che fino a quel momento non erano entrate nel radar.
E se non ci siamo noi, ci sono comunque i libri della Wu Ming Foundation.
La serendipità è bella: aggirarsi per gli stand un po’ a cazzo di cane, fottendosene degli Eventi, porta a incontri che sarebbero impossibili seguendo gli schedule e gli itinerari predefiniti.
Però è anche bello avere dei segni di orientamento, e quindi ve li diamo.