Action against the rich and powerful who take street art off the street. English version below.]
Il 18 marzo si inaugura a Bologna la mostra Street Art. Banksy & Co. – L’arte allo stato urbano, promossa da Genus Bononiae, con il sostegno della Fondazione Carisbo. Tra le opere esposte ce ne saranno alcune staccate dai muri della città, con l’obiettivo dichiarato di «salvarle dalla demolizione e preservarle dall’ingiuria del tempo», trasformandole in pezzi da museo.
Il patron del progetto è Fabio Roversi Monaco, già membro della loggia massonica Zamboni – De Rolandis, magnifico rettore dell’università dal 1985 al 2000, ex-presidente di Bologna Fiere e di Fondazione Carisbo, tuttora alla guida di Banca Imi, Accademia di Belle Arti e Genus Bononiae – Musei della Città.
Il nome di Roversi Monaco, più di ogni altro nella storia recente di Bologna, evoca la congiuntura di potere, denaro e istituzioni, con la repressione che li accompagna. Ai tempi delle celebrazioni per il Nono Centenario dell’Ateneo cittadino rifiutò qualunque dialogo con gli studenti che protestavano per i costi della festa. Alla cerimonia di inaugurazione, nell’aula magna di Santa Lucia, la polizia tenne i contestatori fuori dalla porta. Il gran galà si concluse con 21 denunce a carico dei manifestanti. Era il 1987. Tre anni dopo, per le occupazioni della Pantera contro la Legge Ruberti che apriva l’università ai finanziamenti privati, le denunce furono 127.
Niente di strano, allora, nel vedere Roversi Monaco dietro l’arroganza piaciona di curatori, restauratori e addetti alla cultura, che con il pretesto dell’amore per l’arte di strada trovano un’occasione di carriera, mettendo a profitto l’opera altrui.
Non stupisce che ci sia l’ex-presidente della più potente Fondazione bancaria cittadina dietro l’ennesima privatizzazione di un pezzo di città. Questa mostra sdogana e imbelletta l’accaparramento dei disegni degli street artist, con grande gioia dei collezionisti senza scrupoli e dei commercianti di opere rubate alle strade.
Non stupisce che sia l’amico del centrodestra e del centrosinistra a pretendere di ricomporre le contraddizioni di una città che da un lato criminalizza i graffiti, processa writer sedicenni, invoca il decoro urbano, mentre dall’altra si autocelebra come culla della street art e pretende di recuperarla per il mercato dell’arte.
Non importa se le opere staccate a Bologna sono due o cinquanta; se i muri che le ospitavano erano nascosti dentro fabbriche in demolizione oppure in bella vista nella periferia Nord. Non importa nemmeno indagare il grottesco paradosso rappresentato dall’arte di strada dentro un museo. La mostra Street Art. Banksy & Co. è il simbolo di una concezione della città che va combattuta, basata sull’accumulazione privata e sulla trasformazione della vita e della creatività di tutti a vantaggio di pochi.
Dopo aver denunciato e stigmatizzato graffiti e disegni come vandalismo, dopo avere oppresso le culture giovanili che li hanno prodotti, dopo avere sgomberato i luoghi che sono stati laboratorio per quegli artisti, ora i poteri forti della città vogliono diventare i salvatori della street art.
Tutto questo meritava una risposta.
La risposta è giunta la scorsa notte e prosegue nella giornata di oggi, durante la quale uno degli artisti che figura suo malgrado nel cartellone della mostra risponde per le strade della città a ciò che si prepara nelle stanze di Palazzo Pepoli.
Blu cancella i pezzi dipinti a Bologna nel corso di quasi vent’anni.
Di fronte alla tracotanza da landlord, o da governatore coloniale, di chi si sente libero di prendere perfino i disegni dai muri, non resta che fare sparire i disegni. Agire per sottrazione, rendere impossibile l’accaparramento.
A dare una mano a Blu ci sono gli occupanti di due centri sociali – XM24 e Crash – che non a caso si trovano lungo la direttrice del canale Navile, là dove ogni forma di partecipazione reale è morta sotto il peso di fallimentari progetti edilizi di riqualificazione e di strumentali emergenze come quelle contro i campi nomadi.
Questo atto lo compiono coloro che non accettano l’ennesima sottrazione di un bene collettivo allo spazio pubblico, l’ennesima recinzione e un biglietto da pagare.
Lo compiono coloro che non sono disposti a cedere il proprio lavoro ai potenti di sempre in cambio di un posto nel salotto buono della città.
Lo compiono coloro che hanno chiara la differenza tra chi detiene denaro, cariche e potere, e chi mette in campo creatività e ingegno.
Lo compiono coloro che ancora sanno distinguere la via giusta da quella facile.
Wu Ming, Bologna, 11-12 marzo 2016
(trentanovesimo anniversario dell’uccisione di Francesco Lorusso)
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On March 18th an exhibition called Street Art: Banksy & Co. – L’Arte allo Stato Urbano will open in Bologna, Italy. It is promoted by Genus Bononiae, a cultural output of Fondazione Carisbo, ie the most important bank foundation in town.
Some of the exhibited works of art come directly off the streets of Bologna. They have been removed from walls with the stated purpose of «salvaging them from demolition and preserving them from the injuries of time», which means turning them into museum pieces.
The patron of this project is Fabio Roversi Monaco, a former member of the Zamboni – De Rolandis masonic lodge and former Rector of the Università di Bologna from 1985 to 2000, as well as former president of Bologna Fiere and Fondazione Carisbo. Currently Roversi Monaco is the president of Banca Imi, president of the Accademia di Belle Arti and president of Genus Bononiae.
More than any other in Bologna’s recent history, Roversi Monaco’s name evokes power, money, politics… and the ensuing repressive policies. When the university celebrated its Ninth Centenary, he refused all dialogue with the students who protested the high costs of the grand gala. During the inaugural ceremony, the police kept protesters out of the hall. The event ended up with 21 demonstrators indicted. That was in 1987. Three years later, when students occupied the university to protest a law which opened up the gates for private investors, 127 students were charged and taken to court for several alleged offences.
Thus, it is not surprising to see Roversi Monaco backing those curators, conservators and promoters who, heralding their love for street art, found a good opportunity for their careers and now are using the work of other people with patronising arrogance.
It isn’t surprising, either, to see the former president of the most powerful bank foundation in town promoting the umpteenth privatisation of more and more pieces of town. This exhibition will embellish and legitimise the hoarding of art taken off the street, which is only going to please unscrupled collectors and merchants.
It isn’t surprising to see the good friend of both “centre-left” and “centre-right” politicians pretending to solve the contradictions of Bologna, a city which on the one hand criminalises graffiti, puts 16-year-old writers on trial, praises “urban decorum”, and on the other celebrates herself as the cradle of street art and wants to recuperate it for valorisation on the market.
It doesn’t matter whether the pieces removed from the walls of Bologna are two or fifty. It doesn’t matter whether those walls were part of condemned buildings or part of the landscape in the northern outskirts of town. It doesn’t even matter that seeing street art exhibited in a museum is paradoxical and grotesque. This “street art” exhibition is representative of a model of urban space that we must fight, a model based on private accumulation which commodifies life and creativity for the profits of the usual few people.
After having denounced and criminalised graffiti as vandalism, after having oppressed the youth culture that created them, after having evacuated the places which functioned as laboratories for those artists, now Bologna’s powers-that-be pose as the saviours of street art.
All this deserved a response.
The response came last night. Indeed, it keeps coming right now. One of the artists who unwillingly features in the exhibition is responding in the streets to what is being prepared in the posh rooms of Palazzo Pepoli.
Blu is erasing all the murals he painted in Bologna in the past 20 years.
We are faced with arrogant landlords who act as colonial governors and think they’re free to take murals off our walls. The only thing that’s left to do is make these paintings disappear, to snatch them from those claws, to make hoarding impossible.
Blu is being helped by the activists of two occupied social centres – XM24 and Crash. It isn’t by chance that both places are in the Navile district, an area where “citizen participation” is dead under the collapsing weight of failed housing projects and travellers’ camps are the subject of fake emergencies.
The people who take this action don’t accept that yet another shared asset is appropriated, they don’t want yet another enclosure and a ticket to buy.
The people who take this action aren’t willing to give up their work for the benefit of the same old bosses in exchange for a stool in the cosy club.
The people who take this action can tell the difference between who has money, power and the highest offices, and who deploys creativity and intelligence.
The people who take this action can still tell what’s right from what’s easy.
Wu Ming, Bologna, 11-12 March 2016
(39th anniversary of the killing of Francesco Lorusso)
[…] Approfondisci il tema su wumongfondation http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=24357 […]
[…] favorevole ai movimenti urbani e di protesta della città di Bologna (vedi l’articolo di Wu-Ming Foundation di stamattina): l’idea che possa in qualche modo trarre vantaggio dal prodotto di quegli […]
Mi fa un’immensa tristezza veder cancellare quelle opere, ma sono totalmente, drasticamente d’accordo con Blu e con voi. Non c’era altro da fare.
[…] centro sociale distribuisce fogli con su stampato il comunicato ufficiale, che è poi quello che ha scritto il collettivo Wu Ming stamattina, dove si […]
[…] Wu Ming cui Blu, che non concede interviste, ha deciso di affidare le sue dichiarazioni: sul blog Giap si leggono parole durissime, contro la mostra e il suo curatore Fabio Roversi Monaco. “La […]
Blu dimostra con grande coraggio la valenza politica dell’arte e il ruolo politico dell’artista, alla faccia di chi sostiene che «il mestiere dell’artista non è fare politica, non è fare lotta» (vedi http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=16149). La distruzione delle proprie opere, penso assolutamente lacerante e dolorosa, pur di non vederle privatizzate e di restare fedeli all’idea della loro fruibilità pubblica, è dimostrazione di una coerenza rara nel mondo dell’arte e della cultura.
Segnalo inoltre che un destino uguale e contrario sta attendendo a Corato (BA) un’altra straordinaria opera di street art: “Oltre il velo”, murale dipinto da Luis Gomez de Teran, dedicato al deputato e sindacalista Giuseppe Di Vagno, ammazzato dai fascisti nel 1921. L’opera di Gomez è destinata ad essere cancellata da un progetto di “riqualificazione” della piazza dove si trova, che pare non poter essere più modificato perchè ormai i finanziamenti europei sono già stati stanziati.
Business is business, e se contemporaneamente questo permette di cancellare l’antifascismo, tanto meglio.
“Segnalo inoltre che un destino uguale e contrario sta attendendo a Corato (BA) un’altra straordinaria opera di street art: “Oltre il velo”, murale dipinto da Luis Gomez de Teran, dedicato al deputato e sindacalista Giuseppe Di Vagno, ammazzato dai fascisti nel 1921. L’opera di Gomez è destinata ad essere cancellata da un progetto di “riqualificazione” della piazza dove si trova […]”
Mentre a Forlì, Gomez è stato chiamato per riqualificare un lato della Piazza Guido da Montefeltro e ha terminato un grande murales pochi giorni fa. Siamo alla schizofrenia…
http://www.forlitoday.it/cronaca/foto-murales-forli-artista-strada-gomez.html
Il livello di nonsense che sta assumendo questa vicenda è proporzionale all’ignoranza/cupidigia di chi ha pensato di mettere su una mostra dedicata alla street art. Viene fuori da una segnalazione dei ragazzi del Laboratorio Crash che non solo ti denunciano se fai i graffiti, ma anche se li cancelli!
Questo apre una riflessione su tutti quei “bravi cittadini” che hanno l’ardire di restituire decoro alla città coprendo i graffiti: andrebbero denunciati!
Inoltre, direttamente dal sito Genus Bononiae, relativamente alla mostra, per le scuole è previsto questo:
“Un giorno da writer: la stencil art – Visita guidata e laboratorio didattico
La visita per le sale della mostra verrà seguita da un laboratorio nelle aule didattiche del museo. Dopo aver osservato le varie tecniche della Street art, la classe sperimenterà uno delle mode più diffuse tra i writers: la stencil art. Partendo da un tratto personale, ogni studente potrà ricreare lo stencil del suo soggetto utilizzando taglierino e fogli di acetato. Dopo di che, questo verrà stampato/dipinto dai ragazzi sulle pareti del laboratorio che diverranno così sede di un murales collettivo della classe. La sagome del proprio stencil sarà poi l’elaborato personale che ognuno porterà via con sé. Tale attività è pensata anche per i più piccoli. Invece che il taglierino, gli studenti potranno servirsi di forbici dalla punta arrotondata oppure stencil già precedentemente preparati.”
Così da creare nuovi writers che faranno stencils (forniti dal comune!) per la città che verranno cancellati (previa denuncia) e poi eventualmente musealizzati, operazione a cui gli stessi writers reagiranno cancellandoli (previa denuncia) e così via.
Borges, aiuto.
“Borges, aiuto” lì per lì mi ha fatto sghignazzare, poi ho pensato ad Orwell e ho smesso di ridere. Sembra la sagra del bispensiero, brrrr.
questa è abberrazione. ma non ce la si puo prendere con questi museificatori o amministratori del fallimento. devono essere gli artisti a premunirsi già nel momento di concepire la loro arte e soprattutto il modo (piu che nelle forme o nei contenuti) in cui la mettono in pratica .per renderla irrecuperabile.
Oggi sono stato malissimo. Cazzo una minima frazione di quei murales erano anche miei e adesso non li posso più vedere.
Se avessi potuto parlarne con Blu, prima, l’avrei scongiurato di trovare un’altra forma di protesta, insieme forse ce l’avremmo fatta.
Detto ciò, non posso che essere d’accordo con lui: questa città non ha il diritto di possedere opere come le sue.
Non per questa mostra di merda che vuole racchiudere nella sua gabbia protettrice, ciò che è nato per vivere, graffiarsi e decomporsi all’aperto, sui muri degradati, sui luoghi di lavoro, sui caseggiati dell’orrenda edilizia popolare.
I cultori della musealità ad ogni costo sono gli stessi che rinchiudono gli animali, falchi, gazzelle o leoni che siano, nelle gabbie degli zoo e poi sostengono che lo fanno per noi e per gli animali stessi. Talmente pieni della loro stupida supponenza, che addirittura ci credono.
Pensano che proteggere questo tipo di arte e dargli l’immortalità sia utile all’umanità, quando, chiunque conosca la vita sa che non c’è nulla che serva alla vita, quanto la morte, che lascia spazio e nutrimento a nuova vita.
Il murales nasce per vivere nella sua giugla urbana e lì morire prima o poi, non per durare in eterno come la Gioconda, che, invece, nasce in un palazzo di solide fondamenta, con già la vocazione a durare nei secoli.
Tornando a noi, il problema non è questa mostra, il problema è questa città e il fatto che questa mostra sia nata qui non è un caso.
Questa Bologna, la mia Bologna che ho tanto amato, è da decenni la patria dell’ipocrisia e della meschina rappresentazione della cultura di facciata. Non è problema di oggi.
Quando ho saputo di cosa stava facendo Blu, mi sono subito tornati in mente i murales che erano fioriti per la zona universitaria nel ’76 e ’77, anche dentro alle facoltà, non solo fuori.
Ad esempio il treno e gli altri in via Belle Arti (non a caso). Quello con Berlinguer pastore di pecore, quello di Aldo Moro nella più neoclassica delle rappresentazioni, il Lama/Stein, ecc.
(Chi la fortuna di possedere il libro “Indiani in Città”, se li può rivedere).
Ebbene chi ha fatto cancellare tutte queste opere per ridare “dignità” alla città? Il sig. Renato Zangheri, sindaco di Bologna.
Che il sig. Zangheri non fosse capace di capire l’arte urbana meglio di uno dei suoi spazzini ci potrebbe stare, peccato che quello stesso signore fosse in verità un riverito storico, che è andato in giro per il mondo anche a tenere conferenze sul valore artistico, sociale, culturale dei graffiti della metropolitana di New York.
Ora, io vorrei sapere perché se una scritta, un insulto, il disegno di un cazzo, sta nella metropolitana di New York è arte e cultura, se sta su un muro di Bologna diventa qualcosa di indegno.
Oh, lo so bene che non se ne può più di milioni di scrittine, di sigle e di “Tag” lasciate su ogni muro, su ogni colonna e su ogni cartello stradale. Certo qui non parliamo di arte, parliamo di pisciate di cane lasciate su ogni portone solo per marcare il territorio. Parliamo di personaggi che hanno talmente di bisogno di dimostrare che esistono, che pensano che questo si possa risolvere acquistando una bomboletta.
Però tutti degni e colti pulitori di scritte come fanno a distinguere la scritta deturpante dall’opera d’arte?
Ma è semplice: se chi l’ha fatta è uno che all’estero viene pagato allora è un artista. Questo è il metro.
Solo pochi anni fa il Comune stava per far cancellare i murales di Blu (mi ricordo benissimo), poi qualcuno gli ha fatto notare che all’estero valevano decine-centinaia di Dollaroni e allora, improvvisamente, Blu è diventato l’artista che dava lustro alla città.
La Cassa di Risparmio ha scoperto la Street Art (mi raccomando scriviamola sempre con la maiuscola) e la massoneria ha pensato che poteva anche alzare gli occhi dalla conta dei soldi e mostrarsi di grande cultura e spirito aperto, come già nell’ottocento.
No. Questa città non merita il lavoro di artisti che lavorano di notte senza chiedere nulla in cambio, neanche l’approvazione delle loro opere.
Ciò non toglie che io oggi ho una grande tristezza nel cuore.
Valerio
[…] “On March 18th an exhibition called Street Art: Banksy & Co. – L’Arte allo Stato Urbano will open in Bologna, Italy. It is promoted by Genus Bononiae, a cultural output of Fondazione Carisbo, ie the most important bank foundation in town.Some of the exhibited works of art come directly off the streets of Bologna. They have been removed from walls with the stated purpose of «salvaging them from demolition and preserving them from the injuries of time», which means turning them into museum pieces.”(click here to continue the reading) […]
[…] bologna non c’è più blu e non ci sarà più finchè i magnati magneranno per ringraziamenti o lamentele sapete a chi […]
[…] Street Artist #Blu Is Erasing All The Murals He Painted in #Bologna : Action against the rich and po… […]
Ero presente il giorno che Blu dipinse il murale all’XM, e ricordo che già quella fu un’opera politica: la giunta minacciava di sgomberare l’XM per fare una specie di rotonda, ma l’establishment culturale bolognese non avrebbe permesso di demolire un’opera di Blu. L’artista riuscì quindi a ottenere il risultato che si era prefisso: evitare lo sgombero di un posto come l’XM che, contro tutto e tutti, riesce a promuovere la condivisione e l’arte al di là del profitto.
Bologna, almeno dal 1980 coi Clash invitati dal Comune, è una città governata da gente mediamente più colta degli amministratori di altre città, e che riesce a fiutare le mode e i trend. In quest’ottica va vista la mostra a pagamento sulla street art.
Blu a Berlino aveva già cancellato i murales fatti in una zona investita dalla gentrification, e oggi dà una lezione a chi vuole istituzionalizzare qualcosa che nasce come “vandalismo”.
Blu è perfettamente consapevole del proprio ruolo di artista, come lui pochi altri in Italia (penso a voi Wuming quando rifiutate di intervenire a incontri sponsorizzati da enti immorali; penso a Luttazzi che si rifiuta di tornare a teatro fin quando durerà l’editto bulgaro, dando esattamente come Blu un peso politico alla propria assenza)
La figuraccia degli organizzatori della mostra è PLANETARIA. Il comune di Bologna un paio di anni fa aveva speso molti soldi chiamando street artists (questa volta il termine è adatto) per decorare i muri del quartiere San Donato, creando una mappa della street art i cui pezzi forti erano proprio le opere di Blu.
Patetico anche l’atteggiamento Arttribune, quando vi dicono su twitter addirittura che “uguale a Roversi Monaco purtroppo è Blu che ci ha ricordato che le sue opere sono private”. Una frase questa che puzza pesantemente di malafede.
Il discorso è esattamente l’opposto.
Blu ha fatto un DONO ai centri sociali e alla cittadinanza. L’etica del dono, ci insegnano gli antropologi, è il contrario dell’etica del profitto a tutti costi.
Blu ha deciso di donare la propria arte, l’esatto opposto di chi ha deciso di staccarla dal muro del centro sociale sgomberato per mostrarla in un museo facendo pagare un biglietto di ingresso.
La giornata di oggi è davvero storica per l’arte mondiale, e mostra come si possa agire politicamente anche in un mondo come quello dell’arte dominato da logiche ipercapitaliste.
Invece io non sono d’accordo con Blu, anche se stigmatizzo e trovo sciocca l’appropriazione da parte di Genus Bononiae. Genus Bononiae avrebbe dovuto proporre, alla mostra, solo delle riproduzioni e delle fotografie, in modo da mostrare il contesto urbano che aveva generato quelle immagini, salvandone anche l’aspetto di denuncia, sia pure in una cornice molto ovattata come una esposizione ufficiale.
Così sono stati davvero stupidi.
Ma la protesta di Blu ora a cosa porterà? Quali saranno le conseguenze reali (le uniche che, in generale, dovrebbero interessare?)
1) Le persone e i luoghi che prima godevano della sua arte ne sono stati privati, e le coperture di vernice ora rendono quei posti ancora più brutti. Di fatto,quelle mani di vernice hanno lo stesso effetto di una vandalizzazione. Bologna oggi è più brutta per tutti, non solo per Genus Bononiae.
2) In un momento in cui la street art poteva, rompendo lo schema ormai frusto del noioso dibattito su “vandalismo o arte”, essere consacrata e prosperare con meno fastidi, Blu ha deciso di riportarla nel ghetto. Ad alcuni piacerà così, io lo trovo puerile, in primo luogo nei confronti di quelli per cui quei murales avevano un significato forte e per quelli che un murale nel loro quartiere ancora non ce lo avevano (e ora difficilmente lo avranno).
3) Qual è la cosa più ironica? La cosa ironica è che se delle opere sono state staccate, ora il loro valore schizzerà alle stelle. Chi ne godrà? I privati che se ne sono appropriati.
Una perdita secca su tutta la linea. Avrebbe avuto molto più senso se Blu fosse andato a dipingere gli uffici di Genus Bononiae con qualche murale osceno…di certo la società non avrebbe potuto dire che non apprezzava.
Sono curioso di sapere in quale “ghetto” Blu avrebbe “riportato” la sua arte con questo gesto di cui si sta parlando in tutti i continenti. Solo questo post, che è stato il primo a dare la notizia ma adesso è uno tra i tanti in tante lingue, sta avendo visite dalla Thailandia, dall’Ecuador, dalla Nuova Zelanda, dal Sud Africa, da tutti i paesi europei, dal Canada, dal Giappone, dall’Indonesia… Incessantemente. Da stamattina alle 11. Finora, quarantaquattromila IP unici, e il flusso non sta diminuendo, sta aumentando.
In quale ghetto vado a cercarle, le opere di Blu? In quello di Città del Messico o in quello di Amsterdam? In quello di Londra o in quello di Rio de Janeiro? In quello di Montevideo o in quello di Los Angeles? Per favore, su, non adottiamo visuali anguste, da Italietta o Bolognetta, guardiamo il mondo.
Poi scusami, ma il tuo punto 2 sembra scritto svariati anni fa. È un bel pezzo che la street art è non “consacrata” – che in questo contesto è una parola orripilante – ma *riconosciuta* a livello mondiale. E non parlo dei critici, parlo della gente che la considera parte della propria vita di tutti i giorni. Il dibattito “vandalismo o arte” è roba da lettere al Carlino o al Giornale di gente che le scrive uguali a come le avrebbe scritte nel 1951, la prassi reale degli street artist e la vita quotidiana di molte persone in molte città si pone già da tempo oltre questi termini pitocchi.
Tu dici che dopo quest’azione si faranno meno murales in meno quartieri? Io penso esattamente il contrario. Con quest’azione bellissima, potente e straziante, poetica, Blu sta facendo capire l’importanza della street art a molti che non si erano ancora fermati a pensarci. Spesso dobbiamo sentire la mancanza di qualcosa per capire quanto sia importante per le nostre vite.
Quanto al punto 3, la lotta è culturale: oggi, staccare pezzi di street art dalla strada è considerato più spregevole e sconveniente di quanto fosse considerato ieri.
Che un muro grigio sia più brutto, come dici al punto 1, scusami ma è del tutto pleonastico. Non puoi proporre come conclusione quella che è stata *la premessa* di tutta l’azione. Blu usa proprio la bruttezza del muro grigio per affermare la bellezza di un’azione collettiva in difesa di un bene comune.
Oggi, davanti al muro dell’XM24, c’era bellezza, c’era cooperazione, c’era la consapevolezza di fare insieme una cosa giusta. E c’era la bellezza dell’aver chiaro chi è il nemico e dove si trova.
Soprattutto, c’era la bellezza di un concetto: la street art è per tutti o non è per nessuno, non può diventare privilegio di chi se la accaparra, non può diventare strumento di ulteriore privatizzazione. Se volete questo, noi preferiamo che scompaia. È un’azione politica, etica, pedagogica. E questo rende bello persino un muro grigio.
“Blu usa proprio la bruttezza del muro grigio per affermare la bellezza di un’azione collettiva in difesa di un bene comune”. C’è qualcosa che non mi convince in questa frase. Creare qualcosa di brutto (un muro grigio) per affermare la “bellezza” dell’azione collettiva di chi crea qualcosa di brutto (cioè dipinge di grigio un muro)? E si tratta davvero di un “bene comune”? O non si tratta forse di un bene privato di Blu e dei suoi amici? Dal momento che ne dispongono così liberamente, direi che la risposta giusta è la seconda. Quindi riformulerei così: “Blu usa la bruttezza del muro grigio per affermare la bruttezza di un’azione collettiva che distrugge un bene comune”, cioè che ne rivendica la proprietà e la libertà di disporne nel modo più irrevocabile, distruggendolo. Mi sembra che così abbia più senso e che descriva meglio quello che succede, e che chiunque vede. Poi ovviamente se ne può dare un’interpretazione nobilitante, come no… ma non mi convince.
Yawn.
capitalista no (mica lucra sulla distruzione dei suoi graffiti) ma penso che sia convinto che, visto che i graffiti li ha fatti lui, sono “roba sua”. Locke sarebbe d’accordo, io un po’ meno, Wu Ming 1 invece si annoia e fissa lo sguardo sulla bellezza dell’azione collettiva in difesa (!) del bene comune. Fossi il curatore della mostra farei harakiri, ma comunque vedo poco da festeggiare
Mi annoio perché nella discussione qui sotto è già stato detto e ridetto e ribattuto e smontato e ricostruito il 100% di quel che hai messo nel tuo commento qui sopra. Il voler sempre ripartire da capo mi annoia, sì.
“di cui si sta parlando in tutti i continenti”. Sono sicuro che i continenti sono ipnotizzati da questa storia. Oggi parlano di questo, domani parleranno di un gattino che gioca con un gomitolo. Domani le nuove pareti grigie di Bologna saranno ancora grigie, però.
Nel mondo poi la street art sarà celebrata e accolta. In Italia però siamo provinciali, e continueremo ad esserlo finché gli artisti che avrebbero qualcosa da dire preferiscono fare le primedonne offese invece di diventare punti di riferimento affidabili e credibili. Siamo ancora al 1951? Probabile. E a quanto pare ci rimarremo ancora, perché ai critici retrogradi a reazionari della street art Blu ha dato una argomento forte, e cioé che a loro, agli artisti non interessa delle persone e dei luoghi, ma solo del loro ego geloso. Per cui “O quell’arte è mia, o di nessuno”.
La cosa buffa è che in ogni caso i bolognesi, quelle svariate centinaia di migliaia di bolognesi che sono stati amputati di una fetta di arte e di bellezza, con Genus Bononiae non c’entravano niente. Se lo meritavano? No.
“Oggi, davanti al muro dell’XM24, c’era bellezza, c’era cooperazione, c’era la consapevolezza di fare insieme una cosa giusta”. No, c’era rabbia, delusione, sconcerto e dolore. Essere sordi a tutto questo è criminale. Ma forse la tua frase successiva è rivelatrice: “E c’era la bellezza dell’aver chiaro chi è il nemico e dove si trova”.
Per fare la guerra ad un “nemico” Blu non s è fatto problemi ad infierire e ad amputare qualcosa di cui gli abitanti del Navile e dei quartieri in cui aveva operato potevano andar fieri. Saranno contenti di essere ributtati nel grigio. Non metaforico, letterale. Gli americani li chiamerebbero danni collaterali. Da Blu ci si aspettava qualcosa di diverso.
Oggi, per quattro nanosecondi, tra un video di facebook e un lancio di agenzia di cronaca nera c’è stata la dubbia bellezza dell’aver chiaro chi è il nemico. Domani si ricomincia con lo sguardo basso, con un orizzonte in meno verso cui guardare.
Minchia, con amici così i nemici non servono.
Tu parli di ghetto, io ti rispondo che al contrario questa azione non chiude l’orizzonte del discorso sulla street art ma lo apre ulteriormente, tu ribatti (basandoti non si sa bene su cosa) che tanto chi sta leggendo se ne fotte ed è gente che domani tornerà a guardare gattini. Mi limito a far notare che questo è uno “straw man” e la tua non è una risposta sensata.
L’altro pseudoargomento è quello delle “centinaia di migliaia di bolognesi che con Genus Bononiae non c’entrano niente e dunque non meritavano” ecc. Secondo me ad abbagliarti e farti dire una cosa del genere è il tema street art, che si presta troppo facilmente a feticismi, e allora provo a farti un esempio preso da un altro ambito.
Quando scioperano gli autoferrotranvieri, creano disagi – in certi casi anche gravi – a migliaia di cittadini, e magari i cittadini brontolano e alcuni si incazzano, ma sanno benissimo di non essere loro la controparte. La controparte degli scioperanti è il governo, o il comune, o l’istituzione/azienda che gestisce i trasporti. Uno sciopero può creare enormi disagi ai cittadini, e al tempo stesso essere sacrosanto. E ci sono casi in cui la cittadinanza, che pure ha la vita resa più difficile dallo sciopero, sostiene quest’ultimo. E’ successo poco tempo fa a Genova, era successo in modo spettacolare a Parigi vent’anni fa.
Quando Blu ha coperto la sua opera a Berlino, ha avuto la solidarietà dei comitati che si opponevano alla gentrificazione, formati da cittadini che vedevano bellezza scomparire, ma sapevano benissimo di NON essere loro la controparte del gesto. Esattamente come non lo sono gli abitanti della Bolognina.
Del resto, anche quando i partigiani facevano saltare i ponti per non farci passare i nazisti, distruggevano ponti a cui i cittadini erano affezionati, sui quali avevano pomiciato, che attraversavano ogni giorno per andare a lavorare e quant’altro. Perdendo quei ponti, i cittadini perdevano molto. Ma sarebbe stato ben peggio se li avessero usati i nazisti. Fuor di metafora iperbolica: se passa senza scosse l’idea che si staccano i murales dai muri per esporli nei musei, la street art è finita. Allora sì, vedrai i muri grigi. Blu ha prodotto una scossa contro quel processo. E tu, invece di comprendere le ragioni della resistenza e magari darle una mano, non solo ti lagni che il ponte saltato in aria ti complica la giornata, ma ti spingi a dire che partigiani così fanno le veci dei nazisti. Renditi conto.
per quanto vorrei essere d’accordo con voi, non ce la faccio. siamo sicuri che dal ponte che abbiamo fatto saltare i nazisti non fossero GIÀ passati? perché se quell’opera era un ponte e noi lo abbiamo fatto saltare troppo tardi, vuol dire che ora non solo i nazisti sono qua, ma nemmeno noi possiamo più fuggire.
Qui il ponte volevano prenderselo e portarlo via, per esporlo in un museo.
A me è piaciuta molto una frase scritta da qualcuno su Twitter stamattina: «Sono stati così lenti nel capire la street art, che quando sono andati a prendersela, era già sparita».
Un altro ha scritto: «La gallina dalle uova d’oro si sottrae prima che le aprano la pancia».
Un’allegoria vale l’altra, l’importante è ricordarsi che sono allegorie. Se le prendi troppo alla lettera, come nel commento qui sopra, da utili figure retoriche per far capire meglio qualcosa, diventano prigioni che chiudono il pensiero.
il gesto mi ricorda tanto il vostro seppuku, con la differenza che voi q non lo avete dato alle fiamme. in generale, il tutto mi riporta alla mente tante delle cose che scrivete sul rapporto tra autore e opera. non so, sono fondamentalmente dispiaciuto. esattamente come lo fui quando cancellò i graffiti a berlino, che poi è dove vivo.
passo di frequente da quelle parti e l’immagine di quella murata, di come fu, di com’era diventata con il suo graffito e di come è adesso, mi lascia sempre ad interrogarmi sulla valenza del suo gesto. alla fine quell’area non è cambiata, era gentrificata ed hip nel 2008 e lo è adesso. business as usual. in compenso però, chi oggi passa di lì senza saperne nulla non coglie il messaggio, il potente impatto che quell’opera regalava. è una perdita, non c’è dubbio per me. ma se questa sia a fin di bene, forse, non sono in grado di giudicarlo.
Sbaglierò, ma secondo me quello che ha fatto a Bologna ieri è molto più potente di quello che aveva fatto a Berlino. Ha compiuto una performance psicogeografica e politica che ha coinvolto scrittori, attivisti, videomaker, giornalisti, vigili urbani e semplici cittadini; una performance che ha attraversato diverse zone della periferia e del centro; che ha trascinato ogni ordine e grado di amministratori locali a parlare di street art, del suo valore, dello stato dei nostri quartieri; che ha provocato la questura a sporgere, come ha detto il Laboratorio Crash, «la denuncia più stravagante dell’anno», quella contro tre attivisti che stavano cancellando un murale, cosa che crea un paradosso e dà un argomento in più contro i vari Retake, #Bolognafaschifo, spugnettari e anti-degrado vari, che possono cancellare quel che vogliono senza subire conseguenze, mentre se lo fanno i centri sociali diventa vandalismo. Come scrivevamo su Twitter: «Se dipingi i muri ti denunciano, se cancelli i dipinti ti denunciano, comunque ti denunciano, Bologna di merda.» Sono talmente tanti i livelli di senso toccati da questa multi-azione che, se saremo bravi nei prossimi mesi, continuerà a riverberare e aprire contraddizioni. E questo è solo l’ambito locale.
Sì, sicuramente. La potenza del gesto non è nemmeno lontanamente paragonabile. Cuvrystraße manca, certo. In questi anni era diventata anch’essa un simbolo, ma in una città come Berlino, intrisa di arte di strada ad ogni angolo e popolata di sarcastici e fatalisti berlinesi, l’impatto ideale di un murales fatto nel 2008 è, in paragone con la Bologna di oggi, nullo. Dirò di piu, quello in Cuvrystraße probabilmente era addirittura percepito come un murales fuori tempo massimo, realizzato in un momento in cui Kreuzberg era già stato ampiamente gentrificato e realizzato in una città che rifiuta i simboli, a parte gli escrementi di cane sul marciapiede.
A Bologna invece Blu è cresciuto artisticamente, quella città era casa sua. È per questo che il suo gesto mi fa male, per l’empatia nei confronti dei bolognesi, che sono stati privati di una grande parte di loro. Tanto grande che mi spinge a chiedermi se, alla fine, il gioco varrà la candela. Se qualcuno pagherà lo scotto di tutto questo. Se da domani nessuno sradicherà più graffiti dalle pareti o se, forse, lo faranno tutti, in preda ad una frenesia da salvataggio certamente più squalesca che crocerossina. Mi chiedo anche se ora XM non verrà sgomberato, come avete fatto notare, questo rischio esiste.
Ci sono tante ragioni per cui il mio pragmatismo mi suggerisce che questa scelta perderà, ma spero davvero di avere torto.
Io se questa scelta vincerà o perderà ancora non lo so, ma quello che so, è che le compagne, i compagni e Blu hanno fatto una grande azione collettiva e molteplice. Questa scelta mi sembra ragionata e ponderata ed io la condivido. Ora però la questione è un’altra e la chiamerò Sottrarsi e Rilanciare… I murales ora non ci sono più, ai banchieri mancherà la merce da vendere, da valutare da scambiare, da ammirare, e qualcuno un gesto l’ha fatto, la Street Art è stata Sottratta. Ora il Rilanciare a chi sta? Di chi sono le strade, i muri, le strade, l’aria, le tele, i fogli ? Chi è l’artista ? A mio parere ora la palla passa a noi.
Il Rilanciare diventa interessante perchè ci toglie dal ruolo di osservatori e ci mette una penna, un pennarello, un pennello, un martello in mano. Lo vogliamo usare? Rilanciare apre le strade, i muri sono li, ora sembrano grigi, e chi se non la collettività li deve riempire? Senza arrampicarmi per analisi ulteriori, vedo in questa imbiancatura infinite possibilità di opere e vite immanenti. Questo è per me uno dei valori del gesto collettivo. Chiudo raccontando una storia: ci sono due bambini che vivono a Roma. Per molti giorni hanno giocato con un tizio Blu che scendeva dalle sue pareti come faceva spiderman. Guarda e riguarda ed ecco che un giorno il bambino più piccolo, disegna sul muro della cucina e poi su quello delle scale. Quella più grande, si è presa qualche mese per meditare ed un giorno chiama le sue cuginette, si arrampicano sul letto a castello e disegnano sul muro sopra il letto un enorme albero con una madre gigantesca e tutte loro cuginette intorno. Il tizio Blu ancora se la ride, ma sa che questa volta ha vinto lui, e che il dipinto si allargherà ancora. Noi quando faremo questo gioco?
Forse ho capito male io, ma dubito visto che il comunicato è abbastanza chiaro: quelle opere le volevano staccare dal loro ambiente, per metterle in un ben più asettico museo con biglietti dai 5 (per scolaresche) ai 13€ (per adulti senza riduzioni), che sarebbero tutti finiti in tasca a Genus Bononiae. Con buona pace delle migliaia di bolognesi, i quali per rivederle avrebbero dovuto sborsar quattrini per qualcosa che prima era pubblico. Di tutti.
Avrebbero pagato simili cifre per una mostra fotografica? Non credo, perché l’originale era disponibile e gratuito. Anzi ci si imbatteva per caso, o nella quotidanità. Senza contare che la mostra avrebbe lasciato sotto le intemperie le opere, che così avrebbero perso il loro valore (che era quello cui veramente si puntava, con la scusa del “salvarle”).
Come di tutti tornano quei muri, ridiventati grigi e anonimi per protesta. Ma non credo sia utile riprendere ciò che è già ben spiegato nel comunicato. L’atto forte, di protesta, ha generato presa di coscienza e attenzione per il fenomeno. Nulla vieta (tranne la repressione) un domani ad altri, o allo stesso Blu, di riportare colore su quei muri, magari con la forza e il sostegno di chi si opporrà ad altre operazioni come quella pensata da Genus Bononiae.
Non è questione di colpire i nemici, ma di non concedere loro le nostre armi. Di affermare una volta di più che siamo liberi e che per restarlo serve avere coraggio. E avere compagn* al proprio fianco.
[…] hanno criticato la mostra, in primis gli esponenti del collettivo Wu Ming, amici di Blu, che ieri dal loro blog Giap hanno spiegato le ragioni dell’artista. Per gli autori di Q la valorizzazione della street […]
[…] http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=24357 quando la coerenza incontra l’integrità, pare roba di fantascienza eh? Già così ho interpretato Blu aiutato a cancellare le cose sue che poi non erano sue ma alcuni le volevano fare solo ‘Loro’. Impadronirsi di idee energie colori e capacità per lucrare, per avere tutto sotto controllo pare che il controllo sia tutto al momento. Allora a controllare chi e cosa? cuori sfranti e pre.occupati a controllarsi a vicenda Tu dove stai mente libera? Beh ho dormito, ho tossito e ho avuto febbre per capire, per capire che ci sono certi poracci che stanno male perchè il cuore se lo sono dimenticato nel cassetto di mamma e papà. Poi ci sono colori e forme che seguono le idee e non se le fanno derubare Ecco, vorrei prendere questo modello, appeso a togliere dal muro le cose mie Non c’è da rubare ma solo da raccogliere quella conchiglia su un mare dove un regazzino giocava a castelli di sabbia. Mi stancherò di queste prepotenze anche io e me ne andrò per la solita strada che poi non basta più allora se volete fare i furbetti noi come Blu vi togliamo il giochetto tra le mani e resistiamo alle vostre brutture meschine (la volgarità della superficialità violenta) […]
Pensa te se dobbiamo leggere qui su Giap che stamattina davanti al muro dell’XM24 “c’era rabbia, delusione, sconcerto e dolore. Essere sordi a tutto questo è criminale”.
Chi sarebbe il criminale? Blu? Wu Ming? Eppure Blu era lì (e c’era pure Wu Ming), né sordo né cieco. Ed erano proprio gli occupanti dell’XM24 che gli davano una mano a cancellare i murales. Uomini, donne e bambini. Una comunità. Lo stesso accadeva al centro sociale Crash. Evidentemente quelle persone hanno capito e condiviso quella decisione, che riguardava gli spazi da loro stesse vissuti, al punto da prendere parte all’azione, che è stata in tutto e per tutto collettiva.
Qualcuno ha proprio tutte le fortune: viene qui a sputare certe sentenzine preconfezionate che ignorano l’evidenza dei fatti e trova comunque gente paziente con cui discutere. Va benissimo, eh, per carità, è una cosa di cui possiamo sempre vantarci. Però ci sono anche i bar dello sport.
rabbia, delusione e dolore di chi amava quei murales. Non è difficile.
“Evidentemente quelle persone hanno capito e condiviso quella decisione”. Non sapevo che ci fosse in giro gente con la capacità di vedere nella testa delle persone.
Quante persone sono state private di quegli affreschi? Una marea, tutte quelle che ci passavano davanti più o meno occasionalmente.
“Qualcuno ha proprio tutte le fortune: viene qui a sputare certe sentenzine preconfezionate che ignorano l’evidenza dei fatti e trova comunque gente paziente con cui discutere”: se questa è la pazienza e la capacità di discussione, sì, il bar sport è meglio.
Se le “discussioni” funzionano che Wu Ming scrive un post e gli altri gli danno ragioni, devono essere discussioni ben noiose.
Scusa, ma è così brutto che l’interlocutore controargomenti, con pazienza, rispondendo punto per punto, addirittura seguendo il tuo stesso schema a punti numerati, spiegando che secondo lui in quello che scrivi c’è una fallacia logica, o un argomento debole, o una conclusione affrettata, o un confondere piani diversi? Io mi prendo la briga di fare questo, dedico tempo alle tue perplessità, ti chiedo anche di provare a far funzionare il tuo schema in un altro ambito e propongo controesempi… e tu dici che le discussioni su Giap sono “Wu Ming scrive un post e gli altri gli danno ragione”?
Se c’è una cosa che le discussioni su Giap *non* sono, è “noiose”.
Però bisogna saperci stare dentro.
“Qualcuno ha proprio tutte le fortune: viene qui a sputare certe sentenzine preconfezionate”. Le mie sentenze sono preconfezionate? Le producono da qualche parte e poi le distribuiscono? No, sono le mie, e non vedo perché devi considerarle “pre-confezionate”. E’ un’opinione diversa dalle tue, tutto lì, espressa in maniera mediamente civile, rispetto alle quali non vedo che hai da arrabbiarti. Posso capire che non ti sia piaciuta la parola criminale, ma il senso a me sembrava chiaro. Se non lo era, lo specifico meglio: distruggere opere importanti per gente che con G.B. non c’entra nulla, che ci credeva in quell’arte e che la sentiva sua significa aver fatto un danno enorme, gratuito, ingiustificabile, e sulla pelle di chi meno lo meritava: tutte cose che assimilano il gesto di Blu ad un crimine.
Ma queste sono arruffate di pelo, come spesso capita su forum e blog, mentre ci sono questioni più sostanziali.
“Non puoi proporre come conclusione quella che è stata *la premessa* di tutta l’azione”. Ho capito la premessa, ma la conclusione, anche se si sovrappone circolarmente alla premessa, non cambia: città grigia.
Mobilitazione, cooperazione, resistenza che sono state usate per descrivere questo intervento: bellissime parole, ma per quale fine, per quale esito? E’ su questo che differiamo. Io vedo un quadro desolato e in peggioramento, rispetto al quale una giornata di sentimenti potenti ma effimeri è una magra consolazione.
Tu hai scritto: “c’era la bellezza di un concetto: la street art è per tutti o non è per nessuno”. In questo momento la street art, quella di Blu, non solo non è per tutti, ma non è nemmeno per nessuno: a Bologna delle opere di Blu sono sopravvissute, e sono nelle mani di uno solo, ovvero di G.B., che sentitamente ringrazia e sicuramente ci speculerà sopra.
Se poi passa l’idea che un street artist la sua arte, come la dona, così se la può riprendere, e se qualche altro artista deciderà di fare come Blu, si scatenerà la corsa all’accaparremento, e il risultato finale sarà di aver creato, il paradosso va notato, un vero e proprio nuovo mercato. Là dove meno doveva esserci.
Questa per me è una sconfitta netta, ed autoinflitta.
Quanta fretta di correre alle conclusioni, di vedere l’esito, il fine… Nemmeno i più saggi possono prevedere tutte le conseguenze di questo gesto. Questa fretta di bollarlo come una sconfitta autoinflitta è un atteggiamento sprovveduto e che appunto tende a “preconfezionare” un giudizio, invece di prestare attenzione a cosa accade e alle dinamiche che ha già prodotto. Non è una colpa, sono i tempi che viviamo che ci impongono di giudicare sbrigativamente e di sentenziare, di metterci sulla difensiva rispetto a ciò che ci disturba e che ci accade attorno. Arrivando anche a pensare e dire le cose più sbagliate e terribili, o a usare termini sbirreschi come “criminale”, ad esempio.
La speculazione su Blu non comincia adesso, stava già avvenendo. E il mercato dei feticisti/collezionisti esiste già. E’ dagli anni Novanta che vengono staccate le saracinesche dipinte da Blu. Il gesto dell’altra notte non va contro il mercato dell’arte in quanto tale. E’ un messaggio forte e chiaro: se qualcuno pensa di staccare proditoriamente i murales per farne una mostra a proprio uso e consumo, per di più con il patrocinio di certi enti e figuri, sbandierando intenti filantropici e quindi sdoganando come “buona” quell’attività, bisogna reagire nel modo più forte possibile. E per uno come Blu, e per la comunità di persone che sono state coinvolte, la risposta è stata eliminare ogni margine di ulteriore accaparramento.
Non è questione di dono o di ripresa, ma di scegliere il gesto più efficace e più coerente. E’ ovvio che Blu ha agito sui lavori da lui stesso eseguiti, dato che non tutti i suoi colleghi sono tenuti a condividere la sua scelta. Dem l’ha condivisa, Ericailcane ha mandato una vignetta, altri hanno preferito reagire in altri modi, alcuni saranno addirittura volontariamente esposti alla mostra. Blu risponde per sé e per le opere da lui realizzate. Qual è il problema? Vogliamo dirgli che quelle opere erano ormai di tutti i bolognesi, che ce le aveva regalate e che riprendersi i regali è una brutta cosa? E quando gli organizzatori della mostra sono andati a grattarsi i pezzi dai muri cos’abbiamo fatto noi bolognesi? Abbiamo chiesto qualcosa, tipo: “Cosa state facendo?”.
Non abbiamo detto un cazzo. Ah, già ma non lo sapevamo… Be’, nemmeno il diretto interessato lo sapeva. Nessuno gli ha detto che gli stavano grattando i pezzi dai muri. Soltanto dopo, a cose fatte, e a mostra già in cantiere, i curatori si sono premurati di cercare di contattarlo. E oggi come si difendono? Omodeo dice che la street art è già stata recuperata, che non c’è più nessuna carica di dissenso, che è giunto il momento di renderla indistinguibile dall’arte museale:
http://bologna.repubblica.it/cronaca/2016/03/13/news/blu_il_curatore_della_mostra_ora_le_sue_opere_sono_soltanto_al_museo_-135360267/
Di fronte a questa arroganza il gesto di Blu afferma che l’artista per primo può essere capace di defeticizzare la sua opera e cancellarla, con un gesto, che è comunque un atto artistico, come hanno fatto notare in tanti, non soltanto qui su Giap, e che in quanto tale assume anche una valenza politica. Posso fare a meno di voi e voi farete a meno di me. Soltanto che quel “me”, in questo caso, è un “noi”. Non solo perché l’atto è stato meditato e cucinato in un ambito collettivo, ma perché ha coinvolto svariate persone, incluse quelle che ospitavano nei loro spazi alcune delle opere di Blu.
E rimane un noi perché la ferita ci lascia in mano la palla. Un muro grigio non resta grigio per sempre. E il gesto di Blu ci interroga su quello che Bologna è stata e che probabilmente non è più, al di là della grandeur che ancora tenta di spacciare in giro. Perfino Blu stesso potrebbe un giorno tornare a dipingerlo quel muro, non possiamo certo dirlo adesso. Le cose cambiano. La vita va avanti. La lucha sigue, si diceva una volta. Anche per chi vede soltanto “un quadro desolato e in peggioramento”. Pensa te.
Quanta fretta di correre alle conclusioni…perché? I murales non ci sono più, direi che è una cosa abbastanza definitiva.
Ne verranno fatti altri, ma se questi non fossero andati persi Bologna avrebbe questi e quelli. Quindi il gesto non è efficace, e nemmeno coerente, visto che la street nasce come riscatto di una superficie, non come sua eutanasia.
“E quando gli organizzatori della mostra sono andati a grattarsi i pezzi dai muri cos’abbiamo fatto noi bolognesi? Abbiamo chiesto qualcosa, tipo: “Cosa state facendo?”.
Non abbiamo detto un cazzo. Ah, già ma non lo sapevamo… Be’, nemmeno il diretto interessato lo sapeva”. Questo dovrebbe ispirare un’autocritica, quantomeno: si lotta per la street art e ce la si fa rubare sotto il naso. Non è buono.
Roversi Monaco sostiene peraltro che Blu era stato avvertito, ma non ha dato risposte di sorta. E’ un particolare che meriterebbe approfondimento e qualche verifica.
Poi, la lucha sigue. Bene, accomodatevi, lottate. Questo gesto rende chiaro che è la lotta in sé ad interessare, non la vittoria. Un gesto, un urlo, uno sbaffo: dannunzianesimo.
La parte sui termini sbirreschi fa molto colore.
Riassumendo: dannunziani, non vi frega un cazzo di niente, volete solo urlare, e poi la ciliegina:
Roversi Monaco la racconta in un altro modo!
Ah sì?
Incredibile! E io che mi aspettavo la raccontasse come noi!
P.S. Blu l’ha data eccome, la risposta. Che poi non sia quella che speravano Roversi, Omodeo e Ciancabilla, beh, cazzo, ci mancherebbe altro.
E gli artisti, Blu ed Ericailcane, autori di questi murales che avete strappato dalla fine, cosa ne pensano?
«Abbiamo avvertito tutti gli artisti. Con Blu c’è stato uno scambio di mail. Non si è esposto, non ha detto nulla per farci capire se condivide o no il nostro progetto. Probabilmente non gradirà e magari arriverà con un pennello a cancellare tutto. Ma ci ha risposto che gli piacerebbe vedere cosa abbiamo fatto. Lo aspetteremo. Ericailcane, invece, non ci ha risposto».
11 gennaio 2016 Intervista a Luca Ciancabilla del Corriere della Sera Bologna.
Sono stato censurato…da Repubblica nei commenti…non volevano che riportassi questa intervista…direi eloquente…concordo la risposta l’ha data,eccome.
Vi ringrazio,condivido questa battaglia.
Roversi Monaco non la racconta in un altro modo: ha detto una cosa precisa, ovvero che lo avevano contattato.
Ora, Roversi Monaco lo si può anche considerare uno stronzo volante di proporzioni Zeppelin, ma ha fatto un’affermazione.
Puotesi verificare, o tutto quello che dice Roversi Monaco è falso per partito preso? Perché nel caso della seconda è proprio inutile discutere.
Sì, i curatori e il patrono della mostra dicono che avevano contattato Blu via mail.
E io ci credo. Davvero. Per questo vorrei chiedere a costoro cosa gli avevano scritto in quella email.
“Caro Blu, ti stimiamo tanto, per questo stiamo staccando i tuoi pezzi dai muri, così li salviamo dalla demolizione e…diventano nostri. Non li venderemo, ma ci faremo una bella mostra a pagamento, a Bologna, promossa da Roversi Monaco, e domani, chissà, altrove, perché, sai, il bello di queste nuove tecniche di restauro è che stacchi il disegno e lo trasferisci su tela, così puoi portarlo in qualunque museo. Vorremmo incontrarti, perché ci terremo tanto ad avere il tuo parere su tutto questo. Distinti saluti.”
Ora, io credo che la loro vera fortuna sia stata che a quelle comunicazioni non sia seguito alcun incontro. Perché ho il presentimento, per quel poco che conosco i miei polli, che non sarebbero stati tarallucci e vino ma sediate in testa.
E io credo che Blu abbia fatto bene a perseguire un’altra strada, perché in questo modo ha fatto a costoro assai più male delle sediate. Anche se gli è costato di più da molti punti di vista.
Niente. La posizione era preconfezionata, come avevo detto, e resta impermeabile. In città e nella rete si è scatenato un dibattito che non si vedeva da anni, gente che non si era mai posta certi problemi o che aveva smesso di metterseli oggi ne parla in lungo e in largo, il caso è rimbalzato ovunque, ma per te è già finito tutto.
Le conseguenze di un atto come questo si vedono adesso e continueranno a vedersi, che ti piaccia o no.
Quanto all’autocritica, be’, era proprio quella. Solo che c’è chi poi agisce e chi invece preferisce lagnarsi e sputare sentenze. E’ questo che non è buono.
Blu era stato avvertito, dice il Magnifico? E di cosa? Che gli stavano grattando i pezzi dai muri per esporli in una mostra a palazzo Pepoli finanziata dalla Fondazione Carisbo? E costoro si meravigliano che l’agognato incontro del terzo tipo non sia avvenuto?
E chissà se in quelle comunicazioni gli avrebbero anche detto che l’associazione addetta al gratta-gratta è diventata proprietaria di quei pezzi. Certo con il vincolo di non venderli, ma con la libertà di esporli in mille mostre… E chi sono i soci di detta associazione? Saranno mica gli organizzatori della mostra? Questo “è un particolare che meriterebbe approfondimento e qualche verifica”, altroché.
Ma non per te. Preferisci parlare di “la lotta in sé”, “dannunzianesimo”… Se ti piace seguitare a renderti ridicolo con questi interventi, avanti pure. Ma guarda che lo specchio è liscio, ti ci vorranno delle ventose.
“E’ questo che non è buono.
Blu era stato avvertito, dice il Magnifico? E di cosa? Che gli stavano grattando i pezzi dai muri per esporli in una mostra a palazzo Pepoli finanziata dalla Fondazione Carisbo? ”
Esatto, sì, era stato avvertito di questo, sostengono a G.B.. Non capisco perché si sia così ostili a parlare di fatti. Se Roversi Monaco ha contattato Blu ci sarà una mail da qualche parte. Se non può produrla, avrà fatto una saporosa figura di merda (tra l’altro io sostengo fin dall’inizio che questa appropriazione sia stata un’idea pessima ed arrogante).
E della distruzione delle opere mi sto lagnando, sì. “Lagna” è una parola appropriata.
Non credo inoltre di rendermi ridicolo. Perché? Perché sostengo le mie idee? Ribadisco: di che si alimenta un dibattito se si è tutti d’accordo?
Mostrare stizza non migliora i propri argomenti, temo.
Vedi sopra.
Hai una strana idea di “fatti”.
Due anni di non-risposte via mail e un incontro non avvenuto sarebbero “fatti”.
L’idea che in queste cose valga il “silenzio-assenso” sarebbe un “fatto”.
Mettiamo che Blu si è detto “Cazzo, mi rompono le balle da un sacco, e va bene, giusto per la curiosità di sentire come la mettono giù, li incontro così pongo fine a ‘sto calvario, e se è il caso li mando a cagare di persona”, poi, dopo aver raccolto informazioni su quel che stavano già facendo a Bologna, ha deciso che a quelli lì non aveva un cazzo da dire e, soprattutto, loro non avevano un cazzo da dire a lui.
Doveva tirargliene quaranta di pacchi, cinquanta.
Doveva farli impazzire.
Come ho scritto su Twitter, doveva dargli appuntamento sulla Torre degli Asinelli alle due del pomeriggio di ferragosto mentre lui era a Bogotà. Doveva dargli appuntamento all’autogrill Cantagallo a mezzanotte di Capodanno mentre lui era Nairobi. Tanto, loro avevano già deciso di fare quel cazzo che volevano, qualunque cosa lui dicesse. E infatti si sono inventati il “silenzio-assenso”.
Dove credi di essere? Di cosa credi che stiamo parlando? Questa è guerriglia.
Se per te tirare un pacco a Ciancabilla è un crimine capitale anziché un’azione sacrosanta, stai da quella parte là.
La cosa più buffa è che Cianca e Omodeo si lagnino perché Blu è stato “malconsigliato”. Eh già, se qualcuno non lo avesse malconsigliato, sarebbe andato da loro e si sarebbero capiti. I due curatori non hanno davvero idea di quel che sarebbe successo, se Blu fosse andato da loro… Invece ha cambiato parere e almeno la loro integrità fisica ci ha guadagnato di brutto.
Poi vorrei capire meglio come si configura il reato di mancata risposta: noialtri, ad esempio, riceviamo decine di mail al giorno. Di solito la gente si stupisce perché rispondiamo, e anche abbastanza rapidi, segno che l’andazzo è quello di non rispondere (fate una prova con Roversi Monaco e vedete che succede). In ogni caso, capita che qualche mail ci sfugga, mentre ad alcune decidiamo proprio di non rispondere, perché non ci sono nemmeno le premesse per farlo. Se Ciro o’ sfregiato ci scrive che vuole fare un film da Q e non ottiene risposta, non è che poi il film lo fa lo stesso e quando noi gli diciamo che fa schifo e vogliamo il ritiro della pellicola, lui può rispondere: “Ma che vi prende? Io vi avevo pure scritto…”
P.S. La cosa più buffa, ma anche grottesca, è che a tutt’oggi, dopo l’azione di sabato, si dica che Blu «non ha risposto».
Le discussioni qui funzionano che puoi venire a darmi torto finché ti pare. Se vieni qui a darmi del criminale invece è un altro paio di maniche. E’ un fatto di rispetto e di decenza. Se uno ne è sprovvisto non ci facciamo scrupoli a farglielo notare e a mostrargli la porta. Anzi, ce ne facciamo un punto d’onore.
Io questa argomentazione proprio non riesco a capirla. Se Blu non fosse intervenuto le opere sarebbero rimaste lì dov’erano e com’erano? No.
Se in questi giorni – anziché coperte – fossero state staccate com’era previsto, i muri su cui erano dipinte sarebbero stati meno grigi? No.
A privare le persone di “quegli affreschi” è stata la decisione folle e unilaterale di farne pezzi da museo (a pagamento). Blu si è limitato a privare il mercato di un profitto ottenuto dal fraintendimento (in malafede) del suo discorso artistico.
Tra un muro grigio che denuncia una dinamica rapace e un muro grigio e basta ha scelto la prima opzione. È legittimato a farlo perché non le ha vendute, le sue opere. Ed è stato coraggioso come solo chi antepone la propria coerenza alla propria comodità può essere.
Io do per inteso che le opere sottratte al pubblico e portate alla mostra fossero comunque poche rispetto a quelle dipinte da Blu in città.
Così come è scontato che la pratica di accaparramento riservata a Blu dai curatori della mostra crea un precedente. Se l’avessero passata liscia nessuno avrebbe potuto impedire che un domani anche altre opere di Blu – e di altri muralisti – venissero staccate per essere “salvate” dalle ristrutturazioni urbanistiche. Questo almeno non accadrà. E non significa che Blu e gli altri street artist smettono di dipingere. E’ una battaglia. E si combatte con ogni mezzo efficace.
Ha creato un precedente *favorevole* all’accaparramento. Quei murales che G.B. si è fregata ora sono pezzi rari.
Chi specula con l’arte ora sa che non ha da fare altro che grattare qualche parete, provocare uno street artist e aspettare che le quotazioni salgano.
Ah ah ah ah, infatti in questo momento i curatori della mostra e perfino il patrocinatore (uno degli uomini più potenti di Bologna, anche se gli piace schermirsi) si stanno giustificando sui media e in rete, arrivando perfino a sostenere la bizzarra tesi che le cancellazioni di Blu non c’entrano con la mostra… Il frame di quella mostra è completamente cambiato, e di certo non è *favorevole* ai suoi ideatori, gli si è completamente ritorto contro. Perfino chi non è d’accordo con il gesto di Blu di certo non prova simpatia per la mostra. E mancano ancora due giorni al vernissage… Ora chi specula con l’arte sa cosa l’aspetta, sì.
Sì, di certo l’opinione pubblica è contro quella mostra. Questo è un risultato che si sta realizzando, e il gesto di Blu ha fatto puntare i riflettori di G.B.
Ma questo non l’ho mai messo in dubbio. E’ il prezzo che è stato pagato per ottenere questo che trovo esorbitante, e rifilato alle persone sbagliate (i bolognesi).
Anche perché tra sei mesi (ma diciamo pure sei ore), l’opinione pubblica di tutto questo si sarà dimenticata, e Genus Bononiae continuerà a farsi i fatti suoi.
Nessuno pensa di fare la rivoluzione a suon di murales dipinti o cancellati. Genus Bononiae e le banche continueranno a dominare la città, ebbene sì. Ma tra accettare passivamente uno stato di cose e reagire c’è differenza; tra lasciare che i padroni della città si facciano belli e rovinargli il make up c’è differenza; tra subire un’operazione bieca e sabotarla semanticamente c’è differenza.
Nessuno ha mai pensato di fare contento qualcuno cancellando dei murales molto belli. Un atto politico che possa dirsi efficace produce contrasti.
E dibattito. Come quello che si sta facendo qui (a quanti commenti siamo? 130?). E’ tutto effimero, Nihil novi sub sole, tra sei ore di questo non resterà alcuna traccia? E allora perché stai qui a perdere tempo con noi da due giorni? E’ otto volte il tempo che, secondo te, l’opinione pubblica tratterrà l’intera faccenda nella sua ram…
Io credo che nemmeno tu credi davvero a quello che affermi. E credo anche che combattere certa gente e certe dinamiche sia meglio che lagnarsi di quello che non hai più. Non ti piace il mezzo utilizzato? Non è un mezzo fatto per piacere, come ho detto. Ma è un mezzo efficace, per quanto a te possa apparire sproporzionato.
Scusate, faccio una domanda che magari è già stata fatta. A me sembra che “i bolognesi” nell’accezione qui sopra sia una categoria inesistente.
Perché tu puoi essere un bolognese a cui piace Blu, la pensi come Blu, pensi che abbia ragione, o magari no però hai capito il senso.
Oppure puoi essere un bolognese a cui i “graffitari” stanno sul cazzo a prescindere, passeresti le domeniche a lavarli via con la spugnetta e rivoteresti mille volte il sistema di potere di cui la mostra in questione è espressione, e pagherai per vederla. E mi va benissimo, almeno non ti nascondi.
Oppure puoi essere uno tranquillo, integrato, che vota disciplinatamente (non importa cosa o chi), però pensi che i disegni di Blu in fondo stavano bene, non hai capito cosa volevano dire, non hai capito per esempio che quello dell’XM24 tentava di salvare un centro sociale dalla demolizione, ma li apprezzavi come apprezzi il tuo salotto quando hai cambiato la tappezzeria. E il mio sospetto è che questi siano la maggioranza, e non solo a Bologna. E a questa gente penso che Blu e i suoi sodali dovrebbero non solo coprire di grigio i muri come hanno fatto, ma dovrebbero pitturargli di grigio anche quelle facce da stracchino che portano in giro, le loro belle facce da zona grigia.
Quello sferrato ieri e oggi da Blu e dalle tante compagne e compagni che hanno partecipato alla raschiatura delle sue opere è un durissimo colpo a tutto un sistema di cose, che è artistico, politico, urbanistico, culturale, sociale. È un grosso NO all’assimilazione da parte del potere, una dichiarazione d’indipendenza e autonomia, una ri-riappropriazione di spazi, un cambio di fronte velocissimo, l’emersione improvvisa di un contesto conflittuale che sembrava assopito e docile all’assimilazione alla vivisezione all’annichilimento.
Ci saranno sicuramente tentativi di risposta prima scomposta (come le denunce per imbrattamento odierne) e poi più organizzata da parte del potere. Questo evento chiama all’altezza della sua emergenza ed è problematico per chiunque e questo lo si avverte in molte reazioni a caldo preoccupate e addolorate. Sarebbe stato più comodo restare a bollire nella pentola. La street-art è messa di fronte alle sue contraddizioni con un gesto gigantesco che non può essere ignorato o fatto passare per contingente, come semplice protesta contro una misera mostra che in fondo era già comunque fallita per conto proprio.
Ques’opera -collettiva- di Blu ci costringe a interrogarci sul senso profondo della street-art e dei graffiti nel senso più lato possibile. Non vale rifiutarci di leggerla magari addossandone tutta la responsabilità al suo autore, accusandolo di vanità d’artista o egoismo, pena il cadere nel ridicolo. È uno strappo, una lacerazione del piano che apre alla necessità collettiva di riconsiderare tutto.
Quest’opera si riappropria radicalmente dello spazio, del palinsesto, su cui la street-art si produce. Si riappropria di uno dei mezzi di produzione di questa arte e ne segna un nuovo tempo: quello in cui ci si oppone alla sua assimilazione automatica, al suo saccheggio che è il saccheggio dei territori in cui nasce. E lo fa radicalmente, mostrando il palinsesto vuoto e grigio per quello che è. Nessuna rappresentazione o allegoria.
Ma non è soltanto una questione di spazio e di spazi e della loro occupazione. È soprattutto una questione di tempi. Il tempismo di esecuzione di quest’opera è spiazzante e incontrollabile da parte del potere. Proprio mentre si programmava una tappa della sua ben organizzata assimilazione il contesto creatore si sottrae irreversibilmente e mostra la sua “inquietante” (come scrive Il Post) irriducibilità, eterotopia, lasciando temere (al potere) come negli stessi territori in cui nasce si possa produrre questa irriducibilità e riappropriazione radicale.
È quindi una questione di spazi, di tempi e di autonomia nella propria esposizione verso il potere, nell’esposizione di sé e delle proprie rappresentazioni, di autonomia possibile del palinsesto.
Chiama politicamente a considerare la pars destruens intima a ogni azione creatrice in un senso nuovo e oneroso, incombente, responsabilizzante, non di puro rifiuto ma anzi come sfida collettiva per la resistenza e la riappropriazione. Una gigantesca sfida, un centimetro cubo di pura possibilità, un grandissimo dono alla città e non solo.
Eh sì, il problema sembra proprio essere come sempre la “inquietante irriducibilità”.
Sugli artisti di strada non ci puoi contare, non sono affidabili. Come si fa a *investire* su qualcuno che oggi magari fa un capolavoro e domattina si sveglia e cancella tutto? Bisogna tutelare il genio dell’artista mettendo al riparo l’opera dall’artista stesso. Questo è ciò che noi non vogliamo capire di quella mostra, e in generale di tutto il duro oscuro ingrato incompreso mestiere del critico d’arte.
Viene in mente il Borges di Tre versioni di Giuda. Il vero artista non è l’autore, personaggio quasi sempre disordinato, immaturo, bizzoso, eccentrico e non di rado psicoleso. Invece è il critico che decide cosa è arte e cosa no, scelta alla quale il disturbato autore non potrebbe mai pervenire, e nel momento in cui il critico decreta che una cosa è arte, ecco che produce l’arte, quindi è lui l’artista.
Siamo noi che non capiamo.
Benissimo detto, è *questo* il vero dono alla città (se saprà riconoscerlo come tale ed elaborarlo), non le opere che le sono state “sottratte”, a detta di alcuni.
Tra parentesi, trovo assurdo chi critica l’azione di Blu in nome di una sorta di “proprietà collettiva” delle opere. A me il messaggio implicito nell’azione di Blu è sembrato essere questo: “No, le mie opere non sono di proprietà tua, non puoi metterle nei musei; non sono nemmeno di proprietà della collettività: in effetti *non sono di proprietà*”.
Mah, magari è solo una mia pia illusione, ma io ci ho visto questo. Ed è uno dei messaggi più radicali messi in circolazione negli ultimi anni.
Scusate se mi intrufolo, non sono di Bologna. Mi aiutate a capire il nesso (che nella mia nonbolognitudine non posso che pensare psicopatologico) tra:
– quello che sta accadendo e che voi spiegate in questo post
– questo http://bologna.repubblica.it/cronaca/2016/02/15/foto/bologna_writer_condannata_per_imbrattamento_ma_le_sue_opere_andranno_al_museo-133502958/1/#1
– le meravigliose dichiarazioni del sindaco riportate qui: http://www.radiocittadelcapo.it/archives/blu-cancella-murales-bologna-171310/
Grazie. Abbracci, davvero.
Io su Twitter avevo azzardato una spiegazione:
probabilmente il Virginio Merola che per anni ha sgomberato a tutta randa e/o ha difeso sgomberi fatti da altri era un omonimo.
Ora vorrei capire: quello che si candida alle prossime amministrative è questo o ancora quell’altro?
E’ questo *e* quell’altro. Le sue parole nella dichiarazione di oggi sono quasi un manifesto: “Cercare la ragione e il torto in questi casi è un esercizio inutile e non mi interessa schierarmi con nessuno”.
L’importante è rimanere a galla altri cinque anni. Ché poi c’è la pensione.
Il massimo è quando dice:
«La preoccupazione è che Bologna domani si svegli più povera, con meno arte e meno spazi di libertà.»
Detto dall’uomo che fece della guerra a Bartleby una specie di ossessione personale, condivisa con l’allora rettore Dionigi e il suo vice Nicoletti;
detto dall’uomo che cercò di mettere le occupazioni abitative (serie) contro quelle culturali (frivole), salvo poi sgomberare queste e quelle;
detto dall’uomo che, scavalcando il suo assessore alla cultura, forzò la mano per sgomberare Atlantide e poi gestì le dimissioni di quell’assessore con dichiarazioni passivo-aggressive.
Detto dall’uomo che…
La lista è lunga, e purtroppo continuerà ad allungarsi nei prossimi anni.
Cancellare i propri murales dai muri di Bologna è stato il gesto più artistico che Blu abbia mai fatto. E questo al di là dei significati politici e ideologici che l’hanno giustificato. Io credo che il significato più profondo della street art, e anche il suo contributo più importante sul piano culturale, sia proprio l’idea che il valore di un’opera d’arte non stia nella sua esistenza materiale, ma nella sua esistenza transitoria. Oggi Blu ci ha privato di alcuni splendidi murales, certo, la cui esistenza sarebbe però comunque stata limitata nel tempo, come lo è quella di ogni opera d’arte (sono stati transitori i capolavori della pittura greca, che oggi non ci sono più, e transitorie sono le piramidi d’Egitto, che non ci saranno più un domani). In compenso, ci ha donato col suo gesto quella che, mi pare, rimarrà di fatto come una delle opere d’arte concettuali più belle di sempre. E, sono sicuro, una delle più durature.
A meno che non mi sia perso qualcosa, c’è un grosso ma eloquente silenzio: quello del principale responsabile di tutta la vicenda, Fabio Roversi Monaco. Non risultano sue dichiarazioni, commenti, prese di parola. Difficile pensare che i giornalisti che hanno cercato il parere del sindaco, dei consiglieri comunali, dei candidati alle prossime elezioni non abbiano provato col presidente di Genus Bononiae. Il quale si conferma per quello che è: uno che pensa una cosa, decide che avendola pensata può farla perché è quel che è da sempre, cioè destinato ad esserlo per nascita e frequentazioni, e la fa senza chiedere un parere, senza discutere, senza ascoltare una voce difforme, convinto che il fatto che altri possano avere ragione e lui no è semplicemente fuori dall’ordine delle cose. Questione politica di rilievo: non solo perché Roversi Monaco decide di cambiare destinazione d’uso a un murale di strada (con tutto quel che c’è dentro questa decisione, compresa quella vecchia e mai pacificata questione del valore d’uso che diventa valore di scambio: perché l’arte su grande spazi pubblici o su/dentro edifici nasce anche in reazione avversa alla commercializzazione), ma soprattutto perché – questo è politico! – esiste uno spazio pubblico nel quale uno come Roversi Monaco detiene potere, e lo usa. Caso mai ci fosse bisogno di sottolineare che il gesto di Blu accende un riflettore e illumina la scena su pratiche politiche che vanno molto al di là – nel senso dell’ampiezza del cerchio di luce – delle pur rilevanti questioni sul fine e il destino delle opere d’arte.
Ecco Roversi Monaco sulla vicenda:
http://www.radiocittadelcapo.it/archives/street-art-al-museo-roversi-monaco-difende-il-suo-progetto-169031/
N.B. Intervista precedente l’azione di ieri. Risalente al 12 gennaio scorso.
Eccolo: in pratica dice che non c’è nesso tra la mostra e le cancellazioni di Blu. Compagni: non ci abbiamo capito un cazzo!
http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/03/14/news/blu-cancella-i-murales-per-protesta-l-organizzatore-della-mostra-li-abbiamo-salvati-dovrebbero-ringraziarci-1.253951?ref=twhe
[…] racconta proprio attraverso i disegni di Blu e la sua attuale protesta. E poi naturalmente ci sono le parole del collettivo Wu Ming, che rappresentano il pensiero stesso dell’artista Blu, e che dicono […]
Ieri sera, su Twitter, abbiamo espresso ovvio disaccordo con un articolo uscito su Artribune dove il gesto di Blu veniva definito «un autogol», un «gesto di luddismo» che «lasciava l’Italia più povera». Dall’account Twitter della rivista hanno risposto – altrettanto ovviamente – in modo polemico.
A un certo punto, chi gestisce l’account ha scritto: «Abbiamo giudicato l’inquietante atto politico-culturale; ma se la guardi SOLO come performance è una ficata, vero».
Risposta: «Già separare con la lametta questi due piani vi rende uguali a Roversi Monaco. Davvero, lasciate stare.»
A quel punto, @artribune ha ribattuto: «Uguale a Roversi Monaco purtroppo è Blu che ci ha ricordato che le sue opere sono private. Di sua proprietà».
Blu come Roversi Monaco. Il frame degli opposti estremismi, insomma. Trattandosi dell’account ufficiale della rivista, dobbiamo dedurne che la vera linea della testata è quella?
Nel corso dello scambio, noi abbiamo ricordato che il direttore della rivista è Massimiliano Tonelli, fondatore del blog Roma Fa Schifo, noto fomentatore di campagne per il “decoro” e contro il “degrado”, già oggetto – questo lo aggiungiamo qui – di un’inchiesta su Dinamo Press alla quale ha reagito in modo che molti hanno giudicato scomposto. Roma Fa Schifo, lo ricordiamo, ha più volte esultato per gli sgomberi di centri sociali e spazi occupati romani e portato avanti una lettura della street art “decorista”, perbenista, normalizzatrice, contrapponendola ai «taggaroli conigli, vigliacchi, piascialletto, incapaci, scarabocchini». Una rivista diretta da Tonelli non è credibilissima quando attacca Blu “da sinistra”, insomma.
Dopo la frase di @artribune «Scrivono che siete di estrema sinistra, dunque xché comportarsi da bulli fascisti? Stop», avevamo lasciato perdere, e la cosa poteva finire lì, invece poco dopo ci è arrivata la mail di un giornalista di Artribune, con il dominio della rivista nell’indirizzo, una persona che ci aveva già scritto in passato. Ha detto che tirare in ballo Tonelli era come tirare in ballo Marina Berlusconi quando si parlava dei nostri libri pubblicati con Einaudi. Abbiamo risposto che quella di Tonelli non è una carica amministrativa, Tonelli è il direttore di una rivista, quindi responsabile della sua linea editoriale e dei contenuti. Aggiungiamo: ricordare che il direttore di Artribune è la stessa persona dietro Roma Fa Schifo non ha nulla di peregrino, anzi, è pertinente.
La polemica è continuata brevemente in privato, con toni accesi (ma abbiamo visto ben altro). Il frame era lo stesso già visto nell’articolo e su Twitter. Secondo costui, Blu e gli attivisti di XM24 avevano trattato il muro di via Fioravanti come quello «della loro cameretta».
Poiché il cliché era già circolato e avrebbe continuato a circolare, la risposta data al tizio via email ci sembrava spiegare bene perché un simile modo di presentare l’azione è sbagliato e non corrisponde all’approccio né ai sentimenti di chi l’ha compiuta. Abbiamo fatto lo screenshot di un pezzo di risposta e lo abbiamo twittato accompagnandolo con questa frase: «Un tizio di @arttribune ci scrive polemico via email, attaccando Blu e XM24. Ecco la nostra risposta.»
A quel punto, non sappiamo bene perché, chi gestisce l’account Twitter della rivista ha scritto una sequela di tweet incredibili, inaugurata da questo qui:
«nessun “tizio” (ma come parlate?) di Artribune (con una t) vi ha mai scritto una mail, perché inventare cose x calunniare?»
Più volte @artribune – inteso come la persona che stava twittando – ha parlato a sproposito di «calunnia» e «diffamazione», mentre alcuni avvocati presenti su Twitter cercavano di spiegargli che stava usando i termini a sproposito, e che semmai diffamatorio era il suo scagliarci addosso epiteti come «bulletti», «bulli», «fascisti», «fascistoidi» ecc. Fatto sta che @artribune ha continuato a negare pubblicamente che un loro collaboratore ci avesse scritto via email, ha usato la parola «frottole», ha detto che ci «inventavamo cose» e ricorrevamo a «mezzucci». Ecco un montaggio delle nostre risposte:
«Le mail le abbiamo qui, per la precisione sono 4. Visto che la calunnia è un reato, attendiamo che vi rivolgiate alla polizia. così 1) noi mostriamo le mail ricevute tra le 20:27 e le 21:11 di stasera da un vostro giornalista; 2) vinciamo la causa a mani basse; 3) voi, avendo perso, pagate tutte le spese processuali; 4) dopodiché, dato che ci avete appena attribuito un reato, sulla base della vittoria in tribunale facciamo causa a voi.»
@artribune ci ha sfidati a dire chi era la persona che ci aveva scritto. Ha più volte ripetuto: «Vogliamo il nome». Noi abbiamo fatto notare che, per legge, potevamo pubblicare le nostre risposte ma non la corrispondenza privata di terzi. Il tizio ha ribattuto che ci autorizzava lui, ma non si può autorizzare la pubblicazione di corrispondenza altrui. Allora ha detto che se la mail usava il loro dominio, sì, poteva autorizzarci. Avvocati che stavano seguendo hanno fatto notare che non era così. Noi abbiamo scritto:
«Volete il nome per prendere provvedimenti? E per cosa? Per averci scritto via email le stesse cose che voi dite qui?»
@artribune ha detto che bastava il corpo della mail con il nome oscurato. Noi abbiamo risposto:
«I testi delle 4 mail contengono riferimenti alla sua identità e quindi non ci trascinerete a commettere un reato. Divulgando solo una parte di una delle nostre risposte, siamo rimasti nei limiti di legge.»
Dato che @artribune continuava a dire che stavamo «diffamando un’azienda», abbiamo di nuovo fatto notare, come avevano già fatto gli avvocati, che:
«Non c’è “diffamazione” nel dire che un vostro collaboratore ci ha scritto polemizzando con l’azione e chi l’ha compiuta. Né il verbo “attaccare” configura diffamazione alcuna, essendo riferito alle parti in una polemica. Invece “bulletti”, “fascistoidi” e il vostro paragonarci in pubblico ai fascisti sarebbe configurabile come ingiuria. Ma su quello non ci formalizziamo e lo passiamo in cavalleria, come il vostro collaboratore con un epiteto usato da noi. Con la differenza che il nostro epiteto era una tantum in uno scambio privato, i vostri ripetuti e in pubblico.»
Luca Casarotti, che è giurista, è intervenuto per correggerci sulla reiterata similitudine tra noi e i fascisti: «Considerando il mezzo di diffusione, non si tratta di ingiuria, ma di diffamazione.»
A quel punto @artribune ha cominciato a dire che voleva querelarci ma non sapeva chi siamo, siamo «anonimi e irreperibili», voleva «gli estremi», «ci date un riferimento? Un nome? Un indirizzo? Occorre all’avvocato». Diverse persone gli hanno fatto notare che se il profilo pubblico di una prestigiosa rivista artistica e culturale mostra di non sapere chi siano i Wu Ming e come si chiamino, non è proprio ottima pubblicità per la testata.
Ad ogni modo, eravamo stati noi a suggerire subito di farci causa, e ribadiamo il suggerimento. I nostri nomi sono noti e sono anche su Wikipedia. Le email le abbiamo qui, con mittente e provenienza inequivocabili. Ogni cosa che abbiamo riferito ha riscontro fattuale.
Chissà perché @artribune ha scelto fin da subito un tono del genere e una tattica tanto bizzarra e controproducente… Ma forse, se pensiamo alla “consanguineità” tra Artribune e Roma Fa Schifo, e ricordiamo il tono tenuto da quest’ultimo nelle numerosissime liti telematiche avute in questi anni, un barlume di risposta lo troviamo.
Questa settimana, @artribune è il terzo a dire che ci querela. Yawn.
[…] che ieri ha fatto BLU a Bologna, però, va in un’altra direzione, da un lato richiamando la solita vicenda del jazz e del blues […]
Soprattutto non dimentichiamoci che l’arte è un mezzo, e non un fine. Un’opera d’arte viene concepita, realizzata, finita (forse) e poi rimane li, a guardarci e a farsi guardare. Ma chi pensa che un’opera, in quanto finita ed assimilata, abbia finito di raccontarci la contemporaneità sbaglia di grosso. Ed ecco perché i murales di Blu a Bologna, e in qualsiasi altra parte del mondo, non ci raccontano del giorno in cui lui ha preso secchio e pennello, si arrampicato sulla scala e ha cagato il bel gesto, la O di Giotto, magari fra una braciola vegana e una birra analcolica, una domenica pomeriggio al centro sociale, regalando alla città un bel quadro per migliorare l’umore del pendolare che con la nebbia va a lavoro la mattina. Tutt’altro. Quel murale è un’opera viva che ci sfida, ogni giorno che passa, a guardare a ciò che sta intorno. L’opera d’arte (specialmente di strada) è un discorso in divenire, interagisce quotidianamente con la società, ne subisce e influenza gli umori e i cambiamenti, e a seconda delle trasformazioni della società cambia di senso, si adatta. Altrimenti è decorazione, e la decorazione sappiamo bene di chi fa il gioco.
Ecco che il gesto di ieri è un perfetto esempio di adattamento dell’opera d’arte al contesto in cui essa si trova. Che bruci la Gernika, che spariscano i murales di Blu. Perché sparendo sotto una mano di grigio si confermano opere d’arte capaci di parlare un linguaggio coerente ma dinamico e reattivo nei confronti delle trasformazioni della città. E attenzione, il fatto che sia stato lui stesso, insieme a chi la pensa come lui, a cancellare i murales, non significa che lui si sia arrogato la proprietà dei murales, come qualcuno prova ad argomentare, anzi l’opposto. Perché se fosse stato qualcun altro a fare lo stesso, il gesto avrebbe la stessa valenza. I murales sono della città, la città ne dispone, né più né meno che se qualcuno ci avesse sbombolettato sopra, con la differenza che questo è probabilmente un gesto più ragionato ed eclatante che una sbombolettata (anche se declassare una sbombolettata qualsiasi a vandalismo ricade nella stessa trappola formalistica che impedisce a molti di andare al di là del fine tratto di pennello del Maestro Blu). Chi dipinge in strada sa che dal momento in cui si gira e se ne va l’opera rimane sola, e va avanti con le sue gambe. La conversazione continua, e difendere, preservare una crosta di muro perché un Blu o un Banksy ci ha dipinto sopra significa astrarre quell’intervento dal discorso e renderlo innocuo. Esattamente che quello che si è fatto, scusate il volo pindarico, istituzionalizzando l’antifascismo in Italia, e la memoria dell’olocausto in Germania e Israele, coi risultati che vediamo. Trasformare l’Opera d’Arte in feticcio è la fine dell’arte come spazio di liberazione e immaginazione di un nuovo mondo. Certo, probabilmente nessuno avrebbe avuto le palle di fare un gesto del genere, e quindi l’ha fatto lui. A Berlino, per esempio, l’idea è venuta in mente agli occupanti di Kreuzberg per primi. Quindi basta isterie in merito a diritti di proprietà sui sentimenti e le immaginazioni degli spettatori di un murale (o della sua scomparsa).
Il fatto che se ne parli così tanto significa che la sua arte è viva e colpisce nel segno. Blu ha detto cose dipingendo dei bellissimi murales, oggi la loro funzione è superata dagli eventi, e Blu ribadisce il concetto eliminando i murales. Sinceramente, non poteva esser fatto di meglio, e l’intera faccenda (con il corollario di denunce, minacce, starnazzanti e rosicanti vari) non fa che migliorare il mio umore e la mia speranza nella pratica dell’arte.
Per il resto, chi vuole vedere il murale sparito vada su Google images, che è pieno.
Penso a quei bei disegni di Haring nelle metropolitane di New York che venivano staccati e c’era chi se li portava a casa e chi li ha portati nei musei. Ricordo il mitico Nanni al 38 in via Zamboni durante l’esame insistere sulla distanza dell’artista dall’opera dopo la sua creazione e mi sale una tristezza incredibile. L’idea che per un principio, quale che sia si possano distruggere opere ormai parte di un paesaggio mi atterisce. E dire che di esempi nefasti in propositi ultimamente ce ne sarebbe a mazzi.
L’opera della street art è il murale + il muro + l’edificio + il quartiere intorno + la gente che passa.
C’è un motivo preciso per cui l’artista sceglie un muro e non un altro, un quartiere e non un altro, una città e non un’altra, per farci quel disegno e non un altro.
L’opera è tutt’uno con quell’ambiente.
Se stacchi il murale dal muro, hai già distrutto l’opera, non ce l’hai più, ne hai lo spettro bidimensionale e decontestualizzato.
Quindi, ti segnalo l’incongruenza: se dici che non si devono distruggere le opere, non puoi stare dalla parte di chi vuole staccare la street art dai muri.
Con Blu, proprio per rimarcare che non era una sua questione privata come ora si cerca di spacciarla bensì una questione politica che riguarda tutti, ha agito una libera comunità di persone. Gli attivisti di due centri sociali, una banda musicale (la Banda Roncati), un collettivo di scrittori e tante altre persone di tutte le età. E tantissime altre hanno dato solidarietà e continuano a darla.
Come ha già scritto qualcuno, modificare quelle opere con una mano di grigio, nel posto dove stavano, è ancora parte della loro storia. Esporle in una mostra a Palazzo Pepoli, no.
“Come ha già scritto qualcuno, modificare quelle opere con una mano di grigio, nel posto dove stavano, è ancora parte della loro storia. Esporle in una mostra a Palazzo Pepoli, no.” Si io concordo, il grigio e` un colore, non un vuoto cosmico. CHi ha partecipato all`azione di ieri ha “ridipinto” aggiornando con un significato forse piu` attuale quelle opere. E mai come oggi vorrei poter essere un diavoletto e reincarnarmi nel Magnifico, e nei suoi panni fare una clamorosa trollata situazionista smurando i grigi ed esponendoli a pagamento alla mostra
Vedi, tu ti affretti a voler definire in termini rigidi che cosa sia o non sia l’arte, in questo caso la street art. Ma già secondo me è un rischio. Sempre con il buon Nanni, che mi è tornato su tutto in una volta con questa storia di Blu, l’opera si definisce soprattutto nell’uso che se ne fa, la società, il fruitore ecc.. Mi viene in mente anni fa quando mi sono imbattuto in rete in un ragazzo texano di provincia, di quelli che vivono al centro commerciale a bere bibite zuccherate. Era un superfan di Blu e si era messo a linkare foto su foto dei murali. Ovviamente senza aver mai visto il muro, l’edificio, tantomeno il quartiere. Eppure ne ha fruito abbondantemente, possiamo dire con certezza che a lui non è arrivata l’opera di Blu?
Io poi non sono d’accordo con il senso di quella mostra e l’asportazione chirurgica di quei lavori, ci mancherebbe. Ma nel 2016 un minimo di attenzione sul maessaggio che passa dalle nostre azioni sarà il caso di farla. Lo stesso titolo di questo post dice che “Blu sta cancellando”. E molti con cui ho parlato in queste ore sono d’accordo col gesto, ma, sopresa, perchè attribuiscono la proprietà intellettuale dell’opera all’artista. Andiamogli a spiegare che c’era anche la banda che suonava…
«l’opera si definisce soprattutto nell’uso che se ne fa, la società, il fruitore ecc.. »
Il fatto che la street art sia fotografabile non smentisce quel che ho scritto sopra: l’opera della street art è il murale + il muro + l’edificio + il quartiere intorno + la gente che passa. Una foto di un luogo non è un luogo, come la mappa non è il territorio. A me le mappe piacciono tantissimo, le trovo affascinanti, ma so che guardando una mappa della Nuova Guinea non sono andato in Nuova Guinea. Posso guardare una casa di Gaudì in fotografia e trovarla bella ed emozionarmi, e un giorno andare a Barcelona, passarci davanti e avere un’epifania. Io che guardo una foto da lontano non ho la stessa esperienza di chi vive nel luogo rappresentato o si trova ad attraversarlo, in ogni caso a esserci col corpo e non solo con lo sguardo.
«nel 2016 un minimo di attenzione sul maessaggio che passa dalle nostre azioni sarà il caso di farla»
Non capisco il senso di “nel 2016”, mi viene da pensare solo a un cliché. L’anno scorso avresti detto “nel 2015”, l’anno prossimo dirai “nel 2017”. Per quanto mi e ci riguarda, tra le varie incarnazioni siamo in giro come progetto culturale e artistico dall’estate del 1994 e da allora non facciamo che pensare al “messaggio che passa dalle nostre azioni”, tutti i giorni, e organizzarci di conseguenza.
Davvero credi che l’azione dell’altro giorno, con quel livello di organizzazione, con gli interventi simultanei, con tutta la gente coinvolta, con il comunicato già pronto in due lingue e la condivisione immediata in rete, sia stata una specie di “sfogo”, una cosa fatta “di pancia”, senza “un minimo di attenzione sul messaggio”, anziché – come invece è stata – un intervento discusso per mesi in vari ambiti, in tutte le sue implicazioni e connotazioni? Noi abbiamo cominciato a fare riunioni con Blu a fine novembre 2015.
Certo che Blu ha “cancellato”, farlo notare è una tautologia. Ma anche cancellare può essere una forma del dipingere, come il décollage è una forma di collage.
«Andiamogli a spiegare che c’era anche la banda che suonava…»
Non c’è da spiegare niente, basta mostrare le immagini, c’è il video che mostra un’azione fatta da decine di persone, anche bambini, e tante altre che davano loro solidarietà. Poi, se uno continua a pensare che sia stata una questione privata di Blu anzichè un’azione politica, liberissimo di pensarlo, ma quando poi lo dice, deve prepararsi alle risposte. Non elimini dal quadro una rete di relazioni come se niente fosse. Quelle relazioni sono persone, e si faranno sentire.
E’ l’estrema autoreferenzialità della cosa che un po’spaventa. L’entusiasmo che traspare dalle tue parole è anche apprezzabile, ma quando parli di “azione fatta da decine di persone, anche bambini, e tante altre che davano loro solidarietà” offri un quadro mi pare anche inquietante. Se bastano buone intenzioni, un gruppo di persone e qualche passante che offre solidarietà, vale tutto. Il tirare in ballo l’arte mentre la si deturpa è poi un vecchio tic della nostra società in cui tutto può diventarlo e quindi per qualcuno lo è. Stockhausen definì l’attacco alle Torri Gemelle la più grande opera d’arte mai realizzata nell’universo o qualcosa di simile. Dov’è il limite?
Anche il simpaticone che ci scrisse quella minchiata nazista sopra tempo fa potrebbe dire la stessa cosa, grande performance artistica, “svastica su murale di centro sociale”.
Il punto è che secondo me è venuto fuori che l’artista (insieme ad altri) ha deciso di, vogliamo dire modificare in modo determinante? opere che per molti erano ormai parte della città. E parte della città si è sentita defraudata da quel gesto, probabilmente allo stesso modo che se quei graffiti fossero stati presi e portati in un museo Ne valeva la pena? Speriamo.
@vminella Ma io concordo sul discorso dell’ inaccettabile asportazione dei murales in questo modo. E capisco anche che ci volesse una risposta forte. Ma qua è l’equivalente di andare a protestare contro Salvini fuori dal campo rom. Se il risultato delle tue azioni non sortisce l’effetto sperato e anzi è controproducente (e secondo me qua è così)hai sbagliato, c’è poco da fare.
Niente da fare, quel «se bastano buone intenzioni», l’uso di espressioni come «deturpare» e il paragone fallace con la svastica disegnata sul muro confermano che vuoi continuare a descrivere l’azione come una cosa fatta all’improvviso e quelli che l’hanno organizzata come una manica di sprovveduti. Bisogna capirli, non hanno frequentato le lezioni di Nanni.
Io vorrei capire: tu credi che noi non volessimo bene a quel murale? Noi c’eravamo mentre si faceva, e abbiamo organizzato la “lezione all’aperto” dove Wu Ming 4 ne ha spiegato (quasi) tutti i dettagli e i riferimenti nascosti, davanti a un piazzale (allora c’era ancora il piazzale interno dell’XM24, dovevano ancora fare la rotatoria) gremito di gente. Qui video, audio, fotografie e resoconti:
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=12700
Dopodiché, la «parte della città che si sente defraudata da quel gesto» io attendo che si materializzi direttamente, ritirandoti la delega a parlare per conto suo, perché questa «parte di città» mi sembra un’entità astratta, un espediente retorico. Quelli a cui abbiamo spiegato l’azione l’hanno capita subito, ed è chiaro che dispiace quando i mali estremi costringono a estremi rimedi, noi per primi siamo addolorati, ma quell’azione ha trasmesso un messaggio molto più forte di qualunque murale. In ogni caso, lo status quo era precario e non si sarebbe potuto mantenere, perché la street art era già sotto attacco da tempo.
Comunque, tutti a difenderla *dopo*, a lagnarsi per il gesto dopo mesi che questi staccavano opere in giro e pochissimi si opponevano. Anche questo è un “gioco di verità” aperto da Blu.
Infine, mi sembra ben poco “autoreferenziale” un’azione di cui si sta discutendo, spesso in modo molto approfondito, in tutto il mondo.
“Vuoi continuare a descrivere l’azione come una cosa fatta all’improvviso e quelli che l’hanno organizzata come una manica di sprovveduti.” Ma no. Ho capito che è stata un’azione meditata con dietro tutto un ragionamento serio di mesi, ma non significa che per questo sia oggettivamente la mossa più azzeccata, per tutti, a prescindere dal resto. Per te, Blu, chi c’era, chi suonava, chi applaudiva è sicuramente andata come doveva andare.
Io ti faccio l’esempio dello sfregio nazista che tu liquidi como fallace perchè la discriminante non può essere solo il grado di idiozia di quello che ci vai a scrivere sopra. Tu continui a vedere la cosa solo dal tuo/vostro punto di vista e non fa ‘na piega, ma un gesto de genere ha implicazioni molto più ampie che vanno secondo me al di là di una protesta situazionista o che. Come un’opera di street art va oltre le intenzioni, aspirazioni e, perchè no, la disponibilità dell’autore. E in questo il commento di Artribune per me non ha tutti i torti. Se ricopri tutto, per protesta e privi la città delle opere, i messaggio che può arrivare è che decidi tu. E per me è stata una roba controproducente. Magari mi sbaglio e ci avete portato altrove. Tanto meglio se è così.
@RickGrimes In verità io ho detto che se avessi potuto discuterne con Blu avrei trovato con lui un altro sistema per mostrare la sua e nostra incazzatura (sono un ottimista), ma purtroppo non lo conosco.
Lui ha scelto questo metodo e siccome ha ragione, ovviamente secondo me, lo accetto, anche se mi ha fatto molto male.
Non mi sogno nemmeno di criticarlo: io non sono stato capace di fornirgli un’alternativa, che so, andando a disegnare un murale sui palazzi della Cassa di Risparmio, dopo che hanno cominciato a staccare le opere dai muri (sono mesi che la cosa va avanti).
Ho solo mugugnato contro la stupidità, ma non ho mosso un dito.
Io, tu, Wu Ming1-2-3-4, la città, siamo tutti colpevoli di questo, come di tutte le altre brutte cose che tutti i giorni ci compaiono davanti.
Critichiamo (alcuni), poi ci stringiamo nelle spalle e cerchiamo di barcamenarci nel nostro quotidiano.
Ebbene Blu, solo, o quasi, di fronte a questa schifezza del furto di una sua opera, ha detto “i miei lavori ve li ho dati gratis e voi non li avete difesi, quindi me li riprendo”.
Hai figli? Capita a volte di fare un regalo a tuo figlio, vedere che lui lo usa male e, a quel punto, dirgli “me lo riprendo”. E’ un metodo educativo.
Blu è stato un po’ paternalistico a voler educare la città?
Può darsi. Ma se Bologna ha capito la lezione lo faccia vedere.
E noi che soffriamo di questa perdita, rallegriamoci di averne goduto gratis per vent’anni.
Forse un domani le cose belle della città saranno a disposizione di tutti e non solo del potenziale turista da blandire e spennare.
Non credo che fosse quello il discorso di Blu. E infatti le parole erano “a bologna non c’è più blu
e non ci sarà più finchè i magnati magneranno
per ringraziamenti o lamentele sapete a chi rivolgervi” Qua la colpa è indirizzata verso soggetti ben precisi, mica la collettività che osserva impotente.
Naturalmente non so cosa volesse davvero ottenere Blu, come te cerco di analizzare e interpretare, quindi non ti dirò di possedere la verità.
Però adesso che mi riproponi le parole esatte, che si erano un po’ perse nel mare di quelle lette, mi pare di leggerci ancora meglio ciò che dicevo: sembra un discorso tipico da genitore ai figli “non lametatevi, sapete con chi prendervela”.
Continuo a vedere in questa azione di Blu anche una grossa intenzione didattica, forse un po’ supponente, cosa che mi infastidisce un tantino, ma evidente.
ora, questa mia sarà una pippa assurda, sconclusa e inconcludente. una breve pippa però, una pippetta, diciamo.
anche io percepisco come vminnella questa punta di supponenza e paternalismo nella scelta di blu&co.
questa scelta, al giorno d’oggi ha avuto, per come la vedo io, due ordini di effetti:
il primo è stato lanciare un messaggio indubbiamente potentissimo, mettere alla berlina il magnifico e genus bononiae, sputtanare violentemente l’ipocrisia delle istituzioni bolognesi, infiammare un dibattito internazionale su arte e street art, sugli spazi occupati e, più in generale su quelli urbani. questa è senza dubbio la parte che ha funzionato. il messaggio è arrivato, la bacheca facebook di genus bononiae e di reversi monaco sono invase di commenti incazzatissimi, come praticamente metà di tutto l’internet. le istituzioni bolognesi, di per sé, ci hanno fatto una magrissima figura.
il secondo ordine di effetti però, che secondo me non va trascurato, è che tante di quelle testoline che in occupy mordor andavano a formare l’enorme esercito che prendeva d’assalto la cittá dei baroni, del sindaco e dell’establishment, si sono sentite sacrificate, alienate, dimenticate, escluse da questo gesto. certo, ieri mattina c’erano un po’ di persone davanti all’xm24, il momento era estetico, pulsante, sembrava il funerale di un partigiano. ma ciò non toglie che ci sia chi di questo gesto si è sentito vittima ed è sbagliato lasciarlo indietro. di per sé, il fatto che questo gesto abbia causato una divisione interna tra chi si opponeva e si sarebbe opposto anche duramente, col proprio corpo, allo sradicamento di ulteriori graffiti, alla logica di questa mostra.
per quello che mi riguarda sono stati proprio i wu ming a introdurmi all’arte della guerra di sun tzu ed a lawrence. magari all’epoca ho misinterpretato, ma io ho sempre pensato che bisognasse coinvolgere tutti e non lasciare nessuno indietro per il gusto di lanciare un messaggio, per quanto forte e rivoluzionario esso sia. credevo bisognasse arrivare al punto in cui non ci fosse più bisogno di combattere, perché il potere era rimasto solo ed accerchiato.
quello però che qui è successo, per me, e poi non rompo più, è che si è andati allo scontro diretto, in campo aperto, lasciando indietro più di qualcuno.
il potere, dal canto suo, sta reagendo in modo piuttosto scaltro: il sindaco merola, come riferisce wm più sotto, ha rilasciato delle dichiarazioni strappalacrime, solo apparentemente sensibili e giuste. pensate che su fb è stato citato in risposta alle mie argomentazioni contro il gesto di blu e questo sulla stessa pagina dell’artista! questa storia ce la gireranno contro. la assimileranno e gireranno per mettercela nel culo, come al solito.
“il serpente shuairan del monte chang, quando attaccato sulla testa, risponde con la coda. quando attaccato sulla coda, risponde con la testa. quando attaccato al centro, risponde con entrambe”
ok, è un pippone. chiedo scusa.
Il pippone me lo sono sorbito volentieri, ma la conclusione mi ha fatto cascare le braccia. “Ce la metteranno nel culo come al solito”: se questo principio è valido, allora zitti, non fate niente, non muovete una foglia, lasciatemi qui tranquillo, a giustificarmi del fatto che non muovo una foglia dimostrando che tanto, se anche la muovessi, i potenti avrebbero vinto. “Ce la metteranno nel culo come al solito”: quindi anatema su chi prova a dare l’assalto al cielo, su chi avanza di un passo, perché io, per starmene fermo piantato come un palo, ho bisogno di credere che ogni avanzamento è in realtà retrocessione.
Fine del contro-pippone.
Nel merito: non esiste un’azione perfetta, capace di zittire il Potere di colpo, dall’oggi al domani. Se leggi il “Resto del Carlino”, annate ’43-’44, ogni azione partigiana, anche la più brillante, viene rovesciata dalla propaganda fascista. Una propaganda che ha pure ben seminato, se oggi c’è ancora chi dà dei vigliacchi ai partigiani perché lasciavano “il popolo” alla mercé della rappresaglia nemica. Eppure, pur con tutti gli starnazzamenti di quel potere, non mi pare che “ce l’abbiano messa nel culo come al solito”.
Tu dici che quest’azione avrebbe dovuto essere più inclusiva. Ok, se vogliamo mettere quest’aspetto tra i “contro”, ci sto. D’altra parte, dici anche che ci sono un sacco di “pro”, e li elenchi pure. Però, l’unico “contro” che segnali, guarda caso, è quello decisivo, quello fondamentale, quello che porterà all’inevitabile fallimento del tutto, guastando il messaggio lanciato alla città. Per carità, esistono dei “contro” del genere, ma per me non è questo il caso. Il principio dell’inclusività non si applica a qualsiasi azione politica. Se voglio fare un’imboscata, perché in quel momento mi serve tendere una trappola, non posso chiamare diecimila persone. Se voglio sfruttare l’effetto sorpresa, perché penso che renderà il mio messaggio più potente, non posso raccontare al mondo intero quel che sto per fare. Se voglio scrivere un romanzo, posso provare a farlo insieme ad altri, scardinare l’idea dell’autore individuale, ma se voglio scriverlo per forza con tutt*, difficilmente arriverò in fondo.
Non so, io devo ancora capire chi sarebbero – a parte te, naturalmente – tutti questi che compiendo l’azione ci saremmo “lasciati dietro”. E devo ancora capire perché secondo te tutto dovrebbe risolversi nelle prime 48 ore dopo l’azione, e perché una frase di Merola dovrebbe sancire la vittoria o la sconfitta di qualcuno.
Pensa che paradosso, Valerio: Blu ha fatto un’azione didattica, supponente, paternalista, eppure siete tutti qua che ci spiegate come avrebbe dovuto fare, cos’ha sbagliato, quando, dove, perché. Tutti a dire mannaggia, purtroppo quello scemo ne ha parlato coi Wu Ming, che si sa, sono stronzi come pochi, se ci avessi parlato io, quali magnifiche sorti di lotta avremmo disegnato per questa città! Tutti capaci di guardare avanti di epoche ed eoni, al di là del Kali Yuga, e di dirci che in base alle congiunzioni astrali del 2915, quest’azione nasce già sconfitta, e basta saper leggere il senso delle prime venti dichiarazioni di qualche potente per intuire che sarà così, perché in fondo, signora mia, va sempre così, i potenti potentano e il popolo la prende nel culo. Eppure, alla fine della fiera, è Blu quello che si è arrogato il diritto di dare una lezione a tutti.
grazie per la risposta e no, nessuno ha il kali yuga e le congiunzioni astrali preferisco anche io lasciarle agli sciamani. anche la frase sul deretano e ciò che vi viene inserito me la rimangio, perché wm2 ha ragione e se si fosse dovuto ragionare cosí, anche la resistenza ce la saremmo scordata. ci tengo anche a specificare che non vi considero per nulla degli stronzi e che se sto commentando qui, per la prima volta, dopo che vi seguo appassionatamente da 15 anni, è solo perché questa volta vi ho capito meno di altre, almeno in prima battuta. la frase di merola non sancisce nulla, se non una grande furbizia politica, altresí nota come paraculaggine.
che altro dire? bah, spero che vada tutto bene e che merola non reisca a passare come il grande illuminato.
buona giornata e a presto.
Hai ragione, per quel ragazzo è meglio la foto del murale, che nulla, ma lui non ha tentato di portarsi a casa il murale, si è accontentato di quello che poteva avere, ma non ha tentato di snaturarlo.
E’ questa la differenza: Non si tratta del museo piuttosto che nulla, si tratta del museo al posto del luogo in cui è stato creato.
Possiamo discutere a lungo sul fatto di staccare un murales da un muro che sta per crollare (per quanto ho già scritto che un murale nasce per morire), non possiamo discutere di murales asportati per altre ragioni.
E poi l’artista ha comunque ragione di incazzarsi a prescindere.
Mio padre è stato un apprezzato pittore del secondo 900 bolognese, quando abbiamo fatto una retrospettiva per il centesimo compleanno dalla nascita, è venuta tanta di quella gente, che il gallerista è rimasto colpito.
Un giorno ho cambiato una cornice ad uno dei suoi quadri in casa mia, quella che aveva messo lui non mi piaceva. Non ti dico quanto si è incazzato: “Non mi importa se non ti piaceva, io non l’ho immaginato con quella!”.
I suoi quadri erano mobili, inscritti in una cornice che ne delimitava l’ambiente e quindi posizionabili in casa o in un museo.
La volta che ne ha dipinto uno per una chiesa, su richiesta del prete, che doveva stare in una vano preciso, senza cornice, ha passato mezza giornata in chiesa per “assimilare” il luogo.
Se fosse stato vivo, penso che sarebbe andato a grattare il muro …
Sarà un mio limite, ma io un’argomento fondato sull’autorità di un insigne studioso del quale si cita non un libro, un articolo, una cosa che io posso andare a leggere per vedere se davvero ha detto quello che gli si attribuisce nel senso in cui glielo si attribuisce, ma un ricordo d’una sessione d’esame, non lo accetto.
Ciò premesso, quale che sia la distanza che si crea fra l’artista e la sua creazione, l’artista ha il diritto (e nella pratica lo fa) di risemiotizzare la sua creazione, sovrapponendosi al processo di semiotizzazione che si genera quando l’opera gli esce dalle mani e inizia a navigare nel mare dei fruitori.
Per dire: De Gregori aveva il dirito di impedire ai fascisti del MSI di usare “Viva l’Italia” per uno spot elettorale, come la figlia di Johnny Cash di vietare l’uso di “Ring of fire” per una pubblicità fondata su un volgare doppio senso. Così come Picasso aveva il diritto di vietare l’esposizione di Guernica – il che per due generazioni di spagnoli ha significato far conto che Guernica non esistesse, se non nelle foto sui libri – finché non fosse mutato non la cornice del dipinto o lo spazio espositivo, ma il contesto politico dell’intera nazione, essendo la repubblica e l’antifascismo (versus la dittatura e il fascismo) non solo contenitore, ma parte integrante dell’opera d’arte. Autoreferenziale anche lui, Pablo, nel pretendere di aver voce attiva in quel processo di fruizione, uso, socializzazione dell’opera che ne definisce la natura?
“Sarà un mio limite, ma io un’argomento fondato sull’autorità di un insigne studioso del quale si cita non un libro, un articolo, una cosa che io posso andare a leggere per vedere se davvero ha detto quello che gli si attribuisce nel senso in cui glielo si attribuisce, ma un ricordo d’una sessione d’esame, non lo accetto.”
Ma de che. Ma quale argomento incentrato sull’insigne studioso. A parte che t’ho detto il nome. Vai e leggi, che ti devo fare il riassuntino qui sopra? Ma poi, tu mi citi tutta roba commercilizzata o di artisti finiti nei musei. Per te è un discorso che fila? Qua il punto è proprio quello, non finire nel museo!
Ho il lieve sospetto che Girolamo De Michele abbia una qualche idea di chi sia Luciano Nanni, cosa abbia scritto e cosa insegnava.
Lieve.
E infatti il discorso era di metodo nel discutere.
Io ho citato il Nanni come suggestione all’interno di un commento scritto di getto. E infatti non a caso si parlava di una sessione d’esame al 38 di via Zamboni. Cosa c’entra tirarlo in ballo come se avessi voluto buttare lì due smargiassate da sapientone. Che fatica.
È che poi lo hai fatto una seconda volta – «sempre con il buon Nanni» – e hai dato quell’impressione. Tutto lì. La fatica, ti garantisco, la facciamo tutti. In special modo noi, che questo blog lo gestiamo e siamo responsabili del buon livello e della comprensibilità delle discussioni.
Se proprio dobbiamo scomodare Sun Tzu (come è avvenuto in qualche commento precedente) allora menzioniamo anche l’enunciato *ogni battaglia è vinta prima di essere combattuta* con cui il maestro Sun suggerisce di attaccare non la forza dell’avversario ma i suoi piani, anticipando e minando la sua strategia.
Distruggere le opere (con un’azione fulminea e inattesa) precorrendone il distacco e il “recupero” da parte del Potere, non è forse un modo x scombiccherare all’origine i disegni dell’avversario?
[…] è spiegato in questo post su Giap, il sito del collettivo Wu Ming, la mossa del quotato street artist è una rivolta […]
[…] “Spero che Blu, in futuro, possa di nuovo dipingere a Bologna avendo la garanzia che le sue opere non saranno mai usate con fini commerciali” – si augura a tempo scaduto il sindaco Virginio Merola (la Repubblica – Bologna, 13 marzo 2016, pag. III). A tempo scaduto e con argomenti scaduti. Questa è la condizione della politica. Intanto una collega di Blu, solo un po’ meno nota, solo poche settimane fa è stata multata per aver “abbellito” una parete degradata (vedi). Ovviamente in quel caso il sindaco di Bologna se n’é stato zitto. […]
Tocco Blu non gioco più. Bell’intervento di Paola Donatiello su Doppiozero:
«[…] Il grigio della copertura parla di più dei graffiti che occulta. La scelta del grigio non è casuale: se negli slogan di amministrazioni e detrattori il muro ordinato è sempre di colore bianco, un muro che non si voglia né bianco né colorato non può essere che grigio. Se il gesto dell’artista è leggibile come una consapevole operazione di neutralizzazione, è anche vero che da questo momento in poi il campo si riapre, tutte le domande sono di nuovo possibili; le opere coperte interrogano a gran voce la città e i suoi abitanti; il grigio funziona come un grande punto di domanda a cui tutti siamo chiamati a rispondere.
Il gesto di Blu dimostra che l’arte non perde affatto il suo valore politico, configurandosi come possibilità continua di discutere e mettere in discussione, anche quando venga staccata o occultata, quando non vive e non partecipa più all’ambiente specifico per cui era stata pensata.
Se leggiamo l’azione di Blu come una performance contemporanea che ha il potere di puntare il dito su temi di attualità quali il tessuto urbano e la possibilità di immaginare per esso scenari diversi da quelli che quotidianamente viviamo, il grigio che sta facendo addirittura versare lacrime agli astanti che hanno assistito alla copertura dei pezzi, è un grigio positivo.»
[…] di questi pensieri li ha espressi a modo suo il collettivo di scrittori Wu Ming (http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=24357) linkato dallo stesso Blu a mo’ di spiegazione dal proprio blog (http://blublu.org/sito/blog), […]
Vorrei aggiungere una riflessione che forse a molti, me compreso, di primo impatto è sfuggita, abituati come siamo a valutare l’aspetto meramente decorativo di un intervento artistico di strada. (murales o stencil etc.)
Come eravamo soliti guardare ai disegni di Blu? Li osservavamo, li valutavamo esteticamente, soppesavamo il messaggio, sempre presente. Ecco, non è cambiato niente. La cancellazione ha la stessa portata del disegno. Se un intervento del genere lo avesse fatto Banksy, mi viene da dire pensando a me stesso, senza mancare di rispetto a nessuno, sarebbe stato immediatamente più comprensibile, forse perché per troppo tempo, assopendoci, avevamo relegato l’idea del lavoro di Blu a quella del disegnatore. Blu faceva murales, fine. Il nostro compito era guardare, valutare il disegno, valutare il messaggio, al limite fotografare.
Domandiamoci se quest’operazione, che lo colloca maggiormente nell’ambito dell’arte contemporanea che in quella relativa alla sfera del disegno, forse accecati dalla nostra idea di cosa faccia Blu (decoratore di città?) l’abbiamo interpretata male, come mutilazione personale. Anche la posizione che dice che i disegni sono di tutti, che Blu in questo modo afferma una sorta di proprietà intellettuale, che mi ha fatto riflettere, a vederla in questi termini non sussiste, perché quella è ancora l’opera di Blu, solo arricchita di significato, stratificata.
Se avesse un sottotitolo, CANCELLAZIONE DELL’OPERA DI BLU, sarebbe stata più comprensibile?
C’è da rifletterci, e per farlo bisogna modificare il nostro modo di guardare alle opere di street art.
Per quanto mi riguarda, anche condividendo l’intento politico che avevo compreso inizialmente, adesso mi sento di dire di condividerne anche quello prettamente artistico, se è poi realmente possibile dividere questi due livelli in un’opera di street art.
sono d’accordo su tutta l’analisi che ha portato alla scelta di dover far qualcosa di forte.
però un dubbio, da compagno, mi rimane latente. cioè se strategicamente la cancellazione di tutto è stata veramente la scelta giusta. lo spirito che mi avrebbe mosso nello scegliere la strategia è quello della difesa della nostra cultura collettiva. capisco ovviamente che – quando sarebbero materialmente venuti a strapparli dai muri – non tutti i murales erano difendibili nel tempo e nello spazio della città
bene, ma uno almeno uno (due) su cui rilanciare una difesa collettiva perchè non si è scelto di farlo?
mi viene ad esempio in mente quello di XM, cancellare e grattare anche il proprio muro del centro sociale mi sembra più un segno di debolezza che sancisce l’incapacità di poter difendere anche casa propria. li si doveva rilanciare una lotta che dice non solo che non mercificano la nostra cultura, ma anche che noi continueremo a “godere” della nostra arte senza che ce la rubino dai nostri muri e che sappiamo difendere i nostri spazi. questa in particolare mi è sembrata più una auto-amputazione, un “suicidio per non farmi uccidere”.
non so non voglio far polemica per carità, voglio solo esplicitare un dubbio…
L’idea di un rilancio difensivo non mi convince. Quale rilancio migliore, invece, di un muro grigio?
Il muro grigio pone una domanda: cosa ci disegnamo, adesso? E chi ci disegna? Bisogna chiamare per forza un altro street artist, che faccia qualcosa di unico, o possiamo anche colorarcela da soli, questa città? E se prenderemo in mano i pennelli, ci prenderemo anche qualche denuncia? E perché se denunciano Alicé è uno scandalo e invece se denunciano un writer sedicenne chissenefrega?
E poi, che tipo di disegno vogliamo? Una decorosa decorazione che non offenda il decoro? O una favola pitturata dai bimbi del quartiere?
Il muro grigio, pone una domanda anche al futuro sindaco della città: come pensi di amministrarla, Bologna, perché il colore trovi la via del ritorno? E se il colore tornerà, da che parte starai? Da quella di Roversi Monaco, Darth Vader e Sauron, o da quella delle catapulte lanciacocomeri, dei visi tatuati e degli Ent?
Immaginavo la stessa cosa pensando al futuro del XM24 ora che il murale non c’è più. Se ricordo bene, quel murale era stato dipinto per evitare lo sgombero del centro sociale in modo che la presenza dell’opera d’arte bloccasse i propositi di distruzione. Blu, col suo murale, aveva agito da “comitato anti-sfratto” a favore del centro sociale. Penso che forse la cosa più giusta da fare sarebbe stato agire proprio come un “comitato anti-sfratto” a difesa del murale. Parlo del murale dell’XM perché è l’unico che conosco e che sono andato a vedere (il lunedì precedente alla cancellazione, che impressione!), quindi immagino che un’azione difensiva lì fosse possibile. Dove la difesa non fosse stata possibile mi sembra giusta comunque la cancellazione anche se si poteva pensare anche a staccare i murali per portarli dentro i centri sociali. Boh, immagino ne abbiate parlato abbondantemente da novembre in poi. Rimane il fatto che la cancellazione è stata un atto politico (ma per come la vedo io per nulla artistico) fortissimo, capace di attirare l’attenzione e di mobilitare buona parte della popolazione informata e interessata a queste cose. Anche se mi sembra comunque al limite della forza e la possibilità che qualcuno sia stato “lasciato indietro”, come diceva un altro commentatore, mi sembra concreta. Io vivo e lavoro in un quartiere di Roma, il Quadraro, piuttosto famoso per i murales che ospita e non so come reagirei se succedesse qualcosa di simile qui.
[…] link una parte della serata di presentazione dell’opera di Blu ad XM24. A questo l’articolo di Wu Ming sull’affaire […]
[…] deciso di cancellare, distruggere, coprire le sue opere per sempre. Il perché è presto detto, come si può leggere sul sito del collettivo di scrittori Wu Ming a cui è affidata la spiegazione d…: «Il 18 marzo si inaugura a Bologna la mostra Street Art. Banksy & Co. – L’arte allo […]
[…] Per tutta risposta Blu, nome di spicco della street art nostrana che si è trovato suo malgrado nel cartellone di questa esposizione, la notte scorsa ha cominciato a coprire alcune sue opere in città, privando la stessa di “beni della comunità”, come le hanno definite alcune autorità dissociandosi dall’operato dell’artista. La questione viene spiegata approfonditamente qui. […]
@WuMing2 @EdwardP.Trally Solo un paio di precisazioni, perché mi pare di non essermi fatto capire.
Io dico che l’azione di Blu è da sostenere al 100% perché è colpa “nostra” che non abbiamo difeso con forza quello di cui eravamo diventati “possessori” dagli attacchi degli speculatori, di cui conoscevamo l’esistenza e l’arroganza anche prima di questi fatti (non mi preoccupa il fatto che cerchino di farci ritorcere contro la “nostra” azione – è il loro mestiere).
Poi, per un prossimo futuro, cerco di analizzare l’azione per migliorarmi e identifico i pro e i contro: La capacità didattica, per me, è un pro; il dolore della perdita è un contro.
Nessuna intenzione di dire che noi avremmo fatto meglio, ma al massimo di dire che io avrei preferito trovare una via diversa (e mi tengo la mia colpa).
Ok, e siccome di graffiti e murali in giro per Bologna ce ne sono ancora tanti, come li difendiamo, d’ora in poi, dagli attacchi degli speculatori?
Ericailcane in via Capo di Lucca, prima sede storica di Bartleby: lo cancelliamo tutto? Oppure? Chi avrebbe avuto idee migliori, può averle anche adesso. E i pezzi dentro al museo? Ce li andiamo a riprendere?
Che dite, li ricattiamo? “Sindaco Merola, davvero vuoi che Bologna non si risvegli ancora più grigia? Bene: convinci Genus Bononiae a restituirci il maltolto, altrimenti cancelliamo tutto”. Per dire… A me pare che sia questo il dibattito che dovremmo fare, quello difficile, quello che può coinvolgere i “tutt*” che si sono sentiti esclusi dall’azione di Blu. Certo, ragionare su quel che si sarebbe potuto fare è utile, ma a un certo punto diventa pure facile, consolatorio e controproducente. Che si fa, adesso? Il Curatore della mostra si fa bello dicendo che gli unici Blu di Bologna sono nel suo bel museo. Come la risolviamo, ‘sta questione? Le idee inclusive, creative e migliori delle nostre sarebbe importante averle adesso, non prima. Noi qualcosa abbiamo fatto. Come procediamo, insieme?
se, ipoteticamente, blu entrasse a palazzo pepoli accompagnato da un bel po’ di gente e riverniciasse di grigio i suoi pezzi esposti là? sarebbe penalmente perseguibile? eppure teoricamente la proprietà intellettuale dovrebbe essere sua, sbaglio?
E se la città si riempisse di murales, tutti o quasi sul tema furto/ladri, tutti con i malfattori con facce riconoscibilisime e la scritta “Rubatevi questo” o “esponete questo”?
L’idea mi piace, però occhio: è già pieno di figuri, fino all’altro ieri zitti zitti, pronti a farsi un bel selfie elettorale di fronte alla prima, nuova macchia di colore che si riaffacci in città. Il muro grigio ha di bello che non è un buon fondale per le facce toste.
Da un punto di vista morale, il diritto d’autore è suo, ma l’opera – in quanto dipinta illegalmente su muri privati – è dei proprietari del muro, i quali hanno autorizzato i restauratori a staccarla e a prendersela. Roversi è prof. di giurisprudenza e su questi aspetti si è di sicuro parato il culo. Certo, un’azione del genere farebbe emergere altre contraddizioni interessanti, ma in una città dove – se hai un certo aspetto – ti denunciano perché cancelli un graffito, figurati cosa ti fanno se lo vai a cancellare dentro un museo, sostenendo di averne diritto.
va a finire che davvero espongono il muro grigio allora! Largo all`avanguardia…pubblico di merda, come direbbe Serra “per rappresaglia” https://twitter.com/mazzettam/status/709291593392656384
Sapete qualcosa o pensate di organizzare qualcosa per questa manifestazione https://www.facebook.com/events/1527019814268924/ convocata per venerdì 18, giorno dell’inaugurazione della mostra, ma alle 9.00 del mattino, davanti Palazzo Pepoli?
Ha già 1.800 partecipanti e 1.600 mi ‘interessa’.
Non sappiamo chi l’abbia organizzato. Se sono rose…
Che cento fiori sboccino.
Dovremmo esporre in giro per la città degli enormi pannelli tutti grigi. Tipo in piazza maggiore potremmo mettere un enorme telo grigio per coprire metaforicamente la facciata di san petronio. oppure a porta ravegnana, per coprire di grigio la torre degli asinelli.
[…] cronache bolognesi di questi giorni si interrogano sul gesto di Blu. Lo street artist ha infatti “cancellato” le sue opere presenti su diversi muri […]
[…] ausführlichen Bericht mit Hintergrundinformationen über die Aktion von Blu in Bologna gibt es hier zu […]
@ edward p.trally
Al netto della nostra divergenza di vedute… tranquillo che Merola non riuscirebbe a passare per “il grande illuminato” nemmeno sotto un riflettore da stadio. Gli manca proprio il physique du rôle.
[…] sito http://www.wumingfoundation.com racconta l’opera di cancellazione e afferma che: “Non importa se le opere staccate a Bologna […]
[…] nei confronti di una forma d’arte che, come ricordano, in un bel pezzo uscito sulla questione, i Wu Ming, è paradossale immaginare chiusa in un museo, che della concezione di pubblico che quella forma […]
Tutto questo mi ha fatto pensare alla scena di Apocalypse Now in cui il colonnello Kurtz descrive la forza morale dei Viet Cong:
“The genius! The will to do that: perfect, genuine, complete, crystalline, pure. And then I realized they were stronger than me, because they could stand it.”
Mi sembra che anche il gesto di Blu partecipi della stessa forza, fatte le debite proporzioni. E’ certo un paragone scomodo, nessuno forse sceglierebbe questi termini per difendere l’azione, ma contiene una certa verità secondo me.
Provo a portare alla luce un aspetto della vicenda che secondo me merita di essere approfondito maggiormente, e di cui questo gesto ci parla: quello del Valore dell’opera in quanto tale. Se qualcuno volesse prendere in mano l’argomento sarei felice di leggere altri punti di vista. Perché qui è la vera trappola che il serpente di cui sopra ci pone, e qui il nostro campo inizia ad andare in confusione. Ed è qui che invece possiamo trovare una chiave di lettura sul valore dell’arte nella società contemporanea, molto al di là del caso specifico di questo o quel murale.
Quando Blu dipinge un murale, cosa ci guadagnamo noi? Mettiamo che la contemplazione di un’opera d’arte sia capace di aggiungere del significato al nostro modo di vedere il mondo, che poi è quello che l’arte è chiamata a fare. Allora io vedo il murale di Blu, lo contemplo, mi parla del mondo, lo analizzo, ogni giorno lo assorbo poco a poco o magari in un giorno solo per 5 ore. Faccio mio il discorso, ci rifletto, ne parlo. L’opera mi ha cambiato, ha aggiunto valore alla mia vita. Ma questo valore non risiede nell’opera fisica, nella vernice e nel muro, bensì è generato dal mio ragionare. L’opera, il murale, serve da spunto, e una volta che lo spunto è partito e l’idea cammina con le sue gambe ecco che il murale non serve più. Ho visto il murale (io, per esempio, solo in foto e video) ma ne ho fatto mio il messaggio, e quel messaggio ora mi accompagna nella lettura del quotidiano, e nessuna mano di vernice grigia me lo può togliere.
Certo, uno dice “ma altre persone, che arriveranno dopo, potrebbero beneficiare dello stesso processo iniziato dal murale”. Certo, così come molte persone potrebbero beneficiare oggi dall’assistere alla prima de “Le nuvole” di Aristofane al teatro di Atene (così per dire). Ma quella cosa è superata dagli eventi, e così come da secoli si mettono in scena rifacimenti di opere teatrali in sempre nuove forme, e si ripubblicano i classici della letteratura sotto nuove vesti, così il murale ha bisogno di cambiare forma, di aggiornarsi al corso degli eventi, di sfuggire la calcificazione del suo Significato in Forma statica. Chi sarebbe in grado di comprendere “Le nuvole” recitata nel greco di 2500 anni fa? Chi arriverà oggi vedrà un muro grigio, e al pari di chi oggi studia la tragedia greca senza averla mai potuta vedere nel contesto, sarà in grado di assimilare il significato del murale e quello della sua cancellazione, e questa serie di eventi parlerà della Bologna e del mondo di oggi, e non più solo di quella di due anni fa. La strada cambia ogni giorno, chi sta in strada lo sa e agisce di conseguenza. L’idea che l’arte sia eterna e vada preservata in quanto tale è precisamente l’idea che spinge il Museo contemporaneao ad essere un’istituzione totalizzante, predatoria e colonialista. E che permette a chi ha in mano le chiavi del Museo di attribuire un significato alieno a un’opera nata in un altro contesto, e a disinnescarla.
Perché qui sta il nocciolo: il Significato, il Pensiero, non lo si può mettere all’asta, possedere coi mezzi del capitale, mentre la Forma-oggetto si. E quello che Blu e chi altro ha partecipato hanno fatto è stato semplicemente ribadire questo concetto, e ricordarci in un solo gesto qual’è il valore e quale dev’essere il significato dell’arte nel quotidiano dele nostre vite. Che poi è lo stesso messaggio che decenni di occupazioni e politica dal basso ci consegnano.
E allora mi chiedo: non sarà che molt* di quell* che oggi dicono “Eh si, d’accordo, ma mi dispiace che non ci sia più il murale” in realtà si stiano lasciando ingannare, e confondano la Forma di un’opera per il suo Significato, perdendo di vista il fatto che attribuire un Valore all’opera in sé significa poi fare il gioco di coloro che fanno soldi vendendo delle croste di muro? Certo, facciano il loro business con quelle tre croste che hanno in cassaforte. Il resto, noi, l’Arte, è più veloce, e laddove loro ci prendono per la coda noi attacchiamo con la testa, e se loro ci prendono per la testa noi attacchiamo con la coda, così come è stato detto sopra. Servono gesti forti, non compromessi.
Di nuovo, che bruci Gernika, che sparisca Blu sotto una mano di vernice grigia. Se sapremo fare nostra la lezione, così come ci viene offerta, saremo più forti di prima.
“Chi arriverà oggi vedrà un muro grigio, e al pari di chi oggi studia la tragedia greca senza averla mai potuta vedere nel contesto, sarà in grado di assimilare il significato del murale e quello della sua cancellazione, e questa serie di eventi parlerà della Bologna e del mondo di oggi, e non più solo di quella di due anni fa. ”
Non sono d’accordo su questo punto, chi oggi vedrà un muro grigio non vedrà quello che è stato, non capirà le cause che hanno portato al suo stato attuale, non vedrà la cancellazione. Vedrà solo un muro grigio, sempre che lo veda e non lo ignori passandogli davanti come fa con qualsiasi altro muro.
Così come chi oggi va a vedere le rovine dell’Atene classica si trova davanti un mucchio di sassi uno sull’altro. Sta alla sensibilità di chi guarda cogliere quello che non si vede, perché quello che si vede con gli occhi, nel murale, è che c’è uno che sa maneggiare bene il pennello, punto. Ma io dubito fortemente che Blu vada in giro a mostrare agli altri quanto è fine il suo tratto.
Certo, non è una cosa immediata, ma l’Arte ha bisogno di spazio, di tempo e di dedizione per fare il suo lavoro ed arricchire le persone. Io sono pronto a scommettere che il contributo che è stato dato all’Arte con questa azione supera di gran lunga il vantaggio che avremmo avuto dal vedere quel murale sbiadirsi su quel muro per i prossimi vent’anni, a diventare oggetto di pellegrinaggio e foto sui social media ogni volta che una qualsiasi notizia in un qualsiasi blog ha bisogno di una foto della “Bologna underground” o “street art”. Questo, ovviamente, se sapremo liberare il campo dalle narrazioni del capitale e ribadire con forza il perché dell’intera vicenda. Ripeto, questo è un assist al bacio, dobbiamo saperlo fruttare.
Questa storia di staccare forzatamente le opere dai muri e metterle in un museo mi ricorda l’altare di pergamo, smontato pezzo per pezzo e rimontato in un museo a berlino per la gloria del reich. non sono abbastanza titolato per discutere di opere d’arte e di fruizione dell’arte ma semplicemente penso che se una cosa è stata realizzata per essere in strada (cabine telefoniche, idranti, parchimetri, graffiti), la sua collocazione è la strada con tutte le intemperie, le deturpazioni e i vandalismi vari, in quanto anche quelli fanno parte “della strada”.
se, in un momento di generosità verso le sottoculture giovanili, vuoi tutelare un graffito, ci metti la tettoia e il cordino. prendere i muri di un mercato ortofrutticolo e traslocarli in un museo come se fosse l’altare di pergamo non ha molto senso. o comunque se proprio lo vuoi fare ti sfido a mettere nel museo anche la lastra di vetroresina che faceva da toilet all’ex mercato. fa egregiamente parte dell’arredo urbano, così come il graffito.
Roversi Monaco detto “il Magnifico” parlò:
http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/03/14/news/blu-cancella-i-murales-per-protesta-l-organizzatore-della-mostra-li-abbiamo-salvati-dovrebbero-ringraziarci-1.253951?ref=HEF_RULLO
«Fantascienza, idiozie. Io non sono un potere forte.»
Chissà chi ha tradotto l’intervista dal serpentese…
Bisognerebbe fare un seminario sul linguaggio del Magnifico a Prescindere. Dico davvero. «Non prendo nemmeno in considerazione che ci sia un un nesso causale fra le due cose. Questo comportamento non ha nulla a che vedere con l’esposizione» è l’equivalente del «me, il presidente Schreber mi fa ‘na sega». E la sola frase «l’affluenza darà un giudizio in poco tempo sulla qualità» da sola meriterebbe un’intera lezione. E usare quel muro grigio come lavagna.
[magari ritiro fuori gli appunti del DAMS dei primi anni ’80, che qualcosa ancora mi ricordo ;-)]
[…] Se non sai di cosa stiamo parlando o per un riassunto delle puntate precedenti clicca qui. […]
[…] tombe e la compagnia, sui loro bei cavalli, alle spalle. Ecco, a me sembra che quello che ha fatto Blu a Bologna tra venerdì e sabato sia molto simile al salto di Cavalcanti: qualcosa che gli inseguitori/scocciatori non si aspettano, […]
[…] il gesto di protesta, ci sono molti amanti di questo tipo di movimento di espressione visiva, su Giap dei Wu Ming potete passare un giorno, anche due, a piangere e incazzarvi. E dopo potete spararvi […]
http://www.italianfactory.info/portale/index.php/2016/01/banksy-oscurato-dalla-polizia-no-solo-preda-di-speculatori-come-rischia-molta-street-art/
A Banksy è successo questo ad esempio.
Caso interessante. Niente di nuovo in un certo senso, se da decenni ormai il capitale ha nella Città, intesa come territorio non solo metafisico ma concreto, la propria riserva di caccia. Sembra di assistere a un ritorno al feudalesimo, in cui il signorotto–landlord fa il bello e il cattivo tempo sulla base dell’unica legge che conta, quella della proprietà (non solo fisica ma anche intellettuale).
E allora tocca che Bansky e compari si chiedano se ha senso andare avanti così, e quali siano le nuove forme da assumere per evitare di farsi “magnare dai magnati”. Qualcun* a Bologna ha dato una prima risposta (difesa? contrattacco?).
Altro esempio: Amsterdam, ridente città che il mega–capitale se l’è già talmente mangiata che l’ha anche bella e digerita. L’anno scorso grande risonanza per lo sgombero di Spuistraat (un isolato a due passi dal palazzo reale sede di storiche, decennali occupazioni abitative e culturali, coperte da colorati murales, per il cui salvataggio addirittura la municipalità si è offerta di sborsare 1 milione di euro per comprare dalla proprietà, una compagnia per l’edilizia sociale con un buco di bilancio da 2 milioni la quale ha risposto picche–does this ring a bell?). Dopo pochi mesi partono le demolizioni, e guarda un po’ che strano, qual’è l’unico palazzo che resta in piedi, destinato a dar colore ai nuovi moduli abitativi di lusso? –––> https://www.google.com/maps/@52.3716361,4.8893523,3a,75y,66.87h,106.69t/data=!3m6!1e1!3m4!1sqwghyEo04WoLcUXZ3BB7ow!2e0!7i13312!8i6656 (qui poi siamo ancora ad agosto, ad oggi l’edificio rimane completamente isolato). Più volte ho pensato: ma se fossi uno degli attivisti della strada, non aspetterei che finiscano i loro begli appartamenti di lusso per poi svuotare una decina di estintori di vernice bianca dal tetto del palazzo di fronte? Ecco, forse i fatti di questi giorni forniscono un plausibile scenario.
scusate la brutalità dell’interpretazione ma leggendo i commenti di chi si lamenta della cancellazione mi è venuto da pensare che non si lamentano della perdita dell’opera d’arte in sé ma del valore consolatorio che aveva per loro
“La nostra città è brutta però aveva i murales, adesso come facciamo?”
Magari facciamo che si potrebbe cercare di rendere la città meno brutta sempre e in ogni suo angolo, invece di accettare di vivere a Mordor pur di avere un muro dipinto da Blu.
Ciò che più mi stupisce, nel polverone causato nell’internets dalla vicenda, è che la stragrande maggioranza delle critiche alla decisione di Blu provengano “da sinistra” [per esempio http://leonardo.blogspot.it/2016/03/distruggere-street-art-e-cosa-buona-se.html;%5D.
Peraltro, è interessante notare come tali critiche muovano spesso da ragionamenti circa il diritto di proprietà del writer rispetto alla propria opera, legittimando, per converso, il buon diritto di una fondazione bancaria a scarnificare a piacimento i muri della città.
Hai fatto bene a mettere le virgolette.
Banalissimo buonsensismo travestito da parere “controcorrente”, fa il paio con l’Amaca che Serra ha dedicato alla vicenda: «E la gente? La gente non vi capisce! Alla fine andate in culo alla gente!»
Tondelli lo candidiamo senz’altro a rilevare la rubrica di Serra quando quest’ultimo raggiungerà i limiti d’età.
P.S. Vorrei anche ricordare che costui è corresponsabile di una – e chissà, forse più di una – falsificazione storica via Wikipedia di cui ci siamo occupati tempo fa. Quando ci si muove sulle “idee correnti” e “quel che si sente dire”, si finisce, anche nolenti, a reggere il moccolo ai fascisti.
Provo a replicare qui, visto che lo spazio c’è. Quello che è successo la settimana scorsa è qualcosa di straordinario, che lo si condivida o no (io, se si è capito, non del tutto); qualcosa che merita di essere discusso, con franchezza, serietà, onestà intellettuale.
Se invece ci mettiamo a tirarci palle di merda mostreremo poca onestà intellettuale, poca serietà, ma soprattutto poco rispetto per quello che è successo.
Dunque: la notarella qua sopra è una scemenza, e credo lo sappiate. Se c’era una falsificazione, era già on line quando arrivai: se anche per una mia sbadataggine finì su Wiki, sono stato quello che ha fatto presente il problema. In seguito ci sarà stato un controllo; sono passati anni; tutti i log sono pubblici; e quindi i margini per insinuare che “chissà”, forse falsifico cose su wikipedia, non li avete. È un colpo talmente basso che fa più sorpresa che male. WM che dice “chissà”.
A me piacerebbe parlare di quel che è successo a Bologna, e non di questa sciocchezza che peraltro non c’entra proprio. D’altro canto sta qua, è un’insinuazione pesante, mi toccherà replicare, qualcuno di voi potrebbe prendersela, e avanti così. Ci sarebbe un modo per evitare?
Leonardo, la frase che segue l’ho scritta io o l’hai scritta tu?
«Cominciai ad accumulare informazioni che finirono nel Glossario delle frasi fatte. Ci tengo a dire che tutto questo succedeva parecchi anni fa (2005), perché il mio lavoro fu tutt’altro che scrupoloso, ma a quei tempi se infilavi delle informazioni su it.wikipedia senza citare le fonti non ti prendevano ancora, e giustamente, a calci. In mezzo a tutta quella roba forse infilai anche “Boia chi molla”.»
Rispondo io: l’hai scritta tu. Hai ammesso di aver infilato su Wikipedia molto materiale («tutta quella roba») a cazzo di cane (concedimi questa resa plebea del tuo «tutt’altro che scrupoloso»). Tra queste frasi buttate nel mucchio alla boia vigliacca c’era anche «boia chi molla», di cui si è detto. Poiché le frasi erano tante, e senza fonti, può ben darsi che tu abbia infilato altri sfondoni, che magari non hanno avuto l’effetto palla-di-neve di «boia chi molla», ma qualche effetto potrebbero averlo avuto.
Io ho tratto la logica conseguenza da quel che tu stesso hai scritto. Perché nessuno è in grado di escludere a priori che a quei tempi tu possa aver fatto altre cazzate. Quindi «scemenza», «bassa insinuazione», «palle di merda» sono espressioni del tutto fuori luogo.
Quanto al tuo aver segnalato la cosa, nessuno te lo nega. Avrai ben visto che qui su Giap, nel fare inchiesta su «Boia chi molla», abbiamo linkato il tuo post. Però io sono d’accordo con Salvatore Talia quando scrive:
«il tono divertito e blasé con cui Tondelli, nel suo post, racconta la vicenda appare alquanto fuori luogo, vista anche la responsabilità che egli stesso ha avuto nel dare diffusione e visibilità a una probabile falsificazione di origine più che sospetta.»
Del resto, è il tono che sul tuo blog usi praticamente sempre, per qualunque argomento. Ma ti riconosco che sei venuto qui su Giap dopo essertene spogliato. Lo vedrei quasi come un gesto di rispetto… se nel tuo commento non ci fossero troppe paroline fuori luogo.
Riguardo alla frase «In seguito ci sarà stato un controllo; sono passati anni», se leggi il thread linkato sopra, di cui il commento di Talia è parte, vedrai che i controlli sulla frase li abbiamo fatti noi.
Adesso, se vuoi discutere dell’azione di Blu e delle sue conseguenze «con franchezza, serietà, onestà intellettuale», siamo tutti orecchie.
[…] Chi volesse saperne di più su Blu e la cancellazione dei murales a Bologna può leggere http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=24357 […]
Vorrei storicizzare la questione Street Art che per molti è considerato fenomeno artistico “nuovo” quanto oscuro. Ciò che accade oggi con la Street Art è la versione 2.0 di ciò che accadde 25-30 anni fa con la così detta “graffiti art”.
Intanto ricordiamolo: la prima mostra di street art internazionale si è svolta nel 1979 a Roma, nella Galleria Medusa di Claudio Bruni. Ad esporre, i Fabolous Five da New York, capitanati da Fab 5 Freddy. A lui venne l’idea di dipingere su un treno i famosi barattoli della zuppa Campbell di Andy Warhol e strizzare così l’occhio al circuito dell’Arte. E’ sempre grazie a Fab 5, che fra il 1981-82 la new wave di downtown Manhattan incontra l’hip-hop del Bronx. Si crea un “circolo” molto particolare e ad emergere come “graffitisti” sono Keith Hering e Jean Michel Basquiat che sotto l’ala di Andy Warhol, piazzano le loro opere per decine di migliaia di dollari. Keith Hering disegna nelle stazioni metro, distribuisce spille, è invitato in tutto il mondo (nel 86 è in Italia). Nel frattempo anche i writer del Bronx disegnano nelle metro ma per loro è riservato un trattamento diverso: fra l’81 e l’89 (che coincide con la presidenza Reagan), il comune di New York compie una guerra senza quartiere contro la piaga dei graffiti: si usa il filo spinato del vietnam per circondare le stazioni, si ordinano nuovi treni dal Giappone, si compie tutta una produzione di immaginario che associa i graffiti alla criminalità e alle gang (la famosa teoria delle “finestre rotte”).
Cosa accade alla fine degli ottanta? Si crea una scissione. I “graffiti artist” si sganciano dalla scena underground e lavorano principalmente “indoor” e su commissione; i writer continuano a sfruttare le linee metro per diffondere le proprie lettere, continuarne l’evoluzione. Quindi da un lato si studia superficialmente nei libri di arte il “graffitismo” di Hering e Basquiat (che con la scena di writing hanno avuto un breve e fugace contatto), dall’altro l’originalità e la storia del writing cade nell’oblio. Questo fino agli anni 2000, quando la “nuova scena” guidata da Obey e Banksy fa emergere un nuovo tipo di intendere l’intervento artistico sui muri.
Si replica secondo me la stessa dinamica degli anni ottanta: un gruppo di persone cambia le regole del gioco, cambia il linguaggio o il contesto, e apre una zona di mercato fin’ora inesplorata. Come è accaduto con il cinema in streaming, dopo aver combattuto il fenomeno, il Sistema trova il modo di integrare produttivamente le spinte sovversive al suo interno.
Trasformare questo fenomeno sottoculturale in “arte” generà però tutta una serie di confusioni e contraddizioni che hanno giustamente spinto Blu a fare quello che ha fatto. Non si tratta di autocensura o autolesionismo: è un’accelerata nel tempo per ricordare che questo tipo di “arte” è di per sé volatile e transitoria, è dinamica come i muri della città su cui si installa, è aperta agli interventi altrui. Non ha bisogno di altari, né di cure. In questo modo si riscopre il legame con il writing, che è cosa buona. Il writer non dipinge per “esprimersi” ma per marcare un territorio, per contro-colonizzare certi assetti architettonici ed estetici.
La questione “street art” e la riscoperta di una dimensione conflittuale della stessa, mi auspico vada nella direzione di rispolverare la sottocultura del writing (e di rimando dell’hip-hop) a cui è legata. Tanto per non ricadere nelle stesse trappole.
La natura di questa mostra e le parole di Roversi Monaco secondo me sono lo specchio di una situazione generale in cui la “cultura ufficiale”, espressione della visione del mondo degli interessi dominanti, si trova ad affrontare un’impasse senza precedenti.
Quando una cultura ufficiale non è più in grado di produrre nulla di rilevante, e la riproposizione dei fasti del passato suona sempre di più come un rituale stanco e ammuffito, l’unica via d’uscita è sempre stata quella di pescare a mani basse nella cultura popolare. La differenza fra il passato e il presente, secondo me, è che oggi non viene compiuta alcuna reinvenzione creativa di quei materiali, per il semplice fatto che le élite stesse stanno attraversando una crisi da esaurimento di proporzioni cosmiche, non essendo più in grado di offrire meta-narrazioni soddisfacenti (e non volendolo neppure più fare… il consenso si gestisce molto meglio con modalità più fluide).
Così accade che quei materiali vengono semplicemente ri-contestualizzati. Senza tenere conto che, nel caso specifico, la cornice di ri-contestualizzazione ha il suo punto di forza non tanto nella “patente di nobilità” conferita dall’esposizione (la Street Art è sdoganata ormai da tempo) ma precisamente una *dinamica di mercato* nuda e cruda come quella su cui si fonda il mondo dell’arte.
Nel far questo, la cultura ufficiale consegue poi un altro risultato: quello di disinnescare l’elemento di *differenza* incarnato dalle forme culturali di origine popolare, ossia quel tanto (o quel poco) di irriducibilmente altro che queste forme presentano rispetto ad ogni tentativo di instaurare un frame discorsivo dominante.
L’atto di Blu non fa che rimarcare, in forma dolorosamente salutare, questa componente di differenza irriducibile. E forse è proprio per questo che ha dato fastidio a molti.
[…] of Blu, the Leftist writers’ collective Wu Ming Foundation, released a statement on 12 March explaining the street artist’s […]
Vorrei condividere una riflessione che può essere una proposta di rilancio rispetto a quello che mi sembra essere uno dei nodi principali emersi in questa vicenda.
Anzitutto una premessa: a mio avviso l’azione *politica* compiuta da Blu è non solo sacrosanta ma doverosa, se è vero come diceva qualcuno che il rischio dello scivolamento da writer (con il carico di contestazione sociale che dovrebbe essere insito nel termine) a decoratore è sempre presente quando il valore di ciò che si realizza ottiene “riconoscimento artistico”. Così invito i tanti che si crucciano per la scomparsa dei pezzi di Blu (che ha fatto una scelta lacerante per sé e per tutti, ça va sans dire) a pensare, più che allo scotto estetico pagato, alla valenza politica dell’operazione.
Blu fa politica quando dipinge (che dipinga bene è ovviamente funzionale ma non centrale a mio avviso), ha fatto politica nel risemantizzare i muri che ospitavano le sue opere. Alla faccia di quanti berciano contro la riaffermazione egoistica del diritto d’autore…
Vengo alla proposta di cui vorrei discutere. Dal momento che, nello specifico, il problema ha avuto origine dall’iniziativa di Genus Bononiae di grattare murales dagli edifici su cui erano realizzati per farne pezzi da esposizione – e considerando anche a ciò che è successo a banksy, riportato da bastaunosparo – si dovrebbe credo pensare a una riformulazione dello stesso concetto di street art. Nata per aggredire un’urbanistica asfissiante e classista, a misura di middle class ben che vada, per – cito – “contro-colonizzare certi assetti architettonici ed estetici”, ha adempiuto al suo compito finché è stata un problema (di decoro, di ordine pubblico, di contenuto, etc.) dalla controparte. Nel momento in cui il sistema si muove nei termini di sussunzione-valorizzazione credo si debba provare a sfruttare le falle del meccanismo per incepparlo. Quindi gli street artist dovrebbero evitare di graffitare muri di stabili privati, e di regalare così facendo una possibilità di profitto ai proprietari di quegli edifici, e concentrarsi sui luoghi pubblici: ponti, strade, edifici, etc. A quel punto, fatta salva la centralità e la politicità del messaggio, anche il medium sarebbe sottratto a logiche di accaparramento e di speculazione. Non che l’utilizzo di un palinsesto pubblico anziché privato metta al riparo tout court da possibili speculazioni, ma credo valga un principio basilare che i compagni applicano più o meno coscientemente nei terreni di scontro politico (dalle lotte sul lavoro a quelle per l’abitare): è sempre meglio avere una controparte complessa, articolata, in cui si possano aprire e sfruttare delle contraddizioni (le istituzioni pubbliche) che una monolitica come il privato (a qualunque livello lo si consideri).
Poi, evidentemente, anche del valore politico del contenuto e di eventuali forme di espressione non sussumibili ci sarebbe da discutere (come si prova a fare in altri campi dell’agire politico), ma quello della sottrazione dalla possibilità di messa a profitto mi sembra IL problema emerso in questa vicenda.
E’ stata un’immensa tristezza tornare a casa ieri sera in Bolognina e non vedere più il murales dell’XM. Giusto o sbagliato fa male e mi torna in mente la scena del taglio dell’orecchio in Novecento, un’automutilazione cosciente a dire “toh, prendetevi anche questo”.
https://www.youtube.com/watch?v=RBjqZxBRvgE
[…] i Wu Ming: “Dopo aver denunciato e stigmatizzato graffiti e disegni come vandalismo, dopo avere oppresso le […]
[…] Wu Ming (con una certa -e assurda- ricerca di origini massoni del presidente della fondazione Genius […]
Yawn.
[…] Per conoscere la questione da una delle poche fonti autorevoli leggete l’articolo pubblicato su Wu Ming. […]
Impeccabile intervista a Davide “Atomo Tinelli” su Lettera43. Risposte chiare, dirette, che tagliano come rasoiate le giustificazioni e le cortine fumogene di Omodeo, Ciancabilla e di tutti i difensori della mostra Roversi Monaco & Co..
Su Radio Onda d’Urto, Pino Cacucci e Paola Donatiello parlano di Street Art (suo presente e sue origini) e dell’azione di Blu.
[…] privatizzazione di un pezzo di città”, scrive su Giap il collettivo di scrittori Wu Ming (http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=24357 ), a cui Blu ha dato il compito di spiegare la sua […]
Non c’è niente da fare. Non riesco ad essere totalmente d’accordo con questi ragionamenti. Anzi, non riesco a capirli.
Ma forse questa è la “funzione” degli street artist: mettere in difficoltà, tirare fuori con violenza, crudezza, a volte con oscenità o poesia, tutte le contraddizioni con le quali quotidianamente ho a che fare.
Blu non lancia un messaggio solo ai Potenti, anzi, parla direttamente allo stomaco delle persone “normali” (la maggioranza silenziosa? I conformisti? Le esistenze grigie evocate da veciobaeordo? Insomma…avete capito).
Un murales è uno shock che mi lascia senza parole quando lo vedo per la prima volta.
Parimente mi lascia senza parole quando scompare con queste modalità.
Senza parole e a cercare di ricacciare indietro i miei conformismi.
Quindi, grazie Blu e grazie Wuming.
Concordo totalmente. Per me quello che viene scritto o dipinto su un muro, o cancellato da un muro in questo modo, funziona *prima* come un pugno nello stomaco, e solo molto dopo, casomai, come arte. Penso che la gran parte di coloro che guardano un murale non si pongano il problema se sia arte o no. Dubito perfino che uno come Blu nel momento in cui lo dipinge si ponga il problema. Al limite chemmenefregammè dell’arte.
Faccio un esempio. A Torino abbiamo questa scritta ben piazzata in centro. Sta lì da anni, funziona benissimo, e non è equivocabile. Puoi condividere o no, ma non ti lascia vie di mezzo. Quando ho letto delle cancellazioni di Blu ho pensato esattamente a questa roba qui. Tu stragrande maggioranza di (in questo caso) Bologna non puoi pretendere di essere elettore, consenziente, complice o anche solo passivo rispetto al sistema di potere cittadino e goderti questo murale. Vuoi salvarti il culo al caldo? Beccati il grigio. Se pensi che il murale sia un fatto decorativo non hai capito nulla. Magari davanti al muro tornato grigio qualche domanda te la dovrai fare, e sarebbe già molto. Tutti i discorsi di legittimità, proprietà intellettuale, coerenza, tutte le risposte a domande mai fatte, tutti i pipponi che sono stati scritti in giro per la rete intorno a questa cosa, nella mia feroce ignoranza in fatto di Arte mi fanno morire dal ridere.
Secondo me è proprio la categoria di “arte” ad essere fuorviante, perché si porta dietro l’idea di qualcosa che rimanda ad un dominio dell’esperienza umana completamente “altro”, staccato dalle normali pratiche, sia materiali che simboliche, che definiscono il funzionamento di una società. Ho sempre avuto l’impressione che l’uso di quel concetto porti con sé la pretesa di creare una cesura netta fra il contesto reale in cui viviamo e un dominio trascendente in cui a farla da padrone è il “Bello” metafisicamente inteso; qualcosa che va cioè “contemplato”, non “praticato” e “vissuto” e che si colloca al di sopra delle nostre umane miserie. Culto laiCo di un’entità metafisica che prontamente si trasforma nel culto laiDo dell’opera d’arte come contrassegno di distinzione sociale.
Visione contemplativa dell’eterno e del permanente vs. pratica conflittuale del contestuale e dell’impermanente. I promotori della mostra pretendono di rimuovere questa dialettica, recidendone il secondo polo; Blu, invece, esibendolo, ribadisce l’esistenza del rapporto dialettico e ci spinge a riflettere sulla contraddizione.
Ma l’abitudine a sforzarsi di ragionare dialetticamente è talmente passata di moda (per non dire della sua impopolarità) che c’è poco da stupirsi di come la vicenda è stata recepita da certo opinionismo internettiano.
però a me rimane il dubbio di quale idea di museo venga fuori da questa discussione su giap. Dai commenti di quasi tutti quelli a sostegno dell’azione di Blu, sembra ci sia una forte critica all’idea stessa di museo come lo intendiamo oggi.
a me sembra che il museo venga vissuto, indipendentemente che ci sia dentro un graffito strappato o l’altare di pergamo, come un luogo che rassicura la classe media e non come un posto dove poter ammirare e studiare le splendide cose fatte nel passato dall’uomo.
non tutto quello che è attualmente nei musei è stato inizialmente concepito per essere messo lì…anzi, direi quasi niente.
era questa la mia principale perplessità che descrivevo nel mio precedente commento.
Ma non stiamo parlando di un museo, tantomeno genericamente di musei, e nemmeno genericamente di arte. Stiamo parlando di una mostra, una precisa operazione fatta sulla street art dai soggetti che sappiamo nei modi che abbiamo preso in esame.
A parte la critica al museo come semplice luogo di conservazione (critica ormai assimilata da quasi tutti gli operatori), la critica non è al museo in se ma alla cultura predatoria e colonialista che legittima gli inglesi a smantellare il Partenone. Poi il fatto che mi piaccia vedere l’altare di Pergamo e le porte di Ninive a Berlino (e non mi piace) non cancella l’orribile gesto fatto da chi li ha portati lì.
Esatto, la critica è al colonialismo (in senso stretto e culturale), e non a caso nel comunicato abbiamo parlato di «tracotanza da governatore coloniale», perché ravvisiamo nell’operazione RoversiMonksy & Co. la stessa logica.
Il problema non è museo o non museo, non è mostra o non mostra, il problema è il “rispetto”.
Ci sono migliaia di musei (di arte o meno, non cambia) che si pongono come luoghi di studio e di conoscenza e, come tali rispettano quello che mostrano e chi li frequenta.
Ci sono anche mostre dichiaratamente commerciali, che nascono per vendere un’opera, che ugualmente mostrano rispetto per l’opera e per il visitare/acquirente.
Esistono mille tipi di mostre e musei.
E’ quando l’opera viene snaturata (estirpata nel nostro caso), quando la mostra si trasforma in stupido “evento”, quando gli scopi sono nascosti, mistificati, che il giudizio non può essere che negativo.
Perché non parliamo di mostra o museo, parliamo di raggiro dell’artista, del visitatore, della cultura, ecc.
A proposito delle “vedove” di Blu, di chi si indigna a intermittenza: un anno e mezzo fa a San Basilio a Roma.
http://www.progettosanbasilio.org/?p=202.
L’eutanasia scandalizza più della censura, proprio perché a mio avviso si riduce l’arte a estetica, spoliticizzandola.
Forse, più che l’arte in sé, il problema è che ne abbiamo un’idea talmente calcificata e fuorviante che non siamo più in grado di parlarne. Di certo il renzismo ha terribilmente accelerato la perniciosa congiuntura fra un’idea romantica dell’esperienza estetica (rigorosamente individuale, come la coscienza, e altrettanto rigorosamente accessoria, perché avulsa dalla storia e dalla politica e funzionale a “ingentilire” indifferentemente gli animi di ricchi e poveri, grandi e bambini) e la macchina neo-liberista che ne fa un oggetto di consumo soggetto alle stesse leggi (insindacabili) dell’economia di servizi (Eataly docet). Perfetto: se l’arte è un bene di consumo, un oggetto identificabile e circoscritto destinato al singolo individuo che viaggia autonomamente rispetto alla vita delle comunità, se l’unica categoria che sollecita è quella del “bello”, allora Blu è proprio un “figlio indisciplinato” (Corriere di Bologna), ultimo di una lunga stirpe di vati bohémien che ne ha combinata una delle sue. Peccato che l’arte non sia questo: da sempre l’arte (o meglio alcune pratiche non direttamente legate all’attività produttiva che a un certo punto abbiamo iniziato a chiamare arte) ha il ruolo essenziale di lavorare fra il visibile e l’enunciabile della cultura, di tradurre e figurare aporie e paradossi, è uno dei pochi ambiti in cui l’uomo può permettersi di essere complesso, di sospendere i vincoli reali e le contingenze del quotidiano per immaginare alternative all’esistente. In questo senso, politico e collettivo, il gesto di Blu è artistico a tutti gli effetti: mi ricorda, poeticamente, che nessuno status quo è ineluttabile e imperituro, che tutto può cambiare; mi ricorda, politicamente, che arte e design sono due cose diverse, e che visto che la macchina neo-liberista funziona oggi come mai a colpi di estetizzazione (dei beni, dei concetti, della differenza culturale, di tutto) è responsabilità di ognuno calare categorie e giudizi nella realtà e nella storia; mi ricorda, tatticamente, che l’auto-referenzialità del mercato dell’arte poggia sull’idea di perennità delle opere, e quindi puntare sull’obsolescenza e la caducità dei segni è un’efficace strategia di risveglio e riappropriazione non dei suoi prodotti ma della sua funzione. Quel muro grigio mi rende Topo Lino, il protagonista di un racconto di Wu Ming di qualche tempo fa, “Pantegane e sangue”, che allo scadere del copyright sul suo personaggio si ritrova nella “zona grigia”, luogo di negoziazione di categorie, valori e personaggi disneyani di cui mai, finché ne faceva parte del tutto, avrebbe sospettato l’esistenza.
Con parole diverse, più efficaci e meno tagliate con l’accetta delle mie, è esattamente quello che intendevo dire.
Il rifiuto del concetto di “arte” è ovviamente una provocazione.
Al tempo stesso, però, penso anche che la sospensione dei vincoli di cui parli interagisca sempre dialetticamente con i vincoli stessi; ogni pratica (e, di conseguenza, ogni “opera”) è figlia del contesto che la produce, ne reinterpreta (in modo interessante, quando riesce nel suo intento) le contraddizioni.
Sull’interazione fra meccanismo di mercato e idea della perennità dell’opera d’arte, invece, ho qualche perplessità. In fondo la riduzione del valore dell’opera a semplice valore di scambio, l’autoreferenzialità del meccanismo che rende possibile ciò, e la riduzione della fruizione a puro e semplice consumo dovrebbero accrescere anziché frenare la volatilità e il carattere effimero dell’arte… oppure no? La risposta dipende dal funzionamento effettivo del mercato dell’arte, del quale so troppo poco per esprimermi.
Concordo perfettamente sulla natura dialettica del rapporto fra arte e contesto culturale. Quello che volevo dire è che quello di arte è uno dei concetti più intossicati del secolo, perché è terreno di mistificazione e legittimazione reciproca di tanti interessi e poteri che sembra impossibile dirne qualcosa, rilanciarne la funzione politica esattamente in quanto arte, qualcosa che fa “fermo-gioco” della storia per poter guardare diversamente quella stessa storia. Con “perennità dell’opera” intendevo qualcosa da conservare in teca e la cui unica funzione è contemplativa, qualcosa che non fa in tempo a nascere che è già fuori dalla storia e fatta per essere guardata a distanza e sconnessa dal suo contesto (a prescindere dal fatto che acquisti e perda valore commerciale in tempi sempre più rapidi). Fra le altre cose, il gesto di Blu ha fatto venire fuori un baco del circuito dell’arte: secondo quali criteri si stabilisce il senso e il valore di un’opera, e quindi il modo e i termini in cui divulgarla, rilanciarla, farne bene comune, intrecciarla con gli altri settori del sociale? L’unico destino possibile per un arte maturata in strada proprio in opposizione alle logiche dell’autorialità e del gusto borghese è quello di diventare un objet-trouvé completamente inutile e senza senso, se non per qualche speculazione di secondo grado sull’idea di street-art? Cosa succede se arriva un artista e vuole prendere parola non sull’autorialità in generale, non sui musei in generale, non sull’etica writer in generale, ma sul senso della propria opera, che nella fattispecie, a Bologna come altrove, è maturata insieme e a sostegno di iniziative orizzontali e dal basso? Non sto dicendo niente di nuovo rispetto a quanto emerso durante la discussione, penso semplicemente sia fondamentale ricordarsene di fronte alle varie derive che sta prendendo la discussione dentro e fuori il web.
Profonda tristezza per la decisione di Blu. Ma è la decisione del creatore di quei capolavori, per cui non va sindacata. Certo che spiace immensamente. Penso a tutti quei (fortunati) bolognesi che quotidianamente potevano ammirarle e goderne della compagnia. La street art porta luce e colori anche nelle più grige periferie. Un vero peccato. Però la notizia sorprende meno se si legge il post. Le ragioni sono nobilissime e la protesta improcrastinabile. Non che sia sbagliata l’idea in sé di un museo della Street Art. Preservare le opere da vandali sedicenti alternativi taggomani ( citando lo street artist Kenny Random ” il vostro contributo la completa,la rende molto contemporanea e sopratutto mette pienamente in luce le vostre abilità artistiche e intellettuali…siete dei fenomeni ” )o autorità non meno dannose (anche se a Londra con Banksy credo siano più civili o semplicemente più furbi e la gente le preserva punto e fine) ed evitare di fargli fare la fine dell’edificio dei five points a New York ( http://www.repubblica.it/esteri/2013/11/20/foto/new_york_imbiancato_il_five_pointz_l_edificio_dei_graffiti_sar_demolito-71485719/1/?ref=search#1 ) o più modestamente a Padova (https://www.instagram.com/p/BCD3P2IxHNP/ ) è un’idea sacrosanta. Ma non così, non in questi termini. Sarebbe meglio un museo permanente con biglietto a costo politico. Quando l’arte è “salvata” ma sarebbe meglio dire sfruttata per speculazioni da parte di personaggi come l’ex rettore l’arte stessa perde la sua funzione catartica.
La questione pare stia prendendo anche altre vie…tipo quelle legali.
http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/cronaca/2016/16-marzo-2016/blu-fu-pagato-quel-murale-savena-chiede-lumi-avvocati-240181993492.shtml
Questa è come la storia che Blu aveva tirato il pacco a Ciancabilla e altri più o meno buffi aneddoti laterali che abbiamo letto negli ultimi giorni e non sono altro che diversivi. A volte sono “imbeccate” dei curatori della mostra, altre volte la stampa le trova da sole e le getta contro il muro. Se è fresca, s’attaccherà al muro; se è secca, rimbalzerà. Finora è sempre rimbalzata.
Il Corriere ha cominciato a ravanare nei meandri della storia bolognese per accusare Blu – implicitamente o esplicitamente – di incoerenza, mentre l’azione è stata coerentissima. Se cancelli i tuoi pezzi per evitare che vengano strappati ed esposti chissà dove, li cancelli e basta. Tutti. Quel murale lo aveva fatto per il comune di Bologna? E cos’ha fatto in tutti questi mesi il comune di Bologna per difendere la street art di Blu? A parte reggere il sacco a chi la trafugava, intendo.
Ammesso e non concesso che quella volta sia andata come c’è scritto al link qui sopra, diedero a Blu ben *1000 euro* (sicuramente pure lordi) per un’opera gigantesca, alta come un palazzo, e adesso si scrive che quel murale «non fu donato alla città»? È sprezzo del ridicolo o semplice, totale ignoranza di quanto valga un “pezzo” di Blu a livello internazionale? Anche in quel caso Blu ha fatto un regalo alla città, lo ha fatto eccome, e le istituzioni della città lo hanno ricompensato lasciando agire gli staccamurales. Lo ha ammesso anche Lepore, che non hanno fatto niente per fermarli, anzi.
Se rivogliono quei 1000 euro – ripeto: sempre ammesso e non concesso che -, propongo che Blu vada a restituirli in biglietti da 5, e per giunta *netti*, appendendoli a quel muro ciascuno col suo bel chiodino.
In buona sostanza, questa vicenduola è il nulla, nessuno adirà alcuna via legale. Era la curiosità di oggi, domani ce ne sarà un’altra.
Conoscendo il costo delle vernici, dei diluenti e annessi e connessi, 1000 euro sono il rimborso delle spese vive, non un pagamento.
Come erano poi gli accordi, prima o poi, qualcuno ce li racconterà, per adesso è solo l’articolo di un giornale in mezzo ad altri mille di ogni giorno.
Se ci metti anche il noleggio del cestello, di quei 1000 euro non solo non rimane nulla, ma molto probabilmente Blu ci ha aggiunto del suo.
Oggi su Repubblica Bologna compare un pezzo di un mio commento staccato dal muro di Giap:
Queste mie frasi appaiono in un contesto di botta-e-risposta con Virginia Gieri, presidente del quartiere Savena.
Botta-e-risposta che però non c’è stato, perché:
1) noi Wu Ming, in accordo con Blu, non stiamo rilasciando interviste né rispondendo a domande della stampa; usiamo i nostri mezzi, in primis Giap, e se viene estrapolato un pezzo di commento sarebbe preferibile citare la fonte, grazie;
2) quel virgolettato non è una risposta a Gieri perché la frase «un’altra storia rispetto agli altri murales donati alla città» non è di Gieri ma dell’articolista del Corriere il cui pezzo stavo commentando;
3) Gieri non l’ho mai nemmeno nominata. La prima volta che l’ho nominata in vita mia è in questo stesso commento che sto scrivendo, una decina di righe più in alto di questa riga che state leggendo.
Aggiungo – ma di questo l’articolista non ha responsabilità – che quel «(C) riproduzione riservata» non ha alcun valore, quelle frasi sono state scritte su Giap e le riproduciamo quando e quanto ci pare :-)
CVD, anche questa era una cazzata. #Blu quel murale l’aveva fatto gratis.
E chi gliel’aveva “commissionato” è d’accordo con l’azione di sabato.
Ok continuiamo qui. Quanto vale il murales? Non importa. Forse 1000 euro, forse 100.000. Non sono nessuno per poterlo quantificare, non ne ho le competenze. Credo semplicemente non abbia valore, o meglio potrebbe avere un valore variabile. Un valore per chi lo ha commissionato, uno per chi svegliandosi lo vede prima di andare a lavoro, un valore per chi passa con l’auto rientrando a casa. Questo per fugare l’idea che ne voglia fare una questione prettamente economica.
Fughiamo anche l’idea che questo articolo sia una BREAKING NEWS. È un nulla atto a screditare, ad infangare, a cercare del marcio dove marcio non non c’è. C’è solo tanta ignoranza (chi ha scritto l’articolo) e poca lungimiranza (Blu).
Arriviamo pero’ al punto…
Il concetto di base che ho tentato di esprimere nella nostra discussione su twitter è che il volere, su commissione oltretutto, del popolo, è sacro. Se è la gente a chiederlo; la gente per bene, chi lavora, chi ogni mattina combatte contro tutti i piccoli fascismi che il sistema ci propina, chi crede nella bellezza ed è disposto a finanziarla, bhè quella gente non va tradita perchè son proprio quelli che se quel murales dovesse essere divelto da un massone, sarebbero andati a riprenderselo. Ed io sarei stato con loro, e forse anche voi. Blu è stato da intralcio verso quello che si sarebbe potuto tramutare in una stupenda e piccola battaglia di civilta’.
Ennesima occasione persa per dare continuità di idee.
Se volete, ora, possiamo tornare a parlare di quanto vale il murales, che blu ha fatto bene, male, che non ci sono cortocircuiti…insomma del nulla.
Praticamente la posizione alla Michele Serra, cioè Blu «lo ha messo in culo al popolo». Chi sia poi questo popolo, non è chiaro.
«Il volere del popolo è sacro», scrivi. Questa frase è sempre piaciuta a tutti i demagoghi e dittatori, e per una ragione ben precisa: non ha significato, è una concatenazione di significanti vuoti, riempibili a piacimento. Chi è il popolo, questo soggetto che viene presentato come unificato e omogeneo, un “blocco”, dotato di un volere solo e per giunta sacro? E chi ha la sfiga di avere un altro volere è fuori dal popolo e dal sacro?
«È la gente a chiederlo», scrivi. Chi è questa «gente» e quando ha parlato con Blu? E siamo sicuri che questa gente la pensi tutta allo stesso modo?
E tu avresti partecipato a una stupenda battaglia di civiltà, ma purtroppo «Blu è stato da intralcio», e quindi ti tocca usare frasi al condizionale. Guarda te che sfiga! Eri pronto, prontissimo. Se avessero staccato i murales, saresti andato col popolo a riprenderli.
Come? Un momento che mi stanno chiamando…
Rieccomi.
Mi hanno fatto notare, di là, che i murales li hanno staccati. E il popolo non è andato a riprenderseli, e quindi nemmeno tu. Del resto, che puoi farci? Il volere del popolo è sacro, e se il popolo non ha voluto fare un cazzo, anche tu non hai fatto un cazzo. Non si può mica andare contro la gente!
L’unico che ha fatto qualcosa contro gli staccamurales, sfiga, è stato proprio Blu. L’unica battaglia l’ha fatta lui. Ma era contro il popolo, e quindi d’intralcio alla vera battaglia del popolo. Che però nessuno ha combattuto.
Ennesima occasione persa, sì. Ma da te.
Non ho letto Michele Serra. Se la pensa come me, ben per lui. Ma ne dubito.
Tornando alla nostra questione.
Non hai idea di quello che dici altrimenti son certo non lo diresti.I tuoi commenti sprezzanti verso la mia persona e le mie intenzioni mi mortificano perchè mortificano la mia storia personale, politica ed umana. Le mie silenziose battaglie che, per quanto piccole e sconosciute agli occhi del grande pubblico, a cui certamente tu invece sei abituato (perchè di quello ti nutri), mi hanno sempre permesso di tenere la barra dritta e mi hanno permesso di riuscire ad identificare come “cretino” chi si arroga il diritto di dare lezioni agli altri sul significato di concetti di cui ognuno ha una sua intima concezione.
Wu Ming 1, il mio pensiero rimane , le tue offesucce invece passano.
Fattene una ragione.
Io della “tua persona” e della “tua storia personale, politica e umana” non so nulla, non vedo come potrei saperne qualcosa a parte che ti firmi «Fionaldo», né, devo dire, mi interessa saperne di più. Qui si può venire con uno pseudonimo perché contano le argomentazioni, e io delle tue argomentazioni – basate su premesse astratte e fumose come «il volere del popolo è sacro» – mi sono occupato. Meno gnagnera, grazie. Se sei ferito, vai al pronto soccorso.
Innanzitutto è Flonaldo, non Fionaldo.
Non credi siano offese lasciar intendere il fatto che sia un codardo?
ti cito:
Sono i fascisti che scappano. Se per te questa non è un offesa, sei come loro!
E poi, cristo di un dio, ma quanto è vecchio il concetto di “«Il volere del popolo è sacro» == demagogo e dittatore”.?
Per dio, l’avrò letto in un milione di contesti.
Risparmiarmi, ti prego.
Sono qui per il piacere di esprimere un concetto, non per starti a fare le pulci. E vorrei che il piacere fosse ricambiato, chiaramente.
Non facciamo onanismo concettuale.
Ritornando, invece, al post originale :
Blu ha ricevuto denaro? Fosse pure il solo rimborso delle spese o un vero e proprio compenso per donare al popolo (oddio, l’ho ridetto, sono un dittatore!) una sua opera? Bene, quell’opera è di tutti. Non è più tua. E se la stacchi sei un nemico del popolo, quindi un dittatore. (qui suona meglio, non trovi?)
Il concetto è tanto semplice quanto diretto.
PS: Ti ricordo che eri partito minimizzando il tutto con una frase dal retrogusto di “vabbuò, ma sò guagliun”. Sembra che la cosa invece non sia così banale.
PS Al pronto soccorso vacci tu! :)
la citazione me l’ha tagliata, era il pezzo forte, mi dicevi comunque questo :
” Guarda te che sfiga! Eri pronto, prontissimo. Se avessero staccato i murales, saresti andato col popolo a riprenderli.
Come? Un momento che mi stanno chiamando…”
Qualcuno avrebbe fatto intendere che sei un codardo? Dove? Chi?
Poi dici che mi “citi”. E da dove? Chi l’ha scritta la frase che riporti sui fascisti e lo
scappare? Io no. Chi altri? Dove? Qui su Giap? Non la vedo.
Questo sarebbe un modo di condurre una discussione?
Sulla questione del “popolo”, del “volere” e “la gente lo chiede” ho posto delle domande precise. Chi è il popolo? Ha un volere solo? E da cosa lo deduciamo? Non hai risposto, perché hai preferito fare la vittima e andare sul personale (cioè una dimensione che qui non è pertinente) rivendicando le tue battaglie e quant’altro.
Della tua persona, lasciamelo ripetere, qui non importa a nessuno.
Non solo non hai risposto alle domande, ma adesso deliri su “Blu nemico del popolo”.
E naturalmente, quanto più sei vago e fumoso nell’individuare il popolo, tanto più sei apodittico e tranchant nell’individuare e additare i suoi nemici.
Non e’ una conversazione molto elegante. Innegabile.
Il blog, forse a causa dei caratteri speciali che avevo usato, mi ha tagliato la citazione che per comodita’ ti ho incollato nel commento immediatamente di sotto. La cosa pero’ non e’ servita visto che sei andato in confusione lo stesso. Comunque perdonami, non era mia intenzione creare entropia.
Tornando al discorso e riassumendo, senza perdere nulla per strada ti ripeto che tu mi hai dato implicitamente del codardo, senza conoscermi nel momento in cui mi hai detto e ti cito :
“E tu avresti partecipato a una stupenda battaglia di civiltà, ma purtroppo «Blu è stato da intralcio», e quindi ti tocca usare frasi al condizionale. Guarda te che sfiga! Eri pronto, prontissimo. Se avessero staccato i murales, saresti andato col popolo a riprenderli.
Come? Un momento che mi stanno chiamando…”
Ecco, quindi, quando mi hai dato del codardo.
Ed io questo non lo accetto. Della mia persona non dovrebbe importare a nessuno qui, pero’ tu ti permetti di giudicarla ed io quindi sono costretto a difendermi dando delle spiegazioni.
Non pretendo che tu mi chieda scusa, ci mancherebbe.
Immagino non lo fai nemmeno con l’intenzione di offendere;
“Blu nemico del popolo” era chiaramente una provocazione, non volutamente colta. (possiamo evitare di disquisire sull’ovvio? a titolo di cortesia).
Continui tuttavia divagare sulla questione che sto ponendo : “e’ giusto cancellare anche l’unica (unica?) opera su commissione e per la quale si e’ percepito denaro?
ps perdonami per gli accenti ma son dovuto passare ad una tastiera inglese.
«Ecco, quindi, quando mi hai dato del codardo.»
La premessa condivisa, qui, è che si deve fare un minimo sforzo nel leggere e capire quello che scrivono gli altri.
Alcuni non vogliono, oppure non ce la fanno: saltano a conclusioni sciocche e poi le usano come premesse per ragionamenti fallati, vanno avanti senza rispondere alle domande e chiusi a qualunque segnale, buttandola sul personale o usando argomenti “straw man” e diversivi. Poi sparano assurdità e quando li inchiodi dicono che erano “provocazioni” (è il passepartout per ogni cazzata). Quando mostri una fallacia, quando smonti le loro pseudoargomentazioni, a quel punto fanno le vittime, con arroganza.
Ecco, qui sopra quelli lì durano poco.
Saluta tutti.
Con permesso entro in questa stupenda discussione…il problema è semplice: l’errore di Blu sta a monte e risiede nell’aver accettato di realizzare un graffiti legale o quasi-legale. Ciò non significa che poi lui non possa cancellarlo (e a questo punto “illegalmente”). Se qualche fariseo si scandalizza, evidentemente non ha idea di cosa siano (o meglio di cosa dovrebbero essere) i graffiti. come dice Kidult i graffiti devono arrivare alla classe alta solo per creare disturbo. Abbiamo scritto qui http://rivista-adesso.d-e.es/2016/03/16/ne-musei-ne-padroni/ che la scritta lasciata da Blu “…in ogni caso nessun rimorso” con la A cerchiata è la sua opera più bella. Se un suo graffiti legale è diventato una facciata grigia, potrebbe essere quel muro grigio la seconda sua opera migliore, o forse addirittura contendere il primato a quell’altra. Se invece quella scritta appare su quello stesso muro, allora è ancor di più il capolavoro assoluto di Blu. e tutto è il resto è noiaaaa
Se attribuite a Blu la scritta «In ogni caso nessun rimorso», non avete afferrato il concetto. Sui muri di Bologna, Blu non farà più niente. Questo ha annunciato e messo in pratica sabato.
[…] se Bologna d’ora in poi sarà “più brutta”, noi diciamo che una terribile bellezza è nata. L’azione di sabato ha gettato i poteri locali nello scompiglio. Per la prima volta da tanti anni, si vedono alcune […]
Come fraintendere il non fraintedibile: ecco un commento a opera di un tale che si definisce giornalista (questo: http://www.wired.it/play/cultura/2016/03/14/perche-decisione-blu-bologna-fallimento-totale/) che riassume efficacemente come si possa (candidamente – o meno…) travisare tutta la potenza di quanto sta accadendo assumendo le seguenti posizioni:
1) quello di Blu sarebbe “una sorta di autodafè artistico” che lascia orfani dei non meglio specificati “cittadini”, loro tapini, che si beavano ogni dì della vista ariosa e appagante di un inoffensivo trompe-l-oeil decorativo. Il gesto di Blu (e di tutti coloro che lo intendono nel suo inequivocabile messaggio – peraltro abbondantemente spiegato con parole semplici, e semplici non vuol dire banali, nel comunicato che lo ha accompagnato) sarebbe quindi un “capriccio” artistico di “virginalità creativa” che lascia i suddetti “cittadini” tristi e abbandonati di fronte a un grigio poco piacevole e poco rassicurante, invece del rassicurantissimo panorama che avevano ammirato ogni dì: in effetti era molto rassicurante quell’affresco di BATTAGLIA all’ultimo sangue che campeggiava su XM, dove i protagonisti di questa battaglia erano stati individuati con estrema precisione. Ma evidentemente per chi scrive questi frastornati “cittadini” non si erano accorti di non trovarsi di fronte a una cartolina del club mediterranee, non si erano mai accorti di trovarsi di fronte a una descrizione di quanto avveniva, sta avvenendo e avverrà a Bologna – come in molte altre parti del mondo.
2) “chi è mai Blu per decidere che anche altri pubblici non meritino di fruire dei suoi lavori? Chi è per ritirare da luoghi pubblici, per definizione di proprietà collettiva, un’opera che nel momento stesso in cui è stata conclusa ha smarrito ogni paternità?” si chiede costernato chi scrive. Nel patetico tentativo di usare proprio il principio della (non) proprietà come grimaldello per accusare coloro i quali ne hanno sempre fatto un modo di vivere ben prima che un manifesto. Già, perchè decidere coscientemente di sottrarre ai consueti mercati i propri spazi, il proprio tempo, la propria espressione, equivale secondo il nostro “giornalista” – e purtroppo tanti che hanno partorito commenti simili al suo – a girarsi dall’altro lato e dormire comodi sonni mentre qualcuno (chiamato per nome e cognome) decide di cagarci sopra, scusate il francese, e di strumentalizzare proprio ciò che continuamente bolla come degrado, spazio, tempo, luogo da sgomberare, o al massimo da rendere inoffensivo sotto il proprio diretto controllo, digerendolo e vomitandolo magari sotto le definizioni appaganti di “culture giuovanili”.
3) Non pago di aver completamente frainteso (o aver voluto fraintendere) le chiarissime motivazioni del gesto e di non sapersi minimamente interrogare sulle conseguenze, non pago di aver inaugurato la sua argomentazione non argomentata con un “senza addentrarci negli equilibri locali” (perlappunto…) che immediatamente mostra la volontà di non parlare di ciò di cui si sta parlando, il tale conclude con la melensa evocazione di “una famiglia di periferia” che “affacciandosi alla finestra non ammirerà più quelle stupende opere”, ahinoi, perchè in effetti il punto è bearsi di un’opera dalla finestra, non ragionare su cosa sta raccontando della realtà quotidiana – e decide di rafforzare clamorosamente il suo parto con quel ‘peggio per tutti’ che secondo lui sarebbe “l’epitaffio” rancoroso vergato dallo stesso capriccioso Blu sull’assenza – come se non bastasse l’assenza a raccontare invece una fortissima presenza – una frase, peraltro abbastanza fuori contesto, che viene da tutt’altra parte.
Fraintendere il non fraintendibile è dunque possibile, non solo da chi finge di fraintendere ad arte, e quello ce lo aspettavamo, ma anche da chi proprio, temo, non ci arriva.
Non capisco perché sia così difficile capire che Blu, in quanto artista-militante, abbia agito coerentemente secondo quella che è una prerogativa fondamentale tanto dell’artista quanto del militante: la critica. In tutto questa vicenda, non mi pare siano tanto rilevanti (per quanto di per sé importanti) i temi del diritto d’autore, della fruizione pubblica dell’opera o del rapporto fra attivista e “popolo” (qualunque cosa questo sia). Quello che secondo me è davvero in gioco nella lotta fra “Blu & compagni” versus “Genus Bononiae & istituzioni” è il tentativo di normalizzare e rendere inefficace una espressione artistica essenzialmente contestataria e critica. Le politiche securitarie non si fanno solo col manganello, si conducono anche tramite la violenza simbolica. L’iniziativa di G.B. rappresenta, a mio parere, il corollario ideologico e comunicativo del processo di repressione in atto a Bologna da molti anni a questa parte. Consideriamo il caso XM: Blu ha impiegato la sua arte in maniera foucauldiana, usando il valore di mercato che il suo prodotto d’arte possiede agli occhi dell’industria culturale per portare avanti una posizione politica critica e antagonista. La mostra che si va a inaugurare è il contro-ribaltamento di questa strategia. Ergo, cancellare i murales mira a impedire una istituzionalizzazione simbolica degli stessi che avrebbe spuntato ulteriormente le armi a disposizione di Blu e dei movimenti bolognesi (e non solo). Non è possibile, secondo voi, leggere l’azione di Blu anche in questi termini?
Non solo è possibile. E’ necessario. Hai perfettamente centrato il punto della questione.
Sottoscrivo, ma aggiungerei una cosa. A mio parere l’azione di Blu ha fatto emergere anche un altro aspetto, che io leggo nelle reazioni scomposte e stizzite di chi avrebbe voluto continuare ad avere sui muri le opere e strepita di diritti collettivi negati. E’ come se queste opere fosserò già state, almeno in parte, normalizzate e rese inefficaci, non da GB ma dalla semplice *abitudine*. Come se i cittadini, esposti ad anni e decenni di street art, ne avessero rimosso del tutto o quasi il significato profondo, politico. L’azione di Blu si è inserita come una spina in questo callo mentale collettivo.
Non solo la repressione, ma anche la gentrificazione dell’immaginario che ne rappresenta il necessario complemento.
La repressione diventa qualcosa di “giustificato” (esattamente agli occhi, guarda caso, di quel “popolo” da alcuni invocato in chiave quasi salvifica) quando si esercita contro qualcosa di estraneo, alieno… contro qualcosa, cioè, che viene costruito culturalmente – dal frame discorsivo dominante – come fattore degradante.
Ma, accanto a ciò che viene relegato nel dominio dell’irrecuperabile, c’è una vasta “zona grigia”, il cui potenziale destabilizzante può essere disinnescato in modo più sottile, ossia rimuovendone appunto le marche di alterità e di irriducibilità. La gentrificazione gioca precisamente su questo. Si nobilita, trasformando in “lusso” (materiale come nel caso delle aree urbane o spirituale come nel caso dei graffiti ri-significati come “Arte”), ciò che fino all’altro ieri era considerato tutt’altro che nobile; si converte la differenza in esclusività, l’alterità in sciccheria. Borghesizzazione dell’alterità proletaria e sottoproletaria, la cui mimesi acritica viene spacciata per alternativismo trendy: la nuova frontiera del “valore posizionale” di Fred Hirsch.
La pagina Wikipedia (in inglese) dedicata alla voce “hipster” riporta una citazione (da un articolo del 2009 di tale Rob Horning) che coglie in modo secondo me impeccabile il senso di questa tendenza socio-culturale: “embodiment of postmodernism as a spent force, revealing what happens when pastiche and irony exhaust themselves as aesthetics”. Appunto: il gusto per il pastiche, l’ironia e il rovesciamento si esaurisce come opzione estetica… e ne rimane solo il guscio vuoto, ossia la nuda dinamica di mercato e la sua capacità di predazione su un immaginario drammaticamente impoverito.
[…] ufficiale fa sapere che a Bologna Blu non ci sarà più finché i “magnati magneranno” e con un post affidato ai Wu Ming si scaglia contro “l’accumulazione privata” dell’arte di […]
[…] “洛夫斯·摩纳哥在博洛尼亚近些年的历史中声名鹊起,他的名字代表的是权力、金钱、政治……以及各种压迫性的政策,"这位街头艺术家在通过左翼意大利作家团体"无名基金会"(Wu Ming Foundation)发布的声明当中写道。Blu还在博洛尼亚地区自己作品的原址上面贴上了这份声明。 […]
(Scusate ma quanto è figo questo link dalla Cina?
Proprio figo figo figo figo figo figo figo figo!)
Quando Blu non era ancora nato…
a Bologna il livello del dibattito sull’arte era altissimo, oggi invece si sta rischiando di impantanarsi in un ridicolo delirio mediato dal codice penale. Nel ’77 uscì per la Cappelli editore “Perchè continuiamo a fare arte e a insegnare arte?” un volume che raccoglie le lezioni di Eco, Vattimo, Maldonado, Ricci, Guglielmi, Veronesi, Dorfles, che si tennero in città su questo tema. Un tentativo di analisi sul potenziale liberatorio dell’arte sul territorio per dare un panorama il più possibile vicino alla realtà, ‘affinchè questo potenziale non venga bruciato’ scrive Eco. Un volume, realizzato con la collaborazione dell’Assessorato alla cultura del Comune di Bologna e dell’Ente bolognese manifestazioni artistiche, che, come scrive Anceschi nella prefazione rappresenta “la volontà di far maturare, tra difficoltà non ignorate, le possibilità del presente…” . Altre sensibilità che niente avevano a che vedere con il codice penale, altri tempi…
Si potrebbe poi continuare con la credibilità di Francesca Alinovi, che nel 1983, con grande onestà intellettuale riuscì a proporre, con la mostra “Arte di Frontiera: New York Graffiti”, le nuove tendenze dell’arte americana all’interno di una sede istituzionale come la Galleria d’Arte Moderna di Bologna… altri tempi, altre sensibilità lontane dal furto dei muri staccati e dal codice penale…
Per tutto questo e per altro ancora, il gesto di Blu ed Ericailcane di coprire i loro lavori, un gesto che assume una dimensione politica, sociale e culturale che va oltre l’estetica, rappresenta una svolta, un’occasione per Bologna: acqua fresca e di sorgente per rinfrescare la memoria e l’attenzione #nelgrigiodipintodiBlu in città. Altro che il codice penale e ‘i conti della serva’ di qualche funzionario di quartiere. Nelle opere e nel gesto di Blu ed Ericailcane c’è tutta l’estetica militante antiautoritaria e libertaria che in un museo diventerebbe insignificante e ridicola, perciò, voi che pur apprezzando queste opere vi state ubriacando di chiacchiere “regole” pretesti o analisi da fautori dell’arte di “partito” solo per sputtanare Blu, fatevene una ragione; altrimenti rileggetevi Adorno quando parla di un’ “anti-opera d’arte totale” e disobbedianza civile, oppure come nel teatro di Julian Beck l’arte, la vita, la politica sono tutt’uno, così le opere di Blu sono tutt’uno con i luoghi dove sono state concepite, perchè lì hanno un senso, un significato compiuto e in progress, impossibile da riprodurre in una mostra. E giusto non farci mancare nulla, Rudolf Rocker in “Nazionalismo e cultura” che tende a considerare l’arte nella sua autonomia vitale, facendo dell’artista il solo arbitro della sua creazione. E se lui, Blu, non vuole, tu curatore della mostra, se vuoi rivendicare un approccio onesto con l’arte, lo devi solo rispettare e ringraziare perchè esiste e produce meraviglie nel mondo che comunicano e fanno riflettere. Non è mica poco, vero?
D’accordo con te al 100%, ma quando parli di Bologna anni ’70, non dimenticare mai che, se da una parte c’erano il DAMS, Eco, Celati, Guglielmi, ecc., a pochi metri di distanza c’erano quelli a cui dell’arte interessava solo la superfice omologante o che poteva dare loro lustro.
Zangheri, di cui ho parlato sopra, che cancellava i murales bolognesi, mentre celebrava i graffiti dellla metropolitana di New York, era solo la punta dell’iceberg. Tutta la loro cultura e immaginazione verteva su di un grigio plumbeo, che al confronto, quello usato da Blu per ricoprire le sue opere è di una luminosità improponibile.
Mi ricordo la poesia scritta da Stefano Saviotti nel ’77 e comparsa su Lotta Continua “Grigi ottusi pericolosi” in cui già diceva:
Grigi ottusi pericolosi
vogliono rendere il mondo a loro misura:
grigio ottuso pericoloso.
La società totalitaria del capitale
vive della monotona ripetizione dell’esistente.
Usa i padroni, i poliziotti, i giudici.
Nessuno di essi è indispensabile alla struttura che serve.
Fanno una vita di merda
per essere l’unico modello di vita possibile.
Bologna, già allora, affrontava l’arte anche così.
http://www.radioalice.org/9-testi/13-grigi-ottusi-e-pericolosi
[…] risponde Fabio Roversi Monaco, l’uomo che viene accusato a chiare lettere nel comunicato scritto dal gruppo letterario Wu Ming in accordo con Blu da sempre in silenzio […]
Valerio hai pefettamente ragione, hai conpletato a 360° il mio pensiero, ma ti assicuro che non ho dimenticato quel periodo, quel bellissimo murale in via Zamboni dove spiccava il drago e anche la nostra Aradio Ricerca Aperta, e non ho dimenticato la mattina che vi abbiamo ospitato dopo l’irruzione della polizia a Radio Alice… ma volutamente ho preferito non parlare di noi e del ’77, perchè mi sembrava, forse sbagliando non lo so, come il volersi accaparrare la primogenitura dell’esperienza che questi giovani oggi stanno vivendo. Comunque grazie per averlo ricordato tu.
Valerio hai pefettamente ragione, hai completato a 360° il mio pensiero, ma ti assicuro che non ho dimenticato quel periodo, quel bellissimo murale in via Zamboni dove spiccava il drago e anche la nostra Aradio Ricerca Aperta, e non ho dimenticato la mattina che vi abbiamo ospitato dopo l’irruzione della polizia a Radio Alice… ma volutamente ho preferito non parlare di noi e del ’77, perchè mi sembrava, forse sbagliando non lo so, come il volersi accaparrare la primogenitura dell’esperienza che questi giovani oggi stanno vivendo. Comunque grazie per averlo ricordato tu.
Certo, era un “non dimenticare” retorico; più che altro per sottolineare ancora una volta questa patologia schizofrenica con pluripersonalità per cui scrivere, dipingere, cancellare, ecc. sono azioni criminali e di cui vantarsi contemporaneamente, come se fossero merito loro, sono solo la prosecuzione della stessa ipocrisia di allora.
[…] ultimi giorni si è molto parlato della cancellazione delle opere bolognesi di Blu da parte dell’autore stesso e della […]
Si parla di Blu e Bologna anche sul Guardian: http://www.theguardian.com/artanddesign/2016/mar/17/street-artist-blu-destroys-murals-in-bologna
Thread chiuso. La discussione prosegue qui.
[…] bologna non c’è più blu e non ci sarà più finché i magnati magneranno per ringraziamenti o lamentele sapete a chi […]
[…] More here in this Italian article written by Wu Ming: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=24357 […]
[…] sorretta per altro da una approfondita analisi politica, ben riassunta ad esempio dal collettivo Wu Ming, è pienamente […]
[…] The fight against the capitalism personified by those institutions which speculate on art has no limits and street artists, like Blu or Banksy, keep fighting their impositions and dogmas, even if that means removing all their works. As described by the collective of writers, Wu Ming, in a war might happen to sacrifice the beauty in change of the effectiveness of the action. […]
[…] Die kritische Street Art Künstlergruppe Wu Ming beschreibt die Intention der Ausstellung wie folgt: […]
[…] alla mostra a Bologna si veda l’articolo di Michele Smargiassi in La Repubblica (12.03.2016), il post nel blog Giap gestito dal collettivo Wu Ming (12.03.2016) e l’articolo di Giovanni Vimercati su […]
[…] #Blu Is Erasing All The Murals He Painted in #Bologna – Giap. [online] Giap. Available at: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=24357 [Accessed 4 Apr. […]
[…] voce dei diretti interessati – Blu (Pagina Facebook) – Blu (sito Ufficiale) – Street Artist #Blu Is Erasing All The Murals He Painted in #Bologna (Giap, WuMing […]
[…] finché qualche romano non si farà venire la stessa geniale idea che si è fatto venire un certo […]
[…] marzo, ha visto un centinaio di persone intente a celebrare il mestamente gioioso ingrigimento di una delle opere più simboliche dello street artist Blu, sulla parete del centro sociale XM24, ultima tappa di un cammino notturno che ha portato […]
[…] (Fonte: Sito ufficiale Banca Imi). Questa alchimia petroniana deve essere stata troppo indigesta (qui la sua motivazione affidata alla penna di WuMing) e così, una notte, Blu, ha deciso di cancellare tutte le sue opere. E lo ha fatto. Tutte. […]
[…] Saturday 30th April I went into Bologna to visit a very controversial exhibition of street art in a Palazzo featuring art works removed from the street. The exhibition was called Street Art: Banksy & Co. I had to see for myself though which required buying a ticket to see works intended for free viewing on the street and afterwards, I also bought a book of the exhibition! It is also mostly in Italian but there is some English writing too. As I improve my Italian, I’m sure I’ll be able to read more of it! One of the exhibits by Blu, no title; was rather large and shown in a large space up a well lit wall. I was not that impressed by it but there was also a video of the removal of this artwork from the street showing the process and the transfer onto canvas for the purpose of “preserving” it! I was shocked at the process and the whole concept actually! Blu was an artist included in the exhibition against his will and made his point of view very well known by painting over his works in Bologna along with the help of others in protest of the exhibition. Article: Blu is erasing all the murals he painted in Bologna in the past 20 years […]
[…] Art. Banksy & Co. – L’arte allo stato urbano” [sulla vicenda: Wu Ming su Giap e da Mauro Baldrati su Carmilla], hanno ormai perso i riflettori e le prime pagine dei media locali […]
[…] è sempre stato di primaria importanza; e, alla luce di questo, la sua scelta di qualche tempo fa, di cancellare le sue opere dai muri di Bologna, piuttosto che farle esporre in una mostra organizzata da un personaggio che è lecito dubitare […]
[…] En símbolo de protesta, Blu decidió que eso no era justo y se dedico a borrar uno a uno los murales que había pintado por la ciudad, en sus propias palabras: […]
[…] è tornato all’onore delle cronache negli ultimi giorni, quando ha deciso di cancellare tutte le sue opere dalle facciate degli edifici di Bologna, per combattere la strumentalizzazione della street art, […]
[…] note le vicende che l’hanno portato a cancellare i propri murales a Bologna. Lui ne parla molto chiaramente qui e un giorno anche io dirò cosa penso. Il mio punto di vista è molto vicino a quello di […]
[…] Blu was an artist included in the exhibition against his will and made his point of view very well known by painting over his works in Bologna along with the help of others in protest of the exhibition. Article: Blu is erasing all the murals he painted in Bologna in the past 20 years […]
[…] trascorso poco più di un anno da quando una mano di vernice grigia ha coperto tutti i murales realizzati da Blu nella città di Bologna, per protesta contro la mostra Banksy & Co – l’arte allo stato urbano, che ne […]
[…] Mordor, di Blu. Dipinto nel 2013 sulla facciata di XM24, cancellato per protesta dall’autore nel 2016. Clicca sull’immagine per navigare il […]
[…] che è collettivo; interrogato da due vigili urbani su quanto andava facendo, Blu consegnava un volantino che diceva: «di fronte alla tracotanza da landlord […] di chi si sente libero di prendere […]
[…] riflessione su Wu Ming Fondation su Blu che cancella i murales dopo che si è cercato di portarli in museo e si è tentato di […]
[…] urbano in forme più o meno spontanee. Alle grandi opere di Blu (ormai scomparse nel 2016 come protesta nei confronti degli stacchi di alcuni suoi murales) e di Ericailcane, nel corso degli anni si sono aggiunti interventi del Collettivo FX | Nemo’s | […]
[…] in more or less spontaneous ways. Beyond the works by Blu (that have almost disappeared as a consequence of a protest where his murales were removed) and by Ericailcane, over the years also injections by Collettivo FX | Nemo’s | Pupo Bibbitò | […]
[…] e diventino così un’innocua «controcultura» depurata da avversario e conflitto. La cancellazione del murale di Blu, che invece andava proprio nel segno della ripoliticizzazione della street art, non è mai […]
[…] La mostra Street Art Bansky & Co. è il simbolo di una concezione della città che va combattuta… […]
[…] Dopo aver denunciato e stigmatizzato graffiti e disegni come vandalismo, dopo avere oppresso le culture giovanili che li hanno prodotti, dopo avere sgomberato i luoghi che sono stati laboratorio per quegli artisti, ora i poteri forti della città vogliono diventare i salvatori della street art. WuMingFondation.com […]
[…] allo Stato Urbano. An official statement regarding the artist’s decision was posted on wumingfoundation.com, linking the show to the local political context and […]
[…] and the ensuing repressive policies,” explained a statement from the artist published by Wu Ming Foundation, a collective of left-leaning Italian authors. Blu also posted the missive at locations in Bologna […]
[…] in Bologna, as well as the political context of the mural and the exhibition, including the can be found here. A few choice quotes from that […]