Il 4 novembre è la festa delle Forze Armate e della vittoria italiana nella prima guerra mondiale; celebrarla a Trento, città conquistata – anzi, redenta! – non ha prezzo; il centro sociale autogestito «Bruno» di Trento l’ha celebrata con l’ultima serata del Ventre della Bestia Tour.
Per diversi mesi, Wu Ming 1 ha presentato Cent’anni a Nordest nei luoghi del libro. Nel ventre della bestia, appunto. Il giro è iniziato a Trieste ed è finito a Trento, non a caso…
Al CSA Bruno, in una sala affollatissima, a dialogare con WM1 c’erano Tommaso Baldo e lo storico Quinto Antonelli. In questo post proponiamo la registrazione della serata, divisa in capitoli e con sommario degli interventi. Si può ascoltare in streaming da questa pagina (utile per seguire il sommario) o scaricare in una cartella zippata (235 mega). Nei prossimi giorni sarà scaricabile da Radio Giap Rebelde, anche tramite iTunes.
Approfittiamo del post per linkare alcune interviste e recensioni di Cent’anni a Nordest apparse negli ultimi tempi. Buon ascolto e buona lettura. Ora il testimone passa a L’invisibile ovunque. Conto alla rovescia per il 24 novembre.
Cent’anni a Nordest a Trento – Prima parte – 28’41”
CENT’ANNI A NORDEST A TRENTO – PRIMA PARTE – 28’41”
Tommaso Baldo – Introduzione
Comunicato migranti – Brief outline – Cicatrici e fantasmi – Senza la Grande guerra non esisterebbe il «Nordest» – presenta WM1 e Antonelli – Fare i conti con questo territorio a cento anni dal conflitto che l’ha creato: i confini, i rimossi, le ricadute sul presente – Autonomismi e separatismi – Le «due destre» del Nordest – Oggi la Grande guerra è più “commemorata” o più “celebrata”?
Wu Ming 1 – Il palo, la frasca, la follia, il metodo
Co-memorare – La commemorazione non esclude lo spirito critico, la celebrazione sì – Questo centenario poteva/può essere un’occasione – Le istituzioni celebrano – Trieste, 24/05, L’esercito marciava, o meglio, correva (con la ministra Pinotti) – Giorgia Meloni sul Piave, Non passa lo straniero – Fu l’Italia ad attaccare l’Austria – Figurarsi nel ’18 cosa tireranno fuori – Questo è un lungo centenario – Rimozioni, non-detti, amnesie selettive, vittimismo – La nostra guerra non può mai essere offensiva – “Defaillances” e “ripensamenti” – Nodi mai venuti al pettine – Continuità col fascismo – Come sorprendersi se si parla di Grande guerra in questo modo? – Anche Almirante «salvava gli ebrei» – Per questo parlo di un «viaggio tra i fantasmi» – Cos’è un fantasma? Un fantasma è una vicenda irrisolta – Il fantasma è la contraddizione che persiste, è un esito incerto – I fantasmi del Nordest sono quelli della Grande guerra – Se in Alto Adige venisse meno il welfare, le tensioni etniche riemergerebbero – Un continuo dialogo (negato) coi fantasmi – Le cicatrici sono dappertutto, cucite male, il filo è marcito, inciampiamo nel filo – Perché ho deciso di parlare di Nordest e Grande guerra – Un rumore sordo che faceva tremare la terra – Tante piccole vicende mai collegate l’una all’altra – Com’è strutturato il libro – Il sintomo – Putin è di Vicenza – Springsteen che saluta in friulano a Trieste – L’incontro dell’ombrello etiope con la macchina da cucire sudtirolese – Il centenario può essere un’occasione dal basso – Unire il separato e separare l’unito.
Cent’anni a Nordest a Trento – Seconda parte – 20’52”
CENT’ANNI A NORDEST A TRENTO – SECONDA PARTE – 2o’52”
Quinto Antonelli – La Disneyland militare del Centenario
Cent’anni a Nordest è il viaggio di uno scrittore attento – Un viaggio progressivo e una narrazione circolare – Turismo di guerra, nostalgia per l’Austria, gli Alpini, gli Schuetzen, i luoghi del ricordo, i momenti più orrifici – Centenario: l’enorme divaricazione tra le acquisizioni della storiografia e la memoria pubblica – Da chi è gestita la memoria pubblica? – La memoria pubblica sulla Grande guerra non ha alcun rapporto con la realtà dei fatti storici – Ancora patria, confini, eroi e traditori? Allora siamo al 1919! – Come siamo arrivati a questo punto? – Perché si è arrivati a fare merenda sui luoghi della Grande guerra? – Perché facciamo in una trincea cose che non faremmo in un campo di concentramento? – Continuità con la memoria celebrativa costruita dal fascismo – L’imperialismo italiano – La frottola della «Quarta guerra d’indipendenza» – Ancora più grave il connubio tra Prima guerra mondiale e Resistenza – Anche la sinistra italiana prende parte a questa distorsione – Il Risorgimento serve a giustificare ogni crimine – Il libro mette delle zeppe in quelle narrazioni – Tornando al turismo di guerra: anche quello fu introdotto dal fascismo – Già negli anni 20 il touring club italiano faceva le guide ai campi di battaglia – Oggi torna in auge – La Disneyland militare – La banalizzazione è peggio dell’operazione sacralizzante del fascismo – «Banalizzare» la trincea vuol dire renderla familiare, togliere l’elemento osceno, farne un luogo ludico – John Keegan ha scritto: «Le trincee sono i campi di concentramento della prima guerra mondiale».
Cent’anni a Nordest a Trento – Terza parte – 33’43”
CENT’ANNI A NORDEST A TRENTO – TERZA PARTE – 33’43”
Dibattito: Le memorie, le due destre, l’austronostalgia
WM1: Turismo di guerra – La guerra immacolata di Redipuglia – Cosa manca nelle trincee pulitine di oggi? – L’espressione «Disneyland militare» – Il ruolo dei militari, di Wikipedia e dei militari su Wikipedia – Il Giorno del Ricordo come medaglificio neofascista – Quali sono i soggetti che fanno la storia pubblica in Italia? In primis, i giornalisti – Non si può parlare di storia in TV senza che arrivi Paolo Mieli – Bisogna combattere la guerriglia – L’apologo della tigre e dell’elefante – Non è solo un problema di storia ma anche di geografia – Il resto d’Italia non conosce il Nordest – Il fallace parallelismo tra “fanti” e “partigiani” – I partigiani erano disertori – L’Amnistia Togliatti come “prius logico” di una lunga sequela di schifezze – La felice anomalia che la sinistra italiana gettò alle ortiche – Matteotti, Zimmerwald e l’universale.
QA: Almeno due memorie della Grande guerra: italiana e austriaca(nte) – Austronostalgia e criptonazismo: il periodo 1943-45 – Negli anni Settanta la “seconda memoria” è riemersa in due modi differenti.
WM1: I tedeschi «ne ga liberà» – Il rimpianto per una “seconda chance” – La retrospezione rosea sull’Austria – Un buon antidoto è leggere Il buon soldato S’vèik di Jaroslav Hasek.
CENT’ANNI A NORDEST A TRENTO – QUARTA PARTE – 55’50”
CENT’ANNI A NORDEST A TRENTO – QUARTA PARTE – 55’50”
Domanda dal pubblico: profughi trentini e profughi di oggi – Alexander Langer – Seconda domanda: l’insegnamento a scuola – Terza domanda: Putin – QA: 75.000 profughi trentini nei territori dell’Impero, 35.000 riparati in Italia – Alcide De Gasperi: «Furono spostati come cose, come se non avessero volontà propria» – Una parola su Alexander Langer: quando contestò le celebrazioni per il cinquantenario – WM1: Quinto di Treviso – 600.000 profughi veneti durante la Grande guerra – Storie che non sono passate nelle memorie di famiglia – Molti veneti non sanno di essere discendenti di profughi – Ma anche se lo sapessero, cambierebbe qualcosa? – Il razzismo e l’eccezionalismo italiano bloccano l’empatia – Dal «Non sono razzista ma» al «Sono razzista, e allora?» – Un aneddoto su Alexander Langer e Bologna, anzi, la Bolognina – TB: io lavoro nella scuola come operatore nella didattica – Si dovrebbe parlare della Grande guerra già alle elementari – Il “programma verticale” – Sulla scuola media “anello debole” e la situazione trentina – Una buona interazione tra scuola e musei – Nel resto d’Italia… – La mancata comunicazione tra ricerca storica e mondo dell’opinione comune – Un ragazzo algerino in Val di Non – Il problema della “colonizzazione” culturale – La “storia del nonno” non è il centro del mondo – Storia e Internet: il culto di “San Simonino martire” – WM1: tutte le destre d’Italia adorano l’uomo forte Putin – La casella dove c’è “Lui” – Zar e Kaiser – Le inchieste sui finanziamenti di Putin alle destre europee – Il plebiscito di Busato – Il Movimento Trieste Libera e Google Translate – La guerra in Ucraina, le responsabilità occidentali e il “salto logico” – La dialettica tra il problema e le sue false soluzioni – I nazionalismi potrebbero diventare il problema principale – Domanda: il nome di Cadorna nelle città italiane – Domanda: le guerre in corso – WM1: il progetto “Resistenze in Cirenaica” – Le responsabilità italiane nella destabilizzazione della Libia – I “benaltrismi” a difesa del nome di Cadorna – N.d.R. lo storico di cui WM1 non ricordava il nome è Hannes Obermair – Verona e Ronchi: l’importanza di non “appoggiarla piano”.
In #100anniaNordest si parla anche dello spettacolo «Rifiuto la guerra», scritto dallo storico e musicista (nonché collaboratore di Giap) Piero Purini. Nei giorni scorsi la conferenza-concerto ha fatto tappa a L’Aquila e Chieti. Questa settimana torna a Nordest, ecco le date fissate da qui a gennaio:
Sabato 21 novembre a Vicenza, Teatro Astra, Contra Barche 53 – ore 21.00. Ingresso gratuito.
Nell’ambito della rassegna «Nessuna guerra è grande», a cura di Arci Servizio Civile Vicenza.
Martedì 15 dicembre a Trento, Galleria Piedicastello, Piazza di Piedicastello – ore 20.30
Venerdì 22 gennaio a Cervignano (Ud), Teatro Pasolini, Piazza indipendenza 34 – ore 21.00
Quest’ultimo evento sarà in contemporanea con la nuova giornata di «Resistenze in Cirenaica», a Bologna, e quindi potremmo pure “gemellarci” :-)
Questa è la mia recensione o meglio i pensieri che mi hanno suscitato il romanzo cent’anni a nordest. Li aveva già postati,ma ho fatto qualche ritocco e forse qui avrà più visibilità. Non sono un professionista e ne sono un puro seguace dei Wu Ming, come ho dimostrato in qualche post su giap: “ogni tanto i wu ming mi hanno gentilmente concesso di fare il rompiscatole”, ma i libri di Wu Ming 1 e del collettivo mi sono sempre piaciuti e anche tanto. In realtà apprezzo i loro pensiero, ma il discorso qui si complica un po’ quindi vi lascio alla recensione.
Urlo di rabbia
Il libro è un oggetto non identificato, tra il reportage, il saggio e altro ancora, che raccoglie storie dalla grande guerra ad oggi del territorio che è stato più martoriato: il nordest. Il libro è un “urlo di rabbia”, se bisogna uscire dai vecchi canoni di categorizzazione per classificare un libro allora è possibile anche poter usare qualsiasi sostantivo, aggettivo o emozione che il libro ci suggerisce.
C’è molta rabbia che traspare in queste pagine: rabbia verso la guerra, ingiusta e spregevole per il semplice fatto che esista; rabbia per i popoli del nordest che persa la loro identità, ognuno a suo modo, hanno elaborato il lutto affidandosi a falsi miti e false persone che cavalcano la paura e l’ignoranza per avere un voto; rabbia per le cose taciute, per le brutte storie di esecuzioni sommarie di cui la stessa Italia se ne è macchiata; un’espiazione delle nostre colpe che non vuole esserci, preferendo coprire con la polvere e con la terra le nostre vergogne.
Wu Ming 1 urla di rabbia, grida così forte che scopre ferite nascoste, mette in luce avvenimenti che ci mettono di fronte al nostro essere uomini malvagi, mettendo in crisi il mito dell’Italia brava gente e la nostra stessa italianità come valore. Non ha paura di parlare della metà oscura, la parte nera di noi stessi che mette il terrore anche solo a guardarla.
Il libro è un urlo e in quanto tale è caotico e disordinato: salti temporali, spostamenti nello spazio repentini, uso di latino, di dialetti, frasi brevi e semplici e terminologie complesse le si possono trovare nella stessa pagina, nello stesso paragrafo a volte. Ma un urlo non può che essere così, perché è un urlo vero che mostra le cose così come sono: senza filtri; ti arriva in faccia con tutta la sua carica, ti passa sopra e ti stende come se a passarti sopra fosse stata un’armata di sonnambuli; e mentre ti alzi a constatare le ferite sei cosciente che non sarai più lo stesso di prima.
Una pecca per il libro: (per me è perfetto così si intende), però possiede dei limiti innegabili, difficilmente potrà arrivare in modo diretto a scuotere le coscienze delle menti che ne hanno bisogno. Forse questo è la missione che Wu Ming 1 da al lettore, infatti sembra dirgli : – Vai in strada e parlarne, fa che il mio urlo sia anche il tuo.
La cosa interessante della tua recensione, secondo me, è questa: hai descritto la tua reazione, da lettore veneto, alla lettura del libro. Penso che “l’urlo di rabbia” sia quello che la lettura ha suscitato in te, che vivi dentro quella realtà. Non a caso parli di rabbia per i “popoli del Nordest che hanno perso la loro identità”, rabbia che ovviamente non può essere la mia, che sono un outsider. È chiaro che una rabbia così sale da dentro il tessuto sociale del Veneto.
Per quel che mi riguarda, posso dire che la tonalità emotiva che ho cercato di dare al libro è un’altra, e mi sembra sia stata ben descritta da Daniele Giglioli quando ha parlato di un «timbro irridente tipicamente illuministico di chi dice: questo è falso, questo è stupido, questa è una superstizione, questa è una mistificazione dietro cui c’è chi lucra un suo miserabile guadagno».
Non penso che il libro, in sé e per sé, sia un “urlo”, ma che possa suscitare un urlo.
Analogamente, non lo trovo “caotico” né “disordinato”. Anche in questo caso, penso sia “caotico”, almeno in un primo momento, il flusso di emozioni che il libro può evocare in un lettore avvolto nella realtà che descrivo – flusso che io, in effetti, speravo di evocare.
Io posso dire che – come spiego nelle presentazioni, anche in quella ascoltabile qui sopra – ho ponderato ogni scelta di montaggio e ogni avvicendamento tra storie, avendo in mente una struttura piuttosto chiara, che poi ripercorro nei “Titoli di coda”, fornendo le chiavi e le fonti per ogni passaggio.
Per questo la tua recensione è interessante, perché “fotografa” e mette a nudo la reazione di una persona che si sente toccata nel profondo, nel vivo, dentro la realtà di cui fa esperienza quotidiana.
Io sono un calabrese che vive in Veneto da più di tre anni, non so se può servire per una migliore interpretazione del mio pensiero.
Comunque a parte la lettura di Point Lenana, non mi sono mai imbattuto in libri che rappresentassero degli oggetti poco identificati. Quindi per me il fatto che si spazi dal passato al presente con rifermanti storici, ecc. cent’anni a nordest è stata per me una lettura complessa e poco lineare, mi ha mandato un po’ in confusione, e quindi ho dovuto riprendere la lettura di qualche passaggio. Ma non penso sia negativo, era un modo di sottolineare la grande varietà di linguaggio presente nel libro. Sarebbe stato negativo se questa complessità era priva di contenuti, in realtà ogni aspetto, ogni parola, ogni frase in latino o in dialetto è fatta per avere una visione più vera possibile di cosa si sta raccontando. Sotto ogni aspetto raccontato si potrebbe aprire una discussione.
Urlo:
A me il libro è arrivato come tale, anzitutto perché in un urlo c’è una forza espressiva forte. I contenuti espressi si potevano raccontarli in un milione di modi diversi, ma in questo caso nel libro senza giri di parole si va diretti al punto, e questo ha avuto un grande impatto nella mia testa, con una impronta molto forte, paragonabile proprio ad un urlo.
Non mi sono molto soffermato a ragionare su aspetti letterari, non ne sono capace, ma ho dato la mia visione intima.
Ancora complimenti.
Informazione utile e pure suggestiva, in effetti. A pensarci bene, un calabrese che vive in Veneto è un soggetto ideale per la lettura di questo libro. Ha un piede in due mondi e in due memorie della Grande guerra, e quando legge vicende di insubordinazione e diserzione durante la Grande guerra (vicende che riguardarono direttamente molti calabresi, a cominciare dalla Brigata Catanzaro), questa compresenza non può che farsi sentire. Rende più complesso “l’urlo”.
Già che ci sono: sulla decimazione della Brigata Catanzaro c’è un bellissimo monologo teatrale, Roccu ‘u stortu, della Compagnia Krypton, con le musiche del Parto delle nuvole pesanti. Integrale qui.
Grazie mille per il suggerimento. :) non conosco questo fatto storico, vado a colmare la mia ignoranza.
La serata a Trento è stata bella, lunga e densa, come testimoniano le registrazioni proposte. Immagino soprattutto istruttiva per chi non frequenti da “addetto ai lavori” o per specifico interesse questi territori storici e narrativi.
Ma non sarei intervenuto solo per dire questo.
Il valore aggiunto di questo lavoro (di questo specifico e di altri analoghi) sta nella sua inattualità illuminante. In questi stessi giorni si rivela in tutta la sua urgenza la necessità di una luce ragionevole, critica, lucida per dissipare le ombre della manipolazione reazionaria.
Può sembrare che il Nordest italiano e le sue vicende di cento anni fa non abbiano nulla a che fare con i fatti di Parigi (e di Beirut, ecc.) di oggi, ma è un’impressione largamente fallace. E non solo perché uno degli esiti della Grande guerra furono i Mandati mediorientali affidati alle potenze coloniali (Francia e Regno Unito in primis: soluzione da cui poi sono venute fuori le magagne attuali in quell’area), ma anche come chiave di lettura storica di tutti i passaggi conflittuali della nostra epoca (e non solo, a dire il vero).
Se ci spingono a correre veloci verso il baratro, fermarsi a ragionare è la cosa migliore da fare. Qualsiasi strumento o occasione si presenti, bisogna approfittarne. Un solido armamentario mentale è la migliore medicina contro le semplificazioni interessate e contro la predicazione della morte e del dolore come sola risposta a morte e dolore.
“E non solo perché uno degli esiti della Grande guerra furono i Mandati mediorientali affidati alle potenze coloniali (Francia e Regno Unito in primis: soluzione da cui poi sono venute fuori le magagne attuali in quell’area), ma anche come chiave di lettura storica di tutti i passaggi conflittuali della nostra epoca (e non solo, a dire il vero).”
Beh l’accordo (segreto) Sykes-Picot del 1916 con cui Inglesi e Francesi si spartirono e riorganizzarono il Medioriente (fregandosene degli odi tribali e delle divisioni etnico-religiose di quei luoghi) è l’incipit della destabilizzazione di tutta quell’area geopolitica.
L’archeologa Gertrud Bell che, se ben ricordo, ebbe l’incarico da parte di W. Churchill di creare l’Iraq, scriveva in una lettera da Baghdad del 1921 indirizzata al padre queste parole: “Ho bene impiegato l’intera mattina in ufficio a disegnare sulla carta geografica il confine meridionale del deserto iracheno”.
Insomma, matita, righello e cartina e oplà, è nato l’Iraq…
Scusate la domanda “di servizio”, ma l’audio della serata al Django di Treviso sarà scaricabile?
Purtroppo no, la registrazione è venuta male :-(