[WM1:] Giusto un anno fa pubblicavo, qui su Giap, alcuni appunti sul vittimismo come pietra angolare dell’ideologia italiana. Appunti che fecero molto, molto discutere. Quel post si concludeva con la formula: «[Continua]». E adesso, infatti, continua.
Sull’ultimo numero di Nuova Rivista Letteraria, interamente dedicato a nazionalismi, fascismi e razzismi, c’è un mio pezzo che porta avanti, in un modo che spero inatteso, la riflessione su quel tema. Potete scaricarlo da qui in pdf, come teaser per l’intera rivista, che merita.
Ne approfitto per segnalare che:
1) durante l’impaginazione del numero siamo incorsi in un infortunio. È saltato l’articolo di chiusura firmato da Sergio Rotino. Al suo posto è riapparso il pezzo – sempre di Rotino – che aveva chiuso il numero precedente, quello sulle Grandi Opere Inutili e Imposte. Aaargh. La vicenda è spiegata – con le dovute scuse a Sergio e ai lettori da parte dell’intera redazione – sul sito delle Edizioni Alegre, dove si può leggere l’articolo giusto, intitolato «Ci sono sempre delle frontiere».
2) il 16 gennaio, alle h.19:30 presenterò la rivista al Communia di Roma, via Scalo di S. Lorenzo 33, insieme ai coautori Giuliano Santoro e Valerio Renzi. L’evento è parte di una piccola maratona romana, dato che poche ore prima – h.16:30 – e nello stesso quartiere – al Nuovo Cinema Palazzo, Piazza dei Sanniti 9 – presenterò L’invisibile Ovunque insieme a Tommaso De Lorenzis e Vanessa Roghi.
Ricordo che il prossimo numero di NRL sarà interamente dedicato a utopie, visioni rivoluzionarie e costruzione di società dal basso.
Buon tutto.
Le presentazioni sono il 16 di gennaio, non di febbraio. Questa mattina Vanessa Roghi era convinta che la presentazione al Cinema Palazzo fosse alle 19:30, ora slittiamo tutto di un mese, insomma stiamo facendo un gran casino =P Ahahah Rischiamo di avere due presentazioni senza autore né relatrice!
Approfitto per linkare l’evento facebook della presentazione a Communia: https://www.facebook.com/events/1780320438862222/
Ops, post appena corretto, come non detto ;) Più veloci voi a correggere che io a superare il numero minimo di battute per vedermi approvato il commento =D eheh
Tema fondamentale, un po’ trascurato, mi pare. Ma può essere un’impressione errata, discendente solo dalla mancata accensione di un dibattito, qui nei commenti.
L’apologo storico-politico scopre uno dei nervi sensibili del mito nazionale italiano.
Che le cose stiano così, non credo possa essere onestamente contestato. Che vi sia una diffusa coscienza del problema invece sì. Lasciando stare gli ambiti politici e culturali esplicitamente di destra (in tutte le sue declinazioni), mi pare di constatare che sia soprattutto nel campo della sinistra italiana (genericamente e grossolanamente intesa, ma soprattutto laddove albergano ancora le cornici concettuali e la visione d’insieme del vecchio PCI) che si è sempre evitato e si evita tuttora di farci i conti.
Intanto nel Meridione italico qualcosa si muove. Almeno a partire dalle discussioni in occasione del 150esimo dell’unificazione italiana, ha preso piede una riscoperta meridionalista, largamente egemonizzata da pulsioni e costrutti neo-borbonici, tradizionalisti, nostalgici (e in certi casi esplicitamente filoputiniani, guarda un po’). Sono presenti gruppi e movimenti di derivazione antagonista, più o meno di sinistra, ma non so quantificarne il peso. Non mancano le rivendicazioni localistiche. E anche al Sud il populismo alligna facilmente (Forconi, grillismo, ecc.). Nell’insieme, c’è una disordinata ed eterogenea discussione sui fondamenti dell’unificazione italiana così come è avvenuta. Non sempre si fa il passo successivo, ossia domandarsi: e dunque?
Posi la domanda anche nel corso di un convegno organizzato a Napoli dal Dipartimento di Scienze umane dell’Università di Salerno, dedicato alla dis-unità d’Italia (autunno 2011: qui gli atti), cui partecipavo per la Sardegna. Dopo una giornata di relazioni e discussioni qualcuno propose di concludere che forse paradossalmente, tutto sommato, in un modo o nell’altro, gli Italiani erano stati fatti: è l’Italia a non essere stata fatta, o comunque ad essere venuta non troppo bene. Non mi sentivo allora di aderire acriticamente a questa soluzione, un po’ riduttiva ed elusiva, e non me la sento neanche adesso. E non solo in quanto portatore di una prospettiva altra, diciamo laterale, all’intera questione.
Se anche nel Nord italiano, sballottato tra i residui berlusconismi e il partito della nazione, i leghismi in perenne riciclaggio di se stessi, i populismi destrorsi, si accendesse un dibattito su queste faccende, potrebbe essere un buon segnale. Un dibattito che riguardi ciò che significò l’unificazione italiana e come abbia proceduto da allora la storia di questo strano stato. Anche se – occorre ricordare – un tentativo del genere rivelerebbe inevitabilmente la sostanza (anche) imperialista/colonialista dell’unificazione medesima, e danno del Sud e a vantaggio del Nord, con tanti saluti alla pretesa superiorità del Settentrione lavoratore e produttivo versus il Meridione scansafatiche e parassitario. Rimettere tutto ciò in discussione equivarrebbe a rimettere in discussione gli stessi assetti produttivi, sociali e persino demografici dell’ultimo secolo e mezzo.
Perciò, anche in questo caso, la domanda rimane sempre quella: e dunque? Una volta appurato e riconosciuto, possibilmente in modo diffuso e profondo, come è nato, ha funzionato e funziona ancora questo costrutto storico contingente chiamato Italia, cosa se ne può trarre a livello pragmatico, in termini emancipativi? Dove può risiedere il fondamento di una pars construens dopo aver portato fino in fondo la pars destruens?
In altri contesti (Spagna, Regno Unito) sono in corso vertenze importanti come la questione catalana e quella scozzese (ma altre sono solo sopite o meno “coperte” dalle cronache, come la questione basca sempre in Spagna, o quella corsa in Francia). Sono i nervi scoperti dell’Europa contemporanea che emettono segnali di dolore e richiedono non un rimedio palliativo ma una diagnosi e una prognosi corrette, e una cura che non sia peggiore del male. Non sarebbe utile, insieme ad altre cose, conoscerle meglio e provare a ragionarci su in un’ottica italiana (ed europea, naturalmente)?
Certo che a me questo Tonio mi pare un po’ l’ombra dei Wu-Ming, volenti o nolenti con Tonio bisogna averci a che fare. Accettare persino l’idea che vi possano essere studiosi di storia italiana su Beta Reticoli che il problema l’hanno superato da tempo.
Ma noi vogliamo essere Ser Aphic :-)