Terza puntata (le altre qui e qui) per la serie di nove post dedicati ai testi di Schegge di Shrapnel, l’album del Wu Ming Contingent che sta scrivendo la storia del silent marketing: a 25 giorni dall’uscita è riuscito a totalizzare una sola recensione su web/carta e una segnalazione on-line (per quanto a firma del grande Tony Face Bacciocchi).
Il brano di questa settimana è la traccia numero quattro del disco, Macché Licenza.
Il testo è composto da due brani distinti. Il primo è tratto dalla lettera di un soldato di Gioia del Colle, rientrato a casa per una licenza agricola. L’uomo scrive al direttore dell’ospedale psichiatrico di Treviso, dov’era stato ricoverato, per chiedere una proroga, giacché il tempo che gli hanno accordato non è sufficiente per terminare la semina. La lettera è citata nel libro di Bruna Bianchi, La follia e la fuga. Nevrosi di guerra, diserzione e disobbedienza nell’esercito italiano (1915 – 1918), Bulzoni, Roma, 2001.
Sul “tempo della guerra” come invisibile ovunque, che schiaccia e divora ogni crono-diversità (dal tempo dei campi a quello degli affetti), abbiamo ragionato durante l’incontro all’Università Statale di Milano, organizzato da Lapsus il 2 marzo scorso.
(L’intervento sul tempo di WM2 parte a 20’23”)
Il secondo brano compare nelle memorie di Carlo Salsa, pubblicate nel 1924 con il titolo Trincee. (Confidenze di un fante).
Salsa era nato ad Alessandria, nel 1893. Combatté per quindici mesi sul Carso col grado di tenente e venne fatto prigioniero nel maggio 1917. Dopo la guerra ha continuato a scrivere, è stato direttore generale della SIAE, ha partecipato alla sceneggiatura de La Grande Guerra di Monicelli. E’ morto d’infarto a Milano, il 4 marzo 1962, mentre usciva dallo stadio, dopo aver assistito sotto la pioggia a Milan – Fiorentina (vittoria dei rossoneri per 5-2 e viola scavalcati di un punto in testa alla classifica).
Il memoir bellico di Salsa fu un caso raro per la letteratura italiana: si tratta infatti di un testo molto critico delle gerarchie militari, dove non c’è spazio per l’epica della battaglia, per l’amor di Patria e la retorica del sacrificio. Non a caso, il libro venne sequestrato dalla censura fascista e ristampato solo trent’anni più tardi (oggi è pubblicato dalla casa editrice Mursia).
Anche dell’assenza di uno sguardo critico sulla Grande Guerra, nella letteratura italiana degli anni Venti e Trenta, abbiamo parlato durante l’incontro alla Statale di Milano. L’intervento in proposito di WM4 comincia, nel player qui sopra, a 36’03”. La discussione è poi proseguita su Giap, con un botta e risposta molto argomentato.
MACCHÉ LICENZA
Ora sono torturato dal fatto che mio padre, vecchio ed appena veggente, e quasi esaurito nelle sue facoltà mentali, con l’età di 76 anni, non potrà continuare la semina dei campi, che io potrò iniziare, ma non terminare, data la scadenza della licenza appena al 16 ottobre, quando per completare in regola occorre tutto novembre. Una buona raccolta è il seguito di una buona semina: quindi, mi basta seminare. Non ho a chi fidarmi giacché fratelli, cognati, cugini sono sotto le armi. Estranei? Mai sia! Si è bell’e rovinati quando questi, per rubare una parte delle sementi ne metteranno di meno sul terreno. Pare incredibile! Oggi ci sono più ladri che prima della guerra. Con ciò voglio pregarla di accordarmi della proroga, perché a noi agricoltori, una volta fallita la semina, s’aspetta la miseria.
Una volta andai a mettere i tubi sotto i reticolati austriaci. Erano pasticci, lo so, ma davano dieci giorni di licenza ed io mi sono detto: “Se ci lascio la pelle, adesso o un altro giorno fa lo stesso, se invece riesco a cavarmela, vado a trovare la mia vecchia. Siamo andati in quattro e son tornato solo io. Sono al sceso al comando col mio bravo biglietto firmato dal tenente, che saltavo dalla gioia come un mortaretto. Ma il capitano, dopo aver letto la dichiarazione mi fa: – Macché licenza!
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Ricordiamo che il disco si può ascoltare per intero su Spotify e su YouTube, nonché acquistare, nei vari formati, sul sito dell’etichetta Woodworm
Ricordiamo anche che stiamo fissando le date dei concerti da qui all’estate. Per ora sono confermate Solothurn (CH) – Literaturtage – 7/05, Biella – Fake Festival – 21/05, Roma – Strike – 27/05, PAVIA – Arci – 11/06. Per contatti si può scrivere alla nostra mail o a quella dell’agenzia Locusta.
Breve OT sul “silent marketing”.
Non so e non pretendo di capire come mai non se ne parla.
So che ho il CD in casa e mi sono riversato gli mp3 da sentire in auto, ma da quando ce l’ho l’ho sentito tre volte soltanto. So che per me e’ un lavoro troppo doloroso, credo che lo sia ben piu’ del libro. Molto piu’ diretto, emotivo, subliminale. In tal senso e’ molto riuscito e “mi piace”, certo, ma mi sorprendo a difendermene, a dover trovare il momento e la forza prima di avventurarmi nel riascolto. So che la prima volta che ho sentito la Tregua di Natale (non ho usato gli anticipi online, ho preferito aspettare di avere il CD completo) stavo guidando per andare a lavorare ed ero in mezzo al traffico con i lacrimoni che venivano giù e la preoccupazione che quelli della corsia accanto si chiedessero che cazzo ha da piangere quel vecchio balordo.
Ma non so se sia per questo che non se ne parla, forse perché fa paura.
Nell’ultima settimana, a differenza di VecioBaeordo, ho ascoltato Schegge di shrapnel a ripetizione. Mi verrebbe da pensare che in questi tempi in cui si cerca in tutti i modi di convincere la popolazione di quanto sia giusto un intervento in Libia, non si voglia mettere in risalto un disco fortemente anti-militarista.
Lasciando da parte le esclusioni dovute alla propaganda, penso che Schegge di shrapnel sia uno di quei dischi che mettano in difficoltà chiunque ne debba fare una recensione. E’ un disco con una forte carica emotiva, bisogna essere fortemente “sonnambulizzati” per non provare un’ampia gamma di emozioni. Specialmente le tracce “L’invisibile ovunque” e “Dulce et decorum est”, la prima volta che le ho sentite, sono state un pugno allo stomaco, ma un pugno che arriva in un momento totalmente inaspettato, tipo quando stai passeggiando tranquillamente mangiando un gelato.
Inoltre, a parte “Tregua di Natale” (che ha anche sonorità più allegre), in Schegge di shrapnel manca la “speranza”, nel senso che non vi è nessuna esperienza positiva che possa essere presa come punto di riferimento per potere superare una tragedia che è stata contemporaneamente personale e collettiva. I pochi germogli di speranza (come la storia raccontata in “Tregua di Natale”), furono prontemente sradicati.
Il disco ti butta dentro le trincee, o ti fa provare quelle che gli uomini che stavano dentro le trincee provavano. E ancora più del libro fa capire che (come avete detto) “non sempre è possibile salvarsi collettivamente, ci sono momenti in cui sei da solo”.
Spero di essermi fatto capire, purtroppo non sono molto bravo a scrivere
ps off-topic: ho provato a cercare online il testo integrale di Requiem per i morti d’Europa di Yvan Goll e a parte brevi estratti in inglese, non sono riuscito a trvare niente (ho cercato sia in italiano, inglese, spagnolo e tedesco). Conoscete un sito dove è possibile leggere il testo integrale? Altrimenti potete dirmi un libro dove sia possibile leggerlo?
Mi unisco alla richiesta di Kente circa il testo di Goll (prima di trovare gli estratti in inglese, ero quasi persuaso del fatto che Goll fosse lo pseudonimo di F.P. Bonamore).
La commozione di cui parla veciobaeordo a me l’ha causata proprio “Macché licenza!”, tanto che, nei successivi ascolti, ho iniziato un vero e proprio skip autoconservativo della traccia. Uno degli aspetti che più mi hanno fatto riflettere del disco (e de “L’invisibile Ovunque”) è proprio la tematica della cultura contadina annichilita dal conflitto che, nel conflitto successivo, mi pare rimanga sullo sfondo, interessando più la popolazione civile, nei territorio occupati, che i soldati.
Se in Bioscop la carica rivoluzionaria delle singole vicende rappresentava un contraltare forte alle propaganda e alle violenze statunitensi in Iraq, alla segregazione razziale, all’istupidimento, agli orrori di Piombo Fuso, in Schegge di Shrapnel non c’è nulla che permetta di tirare il respiro dalla carneficina insensata, non c’è espiazione dal sopruso che si è verificato nelle trincee. Non so però se questo insieme di sentimenti forti e cupi, unito alla volontà di non turbare i venti di guerra che spirano sul Mediterraneo, spieghi il camouflage inverso della critica sul disco.
Rispondo collettivamente ai commenti di Klingsor, Kente e Vecio B.: le emozioni che descrivete, nell’ascolto del disco, sono molto simili a quelle che anche a noi abbiamo provato mettendo insieme i pezzi. È un effetto che avevamo previsto solo in parte e che abbiamo controllato solo fino a un certo punto. Per il resto, ci è venuto così, scuro e lacerante, e anche noialtri ce ne siamo stupiti. D’altronde, c’è chi dice che L’invisibile ovunque è il libro più cupo che abbiamo mai scritto, anche più di Altai.
Quanto a Yvan Goll, dedicheremo al Requiem il prossimo post sul disco, la prossima settimana e tutte le vostre curiosità verranno soddisfatte.