Sul sito del Vag61, l’audio della presentazione di Roma Negata – con Wu Ming 1, Wu Ming 2 e l’autrice Igiaba Scego – e quello del reading Un chiodo per Mussolini.
Un chiodo per Mussolini è un racconto anticolonialista dello scrittore libico Ali Mustafa Al-Misrati, tradotto dall’arabo da Federico Pozzoli, adattato e letto da Wu Ming 1 con musiche del Bhutan Clan. A proposito di quello che la ministra Pinotti, in questa vigilia di guerra, chiama «il nostro speciale rapporto con la Libia».
Purtroppo, per problemi tecnici, non siamo riusciti a registrare lo splendido spettacolo della Compagnia Fantasma Carmine Iorio, beduino salernitano. Faremo di tutto per costruire una nuova occasione!
Il prossimo appuntamento con Resistenze in Cirenaica sarà il 21 aprile, anniversario della Liberazione di Bologna. Tra le altre cose, presenteremo – con gli autori Carlo Costa e Lorenzo Teodonio – la nuova edizione di Razza partigiana. Storia di Giorgio Marincola.
Buon ascolto, e buona visione delle foto.
Ho ascoltato la registrazione del bell’incontro con Igiaba Scego al Vag 61. In merito ai giudizi negativi che avete espresso sul progetto di realizzazione a Predappio di un “museo sul fascismo” (le virgolette sono d’obbligo) mi sento di dire che, per una volta, non sono in sintonia con voi. Al contrario, sono molto favorevole. Poiché avete fatto riferimento ai 50 storici che appoggiano il progetto, ecco qui il link con i nomi e parte del comunicato.
http://www.forlitoday.it/cronaca/museo-fascismo-predappio-lettera-storici-pro-giorgio-frassineti.html
Qui invece un articolo più specifico e dettagliato sul progetto che, nelle intenzioni, non presenta nulla di apologetico o nostalgico, anche se comprendo perfettamente i vostri timori e i riferimenti all’ambito simbolico.
http://www.quotidiano.net/predappio-casa-del-fascio-museo-1.1802830
Io ribadisco che sono molto, molto, molto perplesso sul progetto.
Chi lo sta portando avanti, nella migliore delle ipotesi, non si è posto in maniera adeguata i problemi di comunicazione, di semiotica, diciamo pure di “marketing” che invece a me sembrano centrali.
Il contesto di Predappio – il frame, la “cornice” fortemente impregnata di culto della morte fascista e turismo neofascista – rende molto difficile mettere in pratica l’intento “pedagogico” professato. Le buone intenzioni non bastano.
Chi ci va a Predappio? A Predappio ci vanno i fascisti. Ci vanno en masse, e il paese nell’immaginario collettivo è associato praticamente solo a questo.
Davvero si pensa che qualcuno andrebbe a Predappio per vedere il museo serio? Davvero un museo rimarrebbe serio in quel contesto? Non c’è il rischio che i suoi principali visitatori – a parte le eventuali scolaresche “comandate” – siano i fascisti stessi? E cosa mai potrebbero trarne, i fascisti? Mi sembra il solito errore d’impostazione, basato sull’idea che il raziocinio possa contrapporsi al Mito, alla suggestione.
Temo che, alla meglio, il museo diverrebbe presto irrilevante (e quindi stiamo sperperando fior di quattrini per una cosa inutile). Alla peggio, e sinceramente mi sembra il decorso più probabile, diverrebbe anch’esso – volenti o nolenti i proponenti e realizzatori – parte della nefanda cornice.
Chi pensa che il museo cambierà la cornice, potrebbe restarci molto male nel vedere la cornice assorbire il museo.
Bisogna distruggere la cornice, disattivare il frame, non infilarci dentro qualcos’altro.
Naturalmente, sarei ben felice di sbagliarmi.
Da Forlivese (Predappio è un comune in provincia di Forlì-Cesena) seguivo la questione dai suoi albori, e sono passato da un cauto ottimismo a un po(n)deroso scetticismo.
Da un lato credo che di progetti sul fascismo se ne possano e dabbano fare, e anche con buoni risultati (vedi ATRIUM).
Sul sindaco PD di Predappio no, non ho mai nutrito nessuna speranza (vedi la mostra sul “giovane Mussolini”, sempre a Predappio, e le sue prese di posizione cerchiobottiste, vaghe, retoriche, da Partito della Nazione).
Eppure facevo un paio di considerazioni.
1) Non si spingeranno davvero a tanto. Se un museo *del fascismo* deve esserci, sarà fatto in modo onesto e scrupoloso, avrà tutti gli occhi puntati addosso, non potranno fare passi falsi. Puo’ addirittura venirne fuori qualcosa di buono.
2) La casa del fascio, dove vogliono fare il museo, rimane decontestualizzata e abbandonata da diversi decenni, e piuttosto che lasciarla in rovina la si sarebbe potuta “risemantizzare”, mettere in una cornice storica antifascista, fare qualcosa come a Bolzano (vedi commento di Marco Pagot).
2a) Se non vuoi farci un museo, la casa del fascio allora andrebbe abbattuta, dato che è abbandonata da molto tempo. Questo significherebbe tuttavia abbattare mezza Forlì, e in generale sono favorevole a uno sguardo critico del passato piuttosto che alla sua distruzione.
3) I fasci già vengono in pellegrinaggio (nascita-morte-marcia su Roma), con o senza museo. Il *fascioturismo* c’era prima a evrebbe continuato a esserci.
Poi però pensandoci bene (e parlando con persone che sono “dentro” il progetto e nelle istituzioni che se ne occupano) il mio cautissimo ottimismo è svanito. Ora credo che, come dice sopra Wu Ming 1, piuttosto che risemantizzare la casa del fascio, il museo possa avere l’effetto opposto. In altre parole, potrebbe essere risucchiato a sua volta nel buco nero del frame Predappio=GitaFuoriPortaConGadgetDelDuce. Inoltre, se si vuole fare un museo che parli di fascismo, lo si poterbbe chiamare “museo dei crimini fascisti” o “museo delle resistenze antifasciste”, per esempio. Impostarlo in maniera completamente diversa, dargli una funzione memoriale e sociale differente, coinvolgere storici come Del Boca. E da come sta procedendo il dibattito politico pare proprio che questa direzione non verrà presa.
Insomma, vediamo come evolve questa vicenda. Al momento, il cattivo odore non fa presagire nulla di buono, nella speranza di essere smentiti.
Secondo me un’operazione culturale come quella che si prospetta a Predappio va analizzata a partire dallo scopo politico-culturale che essa si prefigge. Ovvero non basta che gli storici incaricati di formare il comitato scientifico siano fior di studiosi, non basta che i politici che stanziano i fondi giurino e spergiurino sul proprio antifascismo. Occorre che ci spieghino qual è l’obiettivo politico-culturale che si vuole perseguire, qual è il frame narrativo che si vuole comunicare.
Per esempio ciò che mi preoccupa è l’idea che qualcuno possa pensare a quel museo per “civilizzare” i fascisti che sono già un presenza fissa in quel posto cercando di spingerli a visitare un museo “moderatamente critico” con il loro totalitarismo del cuore. La cosa avrebbe un duplice scopo: dal punto di vista commerciale spillare qualche altro soldino ai fasci e dal punto di vista politico dare una patina di “rispettabilità democratica” alle pulsioni fasciste presenti nell’antropologia del borghesotto italiota medio (cosa che non mi pare certo estranea alle principali forze politiche del momento) . Immagino un eventuale “pellegrino” che il giorno dopo esser tornato da Predappio racconta al bar: “… eh sì, son stato pure al museo (cosa non si fa per il Duce…), lì ti spiegano bene che il fascismo fu un grande momento di modernizzazione…lo dicono storici famosi eh… peccato che alla fine si sia alleato con Hitler e abbia fatto la guerra…” (sottotesto speriamo in un bel governo “forte e modernizzatore” come il fascismo ma senza la sconfitta finale). Ancora più inquietante potrebbe essere l’impatto di un operazione del genere sulla scuola. In gita a Predappio a rendere omaggio al duce con il professore fascio? da oggi si può, grazie alla scusa di visitare il museo!
Un obiettivo molto diverso (ma faccio fatica a credere che qualcuno lo stia davvero perseguendo) potrebbe essere invece quello di “sostituire” gli attuali visitatori di Predappio con altre tipologie umane… stavolta pienamente umane. Ovvero faccio un museo sul fascismo davvero ben fatto in modo da avere la presenza tale di turisti non fanatici e soprattutto di scolaresche (che per un museo sono il mercato più sicuro vista la scarsità di visitatori “volontari” che caratterizza i musei italiani, esclusi quelli che attirano turisti stranieri). In tal modo il paese di Predappio smetterebbe di essere dipendente economicamente dall’afflusso di ratti neri e attirerebbe gente non perché “ci è nato e ci è sepolto il duce”, ma perché c’è un museo che vale la pena di un viaggio fino a Predappio da tutto il centro-nord Italia. Un museo del genere credo dovrebbe dire cose realmente nuove e cercare di avere un impatto potente sull’immaginario, ovvero dovrebbe essere un museo nettamente antifascista che parli di ciò che non si è mai parlato: condizioni di vita della popolazione, crimini, natura realmente totalitaria del regime, ecc… Ovvero per essere “venduto” dovrebbe essere un prodotto culturale di forte impatto “il fascismo come non te l’hanno mai raccontato”. C’è qualcuno in Italia disposto a finanziare e incoraggiare una cosa del genere? non credo. Come non credo sia possibile che si voglia creare il contesto indispensabile perché un operazione del genere riesca: ovvero proibire la vendita di paccottiglia neofascista nei dintorni del museo stesso. Io posso pure portare una scolaresca in visita al miglior museo sul fascismo possibile, ma se appena fuori questi vedono una bancarella di magliette con il crapone di Benito Amilcare credo si vanifichi buona parte del lavoro fatto per spiegare cosa fu davvero il fascismo perché si torna a banalizzare tutto. Dico ve la immaginate la vendita di paccottiglia nazi fuori dal museo ebraico di Berlino?
In ogni caso i 4 milioni di euro per un museo a Predappio credo proprio finiranno buttati nel cesso. Un museo penso vada fatto dove può avere un numero di visitatori tale da giustificare la spesa per la sua costruzione. Francamente con tutta la precarietà e gli stipendi da fame di molti lavoratori della cultura non vedo nessun bisogno di costruire nuove strutture da riempire con precari, stagisti, volontari, ecc. Bisognerebbe anzi opporsi alla costruzione di ogni nuovo museo sino a che non sia tornati al semplice principio “il lavoro si paga”. Non serve a nulla, se non ad arricchire qualcuno ben ammanicato, costruire nuovi musei se poi si offrono ai visitatori servizi scadenti. Oggi in molti musei una classe in visita avrà molto probabilmente come guida uno stagista, un volontario o un precario che giustamente agisce in base al principio “a salario di merda lavoro di merda”. Questo significa che quella classe si sentirà molto probabilmente ripetere una lezioncina superficiale. Un lavoratore assunto con un buon contratto ed un buono stipendio, inserito in un ambiente in cui si fa anche ricerca, invece potrà approfondire le tematiche trattate e fornire un servizio incomparabilmente migliore, potrà insomma divenire una figura in grado di essere davvero un punto di riferimento culturale per i docenti e gli studenti. Si diano ai lavoratori della cultura stabilità e stipendi adeguati e vedrete come le cose già esistenti funzioneranno meglio.
Poi sottolineerei un altro aspetto, non credo che in Italia abbiamo bisogno di un “museo del fascismo”, a Predappio o altrove. Non credo che ci faccia bene continuare a regalare il ruolo di protagonisti a Benito Amilcare e ai suoi sodali. Piuttosto credo potrebbe essere utile un museo con una forte impostazione di storia sociale, un museo dedicato “alla vita delle persone sottoposte allo stato italiano durante il fascismo”. Un museo in cui i protagonisti siano la maestra sudtirolese che finisce al confino per aver insegnato il tedesco ai bambini del suo paese, Loize Bratuz ammazzato per aver cantato in sloveno in chiesa, gli etiopi gassati dall’aviazione italiana, mia nonna figlia di un mezzadro ferrarese che deve mollare la scuola in seconda elementare perché nei campi servono anche le sue braccia. Un museo che racconti come si viveva in Italia nella prima metà del ‘900 facendo vedere l’arretratezza del paese attraverso i numeri e i dati del degrado socio-economico e che sappia parlare della realtà quotidiana delle persone. Ecco forse questo servirebbe davvero, ma sempre solo dopo essersi assicurati che chi ci lavorerà possa essere adeguatamente pagato e tutelato.
Carlo Ginzburg contro il progetto di “museo del fascismo” a Predappio.
A Bolzano hanno aperto da un anno e mezzo un percorso espositivo sotto il monumento alla Vittoria ( http://www.musei-altoadige.it/it/musei.asp?muspo_id=1444 ) cui seguirà presto un altro intervento presso il fregio di Piffrader, in piazza Tribunale.
Inizialmente la possibilità che si lavorasse ad una storicizzazione aveva sollevato le critiche opposte a quelle mosse a questa proposta: l’accordo che autorizzava questo lavoro era stato firmato dall’allora Ministro ai Beni Culturali Bondi, in cambio del supporto dell’SVP al governo Berlusconi IV. La destra neofascista e di derivazione missina parlò allora di “svendita” dei monumenti italiani e di prossima censura dell’italianità tutta, con tanto di corteo nazionale di CasaPound per le vie cittadine (con un effetto potenziato dal ricordo, ancora vivo, della Marcia su Bolzano, prova della Marcia su Roma che porterà il fascismo al potere).
Il percorso della storicizzazione è stato però chiarito fin da subito: la politica dava solo l’input, ma sarebbe stato un gruppo di storici e accademici a portare avanti il lavoro, valutandone la parte storiografica, mentre la politica si sarebbe limitata ai bandi di gara. In questo modo persone competenti hanno valutato i rischi legati ad un’operazione simili, come quelli di rendere il luogo meta di peregrinaggio ecc..
Il risultato è stato ottimo, anche se il percorso magari non è il *massimo* a livello espositivo: i fascisti continuano a frequentare il Monumento come luogo di culto per le loro ricorrenze, ma il Monumento è tornato patrimonio della collettività e così la loro presenza si “perde” in quella ben più massiccia di chi è interessato all’opera divulgativa.
L’idea poi, geniale, di una fascia a led ha permesso veramente di depotenziare il Monumento, creando uno stacco visibile da subito. Oltre al mal di pancia dei fascisti :-)
Quindi esempi, anche italiani, di storicizzazioni e percorsi museali funzionanti esistono.
Ma quanto accaduto a Bolzano si inserisce in un contesto dove l’attenzione a qualsiasi dettaglio è molto più marcata, per via della valenza del periodo nella storia locale. Ci sono ancora ferite aperte e questo porta a continue polemiche, sia da mondi di destra/sinistra che italiani/tedeschi. Inoltre è una città comunque conosciuta, vissuta per altri motivi e capace di *resistere* a determinate maree nere (che comunque arrivano, come in tutto il confine orientale e nel resto d’Italia).
Predappio invece rischia di diventare, anzi continuare ad essere, solo la città di Mussolini. Solo che oltre al pellegrinaggio delle camicie nere ci andrà altra gente, senza alcun tipo di anticorpo. Continuerà a essere sempre e solo nominata per il suo sfortunato ruolo involontario, anzi ne aumenterà la riconoscibilità proprio perché aumenterà l’afflusso.
Inoltre il ruolo del “Partito della Nazione” quale garante dell’operazione è almeno ridicolo: l’ambiguità con cui tratta determinati fenomeni, unita alla leggerezza con cui le sue istituzioni ed eletti si accompagnano ai neofascisti (esponenti PD che partecipano ad iniziative di CP, Serracchiani che ignora bandiera X Mas a Basovizza, Medaglificio fascista), ci fa pensare che non sia in grado di gestire un’operazione simile. A meno di fare come a Bolzano, lasciare tutto in mano agli accademici. Ma proprio tutto.
Lasciamo ci vadano i pazzi nostalgici, a Predappio, ci sono ben altri luoghi che possono diventare il polo dell’antifascismo “istituzionale” e storico.
Il museo del fascismo a Predappio è sbagliato – di Igiaba Scego
Ci stiamo concentrando esclusivamente sul museo, ma a parer mio, l’aspetto più importante è che la struttura architettonica in questione (la ex casa del fascio) diventerà anche un centro di documentazione (con archivio, biblioteca, sala video, sala convegni) frequentato da storici, dove si svolgeranno conferenze aperte alla cittadinanza e si farà ricerca. Può diventare un interessante polo di irradiazione culturale valido nel contrasto all’attitudine apologetica. Questo piano di riqualificazione architettonica va inoltre incluso in una cornice più ampia di collaborazione tra Forlì e Predappio e inserito nel contesto culturale in cui si muovono anche il 900Fest
http://900fest.com/2015/06/23/900fest-edizione-2015-donne-nei-totalitarismi/
promosso dalla Fondazione Alfred Lewin
http://www.bibliotecaginobianco.it/?m=3&p=5&t=la-fondazione-alfred-lewin
e il recente progetto europeo ATRIUM di cui Forlì (e in qualche modo anche Predappio) è città capofila, finalizzato alla contestualizzazione storica delle architetture sparse sul territorio della UE connesse ai totalitarismi del XX sec.
http://atrium.comune.forli.fc.it/
Iniziative collegate nate di recente, ma già realtà molto dinamiche che stanno avendo una buona risposta in fatto di partecipazione dal basso (un pubblico consapevole che sta crescendo).
Secondo me bisogna tener conto di questa cornice più vasta entro cui va collocata l’idea del museo-centro studi. Per come la vedo io, potrebbe essere un punto di partenza perché la cultura nostalgica non dico venga sradicata in toto a Predappio ma possa diventare col tempo meno incisiva.
Ovviamente, l’ala museale dovrà essere ideata da un comitato scientifico di storici professionisti, gente del calibro di Del Boca, Franzinelli, Gentile, etc… (i primi che mi vengono in mente). Questo è il punto nodale. In caso contrario, sono pronta a cambiare idea.
Dimenticavo, ieri (6 marzo 2016) è comparso un articolo sul Sole 24 ore di Sergio Luzzatto (favorevole alla creazione del centro di documentazione a Predappio) dal titolo *Per capire il Ventennio disastroso*
http://www.pressreader.com/italy/il-sole-24-ore/20160306/282909499616562
A me il link non funziona…
Visto che alcuni non riescono ad aprire il link, più tardi trascrivo l’articolo (il copia-incolla non è possibile)di Luzzatto e lo posto direttamente.
Purtroppo non conosco bene la realtà di Predappio per poter dare un giudizio netto sul progetto del museo. Però conosco bene l’esempio bolzanino di cui parla Marco. Qui il problema era quello di togliere ai relitti del fascismo la loro valenza di memoria viva, e quindi il legame diretto con il passato fascista, per relativizzarli e renderli finalmente patrimonio storico. Questo è stato fatto non solo attraverso la musealizzazione, ma anche tramite interventi di “montaggio” come, appunto, l’anello di LED. Ora, per quanto conosco io Predappio, il problema è che è l’intera città a essere trattata come memoria viva (talmente viva che sul nostalgicismo si è costruita un business piuttosto fiorente). Perciò è sull’intera città che si dovrebbe intervenire. Un museo può essere un momento per iniziare questo percorso, ma il progetto dev’essere davvero solido e consapevole dei rischi, altrimenti gli effetti collaterali possono essere enormi.
Sul progetto di un “museo del fascismo” a Predappio nutro gli stessi – grossi – dubbi di chi ha commentato qui in precedenza. Oggi su L’Espresso online è stata pubblicata un’intervista al sindaco di Predappio, Giorgio Frassineti: Tesoro di Mussolini, il sindaco PD di Predappio: «Datelo a noi per il museo sul fascismo». L’attivismo del sindaco (che batte con insistenza sulla questione relativa al reperimento dei fondi necessari alla realizzazione del museo) è quantomeno sospetto, ogni occasione è buona per rilanciare il progetto di cui è promotore, come questa del “tesoro di Mussolini”; le sue parole poi rendono difficile credere che la realizzazione del museo possa andare nella direzione auspicata di una lettura critica del Ventennio che tolga respiro alle parate dei nostalgici in quel di Predappio. Per dare un’idea – e uscirne poco rassicurati – basta leggere il seguente scambio domanda-risposta:
Il comune di Predappio già in passato ha dato la sua disponibilità a ospitare il “tesoro” di Mussolini…
Non posso che essere d’accordo, sarebbe il posto ideale. Non ha senso tenerlo seppellito in un caveau. Non bisogna avere paura. Io coi ragazzi che vengono a visitare la salma del Duce ci parlo e domando loro: “Il calcio è andato avanti o pensi pensi che sia ancora quello di Mazzola e Rivera? E allora ti pare che la soluzione ai problemi di oggi sarebbe una vecchia di quasi un secolo?”. È un problema anche generazionale e ci vuole uno scatto diverso rispetto al passato, come quello che sta mostrando questo governo. Che non a caso è fatto da giovani.
«Ci vuole uno scatto diverso rispetto al passato, come quello che sta mostrando questo governo. Che non a caso è fatto da giovani.»
Un Partito della Nazione che inneggia alla giovinezza? Adesso sì che mi sento tranquillo.
Quell’intervista al sindaco è un documento prezioso. La quantità di luoghi comuni, errori, banalità e “renzate” è oltre il livello medio (già altissimo) dell’amministratore PD medio. Chi firma appelli per sostenere un progetto di tale classe dirigente dovrebbe riflettere anche su questo piccolo dato di realtà.
Saltando qui e là (nell’intervista linkata qui sopra da Mr Mill):
-paragona Predappio a Monaco, ignorando che Monaco è stata la prima città importante del nazismo, luogo dei primi colpi di mano compreso il Putsch che ha portato in galera Hitler (che è un po’ lo stesso errore prospettico su Predappio che fa Luzzatto);
– quanto riportato da Mr Mill qui sopra, ovvero il paragone tra problemi di tattica calcistica e opzioni politiche di liberta vs oppressione; giustizia vs aggressione etc..
-“Ma io sono nipote di un partigiano comunista delle brigate Garibaldi”, formula retorica standard di cui non metto in dubbio la realtà storica e genetica ma che serve tipicamente a sdoganare comportamenti o discorsi quantomeno ambigui (abbiamo parlato di qualcosa di simile anche qui: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=21079 )
-“la narrazione storica va fatta in maniera scientifica” – come se la “scienza” fosse al di fuori della storia.
Per questo stesso ultimo motivo non condivido quanto scritto sopra da Marco Pagot sul lasciare “tutto in mano agli accademici ma proprio tutto”.
Riporto qui sotto l’articolo di S. Luzzatto
PER CAPIRE IL VENTENNIO DISASTROSO (*il Sole 24 ore*, 6-3-2016)
di Sergio Luzzatto
Un primo merito del progetto intrapreso dal sindaco di Predappio – aprire nell’ex Casa del fascio della città del Duce, un Museo del fascismo italiano – sarà stato quello di risvegliare la comunità degli storici dall’abituale suo torpore. I contemporaneisti italiani si vanno oggi impegnando in una discussione significativa, oltreché sul merito del progetto romagnolo, sui nodi del rapporto fra storia e memoria.
Finora, deboli sono stati gli argomenti raccolti ad deterrendum.
Il pericolo che un Museo del fascismo a Predappio incoraggi i pellegrinaggi dei nostalgici (come se davvero potesse esistere confusione tra un luogo serio di interpretazione scientifica, di rappresentazione museale, e di restituzione narrativa del Ventennio, e le stanche ritualità dei neofascisti in camicia nera che salutano romanamente presso la tomba di Mussolini). La necessità di realizzare, preventivamente, un Museo del Novecento a Roma o a Milano (come se davvero l’una cosa fosse culturalmente propedeutica all’altra).
La volontà di opporsi a un progetto che si dice appoggiato dal governo di Matteo Renzi (come se davvero fra le priorità dell’attuale premier rientrasse mai un discorso sulla storia e la memoria della nazione).
I musei storici, i centri di documentazione, i memoriali nascono spesso nei luoghi che sono stati teatro degli eventi ai quali si riferiscono. Le scolaresche francesi vanno a Verdun per imparare l’orrore della morte in trincea durante la Grande Guerra. Le scolaresche dell’Europa intera vanno ad Auschwitz per imparare la tragedia della Shoah. Perché – una volta garantiti, attraverso un comitato scientifico e quant’altro, il rigore culturale e la pertinenza espositiva di un Museo del fascismo – le scolaresche italiane non dovrebbero andare a Predappio per imparare in loco il disastro del Ventennio mussoliniano?
Luzzatto secondo me è un grande.
E credo che proprio sostenendo la bontà di un progetto simile, stia anche ponendo la domanda centrale che decreta l’impossibilità di realizzare il progetto come lo intende Luzzatto stesso: “Perché – una volta garantiti, attraverso un comitato scientifico e quant’altro, il rigore culturale e la pertinenza espositiva di un Museo del fascismo – le scolaresche italiane non dovrebbero andare a Predappio per imparare in loco il disastro del Ventennio mussoliniano?”
Perché, gli si poterbbe rispondere, se il progetto è in mano a fondazioni, banche, Partito della Nazione, governo Renzi, Frassineti e compagnia cantante, quelle *garanzie* di “rigore culturale e pertinenza espositiva” rimarranno lettera morta. E soprattutto, oltre a un comitato scientifico (indispensabile) che finora non si capisce a chi verrebbe affidato, mi preoccupa proprio quel *quant’altro*…ovvero le basi politiche, sociali, culturali e memoriali dell’intero progetto. Perché sarà anche vero che le scolaresche vanno a Verdun e Auschwitz, ma un Fürermuseum a Linz non c’è. E sapete chi lo voleva realizzare? Esatto, Adolfo stesso.
Mi dispiace ma quest’articolo di Luzzatto – storico che stimo molto – è pieno di fallacie e passaggi tirati via.
«come se davvero potesse esistere confusione tra un luogo serio di interpretazione scientifica, di rappresentazione museale, e di restituzione narrativa del Ventennio, e le stanche ritualità dei neofascisti in camicia nera che salutano romanamente presso la tomba di Mussolini»
Il problema non è affatto “confonderli” sul piano razionale. Il problema è che il frame della seconda è forte, fortissimo, dominante, permea tutto il contesto, mentre il frame del “luogo serio di interpretazione scientifica” è debole e soprattutto non va a disarticolare la macchina mitologica che c’è tutt’intorno. Cosa può fare la “rappresentazione museale”, alla quale gli storici si affidano illuministicamente, di fronte alla suggestione, al sonnambulismo di massa, alla fascinazione del Mito di morte del fascismo? Siamo sempre lì, al «Non pensare all’elefante», al non porsi il problema della cornice. Va cambiata l’intera cornice, va risemantizzato il paesaggio urbano a monte, come si sta cercando di fare, un passo alla volta, a Bolzano.
«come se davvero fra le priorità dell’attuale premier rientrasse mai un discorso sulla storia e la memoria della nazione»
Non è possibile che Luzzatto pensi quel che dice questa frase, che è di una superficialità e ingenuità impressionanti. Spero gli sia solo venuta male e intendesse dire altro.
Sono anni e anni che, da Violante in poi e da Napolitano in giù, il centrosinistra prima e il PD poi – con un’accelerazione vertiginosa negli ultimi tempi, ma iniziata già prima del renzismo – investono sulla “memoria condivisa”, sulla “concordia nazionale”, sul progetto del Partito della Nazione, tra inno di Mameli e scie delle Frecce Tricolori.
Con la scusa del “siamo tutti italiani”
– si è celebrato il centocinquantenario nel modo più omertoso possibile;
– il 24 maggio 2015 si è *festeggiato* il centenario dell’entrata dell’Italia nella Grande guerra;
– negli anni si sono date *centinaia* di medaglie a fascisti e anche a criminali di guerra;
– più volte si sono celebrati i compleanni o compiante le dipartite di fascistoni (Luigi Gnecchi celebrato dalla ministra Pinotti, Almirante celebrato da Napolitano);
– si è prestato il fianco a ogni revisione calunniosa della Resistenza;
– ogni 10 febbraio a Basovizza esponenti del PD partecipano a cerimonie insieme a esponenti e fan della X Mas, sull’attenti davanti a labari pieni di teschi, come se niente fosse;
– continuamente si sminuisce, rimuove o addirittura rivaluta il nostro colonialismo (sempre Pinotti, «lo speciale rapporto che ci lega alla Libia»)…
Sono tutte cose su cui Giap fa inchiesta da anni, e non sarà una parentesi en passant, sia pure di uno storico che stimiamo, a farci passare sopra tutto questo. Tra l’altro, fa specie che dopo decenni di dibattito sull’«uso pubblico e politico della storia», uno come Luzzatto, che ha dato contributi preziosi alla discussione, se ne esca dicendo che alla politica della storia non frega niente.
E poi, basterebbero le frasi del sindaco di Predappio riportate qui sopra, con il loro renzismo ye ye, con la superficialità dell’approccio, a gettare una luce malaticcia sull’intero progetto.
«Le scolaresche dell’Europa intera vanno ad Auschwitz per imparare la tragedia della Shoah»
Appunto, non vanno a Braunau, città natale di Hitler. Il parallelismo è fallato, il corrispettivo italiano dei lager sono, appunto, i lager italiani. Quelli censiti su campifascisti.it. Per imparare il disastro del Ventennio mussoliniano, bisogna andare nei luoghi dove il fascismo ha perseguitato le minoranze, ha deportato popolazioni, ha compiuto massacri e genocidi, non dove c’è la stanzetta del duce, la tomba del duce, il genius loci del duce. Anche perché, su questo ha ragione Ginzburg, in questo modo si conferma un altro frame che ha fatto danni enormi, quello “mussolinicentrico”, come se il fascismo si riducesse al suo capo ufficiale.
«i memoriali nascono spesso nei luoghi che sono stati teatro degli eventi ai quali si riferiscono»
Mi pare che la logica di questa frase si rivolti proprio contro la posizione che Luzzatto vuole difendere. Quale sarebbe “l’evento” del quale Predappio fu teatro? “L’evento” al quale il memoriale si riferirebbe? Non la fondazione del PNF, non uno dei suoi crimini, ma la nascita di Benito Mussolini. E non basta questo, a sconsigliare che un “museo del fascismo” s’impianti a Predappio? Non l’avevamo messa in soffitta da cent’anni, la storia fatta a suon di Napoleoni e Luteri?
Mi chiamo Carlo Giunchi e sono l’autore del progetto culturale per il riuso dell’ex casa del fascio e dell’ospitalità di Predappio. Ringrazio Anna Luisa Santinelli, il cui amore per la storia e la democrazia ne fanno una persona gradevole e priva di strumentalismi, per avermi indotto a questo intervento, che già ora mi rendo conto che sarà parziale e insufficiente.
Francamente ho dovuto vincere una prima difficoltà ad interloquire con persone che non solo non conosco, ma che scelgono dichiaratamente di non farsi conoscere, ma l’ho fatto evitando, almeno per me, l’anonimato.
Non sto a tediare chicchessia con i lunghi ragionamenti, che pure abbiamo fatto col sindaco, con amici storici di grande spessore, con persone che solo ritenere non sufficientemente antifasciste è una follia, che mi hanno portato, che ci hanno portato, a pensare, per l’ex casa del fascio di Predappio, una destinazione di tipo culturale, con l’esplicitazione di una vocazione storica prioritaria.
Nella mia relazione ho chiamato questa iniziativa “contrappasso”, cioè rovesciamento. Mi si chiederà di cosa. Semplice, di una consuetudine che tenta di imporre la politica alla conoscenza storica, un po’ come quei giovani che nella tomba di Mussolini scrivono “ritorna!”. Non sanno quasi nulla di cosa avvenne in quegli anni: mettono semplicemente davanti alla storia una “rabbia contemporanea”.
Un procedimento da rovesciare, come però, e lo dico con forte convinzione, è da rovesciare anche quello in base al quale un gruppo di senatori della sinistra più radicale qualche giorno fa ha fatto un’interrogazione al governo che terminava chiedendo quali misure esso avrebbe intrapreso per impedire a Predappio una deriva revisionista. Non siamo tutti d’accordo che quando il potere politico descrive i confini della storia siamo ad un passo dal totalitarismo?
Tralascio sotto questo aspetto chi ha avuto la fantasia di leggere il nostro progetto sotto la luce, francamente fioca, del partito della nazione, come se oltre cinquanta storici che hanno scelto di appoggiarci non avessero aspettato altro che il beneplacito di un Renzi che, quando è partita la riflessione sul progetto, era ancora ad amministrare la bella Firenze.
Dispiace solo che di questo modesto artifizio si sia servito anche uno studioso di grande qualità come Carlo Ginsburg.
Dunque, come ho detto, lascerò ad altre occasioni l’enunciazione dei tanti argomenti che ho progressivamente accumulato per sorreggere il senso del nostro progetto, soprattutto in questo periodo in cui un vorticoso “frullatore” mediatico si è impadronito di tanti ragionamenti, con giornalisti mediocri che, per lucrare su un presunto scandalo, hanno inventato musei dalle fattezze immaginarie, hanno stravolto le dichiarazioni con titoli da “rotocalco di costume”, hanno buttato le idee più importanti nella paccottiglia della politica quotidiana.
Sarà per me, ma so anche per il sindaco di Predappio Giorgio Frassineti, un piacere mettere a confronto con tutti voi tali argomenti.
Ora voglio solo raccontarvi di un breve viaggio fatto recentemente in Germania a vedere due musei, che lì chiamano “Documentazione sul nazismo”. Uno è a Monaco (28 milioni di euro), racconta della nascita e dello sviluppo del nazismo e del rapporto con quella città. Lo hanno costruito esattamente sopra le fondamenta di quello che era il palazzo che ospitò appunto la sede del partito nazista. Ho passato molte ore a guardare i “blocchi” multimediali che incrociavano le date ed i temi, nei quali le foto la facevano da padrone. Una di queste, scattata dagli stessi nazisti, mi ha colpito; si trattava di un plotone di esecuzione che, con le spalle alle proprie vittime, se ne andava dopo aver fucilato cinque donne ebree, riverse nei loro abiti fiorati e un po’ eleganti, che sembravano indossati per una festa primaverile. Una foto che dice tutto, più di un discorso, più di un saggio storico.
Il secondo museo, meno recente, l’ho visto all’Obersaltzberg, una piccola frazione di montagna dove c’era il “nido dell’aquila” di Hitler e dove degli edifici è rimasto quasi niente, se si esclude il bunker di 10.000 mq. (visitabile). Anche qui una volta si ritrovavano neonazisti per celebrare quel luogo, rifugio di Hitler e dei peggiori gerarchi. Un quindicennio di anni fa però fu presa la decisione di creare un’esposizione permanente sulla storia del nazismo e si attrezzò un capannone costruito ad hoc. Quando ci entrate siete accolti da un busto di Hitler che ai propri lati ha una foto di una piazza piena di braccia tese e una foto di poveri resti di internati in un campo di concentramento. Vi assicuro che il busto di Hitler non fa più paura a nessuno. E in un colpo d’occhio avete l’esatta dimensione della violenza e del consenso che si coniugarono nel nazismo.
Anche qui foto, che valgono una storia: una sequenza di quattro: 1) un centinaio di donne raccolte con qualche bambino; 2) le stesse donne cominciano a spogliarsi; 3) tutte quante nude, con in braccio i loro bambini nudi; 4) ancora tutte nude, ma ora riversate in una valletta di morte. Se qualcuno non lo sa ancora, ecco cos’era il nazismo.
Ebbene, oggi quello spazio espositivo sarà completamente rinnovato, con un significativo investimento, perché in quindici anni è stato visitato da un milione e mezzo di persone, 170.000 nell’ultimo anno. I neonazisti nostalgici, se ci sono, scompaiono nella ressa.
Non ho fatto questo racconto per dire semplicemente quanto la verità storica possa essere educativa, ma soprattutto per rimarcare la scelta corretta di coniugare i veicoli di questa verità con i simboli presenti nell’immaginario collettivo. Ecco perché questo progetto ha senso a Predappio, città voluta e nata come simbolo di un’epoca, troppo preziosa per essere consegnata a negozi di cianfrusaglie e a visitatori in maschera.
E’ un luogo adatto per raccontare il fascismo, anche in ciò che molti non hanno avuto il coraggio di fare.
Scusate la lunghezza, ma ci sarebbe molto d’altro.
Mi chiamo Giovanni Cattabriga (CTTGNN74A18A944X). Uso lo pseudonimo Wu Ming 2 da poco più di 16 anni, ma non mi addentrerò in una riflessione sull’anonimato, che sarebbe fuori luogo.
Nessuno qui mette in dubbio il diritto di Predappio a promuovere iniziative di contrappasso e rovesciamento dell’idiozia fascista che da decenni l’ammorba. Il punto è quali iniziative siano efficaci e quali invece, con l’aggravante delle buone intenzioni, possano trasformarsi in un boomerang. Il suo discorso sulle fotografie nel bunker di Hitler è interessante, ma tra un “museo del fascismo” e un’installazione fotografica ci passa una bella differenza. Quello che contesto, insieme al mio socio Wu Ming 1 e ad altri che si sono espressi qui, è che l’impianto scientifico/razionale tipico di un museo storico possa scardinare e rovesciare su sé stessa la macchina nostalgico-celebrativa che stritola le strade di Predappio. Mi pare lo stesso errore che commise a suo tempo chi voleva convertire con il “lume della ragione” certi elettori berlusconiani, mostrando loro che votavano contro il loro stesso interesse, come se fossero soltanto un branco di cretini. Costoro avevano ragione? Sul piano economico sì, ma si presentarono armati di tutto punto su un campo di battaglia, quando il nemico aveva già vinto la guerra da tutt’altra parte.
Certo pure tu con quel cognome :-)
Si S-J, lo so lo so lo so hai ragione, tu l’avevi detto e io non ti sto dando soddisfazione.
“Non siamo tutti d’accordo che quando il potere politico descrive i confini della storia siamo ad un passo dal totalitarismo?”, scrive Giunchi (di cui apprezzo la scelta di intervenire qui).
No, non siamo tutti d’accordo. I rapporti tra potere politico e storia sono molto più articolati e dialogici di così. Il potere politico descrive *continuamente* i confini della storia. Esempio contemporaneissimo: lo stato sociale è reso *storia*, le tutele sindacali e del lavoro sono *passato* e di quel passato *dobbiamo liberarci* (ovvero farne storia e non presente) per mostrare quello “scatto diverso rispetto al passato, come quello che sta mostrando questo governo” (quest’ultimo virgolettato è del sindaco di Predappio, vedi sopra).
lo “scatto diverso rispetto al passato” (e quindi l’implicita necessità di una storicizzazione delle vicende repubblicane recenti) smentisce l’affermazione su cui tutti dovremmo essere d’accordo di Giunchi, quella secondo cui il potere politico non scriva (o non dovrebbe scrivere) i confini della storia.
Altro esempio: il discorso di Panebianco sul ’68 e gli anni settanta
(vedi qui: http://temi.repubblica.it/micromega-online/ilcaso-panebianco-tra-conformismo-e-disonesta-intellettuale/ e qui: http://www.corriere.it/cronache/16_febbraio_25/panebianco-democrazia-contestazioni-universita-bologna-5c0979aa-db45-11e5-956c-6f7e55711737.shtml )
che durerebbero ancora oggi (secondo lui), cosa è? Non è forse il potere mediatico e annessi che descrive i confini della storia?
E lo stesso partito della nazione non nasce forse con la necessità di una “memoria condivisa” (sul fascismo e la resistenza) invocata da Luciano Violante nel discorso di insediamento alla presidenza della Camera nel 1996? (una carica politicissima che traccia i confini della storia e della sua eventuale condivisione, quindi!)
Insomma, perché ridurre questioni così complesse e problematiche a qualcosa su cui “tutti dovermmo essere d’accordo”? Non è un po’ un sintomo (absit iniuria verbis, mi scusi Giunchi) di partito della nazione anche questo?
«ho dovuto vincere una prima difficoltà ad interloquire con persone che non solo non conosco, ma che scelgono dichiaratamente di non farsi conoscere»
Sei partito male, Giunchi. Molto male.
Il resto te l’hanno già detto WM2 e Vanetti, ma io ci tenevo a dire che sei partito ben male.
Primo, perché la premessa sull’anonimato in rete no, dài. Quando ci si lamenta di non sapere nome e cognome dell’interlocutore, si sta facendo una critica ad hominem (o meglio: ci si sta lamentando di non poterla fare) e spesso significa che non si è poi così sicuri della solidità dei propri argomenti.
Secondo, perché noi non siamo anonimi. Tocca persino citare da Wikipedia:
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Il fatto che il nome del gruppo significhi “Senza nome” ha spesso generato equivoci sul presunto anonimato dei suoi membri, i cui nomi anagrafici sono invece noti e riportati anche sul sito ufficiale[3].
Dal 2000 alla primavera del 2008, la formazione ha compreso:
Roberto Bui (Wu Ming 1)
Giovanni Cattabriga (Wu Ming 2)
Luca Di Meo (Wu Ming 3)
Federico Guglielmi (Wu Ming 4)
Riccardo Pedrini (Wu Ming 5).
Il 16 settembre 2008 il gruppo ha annunciato l’uscita di Luca di Meo dal collettivo di scrittori, avvenuta nella primavera precedente[4]. Ciononostante, Di Meo è tornato ad utilizzare lo pseudonimo “Wu Ming 3”, con il quale viene designato anche sul blog “Giap”[5]. Il 15 febbraio 2016 il collettivo annuncia l’uscita di Riccardo Pedrini, avvenuta nel giugno precedente.[6]
Ciascuno dei membri del collettivo ha un nome d’arte individuale, una produzione “solista” e una “voce” autoriale autonoma, riconoscibile dai lettori.
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Firmato: Roberto Bui, cod. fisc. BUIRRT70D30G184E
Sarò un grezzo ma secondo me c’è un modo molto semplice per l’amministrazione di Predappio e in generale per la politica di dimostrare che l’operazione Predappio non è la solita italianata come Villa Mussolini a Riccione.
Sarebbe sufficiente che il Comune dichiarasse guerra alle cianfrusaglie fasciste facendo un’ordinanza che ne proibisce la vendita sul territorio comunale, che iniziasse a far fioccare denunce per apologia di fascismo ai coglioni che vanno lì a fare gite, insomma, basterebbe che avesse il coraggio di provare a rinunciare a qualche soldo sporco portato da quella feccia, a qualche voto di commerciante senza scrupoli, e lanciasse il nuovo museo come proposta *alternativa* e non *accessoria* alla paccottiglia nostalgica.
Insomma: fare il sindaco di una Predappio che giustamente *si vergogna* di essere vista soltanto come una bancarella di gadget per feticisti del prognatismo e che vuole diventare un luogo di memoria e ricerca. Non *anche* quello, ma *solo* quello.
Si parla sempre della Germania per difendere questo progetto. OK, provate ad andare al Museo dell’Olocausto e fare un saluto romano… Mi spiace ma la credibilità di un sindaco che accetta questa situazione nel suo paese per me è pochissima. E soprattutto è scarsissima se il sindaco in questione dice le fesserie che riporta questa intervista: http://www.iltempo.it/politica/2015/04/24/il-sindaco-del-pd-di-predappio-i-simboli-fascisti-vanno-difesi-1.1407951
Cito alcune perle:
– «Predappio è Mussolini»
– «La memoria del Duce non può essere lasciata solo ai commercianti di souvenir, che tramandano gli anni peggiori del fascismo»
– «Guardi ad esempio la mia scrivania. C’è un enorme fascio littorio. Ma io non lo cancello, anzi, ci ho messo un vetro sopra per proteggerlo»
– «Io guardo i simboli del fascismo e non sento il rumore del regime, ma ripercorro una parte della storia d’Italia»
– «È che una parte della sinistra, soprattutto quella che lavora nella cultura, ancora fa fatica a riconoscere quella che è ormai una verità storica acclarata. E cioè che il fascismo ebbe un grande consenso popolare. Gli italiani non vennero drogati»
Se Giunchi è in buona fede, è il caso che non faccia riferimento a un individuo simile.
In effetti è strano che Giunchi abbia un minimo di fiducia in Frassineti. Quest’ultimo, se non sbaglio, era assessore alla cultura del comune di Predappio, quando scoppiò il “caso” di Rocca delle Caminate, la villa- castello di Mussolini, sempre in provincia di Forlì. Era il 2006 e Giunchi mi pare abbia toccato con mano la pochezza di certi amministratori locali: http://www.unacitta.it/newsite/intervista_stampa.asp?rifpag=homecosasuccede&id=1413&anno=2006
Il sindaco di Predappio deve parlare di più, deve rilasciare ancora più interviste, esternare, esternare, esternare.
Così sempre più persone si renderanno conto del problema, e dei rischi che si corrono con questo progetto.
Con la premessa《Predappio è Mussolini》, in che direzione si potrà mai andare? La stessa di adesso, quella “da Pro Loco”: he was a son of a bitch, but he was *our* son of a bitch. E il comune non stroncherà il commercio di gadget fascisti né l’arrogante apologia di fascismo dei “turisti”. Avrebbe potuto farlo già tanto tempo fa, quando ancora non c’era il trip ammorbante della “memoria condivisa”, ma non l’ha fatto, per i motivi spiegati sopra. Figurarsi se si vuole farlo oggi, in tempi di Partito della Nazione e con le fogne ormai tracimate.
Vi fidate di un Museo del fascismo promosso da uno così? #Predappio
A parte che costruire un museo su una cornice semantica rasa al suolo come nel caso dei monumenti austro-tedeschi è ben diverso dal farlo in un luogo di per sé mitico e sacro come ahimé quello natale del fondatore del fascismo, rimane molto dubbio e ambiguo come e perché un “centro di documentazione” quindi che evoca senari seri e qualificati, forse un filo posati, perciò rassicuranti, dovrebbe funzionare in un tale contesto. Su un centro di documetnazione l’impegno economico è anzitutto sul lungo periodo, non nell’immediato. Non consente foto davanti ai cimeli per le autorità, funziona sul lungo periodo, non dà ritorno di immagine immediato. Con quali collezioni uniche e irrinunciabili si riempirebbe un edificio per farne un contesto vivo e in constante sviluppo, imprescindibile alla ricerca? Quante persone qualificate sarebbero assunte per farlo funzionare, ricevendo gli studiosi e fornendo i servizi opportuni? Con che contratti? Ah, precari? tanto basta aprire la porta e fornire una sedia? ah, naturalmente INTERNET!!! e poi? tutti a casa? Con che fondi funzionerebbe nel lungo periodo arricchendo costantemente delle collezioni significative e aggiornate, data la produzione mondiale attuale e passata sull’argomento? e alla molteplicità di discipline necessarie per inquadrare il fenomeno in tutti i suoi contesti? Collezioni degne di farci spostare studiosi del mondo intero altrimenti scusate a che serve? a farci fare un giro alle scolaresche prima che scadano i minuti previsti per il giro d’istruzione? Quale contesto di documentazione è presente intorno per integrarne l’offerta? Perché quello che si può prevedere, nel migliore dei casi, è la classica cattedrale nel deserto. Un museo, nel peggiore dei casi, diventa una scatola riempita con due cocci e un paio di pannelli, ci piazzi un custode o due qualche giorno a settimana, magari con un bel contratto multiservizi, eh, che si risparmia qui, e morta lì. Ti funziona già e magari solo perché è lì, purtroppo, e ciò riporta al discorso iniziale sulla demitizzazione. Un paio di disperati che entrano a metter una firma li trovi sempre e una foto di lager un po’ splatter ce la trovi pure, a salvarsi la coscienza. Ma un centro di documentazione è affare un po’ più delicato, dove non basta ammobiliare un paio di scansie e lasciare tutto lì accendendo la luce due ore al giorno e arrivi chi vuole, anche se suona tanto tanto bene e fa allargare i cordoni della borsa per fare i lavori iniziali, quelli che ormai, coi contratti da Jobs Act, vanno a finire nelle tasche delle imprese e non in quelle dei salariati, tanto per dire, quindi sono i soli che importino. Richiede un impiego costante di soldi, tanti, e intelligenze, non poche, ad altissimo livello per avere un senso in quel contesto, proprio perché non è altrettanto o per nulla sensibile, se non per motivi che nulla avrebbero a che fare con lo studio, al mito del luogo in sé, bensì alla sua vitalità culturale, sociale e scientifica. Lo gestirebbe un ente locale relativamente piccolo? Con che fondi? Quale studioso sarebbe disposto a stabilircisi per dirigerlo in loco? Perché solo così funzionerebbe. O ci si fa un Max Planck, in un luogo simile, o meglio lasciar perdere proprio.
Tempo fa sul portale di informazione a fumetti Graphic News è uscito un pezzo sul progetto museale di Predappio, con un’intervista alla vicesindaco. Molto interessante il dato che emerge dalle testimonianze degli abitanti del paese, vale a dire un aumento delle presenze “turistiche” in tempi recenti, ma sempre in occasione di date “calde”, e anche un aumento dell’eterogeneità dei convenuti (“pullman e famiglie con bambini”). Consigliato:
http://graphic-news.com/stories/predappio_citta_aperta/#
Ah, già… Federico Guglielmi a.k.a. Wu Ming 4 (GGLFRC73A29H199R)
Non credo che riuscirò ad intervenire su tutti gli aspetti sollevati, me ne scuso in anticipo, anche perché non vorrei, come molti fanno, fare a pezzi gli interventi altrui per prelevare una frase sulla quale fare un esercizio dialettico, che non mi interessa assolutamente. Io vorrei fare una riflessione compiuta che tenga conto delle vostre osservazioni.
Questo naturalmente dopo essermi scusato con Roberto Bui per non aver cercato su Wikipedia il suo nome e quello degli altri numeri Wu Ming. Non ho consuetudine con i blog. Ma non è una questione giuridica, il mio disagio dovuto alla non conoscenza, anche se colpevole, degli interlocutori era vero e comunque l’ho superato. Diciamo che è stato un problema mio, non vostro. Ho solo semplicemente dovuto superare una mia difficoltà.
Ciò detto provo a esporre le mie idee ringraziandovi per il “disvelamento”.
Innanzitutto mi sembra di verificare un dato comune a diversi interventi che a mio avviso rappresenta una specie di deviazione, cioè l’idea che tutto debba ruotare attorno al problema dei tre negozi di souvenir e dei tre appuntamenti annuali dei nostalgici. E’ un po’ la stessa storia che riguarda i giornalisti: quando vengono e spieghiamo loro tutti i contenuti del progetto, pensate che vi diano importanza? Proprio no, vanno a fotografare il negozio di souvenir, la tomba di Mussolini, e magari pubblicano un po’ di fascisti in camicia nera. Cercano lo scoop, il fatto di colore, magari fanno un trabocchetto a chi intervistano. Per loro, la comunità di Predappio è un “non luogo”, per voi “una cornice”, per noi appunto una comunità da sempre democratica, che ha portato il peso di una storia che l’ha segnata nel profondo e che non merita il disprezzo latente o esplicito che troppo spesso si legge.
Effettivamente se l’obbiettivo del progetto fosse principalmente questo sarebbe forse poca cosa e probabilmente non varrebbe lo sforzo. Come molti possono immaginare l’ambizione è maggiore. Non so se riusciremo a farci un Max Planck, ma la dea del sicomoro può stare tranquilla, anche noi sappiamo cos’è un centro di documentazione ed abbiamo qualche competenza gestionale da mettere in gioco.
La presenza nostalgica a Predappio è un problema, lo è sempre stato, ma rispetto alla nostra proposta ha una valenza secondaria, nel senso che la sua riduzione progressiva fino all’auspicabile annullamento potrà essere una conseguenza di un’iniziativa qualificata e non il primo punto da dirimere. Voglio dire, rimanendo all’esempio dell’Obersalzberg, che la quasi totale sparizione di nostalgici, che ci solleva, è certamente un aspetto subordinato rispetto ai 170.000 visitatori annui.
La funzione di “contrappasso”, della quale ho già parlato, riguarda molto il tema del riscatto della città e della sua immagine, anche se ovviamente ha un valore generale.
Riprendo, per spiegarmi meglio, il riferimento di Giovanni Cattabriga alla polemica sorta riguardo alla destinazione della Rocca delle Caminate. Proprio io sollevai quella questione e riuscii ad interrompere un percorso progettuale che mi sembrava troppo modesto culturalmente e quindi inevitabilmente esposto alle strumentalizzazioni. In quell’occasione pagai la mia determinazione anche con una forte penalizzazione sul piano professionale. Nella mia intervista ad una città, fra l’altro, c’era la seguente frase: “Io credo che se si fosse fatta una corretta operazione di carattere storico, con le dovute discriminanti – proposta di cui si era parlato in passato ad esempio per la casa natale di Mussolini e per molti altri edifici di Predappio (perché esiste il problema del legame tra queste strutture architettoniche e le vicende del fascismo) l’operazione si sarebbe inevitabilmente contrapposta al pubblico dei nostalgici.” Allora il Sindaco Frassineti era assessore alla cultura di Predappio e non so quale livello di coinvolgimento aveva, ma una cosa la so per certa, che anche quello fu un episodio utile per capire, capirsi e fare dei passi in avanti. Altrimenti perché mi avrebbe chiamato a progettare l’intervento nell’ex casa del fascio?
Comunque non voglio esimermi, come avete visto, dal dare una valutazione anche rispetto al fenomeno deteriore dei pellegrinaggi. Lo faccio però cominciando col cercare di fare chiarezza sull’idea che possa il sindaco assumere decisioni significative al riguardo e in tal senso devo fermamente contestare maurovanetti: un sindaco non può fare un’ordinanza che proibisce la vendita delle “cianfrusaglie fasciste” sul territorio comunale. La vendita è cominciata quando la prefettura, che ha la competenza, ha revocato il suo precedente decreto di divieto. Analogamente le manifestazioni nostalgiche non possono essere vietate dal Comune. Ci sono le autorità superiori che hanno la responsabilità dell’ordine pubblico. Infine l’apologia. Praticamente ogni anno ci sono segnalazioni e denunce. Ma la magistratura, che è competente, archivia.
Che senso ha allora prendersela col sindaco? Per quanto riguarda le frasi di Frassineti che lo stesso maurovanetti riporta, fatte salve le infiocchettature giornalistiche, esse trovano la mia completa condivisione.
Un esempio per tutti per spiegare cosa significa non lasciare la gestione di Mussolini e del fascismo a commercianti o fascistoidi di ogni genere.
Per Sabato 12 marzo, alle 10,30, a Predappio, il Comune e 900fest hanno organizzato un’iniziativa pubblica sul tema “Mussolini nella prima guerra mondiale. La riedizione dei diari di guerra (1915/17)”. L’incontro sarà introdotto da Marcello Flores e coordinato da Maurizio Ridolfi. Interverranno, quali curatori delle tre diverse edizioni, Mario Isnenghi, Alessandro Campi, Mimmo Franzinelli. La pubblicazione di questi diari fa seguito alla decadenza dei diritti dopo 70 anni dalla morte dell’autore.
Di cosa può essere accusato chi dal punto di vista storico ha preso in esame la questione proponendola ad un vasto pubblico, di aver fatto pubblicità all’interventismo di Mussolini? Era forse meglio che le pubblicazioni non venissero fatte e l’esame di quella pagina di storia fosse lasciata all’edizione curata da Franco Freda? E’ un po’ come il caso di Mein kampf di Hitler: ha forse fatto male l’Istituto di Storia Contemporanea di Monaco ad assumersi la responsabilità della sua ripubblicazione accompagnandolo con un voluminosissimo corredo di commento per un totale di 2.000 pagine?
Comunque stia tranquillo maurovanetti: la nostra proposta è completamente alternativa.
Un’ultima curiosità: Cattabriga snobba apertamente i l”lume della ragione” come arma spuntata e inefficace contro le evidenze nostalgiche. Può darsi, ma mi cavi una curiosità, qual è il suo “lume”? Ha mai pensato che il divieto formale non fa che clandestinizzare il commercio di cianfrusaglie, che limitare la parola e il pensiero non fa che vittimizzare le derive nostalgiche? Gli è mai venuto il dubbio che l’unica arma sia la cultura e che forse l’idea di “spianare tutto” è quantomeno un po’ datata e priva di efficacia?
Ribadisco l’invito a chiunque a passare a Predappio, se ne ha voglia.
Quindi in sostanza ci conferma che non c’è modo di liberarsi del ciarpame fscio-nostalgico, delle bancarelle, dei pellegrinaggi eccetera. E quindi una volta arrivati a Predappio con la corriera di linea, per farsi strada e raggiungere il centro di documentazione toccherà tirar fuori lo sten dal nylon? (è un witz, eh)
«Altrimenti perché mi avrebbe chiamato a progettare l’intervento nell’ex casa del fascio?»
Per imbarcare anche il più autorevole Giunchi sul carrozzone da circo. E così a occhio direi che l’operazione gli sia riuscita.
Giunchi, come detto sopra sono di Forli, quindi per me Predappio non è una cornice o un “non luogo”. E proprio perché a Predappio ci sono venuto centinaia di volte, l’idea del museo, e il modo in cui questa idea viene portata avanti, mi preoccupa. Non sono contrario a prescindere, ma da un parziale ottimismo iniziale sto passando a un preoccupato pessimismo circa la realizzazione del museo.
Il contrappasso funziona se qualcuno lo sa leggere, Giunchi, e la ragione funziona, la cultura funzione, ma uno non abbandona le sue convinzione fasciste perché vede le foto dei partigiani fucilati. Altrimenti avermmo già risolto ogni problema, e AN non sarebbe mai andata al governo, e Casapound non esisterebbe, giusto?
Ferlandia e soci vendono cianfrusaglie fasciste, che questo sia di competenza del Comune o di altre autorità mi importa poco, dal momento che sono e rimangono in bella vista, e costituiscono una presenza ingombrante. Lo scaricabarile funziona nelle stanze del potere, ma se le diciamo che la cornice è prolematica, e lei scarica il problema sulla prefettura, si è tolto un peso, ma il problema persiste, e la cornice rimane *guasta*.
Il rovesciamento di significato deve essere fatto nel miglior modo possibile.
Io penso alla mostra sul “giovane Mussolini”, sempre a Predappio.
Ecco, una cosa del genere fa danni incredibili, perchè parla del giovane Benito decontestualizzando. Va bene presentare i suoi inizi socialisti, la fuga in Svizzera eccetera. Ma la mostra è monca, non spiega il *dopo* e quello che il giovane Mussolini è diventato. Se le scolaresche vedono una cosa simile, cosa possono imparare sul fascismo? Che Mussolini in fondo era un brav’uomo e all’inizio era pure di sinistra? Andiamo bene. Ridolfi, ottimo storico, era anche in quel comitato, e come lui altre ottime personalità e serissimi studiosi antifascisti. Ma se gli storici curano la mostra e la politica guasta la cornice (o la prefettura, se preferisce), allora siamo da capo.
Voglio dire che non è sbagliata l’idea del museo in sé, ma che il terreno è impervio e scivoloso.
E visti i precedenti, e visto il clima memoriale a livello nazionale (leggi *memoria condivisa* ovvero riabilitazione dei repubblichini), e viste certe dichiarazioni di Frassineti (infiocchettate o meno, io con Frassineti ci ho già parlato diverse volte, e l’impressione che mi ha fatto è davvero pessima), ecco, non posso che rimanere scettico.
Detto questo, la ringrazio per avere avuto la pazienza di venire qui, spiegare le sue ragioni, superare certi “ostacoli”, e spero che possa perdonare il fatto che non le dia il mio codice fiscale (non ce l’ho con me al momento). Mi chiamo comunque Luca Manucci.
Comunque questa storia del Comune che purtroppo ha le mani legate l’ho sentita mille volte, parlando di fascisti, parlando di slot machine, parlando di attività inquinanti e via dicendo. Entro certi limiti, è tecnicamente vera, ma un sindaco di Predappio che volesse ripulire Predappio dal letame troverebbe comunque il modo di farsi sentire, di fare dichiarazioni inequivoche invece che vantarsi del fascio littorio sulla scrivania, di provarle tutte incluse mosse al confine della legalità e arrivare fino al TAR, di organizzare manifestazioni di protesta ecc. Non è evidentemente questo il caso di Frassineti.
Poi si cita la prefettura: e la prefettura a chi risponde? al governo, guidato dallo stesso partito del sindaco. Oppure si cita la legislazione nazionale: e qual è il partito di maggioranza negli organi legislativi? Insomma, se si trovano milioni per il museo del fascismo a Predappio si trova anche mezz’oretta per risolvere un problema banale come quello delle cianfrusaglie e dei deficienti nostalgici.
Grazie Luca,
a volte lo scetticismo può fungere da stimolo. Concordo che il terreno è impervio. D’altra parte chi ha mai detto che questo progetto è “un pranzo di gala”?
L’ho detto io, ad esempio, e lo ripeto. Con tutti quei milioni, sarà un fantastico pranzo di gala. Anzi, più d’uno. Frassineti farà un figurone, nel suo completo nuovo di Caraceni, in posa davanti al fascio littorio della sua scrivania. Il brindisi sarà toccante: 《Predappio è Mussolini! 》Prosit!
Giunchi, il consiglio è sincero: ripensaci. Sei una persona colta e seria. Ti sei già spinto fino a dire che condividi la sfilza di clichés renzoidi e banalizzazioni storiche messe in fila da Frassineti nell’intervista. Ogni frase che inizia con 《Una parte della sinistra non ha ancora capito》 non può che proseguire con una cazzata di destra, ė un assioma. Io non ci credo, non puoi condividere davvero quelle frasi, non puoi seguire Frassineti quando riassume il dibattito su fascismo e consenso in modo trogloditico, risciacquando la risciacquatura di De Felice e descrivendo il consenso in un regime totalitario come se fosse una libera scelta di questo misterioso soggetto chiamato “gli italiani”. Io ne sono convinto, stai facendo buon viso a cattivo gioco per salvare un’idea a cui hai lavorato, ma ti accorgi anche tu che Frassineti, ogni volta che esterna, erode la credibilità del progetto.
Vorrei ricordare a maurovanetti che una proposta di legge per vietare la vendita di gadget e souvenir fascisti è stata recentemente presentata alla camera dal deputato forlivese del PD Marco Di Maio. Dunque se è questo il problema ecco una risposta come chiede. Ma è questo il problema?
Ne avevo sentito parlare, l’idea è nata se non sbaglio dalle reazioni giustamente scandalizzate di alcuni ebrei stranieri in visita turistica in Italia. Ho portato una persona di origine ebraica in giro per l’Italia un’estate di qualche anno fa e ho assistito alle stesse reazioni costernate nel trovare quell’immondizia sulle bancarelle di Pisa e di Verona.
Sicuramente si tratta di un segnale importante nella direzione giusta, che darebbe la possibilità al PD romagnolo e a Frassineti di dimostrare da che parte stanno invece di continuare questo gioco delle tre carte. C’è la proposta di legge? Benone, si inizi a fare una campagna martellante sul fatto che Predappio da città del Duce diventa città della memoria *antifascista*, e che gli spacciatori di merda e gli organizzatori di gite hanno i giorni contati.
Io capisco che non si tratta di una pura e semplice operazione nostalgica, ancora una volta il paragone più calzante che vedo è quello con Villa Mussolini a Riccione la cui riapertura come “museo di costume” è stata annunciata con le massime rassicurazioni e giurando sulla Resistenza e poi è finita nell’ennesima pagliacciata che non ha tanto il carattere di rivalutazione esplicita del fascismo quanto quella di banalizzazione, di renderlo “una parte della nostra storia” da guardare con compiacimento e affetto – questo è del resto sempre stato l’atteggiamento conservatore, “afascista” ma non antifascista, sul tema.
Si tratta di un’operazione ambigua, se non nelle intenzioni finora sicuramente nelle letture che sono state date, e ciò dovrebbe preoccuparvi. Credo che sia opportuno da parte di chi è antifascista e crede nel progetto fare tutto il possibile per rassicurare noi antifascisti scettici; se ci si limita a dire «Aspettate e vedrete!», dopo tante fregature prese credo proprio che non firmeremo cambiali in bianco. Fate qualcosa di netto senza reagire in modo stizzito e magari cambieremo idea facendovi tante scuse.
Endorsement per Frassineti dal Giornale d’Italia (direttore Francesco Storace).
Il proposito inziale è partito dal sindaco di Rimini Gnassi “Dopo l’ultima segnalazione da parte di due cittadini statunitensi di origine ebrea” http://www.riminitoday.it/politica/commercio-oggetti-fascismo-nazismo-apologia-lettera-gnassi.html
a proposito di turismi…..
Mi dispiace Bui. Diagnosi sbagliata. Troveremo anche il modo di discutere sul consenso e sulle scelte degli italiani, libere o meno che siano. Ma per ora grazie, vado avanti. Nessuna risciacquatura di De Felice. Magari, se hai tempo, leggiti qualcosa di Emilio Gentile.
Conosco bene le interpretazioni di Gentile sul totalitarismo del fascismo. En passant, aggiungo che sono d’accordo con chi fa notare che Gentile ha un approccio italocentrico condizionato dal rimosso coloniale. Sai, il problema è che credi di essere intervenuto in un contesto di sprovveduti, un illuminista tra i fanatici. Vedi come le cornici narrative e metaforiche del nostro pensiero possono trarre in inganno? Ad ogni modo, Gentile non scrive le trivialità che dice Frassineti.
A questo punto, se la mia “diagnosi” è sbagliata e tu sei *davvero* d’accordo con le renzate da Partito della Nazione che il sindaco propina a ogni pie’ sospinto, si rafforza la mia convinzione che questo progetto avrà sviluppi terrificanti. E non si tratta solo di eterogenesi dei fini, ma di rifiuto di capire perché questa vicenda suscita perplessità tra persone che di questi problemi si occupano da una vita. Gli altri si sbagliano, non hanno capito, non conoscono Predappio ecc. Segue rilascio di endorfine, e si tira diritto.
Ma chiaramente siamo noi a non aver capito, un progetto serio sul fascismo si fa con sindaci che vanno a iniziative così.
Su Doppiozero comincia uno speciale a puntate su Predappio, il museo, la memoria.
Il commento di Davide Conti per il manifesto sul costruendo museo del fascismo a Predappio:
L’anormalità storica nel cuore della Romagna
di Davide Conti
Non è raro che il peso della storia finisca per entrare in modo ingombrante nella vita di piccole cittadine. Braunau Am Inn è un piccolo comune austriaco che pochi conoscerebbero se non avesse dato i natali ad Adolf Hitler.
La casa del fuhrer nazista nel corso degli anni è stata più volte oggetto di dibattito pubblico rispetto al suo utilizzo e oggi, divenuta meta di visite guidate di studio, di fronte all’indirizzo di Salzburger Vorstadt 15 poggia una pietra memoriale che scolpisce le parole «Pace, Libertà, Democrazia. Mai più fascismo. Milioni di morti ricordano».
Predappio dal 1957 (anno in cui il governo presieduto da Adone Zoli consegnò la salma di Mussolini alla famiglia per la sepoltura) è invece luogo di manifestazioni fasciste, adunate nostalgiche della «marcia su Roma» o celebrazioni dei giorni di nascita e morte di chi si ritiene «orfano» del duce, delle leggi razziali, delle guerre d’aggressione e della repressione politica e sociale del ventennio mussoliniano.
In un paese sito nel cuore della «regione rossa», in cui il consiglio comunale è da sempre governato dalla sinistra, tutto ciò si è verificato per sessant’anni nella più totale e consueta «anormalità storica» tipica del costume italiano. Così la notizia del progetto di costruzione di un museo del fascismo da realizzare per il 2019 (peraltro centenario della fondazione dei fasci di combattimento di Mussolini) assume un carattere e un significato paradossale che superano anche la volontà del sindaco e delle istituzioni locali di costruire, in buona fede, un luogo di studio della dittatura italiana.
In epoca di «narrazioni condivise» e promulgazioni di leggi sulla memoria, la tendenza a fare del museo nella città natale di Mussolini un luogo dove «storicizzare» il ventennio, secondo la retorica che espunta dal contesto degli studi di Renzo De Felice divenne una formula cara alla trasformazione in post-fascisti degli eredi di Salò, si configura già come un inevitabile piano inclinato. Palmiro Togliatti nelle sue «Lezioni sul fascismo» invitava alla comprensione analitica di cosa era stato il regime, quali erano state le peculiarità italiane; le vicende storico-nazionali; i conflitti e i rapporti di forza tra le classi che avevano concorso all’ascesa del regime, alla sua durata e al suo consenso. Se il fascismo riuscì a ergersi al potere come «regime della menzogna» — secondo la celebre formula di Piero Calamandrei — è pur vero che l’«autobiografia della nazione» rappresentata da Gobetti più di altre immagini evoca lo spettro mai del tutto esorcizzato del ritorno a quello spirito primordiale. Un museo del fascismo avrebbe il compito di trasformarsi in un luogo in cui poter fare e chiudere i conti con quel «passato che non passa» e trasformarsi in un luogo di studio, ricerca e cultura democratica e antifascista. Ma l’immagine dei gadget mussoliniani sulle bancarelle nelle strade di Predappio o le sessantennali sfilate dei neofascisti italiani ed europei non sembrano un buon viatico. Così non ci abbandona l’idea fastidiosa che, posta all’ingresso del museo, una targa come quella piantata a Braunau Am Inn durerebbe, forse, lo spazio di un mattino.
Trovo l’articolo di Conti assolutamente condivisibile, e del resto ripete alcune delle cose già dette qui su Giap.
Mi ha poi fatto venire in mente un articolo molto lungo e altrettanto affascinante pubblicato di recente sul Guardian (The cult of memory: when history does more harm than good). Davied Rieff spiega perché in certi casi ricordare ‘troppo’ non sia salutare a livello collettivo. Mi trovo abastanza contrario alla sua posizione, comunque ben argomentata e ricca di esempi. Tornando al caso *Predappio* credo che il pericolo non sarebbe ricordare ‘troppo’ e non volersi lasciare alle spalle un periodo doloroso e lacerante, ma piuttosto sarebbe quello di ricordare ‘male’ quello che successe, e di farlo in un contesto che non aiuta, come ricordato giustamente da Davide Conti.
Del resto, come dimostra anche lo strano caso della *foiba volante* sviscerato ultimamente su questi lidi, ricordare pagine di storia va bene, ma va fatto con metodo storico, approccio critico, onestà intellettuale. Tutte caratteristiche mancanti nel caso delle foibe del Nord-Est, e finora solo promesse e sbandierate per il futuro (?) museo del fascismo (nome che già da solo fa venire i brividi, o come si dice dalle mie parti, che proprio “non si puo’ sentire”).
L’INSMLI non collaborerà al progetto di Museo del fascismo a Predappio.
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COMUNICATO STAMPA
approvato dal Consiglio di amministrazione Insmli il 13 maggio 2016
Il Consiglio di Amministrazione esaminata la richiesta del Comune di Predappio di collaborare come Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia alla predisposizione di un progetto scientifico per un Museo-Centro di Documentazione del fascismo a Predappio constata l’esistenza nell’Istituto e tra gli storici di differenti sensibilità in merito all’opportunità di tale iniziativa e – ferma restando l’autonomia in proposito di ogni singolo studioso – delibera di non assumere come Consiglio di Amministrazione dell’Insmli l’impegno richiesto.
[…] progetto di “museo del fascismo” a Predappio. Già gli auspici non ci sembravano buoni (vedi la discussione qui). Ora abbiamo diversi motivi in più per seguire quell’iter con attenzione e […]