di Roberto Viviani,
con la collaborazione di Francesca Pietroni
1. Breve cronistoria dell’emergenza migranti 2015 a Roma
11 Maggio 2015
Le ruspe danno il loro buongiorno e radono al suolo l’insediamento abusivo di Ponte Mammolo. In quel pezzo di Roma dimenticata, trovavano un rifugio precario circa 400 persone, per la maggior parte migranti in transito, cioè di passaggio in Italia, con l’obiettivo di raggiungere altri paesi europei e chiedere lì asilo politico.
Nessuna associazione che opera volontariamente nel centro (ad esempio MEDU) viene coinvolta nel piano di sgombero, a molti degli “ospiti” non viene neanche dato il tempo di prendere i documenti. Non c’è nessun “piano B” della prefettura o dell’amministrazione capitolina, nessuna soluzione temporanea per dare alloggio agli sgomberati che si ritrovano improvvisamente in mezzo alla strada e iniziano ad assembrarsi soprattutto nella zona della stazione Tiburtina.
25 Maggio 2015
La Germania, seguita dall’Austria, chiede ed ottiene una sospensione del trattato di Schengen adducendo come motivazione la possibilità di disordini durante il G7 di Elmau. La stessa richiesta era stata fatta- senza successo- da Maroni a Gennaio: questo evidenzia ancora di più quanto la “misura cautelativa” sia fuori luogo, considerando che in nessuno degli ultimi summit G7/G8 ci sono stati rilevanti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine.
Gli arrivi dei migranti sulle coste italiane però non cessano: difficile credere che la sospensione di un trattato europeo che probabilmente nemmeno conoscono, farà cambiare le loro intenzioni, trattenendosi nei paradisiaci carceri libici.
Così l’Italia, con Roma, Milano, Bolzano e Ventimiglia in prima linea, si trova a dover gestire un vero e proprio collo di bottiglia. La “Capitale” rimane inerme, ad occhi chiusi per fingere di non vedere il numero sempre più alto di migranti abbandonati a sé stessi. Questo è il degno piano pensato,pianificato e realizzato da uno Stato che si definisce civile.
11 Giugno 2015
È passato esattamente un mese dallo sgombero di Ponte Mammolo, il tempo necessario alle istituzioni per mettere a punto il “piano C”: prefettura e amministrazione comunaleconcedono il bis, sgomberando con la forza gli accampamenti di fortuna di Eritrei ed Etiopi nei pressi della stazione Tiburtina.
Diciotto pericolosisimi profughi Eritrei vengono identificati, mettendo fine così al loro viaggio che doveva portarli a chiedere asilo in un altro paese. Asilo che probabilmente avrebbero ottenuto, poiché gli Eritrei che hanno lasciato il paese “illegalmente” sono perseguitati al loro rientro e per questo non rimpatriabili.
2. Il Centro Baobab
Il Centro Baobab, una vecchia vetreria abbandonata, situata in via Cupa 5 tra il piazzale del Verano e la stazione Tiburtina, viene occupato e utilizzato nel 2004 dall’associazione Erythros («tinto di rosso» in greco) per far fronte all’emergenza freddo che sta investendo alcuni membri della comunità rumena che vivono nelle strade del quartiere. Nasce a questo punto una collaborazione col Comune che incarica l’associazione di gestire l’accoglienza anche per altre persone, regolarizzando in cambio l’occupazione e pagando l’affitto ai proprietari delle mura fisiche. Gli ospiti sono circa 150 e collaborano alla ristrutturazione degli spazi, secondo un modello di autogestione del centro.
Nel 2010 Erythros si trasforma in ONG e si dedica alla diffusione del “modello Baobab” in altri paesi europei, con l’apertura di centri a Francoforte, Stoccolma e Berlino. Il centro in Italia viene gestito dalla cooperativa sociale Dioniso, che oltre ad occuparsi di migranti, si rivolge anche ad italiani disagiati.
La nuova cooperativa, partecipando a bandi del Comune, ottiene finanziamenti per l’accoglienza di 60 persone, pur ospitandone sempre un numero maggiore.
Si creano attriti col Comune, che portano anche a diverse denunce amministrative e penali, per un totale di 19 verbali, alcuni risolti ma altri tutt’ora aperti.Da Ottobre 2014 la cooperativa sociale Dioniso non riceve finanziamenti dal Comune, che da quella data smette di pagare l’affitto.
Il Baobab sale all’onore della cronaca nazionale allo scoppio dell’inchiesta “Mafia Capitale”: è il luogo fisico in cui si svolse la famosa cena nel 2010 con- tra gli altri- Buzzi, Casamonica e Alemanno.
I gestori del centro si sono sempre “giustificati” dichiarando che la sala è stata sempre affittata a chiunque la chiedesse (privati, partiti, associazioni, comitati) senza preclusioni.
Il 12 Giugno 2015 è il giorno in cui l’emergenza migranti di Roma arriva al Baobab. Nel tempo che intercorre tra lo sgombero di Ponte Mammolo e quello degli accampamenti di fortuna nei pressi della stazione Tiburtina, il centro accoglie un numero di migranti limitato (circa 170), in linea con i posti letto disponibili.
Ma dal 12 Giugno i profughi sono molti di più e dormono accampati lungo i marciapiedi, sparsi qua e là tra via Cupa e la stazione. Questo ovviamente ferisce il senso di decoro di una parte della città che preferisce non vedere piuttosto che conoscere e le forze dell’ordine intervengono di nuovo spingendo i migranti ad entrare nel centro.
3. Da core business a core de sta città
Adam (nome fittizio) è alla porta per gestire il flusso di migranti durante il pranzo: 10 migranti alla volta, a sinistra le donne e i minori – che hanno la precedenza – a destra gli uomini.
E’ a Roma da 2 settimane ormai ed è uno dei migranti che si è integrato più facilmente e velocemente. Si può dire che tiene in piedi da solo l’intera area vestiti per gli uomini. E non solo, visto come è riuscito ad organizzare il pranzo oggi.
Vuole partire appena possibile, ma non ha soldi: non deve aspettare un amico, come ad esempio Moses che attende notizie da Cagliari, ma ha solo ed esclusivamente bisogno di Euro che ovviamente non potrà guadagnare in Italia. Stiamo organizzando una colletta tra i volontari ma dobbiamo capire quali sono le sue intenzioni.
– I want to arrive in England.
Rimaniamo sbigottiti e lo informiamo per l’ennesima volta di quello che sta succedendo a Calais, ma lui è fermo, dice che lo sa: i suoi amici sono già lì e tentano ogni giorno di attraversare la Manica. «Raggiungici e proviamo insieme», gli dicono al telefono.
Sembra che il nostro sbigottimento non sia abbastanza esplicito, visto che rincara la dose dicendoci che vuole passare da Ventimiglia.
Domani mattina gli daremo tutte le informazioni su quello che sta succedendo al confine franco-italiano, tra Liguria e Costa Azzurra. In questi mesi sono passati due compagni, uno francese e uno siciliano, che fanno parte del presidio permanente No Borders e ci hanno portato informazioni preziosissime per i migranti diretti alla stazione di Ventimiglia: dalla pericolosità dei passeurs, alle foto segnaletiche che la digos francese viene a scattare in territorio italiano.
Diamo appuntamento ad Adam dopo pranzo per vedere insieme alcuni filmati e leggere le ultime notizie provenienti da Calais.
Dire che il Baobab gestisce i migranti è un po’ riduttivo. Il Baobab “accoglie”.
A Roma le dinamiche che hanno portato a creare questo tipo di accoglienza in realtà non sono nuove: sempre più spesso i cittadini vanno a colmare un vuoto enorme lasciato dalle istituzioni, dalla loro incuria o incapacità di affrontare situazioni viste solamente come “problemi”.
Come già accaduto per il lago all’ex Snia , dove si è dovuto “ricordare” al comune della scadenza dei termini relativi ad un esproprio, o come sta accadendo in questi giorni al Prenestino/Tor Pignattara dove si è costituito un comitato che vigila sui permessi ottenuti dalla LIDL per la costruzione di un centro commerciale, segnalando reiterate infrazioni procedurali, i romani (e si intendono tutte le persone che a Roma vivono, passano, capitano) si attivano e si sostituiscono ad uno Stato assente.
Al Baobab, vista la palese strategia fallimentare delle istituzioni, i cittadini hanno deciso di prendersi carico di quel soggetto politico (ossia relativo alla vita della città) che sono i migranti in transito.
In parte mossa dallo shock delle inchieste di Mafia Capitale, in parte da un sentimento di pietas, o di rabbia come reazione ai comportamenti xenofobi di matrice leghista, un’umanità variegata si è riunita al Baobab senza darsi appuntamento.
Poche sono le persone che avevano avuto esperienza diretta nella gestione dei migranti e questo, col senno di poi, è stato un vantaggio. Nessuno schema precostituito è stato seguito, ma ognuno ha portato la sua esperienza di vita vissuta e le sue idee, immaginando (solo immaginando) con tutta l’empatia possibile, cosa potesse alleviare le pene di essere umani in sosta, quasi alla fine di un viaggio terribile.
Si trovano a pochi giorni di viaggio dalla meta verso cui si sono mossi 8-10 mesi fa, per la quale hanno rischiato la vita, pagato tutti i risparmi di famiglia; pochi giorni ancora prima di potersi togliere le scarpe in una nuova casa e rilassare i muscoli delle gambe.
Si capisce che qui sono ancora pieni di adrenalina e che le reazioni psicologiche alle efferratezze che hanno visto e vissuto durante il viaggio si paleseranno solo quando questa tensione sarà scemata.
Quello si prova ad offrire è nuova fiducia nell’uomo e per farlo non c’è bisogno di molto, semplicemente fare quello che si ipotizza farebbe piacere ricevere: quindi Marzia organizza corse dal Baobab fino al Colosseo con due top runners eritrei, Eliyas Embaye e Yohannes Kesete, portando scarpe per tutti; Renato imbastisce tornei di basket col canestro mobile comprato da Giovanna; si creano internet point insieme ai ragazzi del Cinema Palazzo per far connettere i migranti a Facebook e Viber; Flavia attiva la sua rete di conoscenze per strutturare un’assistenza medica continua grazie al supporto della Croce Rossa, di MEDU, dell’INMP, di Medici Senza Frontiere e di tanti altri dottori volontari che vengono ad effettuare il triage in una stanzina afosa, con un ventilatore ad alleviare la calura ed un paravento a separare i pazienti dal resto del centro. Si gioca coi bambini, si organizzano concerti, si mangia insieme.
Si accolgono come meglio si può, con la sensibilità e la fantasia che ognuno ha e alla partenza si salutano con un good luck e uno zaino con le necessità primarie per il viaggio, compresa la speranza.
Tutto questo non sarebbe potuto accadere con una soluzione calata dall’alto, con una formalità precostituita ed imposta; tutto questo non sarebbe potuto accadere senza la collaborazione stretta con i mediatori, ragazzi eritrei emigrati da anni o di seconda generazione, e con gli operatori già presenti al centro Baobab: le cuoche eritree, gli addetti alla sicurezza del Niger e del Gambia.
Ma soprattutto tutto questo non avrebbe visto un’alba, oltre quella del 12 giugno, se migliaia di cittadini non avessero donato cibo, vestiti, medicinali, tempo e competenze per i migranti in transito.
Le cause sociali di questa risposta del tutto inaspettata non sono facili da trovare adesso. E’ tutto troppo vivo per riuscirvi a penetrare ed analizzare questa reazione collettiva.
Quello che pesa è che, vicende come quelle di Casale San Nicola hanno un’eco più vasta rispetto alla mobilitazione continuativa (ad oggi sono quasi tre mesi ininterrotti) e maggiore in termini di numeri (almeno un ordine di grandezza in più di uomini e donne coinvolto) in supporto dei migranti transitanti.
Al Baobab sono transitati, dal 12 Giugno, circa 25.000 migranti (cifra stimata valutando le presenze ai pasti e considerando 4 giorni di permanenza media), accolti da almeno 500 volontari (e qui è impossibile fare una stima, in quanto non vengono prese le presenze e sono davvero tante le persone passate anche per solo poche ore a dare una mano) e sostenuti da migliaia di donatori.
Circa 400 pasti serviti per tre volte al giorno, vestiti usati e donati ridistribuiti ai migranti, consegna di un kit di arrivo (carta igienica, spazzolino, dentifricio, shampoo, asciugamano, lenzuola, rasoio per gli uomini, assorbenti per donne, pannolini se ci sono bambini, foglio in tigrigno in cui si spiega l’accoglienza del Baobab e si chiede la collaborazione dei migranti) e di uno zaino per la partenza (acqua, biscotti, crackers, salviette, indicazioni per arrivare a Termini, un cambio di vestiti puliti quando disponibili): questa è l’offerta standard che al Baobab si cerca di ampliare con tutte le altre attività per non scadere nell’assistenzalismo.
A Casale San Nicola i migranti per cui si facevano le baricate erano 19, e i barricanti fermati 15 (nessun dato sulle presenze).
La questione dell’immigrazione in Italia è sottoposta ad una narrazione tossica da parte dei mass media: in barba alle statistiche e ai numeri reali, come viene data molta più rilevanza ad un reato commesso da uno straniero piuttosto che da un italiano, così viene dato maggior risalto a pochi italiani che si oppongono all’arrivo dei migranti rispetto alle migliaia che si mobilitano per la loro accoglienza.
Ma forse è giusto che sia così, che comportamenti disumani suscitino maggior stupore rispetto ad un sentimento di accoglienza verso i viaggiatori che dovrebbe essere atavico, rispetto all’empatia con chi sta peggio che dovrebbe essere scontata e non fare notizia.
4. Ripijamose Roma
Come finirà questa esperienza sociale non è dato saperlo: l’assessore alle politiche sociali ha paventato la chiusura del Baobab , ma il “piano D” non è ancora pronto e, visti i precedenti, rischia di essere disastroso.
Il campo della Croce Rossa presente alla Stazione Tiburtina non è stato ancora ampliato e gli acquazzoni di Agosto hanno evidenziato anche le difficoltà legate agli alloggi in tenda; il Ferrhotel, che la Danese indica già dal 15 Giugno come soluzione stabile, non sarà pronto prima della fine dell’estate.
I volontari hanno risposto con un comunicato in cui esprimono la loro preoccupazione per le dichiarazioni dell’assessore e per la mancanza di un coinvolgimento nella ricerca di una soluzione organica e stabile, che consenta ai migranti e ai cittadini romani di non vivere il transito dei profughi eritrei come un’emergenza.
Qualunque siano gli sviluppi di questa vicenda, di certo quello che è successo e sta succedendo non potrà non lasciare una cicatrice, una traccia, un monito per il futuro: i cittadini si sono presi cura di altri uomini e donne che passavano da Roma, hanno accolto autonomamente senza aver bisogno di istituzioni, si sono “pijati Roma” realmente, dimostrando che non sono più disposti più ad accettare che i migranti vengano accolti da ruspe e manganelli o che sulla loro pelle si stringano affari.
Riprendersi tutta la città e restituire qualcosa a chi ne è stato privato in passato, questo è quello che si deve continuare a fare.
Splendido pezzo. Nell’ultima fotografia c’è il senso di quel che accade oggi. Graecia capta ferum victorem coepit. Manco a farlo apposta, quella targa si trova sul famigerato Lungotevere mar(c)esciallo cadorna. Avanti così.