RESISTENZE in Cirenaica. Un cantiere di narrazioni tra Africa e partigiani (a Bologna)

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La sera del 12 giugno, dalle h.19:30, ci ritroviamo al VAG61, via Paolo Fabbri 110, nel rione Cirenaica di Bologna, per una grande cena di finanziamento. Raccoglieremo fondi per il progetto «RESISTENZE in Cirenaica», di cui vi stiamo per parlare. La cucina sarà nelle sapienti mani della rete Eat The Rich. Niente prenotazione, si arriva e si mangia. Offerta libera.

Durante la serata, Wu Ming 1 leggerà due racconti da Cantalamappa, accompagnato da Fabio Tricomi (chitarra, balafon e campane), Camilla Serpieri (sansula, percussioni, kazoo e voce) e Claudia Finetti (voce).
Jadel Andreetto e Bruno Fiorini dei Kai Zen suoneranno e leggeranno brani dal loro romanzo Delta Blues.

La Cirenaica sorge nell’immediata periferia est di Bologna. Il rione fu costruito nel 1913, poco dopo l’aggressione italiana alla Libia, e i nomi delle vie celebravano le terre appena conquistate: via Tripoli, via Derna, via Bengasi…

Meno di vent’anni dopo, nella regione libica da cui il rione aveva preso il nome, il fascismo perpetrò un genocidio, all’epoca nascosto all’opinione pubblica italiana e oggi completamente dimenticato. Deportazioni di massa, stragi, uso di armi chimiche vietate dalle convenzioni internazionali, espropriazioni di terre e beni… Il mandante era Benito Amilcare Mussolini, gli esecutori Pietro Badoglio e Rodolfo Graziani, che qualche anno più tardi avrebbero commesso sistematici crimini di guerra in Etiopia.

I due storici Giorgio Rochat e Piero Pieri hanno scritto:

«[Quello in Cirenaica] non è l’unico genocidio della storia delle conquiste coloniali, se può consolare qualcuno, ma è certo uno dei piú completi, rapidi e meglio travisati dalla propaganda e dalla censura.»

[Per un compendio delle atrocità fasciste in Libia rimandiamo a Point Lenana di Wu Ming 1 e Roberto Santachiara, e per gli approfondimenti, alle fonti elencate nei “Titoli di coda” di quel libro.]

Oggi la Cirenaica, quella di Bologna, si chiama ancora così, ma le vie hanno tutt’altri nomi. Nel 1949, in Italia evento più unico che raro, i nomi coloniali delle vie furono sostituiti da nomi di caduti partigiani, soprattutto della brigata “Stella Rossa”, a cominciare dal comandante Mario Musolesi, nome di battaglia “Lupo”.

Mario Musolesi "Lupo", 1914 - 1944.

Mario Musolesi “Lupo”, 1914 – 1944.

Soltanto via Libia mantenne il vecchio nome.

Nel gennaio 1951 il senatore comunista Ilio Barontini morì in un incidente stradale dalle parti di Scandicci, all’età di sessant’anni.
Barontini era livornese, ma da partigiano aveva combattuto (anche) a Bologna. Di più: era stato tra i protagonisti della Battaglia di Porta Lame.
Per questo, nel maggio dell’anno dopo, il comune decise di ribattezzare col suo nome l’antica via Savena, che dal ponte di S. Donato si addentrava in Cirenaica e si chiamava così perché fino alla seconda metà del Settecento il fiume Savena scorreva lì accanto.

Fu così che Barontini andò a fare compagnia ai partigiani bolognesi.

Ma Barontini era qualcosa di più di un ex-partigiano: era l’internazionalismo fatta persona. Negli anni Trenta, su mandato della Terza Internazionale, era stato in Manciuria (contro l’occupazione giapponese), nella Spagna della guerra civile (dove aveva comandato le forze antifasciste nella famosa Battaglia di Guadalajara) e in Etiopia (con i guerriglieri Arbegnuoc contro l’occupazione fascista).

Ilio Barontini

Ilio Barontini con i guerriglieri Arbegnuoc in Etiopia, 1939.

Proprio la missione in Etiopia fa di Barontini e dei suoi compagni di spedizione – il triestino Anton Ukmar e il ligure Domenico Rolla – personaggi-ponte tra il colonialismo italiano e la Resistenza… e quindi tra i vecchi e i nuovi nomi delle vie in Cirenaica.

Dobbiamo liberarci di ogni sguardo italocentrico e anche eurocentrico. In Africa la resistenza antifascista cominciò molto prima della seconda guerra mondiale.
La resistenza libica, prima di essere stroncata definitivamente nel 1931, durò la bellezza di vent’anni: contro l’Italia liberale dal 1911 al 1922, contro quella fascista dal 1923 al ’31. ʿOmar al-Mukhtar fu uno dei più grandi comandanti partigiani di tutto quel ciclo di resistenze.

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ʿOmar al-Mukhtar, capo della resistenza in Cirenaica. Impiccato dai fascisti nel 1931, dentro il campo di concentramento di Soluch, di fronte a ventimila prigionieri costretti a guardare.

Dal 1936 al 1941 la resistenza etiope mantenne ingovernabile l’Etiopia occupata dai fascisti, finché con l’aiuto degli Alleati non vinse la propria battaglia, mandando in fiamme l’impero di cartone di Mussolini.

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Guerriglieri etiopici contro l’occupazione fascista. Stilosissimi, sembrano l’Equipe 84, ma è il 1938. Quello al centro è Jagama Kello. Nella foto aveva 17 anni, oggi ne ha 94 ed è ancora stiloso, clicca per vedere una sua foto recente.

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Ras Destà, uno dei comandanti della guerriglia etiope. Fu catturato e fucilato dagli invasori italiani nel 1939.

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Gli italiani decapitarono il capo guerrigliero Hailù Chebbedè. La testa girava tra la truppa ridacchiante in una scatola di biscotti. L’ISIS, pfui… Che parvenus! Noi facevamo certe cose quando le loro trisnonne dovevano ancora avere il menarca. Ma provate a dirlo, e vedrete che reazioni.

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Dopo il dileggio, la testa di Chebbedè fu appesa nella piazza del mercato di Socotà e lasciata marcire.

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Intanto, agli italiani la situazione era descritta così.

L’allora “vicerè d’Etiopia” Rodolfo Graziani, macellaio e pluricriminale di guerra, è onorato come un eroe da quello che a volte, con un eufemismo, si chiama “centrodestra”. Nella vicenda del “mausoleo” dedicato a Graziani in quel di Affile, il negazionismo della destra (Fratelli d’Italia e dintorni) è arrivato a livelli parossistici, come facevamo notare due anni fa.

È tempo di raccontare le storie dei veri eroi, i resistenti libici ed etiopi, con ogni mezzo necessario.

È tempo di raccontare quelle resistenze e la resistenza italiana del 1943-45 come momenti di un’unica sequenza.

Le resistenze europee andrebbero lette come parte di un ciclo più lungo e inserite in un contesto planetario, quello della lotta anticoloniale. Si tratta di valorizzare il “rovescio” del Discorso sul colonialismo di Aimé Césaire: se il progetto hitleriano, all’osso, consisté nell’aver «applicato all’Europa metodi colonialistici che fino a quel momento avevano subito solo gli arabi d’Algeria, i coolies dell’India e i negri dell’Africa», allora la resistenza al nazifascismo fu anche una guerra anticoloniale nel cuore d’Europa.

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Ancora Barontini in Etiopia, sulle alture del Goggiam.

Le vite di personaggi-ponte come Barontini, o per altri versi Giorgio Marincola e Carlo Abbamagal, possono aiutarci a “sprovincializzare” e “creolizzare” la narrazione delle guerre partigiane. E i doppi nomi delle vie della Cirenaica forniscono uno spunto narrativo utilissimo. Il “blitz” che nel 1949 spazzò via l’odonomastica coloniale può divenire il punto nel tempo da cui irradiare narrazioni transmediali che colleghino tutti i momenti delle resistenze. Per avviare una tale officina non c’è miglior posto della Cirenaica, dove si entra percorrendo via Barontini.

Il giardino Lorenzo Giusti in Cirenaica.

Il giardino Lorenzo Giusti in Cirenaica.

«RESISTENZE in Cirenaica» è un’idea nata nel rione, grazie all’impegno di persone che ci vivono e lo fanno vivere. A fare da “catalizzatore” è stata la battaglia civica per aprire, proprio in via Barontini, il giardino sociale intitolato a Lorenzo Giusti, ferroviere socialista bolognese che combatté nella guerra civile spagnola al fianco degli anarchici.
Siamo molto grati all’associazione “Spazi aperti” per averci coinvolti. Abbiamo accettato la loro proposta con entusiasmo.

Quanti, a Bologna, nominano la Cirenaica (o addirittura ci vivono) senza sapere cosa celebrava il nome del rione, ovvero l’invasione militare del 1911, primo passo del cammino culminato nel genocidio del 1931?

Se non capiamo il rimosso coloniale e il mito degli “italiani brava gente” che alimenta l’ideologia vittimistica italiana, non capiremo il razzismo di oggi, Salvini ecc.
E non capiremo nemmeno perché ogni tanto l’Italia torna a fare la guerra in Libia. Coazione a ripetere.

Il 3 ottobre 2015 saranno passati 80 anni dall’invasione fascista dell’Etiopia e 2 dalla strage di Lampedusa del 2013.

Quest’ultima è un perfetto esempio di “ritorno del rimosso” che viene soffocato. Quasi tutte le vittime erano in fuga dalla dittatura eritrea (che l’Italia sostiene) o dal sanguinoso caos somalo (per il quale l’Italia ha enormi responsabilità), cioè da due ex-colonie italiane; per arrivare in Italia, erano passate dalla Libia, altra ex-colonia italiana precipitata nel caos anche per responsabilità italiane.
Ebbene, sfidiamo chiunque a trovare, nelle centinaia di articoli usciti all’indomani della tragedia, le informazioni che abbiamo appena dato.

C’è un bel po’ di lavoro da fare, e il 12 giugno cominceremo a finanziarlo. Ci vediamo al Vag61.
[Per chi ama il genere, ecco l’evento FB.]

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17 commenti su “RESISTENZE in Cirenaica. Un cantiere di narrazioni tra Africa e partigiani (a Bologna)

  1. […] RESISTENZE in Cirenaica. Un cantiere di narrazioni tra Africa e partigiani (a Bologna). […]

  2. Di recente ho letto un libro di Enzo Traverso “La violenza nazista: una genealogia”, una storicizzazione di ciò che ha portato ai campi di sterminio in cui si insiste molto sul colonialismo come “radici” dello sterminio nazista e l’ho trovato molto interessante. Riporta anche le cifre dei massacri perpetrati a cavallo di XIX e XX secolo stimando sui 50-60 milioni le vittime del colonialismo in quella fase. Impressionante come ad esempio a quell’epoca si teorizzasse “un’Africa senza africani”, di cui alcuni si auspicavano uno sterminio completo. Tra questi “teorici” vi era anche quello che secondo me è il “Custer italiano”, il maggiore Toselli, caduto nel 1896 all’Amba Alagi cui è attribuita la frase “in Etiopia bisogna fare come hanno fatto gli americani: sostituire razza a razza” (almeno se ricordo bene quanto scritto da Del Boca).
    Traverso ricorda, tra le altre cose, anche il razzismo “di classe” che alimentò il massacro dei comunardi nel 1871, la descrizione dei proletari come dei “negri” della metropoli.
    L’accostamento tra nazismo e colonialismo mi fà riflettere su un altro aspetto, ben tre tra i più importanti alleati di Hitler avevano partecipato con ruoli di primo piano guerre “coloniali”: Graziani in Libia ed Etiopia, Francisco Franco in Marocco e Petain sempre in Marocco. E’ come se con il nazismo l’Europa avesse rivolto contro sè stessa e amplificato il male con cui aveva in precedenza impestato il pianeta. Da notare che a salvarci da questo male sono stati in molti casi proprio le vittime del razzismo europeo: in primis i soldati dell’armata rossa slavi (all’epoca considerati non certo “europei”), ebrei e asiatici; le truppe africane, arabe e indiane degli eserciti francese e inglese; il corpo di spedizione brasiliano che combatté sull’appennino; nonché le truppe afroamericane dell’esercito USA e i molti immigrati da tutto il mondo che militarono nella resistenza francese. L’estate scorsa nella cattedrale di Marsiglia (Sainte Marie de la Garde) ho visto esposta la bandiera del reparto che nell’agosto 1944 liberò l’edificio dai nazisti: c’era sopra una mezzaluna islamica, erano fucilieri algerini.

  3. a questo punto però mi viene spontanea una domanda, considerazione: anche inglesi, francesi e spagnoli (ma non solo loro) avevano ad inizio 900 una lunga tradizione di colonialismo.
    però il loro colonialismo non si è ritorto contro l’europa trasformandosi in nazi-fascismo, almeno così mi pare di capire dalla lettura (per me ammetto totalmente nuova ed illuminante) del nazi-fascismo come continuum del colonialismo. Perchè?

    Inoltre, dobbiamo essere grati a chi ci ha aiutato a liberarci dal fascismo, però forse (FORSE: nel senso che non lo so, lo sto chiedendo) non erano poi così liberi di decidere, e quindi così consci di cosa stavano combattendo: gli inglesi che mandavano truppe di indiani, africani e arabi, non sono forse perfetto esempio di colonialismo?

    • Gli imperialismi europei si erano scontrati in Europa dal 1914 al 1918. In seguito alla sconfitta, la Germania subì i termini del trattato di Versailles e perse le proprie colonie africane. La storia di come da Weimar si arriva al nazismo come nuova espressione dell’imperialismo tedesco è nota. Il concetto di Lebensraum, “spazio vitale”, fu brandito come arma e, in cerca di quella “Raum”, l’imperialismo tedesco a lungo compresso e frustrato si scatenò in Europa. Gli altri imperialismi non ne avevano necessità, storia diversa, avevano ancora tutte le loro colonie extraeuropee.
      Quanto ai combattenti coloniali nella seconda guerra mondiale, va fatto notare che molti reduci, tornati nei loro paesi, diedero contributi importanti alla decolonizzazione. Avevano “registrato” l’ipocrisia dei loro colonizzatori, che mentre combattevano contro i fascismi in Europa, opprimevano le popolazioni di colore nei territori dei loro imperi. La denuncia di tale ipocrisia è una costante in tutto l’arco delle lotte anticolonialiste.

      • Intendevo che il colonialismo è una delle radici degli sterminio nazifascisti, non che vi è una filiazione diretta. Poi il colonialismo francese si ritiene secondo me contro la Francia con Vichy, in cui vedo aspetti di repressione contro i lavoratori immigrati, si veda ad esempio l’accusa rivolta dai nazisti e dai collaborazionisti ai partigiani di essere in molti casi “non francesi”. Ancora più sintomatico il caso spagnolo con un ufficiale delle truppe coloniali che instaura un regime utilizzando, tra le altre cose, anche il rancore dei colonizzati contro i proletari della “metropoli”, vedi l’impiego decisivo delle truppe marocchine da parte di Franco. Addirittura con un uso parallelo del fanatismo cattolico e islamico in funzione controrivoluzionaria.
        Quanto alla consapevolezza delle truppe coloniali è un problema che direi riguarda tutti gli eserciti coinvolti nella seconda guerra mondiale. Direi che varia da persona a persona e da reparto a reparto. Certo i goumie’ irregolari dell’esercito francese che si lasciarono andare a violenze di ogni tipo sulla popolazione del Lazio doveva essere del tutto assente. Ma molto diverso doveva essere il punto di vista degli algerini che dopo la guerra fondarono l’FLN. Di fatto i movimenti anticoloniali erano già attivi priva del conflitto, solo si muovevano in una prospettiva spesso “riformista”, credo che alcuni si siano arruolati negli eserciti francese e inglese proprio per dimostrare il loro diritto a partecipare alla vita politica come cittadini dotati di pieno diritto, il permanere del razzismo da parte della “madrepatria” eliminò in seguito ogni spazio di mediazione e li costrinse a riprendere il mitra contro il proprio ed esercito. In altri casi c’era poi l’urgenza di fermare un imperialismo più virulento, ad esempio Ho Chi Min combatté di fatto al fianco di francesi e americano contro i giapponesi.

        • “Di fatto i movimenti anticoloniali erano già attivi prima del conflitto, solo si muovevano in una prospettiva spesso “riformista”, credo che alcuni si siano arruolati negli eserciti francese e inglese proprio per dimostrare il loro diritto a partecipare alla vita politica come cittadini dotati di pieno diritto, il permanere del razzismo da parte della “madrepatria” eliminò in seguito ogni spazio di mediazione e li costrinse a riprendere il mitra contro il proprio esercito”.

          Tutto questo, esattamente in questi termini era già successo durante e dopo la prima guerra mondiale, in Irlanda. Molti irlandesi si arruolavano nell’esercito britannico (che è tutto su base volontaria) per dimostrare la loro pari dignità rispetto ai commilitoni inglesi. Già l’Insurrezione di Pasqua aveva questa base e se fallì fu anche per via del fatto che non essendo la guerra ancora finita c’era ancora speranza per gli irlandesi di essere “premiati per buona condotta”. Altresì questo fu una delle micce che fece esplodere la lotta armata nel 1919: gli irlandesi avevano preso (ancora di più) coscienza di avere la stessa dignità degli inglesi ma questi non glielo avevano riconosciuto.

  4. Attenzione, non credo che il nazifascismo sia semplicemente un continuum del colonialismo, credo però che nel colonialismo troviamo alcune radici importarti del nazifascismo. Inoltre in Francia e Spagna il colonialismo si è ampiamente ritorto contro la “metropoli”. I nazisti ed i fascisti francesi accusavano la resistenza di essere composta soprattutto da immigrati, vedi il famoso “manifesto rosso” nazista intitolato “la liberation par l’armee du crime” che addita come “terroristi” alcuni partigiani di origini ebree, armene, nordafricane e spagnole. Ancora più emblematico il caso spagnolo, lì abbiamo un generale delle truppe coloniali che instaura un regime servendosi anche del rancore delle truppe marocchine contro i colonizzatori spagnoli. Ai “regulares” nordafricani Franco concesse di fare ai lavoratori spagnoli ciò che essi stessi o i loro genitori avevano subito per mano dei soldati spagnoli o francesi. Da notare anche l’uso parallelo e strumentale in senso anticomunista sia del cattolicesimo che dell’islam per motivare le truppe franchiste.
    Quanto al grado di consapevolezza delle truppe coloniali che combatterono nella seconda guerra mondiale credo variasse da uomo a uomo e da reparto a reparto. Penso che i goumié dell’esercito francese responsabili delle violenze contro la popolazione del Lazio non ne avessero alcuna, avrebbero potuto benissimo essere tra i “regulares” di Franco e per loro sarebbe stato uguale. Del tutto diverso il caso di quegli algerini che combatterono nell’esercito francese e una volta tornati a casa fondarono l’FLN. In un film francese “l’ennemie intime” si vede la scena della fucilazione di un guerrigliero algerino che prima di farsi fucilare dai francesi si appunta sul petto la medaglia al valore ricevuta combattendo in Italia dai francesi stessi. Conta che i primi movimenti anticoloniali ci sono già prima del conflitto mondiale e spesso hanno un orientamento “riformista”, sperano cioè di essere ascoltati dai colonizzatori in nome di comuni valori “democratici”, i loro aderenti si arruolarono negli eserciti francese o inglese contro i nazisti, dopo la guerra prenderanno la via della lotta armata solo quando capiranno di non avere altra strada per far valere la propria dignità.

  5. Domanda: da quale documentazione siete partiti per le narrazioni del cantiere RESISTENZE e per i testi degli storytelling oltre a Del Boca e ovviamente Point Lenana e Timira visto che a riguardo la letteratura non è così ampia?

    Consiglierei, per chi è interessato a capire qualche frammento in più della resistenza etiopica al fascismo, questo breve testo di Dominioni inserito nel libro 1943-1945 la lunga liberazione di Eric Gobetti:

    https://books.google.it/books?id=9yZgc2sBftEC&printsec=frontcover&dq=la+lunga+liberazione&hl=it&sa=X&ved=0CCoQ6AEwAGoVChMIst6QpN-DxgIVRDJyCh0IxgC_#v=onepage&q=la%20lunga%20liberazione&f=false

    da pag. 59 fino a pag. 74 (anche se mancano alcune pagine) una qualche idea in più ce la si può fare.

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    • Tieni conto che #PointLenana e #Timira non sono solo due libri, per scrivere ciascuno dei due ne abbiamo letti decine, tutti rigorosamente citati nei rispettivi “Titoli di coda”. Se aggiungiamo che in inglese la bibliografia e sitografia è piuttosto ricca, che già Del Boca è monumentale e dettagliatissimo, e che nel frattempo siamo entrati in contatto con storici che stanno facendo riaffiorare altre storie, sia di italiani in Africa sia di partigiani africani in Italia, c’è una notevole base per informare e raccontare.

      • questo fine settimana sono incappato bene due volte (su radio tre e su alias) in un testo/reportage fotografico di Armin Linke e Vincenzo Latronico dal titolo Narciso nelle Colonie. Un altro viaggio in Etiopia.
        il testo è uscito nel 2003, ma evidentemente è stato ristampato, o simultaneamente radio3 e alias si sono accorti della sua esistenza. stavo pensando di ordinarlo. se qualcuno l’avesse già visto e sapesse se consigliarlo o sconsigliarlo gliene sarei grato.

        • Non l’ho letto. Su Latronico, l’Africa e noi, l’unico elemento che ho è questo suo giudizio su #PointLenana, che – forse è superfluo precisarlo – trovo platealmente assurdo.

          «Wu Ming 1 e Roberto Santachiara, per parlare dei prigionieri di guerra in Kenya in Point Lenana, hanno dovuto sottolineare che molti erano così fascisti da essere a stento umani (uno di essi, curiosamente, era mio nonno).»

          Tratta da qui.

          Ora, io posso capire l’istinto di difendere il nonno, ma forse, quando si fanno asserzioni del genere, sarebbe il caso di fornire qualche pezza d’appoggio. Ad esempio, segnalare dove mai in Point Lenana Wu Ming 1 e Roberto Santachiara abbiano scritto quanto attribuito. Bizzarro come nessun recensore né alcuna lettrice o lettore dei numerosi che hanno commentato il libro in questi due anni abbia fatto riferimento a niente del genere…

        • mi correggo, il testo è uscito nel 2013. ho sbagliato a digitare. E mi pare di capire che contenga anche un breve intervento di angelo del boca.

  6. L’avvio di «Resistenze in Cirenaica» al Vag61. Audio, video e foto della serata.

  7. […] Ci sono infine date di mobilitazione collettiva. Per il giorno 3 ottobre da Lampedusa viene la proposta di un’iniziativa comune a tutta Europa, per ricordare la strage del 3 ottobre del 2013 quando a largo della costa siciliana morirono, accertate, 155 persone. Lo stesso giorno infatti cadono gli 80 anni dall’invasione fascista in Etiopia. Quest’ultima, come ha scritto Wu Ming presentando il progetto «Resistenze in Cirenaica», […]

  8. […] Ci sono infine date di mobilitazione collettiva. Per il giorno 3 ottobre da Lampedusa viene la proposta di un’iniziativa comune a tutta Europa, per ricordare la strage del 3 ottobre del 2013 quando a largo della costa siciliana morirono, accertate, 155 persone. Lo stesso giorno infatti cadono gli 80 anni dall’invasione fascista in Etiopia. Quest’ultima, come ha scritto Wu Ming presentando il progetto «Resistenze in Cirenaica», […]

  9. […] giugno 2015, annunciando la prima serata di autofinanziamento, abbiamo spiegato, con l’aiuto di immagini che parlavano chiaro, perché si è deciso di aprire il cantiere […]

  10. […] lotta, intrecciandone la storia, i nomi e le aspirazioni. Un progetto – come scrivono i Wu Ming, che partecipano al progetto – catalizzato dalla battaglia civica e politica per il giardino […]