di Luca Pisapia
«Varrebbe davvero la pena di studiare, clinicamente, in dettaglio, tutti i passi di Hitler e dell’hitlerismo, per rivelare al borghese distinto, umanista e cristiano del ventesimo secolo che anch’egli porta dentro di sé un Hitler nascosto, rimosso.»
Aimé Césaire, Discorso sul colonialismo, 1955
Lampedusa, anno 2058
L’uomo nero indica la direzione. Al suo via, lentamente, il gruppo si mette in cammino. L’odore salmastro del mare si confonde con quello del cherosene. Nella notte stellata la luce stroboscopica dell’immenso faro di acciaio e vetro illumina a tratti quel lembo di terra sabbiosa che si getta in acqua, come cercasse di scappare.
Il bambino si guarda intorno, ovunque a piccoli gruppi guardie armate umane e meccaniche delle Nazioni Unite e della Lega Panaraba presidiano la zona. Poi si gira, verso l’ultima delle molte barriere con filo spinato elettrico che hanno superato. Dietro ognuna di esse, in apposite gabbie, altri gruppi di profughi attendono pazienti che sia compiuta la loro volontà. Il buio e il silenzio, che la filiera di raccolta, selezione e trasferimento degli umani è un incessante ronzio di sottofondo, sono interrotti solo dai fuochi di artificio di corpi che bruciano cercando di scavalcare le reti. L’odore di carne umana abbrustolita è spinto verso terra dal libeccio.
L’altoparlante chiama l’imbarco MB45. E’ il loro turno. Salgono sul gommone che li porterà in salvo dalle macerie della vecchia Europa impazzita: desertificata dal riscaldamento globale, devastata dalla guerra perenne delle mille città-stato, ognuna delle quali rivendica la superiorità ontologica del proprio Quarto Reich sulle altre. Un soldato li avvicina, spiega che in Libia nei giorni precedenti l’Isis, memento dell’ultimo intervento europeo nel Maghreb, ha ripreso controllo delle coste, per questo saranno portati in Tunisia. Da lì la lunga traversata nel deserto per raggiungere il cuore nero dell’Africa: la salvezza.
È la prima volta che il bambino naviga sul mare. Sguardo a prua, gli spruzzi che lo inondano sembrano disegnargli un sorriso sul volto, ma gli occhi sono quelli della paura.
Il tedesco lo osserva, toglie gli occhiali dalla spessa montatura che paiono appiccicati a quel ciuffo di capelli sporchi che gli spunta dal cranio, e dice: «Il primo fu su assist di Cassano. Ricevuta palla da Chiellini sulla sinistra al 20’ del primo tempo, Cassano si era liberato con una finta di corpo di tre difensori, palla dal destro al sinistro e cross morbido a centro area, dove lui rubava il tempo al suo marcatore e la infilava di testa, con rabbia, con violenza. Immediato, il gesto fu di prendersi tra le mani quella maglia azzurra che per lui significava più di ogni altra cosa. Poi corse raggiante verso Cassano. Lo abbracciò. Il secondo avvenne su lancio lungo di Montolivo dalla propria metà campo. Rubato ancora una volta il tempo al marcatore, addomesticava il pallone col petto prima di controllarlo a terra e, una volta entrato in area, scagliarlo con potenza all’incrocio. Poi si fermò, soli in mezzo all’area di rigore, a torso nudo e stringendo i pugni. Quel gol era per lui. Ce l’aveva fatta. O almeno così pensava.»
Il bambino guarda l’uomo, spalanca gli occhi, e gli chiede: «Ma chi era lui?»
Prima di rispondere, il tedesco volge lo sguardo al mare, poi allarga le mani con i palmi rivolti verso l’alto e dice:
«Era Mario Balotelli, il ladro del tempo.»
«Sì, a quel tempo giocava da noi, su in Inghilterra, al Manchester City», interviene il vecchio panzone, i cui tatuaggi scoloriti sul corpo volevano inizialmente raccontare una storia oramai dimenticata, da lui per primo. «Ma noi lo ricordiamo più per l’antipatia e per l’arroganza che per quello che ha fatto in campo, dove pure ha portato la sua squadra a vincere una Fa Cup e il titolo dopo quasi mezzo secolo. Faceva lo sbruffone, disturbava in continuazione, era respingente e fastidioso, riempiva le pagine di gossip e attirava su di sé come una calamita tutta l’attenzione e lo sdegno.»
«E che avrà mai combinato?», chiede una voce calma e profonda proveniente da poppa.
L’inglese snocciola un lungo elenco tra incidenti in auto, dichiarazioni altezzose, relazioni extraconiugali, case andate a fuoco, freccette tirate addosso alla squadra giovanile, allenamenti saltati, vestiario eccentrico.
«Quindi tutto ciò che fa normalmente un calciatore,» dice la voce dal fondo del gommone, «ma che a lui non era permesso in quanto nero. Perché in quell’Europa in cui cominciava la crisi che l’avrebbe distrutta l’uomo nero doveva per forze essere meglio o peggio dell’uomo bianco, a lui non era riconosciuta alcuna normalità. O eri un semidio nero, come Usain Bolt, LeBron James, e facevi cose che nessun uomo bianco sarebbe mai stato in grado di fare. E allora erano l’invidia e il complesso d’inferiorità a permettere la loro esistenza di diversi. Su questi uomini neri, il cui aspetto fisico eccedeva e quindi spaventava lo spettatore, si posava quello sguardo coloniale da predatore sessuale che per secoli l’uomo bianco aveva rivolto alla donna nera. Lo stesso desiderio omoerotico di assimilazione che J.G. Ballard aveva proiettato su Ronald Reagan, quando raccontava di ipotetici test in cui l’eiaculazione stimolata dal desiderio anale emergeva ogni volta che il paziente osservava la figura del futuro presidente. Oppure eri un house negro, la cui unica volontà di identificazione era con la classe dominante, della quale replicavi comportamenti, attitudini e desideri. Oppure eri un diverso tout court, e in quanto nero raccoglievi su di te i peccati del mondo e vagavi nel deserto dell’etica e della morale bianca. Balotelli era allo stesso tempo tutte queste alterità. Questo era il suo problema.»
«Non sono d’accordo», dicono all’unisono molte voci. «Non puoi scindere la sua figura pubblica dalla sua storia personale. La nascita a Palermo da una famiglia ghanese. I primi anni di vita dentro e fuori gli ospedali, per una malformazione intestinale. Il trasferimento nella plumbea periferia industriale padana in condizioni di indigenza, l’affido a soli due anni a una famiglia bianca e ricca, il senso di abbandono, il senso di rivincita…»
E mentre il bambino ascolta la polifonica biografia non autorizzata, un’altra voce interrompe questa litania sentita mille e più volte. È quella del medico di bordo: «Non c’è bisogno ogni volta di perizie psichiatriche nazionalpopolari per giustificare il razzismo. Non c’è bisogno né degli articoli del direttore cattolico del più importante quotidiano sportivo nazionale che invita al perdono, mosso da pietà cristiana, né del laico distacco dell’uomo di sinistra che finge di trovare motivazioni materialiste nella sua poca attitudine al gioco di squadra, o adduce scuse come ha sprecato il suo talento, a lui non piace il calcio, e simili. Questa è sempre teratologia, desiderio del mostro, (auto)creazione della vittima la cui funzione principale è in realtà l’aggressione. Tutto questo non serve a nulla. Balotelli voleva solo essere un calciatore, e invece è sempre stato l’uomo nero.»
Il gommone viaggia lento in superfice, planando quasi sulla crosta liquida di quella brodaglia chimica una volta conosciuta come Mare Mediterraneo, facendo slalom tra contenitori devastati e bidoni corrosi galleggianti che fino a pochi decenni prima trasportavano rifiuti organici e industriali. Il riflesso della luna dona al mare un’ambigua iridescenza chimica e fluorescente.
La voce dal fondo avanza, un uomo nero si sposta con una calma irreale verso prua, sembra che ogni suo movimento disegni i limiti di un controllo totale del corpo e della mente, la sua mano carezza la testa del bambino, che sorride. «Mi chiamo Isaach», dice. «“Non esistono negri italiani”, “Se saltelli muore Balotelli”, i versi da scimmia, gli ululati, le banane… Ha ragione il medico di bordo, tutto questo non ci può servire per spiegare i suoi processi inconsci, i suoi ipotetici fallimenti o le sue presunte rivincite. Questo ci deve servire per raccontare l’inconscio collettivo di un paese profondamente razzista, in cui le bufale su sinti, rom e migranti che dapprima rubavano il lavoro e poi in tempo di crisi i soldi del welfare erano date come verità. Chiunque finge di guardare all’inconscio di Balotelli lo fa per giustificare il clima generale, era Balotelli a essere l’inconscio di un paese. Alla fine ricordati solo che Tu non sai niente. Che cazzo ne vuoi sapere, tu, di Mario Balotelli. Tu pensi che Balotelli sia antipatico. Tu pensi che sia uno stronzo. O magari ti senti in dovere di difenderlo da chi pensa che lo sia. O forse pensi che sia due cose insieme, una buona e una cattiva. Ma è solo nel resto, l’inutile corollario mondo a Mario Balotelli, che ci può essere il buono e il cattivo. Tu non sai niente. Stai zitto.»
«Io me li ricordo quei due gol», dice la francese, senza alzare la testa da un antiquato tablet con lo schermo crepato su cui sta digitando numeri e cifre che al bambino appaiono incomprensibili. «Li ho visti e rivisti in televisione anni dopo, erano i gol che fece alla Germania nella semifinale dell’Europeo 2012. Io ricordo anche il titolo di Tuttosport il giorno dopo: “Li Abbiamo Fatti Neri”. E ancora peggio la vignetta di Valerio Marini sulla Gazzetta dello Sport in cui Balotelli era ritratto come King Kong, scimmione nero abbarbicato sull’Empire State Building. Nemmeno le vignette del regime fascista di Enrico De Seta erano così squallide. Il giorno seguente poi, in un tentativo di chiedere scusa che era peggio della vignetta, il direttore della Gazzetta scrisse: Pensare che qualche mente malata abbia voluto insinuare nelle nostre pagine l’equazione King Kong uguale scimmione nero [sic!], più che offensivo è francamente strumentale e assurdo. Quindi, a parte che la difesa ha origine dal presupposto che King Kong non è uno scimmione nero, ma Balotelli non si sa, è evidente il cortocircuito semantico del borghese illuminato che si pensa antirazzista perché tale si definisce, ma che non ha fatto i conti con la storia e non li può fare con il presente. È il rimosso coloniale dell’Italia che risale alla superficie. Ancora una volta Balotelli è il sintomo lacaniano, è The Thing di Carpenter: l’inconscio collettivo che riemerge da dove era stato nascosto.»
«Se noi non abbiamo mai fatto i conti con il nazismo, l’Italia di allora l’aveva fatto ancora di meno con il fascismo», dice il tedesco, prima che l’inglese lo interrompa spiegando che non è il caso di mettersi a litigare anche in mezzo al mare, oggi il nazifascismo è ovunque in Europa, tutti i governi delle Città Stato lo rivendicano, non sembra certo una cosa dimenticata.
«Dimenticata no», continua il tedesco, mentre con le mani si regge ai bordi del gommone, la faccia sempre più bianca e scavata di chi non ha mai visto il mare, «ma mai affrontata, fin da subito, e questo è stato il problema. Noi ci abbiamo provato mezzo secolo dopo raccontando con Il matrimonio di Maria Braun la sopravvivenza non solo dei gerarchi nazisti ma di una diffusa mentalità hitleriana nella borghesia, parte costituente del miracolo economico di Adenauer. I registi italiani neppure quello. Incapaci di ribellarsi ai presunti maestri del neorealismo, ai Rossellini che magnificavano una presunta resistenza cattocomunista funzionale al disegno alleato del compromesso storico, hanno deciso di non occuparsi del tema. Il fascismo era diventato il male assoluto, non più il risultato della divisione sociale del controllo dei mezzi di produzione da parte della nascente borghesia industriale al nord e del caporalato agricolo al sud. Non solo per decenni l’Italia ha negato l’uso dei gas e i campi di sterminio in Africa, ma ha rimosso l’intera storia coloniale precedente al fascismo. Poi, nel racconto creato dalla propaganda postbellica, si è dipinta come vittima del duce, un popolo povero ma bello che voleva pane amore e fantasia, ostile al conflitto e alla collaborazione italotedesca. Nel cinema e nella letteratura l’Italia ha creato i due stereotipi intrecciati del “bravo italiano” e del “cattivo tedesco”. Il racconto scarica sulle spalle dell’ex-alleato germanico il peso pressoché esclusivo delle responsabilità per lo scatenamento della guerra e la perpetrazione di crimini nei territori occupati dalle armate dell’Asse, così come promuove l’edificazione di un’interpretazione benevola del fascismo come dittatura all’”acqua di rose” (eccetto la fase della RSI) contrapposta all’immagine diabolica del nazismo e di Hitler. L’Italia si è autoassolta quando era coinvolta, per questo non ha mai sopportato Balotelli.»
«E allora perché nessuno sopportava Balotelli, nemmeno da noi?», ribatte Johnny l’inglese, grattandosi la pancia attraverso una dei tanti squarci della sudicia maglietta. «Ve li ricordate i social network, quelle gabbie di matti che vomitavano odio a gettito? Bene, Balotelli ne era obiettivo quotidiano, e con tutto lo schifo che insieme possiamo dire sull’Impero britannico, noi non avevamo nessun nazifascismo da cui fuggire. Prima della crisi eravamo uno dei migliori esempi di integrazione.»
La francese, per la prima volta, alza la testa dalla tavolozza digitale, guarda l’inglese negli occhi e gli dice: «Sai quando è nato Balotelli? Il 12 agosto 1990. Esattamente due mesi dopo, il calciatore inglese Justin Fashanu racconta in un’intervista al tabloid The Sun di essere omosessuale: è la prima volta che un calciatore lo fa. Ma nessuno lo applaude, nessuno ne fa una bandiera contro le discriminazioni. C’è un altro problema: Fashanu è nero. Quando comincia a giocare, nell’Inghilterra di fine anni Settanta, il calcio è il terreno di reclutamento e dell’avanzata politica dei movimenti neonazisti. Dietro la battaglia di Lewisham nelle strade e quella di Kenilworth Road nello stadio ci sono sempre le stesse facce di merda, i nazifascisti. Il melting pot coloniale britannico ha fallito. Quando Fashanu gioca e vince nel Nottingham Forest c’è un solo nero in nazionale (il suo compagno di squadra Viv Anderson, N.d.A.); quando dieci anni dopo Fashanu si dichiara omosessuale i neri giocano. Ma non è progresso, è precettazione. Nelle novantadue squadre delle quattro serie professionistiche del calcio inglese i giocatori dalla pelle scura diventano la maggioranza, ma di allenatori non ce ne è nemmeno uno. Il nero nel calcio può essere operaio, non dirigente. Lo prescrive l’immaginario coloniale.»
«Me lo ricordo, Fashanu», dice un vecchio italiano fino ad allora in disparte. «Divenne protagonista di un programma televisivo di satira calcistica.»
«No», ribatte secca la francese, «quello è il fratello John, all’epoca Justin si era già suicidato. Nella Gran Bretagna degli anni Novanta essere nero e omosessuale non era ancora possibile.»
«Justin Fashanu si impicca in un garage dell’est end londinese il 3 maggio del 1998», dice il medico. «Due mesi dopo la Francia vince il Mondiale con lo slogan “Black Blanc Beur”, ma anche quella fu redenzione arrivata a tempo scaduto. Io sono algerino, e prima di Zinedine Zidane noi avevamo Rachid Mekhloufi: doveva essere la stella della Francia ai Mondiali di Svezia nel 1958, ma il mese prima insieme a alcuni compagni decise di disertare, ritornarono di nascosto in Algeria, dove crearono la prima nazionale del Fronte di Liberazione Nazionale. La Fifa non li riconobbe, nessuno riconosceva la mia terra allora se non come una colonia francese, e riuscirono a giocare solo amichevoli con paesi del Patto di Varsavia o non-allineati. Arrivarono in Viet Nam, strinsero la mano al Generale Giap e a Ho Chi Min, e lo fecero come guerriglieri la cui arma era il pallone. Rachid Mekhloufi era nato a Sétif, capite, a Sétif. Non avrebbe mai potuto giocare per i padroni. Essere algerini che giocavano per la nazionale francese non era integrazione, era sfruttamento, riproduceva i meccanismi delle colonie. I primi a usare gli oriundi in Nazionale furono gli italiani durante il fascismo, servivano a esaltare la geometrica potenza imperiale. Nello stesso Mondiale evitato da Mekhloufi esordiva Pelé, tre anni dopo l’Europa scopre Eusebio, storie diverse, stessa funzione politica: l’assimilazione forzata. Entrambi sono stati vittime nella loro carriera di numerosi episodi di discriminazione ed entrambi hanno preferito non parlarne mai, come ambasciatori dei fittizi programmi antirazzismo istituiti dalla Fifa hanno trovato il posto perfetto in cui nascondersi. Eusebio e Pelé, accostati sempre a oggetti o animali il cui unico tratto comune era il nero, la perla, la pantera. Erano il gioiello dell’impero nella vetrina delle rispettive dittature, Salazar in Portogallo e il regime militare in Brasile. All’epoca dovevano svolgere un compito diverso da quello di Mekhloufi, più adatto al lusotropicalismo teorizzato da Gilberto Freyre, a società non industriali in cui il povero non doveva trovare nel diverso e nell’altro da sé la causa dei suoi mali, ma poteva permettersi di celebrarlo per condividere con lui una gioia che lo alienasse per un attimo dalla sua misera esistenza. La stessa funzione che si sperava avesse Zidane trent’anni dopo per le banlieue parigine. Ma qualcosa è andato storto.»
«Ma come?», lo interrompe il vecchio italiano, «Ma se era l’epoca dei “Black Blanc Beur”? Un editoriale sul quotidiano comunista L’Humanité il giorno dopo la finale scrisse che i due gol di Zidane avevano fatto di più per i diritti degli immigrati che mille discorsi della sinistra contro il razzismo. Non si può vedere la sussunzione del desiderio da parte del capitale ovunque: Marx è morto, e anche io comincio ad avere mal di mare.»
«Quel Mondiale del 1998 è stato solo l’ennesima foto-copertina di Paris Match dal barbiere, il solito vecchio vino coloniale in una nuova bottiglia, nulla più», interviene la francese. «In realtà quella squadra era spaccata tra bianchi e neri, e non appena Christian Karembeu disse che lui si sentiva più kanak che francese gli stessi tifosi che per un attimo avevano finto di idolatrarlo cominciarono a fischiarlo e a insultarlo in ogni stadio. Gli emancipati, i figli degli schiavi, dovevano continuamente dimostrare di meritarsi la libertà che era stata loro concessa. Nel 1998 il compito della riconciliazione nazionale era ancora sulle spalle dei discendenti degli schiavi coloniali. La disobbedienza al nero non era permessa: nel 1958, come nel 1998 come nel 2012.»
Un mormorio a poppa indica che il viaggio è al termine della sua notte. Nel buio dell’orizzonte lacerato dalle prime schiarite del sole si scorge la terra promessa.
«Woy yoy yoy yoy, yoy yoy-yoy yoy! Woy yoy yoy, woy yoy-yoy yoy! Woy yoy yoy yoy, yoy yoy-yoy yoy!» canticchia Isaach, mormorando parole al bambino incomprensibili come stòlen from àfrica, brot tu amèrica. «Woy yoy yoy yoy, yoy yoy-yoy yoy!» Questa semplice melodia, insieme alla gioia di essere in procinto di sbarcare, gli regala per la prima volta un sorriso. La paura del mare è oramai lontana. Il bambino non vorrebbe interrompere l’inglese, ma non resiste, e gli chiede: «Ma poi che fine ha fatto Balotelli?»
«È scomparso, nessuno ne ha mai saputo nulla.»
«Ma come mai?»
«Nel 2015 tornò in Italia, per l’ennesima volta, per provare a giocare a calcio e basta, ma non gli fu permesso. Non era nemmeno sbarcato per il suo ennesimo ritorno, che già televisioni e giornali scavavano nel suo passato e immaginavano per lui distopici presenti. Il suo nome era sulla bocca di tutti. Le curve italiane, specchio della società di un paese in cui si assaltavano i lager dove erano rinchiusi i profughi non per liberarli ma per ucciderli, continuarono con cori e oscenità razziste. I media, nel nome dell’antirazzismo, riempivano pagine colme di stereotipi e di luoghi comuni sul diverso. A sinistra il meglio che accadeva era il disinteresse. Il peggio quelli che continuarono a insultarlo ogni giorno spiegando che a loro interessava solo il calciatore, ma parlando di tutto fuorché di calcio. Non perdonando mai a lui di essere come gli altri, nel bene e nel male.»
Il sorriso sparisce dalla faccia del bambino. Il vecchio italiano, le cui convinzioni cominciano a vacillare, mormora – «Era un paese di merda l’Italia. Il pus scoppiò in faccia agli illusi e impestò istituzioni e società civile a partire dagli anni Ottanta, quando l’immigrazione da paesi extraeuropei stimolò il risveglio di mostri rimasti “in sonno” per decenni. Non abbiamo mai fatto i conti con il razzismo di ieri e le sue catastrofiche conseguenze, e questo ci impediva di fare i conti coi razzismi dell’oggi. Chi all’epoca lo negava, non faceva altro che affermare il trionfo ideologico dell’inconscio coloniale.»
La francese scruta a terra, poi con un rapido gesto passa il tablet a Isaach, si volta, e dice: «Balotelli è stata la nostra crisi. La crisi di un continente che in quegli anni cominciava la sua desertificazione e costruiva le sue mille riproduzioni locali del Quarto Reich che ne hanno portato alla scomparsa. È soltanto alla fine, quando è troppo tardi, che si comincia a capire che quelle sequenze di piccoli fatti stavano tracciando sul muro, sotto lo sguardo di tutti, le linee di un cruento destino. Non capimmo che se ciò che era stato non poteva ripetersi tale e quale, era possibile qualcosa di ancora più inquietante. Come agli inizi del ventesimo secolo la seconda o terza crisi del capitalismo aprì la strada ai nazifascismi, così agli inizi del ventunesimo secolo l’ultima crisi sprofondò Europa nel vicolo cieco della distruzione del Quarto Reich. Balotelli ci ha annunciato la crisi, e noi non abbiamo voluto ascoltarlo.»
Isaach si alza in piedi, guarda l’orizzonte, si liscia il vestito color carta da zucchero rimasto stranamente immacolato, con una calma assoluta picchietta con le dita sul tablet nascosto nella tasca della giacca e dice: «Il 16 dicembre 2007 Balotelli esordisce in Serie A al 90mo minuto di Cagliari-Inter. Il 19 dicembre, segna le sue prime reti ufficiali con la maglia nerazzurra, una doppietta alla Reggina in Coppa Italia. Il 2 gennaio 2008 il prezzo del petrolio raggiunge per la prima volta nella storia i 100 dollari al barile. Il 21 gennaio le borse mondiali crollano sotto gli effetti della crisi dei subprime. Il 6 aprile Balotelli segna il suo primo gol in Serie A all’Atalanta. Il 15 settembre Lehman Brothers dichiara bancarotta. È la fine. Balotelli ci ha raccontato la fine.»
Post Scriptum
Sono passati oramai diversi anni da quel viaggio, ricordo a malapena i nomi e le facce dei miei compagni. Appena messo piede a terra, in Africa, non li ho mai più rivisti. Dopo un tentativo di riunificazione sotto il Quarto Reich scandinavo, con la reggenza di Anders Breivik VIII, l’Europa si è definitivamente dissolta. Non organizzano nemmeno più i viaggi della speranza.
Oggi splende il sole, e se lo guardo, è scomparsa quella strana macchia a forma di croce con le quattro estremità piegate verso destra che vedevo da bambino in Europa, e che lo facevano soffrire.
Ho anche cambiato nome.
Qui, per tutti, sono Mario Balotelli.
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N.B. I commenti a questo racconto verranno aperti dopo il 7 settembre 2015, per dare il tempo di leggere con calma e stimolare risposte meditate e, soprattutto, pertinenti.
Complimenti per il post.
Già le interazioni su twitter hanno dimostrato come l’argomento “Balotelli” sia una sorta di esca che attira meccanismi automatici di opinioni che fanno emergere riflessi del “razzismo dentro di noi”.
Ho avuto modo di dare una mano ad alcune presentazioni di libri in argomento sport e razzismo e ho trovato molto interessante il lavoro che ha fatto, e sta facendo, Mauro Valeri in tema (in particolare “Nero di Roma. Storia di Leone Jacovacci, l’invincibile mulatto italico” per il legame con la storia e la politica coloniale italiana, e anche sullo stesso Balotelli).
Come nel post, in queste storie viene evidenziato molto spesso il ruolo negativo del giornalismo sportivo. La prestazione sportiva viene spesso interpretata tramite pregiudizi razziali e si costruisce un personaggio pubblico e una sua epica, sopra la persona dell’atleta, volta a confermare/costruire/contestare obiettivi politici.
Vedere ancora oggi una vignetta di Valerio Marini fa pensare che, poichè si tratta solo di sport e intrattenimento, è lecito utilizzare direttamente una comunicazione apertamente razzista. Per esempio, solo qualche giorno fa, sul Guerin Sportivo, Stefano Olivari scrive “Difesa a quattro con centrali energici, due negri (nel senso di spazzatutto) davanti alla difesa anche se non sono Vieira o Yaya Touré”
http://blog.guerinsportivo.it/blog/guerin-sportivo/2015/09/01/inter-il-bilancio-che-torna-a-mancini
Lo sport riguarda fortemente il corpo delle persona. Per questo motivo emergono con forza le tensioni razziali di una società meticcia. Il corpo viene analizzato e sezionato minuziosamente e su questo viene costruito un discorso spettacolare, pubblico e anche scientifico.
Andando forse fuori argomento ho trovato molto interessante il libro “Olimpiadi. L’imposizione di un sesso” di Elisa Virgili.
Che ripercorre le difficoltà da parte delle istituzioni sportive, e medico-scientifiche, di applicare l’etichetta “maschile” e “femminile” sul corpo di un’atleta. E qui forse si potrebbe ritornare al precedente post di Mariano Tomatis sulle scienze.
http://milanoinmovimento.com/rubriche/sui-generis/olimpiadi-limposizione-di-un-sesso-intervista-allautrice-elisa-virgili
devo essere sincero, per diversi motivi questo racconto non mi è piaciuto. A parte la pedanteria di mille oscuri aneddoti ripetuti a raffica e che a mio parere stonano un po’ in bocca a dei profughi che, scappando da una guerra, tutt’altri pensieri dovrebbero avere. Ma a parte questo personalissimo giudizio, alcuni punti mi hanno colpito e vorrei farli notare.
Su Eusebio (figlio di madre ‘nera’ e padre ‘bianco’), l’autore è sicuro si tratti di assimilazione forzata? Ed è sicuro che lui stesso non abbia deciso di “essere portoghese”, per motivi di convenienza, amore o carriera? è sempre il potere a cooptare o sono anche i singoli che si lasciano lusingare da certi onori, qualunque sia la loro pigmentazione?
Lo stesso Zidane *scelse* di giocare con la Francia allo stesso modo in cui Hachim Mastour ha deciso di giocare col Marocco pur essendo nato e vissuto sempre in Italia. In questo caso non c’è potere che coopta ma scelte personali dettate da fattori che non sempre hanno a che fare col colore della pelle o con i poteri nazionali(stici). (su Mastour e gli altri sto preparando un articolo che, chi vorrà, potrà chiedermi di citare)
Ancora, il punto centrale del racconto mi sembra (correggetemi se sbaglio) il fatto che “odiare Balotelli significa non fare i conti col passato coloniale”.
Ecco, chi ha frequentato le curve dovrebbe poterla vedere in modo un po’ diverso.
Ho visto Luca Toni tornare a Palermo ed essere fischiato per dieci anni di fila, con coreografie raffiguranti enormi cessi che accoglievano la merda con la faccia dell’ex idolo;
Ho visto ventimila persone cantare per 90′ “E Criniti è un figlio di puttana” dopo alcune dichiarazioni velenose.
Ho visto Materazzi deriso e insultato in tutti gli stadi d’Italia solo per il fatto di essere Materazzi.
Secondo voi, davvero CHIUNQUE fischi Balotelli lo fa perché “non ha fatto i conti con la storia e non li può fare con il presente. È il rimosso coloniale dell’Italia che risale alla superficie. Ancora una volta Balotelli è il sintomo lacaniano”?
Davvero un ultrà della Roma (una squadra con cui Balotelli ha vari conti in sospeso), magari antifascista e di sinistra, NON PUO’ fischiare Balotelli senza essere “inconsciamente e Lacananiamente” considerato razzista, come sembra sostenere l’autore?
Io so bene che Balotelli fa letteralmente impazzire i fascisti perché è fiero delle sue origini ghanesi, è spavaldo e se ne strafotte di tutto e di tutti. So bene che i fischi di *semplice *antipatia si confondono e vengono sopraffatti da quelli razzisti. So anche che i media italiani (tutti compresi, anche quello dove l’autore de racconto scrive assieme a Fusaro, S. Lucarelli, Caselli etc) sono davvero immondi e pronti a vellicare i peggiori istinti degli italiani.
Ma ho letto Bianciardi, una persona dalla spiccatissima libertà di pensiero, che scriveva ai lettori del Guerino:
“Io non sono razzista, e proprio perché non sono razzista posso permettermi di dire che Cassio/Maometto Alì mi sta antipatico.”
In teoria, dovrebbero essere questo l’atteggiamento condiviso.
Ma in Italia, e nelle curve, purtroppo la situazione è talmente sull’orlo del precipizio che ho già deciso che proverò a evitare di fischiarlo (come faccio indiscriminatamente con tutti i giocatori avversari a prescindere dal grado di melanina) quando verrà a giocare nella sua città natale. Ma anche questo eccezionalismo, non è forse un subdolo modo di manifestarsi del razzismo? “Non fischiamolo per non sembrare razzisti” è un atteggiamento opposto all’intelligente (seppur provocatoria) frase di Luciano Bianciardi.
Poi, si tratta davvero soltanto di “perizie psichiatriche nazionalpopolari per giustificare il razzismo” sostenere che la storia personale di Balo possa aver potuto influenzare il suo comportamento? La sua condizione di reietto negli stadi è paragonabile a quella di Eto’o, che agli sfottò razzisti poteva opporre la carica (spesso e volentieri ironica e sfottente) delle proprie solide radici culturali *totalmente e interamente* africane? Balotelli non è *solo* nero, non ha una solida cultura nazionale come Eto’o, ha una storia personale totalmente nomade, come moltissime ‘displaced person’ in questo secolo di migrazioni.
Mi rendo conto, la situazione è complicata e sto diventando prolisso.
Chiudo dicendo che ho sempre difeso Balotelli, lo reputo un gran giocatore che però ha oggettivi problemi di ordine tattico, come si è potuto osservare nelle sue rare uscite col Liverpool.
Però l’ho comprato al fantacalcio (penso sia la prima volta che il fantacalcio viene citato su Giap XD) e spero che segni molto (non contro il Palermo, sia chiaro) e faccia venire la bile ai tanti che lo fischieranno solo per il colore della pelle.
Ciao Carlo, solo una piccola “mozione d’ordine”: va bene tutto, ma evitiamo di usare l’espediente del «colpevole per associazione». Il Fatto Quotidiano pubblica ogni tanto articoli del giornalista precario Luca Pisapia, ma da qui a dire che Luca scrive «insieme a Fusaro» (al quale purtroppo è stato affidato un blog sul sito del giornale) o «insieme a Caselli», beh, ce ne passa.
IFQ era partito con un chiaro framing giustizialista e “manettaro”, che in generale ha conservato ma nel frattempo si è fatto sempre più schizofrenico, con diverse linee a seconda degli argomenti (il mondo del lavoro è seguito molto bene, altri settori sguazzano nel latte alle ginocchia), un direttore ex-allievo di Montanelli (e da queste parti non è considerata un’onorificenza) e una redazione on line che ha trasformato il sito in uno zibaldone dove scrivono cani e porci, sinistra e destra, gente più che stimabile e guitti odiosi, purché si faccia del clickbaiting. Di questa situazione non ha certo colpa Luca, né nessuno dei collaboratori precari. Soprattutto, questa situazione non c’entra col racconto pubblicato qui sopra.
Solo un’altra nota, poi spero in un bel dibattito: questo racconto appartiene al sottogenere del dialogo filosofico. in un dialogo filosofico, le battute dei personaggi non devono essere “realistiche”, ma rappresentative di posizioni che, con tutta evidenza, li trascendono.
Carlo, devo essere sincero anch’io, a mio avviso il nocciolo della questione sta proprio nel tuo “personalissimo giudizio”, quando scrivi: “A parte la pedanteria di mille oscuri aneddoti ripetuti a raffica e che a mio parere stonano un po’ in bocca a dei profughi che, scappando da una guerra, tutt’altri pensieri dovrebbero avere.” Queste poche righe da sole danno un senso a tutto il racconto di Pisapia, perchè sono alla base di molto del non detto sui Balotelli di tutta Italia.
Trovare insolito o stridente che dei profughi possano parlare di calcio significa negare che la loro vita possa essere, con tutti i limiti legati alla situazione contingente, normale o assimilabile a quella di chiunque altro. Significa relegare quelle persone al loro stato temporaneo, volerli vedere necessariamente come “altri”. Come se avessimo la necessità di associare al profugo la figura del disperato assoluto, di colui che perde completamente la sua umanità entrando in quello status. Lo trovo molto simile a chi afferma di aver visto dei “migranti con lo smartphone” e quindi, per questo, non degni di essere aiutati.
Le foto di bambini che giocano a calcio a Gaza come a Kobane ci dicono (anche) che lo sport è un mezzo per resistere a meccanismi disumanizzanti come la guerra o la segregazione. Qualche anno fa, un ragazzo liberiano entrato in un progetto di accoglienza in Italia, mi disse che l’unico argomento comune tra i migranti che lo accompagnarono lungo il tragitto dall’Africa all’Italia fu proprio il calcio.
Per questo Balotelli è “the thing”, non gli viene mai permesso di essere solamente stronzo, o antipatico, o un pessimo giocatore di calcio. Queste caratteristiche sono solo il pretesto per fargli pesare altro.
Una strofa di “La Rivoluzione (non sarà trasmessa su YouTube)”, che per certi versi è un racconto futuribile come quello di Pisapia, recita:
“perché i dannati della terra daranno fuoco ai lager.
E avranno diritto di delinquere anche loro.”
Accetto senza problemi la mozione d’ordine e anzi rilancio facendo outing: io stesso ho svolto un tirocinio retribuito e ho firmato articoli per QN – Resto del Carlino, un giornale immondamente più a destra dello stesso Fatto Quotidiano.
Noone is innocent, e poi io non sono nessuno per giudicare le scelte di vita – precaria, oltretutto, mi dite – di Luca Pisapia.
Inoltre, se c’è un aspetto della vostra presenza in rete che apprezzo è proprio quello di far esplodere le contraddizioni: il modo in cui avete difeso la vostra scelta di rimanere in Einaudi lo ho ben capito e lo condivido totalmente.
Come diceva quel pensatore pelato (non mi riferisco ad Arrigo Sacchi): Non esiste un fuori dal potere.
Però se ho (con un gesto velenosetto) fatto notare alcuni tra i più imbarazzanti autori ospitati dal Fatto è per collegarmi alle due domande che sono il nucleo centrale del mio commento:
1. Si può andare allo stadio e fischiare Balotelli senza essere razzisti?
2. Si può avere, con Balotelli, lo stesso atteggiamento tenuto da Bianciardi con M. Ali?
Se, ad esempio, mi dovessi trovare in curva nord come ogni domenica a seguire il Palermo e dovessero piovere eventuali bordate di fischi verso Balotelli, dovrei scusarmi? Dovrei dissociarmi?
Penso proprio di no, come penso che Luca Pisapia abbia tutto il diritto, per campare, di lavorare in un giornale di cui non condivide al mille per mille la linea editoriale (cosa impossibile tra l’altro).
Se ci tengo a sottolineare questo punto è perché, qualcuno lo ricorderà, dopo l’omicidio di Ciro Esposito da alcuni ambienti dell’estrema sinistra provennero richieste (per me deliranti) di dissociazione dei ‘compagni’ della curva romanista nei confronti del neofascista e assassino De Santis.
Chi conosce la curva (e mi piacerebbe ascoltare l’opinione a riguardo di WM5, che se non sbaglio è il vostro membro che più ha frequentato gli stadi, o almeno così racconta nel suo Ordigni), chi sa quali sono le dinamiche di una realtà interclassista e politicamente variegata come la curva, sa bene che una richiesta del genere è totalmente assurda, tanto quanto è assurdo fare una colpa a Luca Pisapia di scrivere sullo stesso giornale di Fusaro. O come, a mio avviso, sarebbe scorretto sostenere che *chiunque* fischi Balotelli sia inconsciamente razzista e incapace di dimenticare il passato coloniale italiano.
Carlo, secondo te esiste qualcuno di noi, di tutti noi, che sia immune dal razzismo e dal rimosso coloniale? Esistono italian* che non siano cresciut* in simbiosi con la macchina mitologica degli “italiani brava gente”? Io e te siamo cresciuti in un immaginario razzista, plasmato da rimozioni razziste, e agiamo, quando non ci stiamo attenti (cioè spessissimo), propulsi da automatismi culturali e psicologici razzisti.
Io mi accorgo, ogni tanto, di dare per scontata una situazione che razionalmente avverso: la gerarchizzazione etnica del mercato del lavoro. Ad esempio, è “normale”, nel mondo rovesciato del mercato del lavoro razzista, che una donna ucraina, russa o moldava, plurilaureata e poliglotta, che ha studiato e lavorato sodo per conseguire quel grado di istruzione, si ritrovi a fare le pulizie in casa di una medio borghese italiana semianalfabeta, moglie di un bottegaio leghista che inveisce tutti i giorni contro i migranti. Nella gerarchia implicita e inconfessata, “quelli dell’est” sono inferiori a “noi” e meritano di stare “sotto”. Razionalmente lo rifiuto, ma poi mi accorgo di cedere a questo automatismo, e più me ne accorgo più mi chiedo come combatterlo, e come farne scoprire l’esistenza a chi invece non se ne accorge mai.
Beato te, se in una condizione del genere, che non esenta nessuno, e per giunta in un momento “fusionale” e di pathos di massa come se ne vivono in curva, sai discernere e dire: “Lui sta fischiando per razzismo… L’altro sta fischiando per motivi prettamente tecnici… Io non sono razzista e quindi se sto fischiando non è sicuramente per razzismo…”
Davvero secondo te queste cose avvengono sul piano della coscienza e del raziocinio? Davvero in un frangente del genere si sceglie uno e un solo motivo per fischiare un calciatore nero, scartando tutti gli altri, bloccando automatismi e istinti come si blocca un utente sgradito su Twitter?
Il razzismo è terribilmente subdolo e complicato, e in diversa misura è dentro ognuno di noi. Anche dentro Bianciardi. Dire “non sono razzista” è facile, e non sempre è una dichiarazione insincera. Meno facile è capire che, dicendolo, manifestiamo eccessiva fiducia nella parte raziocinante di noi stessi, e questo ci disarma di fronte a dispositivi terribili, a macchine mitologiche immense.
Il caso Balotelli è un sintomo rivelatore che rivela questa situazione più e meglio di altri. Un racconto come quello di Luca è prezioso.
Caro Carlo Trombino, penso che il tuo commento non colga il punto. Ad essere oggetto del racconto di Luca Pisapia è la società italiana. Non si tratta né di un’apologia di Balotelli né di una mozione d’accusa a *tutti* i tifosi che lo fischiano. Secondo me si può fischiare e pure criticare Balotelli per come gioca a calcio, senza essere razzisti. (Se i fischi diventano ululati ad imitare il verso delle scimmie, il discorso cambia. Ma non è manco solo questo il punto.)
Il comportamento non solo, e non tanto, dei tifosi allo stadio, ma di tutta la società italiana, media in testa, nei confronti di Balotelli, è un sintomo lampante, e questa sua luminosità lo rende utile all’analisi della società stessa, Lacan o no. Balotelli è materia incandescente. Gli esempi che fai come “controprove” (Eto’o, camerunense che ha giocato nel Cameroun, una frase di uno scrittore italiano su Alì – pugile afroamericano, Zidane, calciatore francese di origini berbere, lo stesso Mastour, italiano naturalizzato marocchino) non sono calzanti. Sono tutti casi molto diversi. Balotelli è incandescente in quanto nero E italiano, nero e vincente e *italiano*, che ha giocato nella nazionale italiana. La rimozione del passato coloniale italiano, l’incapacità della società italiana di accettare che ci sono e ci saranno sempre di più neri italiani c’entrano eccome.
Mastour che gioca nel Marocco da nato in Italia non sarà mai perturbante per la società quanto Balotelli, l’italiano che gioca in Italia da nero. I motivi delle scelte – personali come dici – di giocare per un paese o un altro non sono l’oggetto del discorso qui. È “meglio” Mastour che va a giocare in Marocco e non gioca nella nazionale di questo paese di merda? Boh! Chi se ne frega. Il punto sono le reazioni della società a queste scelte. Di tutta la società, compresa quella che non è mai andata allo stadio e che magari non guarda il calcio nemmeno in TV. In questa società anche mia nonna sa chi è Balotelli mentre Mastour non l’ha sentito nominare quasi nessuno, e non perché Mastour è scarso, ma perché Mastour, con la sua scelta magari rispettabilissima, non mette in crisi il discorso e l’inconscio razzisti collettivi, come invece fa la sola nuda esistenza di Balotelli, altro che comportamento e analisi psichiatriche.
Le tue obiezioni non sono in sé sintomo di un tuo razzismo secondo me. Sono tipiche di chi segue il calcio, frequenta gli stadi e non si capacita del perché ci sia tutto questo clamore per i fischi e gli insulti a un giocatore. Le ho già sentite da molti compagni antirazzisti. È vero, molti giocatori vengono fischiati. No big deal! Ma Balotelli non è solo questo. Esiste un’intera società fuori dallo stadio che si torce e si contorce su Balotelli senza neanche pensare al calcio. Ci sono politici che non parlano MAI di calcio ma qualcosa su Balotelli ogni tanto la dicono, che va sempre bene. Ci sono quasi tutti i giornali e tutte le televisioni che scrivono e parlano di ogni sua scorreggia, con un’attenzione che non rivolgono a giocatori anche più bravi o titolati. E poi certo questo coinvolge anche il mondo del calcio, che non è alieno alla società, anzi. A quale altro giocatore sono state imposte clausole sul taglio di capelli, in Italia? Il taglio di capelli influisce sulla resa di un giocatore? E allora Cristiano Ronaldo come ce lo spieghiamo? Influisce sul carattere o sul comportamento? Non mi pare. È la società italiana che non riesce a sopportare un nero italiano esuberante, neppure nel taglio di capelli, neppure in un ambiente dove ormai è raro trovare qualcuno che ha un taglio di capelli da persona seria.
Insomma, io capisco che molte delle cose che dici possono anche essere vere, in sé, ma non sono obiezioni a ciò che esprime il racconto di Luca.
Su tagli di capelli e razzismo italiano visti attraverso Balotelli segnalo questo: http://liverpooloffside.sbnation.com/2015/8/28/9218189/hairspray-balotelli-ac-milan-racism-code-of-conduct di @gatovaldes
#Balottelli:”Non perdonando mai a lui di essere come gli altri, nel bene e nel male”. Qui vi è il tutto. Il tutto in un calcio che vive spesso di obbedienza,ordine,disciplina.Lui è andato contro l’obbedienza, l’ordine e la disciplina, ed il fatto che non fosse bianco,come la purissima “brava gente italica” ha ancor di più aggravato la situazione. Bel pezzo, che se in prima istanza comporterà la “reazione” di dire o pensare se non scrivere, ma questo no, non lo si fa, forse, che… ma guarda tu i wuming, giap, vanno a difendere un moccioso miliardario che brucia case, gira in elicottero, sfascia ferrari ecc, che ha usato il colore della pelle per nascondere il suo fallimento, ebbene, se uno usa la testa e pensa e ragione e ben comprende che il calcio è lo specchio reale del nostro vivere quotidiano in tale schifosa società, ben capirà che le cose sono diverse, opposte ed anche sottili.Non giriamoci intorno in Italia il razzismo è profondo e se una persona, non bianca, osa mettere in discussione la disciplina, come lui ha fatto…apriti cielo con tuoni e fulmini degni della peggior società fascista.mb
Provo a riportare una parte della critica che muovevo su Twitter.
Io sto notando che esiste un grosso problema a livello tecnico di linguaggio che diventa sempre piu’ critico e che prima o poi diventera’ cruciale. Ancora gli ambiti sembrano ben definiti, e quindi il mio discorso puo’ apparire solo come eccesso di pignoleria, ma si arrivera’ al punto in cui la mancanza di un criterio diverra’ critica. In pratica mancano dei criteri equilibrati di giudizio. Il problema del razzismo si inserisce in un gruppo molto piu’ vasto, un discorso culturale che riguarda i pregiudizi in genere e che si estende, per esempio, alla condizione e percezione delle donne. Prendi tutto il discorso degli ultimi anni sul “corpo delle donne”, o anche ultimamente le questioni sulla violenza e misoginia nei videogiochi (che pure riguarda la rappresentazione e l’immaginario diffuso).
Allora, il punto e’ che mancano criteri di giudizio. QUINDI chiunque partecipa al dibattito risponde semplicemente in merito a quello che si “sente”, quando invece la reazione emotiva, che in genere viene considerata legittima, invece e’ totalmente sbagliata proprio perche’ non e’ mediata da un ragionamento attento quando si ha a che fare con un problema complesso. Bisogna dire chiaramente che quello che uno si “sente” di fare spesso e volentieri e’ totalmente errato. Ed e’ anche molto facile e sbrigativo, mentre si e’ convinti di essere nel giusto.
Nello specifico: esiste questa idea per cui un giudizio critico espresso su Balotelli, la persona e non il giocatore, debba essere NECESSARIAMENTE dovuto ad un razzismo latente (e dove non e’ latente, esplicito).
Quindi la mia domanda e’: esistono dei criteri oggettivi per poter distinguere dove una affermazione e’ razzista, oppure dove e’ fatta in merito alla sua normale motivazione? In base a cosa decidiamo?
L’esempio paradossale che avevo fatto era Salvini. Proprio perche’ chi ascolta quello che dice conosce GIA’ l’uomo. E quindi e’ in grado di esprimere un giudizio netto anche su quello che dice.
Esistono i due piani del discorso. Il primo dove Salvini puo’ fare un’affermazione, e questa affermazione appare assurda, esattamente per quello che e’, perche’ chi ascolta ha ovviamente una diversa opinione. E poi un piano distinto in cui Salvini dice una cosa, ma chi ascolta non ci crede, perche’ l’affermazione fatta non corrisponde a quello che Salvini pensa.
Nel secondo caso noi possiamo dire che una affermazione che Salvini fa e’ razzista non perche’ lo e’ la frase stessa, in maniera esplicita, ma perche’ conosciamo la persona. E quindi si sostituisce una motivazione esplicita falsa, ad una implicita e non detta.
Capite la differenza tra questi due livelli? Uno in cui il razzismo e’ esplicito, come se qualcuno insultasse direttamente Balotelli per il colore della pelle o gli tirasse una banana. E uno invece implicito, per cui un’accusa ha una motivazione esplicita non-razzista, ma chi ascolta la sostituisce con una implicita razzista.
Il problema che voglio sottolineare e’ che nel momento in cui ci sentiamo autorizzati a manipolare delle affermazioni sostituendo le ragioni esplicite con altre implicite, arriviamo anche a un punto in cui e’ teoreticamente possibile accusare chiunque di qualunque cosa. L’accusa si sposta dal piano dialettico del discorso, al piano del pensiero: io so’ che quello che tu dici e’ diverso da quello che TU PENSI.
Quindi una qualsiasi persona che ti ascolta diventa autorizzata ad accusarti in base a cio’ che lei decide tu PENSI, invece che cio’ che DICI ed esprimi. E se io decido che tu pensi “x”, allora tu non hai nessuna possibilita’ di difenderti, perche’ la tua parola e’ automaticamente falsa. Se io ho deciso che tu sei razzista, allora lo sei. PUNTO. O lo accetti e abbassi il capo e ti vergogni e ti scusi, oppure sei colpevole due volte, perche’ sei razzista e neanche sei pronto ad accettarlo direttamente. Sei meschino E razzista.
Allora, ritornando all’esempio di Salvini. E’ un esempio che funziona perche’, noi conoscendo la persona, possiamo anche permetterci di giudicare quello che PENSA, oltre a quello che dice. Ma per tutti gli altri? Conosciamo veramente chiunque da poter giudicare e accusare di razzismo? Abbiamo veramente questo diritto di puntare il dito sistematicamente e giudicare le persone avendo la convinzione di sapere quello che pensano intimamente?
E’ possibile esprimere un giudizio negativo su una persona di colore senza l’ombra del sospetto di razzismo? Capite che questa e’ un’area grigia e che deve avere criteri certi in modo che possiamo avere una discussione costruttiva?
Ora passiamo dall’astratto allo specifico e vi faccio un esempio assimilabile a Balotelli: Fabrizio Corona. Si tratta di un’altra persona su cui CHIUNQUE si sente in diritto di esprimere una opinione, direi quasi unanimemente negativa (a torto o ragione). Eppure questo altro tizio non e’ nero. Vorrebbe forse dire che se fosse stato nero qualunque critica e accanimento sarebbero stati visti come manifestazioni razziste?
Non sto esprimendo opinioni personali, ma mi pare di osservare che pure su Corona esistono forme di “pregiudizio”. Eppure sono pregiudizi che in questo caso non sono direttamente di matrice razzista. E penso che anche nel caso di Balotelli esistano tanti pregiudizi. Ma immagino che una parte siano razzisti, altri non razzisti, e altre ancora critiche che potrebbero essere considerate del tutto legittime. Distinguere questi livelli e’ DIFFICILE. Non si puo’ tirare un lenzuolo sulla cosa e accusare indiscriminatamente chiunque di un razzismo pervasivo e, siccome pervasivo, IMPOSSIBILE DA COMBATTERE.
E questo discorso confluisce in quello che puo’ essere considerato una “campagna” di sensibilizzazione, come immagino l’articolo voglia fare. Non pensate che prima di affrontare sospetti ambigui di razzismo pervasivo e latente, non sia invece meglio affrontare quello che e’ un razzismo ESPLICITO e comunque molto presente e diffuso? Il razzismo latente dell’opinione puo’ dar fastidio ed offendere, ma il danno e’ minimo. Mentre il razzismo esplicito ha conseguenze dirette.
Una cosa sono il pensiero e l’opinione, altre sono LE AZIONI. E prima di cominciare a puntare il dito contro pensieri ed opinioni, bisognerebbe gia’ avere criteri di giudizio certi e solidi, invece di sospetti diffusi ad ampio raggio, come accuse che vengono lanciate a tutti e nessuno.
Nessuna battaglia puo’ essere vinta accusando la “cultura” come un ente astratto responsabile, senza faccia. Si possono invece accusare le SINGOLE PERSONE, e le singole opinioni, nel loro specifico. Le scelte personali, la mia e la tua capacita’ di decidere, e di capire di aver sbagliato.
Altrimenti sono mulini a vento, per compiacersi senza ottenere risultati.
Balotelli è continuamente oggetto di razzismo anche del tutto esplicito Comunque, quello che tu chiami “razzismo latente” non è meno esplicito di quello che chiami “esplicito”. Tutto sta nel prenderne coscienza, fermarsi a riflettere giusto un secondo, che è precisamente ciò che questo racconto aiuta a fare, più che “lanciare campagne”.
Il tipo di commenti extracalcistici (pure quando non sono espliciti tipo “negro” o “scimmia”) o anche solo la quantità di attenzione immotivata che viene riservata a Balotelli rispetto a qualsiasi altro calciatore italiano, non ci dicono nulla? Sono elementi che non devono essere considerati, non sono utili per analizzare il fenomeno? O per te proprio il fenomeno-Balotelli, in sé, è inutile per capire il razzismo italiano? Non sono d’accordo, secondo me è utilissimo. E anzi è proprio quello che tu chiami “latente” a dirci di più sulle cause rimosse di quello “esplicito”, ne svela i meccanismi mentali, le condizioni, il contesto, senza i quali quello esplicito non potrebbe esistere.
Ci sono un sacco di “singole persone” accusabili di razzismo esplicito o “esplicitamente latente” nel fenomeno-Balotelli. Ed è anche vero che infine la personalizzazione dell’obiettivo è una fase necessaria in un processo di liberazione o emancipazione. Ma il punto di questo racconto credo sia far riflettere il lettore sul proprio razzismo, e sul contesto sociale in cui è inserito. Ma forse per te è inutile. Forse tu preferiresti una bella campagna antirazzista contro poche persone specifiche, gesti specifici di persone specifiche, senza un ragionamento sulle cause storiche, politiche, sociali, culturali. Qualche colpevole messo all’indice: ecco, LUI è razzista. Ma chi la dovrebbe portare avanti, se i fenomeni che osserviamo ci mostrano in maniera lampante, stra-esplicita, che siamo immersi nel razzismo, a livello istituzionale, mediatico, di massa? Allora torna utile appunto riflettere sulle condizioni di tutto ciò. Ad esempio: il fatto che Balotelli sia nero e abbia la cittadinanza italiana per te non c’entra nulla? O magari c’entra col fatto che l’Italia è piuttosto restia a concedere la cittadinanza ad altre etnie? E Balotelli non svela forse che dietro il nazionalismo anche istituzionale italiano, dietro l’odio molto politicizzato per lo straniero e l’immigrato, c’è del razzismo old style, puro e semplice, fascista, nazista? Non è forse questo che i “razzisti espliciti” che urlano “non ci sono negri italiani” dichiarano? Il fenomeno-Balotelli smaschera tutto il razzismo istituzionale italiano, veterofascista, razziale, malcelato sotto le istituzioni democratiche, le politiche migratorie… Ci sono sicuramente SINGOLE PERSONE che più di tutte dovrebbero essere indicate per questo, ma c’è molto altro da fare. C’è da capirlo, innanzitutto, e cercare di non essere una di quelle SINGOLE PERSONE.
PS. Su Corona: ti rendi conto di quanto è ridicolo il sillogismo? Corona viene criticato da tutti, Corona è bianco, quindi non c’è razzismo per Balotelli? WTF! Balotelli è un calciatore come tanti, non ha fatto niente di ciò che ha fatto Corona (disclaimer: io sono contro il carcere per tutti, pure per Corona).
“Corona viene criticato da tutti, Corona è bianco, quindi non c’è razzismo per Balotelli? Balotelli è un calciatore come tanti, non ha fatto niente di ciò che ha fatto Corona.”
Primo, non ho detto che non c’e’ razzismo riguardo Balotelli, ma che il razzismo non e’ l’UNICO fattore dietro le critiche e l’attenzione verso Balotelli.
Secondo, Corona non viene criticato solo per i fatti per cui e’ finito in galera, ma anche per la persona, l’atteggiamento strafottente e provocatorio. Sono persone diverse, ma c’e’ una aspetto in comune che riguarda il suscitare reazioni negative.
Io dico solo che IN PARTE quelle reazioni negative non hanno a che fare col colore della pelle. E quindi, riducendo tutto a quello, si perde la capacita’ di capire il fenomeno.
Per il resto il mio discorso non riguarda Balotelli, ma e’ un discorso generale sul linguaggio e la maniera in cui gestiamo i pregiudizi in genere.
“per te proprio il fenomeno-Balotelli, in sé, è inutile per capire il razzismo italiano” perche’ se non si fanno distinzioni precise, vien solo fuori un’accusa generale che lascia le cose esattamente come le trova.
@WM1 (e in qualche modo credo di rispondere anche al commento di diserzione)
Ben vengano racconti come questo perché permettono scambi come quello in corso.
per rispondere al tuo commento, posso dire che sì, credo sia possibile distinguere diversi tipi di razzismo nella società, e penso che il più pericoloso sia quello di tipo istituzionale.
Il razzismo istituzionale (lo dico per chi ci legge) è un concetto coniato dai Black Panthers Stokely Carmichael e Charles Hamilton per descrivere il meccanismo stritolante del sistema politico/giudiziario americano che discriminava i neri in maniera nettamente più totalitaria e odiosa rispetto a quello, comunque intollerabile, di tipo popolare. Per fare un esempio, gli ultras del Verona che fischiano ogni giocatore con la carnagione scura sono razzismo popolare. Il razzismo istituzionale è quello che erige le frontiere, la Fortress Europe che lascia morire in mare i migranti e discrimina fra quelli economici e non. Naturalmente entrambi vanno combattuti.
Questo concetto, questa differenziazione fra diversi tipi di razzismo, è stato applicato alla realtà italiana in un libro intitolato “L’Italia è un paese razzista?” (potete trovare una puntata di Fahrenheit su Raion che ne parla) scritto dalla studiosa di filosofia del diritto Clelia Bartoli, in cui si fa notare, con esempi provenienti dalla giurisprudenza e dalla cronaca italiana, come il razzismo istituzionale sia ben più ‘effettivo’ nel determinare la diseguaglianza rispetto alle sue manifestazioni popolari, che esistono e vanno combattute e, certo, si manifestano come sostenete tu e Luca nel caso di Balotelli in maniera eclatante.
Faccio questa premessa perché (come Valerio Marchi) ritengo lo stadio, e in certa misura il gioco del calcio, un luogo ancora conflittuale in cui a volte, magari secondo alcuni confusamente, si esercita in prima linea una radicale critica al sistema oppressivo in cui viviamo. E non a caso è lì che si sono sperimentati alcuni tra i più acuminati e scintillanti strumenti di repressione.
La curva è una società utopistica con precise regole e miti fondativi, lo stesso Furio Jesi negli anni Settanta arrivò ad accorgersene. Nel giudicare i fischi a Balotelli la mia opinione è che tale sistema culturale vada tenuto in conto. Solo questo.
Il gioco del calcio, in maniera contraddittoria come accade anche nelle nostre vite, esprime moti di cambiamento non sempre negativi. Se ne accorse Hobsbawm prima di morire, parlando del sentimento identitario del suo Arsenal, un tempo di quartiere e adesso transnazionale e multiculturale. Ed è proprio la presenza di gente come Balotelli (o il caso ancor più estremo di Dumitru del Napoli che doveva scegliere fra quattro possibile nazionalità calcistiche) ha permesso di mostrare al mondo come la convivenza fra nazionalità e culture diverse possa essere un mezzo per produrre arte e gioia. Tutto questo, va ricordato, sempre all’interno del sistema ipercapitalista del calcio globale.
Ce ne accorgemmo tutti durante il periodo della sentenza Bosman, quando il mondo del calcio aprì le sue frontiere con qualche anno di anticipo rispetto al mondo del lavoro.
Chi segue il calcio sa quanto siano importanti i passaporti dei calciatori nell’arco di una carriera, così com’è nel mondo delle culture migranti. Agli ultimi mondiali più di 200 giocatori avevano il doppio passaporto. Quello italiano era il più diffuso dopo quello francese.
Insomma, il calcio è postcoloniale quanto la società.
Per tornare al tuo esempio della rumena laureata che sgobba per la medioborghese ignorante, posso dirti che conosco miei concittadini, bianchi candidi e dotati di passaporto della Comunità Europea, laureati a pieni voti nelle migliori università, che hanno faticato a trovare un posto da commesso in un negozio di scarpe; al contrario, il successo economico di Balotelli dovrebbe rappresentare un passo in avanti, secondo questa logica: premiare il talento al di là dell’appartenenza etnica, senza pregiudizi. Io penso che il capitalismo avanzato, come ricordano Braidotti e Gilbert, è un sistema postrazziale ad alto livello di androginia. Vent’anni dopo il suicidio di Justin Fashanu un transessuale è stato alla guida della più grande industria missilistica americana. Cambia il capitalismo e cambia anche il nazionalismo.
Andiamo però più in profondità: “non esistono negri italiani” gridato a Balotelli è chiaramente un insulto, in qualsiasi modo lo si guardi. Effettivamente ciò che fa imbufalire i numerosi razzisti italiani è il fatto che Balotelli si senta italiano, o quantomeno si senta *anche* italiano. Difendere il suo diritto di sentirsi (anche) italiano significa dare una concezione in qualche modo “positiva” dell’idea che un ‘negro’ possa (e debba) sentirsi italiano.
Il tema dell’identità nazionale, che tanto ha insanguinato il Novecento, torna in forme nuove e stratificate come voi sapete benissimo visto che lo raccontate da anni.
E’ sicuramente da condannare uno slogan del genere perché esprime una idea antica ed esclusivista dell’identità nazionale e razziale: ‘Balotelli è *solo* un negro, non è di razza italiana’. Ma è davvero un bene che Balotelli si bagni nel nazionalismo e che “stinga il suo colore nel tricolore”?
Naturalmente Balotelli deve essere libero di sentirsi italiano, e chi cerca di impedirgli tale scelta va additato come razzista. Ma cosa possiamo trarre da storie del genere? Il nazionalismo può svuotarsi dei suoi contenuti più intossicanti per trasformarsi in una idea inclusiva e in qualche modo positiva? O il fatto che Balotelli *si senta italiano* è comunque una vittoria di un nazionalismo diverso sì, ma comunque pericoloso? Domande su cui bisogna interrogarsi approfonditamente, ma che, tornando al mio discorso iniziale, non centrano il nocciolo della questione: Balotelli prima dei 18 anni NON POTEVA GIOCARE IN NAZIONALE PER LEGGE, pur essendo nato e cresciuto in Italia. Ancora una volta, il razzismo istituzionale si dimostra ben più subdolo di quello che ho chiamato “popolare”.
Ed effettivamente un racconto come quello di Luca Pisapia permette di riflettere su alcuni di questi punti.
Mi scuso se col primo commento dovessi aver mancato di rispetto, ma la mia foga va presa come un segno proprio di come questi argomenti meritino uno sforzo intellettuale deciso. Da questo punto di vista il racconto ha colto nel segno.
Spero che tutto ciò che ho detto non faccia pensare che io sottovaluti il razzismo idiota di chi passa la vita a insultare Balotelli.
Balotelli è un sintomo, dite. Balotelli è evidentemente anche un simbolo, ma attenzione a non caricarlo di significati che potrebbe non volere lui stesso.
Balotelli è, principalmente, un calciatore. E chi conosce quel mondo, forse, potrebbe dissentire rispetto al fatto che fischiare lui sia diverso dal fischiare l’italianissimo Luca Toni, pur sapendo che sì, è chiaro, ci sono molti che lo fischiano per razzismo. La situazione credo sia molto complessa, anche perchè Balotelli (come tutti i suoi compagni di squadra a prescindere dal colore della pelle) è infinitamente più ricco del 99% di chi frequenta gli stadi..
Ma, mi chiedo, decidere a priori di non fischiarlo (come penso di fare io stesso) non è anche questo un atteggiamento velatamente razzista?
L’exceptional white man è il rovescio dell’exceptional negro: pensiamo a film all’apparenza diversi come Avatar, Balla coi Lupi o 8 Mile di Eminem, in cui i bianchi entrano nelle società ‘nere’ e ne diventano i campioni.
L’exceptional negro è il detenuto del MIglio Verde ma è anche Jesse Owens o Usain Bolt, il negro forte e da ammirare *in quanto* negro, perché la sua negritudine è talmente spiccata da renderlo superiore ai bianchi.
Decidere a priori di non fischiare Balotelli qualsiasi cosa faccia potrebbe voler dire renderlo un exceptional negro incriticabile, non più essere umano come noi ma simbolo, o sintomo. Per sfatare questo rischio avevo deciso di citare Bianciardi. Ma la questione, anche per me, rimane aperta.
Infine, il solo fatto che nel 2015 ci si debba porre quesiti del genere (fischiare o non fischiare?) basta a dimostrare che il razzismo, effettivamente, non ci ha mai abbandonati.
“Dire non sono razzista è facile”. Certo, bisogna comportarsi di conseguenza. Se accanto a me in curva uno fischia Balotelli perché ha la palla e corre verso la porta sto zitto. Se uno gli urla un insulto razzista lo fischio o lo copro di insulti a mia volta. Ma, naturalmente, stando dentro la contraddizione e cercando di farla esplodere. Proprio come fa Balotelli.
@LameRosse
Vivo in Sicilia e quindi ho avuto l’occasione di conoscere diverse persone venute via mare, passati da CIE, Lampedusa e da tutta la trafila istituzionale italiana. So bene di cosa sono in grado di parlare e di pensare.
Semplicemente faticavo a immaginare non dico dei profughi, ma proprio degli esseri umani capaci di snocciolare dati e aneddoti con tale sapienza. Ma, come ha detto sopra WM1, si tratta di un dialogo filosofico, e la ‘scena’ è solo un pretesto per parlare di altro.
Ciao Carlo,
Rispondo qui a questo e ai tuoi commenti precedenti per allargare la risposta anche al dibattito sviluppatosi sui social.
Ovunque presunti problemi di Balotelli con il calcio giocato sono stati relegati a una singola frase (i.e. nel tuo caso il condivisibile o meno “ha oggettivi problemi di ordine tattico, come si è potuto osservare nelle sue rare uscite col Liverpool”) confermando quindi che nell’affaire Balotelli qualsiasi cosa si dica su di lui, e se ne dicono a centinaia ogni giorno, nulla ha a che fare con il calcio giocato.
Ed è proprio questo, a mio parere, che ci racconta la necessità e l’urgenza di interrogarsi sul *fenomeno* Balotelli come sintomo, non come simbolo.
Inutile dilungarsi sulle migliaia di esempi di giocatori odiati, fischiati, insultati, dalle curve o da interi stadi. Il tifo contro è – piaccia o meno, e a me modestamente piacque – parte integrante di quella meravigliosa esperienza che è il tifare.
Qui il tifo è preso in esame brevemente, solo per quello che riguarda i ripetuti e costanti cori razzisti (dai versi della scimmia al “non esistono negri italiani”), che, come le poche sensate analisi sul tifo (anche da te citate) ci hanno insegnato, gli stadi non sono altro che lo specchio delle strade: il loro megafono.
E questo interessava raccontare partendo dal calcio: il razzismo di un paese, di un continente. Il razzismo in noi, non certo negli stadi.
Sull’ultimo punto, dove usi la provocazione di Bianciardi per respingere un presunto potere di veto di questo racconto sulla possibilità di odiare Balotelli. Beh, apprezzo l’escamotage retorico di voler trasformare la storia nell’ennesima elegia del buon selvaggio. Spero però di avere chiarito, in più parti del racconto, che il punto centrale della questione non è la possibilità che Balotelli ci stia sul cazzo – ci mancherebbe – ma il come, il quanto e il perché.
Da qui il rimosso e l’inconscio che affiorano.
Ps. Su Eusebio siamo d’accordo. Non credo sia stato rapito e costretto a giocare per il Portogallo contro la sua volontà, anzi. Assimilazione si riferiva appunto all’introiettare desideri e volontà del padrone, durante e dopo la carriera: chiaro esempio di neocolonialismo come ideologia dominante che *interpella* l’individuo.
Pps. Convengo a titolo personale nel considerare “deliranti” le richieste di pubblica dissociazione dei compagni da una curva (non necessariamente quella della Roma), vuol dire non averci mai messo piede.
@ellepuntopi
Ma non si tratta di un escamotage retorico, si tratta di analisi accademiche più o meno recenti sul rapporto fra identità razziale e cultura pop. Poi si può essere d’accordo o meno, ma decidere a priori di non fischiare qualcuno significa farne qualcosa di eccezionale e quindi un po’ meno umano. Balotelli PER ME, da tifoso avversario, è un calciatore come gli altri. Per gli immigrati di prima e soprattuto seconda generazione, Balotelli probabilmente è qualcos’altro, ma non sta a noi dirlo.
Se poi vuoi parlare di tattica e della carriera di Balotelli io sono prontissimo, eh. Solo non mi sembrava questo lo spazio adatto.
Il razzismo c’è e rimane, ma come ho tentato di spiegare si adatta ai tempi che cambiano. Quando Fashanu si ammazzò, un presidente americano di origine africana era impensabile. Ora c’è, ma non significa che il razzismo sia scomparso. Tentavo di esprimere questo concetto.
Poi, sul fatto dell’odio razziale, ti posso assicurare (e se sei interessato posso anche provartelo in privato) che ci sono fior di fascistoni, gente eletta nei partiti xenofobi in cariche amministrative locali, ex MSI ferocemente contrari alle migrazioni, che pubblicamente affermano di desiderare che Balotelli giochi con la loro squadra del cuore.
Perché?
“Perché è matto”, “Perché porterebbe un sacco di attenzione mediatica sulla squadra” “Perché è un duro che fa quello che gli pare, come piace a noi”.
Non credo ci sia del razzismo quando si spera che venga acquistato e così si potrà tifarlo. Questi tifosi rimangono razzisti nella vita normale, ma *fanno un’eccezione* per Balotelli. Magical negro, o exceptional negro che dir si voglia. Quello che io con Bianciardi tentavo di evitare. Balotelli mi piacerebbe (e forse piacerebbe anche a lui) che venisse trattato come un uomo e non solo come un sintomo.
Per questo penso che Balotelli non sia *solo* ciò che hai detto tu.
Il calcio non è *solo* le specchio delle strade. Spesso, come ho cercato di spiegare portando vari esempi, il calcio anticipa ciò che accadrà nel mondo, sia nel bene che nel male. E Balotelli, nel bene e nel male, rappresenta esattamente questi cambiamenti.
Per chiudere, propongo un link che spiega bene cosa è Balotelli nel mondo. Questo tuo racconto forse si ferma troppo in superficie, all’Italia e ancora più al mondo autistico di twitter e dei social network. Nel mondo, nei paesi ricchi come in quelli poveri, Balotelli significa molto altro rispetto al “sintomo lacaniano” di cui parli e che in effetti può avere alcuni elementi di veridicità. Questo il link
http://donzauker.it/2013/07/15/cose-da-negri/
“L’elegantissimo hair stylist khmer non parlava neanche una sola parola di inglese, figuriamoci di italiano.
Alla notizia che il suo raffinato cliente veniva dall’Italia, però, gli si è illuminato lo sguardo e si è sentito in dovere di omaggiarlo, nominando con un enorme sorriso l’unica cosa che conosceva della nostra bella penisola: MARIO BALOTELLI.
Ecco, quella era la sola cosa che conosceva dell’Italia.
Mi spiego meglio: il simbolo dell’Italia, in un paesino sperduto della Cambogia, e probabilmente in altre parti del mondo, è un negro.
Questo per dire:
avete perso, inutili buffoni. Voi e il vostro ridicolo e becero razzismo da quattro soldi, voi e le vostre pagliacciate, voi e i figli dementi e disonesti dei vostri leader, voi e i vostri ridicoli ministri che volevano legalizzare le ronde, voi e le vostre desolanti crociate contro il cuscus, voi e la vostra pietosa battaglia contro le moschee, voi e i vostri giochini “affonda l’immigrato”, avete perso.
Le cose sono *già* cambiate. Sta a noi interpretarle con lenti sempre nuove
Il racconto di Pisapia è bellissimo, su Balotelli centra il punto, cioè la sua colpa di essere “negro” e italiano, connubio che fa sbarellare razzisti più o meno espliciti e più o meno consapevoli.
A mio avviso è necessario prendere in considerazione altri aspetti del personaggio, della sua carriera e del vasto pubblico che lo odia.
Quando super Mario ha iniziato ad emergere nell’Inter che vinceva tutto, i media e chi segue il pallone hanno identificato in lui il futuro fuoriclasse del nostro calcio, riponendoci molte aspettative, anche perchè intorno a lui non si vedeva (e non si vede tuttora) niente di pazzesco. Il livello del calcio italiano è da diversi anni bassino, e campioni non se ne vedono proprio, ed ecco che su Balotelli si catalizzano tutte le patriottiche speranze del giornalismo sportivo e degli appassionati di pallone. Inoltre, essendo giocatore dell’Inter, catalizza anche le speranze del vasto pubblico nerazzurro di avere un potenziale Messi/Ronaldo in casa (ai tempi era considerato la risposta italiana a questi due, mica cazzi!). Essere giocatore dell’Inter comporta però anche il rovescio della medaglia, se sei amato dal tuo pubblico e sei considerato un talento, sei odiato e temuto dai rivali. Cioè milanisti e soprattutto juventini, mica pochi no?
Ecco che il Balotelli degli esordi ha già un sacco di motivi per essere al centro dell’attenzione del pubblico sportivo e pure qualche peccato originale addosso per essere odiato. Con i suoi successivi passaggi burrascosi ad altre società per poi arrivare al Milan ecco che si è inimicato mortalmente pure il pubblico interista, a questo punto le schiere dei nemici cominciano ad essere piuttosto folte.
Ma il delitto più grave che gli viene imputato (ed è quello che anche a me lo rende un pò antipatico) è il dare l’impressione di non amare il gioco del calcio, e questa è una cosa che fa imbestialire chiunque ha calcato un campo di pallone, una gradinata, un divano davanti alla tv.
Insomma, sei un campione, giri per le squadre più forti d’Italia e di Europa, guadagni milioni e non esulti quando segni? E non sfrutti appieno il tuo talento? Shame on you!
Quello che voglio dire è che pur sottoscrivendo il pezzo riga per riga, trovo che anche questi aspetti siano importanti per capire come mai Balotelli abbia così tanta attenzione. Il talento lo mette al centro della scena, se fosse WASP sarebbe altrettanto criticato? Io non saprei dare una risposta, altri giocatori di colore e di passaporto italiano (tipo Ogbonna) non richiamano un centesimo dell’attenzione, perchè sono più scarsi e non fanno (o almeno non traspare) gli sciocchini fuori dal campo, e non giocano in squadre così importanti. Se Balotelli avesse fatto la sua carriera tra Atalanta, Genoa, Udinese, Livorno… pur facendo sempre lo sciocchino in disco, avrebbe avuto la stessa attenzione?
Il primo che mi viene in mente che ha catalizzato su di se tanto odio è Diego Armando Maradona, chi viveva gli stadi ai tempi ricorderà quanti sputi, insulti e quant’altro si è preso fuori da Napoli. Gli ingredienti sono simili: grande temperamento, no WASP, un goccio in più di talento, e in più giocava per il Napoli!
Forse il mio ragionamento risulta un pò OT rispetto agli intenti del post, però spero possano essere utili a capire meglio la logica (un pò particolare) di chi ama il calcio, che purtroppo spesso si amalgama con le logiche razziste da voi raccontate nel post.
PS: mi è venuto in mente ora Cassano, sono già stato abbastanza prolisso per cui non apro l’argomento (per ora :) ) però la storia della sua carreira calcistica e mediatica sarebbe un interessante confronto. Se sono troppo OT mi autodirotto su futbologia!
Ci sarà un motivo o no perchè Balotelli fin da quando ha iniziato ad avere successo nel mondo del calcio e poco prima di arrivare in nazionale, è stato oggetto di contestazioni inequivocabilmente razziste? Ci sarà un motivo se mediaticamente hanno puntato il faro su di lui, distruggendolo? Sarebbe potuto diventare un gran calciatore secondo me, ma è stato sistematicamente massacrato e lui forse si è anche prestato a certe situazioni di attenzioni mediatiche. Non mi pare che altri giocatori che abbiano fatto cose similari alle sue siano stati oggetto della stessa attenzione. E’ vero che è stato costruito un personaggio, ma ci si deve interrogare sul perché. Io il calcio lo seguo da sempre, seguo sempre i dibattiti sul calcio, e quanto tu scrivi sono le tipiche obiezioni sollevate in diverse trasmissioni, ove anche qualcuno ha osato dire, come ho ricordato nel succinto commento precedente, in merito al caso Balotelli, che la questione del razzismo era diventata una sorta di alibi per giustificare o sanare le sue mancanze da calciatore.Vi sono stati altri giocatori in Italia che ne hanno combinate di tutti i colori, penso a Cassano, ad esempio, ma nessuno è mai stato oggetto di attenzioni allucinanti mediatiche come Balotelli. A volte mi viene da pensare che si è voluto superare, o rimuovere, il razzismo che lui ha certamente subito, spostando l’attenzione sulle balotellate, gonfiate e fomentate ad hoc per dimostrare che in realtà gli italiani non sono razzisti nei confronti di balotelli, tra le altre cose nero e nato nel sud, ma semplicemente persone che gli rimproverano le cattive condotte, proprie di un cattivo ragazzo che ha avuto in Italia mille opportunità e ci sputa sopra e lui dovrebbe dare l’esempio, ma perché proprio lui? E perché, invece, le cassanate sono state giustificate? Accettate?
Molto interessante, devo dire. Credo però che in questo dialogo filosofico il personaggio di Balotelli sia un po’ debole. Mi spiego: sono d’accordo sul rimosso coloniale che caratterizza la coscienza, la cultura degli italiani anche e soprattutto di oggi, tuttavia sono meno d’accordo sulla figura di Balotelli come vittima esemplare di questo razzismo latente.
Io credo che l’attenzione mediatica che egli ha sempre attirato su di sé sia dettata non tanto dal suo essere un calciatore italiano di colore, quanto piuttosto dai suoi atteggiamenti eccessivi, dalla sciocca presunzione al talento straripante, dalle bravate alle conferenze stampa.
Voglio dire, questo calciatore è il personaggio perfetto per le copertine dei rotocalchi e delle trasmissioni-spazzatura ‘sportive’, e come lui ce ne sono altri naturalmente, da Antonio Cassano a Christian Vieri.
Si sa che i calciatori non siano per lo più degli uomini di grande valore, e sulle loro debolezze di uomini si regge, io credo, l’ego e l’interesse dei tifosi loro pari. Da qui le immancabili prime pagine sulla patente ritirata, l’espulsione per proteste, le auto sportive, eccetera.
Balotelli è solo una delle tante marionette, a mio avviso, e non è in una posizione tanto diversa dal succitato Cassano. Ci sono altri calciatori di colore in Italia che non riscuotono la stessa attenzione mediatica, semplicemente perché non attirano gli sguardi e i commenti dei loro tifosi.
Ogbonna ad esempio è un calciatore italiano di colore, eppure non ricordo molti servizi giornalistici sulla sua vita privata, probabilmente perché è un uomo di valore.
Ehm, scusami, ma… hai appena scritto che se sei nero “non devi attirare gli sguardi”? Se non attiri gli sguardi, allora non c’è problema se sei nero… Questo è uno dei temi di riflessione più esplorati da intellettuali e artisti afroamericani nel XX secolo e oltre. Ralph Ellison ci scrisse un romanzo epocale, The Invisible Man. In Italia lo ha ripubblicato Einaudi pochi anni fa. Consigliatissimo.
Mi piace il commento di Michele mentre mi sorprende la risposta di Wu perché poco inerente. È chiaro che fosse Mario bianco la gente lo insulterebbe gridandogli lo stesso cose orrende a prescindere dal colore della pelle che, come hai detto bene, conta relativamente nel caso di specie. Eppure io credo ci sia un tema più ampio che Wu rifugge e che invece reputo importante, cioè la profonda ingiustizia sociale che caratterizza sempre più i tempi moderni: milioni di italiani seguono il calcio, sport delle classi medio basse, di disoccupati e sfruttati che spendono una gran parte del loro tempo e stipendio per uno spettacolo in cui un calciatore strapagato rende prestazioni indecorose molto al di sotto del suo potenziale. Quindi l’odio razziale contro Balotelli come espressione della frustrazione delle classi più deboli verso un simbolo dell’ingiustizia sociale è un argomento che secondo il mio modesto parere non andrebbe sottovalutato. Cioè mi sarei aspettato da un intellettuale come Wu che andasse più in profondità nell’analisi soffermandosi sul concetto di “cultura del lavoro”. Voglio dire, è peggio lo sfruttato bianco italiano che spende una parte del suo salario da fame per recarsi allo stadio a cantare “se saltelli muore Balotelli” o il grande talento di colore che non ha mai lavorato un giorno in vita sua sputtanando le chances di riscatto sociale di migliaia e migliaia di “nuovi italiani”? Poi certo moltissimi italiani sono provinciali e razzisti nel DNA e su questo posso essere d’accordo, ma da qui a dipingere Mario solo ed esclusivamente come vittima del razzismo becero italico mi sembra un argomento che reca in sé il vizio di trascurare ruolo e movente del tifoso. Scusate l’intromissione, buona serata. Valerio Poi certo moltissimi italiani sono provinciali e razzisti nel DNA e su questo posso essere d’accordo
“Quindi l’odio razziale contro Balotelli come espressione della frustrazione delle classi più deboli verso un simbolo dell’ingiustizia sociale è un argomento che secondo il mio modesto parere non andrebbe sottovalutato.”
Che il razzismo serva a sostituire la classe con la razza in modo da deviare le spinte potenzialmente antisistemiche in direzioni innocue per il potere, e che questo non sia il risultato di alcun “complotto” bensì una delle normali funzioni del razzismo nella nostra società, è una delle tematiche affrontate in modo ricorrente in questo blog e in diverse cose che abbiamo scritto. Questo per dire quanto io “sottovaluti” questo aspetto.
Nel caso specifico, la macchina funziona in modo talmente liscio e “naturale” da far sembrare Balotelli… l’unico milionario del calcio. Fateci caso, è l’unico che viene rimproverato per il fatto di avere tanti soldi, e spesso chi solleva l’argomento lo fa per respingere l’accusa di razzismo: “Non mi sta sul cazzo perché è nero, ma perché è un privilegiato”. Perché, gli altri no?
Appunto, l’odio di classe, una volta tradotto in odio razziale, si ritrova come unico bersaglio Balotelli. Gli altri giocatori nababbi del calcio, quando li si odia, li si odia per tifo calcistico, non certo per la sproporzione tra il loro reddito e quello del tifoso medio. Anzi, è del tutto normale idolatrare milionari. Odio di classe per Totti non mi sembra di averne mai visto (nome fatto del tutto a caso).
Ma ripeto, il razzismo serve (in verticale) anche a quello, oltreché (in orizzontale) a dividere i lavoratori mettendoli in competizione etnica tra loro.
Poi, non capisco cosa ci fosse di “non inerente” nel mio commento sul “non attirare gli sguardi”, dal momento che era precisamente il concetto emerso subito prima.
Infine, onestamente non capisco la distinzione che fai tra “odio razziale” e “razzismo”. Intendi forse dire che l’odio razziale per un nero ricco da parte di bianchi poveri ha in sé qualcosa che lo… redime, per il fatto che poggia su una frustrazione reale causata dalla disuguaglianza? Ma è proprio perché muove da quella disuguaglianza per occultarne il nocciolo reale e allontanarci da esso che quell’odio razziale – in questo caso l’odio per Balotelli – difende e rafforza il sistema.
Secondo me nei commenti ci si sta concentrando troppo sulla figura specifica di Balotelli o addirittura su quello che pensano i tifosi e poco o niente sul futuro catastrofico che il racconto propone fatto di emigrazione al contrario e muri elettrificati.
Un futuro che con le notizie che arrivano in questi giorni non sembra poi così totalmente campato in aria: con un capitalismo ormai boccheggiante, le frontiere stracolme, gli integralismi religiosi e i populismi che avanzano, i nazionalismi, le bandiere e i respingimenti sono rimasti ormai l’ultima barriera da opporre alla migrazione delle masse che fuggono da guerra e miseria (“prima gli italiani”, “aiutiamoli a casa loro” ecc. per fermarci dalle nostre parti senza citare Orban e compagnia).
Quando dico “questi giorni” intendo letteralmente: non ricordo un periodo in cui immigrazione, scontri alle frontiere, battaglie virtuali o politiche tra “si” e “no” all’accoglienza siano stati così drammaticamente al centro dell’attenzione. Un personaggio come Salvini che è stato citato sopra non si esprime praticamente su altro da mesi, ovviamente solo a fini elettorali, proprio rivolgendosi a quelle persone che magari non si definiscono razziste “ma….(fischiavano Balotelli?)”.
Ovviamente il rosso dell’uovo non è dare o meno a uno del razzista se fischia Tizio o Caio a una manifestazione sportiva o su un profilo Facebook, ma una situazione in pieno mutamento che può cambiare radicalmente il mondo occidentale come lo conosciamo. E temo in peggio, anche se qualche anno fa avrei detto che era dura.
Ecco quindi che il “negro italiano”, sia esso Balotelli, la ministra Kyenge o un semplice dottore nigeriano che le famiglie “bene” non accettano come medico curante, in un ipotetico 2058 potrebbero essere ricordati come un “sintomo” di quello che stava per accadere. Un po’ come l’articoletto a pagina 30 su un giornale locale di Berlino su un discorso di un certo Hitler in una birreria nel 1920.
O almeno, io dal racconto ho tratto questo, poi personalmente della figura di Balotelli mi interessa il giusto (non tifo per l’Italia quindi non mi interessava nemmeno quando segnava ai “cattivoni” tedeschi) e degli stadi spesso fucina militare della destra estrema mi interessa ancora meno.
L’altro ieri ho provato a fare un gioco: ho cercato su Google “Balotelli razzismo” https://www.google.it/webhp?hl=it#hl=it&q=balotelli+razzismo e “Balotelli racism” https://www.google.it/webhp?hl=it#hl=it&q=balotelli+racism
Mentre nella prima pagina della ricerca in inglese le voci sono per lo più relative al razzismo subito da Balotelli (in particolare ai 4000 insulti razzisti ricevuti sui social), nella prima pagina della ricerca in italiano le voci sono *tutte* relative a un’accusa di razzismo *a carico* di Balotelli.
Non so quanto valore possa avere una simile osservazione, se non nel far riflettere su quanto dobbiamo lavorare su noi stessi per riconoscere che le pulsioni razziste (e sessiste, e abiliste, etc.) fanno parte del nostro “default setting”, per dirla con David Foster Wallace (http://www.nazioneindiana.com/2008/10/08/kenyon-college-and-me/). Se in Italia accostando a Balotelli la parola razzismo la prima cosa che viene fuori è il razzismo DI Balotelli, qualcosa dovremo pur chiederci. Anche se non siamo “consapevolmente” razzisti, quella è l’acqua in cui nuotiamo, per rimanere nell’esempio di DFW.
“Non sono razzista ma”… il mio inconscio lo è sicuramente.
Io credo che il giudizio intorno a Balotelli sia cambiato dopo il disastroso mondiale 2014, fino ad allora era considerato l’attaccante del futuro, l’uomo nuovo dell’Italia che l’avrebbe traghettata per mano nella nuova era del calcio e della nazione tutta. Però bisogna riconoscere che Mario ha le sue colpe. Da quel giorno è passato da campione insultato dai soliti beceri a bidone che ha buttato il suo talento.
Il problema è che Balotelli è venuto meno al patto che generosamente gli era stato concesso dalla nazione tutta.
Noi accettiamo il centravanti negro e bizzoso purché egli ci faccia vincere il mondiale. E intorno a lui costruiremo la bella storia di immigrazione riuscita, di nuovi italiani e di società multietnica purché lui ci dimostri che questa nuova e meravigliosa società sarà meglio di quella prima, se no sarà soltanto un immigrato che come tale deve essere trattato (idem per El Shaarawy, o fenomeno o bidone, non ci sono vie di mezzo accettabili).
Se dobbiamo uscire al primo turno dei mondiali preferiamo farlo con i nostri bravi ragazzi di paese, cresciuti con i sani valori della provincia italiana, quelli che vivono in mezzo agli altri, che i loro soldi li spendono dal tabaccaio e non per comprarsi la Maserati, perchè si sa solo Balotelli guida una supercar, gli altri calciatori amano andare in giro su una più comoda e discreta Panda Multijet.
Bene ha fatto il capitano della nazionale, appena finita la partita con l’Uruguay, a presentarsi davanti alle telecamere per far sapere a tutti che la colpa era di Balotelli. E’ il capitano e ci mette la faccia, perdinci, che uomo! E nessuno osi sollevare l’obiezione che Balotelli era uscito sullo 0-0 e che il risultato che ci eliminava è maturato senza di lui in campo. Né sfiori qualcuno l’idea che Buffon ha peccato quantomeno di eleganza scegliendo la trasmissione condotta dalla sua fidanzata per lanciare i suoi strali. Stiamo parlando di una trasmissione di Sky, il network che paga la pubblicità su tutti i media italiani e quindi è da considerare un esempio di qualità e imparzialità. E se non bastasse Buffon anche il grande capitan futuro della romanica stirpe ha voluto dire la sua. “Colpa dei giovani noi vecchi tiriamo la carretta”. Per fortuna nessuno ha avuto l’ardire di ricordare che De Rossi all’età di Balotelli ha fatto il suo esordio in un mondiale mandando all’ospedale un americano e meritandosi quattro giornate di squalifica. In quell’occasione ha avuto la fortuna che la “sua” vecchia guardia ha portato la squadra in finale consentendogli anche di tirare un rigore, ma queste sono considerazioni capziose e di parte che è giusto dimenticare. D’altronde chi non ha mai commesso un errore in vita sua? Siamo tifosi, mica giudici di cassazione.
Balotelli era lì per fare tanti gol e ne ha fatto soltanto uno, anzi addirittura ha sbagliato un gol facile contro il Costarica, per cui la colpa è tutta sua e non credo ci sia spazio per il dubbio. La nostra pazienza è finita lì, queste cose le sa fare anche un italiano, non ci serve un immigrato. E non regge nemmeno la trita giustificazione da comunisti radical chic che nello stesso mondiale anche Chiellini, Barzagli, Marchisio o Immobile non hanno combinato niente, le loro storie e le loro carriere parlano da sole, Balotelli cos’ha combinato in vita sua?
Infatti dopo il mondiale Balotelli non è stato più convocato e da allora l’Italia segna gol a raffica contro tutti gli avversari che hanno l’ardire di pararglisi contro. Non importa che si chiamino Malta, Bulgaria o Norvegia, il destino è uguale per tutti. Addirittura abbiamo fatto due gol ai temibili azeri, possibile che qualcuno ancora possa dubitare del fatto che il problema era Balotelli? Avete sentito qualcuno dire che forse con Balotelli l’attacco dell’Italia potrebbe migliorare? No, ed è giusto che sia così.
E vogliamo parlare del Milan che se lo riprende? Che coraggio! La squadra che ha avuto Van Basten, Weah e Shevchenko vuole giocare con Balotelli centravanti, dovrebbero denunciarli per vilipendio della maglia. Non credo ci sia bisogno di sottolineare come sia vistosamente migliorato il rendimento del Milan (preciso che sono milanista) la stagione scorsa dopo la cessione di Balotelli. E adesso cosa fanno? Lo riprendono gratis sacrificando per lui un campione del calibro di mitra Matri.
Stiamo parlando di un giocatore che nel Liverpool ha fatto solo panchina, non come Jovetic e Cuadrado che non sono stati capiti e finalmente hanno l’occasione per dimostrare il loro reale valore tornando in Italia, lui ha fatto panchina proprio perché lo hanno capito. Mi sembra davvero che il mondo giri all’incontrario.
Ho volutamente esagerato, è ovvio che Balotelli ha delle responsabilità nel mancato fiorire della sua carriera. Però mi fa pensare che il paese che inneggia il Paolo Rossi squalificato per calcioscommesse, che è disposto a credere che Buffon dia 1,5 milioni di euro a un tabaccaio come oculato investimento del suo patrimonio (e mi fermo a due esempi calcistici perché mille mila se ne potrebbero fare) trovi l’unanimità solo nella condanna a Balotelli. Persino Corona, citato da MRS, ha trovato qualcuno disposto a invocarne la liberazione, sospinto dalla motivazione inconfutabile che solo lui paga secondo una vulgata molto popolare sui social network basata più o meno su questo assioma: i marocchini, macedoni e africani che stuprano le nostre donne e violano l’impunità delle nostre abitazioni se la passano liscia e Corona deve fare 10 anni di galera.
Credo che queste pagelle ai mondiali 2014 di Yahoo spieghino il concetto meglio di ogni mio discorso, non solo quella di Balotelli ma anche quelle di Paletta e Thiago Motta sono significative e razziste, e spicca il confronto con il voto a Bonucci che si è “solo” perso Godin sul gol. Se questo non è razzismo non so come chiamarlo.
https://it.sports.yahoo.com/notizie/mondiali-2014-italia-pagelle-dei-23-azzurri-prandelli-101240583–sow.html
Bah… il primo pensiero che mi viene è che nella situazione attuale il razzismo espresso dalle maestranze calcistiche verso la società che li/ci circonda è di gran lunga più letale di quello che esprimono tifosi/commentatori verso i calciatori, brocchi o fenomeni che siano.
Conoscono bene il loro ruolo, ne sono coscienti perché vengono educati e allevati all’uopo, basta osservare cosa accade nei vivai dove avvengono le selezioni, e francamente qualsiasi evento ne causi la sparizione è di buon auspicio per cambiare rotta: in sintesi, prima si tolgono di torno e meglio è, questo a prescindere dall’etnia o del colore della pelle.
Viviamo un’epoca in cui non è più giustificabile ignorare per chi o cosa si sta lavorando, e se devo essere franco sarebbe meglio non parlarne, e lasciare a quel mondo quei “cittadini” che ce l’hanno fatta menando calci al pallone in un tripudio di competitività e danaro.
Siamo sette miliardi, e sarebbe ora che qualcuno tra questi sette miliardi dica a quel bambino sul gommone cose diverse… assai diverse.
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