[Riproduciamo su Giap la bella recensione de Il Piccolo Regno apparsa sul blog Parla della Russia. Il giudizio conclusivo ci incuriosisce molto: «Questo a mio avviso non è libro per piccoli, ma per grandi che ricordano cos’è il proprio Piccolo Regno». Ci chiediamo quanto sia diffusa questa impressione tra chi ha letto il romanzo. Ecco, saremmo grati a coloro che vorranno esprimersi su questo qui su Giap.
Ne approfittiamo per segnalare le prossime due presentazioni del libro, entrambe a Milano.
Sabato 14 maggio, ore 18:00, Spazio B**k, via Porro Lambertenghi 20.
Domenica 29 maggio, ore 16:30, Cascina Cuccagna, via Cuccagna 2/4 ang. via Muratori.]
di Tatiana Larina
Ho comprato Il Piccolo Regno di Wu Ming appena uscito, regalo del coniglio pasquale per il giovane virgulto, ma manco a dirsi l’ho letto io. Divorato.
Ad essere franca mi aspettavo qualcosa di più semplice, didascalico, più vicino a Cantalamappa, per bambini… ecco. Invece questo libro, a mio avviso per bambini non lo è. Si tratta di un libro molto complesso e costruito in maniera impeccabile. Impeccabile perché in questo breve romanzo si intrecciano generi e tematiche con un risultato notevole.
Esterno, anni ’30 estate, quattro ragazzini, quattro cugini che scorrazzano per la campagna in vacanza , un tesoro ritrovato, un mistero da svelare. Ci sono tutti gli elementi per la perfetta storia estiva per bambini. Il racconto invece svela qualcosa di molto più profondo: l’amore, la morte, la crudentà umana, la fantasia, l’avventura, il coraggio, la paura.
Se il lettore è trascinato nella vicenda con la suspense, vi resta perché scorge ragioni profonde dell’agire umano.
Se all’inizio della narrazione tutto è definito, per poi andare in pezzi senza che l’illusione della bellezza possa ritornare. All’inizio tutto è chiaro: c’è la Gente Bassa (bambini) e c’è la Gente Alta (adulti), il piccolo regno (la propria casa) e tutto ciò che c’è fuori e va esplorato, i buoni e i cattivi, in quella divisione tra bene e male che caratterizza l’infanzia e l’ingenuità. Alla fine del libro non abbiamo più certezze. La gente Bassa, i bambini perdono la loro ingenuità, si aprono al dolore e alla perdita entrano in contatto con il mondo dei grandi. Questo libro racconta di come si squarcia il velo di Maja, cosa accade nel momento in cui cresciamo, ovvero non quando cominciamo a comportarci da adulti ma quando “vediamo” come si comportano di adulti. Questo è un libro sulla fine dell’infanzia.
Wu Ming 4 è riuscito nella complessa operazione di dare molta sostanza ad libro breve e scritto in maniera apparentemente semplice. E’ un libro commovente. La chiusura in cui la voce narrante, di quel ragazzino ormai diventato uomo che racconta cosa è stato dei suoi cugini ci riporta alla realtà della storia in cui tutti viviamo e cui nessuno può sfuggire
Si trova nel libro una vena spirituale, i personaggi entrano in contatto con chi sulla terra non c’è più. Rischio di fare spoiler, lo so, ma parti di questo libro rievocano il profondo struggimento di Stella del Mattino, di quando uno scrittore a caso cercherà di esorcizzare la guerra attraverso un romanzo grandioso che restituisce grandezza agli amici non sopravvissuti.
Dal punto di vista narrativo, il racconto ha tanti riferimenti e spunti nella letteratura classica. Inutile negare la forte ispirazione venuta Da Il signore degli Anelli di quel Tolkien cui Wu Ming 4 è tanto legato. E’ chiaro il riferimento al passaggio dei Tumulilande, ma Wu Ming 4 non scimmiotta anzi trasporta nell’epoca contemporanea la magia e ci ricorda che sognare è necessario a tutti e che da adulti dovremmo sempre ricordare cosa eravamo quando eravamo bambini, solo così capiremo il senso della nostra e delle nostre scelte, anche quelle che ci sembrano immotivate.
Consigliato: figuratevi se io non consiglio un libro del collettivo, che tanto si conferma all’altezza delle aspettative. Consigliato a tutti quelli che credono nel potere delle favole ad ogni età e soprattutto a chi crede che nella vita di tutti ci sia un momento, un evento che segna il corso della vita stessa e che limita le nostre possibilità uccidendo l’illusione di essere speciali e che tutto sia possibile. Noi di PdR abbiamo un‘intera sezione dedicata ai Wu Ming, e ci trovate parecchie recensioni tra cui l’ultimo del collettivo L’Invisibile Ovinque
Sconsigliato: ai bambini. Questo a mio avviso non è libro per piccoli, ma per grandi che ricordano cos’è il proprio Piccolo Regno
neanche a dirlo questo libro partecipa alla #readingchallenge2016 di ParladellaRussia, nella categoria #libronew2016
Condivido in pieno.
Penso che un tratto fondamentale lo segni la scelta del punto di vista: un anziano che guarda al suo “piccolo regno” produrrà necessariamente una narrazione adulta.
Anche la rappresentazione delle paure e delle relazioni umane, oltre al finale “sospeso” di molti capitoli sono trattati con complessità e senza sconti volendo, secondo me, parlare alla gente alta.
Se questo libro parla dello “squarcio del velo” è difficile che chi non ha ancora sperimentato questo passaggio possa comprenderlo fino in fondo. Nella migliore delle ipotesi per i bambini sarà un libro che fa paura.
Infine c’è anche un elemento emotivo del tutto personale: questo libro mi ha emozionato, forse come mai aveva fatto un libro di Wu Ming. Se fosse stato (solo) un libro per bambini probabilmente non avrebbe sortito lo stesso effetto.
Abbiamo deciso di presentare Il Piccolo Regno durante Cuccagna Favolosa! Festa del libro per bambini a Milano il 29 maggio, per diversi motivi.
Il nostro progetto Oasi del Piccolo Lettore si occupa di promozione della lettura, ci rivolgiamo quindi a neonati (perchè la lettura è un’abitudine, è un’emozione, è un’esperienza e da 0 a 3 anni ascoltare una storia tra le braccia di un genitore o dei nonni è già tutte queste cose), bambini e ragazzi soprattutto. Speriamo che tra 20 anni quel 60% di italiani che non hanno letto nemmeno un libro in un anno, si sia ridimensionato.
Il Piccolo Regno è, secondo noi, un libro per bambini e ragazzi. E’ anche un libro che gli adulti possono leggere con grande piacere, come vale anche per tantissimi altri bei libri, da Capitani coraggiosi di Kipling, a Signori bambini di Pennac, a Viaggi di Gulliver di Swift … e l’elenco potrebbe continuare.
Ma Il Piccolo Regno è un libro adattissimo a bambini e ragazzi. Perchè? La risposta, secondo noi, sta negli spazi del piccolo regno. Una geografia strana, oltre che incompleta e ancora da scoprire. Una geografia che ha due speciali punti cardinali: l’Alto e il Basso. La soffitta e la tomba. L’altezza della porta della casa sull’albero che segna il discrimine tra chi è dentro (l’infanzia) e chi fuori.
Leggere Il Piccolo Regno ci ha fatto tanto pensare a un saggio Il diritto del bambino al rispetto, di Janusz Korczak (pubblicato in Italia da un “micro” editore, Luni. Non hanno distribuzione ma lo potete trovare a Milano una volta al mese in Piazza Duomo durante la manifestazione Libri Nuovi in piazza o nelle fiere di editoria indipendente).
In particolare leggendo Il Piccolo Regno, abbiamo pensato a queste parole del dott. Korczak: “Abbiamo vissuto con l’idea che grande è migliore di piccolo. Sono grande!, grida gioiosamente un bambino in piedi sul tavolo. Sono più grande di te!, dichiara con orgoglio a un compagno della stessa età ma più basso di statura. Quanto è penoso non raggiungere un oggetto, soprattutto se per farlo, vi siete sollevati sulla punta dei piedi. Che fatica per delle piccole gambe tenere il passo di un adulto. E dalla mano troppo piccola il bicchiere scivola sempre. Quanti sforzi, quanti gesti maldestri per arrampicarsi su una sedia, salire su una scala, sedersi in macchina; impossibile aprire una porta, guardare da una finestra, sganciare o appendere un oggetto: è sempre troppo alto.”
Negli stessi anni in cui è ambientato Il Piccolo Regno, nel ghetto di Varsavia, in Polonia, i bambini senza genitori e senza nulla avevano trovato una casa nell’orfanotrofio del dott. Janusz Korczak. Non era un orfanotrofio come gli altri: dentro vi era stata fondata la Repubblica dei Bambini, con i loro Codici, Leggi, Tribunale. Tutti erano giudicati da tutti, gli educatori come i bambini. Ognuno aveva lo stesso peso, non c’erano gerarchie e tutti erano sullo stesso piano. Ogni bambino, come ogni educatore, aveva diritto al Rispetto. Così nel ghetto di Varsavia, circa duecento bambini chiusi e sotto assedio, cantavano ”siamo tutti fratelli, nostra patria è il mondo intero” e avevano piantato l’albero della Speranza. Quando i nazisti li prelevarono dal ghetto per portarli nel lager di Treblinka, al dott. Korczak fu offerto un lasciapassare che rifiutò, per accompagnare i suoi 192 bambini nelle camere a gas.
Ne Il diritto del bambino al rispetto, così descrive la percezione comune che genitori ed educatori hanno del bambino: “Non è che un bambino, un ragazzino, che sarà uomo solo domani. Per esistere davvero deve aspettare ancora.” Riconoscendo ad ogni bambino e bambina il diritto al Rispetto, si eviterà di trattarli come persone solo in potenza, come deboli, stupidi, futili, piccoli, dipendenti da un adulto a tutti i costi, sottoposti, non uguali a noi, non sullo stesso piano.
Le parole di Korczak, che siamo andati a ricercare dopo la lettura de Il Piccolo Regno e degli articoli pubblicati su Giap riguardo la difficoltà di “targetizzare” il romanzo, ci tolgono dall’imbarazzo di identificare una fascia d’età a cui presentare il libro. I piccoli lettori non sono lettori di serie B. La vera fatica non è la nostra, che ci abbassiamo sulle ginocchia per stare al loro livello, ma la loro quando si sollevano sulla punta dei piedi per raggiungerci.
Questa tensione verso l’Alto dovrebbe essere, e per tanti editori lo è, lo spirito con cui lavorare ai libri per ragazzi, invece di puntare al ribasso, alla semplificazione, alla riduzione, dimostrando già in partenza scarsa fiducia nelle possibilità di questi giovani lettori.
Lasciare ai bambini la loro autonomia, il diritto a perdersi nella geografia incerta del Piccolo Regno, non vuol dire rinunciare a prendersi cura di loro; per il dott. Korczak educare un bambino significa la fatica di piegarsi sulle ginocchia per vedere il mondo dal suo punto di vista. La fatica di salire un gradino, di salire su una sedia, la fatica di imparare tutto, di dover capire tutto, soprattutto regole e comportamenti autoritari e arbitrari degli adulti che a guardarli (a guardarci!) da fuori sono strani forte! -chiusi in ufficio invece di correre per i prati, sempre di fretta e in ritardo, incapaci di fermarsi a guardare un tramonto…
Un accenno vogliamo spenderlo sulle “gerarchie”, vista l’angoscia che lasciano dentro i gemelli Williamson anche giorni dopo la lettura di Il Piccolo Regno. Sempre Korczak:
“Lo spirito democratico di un bambino non conosce gerarchie: soffre ugualmente davanti alla fatica di un operaio, alla fame di un compagno, alla miseria di un cavallo da tiro, al supplizio di una gallina che viene sgozzata. Cane e uccello sono i suoi vicini; farfalla e fiore i suoi eguali. In una pietra o in una conchiglia scopre un fratello…”
Tra la Gente Alta e la Gente Bassa può esserci un dialogo tra pari, un confronto franco e onesto. Non vogliamo vedere tra i bambini e gli adulti un confine invalicabile o una porta che, una volta varcata, si chiude per sempre.
Vi aspettiamo in Cascina Cuccagna il 29 maggio alle h. 16.30 per continuare a discutere di questo gran bel libro con Wu Ming 4 e lettori grandi e piccoli.
Io direi dagli 11 anni in su.
Come già scritto, mi ha riportato alla memoria la lettura de “I ragazzi della Via Pal”, romanzo che oggi messo al confronto con Geronimo Stilton sembra effettivamente per il Liceo. Ma che mi sento di inserire tra le letture per l’Infanzia.
I grandi libri per fanciulli devono avere questa doppia possibilità: piacere agli adulti, e un po’ di più ai bambini.
Parlo da lettore adulto, ma che spesso legge ai bambini. Non devono “capire” ogni cosa, ogni sfumatura. E poi sono corazzati: se non capiscono inventano. Quindi comunque vada, è una lettura che dovrebbe far del bene.
Sparerò una cazzata ma io ci vedo anche parecchio Harry Potter qui dentro. Naturalmente non nella tematica in senso stretto bensì nell’equivalente narrativo ipercompresso di un gruppo di ragazzini che si affaccia a qualcosa di nuovo, misterioso e difficile. Sebbene con proporzioni ed intenti ben diversi, qui come in Harry Potter si parte da una situazione fanciullesca per scivolare lentamente in qualcosa d’altro. I toni cambiano pagina dopo pagina come nella saga della Rowling cambiano libro dopo libro. Mi chiedo quanti come me, leggendo Harry Potter, non sono riusciti a spegnere la luce per dormire poiché troppo rapiti dalla storia e dalle microstorie che si consumavano tra le mura di Hogwarts. Qualcosa di simile mi è successo con “Il piccolo Regno” e né l’uno né l’altro li ho letti propriamente da ragazzino. Io dico con convinzione che è un libro per ragazzini tanto quanto lo è per gli adulti senza che una definizione prenda il sopravvento sull’altra. La magia è anche questo.
Un libro per bambini, col genitore che magari ammicca: – che faccio, glielo leggo io? –
Ecco, per ragazzi: sono più d’accordo, perché ci sono misteri e avventure per loro. E ci saranno le loro domande, perché i riferimenti a storia, a personaggi veri, e ad altri libri, smuovono interrogativi. Perché c’è la forza del gruppo, che mescola età e caratteri e rende più facile l’identificazione.
Per i grandi: innanzitutto perché lo scenario è simile a tutti i piccoli regni che si costruiscono con l’anima quando si è ragazzini. Per una certa mestizia che rappresenta bene la serietà infantile, e poi diventa anche la consapevolezza dell’adulto. Perché anche in Stella del Mattino c’era un piccolo regno, un pezzo dell’infanzia di T.E. Lawrence…
Mi vengono in mente un paio di cose che potrebbero piacere a tutte le categorie. La mappa, che serve a orientarsi ovvero a riconoscere i posti, le distanze, i percorsi. E’come una doppia lettura. Non tutti i libri hanno delle mappe ovviamente. In questo caso a mio parere è stata un’ottima idea. L’areale di un gruppo di ragazzini in campagna è sempre vasto, perché comprende le zone proibite, le zone paurose, il dove nascondersi, case amiche e costruzioni misteriose e sbilenche in cui non si dovrebbe entrare. La mappa non rende la densità del bosco e non mostra il canneto del fiume o la serra dei fiori e le finestre basse della casa, perché quelle sono le immagini che si crea il lettore; ma provate a fare a meno della mappa, e vi mancheranno i confini del regno, le mura del giardino segreto.
Poi gli animali, che hanno sentieri, abitudini e timori molto simili a quelli dei bambini. Ma anche violenza e predazione. Probabilmente quando la natura, in un prato o chissàdove ci ha svelato all’improvviso le tracce della morte, lo ricordiamo ancora.
Il Piccolo Regno è un romanzo per ogni età
Se la recensione la scrivesse un giovane lettore darebbe conto con entusiasmo di un romanzo del “mistero” che si scioglie svelando la complessità della natura umana alla luce dell’esperienza, della storia che chiede ragione, delle relazioni con gli altri.
Un lettore adulto resterebbe ammaliato dalla possibilità di vivere un’avventura come quelle passate nell’eldorado della propria infanzia (per chi come me è stato un bambino fortunato!) e stavolta in compagnia di WM!
A me infine piace vederci tanto altro: mi ha ricordato sia “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee, sia “Quelli della palude” di Lansdale. Su tutto questo un’impressione fortissima: il linguaggio e lo stile sono affinati con cura maniacale.
Mi è piaciuto tantissimo. Azzardo una possibile linea: Q, Armata dei Sonnambuli, Piccolo regno. Se fosse vera, cioè intenzionale, allora questo romanzo potrebbe essere letto come paziente lavoro di scavo per lasciare affiorare dalle sabbie del proprio “bisogno” di narrazione un manufatto sempre più preciso, limpido, chiaro. Infanzia come origine, come messa a fuoco di un modello originario…
A occhio, ho pensato anch’io quello che dicono Tatiana e Christian. Per Gente Alta la tematica (ma su questo si potrebbe sorvolare, giustamente non è detto che il lettore bambino debba capire tutto… e se è per questo neanche l’adulto), ma soprattutto per gente alta la prosa di Federico: io ho l’impressione che se da piccolo mi avessero dato un libro del genere l’avrei chiuso dopo le prime due pagine – forse non sarei arrivato a due pagine. Cioè, la riflessività del narratore che da grande riguarda quella foto sarebbe stata respingente per me e non mi avrebbe permesso di andare avanti.
Ma finora parliamo di impressioni: qualcuno ha provato a darlo da leggere a bambini? Come hanno reagito?
Poi ci sarebbe tutta la questione dei riferimenti letteari, dei link, delle risonanze.
@Armin: anch’io avevo pensato a Harry Potter. E (adesso mi prenderete in giro) anche Harry Potter, nei primi tempi in cui l’ho letto, non mi è sembrato un libro per bambini.
@Marco S: interessante l’idea del Buio oltre la siepe. Forse per via, come diceva Paola poco sopra, dell’ “areale dei ragazzini”? Entrambi i romanzi iniziano con quello e il legame tra uscita del territorio e squarcio del velo poi attraversa tutto il libro.
Aspetta, però, bisogna intendersi sull’età anagrafica. Stiamo parlando di ragazzini di 10-12 anni, non più piccoli. L’età deve essere più o meno corrispondente a quella dei protagonisti. Dopodiché la prosa alta è quella della Premessa, che infatti è specificato essere “per la Gente Alta”, appunto. In effetti ho scoperto che mio figlio maggiore (10 anni) alla seconda rilettura del libro non aveva ancora letto la premessa e quando gli ho chiesto perché mi ha risposto che c’era scritto che non era per lui. Il libro in effetti può essere letto anche senza premessa (e addirittura, forse, senza epilogo).
[Sarcasmo] Per i bambini un libro di tal guisa potrebbe essere addirittura nocivo! Almeno secondo il direttore di una scuola privata inglese… :-D
http://www.latimes.com/books/jacketcopy/la-jc-harry-potter-brain-damage-20160509-snap-story.html
E’ incredibile come periodicamente ci sia un cretino che ritira fuori questa scemenza del fantasy che brucia i cervelli (e questo dirige una scuola!). Veramente un ever green… :-)
Ho finito di leggere il libro forse poco più di un’ora fa e, viste le date degli altri commenti, spero non sia troppo tardi per lasciare la mia testimonianza.
A brevissima distanza di tempo, abbiamo regalato alla bambina (9 anni e mezzo) “Il Piccolo Regno” e “Cantalamappa”. Il primo l’ha snobbato, sul secondo si è fiondata subito. Probabilmente anche perché ama molto disegnare e “Cantalamappa” poteva di primo acchito risultarle più appetibile. O magari perché ha un’età troppo vicina a quella di Fedro e troppo poco a quella degli altri tre protagonisti. O per altri motivi ancora o per nessuno in particolare, non so. Fatto sta che, qualche giorno dopo l’ostentato disinteresse del primo incontro, mi si è avvicinata e ha buttato lì con noncuranza: “Ma anche il Piccolo Regno è di Wu Ming?”… se conosco i miei polli, sono manovre di avvicinamento. Staremo a vedere. E’ una lettrice vorace, ma solo di libri decisamente “per bambini”: Bianca Pitzorno, Roald Dahl, il Michael Ende di “Jim Bottone” e simili).
Esulando dal singolo caso non saprei se definire questo un libro per bambini oppure no. Non saprei nemmeno se ritenermi in grado di capire che cosa significhi “Libro per bambini”. Dubito sia una categoria ricavabile per sommatoria di caratteristiche narrative (un certo modo di definire il tempo e lo spazio, una certa età dei protagonisti, un certo ruolo del mistero e dell’avventura, ecc.). Posso dire che molto probabilmente (ma chi potrebbe esserne certo?) “Il Piccolo Regno” sarebbe piaciuto a me da bambino, perché somiglia a molte delle cose che mi piacevano allora e che non hanno smesso di piacermi. Ma io non ero “i bambini”, ero semplicemente un bambino: molti miei coetanei trovavano avventurose le storie di Qui, Quo e Qua nei panni delle Giovani Marmotte e io non capivo dove stesse l’avventura. A volte mi pare che “i bambini di oggi” siano diversi e abituati a dinamiche narrativamente più semplici. Ma poi vedo molti di questi bambini dalla presunta maggiore necessità di essere imboccati appassionarsi a Myiazaki non meno che a certi prodotti standardizzati e banalissimi della tv “per bambini” o “per ragazzi”, e mi dico che allora forse è tutto un po’ più complesso… o infinitamente più semplice. O sono solo io che perdo il filo.
Ricordo quando lessi per la prima volta il saggio di Tolkien sulle fiabe. Provai molto affetto per il Professore quando scoprii che anche lui da bambino aveva preferito i racconti di cavalieri e draghi alle storie confezionate appositamente per bambini. E ne provai ancora di più quando lessi il passo in cui dice che le fiabe possono essere amate anche dai bambini, ma non sono affatto “per bambini”. Ecco, io questo non lo trasformerei in un dogma, però ci mediterei. Soprattutto prima di scrivere che “Il Piccolo Regno” ai bambini deve essere addirittura sconsigliato. Mi sembra eccessivo, perché sconsigliare?
Da Jim Hawkins in poi, passando per Tom Sawyer, i fratelli Pevensie per giungere ai romanzi di Susan Cooper mi piacciono molto quei romanzi in cui si supera la soglia della fanciullezza; un passo che può essere più o meno drammatico, un passo necessario fondamentale (e che oggi è sempre più rimandato-posticipato-non pensato), un passo fondamentale per la crescita di un uomo. Ho letto con grande interesse Il piccolo regno che non poteva essere ambientato se non in quell’Inghilterra degli anni Trenta così interessante per molti scrittori allora presenti. Unica pecca? L’epilogo… un finale drammatico a mio parere e nel mio inguaribile ottimismo e poi, le scelte dei nomi… Fedro? C’è qualche collegamento col fabianeismo?